L`autotutela tributaria e la sua evoluzione (?) alla luce

Atti dei convegni ADERC – www.aderc.it
L’autotutela tributaria e la sua evoluzione (?) alla luce
della giurisprudenza di legittimità del 2006 e del 2007.
Premessa
C’è un ambito in cui l’amministrazione finanziaria si pone in un’ottica
volta alla partecipazione del cittadino nell’affrontare e risolvere i problemi di
esatta determinazione della pretesa tributaria. In ossequio al principio cardine
del suo agire, vale a dire al principio di legalità, l’amministrazione finanziaria persegue solo ed esclusivamente fini collettivistici facendosi giustizia da sé
nel momento i cui riscontra un suo errore. Questa è l’essenza dell’autotutela
che vede sempre e comunque l’amministrazione finanziaria quale soggetto
portatore del potere pubblicistico d’imposizione tributaria rispetto al quale il
cittadino è titolare di un interesse legittimo.
Ma esistono anche ambiti in cui la pretesa tributaria da autoritativa diviene concordata in ossequio più che a un vero e proprio rispetto dell’interesse
procedimentale del cittadino, ad esigenze di rapido e certo recupero del credito d’imposta in situazioni in cui si prospettano difficili margini di successo in
sede contenziosa. Ecco allora che l’amministrazione finanziaria dà vita a dei
veri e propri accordi sostituitivi del provvedimento impositivo, arrivando a definire ma mai a contrattare e a negoziare col contribuente, la pretesa tributaria
il cui credito è, e resta indisponibile.
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Aspetti generali.
Il naturale dispiegarsi ed ancor più l’intensificarsi della pretesa tributaria,
grazie ai nuovi strumenti predisposti dal legislatore, ha come suo naturale corollario il dato di fatto che le controversie tra amministrazione finanziaria e
contribuenti hanno raggiunto una consistenza numerica di notevole entità. A
tal proposito, nell’ultimo decennio è stata data ancor più enfasi alla utilizzabilità degli strumenti normativi volti ad evitare controversie inutili e dispendiose,
soprattutto a seguito dell’introduzione della norma in base alla quale, in sede
di contenzioso tributario, tutte le spese del giudizio sono a carico della parte
soccombente1. Talvolta, è la stessa incertezza che circonda la determinazione
Sul punto, occorre fare una precisazione anche in ordine all’ipotesi di cessazione della materia del contendere nel giudizio tributario, ex art. 46 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, alla luce della
recente pronuncia della Consulta. Il comma 1 dell’art. 46, infatti, prevede che il giudizio si estingue,
in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro
caso di cessazione della materia del contendere. Il successivo comma 3 disponeva, invece, che le
spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge. A tal proposito la circolare n. 98/E del 23/04/1996 ha evidenziato a titolo esemplificativo che costituiscono ipotesi di cessazione della materia del contendere “la
fattispecie della definizione delle pendenze tributarie, cosiddetto condono, o quando viene ritirato o viene annullato
l’atto impugnato da parte dello stesso ufficio che lo ha emesso”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 274 del 12/07/2005 ha dichiarato “l’illegittimità
costituzionale dell’art. 46, comma 3, del D.Lgs n. 546 del 31/12/1992, nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di
cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge”. In
particolare, la Corte ha evidenziato che “il processo tributario è in linea generale ispirato, non diversamente da
quello civile o amministrativo, al principio di responsabilità per le spese del giudizio, come dimostrano l’art. 15 del
D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione della commissione tributaria a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, e l’art.
44 del medesimo decreto legislativo, secondo cui, in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro”. Partendo da tale premessa, la sentenza ha statuito
che “la compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante
quel principio, si traduce, dunque, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento,
come il ritiro dell’atto nel caso dell’amministrazione o l’acquiescenza alla pretesa tributaria nel caso del contribuente,
di regola determinato dal riconoscimento delle altrui ragioni e, corrispondentemente, in un bel pari ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario,
dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione onerosa di un professionista abilitato alla difesa in giudizio”. Ha concluso, quindi la Consulta che “l’art. 46, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del
1992 risulta in definitiva lesivo, sotto l’aspetto considerato, del principio di ragionevolezza, riconducibile all’art. 3
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dell’imposta che finisce con l’essere risolta attraverso soluzioni concordate2
analogamente a quanto avviene in altri settori del diritto come, ad esempio, nel
caso del patteggiamento nel diritto processuale penale3.
della Costituzione, e ne va di conseguenza dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla
legge dovendo, pertanto, in tali ipotesi la commissione tributaria pronunciarsi sulle spese ai sensi dell’art. 15, comma
1, del D.Lgs. n. 546 del 1992”. Corte costituzionale, sentenza n. 274 del 12/07/2005. La sentenza
si applica a tutti i rapporti non esauriti a decorrere dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella
Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 29 del 20/07/2005. Sul punto: Risoluzione n. 2/E del
03/01/2005.
Dal punto di vista operativo dell’amministrazione finanziaria, l’intervento della Consulta accresce l’esigenza di:
verificare in modo sempre più rigoroso la legittimità, fondatezza e sostenibilità in contenzioso
degli atti impugnabili, prima della notifica ai contribuenti;
ricorrere agli strumenti deflativi del contenzioso, in particolare, accertamento con adesione,
conciliazione giudiziale ed autotutela tributaria, tutte le volte in cui ne sussistano i presupposti;
esaminare e provvedere sollecitamente in merito alle richieste di rimborso.
“Con circolare n. 198/S del 1998, l’amministrazione sembra ritenere che, in caso di autotutela intervenuta
nel corso del giudizio le spese processuali rimangono a suo carico. In tale direzione si erano orientate alcune Commissioni di merito assimilando tale fattispecie al ricorso ex art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 partendo dal presupposto
che l’annullamento sia consequenziale ad un errore dell’amministrazione stessa. L’art. 46, sulla cui costituzionalità
si è pronunciata positivamente la Corte Costituzionale, prevede l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere con integrale compensazione delle spese processuali e su tale posizione si è allineata la Cassazione con sent.
n. 16987 del 12/11/2003”. Daniela D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, in Il Fisco n. 32/2006, ETI - De Agostini editore, pag. 4993.
I primi riscontri del suddetto orientamento della Consulta, si sono avuti nelle decisioni dei
giudici di merito secondo cui “qualora il contribuente indichi con il proprio ricorso elementi di fatto tali da rendere evidente l’errore in cui sia incorso l’ente impositore e quest’ultimo non si adopera per verificare l’errore in cui sia
incorso e non proceda ad annullare in autotutela la procedura impositiva, non solo deve essere condannato al pagamento delle spese di giudizio ma anche al risarcimento dei danni per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 del c.p.c.”:
C.T.R. Lazio, sent. n. 291 dell’08/10/2007. Sulla condanna alle spese conforme C.T.R. Lazio,
sent. n. 279/2008.
2 “L’indisponibilità da parte dell’amministrazione finanziaria degli interessi economico-sostanziali connessi alla determinazione delle imposte si inserisce in uno sfondo che resta saldamente pubblicistico. Ciò per l’evidente considerazione che il pagamento dei tributi, quantunque autoliquidati dagli stessi contribuenti, avviene in un assetto non sinallagmatico bensì nella prospettiva, si pure eventuale, di controlli e sanzioni in caso di inadempimento. Il dato nuovo
del diritto tributario negli ultimi decenni è l’affermarsi di un’analitica disciplina legale dell’imposta di cui sono entrati
a far parte in larga misura anche concetti civilistici finalizzati a misurare gli imponibili in modo analitico. Occorre
però sempre tener presente che i concetti privatistici dell’obbligazione ex lege si sono innestati in un solco che per gli
altri aspetti resta pubblicistico e non viceversa. La particolarità del diritto tributario rispetto al diritto pubblico complessivamente inteso, caratterizzato dai poteri dispositivi d’interessi, è proprio nella posizione paritetica tra amministrazione finanziaria e contribuente di fronte alla disciplina legale della prestazione tributaria. Intorno a questa posizione paritetica ruotano però i più volte menzionati poteri pubblicistici ai quali si accompagna un dovere di imparzialità e correttezza da parte dell’amministrazione che va ben al di là di quello tipico del diritto privato”. Raffaello
Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza
pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, seconda edizione, Giuffrè 2003, pagg. 2651-2652.
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In molti paesi, dunque, l’amministrazione finanziaria e i contribuenti addivengono alla definizione concordata degli aspetti controversi inerenti
l’ammontare dell’imposta dovuta 4 . Nell’ordinamento italiano, questi istituti
sono stati reintrodotti di recente e sono oggi disciplinati dal D.Lgs. n. 218
del 19/06/1997: tale reintroduzione è avvenuta dopo circa un ventennio da
quando la riforma fiscale del 1973 ha soppresso analoghi istituti fino ad allora
esistenti che venivano correntemente definiti con l’espressione concordato fiscale5.
A titolo meramente esemplificativo, gli strumenti cosiddetti anti-lite possono ricondursi alle seguenti tipologie6:
“In virtù del patteggiamento, l’imputato si accorda con il pubblico ministero per stabilire la pena da applicare
allo stesso. Quest’istituto giuridico rappresenta una sorta di legittimazione del privato all’esercizio del potere giudiziario, previsto e consentito per ragioni di celerità ed efficienza del sistema dell’amministrazione della giustizia. Esso,
pertanto, sembra rispondere a ragioni analoghe a quelle che hanno portato alla previsione di accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento amministrativo”. G. N. Carungno – P. Gianandrea, Lineamenti di diritto amministrativo, Master edizioni, 2000, pag. 110. Tra gli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo tributario, sub specie di avviso di accertamento, possiamo sicuramente annoverare anche
l’accertamento con adesione.
4 “Mancano nell’ordinamento comunitario regole in ordine alla disciplina delle sanzioni amministrative o penali da irrogare per eventuali illeciti di carattere tributario. Parimenti sono assenti norme riguardanti la disciplina del
contenzioso tributario e la tutela del contribuente rispetto alle pretese fiscali. Per entrambe le tematiche trovano al più
spazio regole di carattere generale enucleabili tra i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, come il principio di proporzionalità nella pena rispetto all’illecito, la necessità di garantire un’effettiva difesa alle parti di un procedimento giudiziario, il diritto ad una ragionevole durata del processo per assicurare l’effettività della tutela dei diritti.
Tale mancanza di regolamentazione appare peraltro coerente con la fiscalità negativa rilevata in ambito comunitario:
il riconoscimento della competenza normativa agli Stati membri in un settore determinante per assicurare il concreto
perseguimento degli obblighi tributari, quale è il settore delle sanzioni e del contenzioso fiscale, vale in sostanza ad
ammettere il distacco dell’ordinamento comunitario rispetto all’effettivo funzionamento del sistema fiscale”. Pietro
Boria, Diritto tributario europeo, Il Sole 24ore, 2005, pagg. 159-160.
5 Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici.
Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2682.
6 Autorevole dottrina individua tra gli istituti volti alla definizione agevolata dei conflitti anche
il condono fiscale quale misura di carattere eccezionale alla quale il legislatore fa talora ricorso
nell’intento di alleggerire l’attività dell’amministrazione dei giudici tributari, ed in parte anche per
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1.
l’autotutela che interviene in linea di principio prima che l’accertamento
diventi definitivo e/o atto impositivo;
2.
l’acquiescenza7, regolamentata dall’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997,
consistente nell’accettazione da parte del contribuente8 di un atto impositivo
attraverso la sua definizione in via amministrativa9;
ottenere rapidamente ricorse che i normali tempi lunghi della giustizia tributaria non consentirebbero di realizzare facilmente. I tratti caratterizzanti questo tipo di definizione possono essere ravvisati
nei seguenti tre aspetti:
•
“la tassativa predeterminazione legale sia delle pendenze definibili che dei termini sostanziali della definizione
medesima;
•
l’estensione della possibilità di definizione non solo alle controversie pendenti ma anche alle situazioni suscettibili di controllo e rettifica;
•
l’essere rimessa la definizione ad una unilaterale ed irrevocabile scelta del contribuente, da manifestare in forme
e termini di volta in volta precisamente stabiliti”. Salvatore La Rosa, Principi di diritto tributario, Giappichelli editore, 2004, pagg. 250-251.
7 “Nel diritto amministrativo, l’acquiescenza è l’istituto che indica la rinuncia alla tutela giurisdizionale a seguito dell’accettazione di un provvedimento amministrativo da parte di un soggetto che abbia subito, per effetto di
quest’ultimo, la lesione di un proprio interesse sostanziale”. Gianfranco Antico – Fabio Carriolo – Valeria Fusconi – Giuseppe Tucci – Antonio Zappi, L’accertamento fiscale, Il Sole 24ore, 2005, pag.
362.
8 “L’acquiescenza può venir prestata esplicitamente rendendo una specifica dichiarazione ovvero compiendo atti
chiari e concordanti che mettano in evidenza la volontà del soggetto di accettare gli effetti del provvedimento, come pure
ponendo in essere atteggiamenti integralmente incompatibili con la volontà di impugnare il provvedimento dinanzi al
giudice competente. A differenza della consolidazione, conseguente all’inoppugnabilità, si deve riconoscere all’istituto
una natura sostanziale, giacchè l’adesione al provvedimento amministrativo comporta il riconoscimento della legittimità dell’operato dell’amministrazione e, quindi, la rinuncia all’interesse legittimo che il soggetto avrebbe potuto fare valere attraverso il ricorso o l’azione giurisdizionale. Analoga diversità si rileva rispetto alla sanatoria perché
l’acquiescenza anziché operare erga omnes produce soltanto l’effetto di rendere l’atto inattaccabile da parte del soggetto
che l’abbia prestata”. Antico – Carriolo – Fusconi – Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag. 362.
9 Tale definizione, ancora più conveniente quando l’accertamento emesso dall’ufficio è fondato su dati difficilmente contestabili davanti al giudice tributario, comporta per il contribuente notevoli vantaggi che si sostanziano, principalmente, nell’abbattimento delle sanzioni irrogate. Definire
l’atto per acquiescenza consente, infatti, di pagare solo un quarto delle sanzioni amministrative indicate nell’atto. Detta riduzione spetta a condizione che:
•
si rinunci ad impugnare l’avviso di accertamento;
•
si rinunci a prestare istanza di accertamento con adesione;
•
si effettui il pagamento, entro il termine di proposizione del ricorso, del totale della somma
richiesta.
L’acquiescenza non è prevista per ottenere una riduzione delle sanzioni applicate in sede di
liquidazione delle dichiarazioni ex art. 36bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e ex art. 60 del D.P.R. n. 633
del 1972, e per quelle riguardanti la mancata, incompleta o non veritiera risposta alle richieste formulate dall’Ufficio. A tal proposito si ricorda che quando dall’attività di liquidazione della dichiarazione emerge una maggiore imposta, al contribuente viene notificata una comunicazione di irregolarità in cui sono indicate le maggiori somme dovute con le relative sanzioni e interessi: anche in que-
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l’interpello, in vigore dal 1° agosto 2000, che consente di conoscere
preventivamente l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate su un determinato atto o vicenda10;
4.
l’accertamento con adesione, che previene la lite prima o dopo la no-
tifica di un avviso di accertamento;
sto caso si può usufruire di una riduzione delle sanzioni, pari ad un terzo o due terzi a seconda del
tipo di controllo effettuato, se entro 30 giorni si effettua il pagamento. Codice della riforma tributaria, a
cura di Tommaso Lamedica, IPSOA, 2002, pagg. 1822-1823.
“Non ogni comportamento adesivo costituisce acquiescenza, rendendosi necessaria la sussistenza dei seguenti
requisiti:
esistenza di un provvedimento amministrativo, non potendosi prestare acquiescenza ad un semplice comportamento, commissivo od omissivo, da parte dell’amministrazione;
la conoscenza dell’atto, seppure non necessariamente formale, da parte dell’interessato;
l’esplicita accettazione attraverso un comportamento non equivoco, dovendo risultare in maniera inequivocabile,
attraverso manifestazioni espresse o atti concludenti;
la spontaneità del comportamento, non derivato da esigenze di carattere economico o dalla stessa natura esecutoria del provvedimento”. Antico – Carriolo – Fusconi – Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag.
363.
10 Di grande rilievo è la facoltà, sancita con legge ex articolo 11 della legge 212/2000, di interrogare l’amministrazione finanziaria per conoscere il suo parere su casi singoli e di natura controversa, così da poter essere certi in via preventiva di come verranno disciplinate alcune fattispecie e
comportarsi di conseguenza. La facoltà di cui si tratta è il diritto di interpello che consiste
nell’inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, specifiche istanze riguardo l’applicazione di disposizioni tributarie a casi concreti e singoli, laddove vi
siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle norme stesse. La risposta
dell’amministrazione finanziaria deve essere motivata, scritta e disciplina solo la fattispecie descritta
nell’istanza di interpello e in relazione solo al richiedente. Se l’ufficio non risponde entro centoventi
giorni dalla presentazione dell’istanza, si presume che l’amministrazione concordi con il parere formulato dal contribuente nell’interpello. Ilario Scafati, L’interpello del contribuente all’agenzia delle entrate,
II edizione, Master edizioni, 2002, pag. 24 e ss..
