L’insegnamento dell’economia politica come scienza sociale [intervento di Alessandro Roncaglia alla tavola rotonda per festeggiare Paolo Palazzi] Il titolo della nostra tavola rotonda riprende quello del libro di Paolo, “L’economia come scienza sociale e politica”. Il libro è disponibile nel sito web di Paolo; uscito nel 2010, ha avuto una ristampa già nel 2011 e per qualche tempo ha occupato i posti alti della classifica degli e-­‐book più scaricati in rete. Nel titolo della tavola rotonda abbiamo spostato l’aggettivo “politica” da “scienza” a “economia”; questo ci serve per sottolineare un punto che nel contesto delle discussioni che abbiamo avuto per anni prima nella Facoltà e poi nel Dipartimento di scienze statistiche ha visto il nostro piccolo gruppo di economisti allievi di Sylos assediato da chi voleva imporci una concezione formalistica e tecnicista dell’economia. Nel libro di Paolo vi sono pagine molto belle a difesa del punto di vista di quella che Paolo stesso chiama “economia alla Sylos” e a chiarimento di quel che intendiamo per economia come scienza sociale. Ricordo alcuni aspetti: etica della ricerca, esigenza di rigore e realismo simultaneamente, assenza di barriere tra l’economia e le altre scienze della società. Etica della ricerca: si tratta di un principio generale che ha vari aspetti. Paolo richiama in primis l’anti-­‐machiavellismo: il fine non può giustificare i mezzi. Nel contesto della ricerca, questo significa che il nostro lavoro deve essere sempre aperto alla possibilità di confutazioni: dobbiamo evitare qualsiasi forma di dogmatismo, sia perché possiamo avere commesso errori, sia (soprattutto, quando il ricercatore è abbastanza bravo da evitare errori) perché il mondo va avanti e le teorie utili in una certa epoca possono essere fuorvianti in una situazione nuova. (Questo significa che la “economia alla Sylos” rifiuta l’idea di “leggi economiche” valide in qualsiasi epoca storica e in qualsiasi assetto istituzionale; al più, possiamo accettare con cautela l’idea dei “fatti stilizzati” proposta da Kaldor; ma su questo aspetto non posso ora soffermarmi.) Nel contesto del dibattito scientifico, questo significa apertura alle idee diverse dalle nostre (e pretesa di trattamento simmetrico da parte di chi la pensa diversamente da noi). Come ricordava il maestro di Sylos, Joseph Schumpeter, a monte della fase di costruzione dei modelli e poi della loro applicazione empirica vi è una fase di costruzione dei concetti o se vogliamo di articolazione della nostra “visione del mondo”: i modelli discendono da questo lavoro e hanno un senso solo all’interno della concezione del mondo dalla quale sono derivati. Ma sono possibili diverse concezioni del mondo, ad esempio quelle che sono state caratterizzate da Luigi Pasinetti come ottica della scarsità e ottica della riproducibilità; Sylos Labini, seguendo un accenno di Sraffa in “Produzione di merci a mezzo di merci”, preferiva distinguere tra “modelli a spirale” (quella che Sraffa chiama la concezione del flusso circolare della produzione e del consumo) e “modelli ad arco” (per Sraffa, la concezione della strada a senso unico che porta dalle risorse scarse ai beni richiesti dai soggetti economici). Per fare un solo esempio, il concetto di equilibrio (inteso come eguaglianza tra domanda e offerta) è centrale per l’analisi teorica nei modelli ad arco, mentre è relativamente accessorio per i modelli a spirale. La comprensione tra quanti sostengono posizioni teoriche diverse è quindi tutt’altro che banale: richiede uno sforzo, che può utilmente giovarsi dello studio della storia del pensiero economico, che mette in risalto le differenze concettuali tra le diverse impostazioni. Proprio perché non è automatico e banale, lo sforzo di comprensione delle tesi contrapposte alle proprie costituisce un requisito morale per il ricercatore e il dibattito teorico deve seguire regole di correttezza. In questo senso, il rifiuto del machiavellismo implica il rifiuto dei mezzucci troppo spesso utilizzati per prevalere su chi la pensa in modo diverso da noi, come di recente, nella valutazione della ricerca, il ricorso a una bibliometria costruita ad arte in modo da avvantaggiare le posizioni più conformiste rispetto a quelle più eterodosse. Chi ricorre a questi mezzucci non va semplicemente contrastato nel