SuperNovae Mensile di aggiornamento astronomico di Skylive DAL NOBEL AI DUBBI SKYLIVE TELESCOPI REMOTI Skylive Telescopi Remoti è un servizio, promosso e portato avanti da appassionati di astronomia, che mette a disposizione degli utenti la possibilità di conoscere l'astronomia e di viverla in prima persona sotto il cielo. l'offerta sensazionale e la varietà degli oggetti da osservare, aggiungendo il Sole. Chiunque, registrandosi, potrà osservare tutto quanto il cielo sarà in grado di offrire. Gli utenti sostenitori del progetto potranno anche comandare direttamente i telescopi tramite PC o SmartPhone, e scattare bellissime astrofotografie, come la magnifica Nebulosa Aquila, nella costellazione del Serpente, immortalata in alto proprio tramite i nostri telescopi. 1 - IL CIRCUITO DI TELESCOPI REMOTI La missione storica di Skylive Telescopi Remoti è offrire il cielo a tutti, consentirne l'osservazione attraverso una rete internazionale di telescopi gestibili da remoto, dislocati sul territorio italiano e australiano. Gli utenti iscritti a Skylive potranno quindi osservare il cielo giorno e notte: durante il giorno boreale saranno visibili le bellezze del cielo australe mentre durante la nostra notte ci saranno i telescopi di Catania e Viverone a tener compagnia agli astrofili. Di prossima installazione ci sono altri due telescopi 2 - LA DIVULGAZIONE ASTRONOMICA Skylive promuove anche la conoscenza scientifica prima di tutto attraverso le pagine del proprio portale, aggiornate quotidianamente con le ultime notizie in campo astronomico prese dai principali organi di divulgazione come NASA, ESA, ESO, ASI, e poi attraverso gli Speciali, Il 2012 ha portato il Nobel per la Fisica alla scoperta, ormai consolidata, dell’espansione accelerata dell’universo. La prova di tutto è data dalla presenza di candele standard di grande potenza, come le supernovae di tipo Ia: oggetti celesti brillantissimi dei quali è nota la luminosità assoluta e quindi ottimi per calcolare la distanza in base alla luminosità apparente. Maggio 2012 è stato un po’ avaro di notizie, ma una è abbastanza affascinante: le supernovae di tipo Ia derivano da due processi diversi. Il primo processo è coerente con una luminosità stabile visto che è legato al raggiungimento del limite di Chandrasekhar, ma il secondo deriva dalla fusione di due nane bianche, dotate di massa incerta. Sono davvero candele standard? Le misure dell’accelerazione dell’universo sono state prese dando per certa la luminosità sempre uguale di questi corpi celesti, ma le cose stanno davvero così? La cosmologia non finisce mai… Stefano Capretti - Skylive italiani, dei quali uno solare a completare serate pubbliche gestite anche con la SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 collaborazione dell'Unione Astrofili Italiani (U.A.I.). Nel corso degli anni sono stati portati avanti cicli di serate sempre più numerosi, fino ad abbracciare un palinsesto che va dalla spiegazione delle nozioni di base dell'astronomia fino all'osservazione del cielo del periodo, costellazione per costellazione. Ogni serata pubblica è del tutto gratuita e aperti a tutti gli iscritti (sostenitori e non). Ciascuna serata è inoltre arricchita da video e materiale scaricabile gratuitamente. sempre Skylive Telescopi Remoti pensa anche ai più piccoli, con la divisione 123Stella! dedicata proprio ai bambini, ma anche a chi non si è mai avvicinato all'astronomia ed ha voglia di imparare in maniera indolore. Skylive Telescopi Remoti mette a disposizione gratuitamente il programma SkylivePRO per pilotare i telescopi remoti, chattare con gli altri utenti ed assistere alle dirette degli Speciali. SkylivePRO è il client Windows sviluppato da Skylive stesso. Per gli utenti che usano altri sistemi operativi è invece disponibile il nostro Client Web. Skylive Telescopi Remoti SUPERNOVAE Mensile di aggiornamento astronomico di Skylive Telescopi Remoti Presidente IVAN BELLIA Vicepresidente LUCA SCARPAROLO Telescopi Remoti & Astronomia A cura di STEFANO CAPRETTI Grafica DANY GOZZI Contatti: [email protected] Sito web: http://www.skylive.it Facebook: https://www.facebook.com/skylive.telescopiskwall SKYLIVE e 123Stella: Astronomia per grandi e per piccoli Rivista mensile di aggiornamento astronomico 2 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Sommario SuperNovae.................................................................................................................................................. 1 L’ASTRONOMIA ED I SUOI STRUMENTI ................................................................................................... 4 IL CIELO CAPOVOLTO ................................................................................................................................................................................................ 4 NUOVA QUIETE SU SATURNO...................................................................................................................................................................................... 5 ENCELADO: ULTIMO FLYBY PRIMA DEL 2015.............................................................................................................................................................. 5 SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE .......................................................................................................................................................................... 5 FRAMMENTI DAL PASSATO ......................................................................................................................................................................................... 6 UN SISTEMA SOLARE VELOCISSIMO ........................................................................................................................................................................... 7 VESTA: L’ANELLO CHE MANCA .................................................................................................................................................................................. 8 NESSUNO SHOCK PER IL SISTEMA SOLARE ................................................................................................................................................................. 8 SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI.............................................................................................................................................................................. 10 NIENTE TERRE INTORNO AI GIOVIANI....................................................................................................................................................................... 10 TERRE DISTRUTTE......................................................................................................................................................................................................... 10 UN PIANETA NASCOSTO........................................................................................................................................................................................... 11 UN PIANETA CHE EVAPORA ..................................................................................................................................................................................... 12 VAGABONDE GALATTICHE....................................................................................................................................................................................... 14 SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO ................................................................................................................................................................................. 14 SETACCIARE LA CINTURA DI ORIONE ...................................................................................................................................................................... 15 SUPERNOVAE Ia: CANDELE STANDARD? ................................................................................................................................................................. 16 BUCHI NERI A TAVOLA.............................................................................................................................................................................................. 16 AMMASSO CON “VISTA”.......................................................................................................................................................................................... 17 NGC 4698: UNA STRANA GALASSIA ........................................................................................................................................................................ 18 UNA NANA PER HUBBLE ............................................................................................................................................................................................ 18 SUPERNOVA TROPPO BRILLANTE .............................................................................................................................................................................. 19 BUCO NERO IN HD .................................................................................................................................................................................................... 20 I CALCOLI DI ALGOL................................................................................................................................................................................................. 21 SOLI TROPPO VIOLENTI ............................................................................................................................................................................................. 21 PRIMA IMMAGINE CON SORPRESA ......................................................................................................................................................................... 22 COLLANE DI STELLE ................................................................................................................................................................................................... 22 SPIRALI DI SPIRALI ..................................................................................................................................................................................................... 23 INIZIA L’ERA DELLE GITE SPAZIALI ............................................................................................................................................................................. 25 SUPERNOVAE DI ASTRONAUTICA............................................................................................................................................................................. 25 SPECIALE ECLISSE ANULARE DI SOLE – MAGGIO 2012............................................................................................................................................ 26 Gli appuntamenti Skylive di Giugno ...................................................................................................................................................................... 28 Universe Gallery ....................................................................................................................................................................................................... 29 SPECIALE: Il transito di Venere sul Sole ................................................................................................................................................................... 