Gli atti, anche impositivi o che contengano sanzioni, emanati in difformità dalla risposta data,
anche se desunta per silenzio-assenso, risulteranno nulli. Qualora il contribuente non riceva risposta
entro centoventi giorni dalla presentazione dell’istanza, non possono essere irrogate sanzioni nei
suoi confronti riguardo alla questione oggetto di interpello. L’amministrazione può rispondere in
modo collettivo, a più contribuenti che formulano un’istanza simile o un’istanza che contenga analoghe questioni, tramite una circolare o una risoluzione tempestivamente pubblicata. Il diritto di interpello funziona, poiché molti contribuenti ne hanno usufruito e l’amministrazione finanziaria sta
dando parecchio risalto alle istanze, rispondendo il più delle volte con delle risoluzioni che vengono
tempestivamente pubblicate. Gli effetti della risposta dell’amministrazione sono relativi al contribuente che ha formulato l’istanza e alla questione contenuta nella stessa; tuttavia una risoluzione
fornisce chiarimenti anche riguardo all’indirizzo che gli uffici seguono o seguiranno in situazioni
simili o analoghe. Scafati, L’interpello del contribuente all’agenzia delle entrate, pag. 30 e ss.. Sul punto cfr.
altresì Circolari ministeriali 11 luglio 2000, n. 143/E e 6 dicembre 2001, n. 103/E, Circolare
dell’Agenzia delle Entrate 31 maggio 2001, n. 50 e 12 febbraio 2002, n. 18.
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5.
la conciliazione giudiziale, che fa estinguere la lite allorquando essa
sia sorta.
2
L’autotutela tributaria: profili introduttivi.
Prima di approfondire l’istituto dell’autotutela dal punto di vista dogmati-
co ed operativo, si rende necessario effettuare una precisazione in ordine alla
posizione giuridica soggettiva che il contribuente vanta nei confronti
dell’amministrazione finanziaria rispetto all’attività da questa posta in essere.
Secondo autorevole dottrina, i profili problematici afferenti tale inquadramento sono scaturiti dalla coesistenza tra la disciplina legale della prestazione e i
poteri dell’amministrazione finanziaria11. Nell’ambito di un’attività amministrativa in cui si intrecciavano profili autoritativi e paritetici, la dottrina tributaristica, la magistratura, gli organi consultivi hanno dovuto elaborare concetti e
formule con cui spiegare in termini generali gli istituti del diritto tributario e le
relative direttive del Ministero delle Finanze utilizzando a tal proposito modelli e istituti tratti da altre discipline amministrativistiche o privatistiche12 con ri-
Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici.
Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2653.
12 Con riferimento all’istituto dell’obbligazione, “la dottrina amministrativistica ha definitivamente
chiarito che esso non ha, nel diritto pubblico, natura ed effetti diversi dalla corrispondente figura di diritto privato e
che rispetto a questa varia soltanto la fonte che nel diritto pubblico è costituita dal provvedimento amministrativo. Nel
diritto tributario dove manca ogni discrezionalità e dunque la degradazione dei diritti soggettivi in interessi legittimi,
lo schema norma-fatto fa sì che le obbligazioni nascano appunto da fattispecie previste dalla legge, tali essendo considerati anche gli atti della fase di accertamento, Se dunque è vero che nel nostro settore le obbligazioni tributarie sorgono
dalle fattispecie della riscossione e quindi la disciplina civilistica, sottesa al concetto di obbligazione, subentra solo nella
fase estintiva e subisce ampie limitazioni è da dubitare che l’adozione della figura dell’obbligazione comporti il rinvio
senza residui alla disciplina dettata per questa dal codice civile. La dottrina ha così individuato diverse possibili combinazioni tra la disciplina civilistica e quella speciale tributaria e propende piuttosto per ritenere che la più recente evoluzione della materia, imperniata sulla unificazione della disciplina della riscossione sul modulo già vigente per le imposte dirette, confermi l’ipotesi di un sistema tendenzialmente chiuso intorno alle norme tributarie rispetto alle quali le
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sultati spesso insoddisfacenti13. Il risultato si è tradotto spesso in equivoci in
punto di motivazione degli avvisi di accertamento, di onere della prova, di
presunzione di legittimità degli atti amministrativi, di solidarietà tributaria, di
diritto soggettivo e di interesse legittimo, di fonte legale e provvedimentale
dell’obbligazione tributaria14.
Al fine di inquadrare giuridicamente la situazione soggettiva del contribuente rispetto alla posizione vantata dall’amministrazione finanziaria, autorevole dottrina traccia un discrimen a seconda se ci troviamo nell’ambito della determinazione dell’imposta o meno. Ebbene, nel primo caso in mancanza di
poteri discrezionali al riguardo si esclude che si possa parlare di una supremazia dell’amministrazione sul contribuente: entrambi i soggetti si trovano rispetto alle norme sostanziali sulla determinazione dell’imposta su un piano di parità in quanto il rapporto tra loro non è influenzato dall’esercizio di un potere
norme civilistiche forniscono soltanto i criteri generali per colmare eventuali lacune”. Augusto Fantozzi, Diritto
tributario, UTET, 1991, pagg. 424-425.
13 “Le norme costituzionali che pongono principi e limiti in materia di prestazioni imposte, ovvero di tributi,
appartengono certamente al diritto costituzionale per quanto riguarda la collocazione nel sistema delle fonti e al diritto
tributario per quanto riguarda l’oggetto. Al diritto amministrativo appartengono le numerose norme
sull’organizzazione e l’agire dell’amministrazione finanziaria nonché sull’impugnazione dei suoi atti. Particolarmente
delicati sono i rapporti tra il diritto privato ed il diritto tributario che sono stati tradizionalmente individuati sia
nell’utilizzazione da parte del secondo di strumenti ed istituti privatistici quanto alla definizione dei profili oggettivi e
soggettivi del rapporto intercorrente tra ente impositore e soggetti passivi, sia nell’individuazione da parte del diritto
tributario di istituti privatistici da assumere quali fattispecie imponibili: quali fatti o atti giuridici cui ricollegare il
tributo”. Fantozzi, Diritto tributario, pag. 7. Nel senso della non omogeneità del diritto tributario è
anche il Tesauro. Francesco Tesauro, Compendio di Diritto tributario, UTET, II edizione, 2004, pag.
7.
14 Un esempio di equivoco e di acritica trasposizione in materia tributaria di schemi ammnistrativistici si ha nel richiamo alla cosiddetta presunzione di legittimità degli atti amministrativi quale
parametro cui ancorare la fondatezza e la legittimità degli avvisi di accertamento. Tale problematica
è stata ormai superata dalla giurisprudenza di legittimità conciliando con l’utilizzazione di atti autoritativi categorie giuridiche tipiche di atti paritetici come quella dell’onere della prova attribuito
all’amministrazione. Sul punto: Cass. n. 5336 del 12/10/1981.
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amministrativo ma dall’interpretazione di norme legislative e dalla determinazione precisa di circostanze di fatto15. Sulla base di tale posizione di sostanziale
pariteticità, la giurisprudenza16 ha collocato il contribuente in una posizione di
diritto soggettivo rispetto all’amministrazione17.
Nel caso in cui non si ponga una quaestio in ordine alla determinazione del
tributo, invece, l’azione dell’amministrazione finanziaria ritorna ad essere caratterizzata, come quella di qualsiasi autorità amministrativa, da scelte di opIn tal senso il Cassese il quale precisa ulteriormente che “Di fronte alla legge, amministrazione finanziaria e contribuenti si trovano sullo stesso piano e nella stessa posizione sostanziale che caratterizza creditore e
debitore di un rapporto civilistico tanto più se quest’ultimo è nato dalla legge e non da un contratto”. Lupi, Trattato
di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2653. Secondo il Lupi, “Nel contesto attuale di autodeterminazione dei
tributi al contribuente è riconosciuta, per quanto riguarda la determinazione dell’imposta, una posizione di diritto
soggettivo. Quando invece l’iniziativa di determinare le imposte era affidata alle già indicate valutazioni di equitàefficienza degli uffici, poteva parlarsi di interesse legittimo del contribuente ad una corretta determinazione
dell’imposta da parte degli uffici. Secondo una terminologia amministrativa, l’interesse del contribuente è oppositivo e
non pretensivo, ed egli si trova nella posizione di qualsiasi altro debitore che rivendica un diritto soggettivo a non pagare più di quanto sia dovuto, in base alla corretta interpretazione della legge e valutazione dei fatti”. Il Lupi precisa, inoltre, che “l’interesse oppositivo è quello di contrastare un intervento dell’amministrazione che potrebbe provocare diminuzioni della sfera patrimoniale del privato, mentre l’interesse pretensivo è quello ad un intervento
dell’amministrazione che accrescerebbe la sfera patrimoniale del privato medesimo”. Raffaello Lupi, Diritto tributario parte generale, VIII edizione, Giuffrè editore, 2005, pag. 57.
16 La configurazione del contribuente come titolare di una posizione di diritto soggettivo
quando si controverte sulla determinazione dell’imposta è assolutamente data per pacifica in giurisprudenza in termini di “diritto soggettivo a non essere obbligato a prestazioni patrimoniali all’infuori dei casi
contemplati dalla legge”: Cass. n. 2290 del 30/03/1983; Cass. n. 1677 del 17/02/1988; Cons. Stato, sez. IV, n. 907 del 13/11/1990; Cass. n. 13635 del 23/12/1992; Cass. n. 9126 del
04/11/1994; Cass. n. 1443 dell’08/02/1995; Cass. n. 8676 dell’08/08/1995; Cass. Sez. un., n.
9493 del 23/09/1998. Posizioni di interesse legittimo sono state invece giustamente individuate
con riferimento alle delibere istitutive dei tributi locali o modificative delle relative aliquote: Tar
Veneto, sez. II, n. 2991 del 14/04/1992; Tar Valle d’Aosta, n. 36 del 31/03/1992; Tar Lombardia, sez. I, n. 62 del 26/02/1992; Tar Lazio, sez. Latina, n. 832 dell08/10/1990. La distinzione è pienamente comprensibile e condivisibile in quanto nei casi indicati per ultimi ci troviamo di fronte all’esercizio da parte dell’ente locale di un potere di scelta politica attribuitogli dal legislatore.
17 Secondo il Lupi, “non deve apparire improprio parlare di diritto soggettivo a proposito di un debitore, titolare secondo una terminologia amministrativa di un interesse oppositivo e non pretensivo. Di fronte a questo particolare provvedimento ablatorio, in cui l’amministrazione è priva di poteri discrezionali in punto di determinazione della
prestazione, il contribuente è nella posizione di qualsiasi altro debitore, che rivendica un diritto soggettivo a non pagare più di quanto sia dovuto in base alla corretta interpretazione della legge e della valutazione dei fatti”. Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e
privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2654.
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portunità su profili divergenti in cui viene in considerazione l’interesse pubblico e talvolta anche la valutazione di interessi privati18. A tal proposito, può
trattarsi di scelte meramente interne alla sfera dell’amministrazione come nel
caso di decidere di orientare gli accertamenti su determinate tipologie di contribuenti piuttosto che su altre oppure per la scelta di esercitare il controllo su
un contribuente indagando in una certa direzione anziché in un’altra: in queste
ipotesi sembra difficile individuare posizioni del privato giuridicamente tutelabili19.
In altre ipotesi, può trattarsi di valutazioni che coinvolgono anche il contribuente e l’ufficio deve limitarsi a scegliere correttamente il modo in cui bilanciare diversi interessi pubblici come nel caso del contemperamento tra la
funzione giustiziale dell’amministrazione, caratterizzata dall’esigenza di obiettiva applicazione della normativa, e la massimizzazione dell’imposta accertata
alla luce delle prospettive del contenzioso, il tutto tenendo conto dell’esigenza
di stabilità dei rapporti giuridici e di economicità nell’azione amministrativa. In
questi casi, il contribuente ha interesse ad un’oggettiva valutazione da parte
“Si pensi, ad esempio, alle scelte di convenienza in termini di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, quando si tratta di scegliere i contribuenti da controllare o i poteri istruttori da utilizzare o agli equilibri di interessi pubblici e di interessi privati dei contribuenti, diversi da quelli alla corretta determinazione dell’imposta che sussistono invece quando si tratta di sospendere la riscossione in pendenza di ricorso, di concedere rateazioni dei maggiori
tributi da pagare, di intromettersi nella sfera personale del contribuente durante perquisizioni fiscali domiciliari, ecc.
Talvolta, profili di convenienza emergono con riferimento alla sostenibilità in sede contenziosa di una determinata pretesa fiscale, per decidere se e in quali termini, addivenire all’accertamento con adesione o alla conciliazione giudiziale”.
Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza
pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2654.
19 In tal senso Lupi, in Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I
servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2655.
18
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degli uffici fiscali di tutte queste esigenze ma non può addurre proprie situazioni personali estranee alla fondatezza delle tesi in merito al calcolo
dell’imposta dovuta20.
Secondo autorevole dottrina, infine, un interesse legittimo del contribuente può sussistere, anche se non necessariamente, oltre che in materia di poteri
istruttori dell’amministrazione altresì ai fini della valutazione della sospensione
della riscossione o dell’esercizio dei poteri cautelari, in tema di accertamento
con adesione, di autotutela21 ed in altre situazioni in cui ricorrono anche valutazioni ulteriori rispetto all’interpretazione della legislazione e alla valutazione
dei fatti 22 . Con specifico riferimento alla posizione giuridica soggettiva del
contribuente in termini di aspettativa a vedersi annullare o revocare un atto illegittimo da parte dell’amministrazione finanziaria, la dottrina è concorde
nell’escludere che si configuri un diritto soggettivo23.
In tal senso Lupi, in Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I
servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2655.
21 Secondo autorevole dottrina, “è possibile inquadrare l’esercizio del potere di annullamento nell’ambito
della potestà discrezionale della P.A. che non va intesa come arbitrarietà delle scelte, bensì come facoltà di scelta tra
più comportamenti giuridicamente leciti, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine
rispondente alla causa del potere esercitato. A fronte dell’attribuzione di una potestà discrezionale, il contribuente risulterebbe titolare di una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo e, quindi, della pretesa a che
l’amministrazione eserciti il potere nel rispetto del principio di legalità”. Laura Pirrello - Dario Stevanato –
Raffaello Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione tributaria, in Dialoghi di diritto tributario, CIC
edizioni, n. 2 del 2006, pag. 165.
22 Lupi, Diritto tributario parte generale, pag. 57.
23 “Parte della dottrina sostiene la mancanza di qualsiasi obbligo per l’amministrazione finanziaria di provvedere in sede di autotutela e la correlata inesistenza, in capo al contribuente, di un interesse giuridicamente protetto
all’annullamento d’ufficio dell’atto impositivo illegittimo che lo riguarda, con la conseguenza che l’interesse
all’applicazione dell’autotutela viene identificato, puramente e semplicemente con quello non sostanziale all’osservanza
da parte degli uffici finanziari dei principi di giustizia, legalità e buona amministrazione. Altra parte della dottrina,
invece, movendo da premesse opposte, sostiene la doverosità dell’esercizio del potere, pur sempre discrezionale, di autotutela, riconoscendo al contribuente la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, quindi interesse legittimo, e
come tale suscettibile di tutela giurisdizionale; ciò in quanto l’amministrazione finanziaria è in dovere di annullare un
20
12
3
L’autotutela dell’Ufficio e la tutela del contribuente.
Il diritto tributario è un insieme intricato di norme e di direttive, alcune
volte in contrasto fra loro, le cui particolarità rispetto ai principi generali del
diritto amministrativo afferiscono la disciplina legale della prestazione tributaria sul cui ammontare l’amministrazione fiscale non può esercitare valutazioni
di opportunità e convenienza24. In ogni caso, esso offre la possibilità di cautelarsi nei confronti di tali norme, laddove si riscontri un comportamento illecito o un provvedimento illegittimo da parte dell’amministrazione finanziaria25.
atto illegittimo e infondato per ragioni di giustizia sostanziali, al fine di ripristino di una tassazione conforme alla
capacità contributiva e del rispetto delle esigenze di stabilità e di certezza dei rapporti tributari”. Bruno Patrizi –
Gianluca Marini – Gianluca Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, Giuffrè editore, 1999, pagg. 200-201.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’esercizio del potere di autotutela è assolutamente
discrezionale nel senso che “l’amministrazione continua ad essere assolutamente libera di rivedere o meno i propri atti illegittimi senza che a ciò corrisponda alcuna posizione tutelabile dal privato”: TAR Toscana, n.
