Piacere e dolore, e dolore, perdite e guadagni

Piacere e dolore,
perdite e guadagni
Educare i giovani alla finanza e
alle scelte di risparmio
consapevoli
Percorso formativo sperimentale di
educazione economico-finanziaria
Novembre 2010
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Piacere e dolori, perdite e guadagni
Durata: 1 ora.
Obiettivo formativo Il modulo
formativo ha come obiettivo formativo
la comprensione da parte dello
studente dei meccanismi cognitiviemotivi alla base della percezione del
benessere e dell’avversione alla
perdita.
Contenuti di massima I concetti di:
inflazione,
tasso
di
inflazione,
inflazione reale, inflazione percepita,
perdita, benessere.
L’inflazione ci confonde le idee?
Se riprendessimo l’episodio della
bottiglia di champagne ricorderemmo
che, posto che lo champagne a 10 anni
dall’acquisto fosse aumentato di
prezzo, passando da 30 euro a 60 euro,
non possiamo essere sicuri che sia
rincarato il prezzo della bottiglia o che
sia calato il potere d’acquisto delle
persone a causa dell’inflazione, o
entrambi gli eventi.
E, come abbiamo già detto, per
comprendere questa affermazione, è
necessario:
1. aver chiaro che l’inflazione
confonde le idee sull’aumento
dei prezzi dei beni;
2. ragionare sulle relazioni tra
prezzi nominali, reali (depurati
dall’inflazione) e relativi, al fine
di capire che, benché sia d’uso
comune ragionare per prezzi
nominali, dobbiamo essere
consapevoli delle insidie che si
nascono
dietro
questa
questione.
Inflazione: diminuzione del valore della
moneta in rapporto ai beni e servizi che
essa può acquistare. In altre parole, con
l'innalzamento del livello dei prezzi, ogni
unità monetaria potrà comprare meno
beni
e
servizi,
conseguentemente
l'inflazione è anche un'erosione del potere
d'acquisto del consumatore.
Il livello generale dei prezzi viene misurato
in economia attraverso l'utilizzo di numeri
indice. Il calcolo del numero indice dei
prezzi viene effettuato in tre fasi:
1. costruzione del paniere: viene definito
un insieme di beni, detto paniere,
rappresentativo dei consumi finali delle
famiglie;
2. costruzione del campione di prezzi
rilevati: si individuano circa 33.000
negozi in 85 capoluoghi di provincia e,
per ciascuno di essi, si seleziona una
sola "referenza" (la marca più venduta
di ciascun prodotto) per circa 1.030
prodotti;
3. costruzione dell'indice, che prevede
alcune sottofasi.
I prezzi non aumentano in maniera
omogenea e l’indice è una media, per
questo motivo la variazione del potere
d’acquisto varia a seconda del paniere di
beni
acquistati
da
ogni
singolo
consumatore.
Accade,
infatti,
un
fenomeno
interessante che dipende dall’uso dei
prezzi nominali e dalla difficoltà di
comprendere la nozione di prezzi
relativi. Si tratta della confusione tra
l’inflazione, cioè un incremento
generale nell’indice dei prezzi al
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Piacere e dolori, perdite e guadagni
consumo, con l’aumento di uno
specifico prezzo relativo di un bene.
Il potere d’acquisto: quantità di beni e
servizi che con una unità di moneta si
possono acquistare. Più sono elevati i
prezzi, minore sarà la quantità di bene che
si possono comprare.
Con l'innalzamento dei prezzi (inflazione), il
valore della moneta si riduce e con ogni
unità monetaria si potranno comprare
meno beni e servizi, conseguentemente
l'inflazione è anche un'erosione del potere
d'acquisto.
Sappiamo che un’inflazione che
aumenta determina un accrescimento
dei prezzi delle cose, come nel periodo
della crisi argentina, quando si
raggiunse il tasso di inflazione mensile
del
200%,
determinando
una
situazione assurda per la quale che le
persone che andavano dal panettiere
alle ore 10 pagavano un chilo di pane 1
pesos, quanti andavano alle ore 11
pagavano per la stessa quantità 1,2
pesos e così via. In questo caso, il costo
del pane aumentava per colpa
dell’inflazione.
Prezzo reale: Sono i prezzi deflazionati,
riferiti cioè ad un periodo di riferimento
eliminando gli effetti dell’inflazione.
Se, infatti, il tasso d’inflazione è il
cambiamento percentuale del livello
generale dei prezzi da un anno all’altro,
il mutare di un prezzo relativo è,
invece, il cambiamento di prezzo di
uno specifico bene o servizio rispetto
ad altri beni o servizi (il costo
dell’albergo rispetto allo stipendio del
professore, ricordate?).