35 Rivista mensile di aggiornamento astronomico 3 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 IL CIELO CAPOVOLTO L’ASTRONOMIA ED I SUOI STRUMENTI Chissà se chi si considera astrofilo riesce a ricordare il momento in cui lo è divenuto, il momento in cui si è innamorato di quelle luci appese su quanto di più sconosciuto e inconcepibile la nostra mente possa immaginare. Forse ci si nasce attratti dal cielo, o forse lo si diventa. Forse è una caratteristica che il nostro provenire dalle stelle, dalle supernovae, ci rende necessario come respirare. Lo stesso percorso delle tartarughe marine che, pur nascendo lontane dal mare, hanno come primo istinto quello di andarselo a cercare. Per quanto mi riguarda, il fascino celeste si è manifestato attraverso i suoi misteri, attraverso le sue misure. Trecentomila chilometri al secondo sono tantissimi: il diametro terrestre è di dodicimila più o meno, quindi trecentomila sono venticinque volte la Terra! Eppure la luce impiega un solo secondo a percorrere venticinque volte il giro della Terra. La stella più brillante che vediamo invece si trova a poco più di otto anni luce: Sirio. Trasformate tutto in chilometri e… si, matematicamente ce la facciamo a fare il conto, ma fisicamente riusciremo mai a renderci conto dell’effettiva distanza di questa stella? Questa è stata la molla, per me: riuscire ad avere un concetto sulla carta, ma non averlo nella mente. Una stella di neutroni grande come Roma e con una massa in grado di curvare l’universo quasi come un buco nero. Una pulsar in grado di ruotare su sé stessa migliaia di volte ogni secondo. Facile a parole… impossibile o quasi crederci. Forse sono stato fortunato a rimanere affascinato da queste cose e non dalle immagini di Hubble che ho avuto modo di apprezzare si, ma soltanto dopo, a corollario di nozioni che avidamente andavo a cercare per “capire” senza poterci riuscire. Forse in questo modo ho apprezzato fino in fondo l’Astronomia pura, che troppe volte viene sporcata da argomenti che vengono spacciati per Astronomia ma che neanche le si avvicinano. Guardo i telegiornali, mi accorgo che si parla di “Astronomia” per parlare dei Maya, dell’allineamento dei pianeti che genera distruzione, di asteroidi che puntano la Terra minacciandola di morte, di pianeti al confine del sistema solare che ci guardano malignamente, di stelle compagne del Sole che sono in avvicinamento per annientarci. Poi ci sono le fotografie astronomiche, che ovviamente non sono “fintascienza” come certi programmi televisivi ma che spesso di astronomico hanno soltanto la cifra spesa per scattarle visto che si conoscono tutti i dettagli tecnici, ma non cosa si è immortalato. Forse se mi fossi innamorato delle fotografie di Hubble sarei rimasto deluso dal vedere soltanto “puntini” dentro il mio telescopio, così come sento dire da molte fonti astrofile. Forse avrei pensato anche io che senza un telescopio da tremila euro il cielo non può essere ammirato… mentre ad occhio nudo il cielo è quanto di più bello si possa osservare, insieme al mare. L’Astronomia è il fine ultimo della nostra vita: la nostra nascita e la nostra morte. Tutto il resto sono soltanto strumenti dell’Astronomia. Possiamo immortalarla perché è talmente democratica da farsi ammirare sia da chi la ama in profondità sia da chi la osserva in superficie. Non potremo mai capirla però: possiamo illuderci di comprenderne i meccanismi ma se cerchiamo di immaginarli davvero, dall’infinitamente piccolo di un Big Bang all’infinitamente grande di una galassia, rischiamo di uscirne pazzi. Ma sempre pazzi di lei. Stefano Capretti Rivista mensile di aggiornamento astronomico 4 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE ENCELADO: ULTIMO FLYBY PRIMA DEL 2015 La sonda Cassini sorvola Encelado e Dione ottenendo nuove immagini ma anche dati riguardanti l'attività gravitazionale della regione sud-polare trovare Rhea ma il prossimo flyby è previsto solo per giugno 2015, quando sarà la volta di Dione. Per Encelado occorrerà attendere il 14 ottobre 2015. Fonte: NASA JPL NUOVA QUIETE SU SATURNO 03/05/2012 - La sonda Cassini della NASA ha sorvolato di nuovo Encelado e Dione il 2 maggio 2012 ottenendo immagini durante l'incontro che, per i prossimi tre anni, sarà il più ravvicinato. La distanza raggiunta è stata di 74 chilometri dalla superficie della luna Encelado e l'incontro era finalizzato a misurare la variazione del campo gravitazionale di Encelado. Di nuovo, Cassini ha immortalato i getti provenienti dalle fessure sudpolari della luna di Saturno, consistenti in vapore acqueo, acqua ghiacciata e composti organici. Durante l'approccio maggiore si è osservata la concentrazione di massa al polo sud, che potrebbe indicare la presenza di acqua liquida sub-superficiale oppure una intrusione di ghiaccio che potrebbe spiegare la fantastica attività geologica del polo sud. Durante il mese di maggio, Cassini incontrerà Titano il giorno 22 in orbita equatoriale prima di intraprendere un movimento che lo porterà a studiare l'emisfero nord e l'emisfero sud di Saturno. Il 9 marzo 2013 Cassini tornerà a 07/05/2012 - Era stata battezzata “la grande tempesta del Nord” ma avremmo anche potuto chiamarla “l'infinita tempesta del nord”. È una tempesta nell'emisfero nord del pianeta Saturno con una superficie di dimensioni abnormi e fulmini 10.000 volte più intensi di quelli terrestri. È la piu grande tempesta registrata dagli anni '90 sulla superficie del pianeta, iniziata a fine 2010 e di cui solo ora si vede la fine. Dalla sua scoperta e per tutta la sua durata, la tempesta è stata seguita e ripresa dagli strumenti a bordo della sonda Cassini, fino a produrre a febbraio 2012 questo bellissimo ultimo fotogramma. Un'immagine che rappresenta un ottimo biglietto di invito per “Occhi su Saturno”, l'evento che il 26 maggio verrà dedicato in tutta Italia all'osservazione del Signore degli anelli. L'immagine è stata realizzata l'11 febbraio 2012 dalla wide-angle camera, mentre la Cassini inquadrava il pianeta da appena sotto il piano degli anelli che nell'immagine compaiono come una riga nera in primo piano, non essendo illuminati dalla luce del Sole. La sonda Cassini si trovava in quel momento a 2,8 milioni di chilometri da Saturno e la risoluzione è di 170 chilometri per pixel. L'immagine è stata realizzata con un filtro nell'infrarosso centrato a 752 nanometri e per questo risulta in bianco e nero. Questo ritratto è l'ultima tappa di un filmato lungo oltre un anno in cui, da diverse angolazioni e con illuminazioni varie, Cassini ha ripreso la nascita e l'evoluzione dell'enorme tempesta (vedi la serie di immagini). Oggi, nell'emisfero nord, dove l'atmosfera era stata in passato sconvolta ed erano presenti enormi formazioni nuvolose, sono visibili solo tracce di questo violento passato. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 5 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Ma a guardare bene, la preziosa fotografia presenta anche qualche sorpresa aggiuntiva. Poco visibili e quasi nascoste, fanno capolino tra gli anelli 4 delle oltre 60 lune di Saturno. Mimas, di 396 chilometri di diametro, appare come un punto luminoso quasi al centro del disco del pianeta, appena sotto gli anelli. Encelado, di 504 chilometri di diametro, è appena piu spostata sulla destra, visibile in tutto il suo splendore sullo sfondo scuro del cielo, sempre al di sotto del piano degli anelli. Le due ultime lune presenti, Giano ed Epimeteo, a causa delle loro minuscoli dimensioni quasi si perdono a confronto con il pianeta. Giano (179 chilometri) è appena visibile come un piccolo puntino all'estremo destra dell'immagine, mentre Epimeteo (113 chilometri) si trova appena sopra gli anelli sull'estrema sinistra dell'inquadratura. Per renderle più visibili nell'immagine, queste due minuscole lune sono state rese in post produzione più luminose di Saturno e delle altre lune di un fattore 1.5 e 1.4 rispettivamente. Solo uno dei trucchi della scienza per rendere ancora più belli i ritratti di Saturno realizzati negli anni dalla missione Cassini. Ed è proprio per riportare questo magnifico Saturno sotto la luce dei riflettori, o per meglio dire nel campo di vista dei telescopi, che il 26 maggio in occasione del 300° anniversario dalla morte di Gian Domenico Cassini, verrà organizzata in varie sedi italiane la manifestazione “Occhi su Saturno”, un'osservazione pubblica su scala nazionale che coinvolgerà astrofili, osservatori e planetari. Una manifestazione da non perdere, promossa dall'Osservatorio Astronomico Comunale “G.D.Cassini” e l'Associazione Stellaria, con la collaborazione dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'INAF e dell'Unione Astrofili Italiani. Fonte: MEDIA INAF FRAMMENTI DAL PASSATO Su Science uno studio sui frammenti di meteoriti trovati nelle rocce lunari portate sulla Terra dalle missioni Apollo. Sono una testimonianza del bombardamento di cui fu oggetto il nostro satellite all'alba del sistema solare. 18/05/2012 - Frammenti del passato. Sono quelli scoperti nei campioni di rocce riportati a Terra nel 1972 dalla missione Apollo 16. Frammenti di meteoriti caduti sul nostro satellite all'inizio della formazione del sistema solare. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, arriva dopo anni di ipotesi e ricerca di prove indirette. Un gruppo di ricercatori statunitensi guidati dalla Nasa ha identificato per la prima volta le briciole di questi antichissimi corpi celesti che hanno bombardato Terra e Luna quando entrambe erano ancora giovanissime. “Si tratta di un risultato importante – ha commentato Diego Turrini, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Roma – che fornisce nuove basi osservative per migliorare la nostra comprensione della evoluzione del Sistema Solare”. È noto da tempo che Terra e Luna, come anche tutti gli altri corpi del Sistema Solare, subirono un vero e proprio bombardamento da parte di piccoli o medi oggetti durante le prime fasi della loro formazione. Nei pianeti come la Terra, protetti da uno strato atmosferico e geologicamente attivi, i segni di queste piogge risultano quasi completamente cancellati e risulta estremamente arduo ottenere informazioni sul lontano passato. Tutti gli articoli possono essere approfonditi sul sito Sklive Telescopi Remoti e vengono inseriti quotidianamente. Puoi registrarti anche al feed RSS per essere informato in tempo reale di ciò che avviene nell’universo alla pagina http://www.skylive.it/Skylive_RSS.aspx. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 6 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 In questo contesto la Luna rappresenta invece un perfetto “testimone” in grado di preservare molte preziose informazioni. Le analisi realizzate su alcuni campioni di regolite prelevati nel corso della missione Apollo 16 ha individuato per la prima volta i frammenti di alcuni dei proiettili che affollavano il sistema solare tra i 3,4 e i 3,8 miliardi di anni fa. “I risultati forniscono informazioni su due importanti aspetti – ha commentato Turrini – da un lato indica che gli asteroidi sono stati i principali responsabili del cosiddetto Cataclisma Lunare, una fase di intenso bombardamento che è stata identificata appunto tramite i crateri lunari e che si pensa essere stata scatenata dalla migrazione dei pianeti giganti del nostro Sistema Solare”. Una delle predizioni di questa ipotesi era esattamente che il principale contributo a questo bombardamento fosse dato dagli asteroidi e che le comete avessero invece svolto un ruolo minoritario. “Da un altro punto di vista – ha aggiunto Turrini – questo risultato conferma che, in un impatto tra corpi celesti, frammenti del proiettile possono sopravvivere alla collisione e contaminare la superficie del corpo bersaglio anche quando si tratta di impatti ad alta energia come quelli responsabili della formazione dei bacini lunari”. 103 milioni di anni, è stato corretto attestandosi attorno a 68 milioni di anni. Quindi una differenza del 34%, il che non è poco. 146Sm è un isotopo del samario, un elemento chimico molto raro in natura, presente nel Sole e nel nostro Sistema solare al momento della sua nascita. Questo isotopo, dato il suo lunghissimo periodo di dimezzamento, è uno dei principali strumenti utilizzati dagli astrofisici per determinare la cronologia degli eventi avvenuti nel passato del Sistema solare e, quindi, anche la sua velocità di formazione. Fonte: MEDIA INAF UN SISTEMA SOLARE VELOCISSIMO Lo studio di un isotopo e del suo tempo di decadimento portano ad una stima molto inferiore per il tempo necessario alla formazione del Sistema Solare. 02/05/2012 - Il nostro buon vecchio Sistema solare ha ormai 4,5 miliardi di anni, ma è difficile sapere quanto tempo ha impiegato per formarsi completamente. La sua evoluzione potrebbe essere avvenuta in un periodo di tempo minore rispetto a quello stabilito fino ad oggi. Un team di ricercatori formato da Michael Paul (Università Ebraica di Gerusalemme) e altri provenienti dall'Università di Notre Dame, dal Laboratorio Nazionale Argonne (Illinois – USA) e da due università giapponesi, hanno esaminato l'attività di uno degli “orologi nucleari” utilizzati per stabilire l'età o le evoluzioni cronologiche di eventi passati. Parliamo del nucleo di samario-146 (da ora in poi 146Sm). La nuova stima del tempo di dimezzamento del 146sm sembrerebbe mostrare, quindi, che le lancette di questo particolare “orologio” naturale girerebbero ad una velocità maggiore e che il nostro sistema planetario potrebbe essersi sviluppato più velocemente di quanto ritenuto finora. Lo studio è stato possibile, nel corso degli anni, grazie all'impiego dell'acceleratore di particelle ATLAS. Fonte: MEDIA INAF Dalla ricerca apparsa su Science Journal si apprende che il tempo di dimezzamento di 146Sm, che finora si riteneva di Rivista mensile di aggiornamento astronomico 7 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 NESSUNO SHOCK PER IL SISTEMA SOLARE Il lento movimento del nostro sistema planetario è protetto da un campo magnetico più forte di quanto pensato finora e non produce onde nel mezzo interstellare. 