767/1999. In tal senso anche la Suprema Corte che, sulla base del dato normativo espresso in termini di “gli uffici possono” e “l’amministrazione può procedere”, ritiene l’autotutela “una facoltà discrezionale il
cui mancato esercizio non può essere sindacato nel giudizio di impugnazione”: Cass. sent. n. 13412/2000; n.
1547/2002; n. 13208/2002.
24 “In prima battuta il diritto tributario si avvicina sotto numerosissimi profili a quello amministrativo e ciò è
anche confermato dalla genesi storica di questa materia che non si è differenziata in modo apprezzabile rispetto al diritto amministrativo fino a che non si sono gradualmente affermate, per ragioni di carattere economico-politiche, la disciplina legale della prestazione tributaria e l’applicazione dei tributi col criterio dell’autoliquidazione da parte degli
stessi contribuenti. Con l’affermarsi della disciplina legale dell’imposta e, quindi, della non disponibilità da parte
dell’amministrazione degli interessi economico-sociali coinvolti nel prelievo, parte della dottrina ha dubitato che ci si
trovi di fronte all’esercizio di poteri pubblici alla luce della carenza di discrezionalità nella determinazione
dell’imposta. All’amministrazione finanziaria non è insomma dato considerare ai fini della determinazione
dell’imposta convenienze sociali, economico e di occupazione, le condizioni personali e familiari del contribuente o la
rilevanza sociale dell’attività da esso svolta: solo in linea di mero fatto il funzionario può essere indotto a tener conto
di questi aspetti che non potranno però assurgere formalmente a giustificazione ufficiale delle sue decisioni”. In tal
senso il Lupi, in Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, pagg. 2648-2649. “…se l’interesse pubblico posto a salvaguardia dell’autotutela
amministrativa è rappresentato dall’art. 97 Cost. in campo tributario l’istituto è posto a tutela di un ulteriore principio costituzionale, rappresentato dal principio di capacità contributiva”. Antico – Carriolo – Fusconi – Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag. 337.
25 “…Ove l’illegittimità andrebbe intesa ai sensi della disciplina generale in termini di vizi di incompetenza,
eccesso di potere, violazione di legge, mentre il termine infondatezza appare di incerta interpretazione non avendo espresso riscontro nella nomenclatura tecnico-giuridica del diritto amministrativo. Peraltro, per la sua ampiezza e genericità potrebbe abbracciare sia vizi di merito, cioè inopportunità, non convenienza, inadeguatezza, che di legittimità,
in particolare eccesso di potere, come è per esempio il travisamento dei fatti: figura sintomatica dell’eccesso di potere e
13
Quest’ultima, in quanto pubblica amministrazione, ha il potere di emanare
provvedimenti e, come conseguenza, di annullare o revocare gli stessi, qualora li reputasse illegittimi in base ad una valutazione compiuta ex post26 oppure
può sospendere amministrativamente il ruolo27 , fermo restando che il
vizio di merito in caso di valutazione discrezionale dei fatti diversa dal ricorrente”. Santamaria, Diritto tributario,
pag. 151.
26 La rimozione dell’atto da parte dell’amministrazione rientra nell’ambito del potere di riesame attraverso un procedimento di secondo grado. “L’amministrazione ha la facoltà di correggersi, ovvero di
procedere alla rimozione degli atti illegittimi per i seguenti fini:
realizzare l’interesse pubblico;
ripristinare la legalità;
ricercare nello stesso ordine amministrativo una soluzione alle potenziali controversie insorte evitando il ricorso
a mezzi giurisdizionali in ossequio al principio dell’economia dei mezzi giuridici;
migliorare il rapporto con i cittadini favorendo, in sede di riesame dell’atto, quel contraddittorio che può essere
mancato in sede di deliberazione dell’atto impugnato”. D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo,
giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, pag. 4988.
“Gli atti di ritiro, vale a dire annullamento, revoca e abrogazione, emanati in via di autotutela sono caratterizzati dall’esecutorietà, cioè dalla particolare efficacia in base alla quale gli atti possono essere non solo eseguiti ma
anche eliminati direttamente ed autonomamente dalla pubblica amministrazione senza richiedere l’intervento
dell’autorità giurisdizionale. In genere nell’esercizio del potere di ritiro, la pubblica amministrazione dispone di
un’ampia discrezionalità esercitabile da parte dell’organo che ha emanato l’atto e di quello gerarchicamente sovraordinato, salvo la competenza esclusiva del primo. Da tale discrezionalità deriva che non può configurarsi rifiuto impugnabile il rigetto di istanza del privato volta ad ottenere l’annullamento dell’atto non impugnato in via di autotutela.
Baldassarre Santamaria, Diritto tributario, V edizione, Giuffrè, 2006, pagg. 149-150.
“In dottrina si ritiene prevalentemente che il potere di autotutela abbia natura discrezionale essendo in ultima
analisi fondato sui principi costituzionali di capacità contributiva e di imparzialità/buon andamento della pubblica
amministrazione”. Manzoni – Modolo, Manuale breve di diritto tributario, pag. 100. In tal senso anche
Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 179.
27 Rientra nel potere di autotutela la sospensione amministrativa del ruolo ex art. 39, comma
1, D.P.R. n. 602/1973. La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 07/02/2007, chiarisce che la facoltà in oggetto può essere esercitata non soltanto per le somme iscritte a ruolo a seguito di liquidazione della dichiarazione ex art. 36bis, D.P.R. n. 600/1973 ma anche per le somme
iscritte a ruolo a seguito di avviso di accertamento. Essa chiarisce che l’articolo 2 quater del D.L. n.
564/1994, convertito nella legge n. 656/1994, al comma 1bis, aggiunto dalla legge n. 28/1999, espressamente prevede che “Nel potere di annullamento o di revoca (…) deve intendersi compreso anche il potere
di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato”. Dunque, la facoltà di sospendere il ruolo discende dalla più ampia potestà di autotutela e deve, di conseguenza, essere assoggettata alle regole dettate dal menzionato articolo 2 quater del D.L. n. 564/1994 e dal D.M. n.
37/1997. A tale soluzione l’allora Dipartimento delle entrate era già giunto con la circolare n.
77/1998, rilevando al riguardo che:”…il potere di autotutela include logicamente anche quello di sospensione
degli effetti dell’atto al fine di consentire all’ufficio di valutarne la legittimità e la fondatezza, prima di adottare
l’eventuale provvedimento di annullamento”.
Il potere di sospendere l’efficacia dell’atto è, però, strumentale a quello di annullamento e,
dunque, prima di accordare la sospensione della riscossione, che deve essere richiesta nell’ambito
della procedura di autotutela, gli uffici sono tenuti a valutare le concrete possibilità che l’atto che ha
dato origine all’iscrizione al ruolo sia revocato o annullato in via amministrativa o contenziosa (valu-
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soggetto passivo di imposta può, in ogni caso, adire le vie della giurisdizione
tributaria avverso i provvedimenti che egli stesso reputasse illegittimi28.
Nel primo caso si parla di autotutela dell’amministrazione finanziaria29, identificata nel potere di salvaguardare l’azione amministrativa degli
uffici finanziari attraverso strumenti di difesa e di prevenzione del contenzioso, come l’annullamento, la rinuncia o la revoca dei propri atti riconosciuti illegittimi30 oppure mediante la loro sospensione31. Nel caso, invece, in cui sia il
tazione del c.d. fumus boni iuris). Inoltre, occorre valutare il pericolo per il contribuente di subire un
danno grave ed irreparabile a seguito della riscossione coattiva (c.d. periculum in mora).
28 “Nel suo significato più ampio, l’autotutela equivale a farsi giustizia da sé nei rapporti con i terzi. Infatti,
essa presenta due aspetti complementari: il primo è costituito dall’esecutorietà dell’atto amministrativo; il secondo è
costituito dalla possibilità del suo autoannullamento. Il diritto amministrativo, che ha la stessa età
dell’amministrazione, ha registrato fin dall’inizio la possibilità o di imporre la propria volontà oppure di modificarla
o anche di cancellarla manifestando in pieno la sua competenza fino alla più totale realizzazione. Il diritto tributario,
scaturito per partenogenesi dal primo, ma tra mille difficoltà concettuali e pratiche, ha tardato ad inglobare, almeno
formalmente e con carattere di generalità, disposizioni da sempre presenti nell’ordinamento positivo”. G. Giuliani,
Diritto Tributario, terza edizione, Giuffrè, 2002, pag. 25.
29 Autorevole dottrina propone un’accezione in senso ampio di autotutela per indicare:
“la possibilità per l’amministrazione di esercitare quei poteri di supremazia in tema di atti d’imposizione;
la possibilità per il fisco di riscuotere coattivamente i propri crediti con una procedura speciale;
la possibilità del fisco di sanare i propri atti viziati, annullandoli e riemettendoli privi del vizio che avevano
precedentemente: cosiddetta autotutela sostitutiva riguardante in genere vizi formali;
la possibilità dell’amministrazione di annullare atti che risultino illegittimi o infondati, senza effettuarne alcuna sostituzione: cosiddetta autotutela non sostitutiva”.
Raffaello Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, III edizione, IPSOA, 2001, pag. 164.
30 “L’autotutela può essere esercitata attraverso l’istituto dell’annullamento ex artt. 21-octies e novies della legge 241/1990, modificata ed integrata dalla legge n. 15 dell’11/02/2005, laddove l’amministrazione riscontri la
presenza di vizi di legittimità – violazione di legge, eccesso di potere, ed incompetenza – del provvedimento adottato o
dei suoi precedenti atti o mediante la revoca ex art. 21-quinquies, laddove ritenga che mutamenti dei presupposti di
fatto o di diritto impongano una diversa considerazione della cura dell’interesse pubblico. Un atto amministrativo illegittimo in caso di annullamento perde la sia efficacia ex tunc, cioè dalla data della sua emanazione e coinvolge tutti gli
atti ad esso consequenziali; viceversa l’atto amministrativo revocato per vizio di merito perderà la sua efficacia ex
nunc cioè dal momento della revoca. Un’ulteriore distinzione riguarda l’eventuale pregiudizio recato agli interessati
poiché l’amministrazione, per il mancato esercizio della revoca, ha l’obbligo di disporre il pagamento di un indennizzo, per la cui determinazione è consentito il ricorso al giudice amministrativo al quale è demandata la giurisdizione
esclusiva, mentre tale obbligo non è previsto in caso di annullamento. Gli strumenti summenzionati presuppongono, in
ogni caso, l’obbligo di motivazione, l’individuazione delle concrete ragioni di pubblico interesse, la valutazione degli
interessi privati coinvolti, il rispetto delle regole del contraddittorio nel procedimento di rimozione e l’espletamento di
un’adeguata istruttoria”. ”In campo tributario, l’autotutela si configura essenzialmente come annullamento poiché gli
avvisi di accertamento sono atti vincolati e non discrezionali, sui quali non è possibile esprimere valutazioni sul meri-
15
to. La revoca è ammessa, pertanto, solo per gli atti che riguardano agevolazioni, autorizzazioni e altri atti che non
comportino una ridefinizione della posizione fiscale del contribuente”. D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus
normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, pagg. 4989-4990.
Autorevole dottrina distingue l’ipotesi di annullamento di atti viziati riemessi privi del vizio
che avevano precedentemente, cosiddetta autotutela sostitutiva, e l’ipotesi dell’annullamento senza effettuazione di alcuna sostituzione, cosiddetta autotutela non sostitutiva. “L’autotutela sostitutiva
consente agli uffici, prima della scadenza del termine previsto per l’accertamento, di annullare d’ufficio gli avvisi affetti
da vizi formali, come nel caso di indicazioni prescritte a pena di nullità. Si pensi ad esempio all’indicazione degli imponibili accertati e delle aliquote applicate; l’omessa indicazione delle aliquote, ancorché facilmente desumibili dalla
legge, ha spesso portato all’annullamento degli avvisi di accertamento. L’autotutela non sostitutiva è riconducibile alla
più generale possibilità di qualsiasi amministrazione pubblica di rimuovere o modificare d’ufficio gli atti che essa ritiene illegittimi o palesemente infondati”. Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale,
Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2680.
A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “l’art. 43 del D.P.R. n.
600/1973, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di
nuovi elementi di conoscenza da parte dell’Ufficio, non opera con riguardo ad un avviso nullo alla cui rinnovazione ex
nunc l’amministrazione è legittimata in virtù del potere che le compete di correggere gli errori dei propri provvedimenti
nei termini di legge”. Cass. n. 4303 dell’08/04/1992 e n. 2531/2002.
Da ultimo la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la possibilità di ricorrere
all’autotutela sostitutiva attraverso la rinnovazione ex tunc dell’atto viziato, individuando i limiti entro cui può essere esercitata tale facoltà. È stato al riguardo precisato che la rinnovazione:
•
deve essere preceduta dall’annullamento del precedente atto impositivo;
•
presuppone il mancato decorso del termine di decadenza;
•
non può costituire elusione del giudicato, pertanto, l’atto può essere riproposto solo con una
diversa motivazione rispetto all’avviso originario.
Sul punto: Cass. n. 11114 del 16/07/2003.
Sempre la Suprema Corte ha precisato che:”Dato che il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, l’oggetto del processo tributario non è l’accertamento dell’obbligazione tributaria, da condursi
attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da
quanto risulti nell’atto impugnato, bensì l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata
con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti in fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che, ove
risulti accertato che l’amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello
errato, deve ritenersi che il processo concernente l’impugnazione dell’atto sostituito non debba proseguire per la sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere la pronuncia sull’impugnazione di un atto già annullato in sede di autotutela”.
Cass. sez. trib., sent. n. 17119/2007.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 789 del 22/06/1997, non ha mancato di rilevare che
la notificazione del ricorso ha “proprio la finalità di esercitare lo ius poenitendi dell’amministrazione nella direzione richiesta dal gravame” e la Commissione Tributaria Centrale con decisione n. 2909 del
04/06/1997 ha ritenuto che “l’emissione di un nuovo avviso di accertamento comporta l’automatico annullamento dell’avviso originario, in quanto deve ritenersi che l’ufficio si sia avvalso del potere di autotutela, in quanto lo
stesso ha il potere di integrare o modificare gli accertamenti entro i termini di decadenza, oltre che in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, solo nell’esercizio del potere di riesame del proprio operato”. Sul punto conformi C.T.C., decisione n. 1154 del 18/03/1995; n. 2197 dell’08/05/1977; n. 4183 del
07/04/1983.
Se l’autotutela sostitutiva presuppone l’esercizio dell’identico potere già esercitato con il primo atto senza una maggiore pretesa erariale, diversa è l’ipotesi dell’autotutela integrativa in quanto secondo la Suprema Corte “il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi per l’esercizio del
potere di integrare o di modificare in aumento l’avviso di accertamento già notificato, non è richiesto per
l’autoannullamento di un precedente avviso di rettifica e la sostituzione dello stesso con uno nuovo, contenente lo stesso
dispositivo ma una diversa motivazione, atteso che, in tal caso, non ricorre esercizio del predetto potere integrativo o
modificativo, ma sostituzione di un precedente provvedimento illegittimo con un nuovo provvedimento conforme a dirit-
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cittadino a difendersi dai provvedimenti che violano le norme tributarie, si
tratta di una vera e propria tutela32, senza che l’ufficio che ha emanato l’atto
possa disporre il ritiro dello stesso33.
to, nell’ambito del generale potere di autotutela della pubblica amministrazione”: Cass. sent. n. 4534 del
28/0272002.
In senso contrario, giurisprudenza di merito minoritaria secondo cui “il secondo avviso di accertamento emesso dall’Ufficio in sostituzione e non in aggiunta del primo deve ritenersi nullo in quanto ove non ricorra
l’ipotesi di sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti od elementi, l’emissione di un nuovo avviso di accertamento concernente gli stessi fatti del precedente ne comporta automaticamente l’annullamento”: in tal senso C.T.P. di Firenze, sent. n. 151/18/2006, depositata il 01/04/2006.
31 L’art. 27 della legge n. 28/1999 ha integrato l’art. 2quater del D.L. 564/1994 con il comma
1bis secondo cui ”nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato…[…]…in caso di pendenza del
giudizio, la sospensione degli effetti dell’atto cessa con la pubblicazione della sentenza”. Quest’ultimo disposto
normativo presenta un aspetto di peculiare importanza allorché evidenzia da un lato la prevalenza di
una sentenza sul provvedimento di sospensione ma dall’altro lascia aperto un margine di intervento
discrezionale in autotutela all’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza. Sul punto occorre
fare una distinzione. Nel caso di esito giudiziale favorevole al contribuente, et ergo di pubblicazione o
rectius di deposito della sentenza, l’ufficio ha l’obbligo giuridico di revocare la sospensione dell’atto e
di annullare quest’ultimo sulla base della provvisoria esecutività del provvedimento giurisdizionale.