Indice dei prezzi al consumo: misura
statistica formata dalla media dei prezzi,
ponderati per mezzo di uno specifico
paniere di beni e servizi. Tale paniere di
beni e servizi viene scelto tenendo conto
delle abitudini di acquisto di un
consumatore
medio.
Nel
2010
comprendeva, ad esempio, alcune novità:
le Colf, gli smartphone e i voli low-cost.
E’ ovvio che, in entrambi i casi, la
percezione varia a seconda del bene
che utilizziamo quotidianamente,
poiché da una parte il tasso di
inflazione è un valore medio e il prezzo
dei beni muta in maniera differente,
dunque dipende dalla corrispondenza
fra i beni che compongono il paniere
utilizzato dall’ISTAT e quelli che noi
usiamo maggiormente; dall’altro le
persone tendono a confrontare i prezzi
dei beni che usano maggiormente,
dunque tale confronto varia da
Tasso di inflazione: indicatore della
variazione relativa (nel tempo) del livello
generale dei prezzi espresso in termini
percentuali (vedasi inflazione). Indica anche
la variazione del potere d'acquisto della
moneta. Un tasso di inflazione più alto
riduce il valore della moneta e, dunque, il
potere d’acquisto delle persone.
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persona a persona.
Se il professore confronta il suo
stipendio con il costo dell’albergo, un
panetterie potrebbe farlo con il costo
del grano, avendo una percezione
completamente differente del mutare
del suo stipendio negli anni.
Tuttavia, i prezzi possono aumentare
anche per altre ragioni, ad esempio per
una maggiore richiesta sul mercato del
bene in questione. Da qualche anno, ad
esempio, va molto di moda d’estate
indossare
dei
sandali
tedeschi
Birkenstock che sono realizzati sin dalla
fine del 1700. Il sistema dei prezzi ha
fatto sì che, finché questi sandali
fossero realizzati solo di color marrone
e utilizzati dai turisti tedeschi in Italia,
avessero un prezzo relativamente
basso, circa 37 euro. Da un certo punto
in poi, la loro comodità, specie
d’estate, ha fatto breccia anche sui
giovani italiani e sono spuntati un paio
di nuovi modelli disponibili in una
ridotta, ma nuova, varietà di colori. I
proprietari dei negozi che avevano la
distribuzione dei sandali, vista la
richiesta,
hanno
leggermente
aumentato i prezzi (circa 40 euro) e i
fornitori, accortisi dei possibili profitti
hanno aumentato la distribuzione e
lanciato nuovi modelli e colori, alcuni
rivolti ad un target più giovane.
Risultato: l’ultimo modello di sandali
creati costa circa il 50% in più di quello
che costava il modello base venduto ai
turisti tedeschi circa 10 anni fa. Ciò ha
portato molti clienti dei negozi meno
spendaccioni o alla moda, a scegliere
per l’estate saldali simili ma meno
costosi. In tal modo, si è raggiunto un
punto in cui sono esaurite le possibilità
non sfruttate di profitti. Nel gergo degli
economisti si è raggiunto un equilibrio
tra domanda e offerta.
Ora, in un’economia con inflazione
bassa, come di questi tempi, il
fornitore
si
accorge
subito
dell’incremento dei prezzi. Se, invece,
l’inflazione è del 20%, come negli anni
Ottanta, i segnali trasmessi da parte
del mercato sono più difficili da
interpretare.
L’aumento dei prezzi segnala una
maggior richiesta o invece è effetto
dell’inflazione? Solo se l’aumento del
costo dei saldali (+ 50%) equivale
all’inflazione generale, allora i prezzi
relativi non sono cambiati. Insomma
l’inflazione alta costituisce un disturbo
che
non
permette
di
capire
chiaramente come si modificano i
prezzi di beni e servizi. Inoltre,
un’inflazione alta riduce il valore della
moneta, dunque la quantità di beni che
si possono acquistare con essa,
diminuendo così il potere d’acquisto
delle singole persone.
I prezzi, in fin dei conti, per uno
psicologo non sono altro che la
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manifestazione esterna e visibile dei
gusti prevalenti della maggioranza
delle persone. La disponibilità a pagare
una somma di denaro per acquistare
un determinato bene o servizio, la
scelta di usare i nostri risparmi per un
viaggio all’estero o per un IPhone ci
rivela cosa vuole o cosa è importante
per una persona.
C’è, inoltre, altro effetto, che deriva
sempre dall’uso dei prezzi nominali e
dal fatto che le persone percepiscono
gli incrementi dei prezzi senza metterli
in rapporto all’inflazione.