merito, va disprezzato per la mancanza di senso morale. Il secondo aspetto ricordato da Paolo ha a che fare con l’obiettivo dell’attività di ricerca: con le sue parole, “capire il mondo per cambiarne gli aspetti insoddisfacenti”. Questo significa che l’obiettivo della ricerca deve avere direttamente o indirettamente un valore concreto (il che non implica il rifiuto del lavoro teorico o delle ricerche di storia del pensiero a favore delle ricerche di economia applicata: anzi, anche in quest’ultimo ambito possiamo avere esempi illustri di ricerche fine a se stesse, semplice produzione di carta a mezzo di carta; mentre, al contrario, possiamo avere ricerche di storia del pensiero su un autore di secoli fa utilissime a chiarire un qualche aspetto della concezione del mondo che sottende la ricerca economica corrente o lavori analitici decisivi per dimostrare l’erroneità di tesi tramandate come ovvie, come quella della mano invisibile del mercato criticata da Sraffa tramite il “ritorno delle tecniche”). Il realismo, comunque, non deve essere perseguito a scapito del rigore: le “due R” sulle quali insisteva Sylos debbono essere presenti entrambe nel nostro lavoro. Il terzo aspetto ha a che fare con la necessità di evitare barriere tra l’economia e le altre scienze sociali. Quando studiamo la distribuzione del reddito, ad esempio, occorre tenere conto – come ricordava già Adam Smith – dell’assetto istituzionale che condiziona i rapporti di forza relativi di capitalisti e lavoratori, quindi di aspetti giuridici (basta come esempio lo Statuto dei lavoratori?), sociali e culturali (la consapevolezza dei propri interessi o la sovrapposizione di affiliazioni religiose o razziali, ad esempio). La storia soprattutto è essenziale, per mantenere desta la consapevolezza del cambiamento continuo e per aiutarci a cogliere la direzione in cui ci stiamo muovendo. Nel suo libro (pag. 40), Paolo sottolinea con forza che dobbiamo “smettere di considerare l’economia come scienza indipendente e isolata dalle altre scienze sociali”. Quanto ho detto finora si riferisce direttamente alla ricerca in campo economico; ma l’insegnamento, nella tradizione di Sylos, non è separato dalla ricerca (anche per trasmettere il senso di provvisorietà dei risultati raggiunti, come pure la passione per una materia che non è cristallizzata ma in divenire, che il ricercatore-­‐insegnante contribuisce a creare e rigenerare continuamente). La traduzione in termini di requisiti per la formazione di un buon economista è quindi immediata. A questo fine, sosteneva Sylos, occorre una buona base di matematica e statistica, di storia e di filosofia. Poi, accanto allo studio dell’economia, occorre inserire quello di sociologia e demografia e, perché no, una infarinatura di diritto. E accanto all’insegnamento delle tecniche e della cultura occorre, fondamentale, l’esempio morale del docente: esempio di serietà nell’insegnamento, passione per la propria materia, apertura al dibattito. In estrema sintesi, questa è la tradizione avviata da Sylos fin dal suo arrivo in facoltà negli anni Sessanta, e che ha poi portato alla nascita del corso di laurea in Scienze statistiche ed economiche all’inizio degli anni Ottanta; questa è la tradizione dell’insegnamento dell’economia come scienza sociale che Paolo – e tutto il nostro piccolo gruppo – ha cercato di portare avanti, pur tra difficoltà crescenti negli ultimi anni. Abbiamo purtroppo conosciuto varie sconfitte, ma grazie a Paolo siamo riusciti a resistere ai tentativi di cancellare dalla Facoltà (ora, dal Dipartimento) l’insegnamento dell’economia intesa come scienza sociale a favore di una concezione tecnicista, diretta in via immediata alla formazione dell’economista come operatore nei mercati finanziari (quando questo stesso obiettivo, come mostrano esempi illustri come quello di Soros, è meglio perseguito da una formazione a spettro più ampio). In ogni caso, qualsiasi sia la misura relativa di successi e insuccessi, l’importante è avere fatto, tutti insieme, quel che riteniamo giusto; abbiamo perseguito, in questo, l’ideale che Paolo ci indica nel suo libro (pag. 57) tramite una bella citazione di Norberto Bobbio: “Apprezzo e rispetto colui che agisce bene senza chiedere alcuna garanzia che il mondo migliori e senza attendere non dico premi ma neppure conferme”.