Nel caso in cui, invece, l’esito del giudizio è favorevole all’Ufficio e sono stati esaminati aspetti di
merito della vicenda, fino al suo passaggio in giudicato l’ufficio gode del potere discrezionale di esercizio dell’autotutela, ai sensi del D.M. n. 37/1997, che può tradursi nella rinnovazione della sospensione dell’atto: in tal senso anche Baldassare Gullo, L’autotutela sospensiva, uno strumento poco noto, in Fisco-oggi, del 14/01/2008.
32 La richiesta del privato deve riportare i motivi di contestazione e, in relazione al contenuto
della stessa, può essere corredata dalla documentazione di supporto a sostegno delle tesi esposte.
Può essere accompagnata da una richiesta di sospensione dell’atto o della cartella di pagamento.
“Il fine dell’autotutela è quello di realizzare l’interesse pubblico e mai quello di garantire al cittadino
un’ulteriore mezzo di difesa, oltre a quelli previsti dal sistema giuridico; in nessun caso essa può essere confusa con
l’istituto della tutela”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag.
179. “
Dunque, il fine dell’istituto è quello di realizzare l’interesse pubblico e non di garantire al cittadino un ulteriore mezzo di difesa, oltre a quelli assicurati dal sistema giurisdizionale: pertanto come ha ben precisato la stessa amministrazione finanziaria e, successivamente, confermato la Cassazione, l’autotutela non deve essere confusa con la
tutela, per cui il mancato esercizio di detto potere non è sindacabile in sede di contenzioso tributario”. Antico –
Carriolo – Fusconi – Tucci - Zappi, L’accertamento fiscale, pag. 338. Cass., sez. trib. n. 13412 del
09/10/2000.
Detti principi si rinvengono tra l’altro nelle circolari n. 195/E/1998 e 198/E/1998, con le
quali è stato precisato che il potere discrezionale riconosciuto agli uffici finanziari, competenti ad
annullare l’atto illegittimo o infondato, deve intendersi non come mera facoltà di agire, bensì quale
potere dovere di attivarsi per assicurare i dettati costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
33 Secondo il Tesauro, “nel potere di emettere un atto è insito anche quello di ritirarlo o di emendarlo
quando appaia alla stessa autorità che l’ha emanato, in tutto o in parte viziato: ciò è espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione la quale in ossequio al principio di legalità e di buona fede ha il dovere di elimi-
17
4
Collocazione normativa.
Il regolamento di attuazione del potere di autotutela34 si trova nel Decreto
ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, che fa seguito all’articolo 2 quater della
legge n. 656 del 30 novembre 199435, mentre il potere discrezionale di cui trattasi è stato sancito dall’articolo 68 del D.P.R. n. 287 del 27 marzo 1992 concernente il regolamento del personale del Ministero delle finanze dove si recita
“salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’amministrazione finanziaria, possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati
con provvedimento motivato notificato al contribuente”36. In quest’ultimo caso, in osse-
nare i vizi che rendono illegittimo un atto e di ritirare gli atti illegittimi”. Tesauro, Compendio di diritto tributario,
pag. 84.
34 A fini di mera esaustività, autorevole dottrina osserva che se è vero che l’autotutela è approdata con il suo nome nel diritto tributario soltanto nel 1994, essa era presente, anche se in forma
per così dire mascherata, almeno dal 1923. Infatti, nella legge del registro di tale anno, che è stata
poi la madre di tutte le leggi d’imposta, era prevista la facoltà di moderazione dell’accertamento definitivo che risultasse manchevole o erroneo ex art 34. Proprio grazie a tale disposizione, numerose
risoluzioni ministeriali a partire dal 1976 avevano sempre dichiarato ammissibile, in una forma o
nell’altra, il potere di autoannullamento. Così, per esempio, era stato riconosciuto che
l’amministrazione può riesaminare un accertamento divenuto definitivo, ancorché siano stati pagati
tributi, quando sia erroneamente denunciato un cespite non appartenente al de cuius: sul punto cfr.
Risoluzione ministeriale n. 271988 dell’8/01/1980. Per converso veniva ritenuto modificabile
un provvedimento dell’intendente di finanza, adottato a seguito di riesame di un accertamento di
valore resosi definitivo, allorquando risultino essere stati erroneamente omessi, nel provvedimento,
beni assoggettati a tassazione: sul punto cfr. Risoluzione ministeriale 280984 del 28/08/1994.
Giuliani, Diritto tributario, pag. 26. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione
e autotutela, pag. 192.
35 Esso recita testualmente “Con decreti del Ministero delle Finanze sono indicati gli organi
dell’amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali s’inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione”.
36 “…l’applicazione dell’autotutela secondo le indicazioni dell’art. 68 può essere senz’altro riduttiva e per certi
versi fuorviante, laddove viceversa possono essere individuati ben altri e più consistenti margini di intervento per gli
uffici finanziari, sulla scorta di precedenti norme operative. Intendiamo riferirci, in primo luogo e forse anche per tutti
i successivi interventi, vista la loro esaustività, al contenuto degli artt. 79 e 80 del D.M. 07/04/1888, recanti
istruzioni per la contabilità demaniale, tuttora in vigore per gli uffici contabili che amministrano denaro versato a titolo di tasse ed imposte dirette sugli affari. In forza di detti articoli viene stabilito che i crediti erariali in tutto o in parte
18
quio ai principi di cui all’art 1 della legge 241/1990 in materia di azione amministrativa37, gli uffici possono annullare i propri atti, dopo averli ritenuti infondati o illegittimi, al fine di evitare un contenzioso già avviato dal contribuente, destinato a terminare negativamente38.
insussistenti sono da annullarsi, con la specificazione che l’annullamento per insussistenza si ha quando il credito iscritto sia stato riconosciuto legalmente estinto o indebitamente e/o erroneamente liquidato e ciò va portato a legale
conoscenza del contribuente attraverso le forme di notificazione degli atti impositivi”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 191.
37 “L’art. 1, comma 1, della legge 241/1990, afferma che l’attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge ed è retta dai criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità. L’individuazione delle modalità
di applicazione di tali principi e criteri è rimessa non solo alla legge 241 del 1990 medesima, ma ance ad altre disposizioni sui singoli procedimenti, le quali possono dunque porre una disciplina differente dal modello generale.
L’azione è economica quando il conseguimento degli obiettivi avvenga con il minor impiego possibile di mezzi
personali, finanziari e procedimentali. Il principio può essere impiegato anche nelle ipotesi in cui residuino spazi di
scelta discrezionale in capo all’amministrazione, ovviamente in quanto la scelta economica sia compatibile con
l’interesse pubblico. L’economicità si traduce nell’esigenza del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria: art. 1, comma 2, legge 241/1990
L’efficacia è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità che
l’amministrazione, oltre al rispetto formale della legge, miri anche e soprattutto al perseguimento nel miglior modo
possibile delle finalità ad essa affidate.
La pubblicità è un carattere che costituisce conseguenza diretta della natura pubblica dell’amministrazione.
Questo modo d’essere della pubblica amministrazione da un lato implica la necessaria preordinazione della sua attività alla soddisfazione di interessi pubblici e dall’altro richiede la trasparenza dell’amministrazione stessa e della sua
azione agli occhi del pubblico: applicazione concreta del principio di pubblicità è costituita dal diritto di accesso ai
documenti amministrativi e, in senso lato, anche gli istituti della partecipazione al procedimento amministrativo e
della motivazione del provvedimento.
La legge non richiama il concetto di efficienza, vale a dire il rapporto tra mezzi impiegati e obiettivi conseguiti. Vi sono, tuttavia, numerose altre disposizioni normative che, oltre a confermare i tre suddetti principi introducono altresì il canone dell’efficienza e si preoccupano di garantirne la vigenza e l’applicazione: si veda, per esempio, il
D.Lgs. 286 del 1999 in tema di controlli interni”. Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, II edizione, Giuffrè, 2000, pagg. 375-376. In tal senso anche Francesco Caringella, Corso di diritto amministrativo, Tomo II, seconda edizione, Giuffrè editore, 2003, pagg. 1349-1351.
“I termini gestione, efficacia, economicità ed efficienza sono utilizzati con significati vari ma nel linguaggio tecnico assumono contenuti concettuali ben precisi. L’economia d’azienda definisce:
la gestione, il sistema delle operazioni simultanee e successive che dinamicamente si dispiega, finché l’azienda
ha vita, per il raggiungimento dei fini della medesima;
l’efficacia, l’idoneità della gestione a conseguire gli obiettivi prefissati: art. 1, legge n. 241/1990;
l’economicità, mette in relazione risorse impiegate e risultati conseguiti e consiste nell’utilizzo dei mezzi
meno onerosi per il raggiungimento degli obiettivi aziendali traducendosi, quindi, in una misura della redditività
dell’azienda: art. 1, legge n. 241/1990;
l’efficienza, attiene al rapporto che intercorre tra beni e servizi prodotti, cosiddetto output, e fattori primari
impiegati per produrli, cosiddetti input”.
Carlo Manacorda, Contabilità pubblica, G. Giappichelli editore, 2001, pagg. 9-10.
38 Enrico De Mita, Principi di diritto tributario, III edizione, Giuffrè, 2002, pag. 37 e ss..
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5
Autotutela ed atti definitivi.
Esiste la possibilità, nemmeno tanto remota, che il contribuente lasci sca-
dere i termini per poter impugnare l’atto dell’amministrazione finanziaria39. A
questo punto, sorge, per l’ente che ha emanato l’atto, il problema di dover
scegliere tra l’esercitare il potere di autotutela oppure l’esimersi, approfittando
della posizione di vantaggio acquisita con la mancata impugnazione40. Tuttavia, gli uffici finanziari hanno doveri di imparzialità e di correttezza che, in
questi casi quasi impongono di esercitare il potere di autotutela: ovviamente, si
tratta di un potere quanto mai discrezionale41. In tal caso, l’ufficio dovrà valu-
“Per quanto riguarda il concetto di definitività dell’accertamento, con esso deve intendersi semplicemente la
perdita per il contribuente della possibilità di agire il giudice….In caso di definitività dell’atto e di presentazione di
istanza di autotutela da parte del contribuente il funzionario può, infatti, procedere a delle valutazioni autonome che
solo eventualmente possono coincidere con quelle che potevano essere fatte dal privato in sede giurisdizionale”. Patrizi
– Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 209.
40 Secondo il Tesauro, “L’utilità pratica dell’autotutela, per il contribuente che abbia ricevuto un atto illegittimo emerge soprattutto quando l’atto è divenuto definitivo perché non impugnato o perché il ricorso proposto non ha
raggiunto il risultato richiesto. Nessuna norma impedisce, infatti, l’autotutela nei riguardi di un atto non impugnato”. Tesauro, Compendio di Diritto tributario, pag. 85.
Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito due capisaldi che presiedono all’attuazione
dell’istituto nell’ordinamento tributario:
•
“la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare l’esistenza o meno delle condizioni di legge che consentono
l’applicazione dell’autotutela, quindi la libertà del volere dell’amministrazione nel pronunciarsi sulla questione controversa;
•
l’inesistenza di un termine finale per l’esercizio dell’autotutela, per cui non è di impedimento alla stessa la definitività dell’atto impositivo, avutasi per acquiescenza, cioè per mancata opposizione o per esaurimento dei mezzi di
impugnazione, non potendosi concettualmente far discendere dalla definitività l’immodificabilità dell’atto da parte della stessa P.A.”. Giancarlo Settimio Toto, Giudicato tributario e autotutela, in Tributi n. 11/12 – 2001,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, pag. 655.
41 “Gli uffici fiscali, a differenza dei soggetti privati, hanno il dovere di agire con imparzialità e oggettività e
devono, pertanto, rinunciare ad una posizione di vantaggio, quando essa appaia oggettivamente ingiusta anche se il
contribuente è decaduto dalla possibilità di attivare gli ordinari rimedi giurisdizionali. Questi doveri di imparzialità e
correttezza costituiscono il naturale contraltare di quella posizione pubblicistica che giustifica l’attitudine degli atti
impositivi a rendersi definitivi se non impugnati: se da un lato il potere pubblicistico caratterizza gli atti
dell’amministrazione e li rende suscettibili di consolidarsi se non impugnati, dall’altro lato impone agli uffici un dovere
di correttezza ed imparzialità molto più penetrante rispetto a quanto accade nei rapporti tra privati”. Trattato di
diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata,
a cura di Sabino Cassese, pagg. 2680-2681. In tal senso anche: Lupi, Manuale giuridico professionale
di diritto tributario, pagg. 166-167.
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tare se l’atto illegittimo non sia stato impugnato per caso fortuito o errore scusabile da parte del contribuente. Il citato Decreto ministeriale n. 37/1997 indica alcuni casi, non tassativi, come l’errore di persona o il pagamento duplicato,
in cui l’esercizio dell’autotutela è addirittura dovuto, seppure a seguito di atti
divenuti definitivi per mancata impugnazione42.
Secondo una parte della dottrina, nonostante il quadro normativo venutosi a delineare in materia di autotutela, essa continua ad essere ritenuta, anche
da autorevoli appartenenti all’amministrazione, una sorta di optional43 , come
può evincersi dal fatto che si continua a negare che essa costituisce un autentico diritto del contribuente44.
6
Ratio iuris.
In tal senso anche Carugno e Gianandrea, in Lineamenti di Diritto amministrativo, pagg. 151153 secondo i quali ai sensi della regolamentazione in materia di autotutela “il potere di annullamento
d’ufficio può essere esercitato in tutte le ipotesi di illegittimità dell’atto sub specie di errore di persona, evidente errore
logico o di calcolo, errore sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione etc., anche se esso sia divenuto definitivo per
decorso dei termini per ricorrere, anche se vi è pendenza di giudizio ed anche se non sia stata prodotta alcuna istanza
da parte del contribuente”. Inoltre, “Di fronte ad un accertamento divenuto definitivo perché non impugnato nei termini l’intervento dell’amministrazione, diretta a rimuovere in via di autotutela l’atto illegittimo, ancorché inoppugnabile, risponde all’esigenza di assicurare la corretta esazione del tributo effettivamente dovuto e la correttezza dei comportamenti dell’amministrazione finanziaria, la quale deve evitare di penalizzare il contribuente che ha sostanzialmente ragione, ma ha omesso di impugnare tempestivamente l’atto. Solo così, infatti, può mantenere inalterata quella
fiducia reciproca su cui si basa l’attuale sistema fiscale, sempre più ispirato allo spontaneo adempimento del contribuente. In tale logica, potrebbe condividersi l’idea che l’autotutela tributaria risponda non solo e non tanto ad una
funzione giustiziale o di mera imparzialità, quanto all’obiettivo di assicurare il buon andamento e, dunque,
l’efficienza del sistema fiscale”.
43 Contra Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 202,
secondo cui: “…essendo previsto in caso di grave inerzia dell’ufficio che ha emanato l’atto l’intervento dell’autorità
sovraordinata, vale a dire la Direzione Regionale delle Entrate, è evidente che l’esercizio tempestivo e corretto
dell’autotutela viene considerata dall’amministrazione non certo una specie di optional che si può attuare o non attuare a propria discrezione, ma come una componente del corretto comportamento dei dirigenti degli uffici e, quindi, anche
come un elemento di valutazione della loro attività dal punto di vista disciplinare e professionale”.
44 Giuliani, Diritto Tributario, pag. 26.
42
21
Nell’ambito della dottrina sono discussi sia il fondamento sia la natura del
potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria. Secondo una parte della
dottrina, infatti, nell’autotutela tributaria non si ravvisano i caratteri propri
dell’autotutela amministrativa alla luce del principio dell’indisponibilità del tributo e della natura vincolata della funzione impositiva45. A tal proposito, si è
delineata una ratio giustiziale dell’istituto in quanto esso tende a realizzare
un’opportuna mediazione degli interessi pubblici in conflitto rappresentati, da
un lato, dall’interesse alla certezza e stabilità dell’imposizione tributaria e,
dall’altro, dall’interesse pubblico a fornire un’immagine dell’amministrazione
corretta e di comportamento giusto, mantenendo e, se del caso, recuperando
la fiducia del contribuente46.