Immaginate che siano assunti in prova,
in paesi diversi, due dipendenti con un
stipendio di mille euro al mese. Nel
primo paese l’inflazione è l’1% (come
ora in Italia) e nell’altro paese è il 10%
(come ora in Lituania). Dopo l’anno in
prova, vengono assunti con un
aumento di stipendio. Il dipendente
che guadagnava 1000 euro passa a
1.010, l’altro a 1.100. Secondo voi
quale dipendente è più contento?
La maggior parte delle persone ritiene
che il dipendente più contento è quello
che è passato da 1.000 a 1.100 euro. In
altre parole, giudica solo l’incremento
assoluto in prezzi nominali. 100 è più di
10. Non si tiene cioè conto
dell’inflazione nei due paesi e, quindi,
del potere d’acquisto dei due stipendi.
Ovvero non si ragiona in termini di
prezzi relativi, ovvero di quanto, in
realtà i dipendenti possono acquistare
con i due stipendi.
Questi meccanismi creano il paradosso,
un mistero per gli economisti,
consistente nel fatto che le persone
tendono a denunciare l’aumento dei
prezzi quando l’inflazione è bassa e si
lamentano meno quando questa è alta.
I cambiamenti dei prezzi relativi
possono insomma venir offuscati dai
forti incrementi dell’inflazione che ci
rendono difficile, se l’inflazione è del
10%, accorgersi delle differenze tra il
prezzo di un paio di sandali che è
aumentato del 5% ed uno che è
aumentato del 15%. Se l’inflazione è
inferiore al 2%, come nel 2010, è molto
più facile accorgersene perché la
differenza è dell’ordine di grandezza di
dieci volte l’inflazione.
L’inflazione, dunque, impedisce a tutti Stato, enti parastatali, privati - di fare
una cosa semplicissima ed essenziale:
fare i conti.
L’inflazione alta rende molte persone
contente perché, riesce a nascondere,
almeno per breve tempo, il fatto che è
lo stipendio a scendere (che sembra
salire comunque anche se meno) e non
i prezzi a salire, dato che il loro
aumento è generalizzato e lo stipendio,
anche se cresce, non aumenta allo
stesso modo dei prezzi. Un’illusione del
giudizio, l’”illusione monetaria”, le cui
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Piacere e dolori, perdite e guadagni
principali vittime sarebbero proprio i
lavoratori dipendenti.
I lavoratori sono più propensi ad
accettare una diminuzione del potere
d’acquisto del loro salario quando
l’inflazione è alta. Lo sono perché il più
delle volte neppure se ne accorgono,
giacchè vedono comunque gli aumenti
di stipendio in busta paga, mentre non
percepiscono
che,
per
colpa
dell’inflazione, diminuisce il loro potere
d’acquisto.
Illusione monetaria: l’illusione dovuta alla
tendenza a considerare i prezzi nominali
come stabili, confondendoli con i prezzi
reali
cioè
depurati
dell’impatto
dell’inflazione. Quando l’inflazione cresce,
la moneta perde valore, e il salario, pur
crescendo, lo fa in misura minore dei prezzi
al consumo, dunque si riduce il potere
d’acquisto delle persone, nonostante
sembra a tutti che lo stipendio sia
aumentato.
Ecco i motivi per cui il passaggio
all’euro è ancor oggi impopolare in
molti paesi europei. In Italia, nel 2010,
gli stipendi dei lavoratori dipendenti in
media hanno superato l’inflazione, ma
sono saliti talmente poco che molti
sono
scontenti
(anche
perché
l’inflazione è una media e i prezzi dei
beni salgono in maniera differente, non
dimentichiamolo mai). Siamo di fronte
a uno scenario opposto rispetto a
quando l’inflazione era a due cifre. Il
confronto tra allora e oggi è analogo a
quello della storiella dei due
dipendenti assunti dalla banca in due
paesi diversi.
Vi è però un altro problema legato
all’inflazione, quella che viene definita
la discrepanza tra l’inflazione “vera” e
“l’inflazione percepita”.
Se l’inflazione “reale” è misurata dai
prezzi al consumo, l’espressione
“inflazione percepita” è ambigua. Vuol
dire che non la percepiamo perché non
ce ne accorgiamo, perché è
impercettibile, o perché i processi
percettivi
alterano
la
realtà
accentuandone alcuni aspetti, e siamo
fuorviati da illusioni dei sensi o del
giudizio?
Il modo più semplice per chiarire la
questione consiste nel dimostrare
un’eventuale differenza che esiste tra
impressioni e realtà, cioè tra inflazione
percepita e indice dei prezzi al
consumo. Per farlo, si devono poter
misurare i due valori. L’inflazione
percepita si può misurare in modo
semplicistico
domandando
alle
persone se, secondo loro, i prezzi al
consumo sono saliti molto, abbastanza,
poco, nulla, o addirittura si sono
abbassati. Così ha fatto la Commissione
Europea. Se procedete in tal modo, le
risposte mostrano che la differenza tra
inflazione vera e percepita oscilla nel
tempo e che la seconda è sempre
superiore alla prima. E allora il
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Piacere e dolori, perdite e guadagni
problema si sposta. Si tratta di spiegare
come mai l’inflazione percepita può
superare di molto o di poco quella
vera, indipendentemente dal valore di
quest’ultima.