11/05/2012 - Sembra essere più simile ad un tranquillo viaggio in barca piuttosto che un adrenalinico volo di un jet supersonico il moto del Sole e dell'eliosfera nello spazio interstellare. Una vera sorpresa per gli scienziati, che arriva dall'analisi dei dati raccolti dalla sonda IBEX (Interstellar Boundary EXplorer) della NASA e appena pubblicati in un articolo online sul sito della rivista Science. Una sorpresa perché, contrariamente a quanto si pensava finora, il nostro Sistema solare sembra non possedere la tipica onda d'urto – detta anche bow shock – che avrebbe dovuto precederlo nel suo percorso attraverso la tenue nuvola di gas e polveri interstellari. interstellare. I nuovi dati di IBEX infatti fissano questo valore a circa 83.000 Km orari. Che è un bel viaggiare, ma sempre 11.000 Km all'ora più lento di quanto ritenuto finora. Con questo ritmo l'eliosfera, secondo gli scienziati, produrrebbe più un'increspatura nel ‘mare' di gas e polveri che sta attraversando piuttosto che un vero e proprio shock. Il secondo indizio che rafforza questo scenario riguarda la pressione magnetica nello spazio interplanetario. I dati di IBEX, in accordo con quanto già rilevato dalle sonde Voyager, mostrano che il campo magnetico è più intenso al di fuori dell'eliosfera. Una condizione che richiede necessariamente velocità più elevate per produrre un'onda d'urto, come confermano anche due simulazioni al calcolatore condotte indipendentemente da altrettanti team di ricerca, uno negli Stati Uniti, l'altro in Russia. “È ancora troppo presto per dire esattamente cosa possono significare questi dati per gli studi sulla nostra eliosfera” continua McComas. “Per decenni le ricerche in questo settore hanno postulato l'esistenza di un bow shock. Quelle ricerche ora dovranno essere riviste alla luce degli ultimi dati di IBEX. Ma possiamo già dire che ci saranno profonde implicazioni su come entrano e si propagano i raggi cosmici nel nostro Sistema solare. Un fenomeno rilevante per i suoi effetti sui viaggi spaziali umani”. Fonte: MEDIA INAF VESTA: L’ANELLO CHE MANCA “Il caratteristico bang sonico prodotto da un jet che si sta muovendo a velocità supersonica è un esempio di bow shock nell'ambiente terrestre” spiega David McComas, Principal Investigator di IBEX. “A quei regimi, l'aria che si trova davanti al muso dell'aereo non riesce a spostarsi in modo sufficientemente rapido e si addensa. Quando il velivolo supera la velocità del suono, l'interazione cambia istantaneamente, producendo un'onda d'urto”. Quali informazioni in più hanno oggi gli scienziati per escludere la presenza di un bow shock che precede l'eliosfera? Intanto la velocità con cui tutto il nostro Sistema solare si sta muovendo relativamente al mezzo Rivista mensile di aggiornamento astronomico La missione Dawn conferma che l'asteroide è in realtà un protopianeta risalente alle prime fasi della formazione del sistema solare. Ben sei articoli su Science. I ricercatori dell'Inaf contribuiscono con i dati dello spettrometro VIR. 11/05/2012 - L'astronomia la fa da padrona, nel numero di Science di questa settimana. E il ruolo del protagonista, tra un Sole più lento del previsto e un pianeta finora sfuggito ai supertelescopi, va a Vesta. I dati raccolti nel luglio 2011 dalla sonda “Dawn” della Nasa, durante il fly-by su questo asteroide gigante (che all'anagrafe si chiama, in realtà, “4 Vesta”) sono la base per ben sei articoli firmati da diversi team di ricercatori. Un pacchetto di analisi scientifiche che autorizzano a parlare di una promozione sul campo per Vesta. Da asteroide (è il secondo del sistema solare, per massa) a vero e proprio proto-pianeta in qualche modo sopravvissuto fino ad oggi, tanto che rappresenta una vera 8 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 testimonianza “fossile” delle prime fasi del sistema solare. “I ricercatori dell'INAF sono molto presenti nella missione Dawn e hanno ruoli di responsabilità a livello di gestione della missione e nell'analisi e interpretazione dei dati raccolti, oltre ovviamente alla guida scientifica dello spettrometro VIR. Una bella soddisfazione e un'ulteriore conferma dell'alto livello internazionale raggiunto dall'astrofisica e dalla tecnologia italiana” commenta Maria Cristina De Sanctis, dell'INAF-IAPS di Roma, team leader dello spettrometro VIR e autrice di uno degli articoli usciti su Science. Il primo studio, quello che tira le somme, è firmato da Christopher Russell dell'Università della California a Los Angeles. Che incrociando i dati raccolti dai vari strumenti di Dawn, racconta come Vesta sia nato probabilmente durante i primi milioni di anni della formazione del sistema solare, evolvendo poi fino a formare un nucleo costituito da ferro, forse grande abbastanza da generare un campo magnetico. E indica proprio in quel “cuore” ferroso e nelle grandi dimensioni gli elementi che hanno permesso all'asteroide di soprvavvivere fino ai giorni nostri, anziché disgregarsi in corpi più piccoli sotto l'effetto della gravità e degli impatti con altri asteroidi. Una parte importante nell'analisi è affidata proprio ai dati provenienti dallo spettrometro VIR. L'articolo di Maria Cristina de Sanctis e colleghi analizza la mineralogia di Vesta, e conferma l'antico sospetto degli astronomi che sia proprio lui la fonte di una classe di meteoriti, detti HED (howardite-eucrite-diogenite) che ogni tanto colpiscono la Terra. La superficie di Vesta mostra tracce degli stessi minerali contenuti nei “sassi” che ci scaglia addosso, e un gigantesco bacino dalle parti del suo Polo Sud sembra proprio essere il punto da cui si staccano. Più in generale, spiegano De Sanctis e colleghi, Vesta sembra aver avuto una evoluzione geologica complessa, con la progressiva differenziazione di un mantello e di una crosta superficiale. Insomma quello che succede di solito ai pianeti, piuttosto che agli astereoidi. Anche lo studio di Vishnu Reddi, sempre basato sui dati dello spettrometro, descrive una storia lunga e tormentata, evidente dalla presenza di quattro classi spettrali distinte sulla superficie del pianeta, che parlano delle diverse fasi di vita per cui Vesta è passato. Dall'iniziale bombardameno di altri corpi che ne ha scavato la superficie, fino a fasi più tranquille che le hanno permesso di consolidarsi. Un altro gruppo di articoli (tra cui uno ancora di un nome italiano, quello di Simone Marchi del NASA Lunar Science Institute in Boulder, in Colorado), descrive invece uno per uno i crateri sulla superficie di Vesta. Il più grande, e il più giovane, è proprio quel cratere Rheasilvia, nei pressi del Polo Sud. Lungo circa 500 km, risalente a un miliardo di Rivista mensile di aggiornamento astronomico anni fa, e probabile fonte dei meteoriti HED. Nessuna evidenza, invece, che su Vesta vi sia mai stata attività vulcanica, altro punto di domanda a cui i ricercatori volevano rispondere. Il ritratto che emerge è insomma quello di un “anello mancante” nell'evoluzione del sistema solare. Vesta assomma caratteristiche tipiche degli altri asteroidi, della Luna e dei pianeti come la Terra, tanto che i ricercatori lo descrivono come un corpo celeste “di transizione”, dalle caratteristiche uniche. Una conferma che l'obbiettivo della missione Dawn era ben scelto (ma non è l'unico: c'è ancora l'asteroide Cerere, con cui la sonda ha appuntamento nel febbraio 2015). E che valeva la pena di “salvare” la missione dalle intemperie che, a un certo punto del decennio passato, ne hanno messo in dubbio la realizzazione, quando la Nasa considerava seriamente di cancellarla per ragioni di budget. “Quando si progetta una missione ambiziosa vi sono sempre forze contrastanti e si formano un partito pro e uno contro” ricorda Simona Di Pippo, che ha coordinato la partecipazione italiana a Dawn durante la realizzazione e il lancio come responsabile per l'Osservazione dell'Universo dell'Agenzia Spaziale Italiana (ruolo che ha ricoperto fino al 2008). “Ma posso dire che la partecipazione italiana ha avuto un peso importante nella decisione finale di mantenere la missione. L'Italia nel suo complesso ha sviluppato e consolidato da decenni un rapporto di credibilità con gli USA per la fornitura di strumenti scientifici. Iniziato con Cassini, continuato con Rosetta, su Dawn ci ha permesso di essere scelti e di far sentire la nostra voce al momento di prendere decisioni”. Quanto alla scelta degli asteroidi “bersaglio”, Di Pippo ricorda che “l'obbiettivo primario era andare a studiare le fasi primordiali del sistema solare, da cui il nome della missione, che sta per ‘alba'. Vesta e Cerere sono due corpi, molto diversi tra loro, che presi assieme sembravano fornire la maggior quantità possibile di informazioni sull'inizio del sistema solare”. E parlando di esplorazione del sistema solare, impossibile non ricordare che si avvicina ormai l'appuntamento della missione Rosetta con la “sua” cometa 67P/Churyumov– Gerasimenko, che raggiungerà nel 2014. Un'altra missione (a guida ESA, questa volta) in cui l'Italia ha un ruolo centrale. Fonte: MEDIA INAF 9 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI TERRE DISTRUTTE Gli occhi umani si fermano su luoghi nei quali un tempo erano sistemi planetari che oggi sono stati distrutti da nane bianche. 04/05/2012 - D'esopianeti si parla. O meglio, di quel che ne rimane. Quelli nei quali si sono appena imbattuti gli astrofisici dell'Università di Warwick, infatti, sono gli avanzi di sistemi planetari consumati dalle quattro nane bianche che li ospitavano. Insomma, questa volta siamo arrivati troppo tardi. Peccato, verrebbe da dire, per almeno due ragioni. Primo, li abbiamo mancati davvero per un soffio: gli scienziati ritengono infatti che il processo di “digestione” dei pianeti da parte delle nane bianche – ovvero, il tempo richiesto prima che gli elementi pesanti finiscano nel nucleo delle stelle, diventando invisibili – sia molto rapido, una questione di giorni. Secondo, in base alla composizione chimica dei suddetti avanzi, questa volta doveva trattarsi di pianeti parecchio simili alla Terra. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, però, è stato un colpaccio: ciò che si è srotolato innanzi agli occhi dei ricercatori è infatti il film di quello che potrebbe essere il destino del nostro pianeta. Ma andiamo con ordine. E diciamo subito che l'osservazione non è avvenuta per caso. Le quattro stelle incriminate, infatti, fanno parte della più grande survey mai condotta sulla composizione chimica dell'atmosfera delle nane bianche, compiuta utilizzando lo Hubble Space Telescope. Ora, poiché le nane bianche rappresentano lo stadio finale dell'evoluzione di stelle come il nostro Sole, trovarvi avanzi di pianeti non sarebbe in sé nulla di sorprendente. Coglierne le tracce, però, non è affatto semplice. O meglio, l'intervallo temporale a disposizione per riuscirci è molto breve: è il tempo impiegato dalla polvere planetaria per attraversare l'atmosfera d'idrogeno ed elio della stella stessa. Una finestra che, a causa dell'intensa forza di gravità esercitata dalle nane bianche, dura appena qualche giorno, con la materia che continua ad affluire a ritmi vertiginosi: fino a mille tonnellate al secondo. Ed è proprio analizzando la luce emessa dall'atmosfera delle stelle in quel breve arco temporale – per i pianeti coinvolti, le ultime ore di vita – che gli astrofisici guidati da Boris Gänsicke, primo autore dello studio in uscita su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, hanno rilevato, in quattro di esse, la presenza di quantità relativamente abbondanti d'ossigeno, magnesio, ferro e Rivista mensile di aggiornamento astronomico silicio: i quattro elementi che costituiscono, grosso modo, il 93 percento della Terra. Non solo: le tracce di carbonio, al contrario, sono risultate assai scarse. In proporzione, in quantità paragonabile a quella dello stesso elemento sulla Terra. Ed è in assoluto la prima volta che una percentuale così ridotta di carbonio viene rilevata nell'atmosfera polverosa delle nane bianche. Ma c'è di più. Una delle quattro stelle – per i più curiosi, il dimenticabile nome è PG0843+516 – ha mostrato pure un'abbondanza anomala di nickel, ferro e zolfo. Gli stessi elementi che ci si attende di trovare nel nucleo di pianeti rocciosi simili alla Terra. Vale a dire, pianeti sufficientemente grandi da aver subito un processo di differenziazione tale da separare, proprio com'è avvenuto per la Terra, il nucleo vero e proprio dal mantello. Fonte: MEDIA INAF NIENTE TERRE INTORNO AI GIOVIANI Un nuovo studio pubblicato a maggio mostra l'assenza di pianeti terrestri intorno a stelle che presentano giganti gassosi in orbita molto stretta. 