Secondo altra parte della dottrina, l’autotutela dovrebbe essere considerata espressione dello stesso potere impositivo trovando la sua ratio nel fatto che
le funzioni amministrative non possono non comprendere in sé, accanto alla
Nell’ambito del diritto amministrativo, “l’autotutela è il potere in base al quale l’amministrazione interviene unilateralmente in modo caducante su un assetto di interessi già valutato e definito con un proprio atto, al fine
di prevenire o risolvere conflitti. Per procedere a tale verifica va preliminarmente considerato se effettivamente sussistono
i presupposti, così come individuati da dottrina e giurisprudenza, alla cui contestuale presenza è subordinato
l’esercizio di tale potere. Viene in primo luogo in rilievo l’illegittimità acclarata del provvedimento. In seconda battuta,
occorre che la caducazione dell’atto risponda ad un interesse pubblico attuale e concreto che non si esaurisca
nell’interesse a ristabilire la legalità Infine, deve essere operato un attento bilanciamento tra l’interesse
dell’amministrazione alla rimozione dell’atto e l’interesse alla conservazione di cui sono titolari soggetti diversi dalla
P.A., generalmente privati. Quest’ultimo è di certo il punto più delicato, posto che occorre un’attenta valutazione degli
effetti già prodotti dall’atto e del loro consolidamento, nonché del conseguente affidamento ingenerato nei soggetti toccati
da tali effetti. Naturalmente la valutazione deve essere tanto più accorta e meditata quanto più ampio è il lasso di
tempo di applicazione dell’atto e, correlativamente, tanto più dettagliata deve essere la motivazione in sede di adozione
del provvedimento di autotutela”. Caringella, Corso di diritto amministrativo, pagg. 1711-1712. In tal senso
anche Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 180 e ss..
46 Sul punto: Carugno e Gianandrea, in Lineamenti di Diritto amministrativo, pag. 151.
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possibilità di fare, anche quella di eliminare ciò che non doveva farsi. Se si colloca, invece, l’autotutela all’esterno della funzione impositiva si finisce col configurare l’imposizione tributaria come ingiusta delineandosi dei rimedi extra ordinem per il contribuente che non ha tempestivamente impugnato l’atto in sede
giurisdizionale47.
A sostegno della pretesa diversità tra l’autotutela amministrativa e quella
tributaria, si pone l’ulteriore valutazione secondo cui in relazione agli atti tributari che incidono negativamente nella sfera giuridica soggettiva del contribuente non sono configurabili situazioni di controinteresse all’annullamento
del provvedimento diverse da quelle riferibili alla l’interesse dell’erario ad incamerare gli importi accertati: l’unico interesse che potrebbe muovere
l’annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari è quello al ripristino della
legalità violata il che implica che l’autotutela dell’amministrazione finanziaria è
priva di discrezionalità avendo essa carattere vincolato48.
Mancano, dunque, in quella tributaria gli estremi che caratterizzano
l’autotutela amministrativa tanto che si reputa più appropriato il ricorso alla
Sul punto: Carugno e Gianandrea, in Lineamenti di Diritto amministrativo, pag. 151.
“In mancanza di un interesse pubblico diverso da quello ad un’imposizione conforme a legge, in carenza di
controinteressati al provvedimento di annullamento, in presenza di un’attività impositiva totalmente vincolata e soggetta al principio di capacità contributiva, l’esercizio del potere di autotutela deve obbligatoriamente concludersi, dopo la
constatazione dell’illegittimità del provvedimento impositivo, con il suo annullamento”. In tal senso Carugno e
Gianandrea, in Lineamenti di Diritto amministrativo, pag. 152.
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più asettica nozione di ius poenitendi49. L’annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari trova, in realtà, il suo referente nell’esigenza di buon andamento dell’azione amministrativa, frutto non di discrezionalità ma di mediazione di
interessi propri dell’amministrazione tanto che in capo al contribuente sarebbero configurabili soltanto interessi di mero fatto50.
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Profili applicativi
Nell’ambito del diritto tributario il termine autotutela non è impiegato per
significare in senso ampio il potere dell’amministrazione di realizzare i propri
fini a prescindere da un eventuale intervento giudiziale, bensì, in un’accezione
“Lo ius poenitendi della pubblica amministrazione si manifesta attraverso provvedimenti tipici
dell’annullamento, revoca e abrogazione degli atti invalidi, inopportuni o non più rispondenti all’interesse pubblico.
L’interesse pubblico in materia tributaria che deriva dal combinato disposto di norme primarie dettate dall’art. 53,
capacità contributiva, e 97, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, della Costituzione, consiste nella corretta e giusta esazione delle imposte da parte dell’amministrazione finanziaria che così agendo dà di sé
un’immagine di correttezza ed un comportamento equo e giusto. Pertanto, l’attività degli uffici deve mirare non alla
massimizzazione del gettito ma all’applicazione delle giuste imposte in base al principio della capacità contributiva,
nonché ad improntare le proprie azioni ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione
ex art. 97 Cost.”. Santamaria, Diritto tributario, pag. 150. In tal senso anche Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 190.
In tal senso altresì D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva
applicazione dell’istituto, pag. 4988.
50 “In verità, non sembra che l’annullamento dell’accertamento tributario risponda esclusivamente all’interesse
pubblico al ripristino della legalità violata, dovendo l’amministrazione tenere conto, nell’esercizio del relativo potere di
autotutela, di altri ben più significativi interessi. Così, ove l’autotutela venga esercitata in pendenza di un giudizio
sull’atto di accertamento, instaurato dal contribuente a mezzo ricorso alle commissioni tributarie, è possibile ritenere
che essa risponda ad una logica di economicità, corrispondente all’esigenza di evitare esborsi inutili e, talvolta, anche
consistenti a seguito e per effetto della condanna al rimborso delle spese processuali sostenuto dal contribuente per il
giudizio dinanzi alle commissioni tributarie davanti al quale l’atto impositivo illegittimo era stato impugnato”. In tal
senso Carugno e Gianandrea, in Lineamenti di Diritto amministrativo, pag. 152.
Secondo il Tesauro, “In diritto amministrativo, ove i provvedimenti sono solitamente espressione di discrezionalità, l’annullamento d’ufficio dell’atto deve essere giustificato, oltre che dalla sua illegittimità anche da un interesse dell’amministrazione all’annullamento. In diritto tributario, invece, non essendovi discrezionalità, l’esercizio dei
poteri di autotutela non presuppone valutazioni di convenienza: il ritiro o la correzione dell’atto viziato vanno compiuti in applicazione della regola di buona fede, cui deve attenersi l’amministrazione; la correzione presuppone dunque
il vizio e null’altro, ossia è giustificato soltanto dal dovere di ogni pubblica amministrazione di ripristinare la legalità”. Tesauro, Compendio di diritto tributario, pagg. 84-85.
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più ristretta, il ritiro di atti illegittimi51. In particolare, l’istituto dell’autotutela
consiste nel potere dell’amministrazione finanziaria di agire motu proprio o su
istanza del contribuente52 laddove si accerta di averlo danneggiato in modo illegittimo in ordine a qualsiasi atto compresi quelli della riscossione53. Più precisamente, l’autotutela può riguardare54:
“Per consentire l’esercizio dell’autotutela occorre un vizio sostanziale rilevabile ab externo in termini di irragionevolezza, contraddittorietà tra premesse e conclusioni, travisamento dei fatti ecc.. Solo in concreto potrà stabilirsi
se ad un vizio debbano essere riconosciute queste caratteristiche che è sterile ed ingenuo tentare di fissare una volta per
tutte in una formula astratta da applicare poi meccanicamente”. Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto
amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese,
pag. 2681.
52 “Ai fini dell’attivazione della procedura dell’autotutela riteniamo rivesta grande importanza la figura del
Garante del contribuente prevista nello Statuto dei diritti del contribuente. Si tratta di una figura cui vengono attribuiti poteri di informazioni, volti ad accertare l’eventuale lesione di un diritto, nonché poteri di persuasione e di influenza, diretti ad imporre il riesame dell’atto da parte dell’Autorità amministrativa. La legittimazione all’impulso
nella procedura per l’autoannullamento è evidente nelle seguenti funzioni attribuite al garante:
rivolgere richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti che hanno l’obbligo di rispondere entro trenta
giorni;
rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici;
individuare e segnalare le disfunzioni più ricorrenti e rilevanti;
Il collegamento tra le norme sull’autotutela e quelle sul Garante agevolerà l’affermazione e la proficuità di entrambi gli istituti”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pagg.
196-197.
53 In tal senso: Tesauro, Compendio di diritto tributario, pag. 85. L’autotutela tributaria è comunque finalizzata al perseguimento di un interesse dell’amministrazione finanziaria volto a tutelare il
principio di eguaglianza sostanziale affinché il contribuente sia messo in condizione di concorrere
alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva e secondo criteri di progressività.
L’eliminazione dell’atto illegittimo, nonché dell’atto insufficientemente motivato può esplicare
l’effetto di superare disparità di trattamento: Cass. sent. n. 8854 del 21/08/1993.
Il Segretario Generale del Ministero delle Finanze con nota n. 4079 del 18/07/1994, nel
prendere atto che occorre evitare che vengano disapplicate norme specifiche con le quali è sancito il
potere-dovere degli uffici finanziari di correggere i propri atti illegittimi o infondati, sussistendo un
interesse pubblico rafforzato a ripristinare la correttezza e l’equità dell’azione amministrativa, rileva
che tra gli interessi pubblici idonei a sorreggere, sul piano della legittimità, l’intervento in autotutela,
è sicuramente da annoverare anche l’esigenza che al contribuente non sia richiesto di corrispondere
al fisco più di quanto effettivamente dovuto in base alle norme in vigore; cosa che altrimenti urterebbe contro i principi di trasparenza e di giustizia sociale ormai riconosciuti come immanenti a
qualunque attività della pubblica amministrazione.
54 “…un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza a conclusione di una verifica fiscale, pur considerabile quale atto amministrativo, non può formare oggetto di annullamento in sede di autotutela da
parte della medesima Guardia di finanza in quanto essendo deputata all’espletamento di funzioni di controllo non ha
anche funzioni di amministrazione attiva. L’autotutela in questo caso, si esprimerebbe, tuttavia, in forma indiretta
attraverso il non trasferimento dei contenuti del verbale nell’atto di accertamento di competenza dell’ufficio finanziario.
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avvisi di accertamento e/o di rettifica, di liquidazione, di contestazione e
di irrogazione sanzioni;
atti di recupero crediti di imposta indebitamente fruiti anche in compen-
sazione;
iscrizioni a ruolo e cartelle di pagamento;
atti di diniego di agevolazioni fiscali o di rimborso di imposte indebita-
mente richieste.
Si può arrivare, non solo ad annullare, revocare o rinunciare
all’imposizione55, ma anche a sospendere gli effetti di un atto56. In ordine, alla
possibilità dell’esercitabilità dell’autotutela nei confronti di un’altra pubblica
amministrazione la giurisprudenza di legittimità ne ha sancito l’esclusione statuendo che “l’autotutela della P.A. è espressione della sua supremazia e, conseguentemen-
A tale conclusione è pervenuta la stessa Amministrazione finanziaria che con la direttiva ministeriale del
25/11/1996 in materia di semplificazione di rapporti con i contribuenti (apparsa sulla Gazzetta Ufficiale n. 58
dell’11/03/1997) ha espressamente riconosciuto che <dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, tra cui i militari della Guardia di finanza, il contribuente può comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori prima della emanazione degli avvisi di accertamento>. Oggetto dell’istanza di autotutela da parte del contribuente può essere, quindi, anche il processo verbale di constatazione
della Guardia di finanza, ma competente all’annullamento dei rilievi in esso contenuti sarà sempre e solo l’ufficio impositore, attraverso il mancato trasferimento di tali rilievi nell’avviso di accertamento e/o rettifica”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 204.
55 Autorevole dottrina evidenzia come “l’ufficio impositore può esercitare l’autotutela anche non emettendo l’avviso di accertamento ossia rinunciando all’imposizione officiosa, alle medesime condizioni di diritto previste
per l’auto-annullamento degli atti impositivi ex artt. 1 e 2, D.M. n. 37/1997”. Manzoni – Modolo, Manuale
breve di diritto tributario, pag. 100.
56 Il Tesauro individua tra i rimedi a disposizione dell’amministrazione oltre all’annullamento
totale o parziale dell’atto riconosciuto viziato anche:
la sostituzione dell’avviso di accertamento già emesso con un accertamento con adesione;
in pendenza del giudizio di primo grado, la lite può essere composta con la conciliazione;
nel gestire la lite, l’amministrazione può riconoscere la fondatezza del ricorso o non impugnare la sentenza ad essa sfavorevole.
Tesauro, Compendio di Diritto tributario, pag. 84.
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te, può essere esercitata solo nei confronti di soggetti privati non anche nei confronti di soggetti
che fanno parte anch’essi della P.A. e che, in quanto tali, sono nella medesima condizione
giuridica”57.
Il potere di autotutela spetta all’ufficio locale che ha posto in essere l’atto
poi ritenuto illegittimo o l’ufficio competente per gli accertamenti d’ufficio58.
Quando si è di fronte ad un’inerzia piuttosto grave59 da parte dell’ufficio che
dovrebbe provvedere, può procedere direttamente la Direzione Regionale da
cui l’ufficio stesso dipende60. In presenza di istanza da parte del contribuente,
questa deve essere indirizzata all’ufficio competente per territorio e per materia, mentre se la richiesta è diretta ad un ufficio incompetente, quest’ultimo è
tenuto a trasmetterla all’ufficio competente, dando comunicazione allo stesso
contribuente61. È necessario, inoltre, il parere preventivo e vincolante, della
Cassazione, sezioni unite civili, n. 1864 del 01/02/2005.
Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 203.
59 “Ci si deve chiedere, allora, quando l’inerzia dell’ufficio possa essere considerata grave e consentire, quindi,
l’intervento delle Direzioni regionali; si può ritenere che il requisito della gravità debba essere valutato, in concreto, con
riferimento all’immediatezza ed alla rilevanza degli effetti dannosi, sia per il contribuente che per la stessa amministrazione finanziaria, che possono essere casuati dal mancato esercizio di tale potere da parte dell’ufficio competente:
ad esempio quando sono in corso gli atti esecutivi. Si può, inoltre, ritenere che è senz’altro grave l’inerzia protratta
nell’imminenza della formazione del giudicato. In tali ipotesi si potrà sempre ricorrere al garante”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 203.
60 D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione
dell’istituto, pag. 4991. In via sostitutiva, in caso di grave inerzia, è altresì competente la Direzione regionale sovraordinata, il cui parere è peraltro obbligatorio per gli importi superiori a € 516.456,00 ex artt. 1 e a, comma 1,
D.M. n. 37/1997”. Enrico Manzoni – Adriana Modolo, Manuale breve di diritto tributario, Giuffrè,
2006, pag. 99. “La previsione normativa della grave inerzia e la legittimazione dell’intervento, in via sostitutiva,
dell’organo gerarchicamente sovraordinato sembrerebbe configgere con il principio generale secondo cui, nella materia di
autotutela, non esiste un obbligo dell’amministrazione di avviare il procedimento di riesame”. Antico – Carriolo
– Fusconi - Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag. 342.
61 “Sotto il profilo procedurale, l’autotutela non è subordinata ad istanze del contribuente e potrebbe, a rigore,
essere esercitata anche d’ufficio. In sostanza, una richiesta del contribuente è però l’unico modo per avere la certezza
che l’ufficio finanziario attivi una procedura interna per esaminare l’ipotesi di esercitare l’autotutela. È però bene sot57
58
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Direzione Regionale cui fa capo l’ufficio competente a decidere quando
l’importo della pretesa fiscale supera 516.456,90 euro, soltanto, però, nel caso
in cui l’ufficio sia determinato ad annullare o revocare il proprio atto e non in
caso di diniego di autotutela62. L’istanza del contribuente non induce l’ufficio
ad emettere obbligatoriamente un atto di annullamento o revoca 63 ; inoltre,
l’amministrazione può decidere anche in senso diverso da quello indicato dal
contribuente con l’istanza64. Tuttavia, per motivi di opportunità, convenienza
tolineare l’assenza di un obbligo di formale istanza; non ci sono quindi termini di decadenza dalla presentazione di
istanze, il cui mancato rispetto potrebbe giustificare il mancato esercizio dell’autotutela. L’istanza potrà ad esempio
essere raccolta a verbale durante una audizione presso l’ufficio, ovvero essere contenuta in un atto processuale attinente
ad altra controversia con l’ufficio fiscale; l’istanza ha quindi solo una sua utilità pratica, per costringere l’ufficio a
prendere formalmente in esame la questione”. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, pag. 168.
In tal senso anche Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag.
211.
62 “La richiesta di parere all’organo sovraordinato, seppure obbligatoria e vincolante, non modifica la competenza assegnata dal legislatore, perché sarà sempre l’ufficio cha ha emanato l’atto ad essere deputato all’adozione del
formale annullamento, nel quale, comunque si farà menzione nell’intervento consultivo anche nell’ipotesi di parere contrario alla proposta favorevole dell’ufficio al ritiro dell’atto. Invece, l’intervento dell’organo superiore dovrebbe assicurare una più attenta e ponderata valutazione della questione nel suo complesso, con l’opportunità di individuare e selezionare i casi potenzialmente più complessi sì da fornire all’ufficio competente all’adozione del provvedimento di annullamento un maggiore conforto in ordine alle sue conclusioni ed approfondire gli aspetti legati all’eventuale rinuncia
ad ingenti risorse erariali”. Antico – Carriolo – Fusconi – Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag.
