I PRIMI SETTANT’ANNI DELL’EUR. Giorgio Muratore Capitale del nuovo stato unitario italiano dal 1870, Roma era andata sviluppandosi secondo i criteri urbanistici dettati essenzialmente dalla sua nuova anima di città burocratica ed amministrativa, quale sede di tutte le funzioni ministeriali del paese. Segnata da grandi opere celebrative della riconquistata unità politica, Roma aveva ospitato, fino al 1922, cospicue realizzazioni architettoniche ed urbanistiche tra le quali emergono per la loro mole e per il loro significato simbolico due opere fondamentali: il Monumento a Vittorio Emanuele II°, il Re dell'unità nazionale, e il Palazzo di Giustizia, vero emblema edilizio del nuovo stato unitario. L'avvento del fascismo segnò quindi una svolta sostanziale nell'evoluzione urbanistica e nella edificazione di un nuovo volto simbolico dello stato e della città. Così, oltre alle numerosissime occasioni, più e meno effimere, che videro alcuni luoghi centrali della città, soprattutto il Circo Massimo, diventare luogo privilegiato di esposizioni e di manifestazioni di propaganda politica, artistica e commerciale, vennero realizzate cospicue iniziative di rinnovamento del tessuto storico della città e costruiti notevoli insediamenti con specifiche funzioni didascaliche e simboliche. Tra queste vanno ricordate, almeno, le realizzazoni del nuovo complesso del Foro Mussolini, della nuova Città Universitaria, della via dei Fori Imperiali, del Corso Rinascimento e, più tardi, in occasione della programmata, ma non realizzata Esposizione Universale del 1942, il quartiere E'42, oggi EUR. Parallelamente, un cospicuo programma di interventi infrastrutturali doveva povvedere alla rifunzionalizzazione delle zone centrali e semiperiferiche con la realizzazione di nuove zone commerciali e direzionali, come nel caso dell'area di via Bissolati, via Barberini e via Veneto (dove fu realizzato il nuovo Ministero delle Corporazioni di Piacentini e Vaccaro), con la realizzazione dei nuovi uffici postali (soprattutto importanti quello di Piazza Bologna di Ridolfi e Fagiolo e quello di via Marmorata di Libera e De Renzi), con la realizzazione della nuova Stazione ferroviaria nella zona monumentale di Termini, tra le Terme di Diocleziano e la Porta Maggiore (opera conclusiva della ricchissima stagione progettuale di Angiolo Mazzoni), completata poi nel dopoguerra. Accanto a queste iniziative ne vanno poi ricordate almeno due che, per i risultati cui dettero luogo, risultano di particolare rilevanza: la Mostra della Rivoluzione Fascista organizzata per celebrare il decennale della Marcia su Roma e il concorso per il nuovo Palazzo del Littorio che si sarebbe dovuto costruire lungo l'asse della nuova via dei Fori Imperiali che da Piazza Venezia conduce al Colosseo e che, di fronte ai ruderi della Basilica di Massenzio prevedeva la realizzazione di un Palazzo, sede delle strutture centrali del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) e della Mostra permanete della Rivoluzione. Nel primo caso si trattava di un allestimento effimero, progettato da Mario De Renzi, Adalberto Libera e Antonio Valente, che, attraverso un complesso sistema scenografico, arricchito dal contributo figurativo di Terragni, di Prampolini, di Calzavara e di molti altri interpreti di una vitale eredità futurista, descriveva le tappe essenziali dei primi dieci anni del fascismo. Tappa importante e assai significativa della cultura architettonica e figurativa della prima metà degli anni trenta, la Mostra della Rivoluzione si offrì quindi, come abbiamo già accennato in precedenza, quale occasione cruciale di confronto nel dibattito sulla modernità affiancandosi ad altre manifestazioni che, come la Triennale di Milano o la Mostra d'Oltremare di Napoli, o i numerosi Padiglioni italiani allestiti in occasione di grandi Esposizioni internazionali come quelle di Parigi, di Bruxelles o di Chicago, si costituirono, in forme diverse, quale banco di prova e di confronto della dialettica architettonica contemporanea. D'altro canto, il successivo Concorso per il nuovo Palazzo del Littorio, bandito nel 1934 e risultato poi senza esito immediato (alla prima fase del concorso ne seguirono altre che portarono, dopo alterne vicende, alla realizzazione del Palazzo l'attuale Ministero degli Esteri- nella zona del Foro Mussolini) resta come punto centrale per verificare nella divaricazione delle proposte progettuali la complessità delle posizioni culturali, stilistiche, metodologiche e culturali. In questo contesto tre sono i grandi cicli di architettura moderna realizzati Roma tra la prima e la seconda guerra mondiale ove risulta evidente lo scontro dialettico tra modernità e tradizione, tra innovazione e conservazione, tra classicismo e razionalismo, tra istanze derivate dall'esperienza futurista e quelle derivate dell'esperienza novecentista: il Foro Mussolini, 1927-1936; la Città