08/05/2012 - Gli astronomi alla ricerca di pianeti simili alla Terra possono tirar fuori dalle possibilità le stelle con i gioviani caldi in orbita, secondo un nuovo studio. 10 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 La scoperta, pubblicata su "Proceedings of the National Academy of Science", conferma anche il movimento caotico di questi pianeti intorno alla loro stella di appartenenza. I gioviani caldi sono pianeti gassosi molto grandi che completano la propria orbita in meno di una settimana. Finora, molti scienziati pensavano che questi pianeti migrassero lentamente verso la propria stella tirandosi dietro i pianeti più piccoli. Utilizzando i dati di Kepler, un team di ricercatori guidato dal dr. Jason Steffen del Fermilab Center for Particle Astrophysics nell'Illinois ha utilizzato 63 stelle dotate di giganti gassosi di tipo gioviano caldo per verificare la presenza di questi pianeti più piccoli attraverso la presenza di disturbi gravitazionali. stretta. L'assenza di pianeti rocciosi nei pressi dei gioviani conferma questa teoria migratoria. Fonte: ABC Science UN PIANETA NASCOSTO Applicando ai dati del satellite Kepler la tecnica della misura delle variazioni del tempo di transito, la stessa che nel 1846 permise di prevedere l’esistenza di Nettuno, è stata confermata la presenza di un pianeta invisibile attorno alla stella KOI-872. 11/05/2012 - Per esserci c'è, ed è pure grosso: più o meno come Saturno. Gli astronomi sono così certi della sua esistenza da avergli già dato pure il nome: KOI-872c. Ma non c'è alcun modo di vederlo, l'ultimo pianeta extrasolare scovato dalla sonda Kepler della NASA. E allora come hanno fatto a individuarlo e caratterizzarlo? «Mettiamola così: se un treno ad alta velocità arriva in stazione con due ore di ritardo», dice David Nesvorny, del Southwest Research Institute, primo autore dello studio appena uscito su Science, «dev'esserci una buona ragione. Ecco, il trucco è stato capire qual è, questa ragione». Fuor di metafora, se un pianeta, correndo lungo quell'evanescente ma inesorabile binario che è la sua orbita, non arriva mai puntuale agli appuntamenti prestabiliti, dev'esserci qualcosa che lo frena o che lo fa accelerare. Tipo cosa? Per esempio, un altro pianeta. L'analisi ha dato esito negativo, così l'esame è stato ripetuto su stelle con gioviani "tiepidi", grandi pianeti con orbite di un paio di settimane, e con "nettuniani caldi". Pianeti simili alla Terra sono stati trovati nel 10% dei casi per i gioviani tiepidi e nel 30% dei sistemi nettuniani. Il team sostiene che la scoperta conferma la teoria sulla formazione di gioviani caldi, nota come interazione pianetapianeta, elaborata da Eric Ford e Frank Rasio sedici anni fa. La teoria suggerisce un incontro ravvicinato tra due grandi pianeti gassosi nei primi stadi di formazione del sistema planetario, che avrebbe spinto uno della coppia al di fuori del sistema e l'altro in orbita ellittica. Se il pianeta rimasto passa vicino a pianeti più piccoli li può sbalzare verso l'esterno del sistema planetario. Eventualmente, la stella può portare il pianeta più grande in una orbita circolare Rivista mensile di aggiornamento astronomico 11 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Il ragionamento non fa una grinza. Ed è anche alla base di un metodo noto da oltre un secolo e mezzo: la misura delle variazioni del tempo di transito (o TTV, transit timing variation). È proprio misurando le discrepanze fra la posizione osservata di Urano e quella attesa in base alla leggi della gravità che il matematico francese Urbain Le Verrier, esperto di meccanica celeste, riuscì nell'agosto del 1846 a predire non solo l'esistenza ma anche la posizione dell'allora sconosciuto Nettuno. Circa due mesi dopo, il pianeta venne effettivamente osservato per la prima volta, esattamente là dove Le Verrier aveva indicato. Sorte che il gigante alieno appena scoperto da Nesvorny e colleghi difficilmente potrà condividere con Nettuno, quella di venire osservato. La sua rivoluzione attorno alla stella KOI-872 (dove KOI sta per Kepler Object of Interest), che dura circa 57 giorni, segue un'orbita tale da renderlo completamente invisibile anche all'occhio ultrasensibile di Kepler. La sonda NASA, infatti, è progettata per rilevare il cosiddetto “transito”: il passaggio d'un pianeta fra la stella che lo ospita e noi che la osserviamo. Come quello che si verificherà tra il 5 e il 6 giugno prossimi dalle nostre parti, quando Venere “transiterà”, appunto, davanti al Sole. Ma affinché un transito sia visibile occorre che il piano dell'orbita del pianeta sia allineato con il nostro punto di vista: una condizione che solo una piccola percentuale degli esopianeti soddisfa (la probabilità è data dal rapporto fra il diametro della stella madre e il diametro dell'orbita del pianeta). Nel sistema planetario di KOI-872, però, un pianeta che transita davanti alla stella c'è: si chiama KOI-872b, ed è a lui che è toccato impersonare il ruolo di pianeta perturbato che un secolo e mezzo addietro fu di Urano. Il team guidato da Nesvorny ha ricostruito dall'immenso archivio di Kepler il “diario di bordo” di tutti i suoi passaggi davanti a KOI-872, appuntandosi l'orario esatto di ogni transito. Subito gli scienziati si sono resi conto d'essere davanti a un pianeta che, quanto a puntualità, lascia parecchio a desiderare, con variazioni fino a due ore rispetto alle attese. Armati di modelli matematici e computer, gli scienziati del team si sono quindi messi a valutare i possibili scenari in grado di spiegare queste variazioni temporali. Considerando che la sigla del loro progetto, HEK, sta per Hunt for the Exomoons with Kepler, lo scenario nel quale più speravano era, probabilmente, quello in cui il colpevole delle perturbazioni si fosse rivelato un satellite, una “luna extrasolare”. Invece è saltato fuori un pianeta. Ma gli astronomi hanno comunque motivo di essere soddisfatti: sebbene KOI-872c non sia il primo in assoluto a essere scoperto con il metodo della transit timing variation (vedi su Media INAF il caso di Kepler-19b, che però accumula solo una manciata di minuti Rivista mensile di aggiornamento astronomico di ritardo), questa è la prima volta che, con il metodo alla base della scoperta di Nettuno, si riesce non solo a certificare l'esistenza di un esopianeta invisibile, ma anche a calcolarne la massa e il periodo orbitale. Fonte: MEDIA INAF UN PIANETA CHE EVAPORA Si trova a 1500 anni luce di distanza, è piccolo come Mercurio e ha un tempo di rivoluzione intorno alla sua stella madre di appena 15 ore. I quasi 2000 gradi celsius della sua superficie stanno trasformando il suo materiale roccioso in una coda di gas e polveri, quasi fosse una cometa. 21/05/2012 - Un pianeta che evapora. È quanto ipotizzano aver scoperto ricercatori del MIT, della NASA e di altri istituti, in uno studio, basato su dati del satellite Kepler, pubblicato sull'Astrophysical Journal. Si tratterebbe di un pianeta delle dimensioni di Mercurio, a circa 1500 anni luce di distanza e con un'orbita intorno alla sua calda stella madre di appena 15 ore. Secondo gli scienziati, come una cometa, il pianeta viene seguito da una lunga scia di polveri e detriti che altro non sono che il materiale roccioso che lo caratterizza che sta evaporando a causa di una temperatura, sulla superficie, prossima ai duemila gradi. Secondo i calcoli e le simulazioni fatte dal team di ricercatori, il piccolo pianeta extrasolare si degraderà completamente entro cento milioni di anni. “Pensiamo che questa polvere sia costituita da particelle di dimensioni inferiori al micron” dice il co-autore Saul Rappaport, professore di fisica al MIT. “Un po' come 12 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 guardare attraverso lo smog di Los Angeles”. Gli scienziati sono arrivati a tale conclusione analizzando i dati del cacciatore di pianeti extrasolari Kepler, che ha rilevato una curiosa variazione di luce nella stella KIC 12557548. Il pianeta passando davanti la stella scherma la luce. Questo permette di riconoscere il passaggio di un pianeta davanti la sua stella madre e registrando i passaggi successivi, misurare il tempo della sua orbita. Gli astronomi però hanno notato un'anomala variazione dell'intensità della luce “bloccata” ad ogni passaggio del pianeta. Nel tentativo di risolvere il puzzle, i ricercatori hanno dapprima ipotizzato che il pianeta fosse accompagnato da un altro pianeta e l'uno orbitasse intorno all'altro, ma l'estrema brevità della rivoluzione intorno alla stella madre, una delle minori mai scoperte, ha fatto naufragare tale teoria. Da qui l'ipotesi che tale variazione dipendesse dalle modifiche morfologiche del pianeta stesso e dalla sua coda di gas e polveri prodotta da tali modifiche. Un'ipotesi che avrebbe poi trovato una conferma nel modello di simulazione che ha permesso di “giustificare” le curve irregolari di luminosità registrate dal satelllite della NASA. Fonte: MEDIA INAF Rivista mensile di aggiornamento astronomico 13 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO VAGABONDE GALATTICHE Stelle iperveloci che vagano per lo spazio intergalattico: sono forse stelle esiliate dalla galassia madre in seguito ad un incontro con il buco nero centrale. 01/05/2012 - “Calciate” fuori dalla propria galassia. Seppure difficile è quello ipotizzato dagli astronomi perché una stella possa raggiungere la velocità di circa 3 milioni e mezzo di chilometri all'ora, una velocità sufficiente a farle sfuggire alla presa gravitazionale della loro galassia. A renderle iperveloci un incontro ravvicinato con il buco nero supermassiccio al centro della galassia. Finora gli astronomi hanno scoperto 16 di queste “stelle iperveloci”, ma sono state individuate mentre si trovano ancora all'interno della galassia. Gli astronomi dell'Università di Vanderbilt, nel Tennessee, in un lavoro che apparirà nel numero di maggio dell'Astronomical Journal, annunciano di aver identificato un gruppo di oltre 675 stelle ai confini della periferia della Via Lattea, sostenendo siano stelle iperveloci espulse dal nucleo galattico. Gli astronomi hanno selezionato queste stelle in base alla loro posizione nello spazio intergalattico tra la Via Lattea e la galassia vicina Andromeda, e per la loro peculiare colorazione rossa. “Queste stelle davvero spiccano. Sono stelle giganti rosse con metallicità elevata che dà loro un colore insolito”, dice Kelly Holley-Bockelmann, che ha condotto lo studio con Lauren Palladino. La “metallicità” di una stella indica la percentuale di elementi chimici diversi da idrogeno ed elio che la compongono. Una metallicità elevata indica un'origine interna galattica: le stelle più antiche e quelle ai confini Rivista mensile di aggiornamento astronomico delle galassie tendono ad avere una metallicità più bassa. L'identificazione di questi possibili candidati è stata fatta analizzando le milioni di stelle catalogate nella Sloan Digital Sky Survey. “Si è ipotizzato che queste stelle 'raminghe' dovessero esserci al di fuori della galassia, ma nessuno le aveva cercate. Così abbiamo deciso di fare un tentativo”, dice Holley-Bockelmann. Il buco nero che si trova al centro della Via Lattea ha una massa di quattro milioni di volte la massa del Sole e un campo gravitazionale che lo circonda abbastanza forte da accelerare le stelle fino alle ipervelocità necessarie ad essere scagliate fuori dalla galassia stessa. Due gli scenari ipotizzati perché questo accada. Il più tipico prevede un sistema binario che viene catturato dalla morsa del buco nero. E mentre una delle due stelle precipita in una spirale verso il buco nero l'altra viene scagliata via ad una velocità incredibile. Un secondo possibile scenario ipotizza che nei periodi in cui il buco nero centrale è nel processo di “cannibalizzare” un piccolo buco nero, ogni stella che si avventurasse troppo vicino a questa coppia rotante potrebbe essere scagliata via con ipervelocità. Le giganti rosse sono lo stadio finale dell'evoluzione di stelle di medie dimensioni come il sole. Secondo gli astronomi di Varderbilt così devono essere state quando sono state scagliate via dal buco nero centrale. Nel loro lungo viaggio, durato almeno 10 milioni di anni per coprire la distanza tra il centro della galassia e il suo confine, 50.000 anni luce, hanno maturato la loro condizione di gigante rosse. “Studiare queste stelle 'raminghe' ci possono fornire nuove conoscenze sulla storia e l'evoluzione della nostra galassia”, ha detto Holley-Bockelmann. Il prossimo passo dei ricercatori è però determinare se alcune delle loro candidate non fossero insolitamente nane brune, invece di giganti rosse. Dato che le nane brune producono molta meno luce, avrebbero dovuto essere molto più vicine per apparire altrettanto luminose. Fonte: MEDIA INAF 14 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SETACCIARE LA CINTURA DI ORIONE Una nuova immagine dell'ESO mostra gli intrecci polverosi nella cintura di Orione, precisamente in M78 posta proprio sopra. 