340.
63 “Il mancato esercizio dell’autotutela, oltre a provocare il pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art.
15 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, viene considerato come una componente del corretto comportamento dei dirigenti e, quindi, come elemento di valutazione dal punto di vista disciplinare e professionale”. D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto, pag. 4991.
64 Sul punto cfr. Circolare ministeriale delle Entrate 195/1997 e Cassazione n. 13412
del 09/10/2000. Posto che non sussiste l’obbligo di procedere all’annullamento dell’atto, occorre
verificare se l’amministrazione è comunque tenuta a rispondere a fronte di un’istanza di parte. Al
riguardo si può affermare che, anche rispetto all’autotutela tributaria, si applicano le norme contenute nella legge n. 241/1990 come novellata dalla legge n. 15/2005 e dal D.L. n. 35 del 14/05/2005
convertito nella legge n. 80 del 14/05/2005, le quali impongono all’amministrazione il dovere, in
presenza di un procedimento che consegua obbligatoriamente ad una istanza di parte o anche
d’ufficio, di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso positivo o negativo e
ciò anche per consentire all’interessato di ricorrere in via giurisdizionale per la tutela delle proprie
ragioni: Tar Salerno, sez. I, n. 674 del 03/07/2002; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3492 del
04/06/2004. “In caso di inerzia, al contribuente dovrebbe essere consentito il ricorso al giudice amministrativo ai
sensi dell’art. 21-bis della legge n. 1034 del 06/12/1971 avverso il silenzio inadempimento per ottenere una pronuncia di condanna dell’amministrazione ad emettere un provvedimento espresso di accoglimento o di rigetto
dell’istanza di autotutela. Tale tutela è riconosciuta anche dall’art. 7, comma 4, legge 212/2000 sullo Statuto del
28
e trasparenza, gli uffici sono invitati a comunicare agli interessati l’esito delle
istanze, anche in caso di diniego motivato delle stesse65.
L’autotutela d’ufficio, cioè senza richiesta da parte del contribuente, si
ha nella seguente casistica:
•
errore di persona;
•
evidente errore logico o di calcolo;
•
errore sul presupposto dell’imposta;
•
doppia imposizione;
•
mancata considerazione dei pagamenti di imposta, eseguiti regolarmente e
tempestivamente;
•
mancata documentazione sanata in un momento successivo, entro i ter-
mini di decadenza;
contribuente, per il quale la natura tributaria dell’atto non preclude agli organi di giustizia amministrativa…”.
D’Agostino, Autotutela tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva applicazione dell’istituto,
pag. 4993.
65 La giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’autotutela costituisce una facoltà discrezionale
il cui mancato esercizio non può essere oggetto di impugnazione: Tar Toscana n. 767 del
22/10/1999; Cass. n. 13412 del 09/10/2000. In caso di diniego espresso, la giurisprudenza di
legittimità ha riconosciuto nelle commissioni tributarie l’organo competente in materia di autotutela
mentre per quanto attiene l’oggetto la Corte ha sancito che “la riforma del 2001 ha poi necessariamente
comportato una modifica dell’art. 19 del D.Lgs n. 546/1992; l’aver consentito l’accesso al contenzioso tributario in
ogni controversia avente ad oggetto tributi comporta, infatti, la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice
tributario ogni qual volta l’amministrazione manifesti, anche attraverso la procedura del silenzio rigetto, la convinzione che il rapporto tributario o relativo a sanzioni tributarie, debba essere regolato in termini che il contribuente
ritenga di contestare: in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del
ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 del codice di procedura civile”. Cass. sent. n. 16776 del 09/0610/08/2005. Analoga posizione era stata presa, peraltro, dalla Corte Costituzionale, nella sentenza
n. 313 del 06/12/1985, nella quale ha precisato che la sindacabilità di un atto dinanzi al giudice tributario dipende dalla funzione assolta e dagli effetti prodotti e non dalla sua inclusione nell’art. 19
sulla base del nomen iuris. Sul punto conforme Toto, Giudicato tributario e autotutela, pag. 658.
29
•
sussistenza dei presupposti per aver diritto a deduzioni, detrazioni, age-
volazioni in precedenza negati;
•
errore
materiale
del
contribuente,
facilmente
riconoscibile
dall’amministrazione.
Le situazioni sopra richiamate, contenute nel D.M. 37/97, non sono tassative, anche perché la casistica non può essere così limitata. Si dà maggior rilievo, naturalmente, a quelle fattispecie che possono portare ad un enorme
contenzioso o addirittura ad una vertenza che poi risulterà sfavorevole per
l’amministrazione, poiché risulta maggioritaria la giurisprudenza contraria alle
tesi degli uffici finanziari.
8
L’autotutela in sede contenziosa.
Gli uffici possono ricorrere allo strumento dell’autotutela anche quando
ci siano pendenze del giudizio66 o sentenze che sono inoppugnabili: scadenze
66 A seguito della sentenza n. 274 del 2005 della Corte Costituzionale, il totale annullamento d’ufficio dell’atto impugnato non determina, di per sé, l’integrale cessazione della materia del
contendere, dovendosi procedere al regolamento delle spese di lite in base alla cosiddetta soccombenza virtuale, che presuppone un esame della fondatezza delle questioni introdotte nel giudizio e,
quindi, l’individuazione dell’ipotetico soccombente, anche per ragioni di natura solo processuale. In
base ai principi generali, per la condanna alle spese non è necessaria un’esplicita richiesta della parte
virtualmente vittoriosa. L’obbligo di statuizione sulle spese è escluso solo in presenza di un’espressa
rinuncia delle parti. In base alla suddetta sentenza, la compensazione delle spese è ammessa anche
quando il giudice dovesse convincersi che avrebbe annullato l’atto impugnato. Inoltre, va tenuto
presente che l’autoannullamento dell’atto non implica necessariamente che l’esito della controversia
sarebbe stato favorevole al contribuente, posto che, fra l’altro, l’autotutela può fondarsi anche su
motivi diversi da quelli ritualmente dedotti in giudizio. Conseguentemente, quando l’ufficio chiede
che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, occorre che prenda motivatamente
posizione anche sulle spese di giudizio, distinguendo le ipotesi in cui la compensazione continua ad
operare di diritto, ad esempio estinzione a chiusura della lite ai sensi dell’articolo 16 della legge n.
289 del 27/12/2002, da quelle in cui è ammessa la condanna alle spese, ad esempio estinzione conseguente ad autotutela. In caso di conciliazione, è opportuno che venga inserito espressamente
nell’atto di conciliazione e nel processo verbale l’accordo sulla compensazione delle spese.
30
dei termini per ricorrere o impugnare, atti non impugnabili, etc.. Con riferimento all’ipotesi dell’autotutela posta in essere in caso di ricorso pendente, essa ha una duplice ratio consistente sia nell’evitare un contenzioso destinato a
chiudersi negativamente sia nella prospettiva di dover rimborsare al contribuente vittorioso le spese di lite67. Tale tipologia di autotutela ha una sua collocazione normativa nella possibilità di annullare d’ufficio le iscrizioni a ruolo
ex art. 36bis e nella possibilità di modificare a favore del contribuente
l’accertamento parziale: si tratta di atti modificabili d’ufficio ove il contribuente ha fornito ulteriore documentazione ex articolo 3, comma 6, della legge n.
331 del 12/11/1992 secondo cui “l’accertamento parziale è annullato dall’ufficio emittente se dalla documentazione prodotta dal contribuente risulta infondato in tutto o in par-
L’articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato dall’articolo 2,
comma 1, lett. a), della legge n. 263 del 28/12/2005, prevede che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero,
le spese tra le parti”.
La recente modifica dell’articolo 92 citato impone l’esplicita indicazione nella motivazione
della sentenza dei giusti motivi che inducono a compensare le spese giustiziali. In caso di autotutela
è opportuno, quindi, fornire, al giudice elementi che possano giustificare la compensazione delle
spese. Al riguardo il giudice ha un ampio potere, trattandosi di valutazioni essenzialmente equitativa; può quindi fondare su più disparati elementi la sua decisione di derogare per quanto riguarda le
spese di lite al principio della soccombenza. Non è pertanto possibile una loro elencazione e classificazione. In sede di statuizione sulle spese di lite, il giudice può tener conto del comportamento
delle parti sia prima che durante il processo. La stessa circostanza dell’esercizio dell’autotutela, che
fra l’altro ha l’effetto di ridurre i tempi e gli oneri del processo, può essere invocata a favore
dell’ufficio sul piano della correttezza e della collaborazione col contribuente e col giudice.
67 “Di fronte al rifiuto di esercitare l’autotutela quando l’atto è stato impugnato e pende ricorso, appare superfluo immaginare rimedi giurisdizionali ulteriori: la tutela giurisdizionale in questi casi è già in corso e basterà attendere l’esito del giudizio. Tale esito assorbirà, in definitiva, anche la questione relativa all’esercizio dell’autotutela.
Non si possono invece escludere istanze di autotutela parallele al giudizio, ma per motivi non fatti valere nel ricorso e
che quindi non possono essere più introdotti nel giudizio tributario”. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto
tributario, pag. 166.
31
te”; in materia di I.V.A., una norma analoga si trova nell’art. 54 D.P.R. n. 633
del 26/10/197268.
Non si può agire in autotutela, invece, in presenza di sentenze passate in
giudicato favorevoli all’amministrazione finanziaria e che si siano pronunciate
sul merito della vertenza anziché su questioni di mero rito come: pronunce di
inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità, difetto di giurisdizione, incompetenza, ecc.69. Si può annullare o revocare l’atto, in casi simili, per motivi di
illegittimità dell’atto diversi da quelli oggetto della sentenza70. Così quando esiste una sentenza seppure passata in giudicato che accerti l’esistenza di cause
pregiudiziali, come un ricorso irricevibile, oppure l’incompetenza a decidere
della questione, o ancora l’inammissibilità dell’atto introduttivo nel processo
tributario, non sussistono ostacoli all’intervento in autotutela degli uffici71.
Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, pagg. 165-166.
Sul punto cfr. Circolare ministeriale del 5 agosto 1998, n. 198/S e circolare n. 195
dell’8 luglio 1997. In tal senso la dottrina, ex multis: Lupi in Trattato di diritto amministrativo, Diritto
amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese,
pag. 2678.
70 Si ritiene, altresì, che “legittimino il riesame, e possano formare oggetto del provvedimento di secondo grado, elementi prima non considerati, che operano, per così dire, dall’esterno rispetto all’atto e pongono in crisi
l’obbligazione risultante dal titolo. Deve trattarsi, cioè, di fatti od atti giuridici che siano sopravvenuti o che, pur essendo precedenti, abbiano acquistato rilievo proprio in conseguenza dell’efficacia dell’atto, i quali nell’uno e nell’atro
caso siano tali da comportare l’inesistenza dell’obbligazione o una diversa configurazione più favorevole al contribuente. […] …il superamento del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile si giustifica, appunto,
con la finalità di dare rilievo a fatti o situazioni prima non considerati, che dimostrino l’inesistenza dell’obbligo tributario. […] Un accenno in questa direzione si rinviene anche in Cass. SS.UU. n. 16776/2005, la quale distingue tra vizi originari ed venti sopravvenuti, lasciando intendere che l’esercizio dell’autotutela sia dovuto solo nel secondo caso. Opinione che si trova più chiaramente esplicitata in Cass. sez. trib. n. 3608/2006, la quale ritiene doveroso l’esercizio dell’autotutela e ammissibile il ricorso contro il diniego quando la domanda del contribuente sia giustificata da eventi sopravvenuti”. Michele Cantillo, Tutela giudiziale del contribuente, Rassegna Tributaria
2/2008, pag. 310.
71 Sul punto cfr. Circolare 8 luglio 1997, n. 195/E. Secondo il Tesauro, “Neppure il giudicato
impedisce in assoluto l’autotutela, purché il ritiro dell’atto venga fatto per motivi che non contraddicono il contenuto
della sentenza passata in giudicato: ciò discende dai principi ed, inoltre, è conforme al regolamento, ove è previsto che
68
69
32
Infine, il potere di autotutela non conosce limiti temporali in quanto può
essere esercitato sempre, anche se sono trascorsi decenni dall’emanazione
dell’atto, non essendoci ragioni di decadenza dell’azione amministrativa o di
prescrizione dell’esercizio del diritto da parte del cittadino72. L’ufficio che ha
esercitato il potere di autotutela deve dare comunicazione dell’esito al contribuente, all’organo giurisdizionale dinanzi a cui è pendente l’eventuale contenzioso e all’ufficio che ha emanato l’atto, nel caso di annullamento deciso con
potere sostitutivo73. Quando un atto di accertamento viene annullato o revocato, anche gli atti successivi e conseguenti, come le cartelle di pagamento, si
l’ufficio non può annullare il suo atto per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole
all’amministrazione finanziaria”. Tesauro, Compendio di Diritto tributario, pag. 85. Toto, Giudicato tributario
e autotutela, pagg. 656-657. Angelo Buscema, Giudicato di merito della Commissione tributaria e autotutela
del fisco, in Il Fisco n. 13/1999, ETI – De Agostini, pag. 4471. Lupi, Manuale giuridico professionale di
diritto tributario, pag. 167. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela,
pag. 213.
“Motivi diversi da quelli prospettati in sede giurisdizionale e che non sono stati oggetto di esame specifico da
parte dell’organo giudicante, possono in ogni caso determinare l’annullamento dei rispettivi rilievi, ove siano riconosciuti idonei dall’ufficio accertatore che ha emanato l’atto”. Sul punto Segretario Generale del Dipartimento
Entrate, nota n. 4079 del 18/07/1994.
72 Circolare n. 195/E dell’08/07/1997. In tal senso ex multis in dottrina: Patrizi – Marini
– Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 209, secondo cui “il nostro ordinamento
non stabilisce alcun termine entro il quale il potere sia da esercitare”. Secondo il parere n. 105547
dell’01/10/2003 dell’Avvocatura Generale dello Stato, non è esercitatile il potere di autotutela
dell’amministrazione finanziaria nel caso di un diritto al rimborso di un credito d’imposta prescrittosi. Autorevole dottrina, con riferimento all’ipotesi in cui il contribuente ha lasciato scadere il termine per richiedere un rimborso cui, tuttavia, ha oggettivamente diritto, ritiene che se è consentito
rimuovere le decadenze dovute alla mancata impugnazione di un atto, a maggior ragione deve essere consentito rimuovere quelle dovute alla mancata richiesta di rimborso. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, pag. 172.
73 “…pur riconoscendo all’ufficio la massima discrezionalità in ordine all’an, al quando ed al quomodo per
l’esercizio del potere di autotutela, tale discrezionalità non può spingersi verso la mera facoltatività del riesame: se,
quindi, non vi è alcun obbligo di accogliere, in tutto o in parte, le ragioni del contribuente, deve comunque ritenersi
sussistere l’obbligo del riesame, con comunicazione alla parte degli esiti negativi dello stesso. In mancanza, si concretizza da parte dell’ufficio l’ipotesi di inerzia che assume la connotazione di gravità qualora il silenzio perduri anche
dopo reiterate ed inevase sollecitazioni, così giustificando l’intervento sostitutivo dell’organo sovraordinato”. Antico –
Carriolo – Fusconi – Tucci – Zappi, L’accertamento fiscale, pag. 341.
33
annullano automaticamente, comportando per l’amministrazione il dovere di
rimborsare quanto indebitamente riscosso74.
Di rilievo è, altresì, ricordare che l’autotutela può originarsi anche attraverso istanze telefoniche da parte del contribuente verso i nuovi centri di assistenza telefonica, attivi dal luglio 2000. Infatti, per i casi più semplici, questi
centri sono in grado di annullare o rettificare le comunicazioni e gli avvisi inviati a seguito della liquidazione automatizzata delle dichiarazioni ex articolo
36 bis del D.P.R. 600/1973 e articolo 54 bis del D.P.R. 633/1972. Le varie
circolari relative alle competenze dei call center sopra richiamati riportano i casi
in cui i consulenti telefonici possono intervenire: errori di compilazione della
dichiarazione facilmente riconoscibili, eccedenze di imposte non confermate
dal sistema informativo, versamenti non abbinati, nonché correzione di detrazioni o ritenute di acconto a seguito di acquisizione di documenti probatori,
inviati anche tramite fax.
9
Il diniego di autotutela
Desta notevole interesse, alla luce anche di quanto è emerso in sede giuri-
sprudenziale, l’orientamento espresso da autorevole dottrina volto ad individuare un rimedio a favore del contribuente in ordine all’ipotesi del mancato
74 Sul punto cfr. Circolare ministeriale del 5 agosto 1998, n. 198/S.
“…in caso di annullamento in via di autotutela, anche se essa è espressione di un potere caratterizzato da una discrezionalità amministrativa e cioè dalla possibilità per l’amministrazione di scegliere se, quando e in che modo esercitarlo, la riconosciuta illegittimità dell’atto presupposto e il relativo annullamento d’ufficio porta necessariamente
all’annullamento degli atti consequenziali”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 207.
