Il diritto di proprietà

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Constant
Il diritto di proprietà
(dai Principi di politica, XV)
La proprietà non è un diritto naturale ma una convenzione sociale Per Constant il diritto alla proprietà
non è un diritto naturale, cioè anteriore alla fondazione della società, ma il risultato di una convenzione, grazie alla
quale la società introduce un principio di ordine.
Viene così messo a disposizione di tutti il mezzo migliore per usufruire dei beni naturali; questi, tenuti in modo comunitario, provocherebbero dispute dannose ed estenuanti tra i diversi pretendenti.
La proprietà come impulso al progresso Non essendo un diritto naturale, la proprietà non sta sullo stesso
piano dei diritti di libertà, e tuttavia essa è inviolabile: è un bene a cui la società non può rinunciare, al contrario di ciò
che ritengono alcuni pensatori, a giudizio di Constant irrealisticamente proiettati verso un futuro tanto lontano quanto
nebuloso.
Anche l’idea di una riorganizzazione egualitaria del lavoro è da respingere, perché verrebbe meno ogni stimolo all’iniziativa e alla creatività personale, che costituiscono il motore del progresso. Di qui l’esigenza che la società limiti al
massimo i suoi interventi sulla proprietà privata per non mettere in pericolo l’istituzione su cui si fonda la sua stessa
prospettiva di miglioramento.
Perché la proprietà è una convenzione sociale
Mi sembra che molti che hanno difeso la proprietà con ragionamenti astratti siano caduti in un grave errore: hanno rappresentato la proprietà come qualcosa di misterioso,
di anteriore alla società, di indipendente da questa1. La proprietà non è affatto anteriore
alla società, perché senza l’associazione che offre una garanzia, essa non sarebbe che il
diritto del primo occupante, in altri termini, il diritto della forza, cioè un diritto che
non è diritto. La proprietà non è affatto indipendente dalla società, perché mentre uno
stato sociale, in verità molto misero, può essere concepito senza proprietà, non si può
immaginare alcuna proprietà senza stato sociale.
La proprietà trae la sua esistenza dalla società; la società ha trovato che il mezzo migliore
per far godere ai suoi membri i beni comuni a tutti, o disputati da tutti prima della sua
istituzione, era di concederne una parte a ognuno, o piuttosto di mantenere ognuno
nella parte che si trovava a occupare, garantendogliene il godimento, con i cambiamenti
di cui questo godimento è suscettibile, sia per le molteplici manifestazioni dell’azzardo,
sia per i diversi gradi di capacità di lavoro2.
1 Allusione ai teorici del giusnaturalismo, in particolare a Locke, che
introduce il principio del diritto alla proprietà come diritto naturale
prima che civile.
2 Ipotizzata una uniforme distribuzione della proprietà alle origini della società, la situazione può
mutare nel corso del tempo sia per
eventi e rischi casuali, sia per il diverso impegno di lavoro dei singoli.
3 Allusione ai socialisti utopisti, ai
loro progetti privi di basi realistiche, alle loro previsioni su un futuro lontano, in cui, grazie al progresso tecnico-scientifico, sarebbe stata
possibile una cospicua diminuzione del lavoro manuale nella società e conseguentemente l’abolizione
della proprietà privata, in quanto il
lavoro manuale si esercita appunto
sulle cose materiali che costituiscono la proprietà.
Contro i socialisti utopisti: la proprietà favorisce la “facoltà progressiva” dell’uomo
La proprietà non è altro che una convenzione sociale; ma il fatto di riconoscerla tale non
significa tuttavia che la consideriamo meno sacra, meno inviolabile, meno necessaria
degli scrittori che adottano un altro sistema. Alcuni filosofi hanno considerato un male
la sua istituzione, e possibile la sua abolizione; ma sono ricorsi, per sostenere le loro
teorie, a una serie di ipotesi alcune delle quali forse non si realizzeranno mai, e le meno
chimeriche delle quali sono relegate in un’epoca che non ci è nemmeno permesso di
prevedere: non solo hanno preso a fondamento dei loro argomenti un incremento nelle
conoscenze cui l’uomo forse un giorno potrà pervenire, ma sul quale sarebbe assurdo
fondare le nostre istituzioni presenti; ma hanno dato per scontata una così grande diminuzione del lavoro nei confronti di quello attualmente richiesto per la sussistenza del
genere umano, da sorpassare qualsiasi invenzione e immaginazione3.
Certo ognuna delle nostre scoperte nella meccanica, capace di sostituire con strumenti
e macchine la forza fisica dell’uomo, è una conquista del pensiero: e queste conquiste,
secondo una legge della natura, divengono più facili, man mano che si moltiplicano e si
succedono con velocità accelerata; ma una totale esenzione del lavoro manuale è ancora
1
4 Constant fa qui l’elogio della divisione del lavoro, che stimola il
pensiero, il miglioramento dell’industria, cioè dell’attività produttiva,
le consuetudini di comportamento
dei diversi gruppi sociali, in quanto
lo specialismo, che si basa appunto
sulla divisione del lavoro, consente
di realizzare progressi che altrimenti, al di fuori dell’esercizio di specifiche competenze da parte di ciascuno, sarebbero impensabili.