02/05/2012 - Una nuova immagine della regione che circonda la nebulosa a riflessione Messier 78, appena a nord della Cintura di Orione, mostra nubi di polvere cosmica intrecciate alla nebulosa come un filo di perle. Le osservazioni, effettuate con il telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) [1], sfruttano il calore prodotto dai grani di polvere interstellare per mostrare agli astronomi le zone in cui si formano nuove stelle. La polvere può sembrare noiosa, poco interessante - la sporcizia superficiale che nasconde la bellezza di un oggetto. Ma questa nuova immagine di Messier 78 e dintorni, che svela la radiazione sub-millimetrica prodotta dai grani di polvere nello spazio, mostra che anche la polvere può essere abbagliante. La polvere è importante per gli astronomi poichè dense nubi di gase e polvere sono le culle di nuove stelle. Nel centro dell'immagine si vede Messier 78, nota anche con il nome di NGC 2068. In luce visibile la regione appare come una nebulosa a riflessione, cioè vediamo il pallido riflesso della luce azzurra delle stelle, rimandato a noi dalle nubi di polvere. Le osservazioni di APEX, di colore aranciato, sono sovrapposte all'immagine in luce visibile. Sensibili a lunghezze d'onda maggiori, svelano il delicato brillio di densi grumi di polvere fredda, fino a -250ºC. Questa polvere risulta scura e opaca in luce visibile e questo è uno dei motivi per cui telescopi come APEX sono così importanti per studiare le nubi di polvere in cui nascono nuove stelle. Un filamento visto da APEX appare in luce visibile come una striscia nera di polvere che attraversa Messier 78. Questo ci dice che le dense nubi di polvere si trovano davanti alla nebulosa, e ne bloccano la luce bluastra. Un'altra regione di polvere risplendente vista da APEX spicca nel bordo inferiore di Messier 78 osservato in luce visibile. La mancanza di una corrispondente striscia di polvere scura nelle immagini in luce visibile ci dice che questa regione densa di polvere deve trovarsi dietro alla nebulosa a riflessione. Osservando il gas in queste nubi si rivelano flussi di gas ad alta velocità che fuoriescono da alcuni di questi grumi densi, esplusi da stelle giovani durante la loro formazione a partire dalle nubi circostanti. La loro presenza è perciò una dimostrazione che i grumi stanno attivamente formando stelle. Nella parte superiore dell'immagine si vede un'altra nebulosa a riflessione, NGC 2071. Mentre la zona più in basso contiene solo stelle giovani e di piccola massa, NGC 2071 contiene una stella giovane più massiccia, circa cinque volte la massa del Sole, nel punto più brillante mostrato dalle osservazioni APEX. Le osservazioni APEX usate per questa immagine sono state coordinate da Thomas Stanke (ESO), Tom Megeath (University of Toledo, USA), e Amy Stutz (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg, Germania). Fonte: ESO Rivista mensile di aggiornamento astronomico 15 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 BUCHI NERI A TAVOLA Contrariamente a ciò che si crede, i buchi neri mangiano poche volte durante la propria vita e quando lo fanno è davvero soddisfacente riuscire ad osservarli. 03/05/2012 - Cambridge, MA - Difficilmente si può pensare a qualcosa di più pauroso di un buco nero supermassivo: questi invisibili e giganti centri galattici affamati di materia, o almeno così riteniamo. Ma la realtà è più benevola: i buchi neri supermassivi non mangiano così frequentemente, il che rende la scoperta di un buco nero nel bel mezzo di un pasto ancora più eccitante per gli astronomi. di digestione, in tempo reale. Il bagliore è provenuto dal buco nero di una galassia posta a 2,7 miliardi di anni luce da noi, di massa pari a circa 3 milioni di masse solari e quindi circa la metà del buco nero della nostra Via Lattea. Le osservazioni che son oseguite hanno mostrato che il buco nero ha consumato una grande quantità di elio quindi la stella digerita era il nucleo di una stella gigante rossa. La mancanza di idrogeno ha mostrato che la stella ha perso la sua atmosfera più esterna durante precedenti passaggi ravvicinati. Fonte: CFA Harvard SUPERNOVAE Ia: CANDELE STANDARD? Un nuovo studio mostra come le esplosioni Ia possano provenire da due meccanismi diversi. Ma allora come è possibile utilizzarle come candele standard per misurare espansione accelerata ed energia oscura? 08/05/2012 - Le stelle che esplodono come supernovae Ia giocano un ruolo importante nella misurazione dell'universo e vengono utilizzate per scoprire l'esistenza dell'energia oscura. Sono abbastanza grandi per essere viste a grandi distanze e quindi sono utilizzabili come candele standard, oggetti dei quali è nota la luminosità. Il premio nobel 2011 per la fisica è stato consegnato proprio per la scoperta dell'accelerazione dell'universo ottenuta tramite le supernovae Ia, tuttavia c'è un fatto ancora abbastanza imbarazzante riguardo i sistemi che le innescano. Ci sono due modelli molto diversi per spiegare l'origine delle supernovae Ia, e diversi studi supportano entrambi i modelli. Oggi l'evidenza sembra dire che entrambi sono corretti. I buchi neri sono un po' come gli squali: la gente ritiene che siano sempre impegnati a mangiare e uccidere ma in realtà la maggior parte della vita la passano in stato di quiete. Occasionamente una stella si presenta troppo vicina, ed allora inizia un piccolo spuntino. Sulla rivista Nature del 3 maggio un articolo a cura di Suvi Gezari della John Hopkins University racconta la scoperta di un buco nero supermassivo scoperto durante un pasto. Se una stella passa troppo vicina ad un buco nero, le forze mareali la possono spezzare ed il gas che la costituisce inizia a spiraleggiare intorno al buco nero. Le frizioni riscaldano i gas e causano i bagliori quindi scovare buchi neri supermassivi con bagliori vuol dire trovarli a pranzo. Proprio il 31 maggio 2010 un flare crescente ha prodotto un picco il giorno 21 luglio prima di calare di nuovo nel corso di un anno, quindi si è assistito ad un pasto stellare completo Rivista mensile di aggiornamento astronomico 16 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Le supernovae Ia originano dalle nane bianche, il nucleo denso di stelle morte. Le nane bianche sono anche chiamate stelle degeneri a causa del fatto che sono supportate da una pressione degenere. In un modello di supernova, una nana bianca sottrae materiale ad una stella compagna prima di raggiungere una dimensione che innesca le reazioni nucleari, inizio dell'esplosione. Nel secondo modello, due nane bianche si fondono ed esplodono. Il primo modello dovrebbe mostrare il gas sottratto alla stella compagna, il secondo no. Lo studio di 23 supernovae è stato mirato alla ricerca di questo gas intorno al resto, che dovrebbe essere presente solo in sistemi del primo tipo di spiegazione. Le esplosioni più potenti tendono ad accompagnarsi a sistemi con questo gas, ma soltanto una piccola frazione di supernovae mostra questa componente. Il resto sembra provenire da un processo del secondo tipo. Ci sono in definitiva due tipi di ambienti, con e senza gas, entrambi trovati intorno a supernovae Ia. Questo ha importanti implicazioni per la misura dell'energia oscura e l'espansione dell'universo. Se ci sono due meccanismi differenti che producono le supernovae Ia, allora i due tipi vanno calcolati separatamente nella misura delle distanze cosmiche. Ma se i processi sono simili, come è possibile che l'effetto sia lo stesso al punto da poter utilizzare queste esplosioni come candele standard? Ancora non c'è risposta. L'articolo è apparso su Astrophysical Journal nell'edizione on line. tra il Sole e il sistema stellare più vicino, Alfa Centauri. Sono stati individuati circa 160 ammassi globulari nella nostra galassia, la Via Lattea, la maggior parte verso il rigonfiamento centrale. Le due scoperte più recenti, realizzate con il telescopio VISTA, sono state annunciate recentemente. Le galassie più grandi possono contenere migliaia di queste ricche raccolte di stelle. Le osservazioni delle stelle degli ammassi globulari svelano che esse sono nate tutte all'incirca nello stesso periodo più di 10 miliardi di anni fa - e dalla stessa nube di gas. Poichè questo periodo di formazione avveniva solo pochi miliardi di anni dopo il Big Bang, quasi tutto il gas a disposizione era formato dall'elemento più semplice, più leggero e più comune nel cosmo: l'idrogeno, con poco elio e piccole tracce di elementi chimici più pesanti, come l'ossigeno e l'azoto. Fonte: Harvard Center for Astrophysics AMMASSO CON “VISTA” VISTA, il telescopio infrarosso per survey ESO, si sofferma su Messier 55 mostrandone decine di migliaia di stelle. 09/05/2012 - Una nuova immagine di Messier 55 ottenuta da VISTA, il telescopio infrarosso per survey dell'ESO, mostra decine di migliaia di stelle, fitte come uno sciame d'api. Oltre ad essere racchiuse in uno spazio relativamente piccolo, queste stelle sono anche tra le più vecchie dell'Universo. Gli astronomi studiano Messier 55 e altri oggetti antichi come questo, gli ammassi globulari, per imparare come le galassie si evolvono e le stelle invecchiano. Gli ammassi globulari sono tenuti insieme, in una stretta formazione sferica, dalla forza di gravità. In Messier 55 le stelle si tengono certamente buona compagnia: circa centomila stelle sono racchiuse in una sfera con un diametro che corrisponde a solo circa 25 volte la distanza Rivista mensile di aggiornamento astronomico L'essere formate quasi completamente da idrogeno rappresenta l'elemento distintivo delle stelle residenti negli ammassi globulari rispetto a stelle nate in epoche successive, come il Sole, che sono intrise di elementi più pesanti creati dalle precedenti generazioni di stelle. Il Sole si è acceso circa 4,6 miliardi di anni fa, il che gli attribuisce un'età pari a circa la metà di quella delle stelle della maggior parte degli ammassi globulari. L'impronta chimica della nube di gas da cui si è formato il Sole si riflette nell'abbondanza dei vari elementi che si trovano nel Sistema Solare - negli asteroidi, nei pianeti e nei nostri stessi corpi. Se volete osservare Messier 55 cercatelo nella costellazione del Sagittario. L'ammasso di grandi dimensioni appare grande quasi due terzi della dimensione della Luna piena e 17 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 non è difficile da osservare con un piccolo telescopio, anche se si trova ad una distanza di circa 17000 anni luce dalla Terra. L'astronomo francese Nicolas Louis de Lacaille è stato il primo a documentare il raggruppamento di stelle, verso il 1752, e circa 26 anni dopo un altro astronomo francese, Charles Messier, ha incluso l'ammasso come 55esimo elemento nel suo famoso catalogo astronomico. L'oggetto è anche elencato come NGC 6809 nel Nuovo Catalogo Generale, un catalogo molto citato e più ampio compilato alla fine del diciannovesimo secolo. Questa nuova immagine è stata ottenuta in luce infrarossa del telescopio da 4,1 metri di diametro VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) all'Osservatorio del Paranal nel nord del Cile. L'immagine di VISTA riporta, oltre alle stelle di Messier 55, molte galassie ben più lontane dell'ammasso. Un galassia a spirale di particolare rilievo compare, di taglio, in alto a destra del centro del campo. Fonte: ESO UNA NANA PER HUBBLE hanno molto spazio vuoto tra le stelle che lascia passare la luce della galassia più lontana. La galassia e la sua nebulosa si trovano a 10 milioni di anni luce dalla Terra, visibile nella costellazione della Giraffa (Camelopardis). Nonostante NGC 2366 possa sembrare molto più piccola rispetto alle sue “colleghe”, molte delle sue stelle non sono piccole affatto. Molte sono infatti delle Giganti blu (i puntini luminosi blu), formatesi in tempi relativamente recenti. Il colore blu della nebulosa è dovuto ai filtri verdi e infrarossi di Hubble. In realtà il suo colore naturale è rosso. Il campo di osservazione è pari a circa 5.5 arcominuti, vale a dire a poco più di un quinto del diametro della Luna piena. Fonte: MEDIA INAF NGC 4698: UNA STRANA GALASSIA La galassia NGC 4698 mostra un rigonfiamento centrale che si allunga perpendicolarmente rispetto al disco. È quanto illustra Enrico Maria Corsini del Dipartimento di Astronomia dell'Università di Padova e associato INAF sul prossimo numero di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Il telescopio spaziale orbitante ha osservato una galassia nana, chiamata NGC 2366. Le straordinarie immagini mostrano una galassia molto luminosa, priva della tipica struttura a spirale, e talmente vicina da poterne individuare le singole stelle. 