34
esercizio dell’autotutela75 sub specie di diniego o inerzia, fermo restando che rispetto agli atti impositivi o al diniego di rimborso, il giudice tributario ha cognizione piena e conosce l’intero rapporto tributario, verificando la corrispondenza ai modelli legali dei presupposti di fatto e di diritto, su cui si fonda
l’obbligazione tributaria che incide sui diritti soggettivi patrimoniali che si asseriscono violati76. Sul punto, considerato che nella prassi non vi è allo stato
attuale un orientamento costante e che esiste un orientamento della giurisprudenza di legittimità che individua nel giudice tributario l’autorità competente
in materia77, la tutela residua viene individuata sulla base della situazione giuri-
Sull’ipotesi di un giudizio risarcitorio ad opera della magistratura ordinaria sotto il profilo risarcitorio: Salvatore La Rosa, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in Rivista di
Diritto Tributario, Giuffrè, 1998, pag. 1157.
76 “Secondo questa impostazione il legislatore avrebbe dunque configurato il processo tributario come un processo di impugnazione ma destinato all’accertamento del rapporto giuridico di imposta, attribuendo al giudice la capacità
di conoscere quel rapporto obbligatorio, al fine di verificare eventuali lesioni della posizione giuridica di diritto soggettivo del contribuente a non vedere vulnerati i propri diritti patrimoniali”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego
di autotutela e la giurisdizione tributaria, pag. 162.
77 La giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso che la giurisdizione sul diniego, espresso o tacito, di autotutela spetti alle commissioni tributarie: Cass. civ., sez. un., 16776/2005.
“Ciò a seguito della nuova formulazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1996, come modificato dall’art.
12, comma 2, della legge n. 448 del 28/12/2001, che ad avviso dei giudici romani avrebbe fatto divenire la giurisdizione esercitata dal giudice tributario “una giurisdizione a carattere generale, competente ogniqualvolta si controverta di uno specifico rapporto tributario. La riforma del 2001 avrebbe, altresì, comportato una modifica dell’art. 19 del
D.Lgs. 546/1992, tanto da consentire l’accesso al contenzioso tributario di ogni controversia avente ad oggetto tributi. Inoltre, si dovrebbe ritenere implicitamente abrogato, sulla base dell’interpretazione della Suprema Corte, il terzo
comma del medesimo articolo secondo cui gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente, con
la conseguenza che l’elencazione degli atti impugnabili ivi contenuti non sarebbe più tassativa”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione tributaria, pag. 161. Secondo la Consulta, “solo formalmente il ricorso del contribuente si indirizza contro gli atti dell’amministrazione finanziaria ma, in sostanza, esso
investe il presupposto su cui la detta amministrazione si fonda e cioè la sussistenza e l’entità dell’obbligazione stabilita dalla legge. Trattasi, com’è stato rilevato anche in dottrina, di giudizio sul rapporto e non di impugnazioneannullamento: correlativamente, la pronuncia del giudice, che provvede sulla medesima, consiste fondamentalmente
nell’accertamento della sussistenza dell’obbligazione tributaria e, in via consequenziale, nella pronuncia sulla legittimità degli atti posti in essere dall’amministrazione finanziaria per provvedere alla riscossione coattiva dell’imposta”:
Corte Costituzionale n. 63 del 01/04/1982. Si deve peraltro rilevare che la stessa Suprema Corte
ha negato che si tratti di un atto impugnabile, in quanto discrezionale: Cass. civ., sez. I, n.
13412/00; Cass. civ., sez. trib. n. 1547/02. In tal senso anche Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pag. 201.
75
35
dica soggettiva spendibile in sede di giudizio, vale a dire l’interesse legittimo al
corretto esercizio di un potere discrezionale78 che trova la sua collocazione in
sede di giudizio amministrativo 79 : il giudice sarebbe chiamato a stabilire se
Per quanto attiene la giurisprudenza di merito, occorre registrare un contrasto tra quanto recentemente sancito dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia e da quella di Sondrio. La
sezione n. 3, della C.T.P. di Brescia, con sentenza n. 47, depositata il 21/06/2006, ha sancito
che l’esercizio dell’autotutela è una facoltà dell’amministrazione e non fa sorgere alcun diritto azionabile con il ricorso. Quindi, la Commissione ha ritenuto di dover pronunciare l’inammissibilità del
ricorso proposto contro il diniego poiché non rientra, peraltro, tra gli atti tassativamente indicati
dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e ciò a maggior ragione se il rapporto tributario si è gia definito con l’emissione dell’avviso di accertamento non impugnato e, quindi, definitivo. La sezione n. 2
della C.T.P. di Sondrio, con sentenza n. 41 del 06/11/2006, ha stabilito, invece, il giudice può
annullare il diniego di autotutela e rettificare la somma richiesta dal Fisco al contribuente con cartella di pagamento.
78 “La dottrina tradizionale definisce la discrezionalità come facoltà di scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla causa del
potere esercitato. Da questa definizione derivano i seguenti elementi caratterizzanti la discrezionalità:
facoltà di scelta, in assenza della quale si proliferebbe una attività vincolata;
la scelta deve avvenire tra più comportamenti giuridicamente leciti, in quanto, come si è detto, l’attività amministrativa incontra limiti negativi volti a conservare l’attività nei limiti della liceità;
soddisfacimento dell’interesse pubblico stabilito dal legislatore, il quale è limite supremo della discrezionalità
amministrativa. La P.A. non può, in via primaria, agire per la realizzazione di un interesse privato, se non in via
indiretta, in quanto cioè sia soddisfatto in via principale l’interesse pubblico;
perseguimento di un fine rispondente alla causa del potere esercitato (c.d. principio della congruità tra i poteri
ricevuti e obiettivi dell’azione amministrativa). Ogni potere che la P.A. si vede attribuito per legge è, infatti, in via
preventiva stabilito dal legislatore stesso in funzione del perseguimento di un fine prestabilito. Pertanto, gli strumenti
per raggiungere determinati risultati sono in qualche modo obbligati e, ove i limiti imposti non vengano rispettati,
l’atto emanato sarà affetto da illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della causa tipica”.
Francesco Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2006 pagg. 900 e 901.
Secondo il Falsitta, “La potestà di imposizione officiosa è la potestà regolata dalla legge in modo dac tutelare efficacemente l’interesse pubblico alla tempestiva, regolare e perequata percezione delle entrate tributarie occorrenti
per finanziarie le spese pubbliche. Ciò importa che quella di imposizione è, di norma, una potestà amministrativa
vincolata e non discrezionale. L’esercizio della potestà di imposizione è regolato dalla legge in modo preciso e specificatamente puntualizzato, sicché la stessa è potestà vincolata. […] L’opinione prevalente in dottrina, peraltro, ricollega
tale connotazione (vincolatività) al peculiare interesse pubblico tutelato dalle norme tributarie. Non mancano, tuttavia, anche in materia impositiva, aree in cui l’amministrazione gode di un potere discrezionale di non trascurabile
spessore: ciò si verifica in particolare nelle ipotesi in cui la legge assume a parametro dell’imposizione valori medio ordinari. […] A nostro avviso, nell’applicazione dei tributi si riscontrano vaste aree di discrezionalità tecnica […] che
presuppone la effettuazione di valutazioni alla stregua di conoscenze tecniche, nella quale, una volta compiute tali valutazioni, l’autorità amministrativa è poi vincolata a provvedere in quel certo modo che l’ordinamento prevede per
l’ipotesi che l’apprezzamento tecnico contribuì a far conoscere”. Nel caso della discrezionalità amministrativa
tout court, invece, “la possibilità di scelta rimessa all’amministrazione può essere graduata in una ben varia gamma
di alternative e riguardare momenti più o meno rilevanti dell’azione dell’ente, ossia, di volta in volta la stessa possibilità di agire, l’entità, il modo, il momento dell’azione, e così via”. Gaspare Falsitta, Corso istituzionale di diritto
tributario, II edizione, Cedam, 2007, pag. 173 e 174.
79 Il Consiglio di Stato, in netto contrasto con la Cassazione, ha affermato che il controllo di
legittimità sull’operato erariale deve essere esercitato dall’unico giudice a ciò competente, e cioè il
36
l’amministrazione ha conciliato in modo razionale e non arbitrario gli interessi
in gioco 80 . La valutazione del giudice amministrativo non può invadere
l’ambito giurisdizionale delle commissioni tributarie, ergo deve limitarsi a stabilire se l’amministrazione sia illegittimamente rimasta inerte o se ha motivato in
modo inadeguato la propria decisione81. Il risultato finale è, dunque, una nuova decisione, più congruamente motivata, ma che non assicura la diretta realizzazione, su iniziativa del giudice amministrativo, della pretesa del contribuente82.
Da ultimo, sulla vicenda è intervenuta la Suprema Corte a sezioni unite con sentenza n. 7388/2007 che, in piena continuità con quanto affermato con la precedente sentenza n. 16776/2005, ha sancito la giurisdizione
giudice amministrativo. Nel caso di specie, si discuteva del diniego di sospensione, da parte di una
Direzione Regionale, di una cartella di pagamento, mentre era pendente il giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso; il ricorrente aveva
fatto appello al T.A.R. che si era dichiarato incompetente. Ebbene, per i giudici del Consiglio di Stato detto provvedimento è espressione non già del potere cautelare in senso stretto, che accede alla
tutela giurisdizionale completandola, bensì del potere amministrativo di autotutela proprio della
P.A.. Tale atto, che proviene dalla stessa amministrazione finanziaria, mira ad evitare una riscossione che sia sostanzialmente ingiusta o inopportuna, per l’esistenza di fatti o circostanze che sono oggetto di esclusiva valutazione, tipicamente discrezionale, dell’amministrazione; poiché si è in presenza di interessi legittimi, il sindacato sul predetto provvedimento non può che spettare al giudice
amministrativo. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6269 del 09/11/2005.
80 Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, pag. 173. Manzoni – Modolo, Manuale
breve di diritto tributario, pag. 100.
81 Sul punto, autorevole dottrina delinea anche dei profili di responsabilità penale e patrimoniale: “ciò che più attiene l’esercizio del potere di autotutela è il reato previsto dall’art. 238 del codice penale e, cioè,
l’omissione, il ritardo od il rifiuto d’atti d’ufficio che si configura quando il pubblico ufficiale indebitamente omette,
rifiuta o ritarda un atto dell’ufficio o del servizio…Un esempio di responsabilità patrimoniale amministrativa è quella di un funzionario che non annulla subito un proprio atto manifestamente illegittimo e che viene chiamato a rispondere delle eventuali spese di giudizio poste a carico dell’amministrazione finanziaria”. Patrizi – Marini – Patrizi, Accertamento con adesione, conciliazione e autotutela, pagg. 221-222.
82 Lupi, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo terzo: I servizi pubblici.
Finanza pubblica e privata, a cura di Sabino Cassese, pag. 2682. Sulla configurabilità di una tutela in
capo al contribuente che si vede rifiutare immotivatamente l’esercizio dell’autotutela cfr. TAR Toscana, n. 767 del 22/10/1999.
37
delle commissioni tributarie limitandola però in materia di rifiuto espresso di
esercizio di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria83. I punti fondamentali della sentenza possono essere enunciati secondo quanto segue:
-
spetta alle commissioni tributarie di valutare se il provvedimento di diniego di autotute-
la possa essere ricompresso nell’elencazione degli atti impugnabili dinanzi ad esse di cui
all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992;
-
indipendentemente dalla natura e contenuto dell’atto impugnato, laddove il rapporto
controverso verta in materia di tributi di qualunque genere e specie la cognizione è affidata
alla giurisdizione delle commissioni tributarie “ratione materiae”;
-
l’allargamento della giurisdizione tributaria include il sindacato del giudice circa il cor-
retto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione finanziaria prima ancora
dell’esistenza dell’obbligazione tributaria nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di
controllo giurisdizionale che non può mai comportare la sostituzione del giudice
all’amministrazione in valutazioni discrezionali, né l’adozione dell’atto di autotutela da
parte del giudice tributario, ma solo la verifica della legittimità del rifiuto dell’autotutela, in
relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell’art. 2 quater del D.L.
Si ritiene che “il dovere dell’ente impositore di iniziare il procedimento di autotutela e di decidere
sull’istanza con provvedimento motivato scaturisce in base ai principi della L. 241/1990 (in particolar, dell’art. 2 e,
con specifico riferimento all’autotutela, degli artt. 21 octies e 21 nonies). […] Ciò consente altresì di affermare, in
conformità a quanto ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. n. 16776/2005, che il ricorso è proponibile anche in assenza di un provvedimento espresso dell’ente impositore, nel qual caso la contestazione
concernente l’omesso esercizio dell’autotutela si appunta, secondo i principi ordinari, contro il rifiuto tacito ravvisabile
in tale comportamento: trattandosi di provvedimento vincolato sia nell’emanazione che nel contenuto, l’impugnativa è
ammessa anche quando il diniego risulti del tutto immotivato, come, appunto, in caso di rifiuto tacito […] In senso
opposto si è espressa la sent. n. 7388/2007, la quale, nell’ottica del carattere discrezionale dell’autotutela, nega che il
ricorso giurisdizionale sia ammissibile in caso di inerzia dell’Amministrazione. È stato giustamente obiettato che,
così opinando, si svuota di pratico valore anche il riconoscimento dell’impugnabilità del diniego espresso, giacché ad
evitare il contenzioso sarebbe sufficiente all’ufficio restare inerte”. Cantillo, Tutela giudiziale del contribuente, pag.
312.
83
38
n. 564/1994, convertito con modificazioni dalla legge n. 656/1994, e dell’art. 3 del D.M.
n. 37/1997, ne giustificano l’esercizio;
-
nel giudizio relativo al diniego di autotutela, il sindacato del giudice tributario ha per
oggetto il corretto esercizio di un potere discrezionale; pertanto, il giudice non può sostituirsi
all’amministrazione in valutazioni discrezionali né sindacare la fondatezza della pretesa
tributaria a meno che tale pretesa sia stata espressamente confermata dal provvedimento di
diniego84;
-
ove il rifiuto dell’annullamento d’ufficio contenga una conferma della fondatezza della
pretesa tributaria e tale fondatezza sia esclusa dal giudice, l’Amministrazione è tenuta ad
adeguarsi alla relativa pronuncia, potendo altrimenti esperirsi il rimedio del ricorso per ottemperanza, il quale, peraltro, non attribuisce alle commissioni tributarie una giurisdizione
estesa al merito85;
“Il contenuto della decisione giudiziale è in relazione, ovviamente, a quello del provvedimento impugnato.
Pertanto, in caso di rifiuto tacito o di diniego immotivato, il sindacato del giudice necessariamente si conclude con
l’annullamento del provvedimento medesimo e la consequenziale dichiarazione dell’obbligo dell’amministrazione di
pronunciarsi motivatamente sull’istanza, non potendo il giudice sostituirsi ad essa nell’emanazione del provvedimento.
Impugnandosi, invece, un provvedimento motivato, il sindacato del giudice, secondo i principi propri della giurisdizione
tributaria, si estende al merito del provvedimento e, dunque, alla conformità a legge del rigetto della domanda di autotutela, in particolare alla valutazione compiuta dall’ente circa l’esistenza e la consistenza degli elementi addotti a sostegno dell’istanza. I quali elementi, in ipotesi non considerati o erroneamente valutati dall’amministrazione, vanno
direttamente apprezzati dal giudice ai fini dell’accertamento in ordine all’esistenza dell’obbligazione tributaria”.
Cantillo, Tutela giudiziale del contribuente, pag. 313.
85 “La sentenza affronta anche l’ulteriore problema riguardante le modalità dell’eventuale esecuzione coattiva
della statuizione del giudice tributario e correttamente attribuisce ad essa efficacia propria della sentenza di condanna,
ritenendo insito nell’accertamento compiuto e nell’annullamento dell’atto impugnato l’obbligo giuridico dell’ente impositore di emettere il provvedimento di autotutela. […]…ove l’amministrazione resti inadempiente, il contribuente –
passata in giudicato la pronuncia – può conseguire l’annullamento dell’atto inoppugnabile e l’adeguamento
dell’amministrazione al dictum del giudice tributario facendo ricorso al procedimento di ottemperanza di cui all’art.