Dunque, l’inflazione
un’illusione?
“percepita” è
In un negozio di videogiochi dove si
servono di solito i miei nipoti, negli
ultimi tempi viene proposta un’offerta:
è possibile riportare i videogiochi della
Playstation3 già completati. In cambio
di tre cd di videogiochi in buone
condizioni il negozio offre due
possibilità: a) prendere un cd usato
“con garanzia”, oppure due “senza
garanzia”. Se si sceglie uno con
garanzia, è possibile conoscerne il
titolo, dunque sceglierlo. Se, invece, ci
si azzarda a sceglierne due “senza
garanzia”, il titolo del videogioco non
viene rivelato e non è consentita la
sostituzione nel caso non siano di
gradimento. In realtà, dopo qualche
scambio, i miei nipoti si sono accorti
che, la maggior parte delle volte, era
più conveniente la scelta priva di
garanzie, perché in media c’erano
almeno un gioco (alle volte di più ma
quasi mai di meno) che piaceva e non
si era mai posseduto (vige in famiglia la
regola che nessuno deve regalare loro
dei giochi, ma che i miei nipoti
debbano acquistarli da soli con i loro
risparmi). Mia nipote, più prudente,
quando era il suo turno, visto che
dividevano la PS3, ne sceglieva sempre
uno. Un giorno gli chiesi il motivo di
tale comportamento. Ammise di
essersi accorta che era più conveniente
prenderne due, come le diceva di fare
suo fratello, ma dichiarò che gli
seccava molto la delusione di trovare
un videogioco che non le piacesse. Era
cioè più avversa a perdere del fratello.
Nelle scelta che si è presentata ai miei
nipoti, al di là della quantità assoluta
dei benefici ottenuti, contano, infatti,
anche altri fattori, ad esempio
l’avversione alle perdite, che è diversa
a seconda delle persone. Per questo le
persone notano proprio quelle
variazioni che fanno male, cioè le
evidenti perdite di potere d’acquisto
nel caso di alcuni beni o servizi.
Tre meccanismi, infatti, entrano in
gioco quando si percepisce l’inflazione
più alta: la tendenza ad ancorarsi a ciò
che è noto, cioè i prezzi nominali
conosciuti, l’attenzione attirata dalle
differenze rispetto a ciò che è noto, il
maggior disappunto per le perdite di
potere d’acquisto in corrispondenza ai
beni che salgono rispetto ai guadagni
per quelli che scendono.
Proprio quel che avveniva a mia nipote
e i suoi videogiochi: preferiva non
essere comunque delusa da una
perdita, anche se la sicurezza gli
costava qualcosa in termini di
videogiochi ottenuti sui tempi lunghi.
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Piacere e dolori, perdite e guadagni
Suo fratello sopportava la delusione
delle perdite costituite dai videogiochi
che non piacevano o già posseduti, pur
di averne di più.
Molte ricerche hanno dimostrato che
noi concentriamo l’attenzione su ciò
che ci sta a cuore e non ci accorgiamo
delle evidenze contrarie e che l’entità
dell’avversione alle perdite dipenda
dalle persone e dalle circostanze. Se
uno di voi, magari dopo molti risparmi,
va a comprarsi un videogioco per la
propria PS3 e scopre che costano di più
di quello che prevedeva, prova un
senso di perdita più acuto rispetto a chi
acquista distratto o incurante di
quanto sborsa.
spese non saltuarie e che nessuno può
evitare.
Gli aumenti pesano
maggiormente sui poveri, innescando
una forte avversione alle perdite e
quindi scontento.
Come vedete è ancora una volta è un
problema di prezzi relativi.
Dunque la presunta “avversione alle
perdite”, spiega questa differenza tra
l’inflazione vera e quella percepita.
Le persone sono sinceramente
convinte che l’inflazione percepita sia
quella vera, e che i dati forniti dalle
varie agenzie nazionali, come l’ISTAT,
siano delle manipolazioni fatte per
tranquillizzare o ingannare l’opinione
pubblica. Si tende, inoltre, a sorvolare
sul fatto che l’indice nazionale dei
prezzi al consumo è un dato medio e
che persone con tenori di vita diversi
possono effettivamente discostarsi da
esso nel loro bilancio familiare
complessivo. Ad esempio le bollette
(acqua, luce, gas) e gli affitti tendono a
salire più della media e, trattandosi di
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