10/05/2012 - Lascia senza fiato l'ultima immagine catturata dal telescopio NASA/ESA Hubble che ritrae una galassia nana, denominata NGC 2366, proprio al centro della foto. Gli astronomi hanno notato la mancanza di una struttura a spirale ben definita e questo dettaglio li ha portati a definirla una galassia irregolare. La caratteristica che salta subito agli occhi è una grande nebulosa visibile in alto a destra, classificata come NGC 2363. Vicino alla nebulosa, i ricercatori hanno potuto osservare una galassia molto più lontana (la spirale giallina al centro della foto) seppur ancora ben visibile dal telescopio. Questo avviene perché le galassie non sono oggetti compatti, ma Rivista mensile di aggiornamento astronomico 09/05/2012 - Non è una galassia a spirale come le altre. Si tratta di un oggetto molto peculiare e assai diverso rispetto alle altre galassie a spirale, come M31 nella costellazione di Andromeda o M51 in quella dei Cani da Caccia, che Edwin P. Hubble aveva scelto come prototipi per definire i criteri della sua classificazione morfologica delle galassie. Infatti il rigonfiamento centrale di NGC 4698, in cui si addensano le stelle più vecchie della galassia, si allunga perpendicolarmente rispetto al disco, dove si avviluppano i bracci di spirale e in cui si trovano la maggior parte del gas e delle stelle più giovani. Di solito il rigonfiamento centrale di una galassia a spirale o ha una forma sferica o si allunga nel piano del disco, come succede per M31 e M51. Anche se sono state identificate almeno altre due galassie a spirale simili a NGC 4698, denominate NGC 4672 e UGC 10043, il caso di NGC 4698 è ancora più strano perché il suo nucleo ospita un piccolo disco di stelle e gas che ruota perpendicolarmente rispetto al disco principale. Il dischetto al centro di NGC 4698 ha un diametro di un migliaio di anni 18 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 luce e contiene qualche decina di milioni di stelle con un'età compresa tra 5 e 10 miliardi di anni. Questa configurazione è il risultato finale della cattura in tempi remoti di una certa quantità di gas dall'ambiente esterno. Il gas acquisito ha spiraleggiato fino al centro di NGC 4698 e si è disposto ortogonalmente rispetto al disco principale a causa della particolare forma intrinseca del rigonfiamento centrale. Dal gas catturato sono successivamente nate le stelle che oggi formano il disco nucleare. Ma il passato di NGC 4698, che appartiene all'ammasso di galassie della Vergine, il quale conta diverse centinaia di membri e dista da noi 55 milioni di anni luce, potrebbe essere stato ancora più turbolento, infatti è possibile avanzare l'ipotesi che addirittura l'intero disco principale sia il frutto di una cattura di materiale esterno da parte di quello che è diventato il rigonfiamento centrale di NGC 4698. Ciò avrebbe indotto una radicale trasformazione di quella che doveva essere un'anonima galassia ellittica nella bizzarra galassia a spirale che oggi vediamo. “È stato possibile ricostruire la forma intrinseca del rigonfiamento centrale di NGC 4698 perché la galassia non é vista di taglio, contrariamente a quanto invece accade per NGC 4672 e UGC 10043”, spiega Enrico Maria Corsini, ricercatore dell'Università di Padova e associato INAF. “Questo ci ha permesso di provare che il rigonfiamento ha due piani ortogonali di equilibrio e che proprio su di essi si trovano il disco nucleare e quello principale di NGC 4698”, come discusso nell'articolo in uscita su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, in cui vengono analizzate in dettaglio numerose immagini a diverse lunghezze d'onda della galassia, ottenute sia da terra che dal telescopio spaziale Hubble. Lo studio dell'età delle stelle dei dischi nucleari che si osservano in circa il 20 per cento delle galassie ellittiche e a spirale permette di far luce sui loro processi di formazione ed evoluzione. Infatti, stando alle simulazioni numeriche che riproducono questi processi, i dischi nucleari sono strutture estremamente fragili, che non possono sopravvivere agli scontri tra galassie. Questo significa che datare l'epoca della formazione dei dischetti permette di stimare l'intervallo di tempo trascorso dall'ultimo evento catastrofico subito dalla galassia che li ospita. Se così fosse, allora in NGC 4698 prima si sarebbe formato il disco principale e poi quello nucleare. Fonte: MEDIA INAF Rivista mensile di aggiornamento astronomico SUPERNOVA TROPPO BRILLANTE L'estrema brillantezza della supernova scoperta nel 2010 può essere spiegata con la rottura del guscio di gas da parte dell'onda d'urto. 15/05/2012 - Il 3 novembre 2012 una supernova è stata scoperta nella galassia UGC 5189A, posta a 160 milioni di anni luce da noi. Tramite di dati della All Sky Automated Survey Telescop alle Hawaii gli astronomi hanno determinato che la supernova è esplosa ai primi di ottobre 2010. Questa immagine composita della galassia mostra i dati X di Chandra in colore porpora ed i dati ottici di Hubble in rosso, verde e blu. SN 2010jl è la sorgente molto brillante in X vicina alla parte superiore della galassia. Un team di ricercatori ha utilizzato Chandra per osservare la supernova a dicembre 2010 e di nuovo ad ottobre 2011. In spettro visibile la supernova è stata dieci volte più luminosa di una tipica supernova risultante dal collasso di una stella massiva. Ci sono differenti spiegazioni per questa luminosità, come l'interazione con un denso guscio di materia intorno alla stella esplosa, oppure la radioattività risultante da una supernova instabile oppure ancora l'emissione alimentata da una stella di neutroni con un atipico campo magnetico. 19 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Le prime osservazioni di Chandra mostrano come la radiazione X dall'esplosione sia stata fortemente assorbita da un guscio di gas denso intorno alla supernova. Questo guscio è stato formato dal gas soffiato via dalla stella massiva prima di esplodere. Seconde osservazioni mostrano un minore assorbimento di radiazione X, ad indicare che l'onda d'urto ha spezzato il guscio che circondava la stella. Il gas ha una temperatura altissima, maggiore di 100 milioni Kelvin: la materia intorno alla supernova è stata riscaldata e ionizzata dai raggi X generati. Fonte: Chandra Harvard BUCO NERO IN HD L'avanzatissimo strumento che combina la luce di tre dei telescopi del Very Large Telescope ha permesso di indagare con grande accuratezza la zona circostante il buco nero al centro della galassia NGC 3783, scoprendo attorno ad esso un anello di gas. 16/05/2012 - Prendete tre dei telescopi da 8 metri che costituiscono il Very Large Telescope, sulle Ande cilene. Puntate un oggetto celeste, raccogliete con essi la sua luce e combinatela nel giusto modo. Otterrete delle riprese dettagliatissime. A raccontarla così, la “ricetta dell'osservazione perfetta” sembra un gioco da ragazzi, ma è rimasta a lungo un sogno per gli astronomi dell'ESO, dati i complessi problemi tecnici e operativi che sono legati a questo metodo. Difficoltà che sono state superate da una serie di migliorie apportate negli ultimi anni ai telescopi VLT e dalla piena entrata in funzione del sofisticato interferometro AMBER (Astronomical Multi Beam combineR). Ne è testimonianza lo studio ad alta risoluzione di un nucleo galattico attivo – il “cuore violento” di una lontana galassia che ospita un buco nero supermassiccio. Uno studio che ha permesso di individuare nella regione più interna del nucleo della galassia NGC 3783 un anello di polveri avente un raggio di circa mezzo anno luce. Secondo gli scienziati, questa enorme “ciambella” sarebbe la riserva di materia che alimenta il disco di accrescimento di gas caldo presente attorno al buco nero supermassiccio nel centro della galassia. Buco nero che sarebbe il responsabile della potente emissione dell'oggetto celeste, che va dalle onde radio fino ai raggi X. “Per la prima volta è stato possibile utilizzare AMBER per osservare un Nucleo Galattico Attivo e, a parte l'importante risultato scientifico ottenuto, questo fatto indica come il Very Large Telescope Interferometer (VLTI) cominci a Rivista mensile di aggiornamento astronomico permettere lo studio di sorgenti deboli di tutti i tipi” commenta Alessandro Marconi, dell'Università di Firenze e associato INAF, che ha partecipato allo studio su NGC 3783. Il lavoro, guidato da Gerd Weigelt del Max-Planck-Institut für Radioastronomie, viene pubblicato nell'ultimo numero della rivista Astronomy&Astrophysics. Essere riusciti a studiare nella banda del vicino infrarosso zone così prossime al buco nero in una galassia distante 150 milioni di anni luce è un risultato davvero eccezionale, che avrebbe richiesto un telescopio con uno specchio principale di oltre 100 metri di diametro, misura irraggiungibile per gli strumenti attuali e per quelli che entreranno in funzione nei prossimi anni. Il problema è stato superato brillantemente grazie ad AMBER. Lo strumento combina la luce raccolta da tre dei telescopi che compongono il VLT, ciascuno del diametro di 8,2 metri. Grazie a questa tecnica, le immagini prodotte raggiungono un'accuratezza 15 volte maggiore di quanto sarebbe possibile con un singolo telescopio, permettendo così, ad esempio, di distinguere un astronauta sulla superficie della Luna. Ed il “cuore” di AMBER, ossia l'avanzatissimo spettrometro che scompone la luce proveniente dai telescopi, la collima e produce l'immagine finale, è tutto italiano: è stato infatti ideato, realizzato e testato dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell'INAF. “Queste osservazioni ottenute con AMBER rappresentano un importante successo scientifico e tecnologico, ottenuto con il fondamentale contributo italiano dell'INAF. Un successo che testimonia l'eccellenza anche della ricerca applicata che viene portata avanti nel nostro Istituto e che viene ‘esportata' in progetti di respiro mondiale” prosegue Marconi. “In questo contesto ricordo ad esempio anche le ottiche adattive, che equipaggiano il Large Binocular Telescope e, nel prossimo futuro, il gigantesco telescopio europeo E-ELT. O gli specchi per raggi X, a bordo di alcuni tra i più avanzati satelliti per l'astrofisica delle alte energie, ma anche la strumentazione e i sensori a che equipaggiano numerose sonde che stanno esplorando il Sistema solare, solo per citarne alcuni. Vorrei infine ricordare due persone fondamentali per il successo del progetto AMBER e che purtroppo non sono più tra noi: Sandro Gennari che ha costruito lo spettrometro di AMBER e Franco Pacini, allora direttore dell'Osservatorio Astrofisico di Arcetri, convinto sostenitore dello strumento”. Fonte: MEDIA INAF 20 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 I CALCOLI DI ALGOL L'analisi della variabilità della stella del diavolo sono stati confrontati con i calcoli degli antichi egizi dimostrando ancora una volta l'estrema esattezza degli astronomi di un tempo. 17/05/2012 - Difficile battere la saggezza degli antichi egizi. A confermarlo è un recente studio di un gruppo di ricercatori dell'Università di Helsinki, in Finlandia, che hanno rinfrescato le osservazioni degli antichi egizi sulle stelle variabili. In particolare si sono concentrati su Algon, che in arabo significa “stella del demonio”. E' una stella binaria a eclisse, e gli egizi tre millenni fa osservavano le sue variazioni di luminosità per “prevedere” giornate più favorevoli e altre meno. Gli astronomi finlandesi hanno rispolverato il calendario egiziano Cairo 86637, scoprendo che si tratta probabilmente del più antico e meglio conservato documento storico di osservazione a occhio nudo di una stella variabile. Per ogni giorno dell'anno, gli antichi egizi avevano previsto una divisione in tre parti. Ad ogni sezione del giorno veniva poi riferita una buona o una cattiva previsione. Le analisi dei ricercatori finlandesi hanno rilevato che le previsioni nel calendario egizio sono scandite da due periodi ricorrenti. Uno è di circa 29,6 giorni, ed è chiaramente corrispondente al ciclo lunare. L'altro di 2,85 giorni, è invece riferito al periodo di variazione di Algol, dove la stella minore eclissa la più luminosa proprio per un periodo di 2.867 giorni. Questo fenomeno è facilmente osservabile anche ad occhio nudo. Lauri Jetsu, membro del gruppo di ricerca sottolinea che il periodo di variazione di Algol è aumentato nel corso di 3000 anni di circa 0,017 giorni, “a causa di un trasferimento di massa tra le due stelle della binaria a eclisse”. Fonte: MEDIA INAF SOLI TROPPO VIOLENTI Dall'analisi dei dati del satellite Kepler della NASA emerge che le stelle con le stesse caratteristiche della nostra producono brillamenti che sono anche milioni di volte più intensi di quelli che avvengono sul nostro Sole. Cosa possa scatenare queste immani esplosioni è però ancora un mistero.. 