70 del D.Lgs. n. 546/1992. […] Suscita perplessità, al riguardo, il caso in cui il giudice si sia limitato ad annullare il provvedimento di diniego dell’autotutela, senza tuttavia affatto pronunziarsi sulla fondatezza, o meno,
dell’istanza, e che l’amministrazione, tenuta a rinnovare il provvedimento medesimo, a ciò non provveda. Occorre
chiedersi, infatti, se anche in questo caso si possa far ricorso al giudizio di ottemperanza, per cui il commissario ad
acta, sostituendosi all’ente impositore, debba emettere il provvedimento, accogliendo o rigettando la domanda del contribuente. Verosimilmente al quesito deve darsi risposta positiva quando nella sentenza il giudice statuisca sugli ele84
39
-
il carattere discrezionale del ricorso all’autotutela comporta, altresì, l’inapplicabilità
dell’istituto del silenzio-rifiuto, non esistendo, all’epoca dell’atto impugnato, alcuna previsione normativa specifica in materia86.
Più delicato, però, è l’aspetto attinente l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali da parte del contribuente, a causa di atti sia impositivi sia dinieghi di
rimborsi, divenuti definitivi per mancata impugnazione entro il termine di decadenza legale87. Autorevole dottrina ravvisa un’evidente incongruenza logicogiuridica nell’attribuire ad un’autorità giudiziaria, a prescindere da quale sia, il
potere di riesaminare un atto impositivo o un diniego di rimborso, asseritamene illegittimo, laddove il contribuente abbia inutilmente lasciato trascorrere i
termini perentori per l’impugnazione degli atti. In altri termini, se si ammette
la possibilità per il giudice tributario di conoscere un provvedimento di diniego di autotutela ed, indirettamente, del rapporto giuridico tributario sottostante, si creerebbe una seconda possibilità, incompatibile con l’inderogabilità dei
menti e i criteri di giudizio ai quali l’amministrazione dovrà uniformarsi nel riemettere il il provvedimento, per modo
che risulti già definito il compito spettante al commissario”. Cantillo, Tutela giudiziale del contribuente, pag. 314.
86 Conforme la C.T.P. di Brindisi, sentenza n. 40 del 18/03/2008. Secondo autorevole
dottrina, “la legge n. 80/2005 ridimensiona il ruolo del silenzio rifiuto nell’ambito degli strumenti di tutela di cui il
privato dispone contro l’inerzia della P.A.: con la generalizzazione del silenzio-assenso, prevista dal nuovo art. 20,
legge n. 241/1990, infatti, il silenzio rifiuto è destinato ad operare solo in quei casi, oggi eccezionali, in cui la legge
non attribuisce all’inerzia della P.A. il significato di accoglimento dell’istanza del privato”. Caringella, Manuale
di diritto amministrativo, pag. 934.
Contra, la giurisprudenza avallata dalla pronuncia della Cassazione a sezioni unite n. 16776
del 10/08/2005 secondo cui “rientrano nella giurisdizione del giudice tributario le controversie relative
all’esercizio o al mancato esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di autotutela”: in senso conforme
T.A.R. Emilia Romagna, ordinanza n. 114 del 28/01/2005, T.A.R. Campania sent. n. 519
dell’08/05/2005, T.A.R. Trentino Alto Adige, n. 273 del 14/07/2003.
87 “Il fondamento e la ragione della decadenza è ispirato unicamente dal fatto oggettivo della mancanza di esercizio del diritto nel tempo stabilito ed è ispirato dall’esigenza di limitare nel tempo l’esercizio di un diritto quando ciò
sembri conveniente ad un interesse superiore conseguendone che alla tutela di interessi superiori tende, precipuamente se
non esclusivamente, la decadenza legale in contrapposizione alla decadenza negoziale che protegge interessi individuali”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione tributaria, pag. 163.
40
termini decadenziali, posti a tutela del superiore interesse pubblico alla stabilità
e certezza dei rapporti giuridici88. Pertanto, non pare proprio che nel caso di
impugnazione del diniego di annullamento in autotutela la cognizione del giudice possa estendersi al rapporto tributario in quanto non è di quello, ormai,
che si controverte89.
A sostegno di tale assunto, occorre considerare che con l’esercizio del potere di autotutela l’amministrazione non accerta né in tutto né in parte
l’obbligazione tributaria in quanto si tratta di un atto a contenuto discrezionale
con cui l’ufficio, dopo aver ponderato le diverse esigenze in gioco, quali la certezza e stabilità dei rapporti, il profilo della buona fede del contribuente, la
gravità del vizio denunciato etc., decide, facendosi carico di una funzione in
senso ampio giustiziale ed in ossequio al principio di capacità contributiva olIn tal senso: C.T.P. Brescia sent. n. 47/03/2006, depositata il 21/06/2006.
“La violazione da parte delle autorità fiscali, dei limiti legali posti all’esercizio del potere di annullamento in
autotutela, che non differiscono dai limiti posti alle attività discrezionali della P.A. in generale, comporterebbe
l’illegittimità dell’atto sotto il profilo della violazione di legge, ed in particolare, dell’eccesso di potere. Pertanto, in tale
ottica interpretativa, il giudice non potrà conoscere del sottostante rapporto tributario, divenuto definitivo, bensì potrà
sindacare l’eventuale presenza di vizi nella comparazione degli interessi in conflitto, effettuata dall’amministrazione.
Interessi che potrebbero essere tra l’altro individuati, in relazione alle caratteristiche del vizio dell’atto impositivo,
all’interesse alla stabilità dei rapporti giuridici, al tempo trascorso, nonché, al comportamento del contribuente”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione tributaria, pag. 164.
89 Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione tributaria, pagg. 166-167.
Secondo la giurisprudenza amministrativa: “l’indagine del giudice amministrativo sulla ricorrenza dell’interesse
pubblico che giustifica la revoca non può spingersi oltre la palese erroneità in fatto o la macroscopica illogicità e sproporzione nella nuova valutazione compiuta, perché resta riservata alla P.A. la scelta di merito compiuta e la valutazione concreta dell’interesse pubblico tutelato, naturalmente con l’onere di una puntuale motivazione” Tar Toscana, n. 2285 del 22/06/2004; “l’esercizio del potere di autotutela richiede la valutazione dell’esistenza di un
interesse pubblico concreto all’annullamento, non identificabile nel mero ripristino della legalità violata e la sua comparazione con gli interessi privati sacrificati” Consiglio di Stato, sez. IV, n. 803 del 30/07/1993; “tuttavia, concordemente si precisa in giurisprudenza che il provvedimento di annullamento d’ufficio di un atto deve essere
motivato con riferimento all’interesse pubblico attuale solo quando, in relazione al tempo trascorso dall’adozione
dell’atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive che al fine della loro rimozione necessitano
dell’esistenza e dell’esternazione di ragioni di pubblico interesse diverse da mero ripristino della legalità” Consiglio
di Stato, sez. VI, n. 634 del 27/07/1994.
88
41
trechè
a
quelli
di
buona
fede,
imparzialità
e
buon
andamento
dell’amministrazione, se procedere o meno al ritiro di una pretesa già esternata
e divenuta definitiva per mancata impugnazione. Secondo autorevole dottrina,
è proprio perché il potere/dovere di riesame di cui è espressione l’autotutela
non appartiene alla funzione impositiva di primo grado che possono essere
superate le principali obiezioni alla giustiziabilità del rifiuto di autoannullameto90. Pertanto, l’attribuzione sul rifiuto di autotutela alle commissioni tributarie, cioè allo stesso giudice competente sull’impugnazione della pretesa, non
significa introdurre un’inammissibile doppia tutela giurisdizionale, poiché la
struttura logica e l’oggetto del giudizio sul diniego di autotutela sarebbero comunque diversi da quello relativo alla pretesa fiscale sottostante e molto simili
al tipo di giurisdizione di legittimità affidato ai T.A.R. e al Consiglio di Stato91.
A fini di mera esaustività, infine, di notevole rilievo è il recente orientamento della Cassazione a Sezioni unite che ha chiarito come le controversie di
risarcimento danni per comportamenti illeciti dell’amministrazione finanziaria
90 “Non si tratta, infatti, di postulare un nuovo giudizio sulla pretesa tributaria divenuta inoppugnabile, con
scardinamento dei termini di decadenza previsti per la proposizione del ricorso, quanto di sindacare il corretto esercizio
del potere discrezionale di autotutela, attraverso un esame di come lo stesso è stato esercitato e di come sono stati ponderati tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie: il tempo decorso dalla raggiunta definitività della pretesa,
l’esistenza di una vera e propria patologia della pretesa tributaria, le ragioni che indussero il contribuente a non proporre ricorso e la sua buona fede, etc.”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la giurisdizione
tributaria, pag. 170.
91 “Ci si può invece chiedere se ad un sindacato di questo genere, in cui la posizione del contribuente è di interesse legittimo e si deve verificare il corretto uso di un potere discrezionale, non sia più adatto il giudice amministrativo. Mi sembra comunque che si debba fare i conti con la tendenza giurisprudenziale, emergente anche in altre vicende,
ad allargare i tradizionali limiti della giurisdizione delle commissioni tributarie, ritenendo in qualche modo superato
il principio di tassatività degli atti impugnabili, come dimostrano anche alcune recenti sentenze sul fermo degli autoveicoli o in tema di impugnazione dei rifiuti opposti dalle direzioni regionali alle istanze di disapplicazione ex art.
37bis, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973”. Pirrello - Stevanato – Lupi, Il diniego di autotutela e la
giurisdizione tributaria, pagg. 170-171.
42
dello Stato appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. Con la sentenza n. 15 del 2007, le Sezioni unite hanno precisato che tale controversia
non può sussumersi in una delle fattispecie tipizzate di cui all’articolo 2 del
D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992 attributive della giurisdizione esclusiva delle
Commissioni Tributarie. Al giudice ordinario, quindi, spetta accertare se vi è
stato da parte della P.A., anche in ambito tributario, un comportamento colposo che ha determinato la violazione di un diritto soggettivo92.
Conclusioni
L’introduzione dell’istituto dell’autotutela tributaria nel sistema giuridico italiano, sin dal lontano 1923, va vista e interpretata tenendo conto di un
quadro d’insieme formato da norme e soprattutto principi rispetto ai quali esso si pone in perfetta armonia nel rispetto degli interessi della collettività. Autorevole dottrina definisce in maniera esemplare il diritto come il prodotto
dello spirito del popolo che varia in funzione del tempo e dello spazio. A mio
parere, possiamo interpretare tale formula nel senso che un istituto in tanto
viene creato dal legislatore in quanto risponde, in un determinato Paese ed in
una certa epoca storica, a delle esigenze ben precise e radicate nel tessuto so-
92
Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 15 del 04/01/2007.
43
ciale e istituzionale. Ciò implica, quindi, che qualunque istituto è suscettibile di
mutare adattandosi alle nuove esigenze o addirittura di scomparire.
A tal proposito, un ruolo decisivo in tal senso è assolto dalle sollecitazioni
e dagli impulsi dei cittadini attraverso strumenti giudici veri e propri come lo è
il referendum, espressione più importante di democrazia diretta, oppure dalle
interpretazioni de iure condendo della dottrina o degli operatori del diritto, vale a
dire i funzionari di Stato o i liberi professionisti, nonché dalle interpretazioni e
applicazioni delle norme ai casi concreti della giurisprudenza. Tutti questi fattori possono legittimamente costituire una sorta di “banco di prova” del corretto funzionamento di un istituto della cui sorte, però, unico attore restano il
legislatore e la Corte Costituzionale.
Ebbene, con riferimento all’istituto dell’autotutela tributaria si è assistito
nel corso dei decenni, soprattutto nel primo decennio del 2000, a delle sollecitazioni fortissime che vedono contrapporsi tra loro diversi e penetranti interessi rispetto ai quali il legislatore è rimasto silente. Possiamo annoverare a tal
proposito:
-
l’interesse dei cittadini a invocare la giustizia sostanziale allorché siano vit-
time di errori commessi dalla pubblica amministrazione;
-
l’interesse dell’amministrazione finanziaria di garantire la stabilità dei rap-
porti giuridici tributari e la certezza del diritto;
44
-
i contributi della dottrina che danno chiavi di lettura evolutive del feno-
meno, talvolta anche estreme, al fine di fornire una versione sempre aggiornata dell’istituto;
-
le pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità che più di tutti
toccano da vicino il fenomeno ed elaborano risposte all’insegna del rispetto
dei principi costituzionali che però non sempre hanno il loro riscontro nella
legislazione ordinaria.
A fronte di questo quadro di sintesi relativo alla contrapposizione di interessi sottesi all’autotutela tributaria non mancano fenomeni distorsivi consistenti in pretese fatte valere in sede giudiziaria dai contribuenti alla cui base c’è
solo una ricerca oltranzista di tutela in casi in cui da un lato non c’è alcun errore commesso dall’amministrazione finanziaria e dall’altro c’è il tentativo di
porre rimedio a delle colpevoli inerzie consistenti nel non essersi tempestivamente attivati per impugnare un atto tributario: circa 2000 anni già valeva la
regola secondo cui vigilantibus non dormientibus iura succurrunt. L’autotutela, o rectius l’istanza di tutela del contribuente, è spesso vista come l’ultima spiaggia
per
mettere
in
discussione
la
validità
dell’attività
vincolata
dell’amministrazione finanziaria, tradotta negli atti di imposizione tributaria,
soprattutto quando si è nella fase terminale del procedimento, vale a dire,
quando si è di fronte ad un atto di riscossione i cui atti prodromici sono stati
volutamente o negligentemente ignorati.
45
Ebbene, nei casi in cui un errore dell’amministrazione non c’è questo
modus operandi che oscilla tra l’ingenuo ed il furbesco, reca dei danni non solo
all’ufficio impositore ma a tutta la collettività. Rimettere in discussione un atto
di imposizione definitivo significa rivisitare un procedimento ormai concluso
per inerzia o negligenza del contribuente, la qual cosa sottrae tempo ed energie intellettuali al responsabile dell’ufficio competente che dovrebbero essere
impiegate, invece, su altri versanti della lotta all’evasione. Ecco perché, a mio
parere, la risposta dell’amministrazione finanziaria deve essere secca e radicale
e tradursi o nell’astensione dal motivare un errore che non è mai esistito attraverso un atto di diniego oppure attraverso la richiesta della condanna al risarcimento danni per lite temeraria allorché la questione è stata trasposta in sede
giudiziale.
Laddove però un errore esiste e l’ufficio non se ne assume la responsabilità la questione è del tutto differente. In questo caso il contribuente deve sapere che ha anche altre sedi oltre quella tributaria per far valere i suoi diritti vale
a dire in sede giudiziale civile e penale. A testimonianza della delicatezza di
quest’ultimo tema, può forse darsi una spiegazione alle recentissime pronunce
della Cassazione a sezioni unite. In quella del 2006, infatti, i giudici si sono
spinti fino a ricomprendere nel novero degli atti impugnabili anche il silenzio
rifiuto tacito dell’amministrazione rispetto ad una istanza di tutela. La sentenza
del 2007, invece, ha ridimensionato la precedente precisando che oggetto
46
dell’impugnazione può essere solo il diniego espresso di autotutela alla luce del
fatto che non esiste alcuna previsione specifica in materia di silenzio rifiuto.
Molto probabilmente quella dei giudici di legittimità è stata una provocazione
sollecitatoria rivolta al legislatore affinché provveda a delineare nuove fattispecie suscettibili di impugnazione che diano ai contribuenti, lesi da errori non
certo volontari dell’amministrazione finanziaria, uno strumento efficace nei
casi di inerzia ingiustificata.
Che tutto ciò sia ispirato ad un principio di giustizia sostanziale nel pieno
rispetto del diritto di difesa e della capacità contributiva no è certo criticabile
ma non bisogna tralasciare che vi sono anche altri principi che si pongono in
un’ottica di collaborazione tra cittadino e P.A. che si traducono in ultima analisi nel dare attuazione al principio di legalità, alla buona amministrazione,
all’efficienza, efficacia ed economicità dell’attività amministrativa. Ciò che dovrebbe essere auspicabile, a mio parere, è che fermo restando che nell’ambito
di
un’attività
complessa
e
di
notevole
entità,
quale
è
quella
dell’amministrazione finanziaria, gli errori possono sempre verificarsi,
all’obbligo dell’ufficio impositore di rimediare deve corrispondere l’onere del
contribuente di attivarsi nei tempi e nei modi previsti dalla legge per far valere
il suo diritto a non pagare ciò a cui non è tenuto o a pagarlo nella misura giusta. Laddove però queste istanze sono solo un pretesto per rimediare a proprie
colpe ed inerzie di fonte ad un atto impositivo e in assenza di un errore, la
47
previsione normativa di un ulteriore rimedio giudiziale sub specie di impugnazione del silenzio rifiuto non può non tradursi in un inutile dispendio di energie dell’amministrazione ai danni della collettività di cui però deve darsi atto ai
giudici chiamati a decidere al fine di chiedere legittimamente un esemplare
condanna del contribuente alle spese di giudizio e al risarcimento danni per lite temeraria.