5 La disposizione al costante miglioramento.
6 All’uguaglianza obbligata, che
non stimola al miglioramento, bisogna opporre la vera uguaglianza che nasce dal generale progresso della società, la quale solo avanzando può assicurare gradualmente
una più equa distribuzione del benessere e della conoscenza.
7 Constant intende dire che, da un
lato, la società deve regolamentare
la proprietà in quanto essa, a differenza degli altri diritti fondamentali, è formalmente riconosciuta e
garantita solo all’interno dell’organismo sociale (che sanziona abusi,
usurpazioni, furti ecc.); dall’altro,
la società deve limitare all’indispensabile gli interventi sulla proprietà,
poiché questa, nel mondo concreto, si intreccia con altri diritti su cui
la società non ha potere (per esempio la libertà di pensiero, come nel
caso della proprietà di un giornale,
cioè di un mezzo di libera diffusione delle idee).
lontana dalle posizioni che abbiamo raggiunto e anche da ciò che possiamo immaginare
in questo campo; questa esenzione sarebbe tuttavia indispensabile per rendere possibile
l’abolizione della proprietà, a meno che non si voglia, come richiedono alcuni di questi
scrittori, dividere questo lavoro in egual misura fra tutti i membri della società; ma questa divisione, se anche si potesse realizzare, andrebbe contro i suoi stessi fini, toglierebbe
al pensiero quella disponibilità che lo rende forte e profondo, all’industria la perseveranza che la porta alla perfezione, a tutte le classi i vantaggi dell’abitudine, dell’unità di
fini, della centralizzazione delle forze4.
Senza proprietà, il genere umano rimarrebbe stazionario, nel grado più bruto e più
selvaggio della propria esistenza. Ognuno, incaricato di provvedere da solo ai propri
bisogni, dovrebbe dividere le sue forze, e oppresso sotto il peso di queste molteplici
cure, non avanzerebbe mai di un passo. L’abolizione della proprietà distruggerebbe la
divisione del lavoro, base per il perfezionamento di tutte le arti e di tutte le scienze.
La facoltà progressiva5, idea preferita dagli scrittori con cui sto polemizzando, perirebbe per mancanza di tempo e di indipendenza, e l’eguaglianza grossolana e forzata che
ci raccomandano, porrebbe un ostacolo invincibile alla graduale istituzione della vera
eguaglianza, quella del benessere e delle conoscenze6.
I limiti dell’azione sociale sulla libertà
La proprietà, in quanto convenzione sociale, è sotto la competenza e la giurisdizione
della società. La società ha su di essa dei diritti che non ha sulla libertà, sulla vita, e
sulle opinioni dei suoi membri. Ma la proprietà è intimamente legata ad altre parti
dell’esistenza umana, alcune delle quali non devono in nessun modo essere sottomesse
alla giurisdizione collettiva, mentre altre lo sono soltanto parzialmente. La società deve
perciò limitare la sua azione sulla proprietà, perché non potrebbe esercitarla in tutta la
sua estensione, senza menomare oggetti che non sono sotto la sua giurisdizione7.
Ben presto all’arbitrio sulla proprietà fa seguito l’arbitrio sulle persone; in primo luogo,
perché l’arbitrio è contagioso; in secondo luogo, perché la violazione della proprietà
provoca per forza di cose la resistenza. L’autorità infierisce allora contro l’oppresso che
le si oppone, e volendo portargli via i suoi beni, è spinta a portargli via anche la libertà.
[Antologia degli scritti politici di Benjamin Constant, a c. di A. Zanfarino,
il Mulino, Bologna 1962, pp. 109-111]
Competenze
Individuare e comprendere
1 Perché per Constant la proprietà privata non è “anteriore” alla società? (max 3 righe)
2 A quali filosofi allude Constant quando critica i filosofi contrari alla proprietà? (max 3 righe)
3 Cosa intende Constant con l’espressione “facoltà progressiva”? (max 3 righe)
Riflettere e valutare
4 Per Constant la proprietà privata non è un diritto naturale, ma è comunque un diritto inviolabile in quanto
svolge un’importante funzione di stimolo al progresso sociale: questa affermazione rispecchia in modo corretto la
posizione di Constant sulla proprietà privata? Motiva la tua risposta (max 5 righe).
5 Qual è, secondo Constant, la funzione della proprietà privata nello sviluppo della società? Per rispondere ricostruisci la sua argomentazione, partendo dalla premessa che la proprietà privata è una convenzione sociale (max
5 righe).
6 “La proprietà, in quanto convenzione sociale, è sotto la competenza e la giurisdizione della società. La società
ha su di essa dei diritti che non ha sulla libertà, sulla vita, e sulle opinioni dei suoi membri”: spiega e commenta
questa affermazione di Constant (max 5 righe).
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