17/05/2012 - Siete preoccupati per le tempeste solari che, Rivista mensile di aggiornamento astronomico specie nei prossimi mesi, potrebbero investirci? L'argomento è in effetti di estrema attualità, visto che proprio in queste ore stiamo tirando un sospiro di sollievo per il gigantesco gruppo di macchie solari denominato AR 1476, prossimo ormai al bordo del Sole che, per fortuna, non ha prodotto i fenomeni temuti, come intensi brillamenti (flare) ed emissioni di massa coronale (CME). Temuti perché nei casi più estremi i loro effetti sulla Terra riuscirebbero a danneggiare la nostra rete di telecomunicazioni e, magari, arrivare a produrre qualche black out sulle reti elettriche alle alte latitudini. Ma tutto sommato, anche dovessero presentarsi queste circostanze, dovremo ritenerci fortunati. Si perché, a quanto pare, nell'universo le stelle come il Sole sembrano molto più attive e soprattutto capaci di produrre esplosioni con energie migliaia o addirittura milioni di volte maggiori dei più violenti brillamenti che abbiamo finora registrato sulla nostra stella. A indicare questo scenario è lo studio di un gruppo di ricercatori giapponesi dell'Università di Kioto guidato da Hiroyuki Maehara, che viene pubblicato nell'ultimo numero della rivista Nature. Il team ha analizzato i dati raccolti dal satellite Kepler della NASA che tiene continuamente sotto controllo oltre 100.000 stelle, riuscendo a rilevare anche le loro più piccole variazioni di luminosità. Tra tutte queste i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulle oscillazioni della luce prodotta da circa 83.000 stelle che presentano caratteristiche analoghe al nostro Sole, come massa, temperatura superficiale, età, riuscendo a individuare 365 brillamenti avvenuti su 148 differenti astri. E dall'analisi che ne segue, i brillamenti che si registrano sulla nostra stella sembrano essere al confronto poco più che deboli scintille. I superflare extrasolari hanno durate che arrivano fino a 12 ore, rilasciando energie che possono essere decine di migliaia di volte maggiori di quello che ad oggi è il brillamento solare più potente mai registrato, avvenuto nel 1859. E, in analogia a quanto avviene sulla nostra stella, sono stati tutti prodotti da astri che presentano grandi 21 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 macchie. È quindi confermata l'ipotesi che, così come accade per la nostra stella, questi fenomeni siano la diretta conseguenza delle interazioni dei campi magnetici e a meccanismi di riconnessione ad essi legati. Resta però il dubbio sul perché oggetti celesti che possono essere considerati in tutto e per tutto ‘gemelli' del Sole presentino fenomeni così straordinariamente intensi e frequenti rispetto a quanto produce la nostra stella. Forse questi superflare potrebbero essere innescati dalla presenza di pianeti di massa comparabile o maggiore a quella del nostro Giove che si trovano in orbite molto ravvicinate attorno alla loro stella madre. Il fatto che però tra tutti i 148 astri che hanno mostrato brillamenti, nessuno sembra possedere pianeti di tipo Giove caldo, lascia la questione ancora aperta. Conseguenza di questo studio anche l'interrogativo sulla vita, quanto possa essere legata all'”anomala” tranquillità del nostro Sole, o quanto quei soli possano dare il via a forme di vita differenti. Sarà l'occasione per tornarci sopra.. Poiché la polvere interstellare oscura la maggior parte dell'attività di formazione di nuove stelle nell'Universo primordiale, soltanto strumenti come quelli del telescopio Herschel (che possono rilevare la luce infrarossa prodotta da questa polvere mentre viene riscaldata dalle stelle in formazione) permettono di studiarla. Herschel è una missione ESA a cui INAF contribuisce in modo sostanziale. La quantità di luce infrarossa in arrivo fa pensare che le galassie all'interno del filamento producano l'equivalente di 1000 masse solari di nuove stelle ogni anno. Studiando cosa succede là in mezzo, gli astrofisici saranno in grado di rispondere all'eterna domanda: per la crescita, contano più i geni o l'ambiente? “L'evoluzione di una galassia è dominata da proprietà intrinseche, come la sua massa totale, o sono le condizioni dell'ambiente cosmico su grande scala a determinare come cresce e cambia nel tempo?” si chiede Jim Geach, altro autore dello studio (che compare su Astrophysical Journal Letters) . “Questa è una delle domande chiave nell'astrofisica moderna”. Fonte: MEDIA INAF COLLANE DI STELLE La missione Herschel riprende un filamento che collega due ammassi di galassie, ricchissimo di stelle in formazione. Gli astrofisici vogliono studiarlo per capire se siano le proprietà intrinseche delle galassie a determinare la loro evoluzione, o l'ambiente cosmico circostante. 18/05/2012 - E' una collisione memorabile, quella che si prepara in una zona di cielo ripresa dal satellite Herschel, e studiata da un gruppo di ricercatori della McGill University in Canada. Un filamento gigante, fatto in realtà di centinaia di galassie, che collega due diversi ammassi galattici, che assieme a un terzo sono sulla via per scontrarsi e confluire in un superammasso da record, che diventerà uno dei più grandi dell'Universo (tra quelli osservati, per lo meno). Il filamento, la cui luce ha impiegato oltre 7 miliardi di anni a raggiungerci, è una testimonianza cruciale di un momento chiave dello sviluppo dell'Universo, quello in cui iniziavano a prendere forma i superammassi, colossali aggregati di galassie. Quel ponte che collega i due ammassi è una regione di intensissima formazione di nuove stelle, e, come spiega la prima autrice dello studio Kristen Coppin, “ci dà una istantanea di come l'evoluzione di strutture cosmiche su grande scala influenza l'evoluzione delle singole galassie intrappolate al loro interno”. Il filamento intergalattico ha un'ampiezza di 8 milioni di anni luce, e collega due dei tre ammassi che formano il superammasso noto come RCS2319. Rivista mensile di aggiornamento astronomico Le galassie nel filamento finiranno, nel giro di 7 o 8 miliardi di anni, per migrare verso quello che diventerà il centro di un unico, gigantesco super ammasso. Fonte: MEDIA INAF PRIMA IMMAGINE CON SORPRESA Ecco la prima immagine scientifica ottenuta dal più grande e potente strumento per radioastronomia mai realizzato. Sebbene LOFAR stia completando le fasi di collaudo, questa sua ripresa ha già evidenziato un'emissione anomala di onde radio a bassa frequenza: risulta infatti assai maggiore di quanto previsto dalle attuali teorie. 18/05/2012 - A vederle dall'alto, sembrano delle grandi scacchiere composte da grosse tessere di mosaico tutte di colore nero. In realtà sono speciali stazioni per captare i segnali provenienti dal cosmo. In Europa ce ne sono 50, sparse tra Germania, Olanda, Svezia Francia e Regno Unito, che sfruttano il potere ricevente di circa 20.000 antenne, 22 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 collegate tra loro da una rete informatica che trasmette dati ad altissima velocità tramite connessioni in fibra ottica. Questa immensa ragnatela si chiama LOFAR (LOw Frequency ARray) ed è il più esteso e più complesso radiotelescopio mai costruito. La tecnica con cui è stato concepito e realizzato gli permette di avere le stesse prestazioni di un singolo radiotelescopio grande quanto 20 campi da calcio, indagando i segnali di bassa frequenza provenienti dall'Universo, in particolare tra 15 e 200 MHz. Un intervallo di radiazione finora poco o per nulla esplorato, e quindi una ‘nuova frontiera' nella radioastronomia. Una frontiera che è stata varcata durante il collaudo operativo dello strumento, culminato con la realizzazione della prima immagine a frequenze radio fra 20 e 60 MHz dell'ammasso di galassie denominato Abell 2256: un insieme di centinaia di galassie distante circa 800 milioni di anni luce da noi. La ripresa è stata realizzata nell'ambito di uno studio guidato da Reinout van Weeren, dell'Istituto di ricerca olandese ASTRON e della Leiden University e a cui hanno partecipato ricercatori provenienti da 26 Istituti, tra cui anche dell'INAF. La ripresa era stata pensata per testare la funzionalità di LOFAR e per calibrare i suoi componenti. Ma subito i ricercatori hanno intuito che le informazioni in essa raccolte erano molto più di una semplice immagine di prova. L'analisi dei dati ha infatti evidenziato che l'intensità dell'emissione radio dell'ammasso preso in esame da LOFAR è molto maggiore di quella prevista sulla base di osservazioni già condotte per Abell 2256 da altri radiotelescopi, ma a frequenze più alte. Uno scenario Rivista mensile di aggiornamento astronomico inatteso, che suggerisce ai ricercatori nuove domande sui processi fisici responsabili di questa emissione. “L'idea prevalente emersa negli ultimi anni tra la comunità scientifica è che l'emissione radio dagli ammassi sia prodotta da particelle di alta energia accelerate da shock e turbolenza che vengono generati durante la fase di formazione degli ammassi stessi. Queste prime osservazioni complicano ulteriormente gli scenari teorici”, commenta Gianfranco Brunetti dell'Istituto di Radioastronomia (IRA) dell'INAF, fra gli autori dell'articolo, che assieme a Marcus Brueggen della Jacobs University di Brema, coordina gli studi LOFAR sugli ammassi di galassie. Insomma, se il buon giorno si vede dal mattino, LOFAR promette di mantenere tutti gli obiettivi scientifici per cui è stato realizzato. Uno dei più ambiziosi che si prefigge questo avanzatissimo radiotelescopio è la mappatura sistematica dell'emisfero nord del cielo, con una sensibilità cento volte maggiore rispetto al passato. Una caratteristica che permetterà al radiotelescopio di rilevare qualcosa come 100 milioni di sorgenti celesti, forse addirittura di più. Questo grande programma di osservazioni coinvolge molte decine di ricercatori da tutto il mondo, fra cui anche alcuni dell'INAF. “C'e' un grande interesse trasversale per LOFAR tra gli astrofisici italiani” commenta Luigina Feretti, direttore dell'Istituto di Radioastronomia dell'INAF. ”Da qualche anno stiamo cercando di reperire i fondi necessari, circa un milione di Euro, per installare una stazione LOFAR su territorio italiano. Questo permetterebbe un coinvolgimento istituzionale della nostra comunità scientifica in una grande collaborazione internazionale, che si colloca sulla strada verso un'altra pietra miliare per la ricerca astrofisica dei prossimi decenni: il radiotelescopio SKA, lo Square Kilometre Array”. Fonte: MEDIA INAF SPIRALI DI SPIRALI Hubble immortala un centro galattico a spirale, parte di una spirale più grande. 28/05/2012 - Il telescopio spaziale Hubble ha catturato questa immagine di una galassia nota come ESO 498-G5. Una interessante caratteristica di questa galassia è che i suoi bracci a spirale creano una sorta di piccola spirale verso il centro galattico, cosicché il nucleo sembra un po' come una galassia a spirale in miniatura. Questo tipo di struttura è in contrasto con i bulge ellittici e pieni di stelle della maggior parte delle galassie a spirale. Gli astronomi si riferiscono a questa struttura come ad uno 23 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 pseudobulge. Le osservazioni di Hubble, privi delle distorsioni indotte dalla nostra atmosfera, hanno aiutato a rivelare che questi due differenti tipi di centro galattico sono realmente esistenti, mostrando inoltre che la formazione stellare è ancora in piedi nello pseudobulge mentre è cessata nel cuore galattico delle galassie "normali". Un modello simile ad una matriosca: un bulge normale può essere assimilato ad una galassia ellittica interna ad una spirale, mentre uno pseudobulge ad una galassia a spirale dentro una spirale più grande. Non solo: proprio come le giganti galassie ellittiche, i bulge normali consistono di stelle che si muovono su orbite randomiche mentre la struttura ed il movimento interno alle stelle dello pseudobulge ricalca quello delle stelle del disco delle galassie a spirale. Questo suggerisce due differenti modelli per i due tipi di bulge: quelli classici si dovrebbero sviluppare attraverso eventi di ampie dimensioni come fusioni, mentre uno pseudobulge dovrebbe avere una evoluzione più graduale. ESO 498-G5 si trova a 100 milioni di anni luce nella costellazione del Compasso e l'immagine è composta da esposizioni in luce visibile e infrarosso, in un campo di circa 3.3 per 1.6 minuti d'arco. Fonte: NASA Rivista mensile di aggiornamento astronomico 24 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SUPERNOVAE DI ASTRONAUTICA INIZIA L’ERA DELLE GITE SPAZIALI La capsula DRAGON lanciata martedì da Space X ha completato con successo il docking alla Stazione Spaziale