Universitaria, 1933-1934; il quartiere della Esposizione Universale di Roma (E'42), 1937-1942. Essi rappresentano tre momenti chiave nello sviluppo della città contemporanea e costituiscono alcuni dei nuclei più importanti di Architettura Moderna anche a livello nazionale. Nel primo caso, quello del Foro Mussolini, si tratta di una serie di edifici, di atrezzature sportive e di parchi, integrati all'interno di un settore urbano prospiciente il fiume Tevere nella zona Nord della città. All'interno di questa parte di città trovano posto edifici ed attrezzature di grande rilevanza, tra queste vanno segnalate in particolare : l'"Accademia di Educazione Fisica" e lo "Stadio dei Marmi" opere di Enrico Del Debbio, che rappresentano il punto di incontro più tipico tra la cultura classica della Scuola Romana e le più recenti istanze europee, e la "Casa delle Armi", opera giovanile di Luigi Moretti, che rappresenta il punto più elevato del razionalismo romano degli anni trenta. Altro episodio cruciale della cultura architettonica romana degli anni trenta è sicuramente quello della nuova Città Universitaria, progettata nel suo insieme da Marcello Piacentini che chiamò a collaborare alcuni degli architetti italiani di maggior prestigio da Michelucci a Ponti a Pagano e, per quanto riguarda gli architetti romani personaggi come Foschini, Minnucci, Aschieri, Capponi, Muratori, Fariello ed altri. Terzo episodio cruciale: il quartiere dell'E'42 successivamente ribattezzato EUR, luogo della Esposizione Universale di Roma programmata per il 1942 e mai realizzata a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. All'interno di questo quartiere, completato poi nel dopoguerra, trovano posto alcune delle architetture più significative di quella piacentiniana "idea di città" che l'Italia degli anni quaranta andava definendo in opposizione alle tendenze razionaliste ed internazionaliste contemporanee, altrove dominanti. Si tratta di un nucleo urbano di grande respiro, organizzato secondo ipotesi monumentali, rappresentative e distributive prese a prestito dall'urbanistica classica, all'interno del quale vennero collocati edifici di notevole significato simbolico come il "Palazzo della Civiltà Italiana", opera di Guerrini, La Padula e Romano, il "Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi", opera di Libera, il "Palazzo degli Uffici" opera di Minnucci, i "Musei" della "Piazza Imperiale" cui collaborarono Fariello, Muratori, Quaroni, Moretti ed altri, l'edificio delle "Poste" di Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers, il "Museo della Civiltà Romana" di Aschieri, Bernardini e Pascoletti, i "Palazzi" INA e INPS di Muzio, Paniconi e Pediconi, la "Chiesa dei Santi Pietro e Paolo" di Foschini. In quel contesto, l'edificio che doveva assumere il ruolo di simbolo della vicenda espositiva, cioè il palazzo della Civiltà, diventò occasione per portare ad estreme conseguenze la formula di astrazione dell'architettura classica, in altre occasioni appoggiatasi alla metafisicità del primo De Chirico. E di contro, nello stesso quartiere l'edificio di Libera, il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, pur affondando le ragioni delle proprie certezze negli stessi argomenti ideali, trovò altresì l'occasione per sperimentare (attraverso il gusto del dettaglio, la finezza delle scelte tecnologiche e certe sofisticatissime soluzioni, sospese tra alta tecnologia e filologia neoclassica) gli elementi di approfondimento che quell'architettura portava con sè. Sicuramente l'opera più importante di Libera, il palazzo dei Congressi testimonia la raggiunta maturità dell'architettura italiana del periodo e sintetizza in maniera efficace, nella sua figura ancipite, i punti diametrali del dibattito descritto finora. Il capolavoro urbanistico di Marcello Piacentini, il quartiere sorto in occasione della prevista Esposizione Universale del 1942 compie quindi i suoi primi settant’anni. Oggetto di polemiche fin dalle sue origini, nell'immediato dopoguerra furono i molti ad invocarne addirittura la demolizione per cancellare in quella cruenta damnatio memoriae del passato regime, oltre al ricordo, anche la traccia architettonica. E, per la verità, qualche cosa accadde in tal senso, l'edificio realizzato da Armando Brasini per l'Istituto Forestale fu abbattuto con la dinamite e altrettanto si invocava per il "Colosseo quadrato", molti edifici furono completati e modificati in sintonia con i mutati gusti del tempo, come nel caso del Ristorante (piccolo capolavoro di Ettore Rossi, oggi quasi irriconoscibile) e molti altri spazi pubblici, come la centrale Piazza Imperiale, furono "mascherati" per sovrapporre un'immagine più moderna e tecnologica ai colonnati e alle scenografiche apparecchiature del passato regime. Il quartiere infatti, oltre ad ospitare l'Esposizione prevista per il '42, donde il logo vagamente futurista di "E'42", doveva sostanzialmente testimoniare a vent'anni dalla marcia su Roma, i fasti di un potere che da tempo aveva percepito la valenza simbolica e propagandistica dell'architettura contemporanea e ne aveva perciò fatto uno dei suoi punti forti nella politica di persuasione, di consenso e di coinvolgimento delle masse popolari, come pure delle forze intellettuali, professionali ed industriali del paese. Un quartiere "simbolo" perciò, più ancora che un quartiere "modello", il quale sarebbe dovuto diventare, nell'idea dei progettisti e dei loro ispiratori, il punto di aggregazione del nuovo sviluppo urbano della capitale del regno e dell'impero. Un quartiere che si collocava strategicamente tra il centro antico e i nuovi territori appena "redenti" dell'agro pontino che si spingevano oltre le città nuove di Littoria, di Pomezia, di Pontinia e di Sabaudia, fino all'emergenza magica e misteriosa del Circeo; punto di riferimento di un'imponente struttura territoriale ed urbana imperniata sulla Via Imperiale che dal Vittoriano avrebbe portato al Mare. Con i suoi edifici, tutti o quasi oggetto di concorso e realizzati dai migliori (e spesso peraltro giovanissimi) architetti del momento, il quartiere, bloccato dalla guerra, rimase a lungo in uno stato di lunare abbandono, luogo privilegiato per il cinema romano di quegli anni difficili che vi ambientò più riprese, scene numerose, sia di soggetto neo-classico che neo-realista. Da Fellini ad Antonioni, da Pasolini a Bertolucci, a Pietrangeli, sono stati in molti ad approfittare della naturale disponibilità di quegli spazi dall'immagine fortemente connotata, allora ancora sospesi tra l'incubo e la nostalgia, tra la memoria e la speranza. Erano però assai pochi, negli anni sessanta, gli architetti abbastanza robusti intellettualmente e culturalmente in grado di ricordare senza un sapore di vergogna o di malinteso pudore la partecipazione a quella, invece straordinaria, avventura edilizia che pur aveva visto collaborare insieme, fianco a fianco, Libera e Nervi, Muratori e Quaroni, Muzio e La Padula, Rossi e Aschieri, Fariello e De Renzi, Pollini e Belgioioso, Minnucci e Pediconi, solo per fare qualche nome, alla più complessa vicenda architettonica europea della fine degli anni trenta. Tante, troppe furono le abiure non richieste, le facili amnesie, gli omissis pretestuosi. Ma di quell'avventura che vide lavorare insieme architetti e artisti, urbanisti e pittori, ingegneri e scultori, filosofi e palazzinari, era evidente l'impaccio e, nonostante lo sforzo e la caparbietà di alcuni tecnici valorosi, di Virgilio Testa soprattutto, il rapporto difficile e dialettico con la città storica fu comunque complesso e contradittorio. Dal Campidoglio poi, si guardava con diffidenza e sospetto alle autonomie gestionali di cui godeva questa parte così cospicua della città, che si governava autonomamente, e secondo criteri ben lontani dalle abitudini amministrative più consolidate. E fu così che, paradossalmente, in piena democrazia, proprio quel quartiere, simbolo pietrificato del passato regime, fu quello che meglio funzionava, che riusciva a mantenere forme di pianificazione e di controllo ambientale moderne, a funzionare secondo formule che nessuna legge urbanistica e nessuna amministrazione capitolina avrebbe saputo e voluto interpretare con altrettale coerenza e analoghi risultati. L'EUR andò così affollandosi di Ministeri, da quello delle Poste a quello delle Finanze, a quello della Sanità e di nuove importanti strutture terziarie. Al Palazzo della Civiltà, a quello dei Congressi, ai quattro originari Musei affacciati sulla Piazza Imperiale e a quello della Civiltà Romana (già dono della FIAT alla città, del Senatore Agnelli al Governatore di Roma), si andarono così ad affiancare le nuove strutture dell'ENI, dell'INPS, della Confindustria, della Società Generale Immobiliare, della ESSO, dell'IMI, dell'ICE, del Banco di Roma, dell'Alitalia (ora IBM), il Palazzo dello Sport, il Velodromo, il Palazzo della Democrazia Cristiana, restituendoci, nel complesso, l'ultimo quartiere romano al passo coi tempi, con le dimensioni e le vocazioni di un moderno Centro Direzionale. Non a caso quando, ancora oggi, qualche architetto straniero in visita a Roma, dopo il canonico "bagno di storia" cerca di visitare qualche nuova realizzazione, è soltanto l'EUR l'unica destinazione possibile, a meno di non voler scadere nel folklore metropolitano e negli abissi da megalopoli mediterranea della cintura periferica romana. L'EUR è diventato infatti l'unico centro di aggregazione di una prossima realtà metropolitana fatta di storia e non solo di vaneggiamenti tecnologici, di un futuro fatto di attenzione e di rispetto per il passato, anche relativamente prossimo, capace di rappresentare efficacemente Roma sul piano internazionale e di incuriosire utilmente una lettura colta della sua storia più recente.