Internazionale. Per la prima volta, la ISS viene raggiunta da una missione commerciale. Da ora in poi veicoli di questo tipo affiancheranno la Soyuz nelle missioni verso l'orbita bassa. L'opinione di Umberto Guidoni 28/05/2012 - La “liberalizzazione” dell’orbita bassa ora è iniziata davvero. Alle ora 15 e 56 italiane, la capsula Dragon è stata agganciata dal braccio robotico della Stazione Spaziale Internazionale, diventando ufficialmente il primo veicolo “commerciale” ad agganciarsi alla ISS. La manovra era iniziata molte ore prima, da quando alle 3 e 30 circa di notte in Italia, l’International Space Station Mission management team della NASA dava il via libera al docking. Dopo un lungo avvicinamento, e una pausa di sicurezza a circa 250 metri dalla stazione (servita a provare le manovre di allontanamento nel caso qualcosa fosse andato storto), la capsula è stata “catturata” dal braccio robotico della Stazione. Quest’ultimo l’ha poi avvicinata fino all’aggancio e all’apertura dei boccaporti di collegamento tra la ISS e Dragon, attraverso cui il carico di rifornimenti a bordo della capsula verrà trasferito sulla stazione. Dragon era stato lanciato tre giorni prima, il 22 maggio. A differenza del lancio di satelliti artificiali, l’aggancio di moduli alla Stazione Spaziale Internazionale era sinora monopolio delle grandi agenzie come NASA, Roscosmos (Russia) ed ESA. Con la manovra di oggi, si entra in una nuova era, prefigurata da anni dalla stessa NASA. L’orbita bassa (Low Earth Orbit o LEO, quella su cui si trova la ISS) non è più territorio “di frontiera”, riservato alle grandi agenzie governative, ma si apre a operatori commerciali (anche se la missione Space X Dragon commerciale lo è fino a un certo punto, visto che la navicella è stata sviluppata su contratto NASA). “E’ un successo importante per una società come SpaceX nata solo da pochi anni e già entrata tra i grandi del settore spaziale” spiega Umberto Guidoni, ex astronauta, che ha volato due volte con lo Space Shuttle nel 1996 e nel 2001, la seconda volta raggiungendo la Stazione Spaziale Internazionale. “Ora però SpaceX dovrà dimostrare di essere in grado di mantenere una fitta e regolare schedule di voli, che è quello che il mercato le richiederà”. Secondo Guidoni, per quanto la tecnologia per volare in orbita bassa sia ormai in gran parte matura, ”c’è ancora un margine di sviluppo. Il risultato di oggi in fondo riguarda sempre solo i professionisti del ramo, gli astronauti. L’altro grande obbiettivo è il turismo spaziale. Per farlo diventare reale, e non solo un privilegio per persone ricchissime come è stato finora, serve un veicolo ancora più semplice e meno costoso di Dragon”. Il prossimo passo fondamentale per Space X sarà quello di un volo abitato, cosa che dovrebbe avvenire entro il 2013/2014. Un obiettivo su cui la Nasa stessa vuole accelerare, anche per avere un mezzo alternativo alla Soyuz per raggiungere la ISS. Fonte: MEDIA INAF Rivista mensile di aggiornamento astronomico 25 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SPECIALE ECLISSE ANULARE DI SOLE – MAGGIO 2012 Rivista mensile di aggiornamento astronomico 26 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Rivista mensile di aggiornamento astronomico 27 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Gli appuntamenti Skylive di Giugno Venerdi 1 Giugno 2012 Una Costellazione sopra di Noi: Una serata in diretta al telescopio numero 4 tra le bellezze della costellazione del mese, il Bifolco. Conduce Giorgio Bianciardi, staff Skylive e vicepresidente UAI. Giovedi 14 Giugno 2012 Corso di Astronomia di Base: Sesto appuntamento con il corso di astronomia di base, incentrato sul ciclo di vita delle stelle. Conduce Stefano Capretti, staff Skylive. Giovedi 28 Giugno 2012 Rassegna stampa e Cielo del Mese: Una serata per ripercorrere le principali notizie del mese di Giugno 2012 e per introdurre il cielo del mese di Luglio, con un occhio di riguardo all’evento del 15: occultazione lunare di Giove. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 28 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Universe Gallery L'immagine della NASA ottenuta dall'Hubble Space Telescope potrebbe sembrare come una piccola parte di cielo a prima vista, ma con uno zoom nella parte centrale dell'ammasso galattico, una delle più grandi strutture dell'universo, quindi è come guardare nell'occhio di un ciclone. Gli ammassi di galassie sono grandi gruppi formati da dozzine di centinaia di galassie, legate insieme dalla gravità. Le galassie a volte arrivano troppo vicine tra di loro e le grandi forze gravitazionali le possono distorcere oppure addirittura spezzare durante la collisione. Questo ammasso in particolare, chiamato Abell 1185, è un ammasso caotico. Le galassie di varia forma e dimensione effettuano traiettorie abbastanza rischiose. Alcune sono già state provate dalle interazioni cosmiche, lasciando code di materia nel vuoto. Hanno dato vita ad una forma particolare chiamata "La Chitarra", posta appena al di fuori del frame di questa immagine. Abell 1185 è posta a circa 400 milioni di anni luce dalla Terra e abbraccia uno spazio di un milione di anni luce. Poche galassie ellittiche che formano l'ammasso sono visibili agli angoli dell'immagine. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 29 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 L'immagine della nebulosa Thor's Helmet, anche nota come NGC 2359, è stata ottenuta dalla Wide Field Camera a bordo dell'Isaac Newton Telescope (INT). Si tratta di una immagine composita ottenuta dai dati raccolti attraverso filtri per isolare la luce emessa dall'idrogeno alfa (H-alpha), dall'ossigeno due volte ionizzato (OIII) e dallo zolfo ionizzato (SII). I dati sono stati poi codificati in rosso, verde e blu rispettivamente. NGC 2359 è attualmente una bolla interstellare, soffiata dai venti della stella brillante e massiva posta nei pressi del centro. E' una stella di Wolf-Rayet, una gigante molto calda, che a breve dovrebbe passare allo stadio di supernova. Si trova a 15.000 anni luce dalla Terra nel Cane Maggiore e misura 30 anni luce di diametro. Si tratta di una delle strutture nebulari di Wolf Rayet meglio conosciute ed il nome è dovuto alla somiglianza con il copricapo del famoso dio del tuono, Thor. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 30 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Reti caotiche di polvere e gas sono il segnaposto delle prossime generazioni di stelle massive in questa nuova immagine della nursery stellare Cygnus-X ottenuta dall'Herschel Observatory dell'ESA. Si tratta di una regione estremamente attiva di nascita stellare distante 4500 anni luce dalla Terra, nel Cigno. L'occhio infrarosso di Herschel ha consentito di osservare le regioni nelle quali la polvere è scaldata dalle stelle, laddove nuove generazioni di stelle stanno per prendere vita. Le aree bianche brillanti evidenziano zone nelle quali si sono formate da poco grandi stelle a partire da nubi turbolente, soprattutto nella zona a destra dell'immagine. Qui, punti addensati di gas e polvere segnano le intersezioni tra i filamenti e collassano a formare nuovi astri. Al centro dell'immagine, la radiazione e i potenti venti stellari hanno ripulito la zona scoprendo il materiale interstellare. La zona a sinistra è dominata da colonne di gas che somigliano al collo di un cigno. In basso e a destra, un guscio di gas e polvere è stato probabilmente espulso da una stella supergigante nel suo centro, non visibile nell'immagine. Stringhe di oggetti rossi compatti abbracciano tutta la scena, semi di prossime generazioni stellari. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 31 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 La strana galassia Centauro A è raffigurata in questa nuova immagine dell'Osservatorio Australe Europeo. Raggiungendo un tempo totale di esposizione di più di 50 ore, questa è probabilmente l'immagine più profonda di questo oggetto singolare e spettacolare. L'immagine è stata ottenuta dallo strumento WFI (Wide Field Imager) sul telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO all'Osservatorio di La Silla in Cile. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 32 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Nella costellazione di Andromeda, NGC 891 si trova a circa 30 milioni di anni luce dalla Terra e il telescopio spaziale Hubble ha volto il proprio sguardo proprio verso questa spirale spiandone la metà settentrionale. Il bulge centrale si trova appena al di fuori dell'immagine, sul lato in basso a sinistra. La galassia abbraccia un'area di circa 100 mila anni luce e viene osservata precisamente di taglio rivelando quindi il piano di polveri e di gas interstellare. Osservazioni più dettagliate rivelano la presenza di filamenti di polvere e gas in fuga dal piano della galassia, verso l'alone, a centinaia di anni luce. Gli astronomi credono che questi filamenti siano il risultato dell'espulsione di materiale dovuta a supernovae oppure a intensa attività di formazione stellare. Questi eventi causano venti potenti che soffiano via la polvere ed il gas a distanze siderali. NGC 891 è parte di un piccolo gruppo di galassie legate insieme dalla gravità. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 33 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Il telescopio Spitzer della NASA ha immortalato questa galassia dotata di una struttura simile ad un occhio al suo centro. L'occhio è un mostruoso buco nero circondato da un anello di stelle. In questa immagine codificata dall'infrarosso l'area intorno al buco nero invisibile è blu e l'anello di stelle è bianco. La galassia è NGC 1097 e si trova a 50 milioni di anni luce da noi: è una spirale come la nostra con bracci di stelle molto pronunciati. Il buco nero ha una massa di circa 100 milioni di masse solari e si ciba del gass e della polvere circostanti, con saltuari spuntini di stelle. Al confronto il buco nero della Via Lattea fa ridere, con pochi milioni di masse solari. L'immagine abbraccia una regione di soli 5.500 anni luce, più di 300 regioni di formazione stellare distribuite lungo l'anello di gas e polveri. Al centro, la brillante sorgente dove l'AGN ed il buco nero sono localizzati. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 34 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 SPECIALE: Il transito di Venere sul Sole MAI OSSERVARE IL SOLE SENZA UN APPOSITO FILTRO! Finora siamo abituati a vedere verso ovest una "stella" brillantissima e sappiamo che non si tratta di una stella, ma del pianeta Venere che quando è visibile si fa notare in maniera molto evidente. Spesso ciò che non è noto è il giorno in cui Venere, anziché essere alla massima distanza dal Sole, si trova in congiunzione eliaca. Di certo non è il caso di quest'anno dal momento che il pianeta darà spettacolo proprio nel giorno della congiunzione eliaca inferiore, passando proprio sul disco solare. Si tratta di un gioco di orbite e di inclinazioni: l'orbita di Venere è inclinata di 3,4° rispetto a quella terrestre quindi nel momento in cui Venere passa davanti al Sole lo fa, in genere, passando sopra o sotto il nostro astro diurno. Nel momento in cui i piani orbitali di Terra, Sole e Venere si intersecano avviene un transito, quindi un passaggio del disco del pianeta sul disco del Sole. Già da questo si può capire come si tratti di un evento abbastanza raro. L'inclinazione dell'orbita di Mercurio rispetto all'eclittica, all'incirca di 7°, fa si che Mercurio regali in media 13 transiti al secolo: per il resto passa al di sopra o al di sotto del disco solare. Mercurio passa sui nodi dell'eclittica soltanto l'8 maggio ed il 10 novembre, perciò i transiti avvengono più o meno intorno a queste date, quando avvengono. L'ultimo transito di Mercurio è avvenuto l'8 novembre del 2006. I transiti di Maggio avvengono con cicli di 7, 13 e 33 anni, mentre quelli di Novembre con cicli di 13 e 33 anni. Per Venere è tutto più difficile: la sua orbita lascia poco spazio ai transiti, che quindi sono più rari di quelli di Mercurio ed avvengono un paio di volte ogni secolo, ma a coppia durante la quale gli eventi sono distanziati di 8 anni. Le date più recenti vedono i transiti nel 1631 e nel 1639, nel 1761 e nel 1769, nel 1874 e nel 1882, sempre all'inizio di dicembre e di giugno. Il prossimo transito sarà quello ormai famoso del 6 giugno del 2012, visto che il primo della coppia è avvenuto l'8 giugno del 2004. Quindi il transito è il passaggio del disco di un pianeta sul disco solare, o di un satellite sul disco del proprio pianeta osservato da un pianeta esterno. Il transito di Venere si presenta come il passaggio di un dischetto scuro sul disco solare, quindi va osservato con tutte le attenzioni del caso: OSSERVARE IL SOLE SENZA UN APPOSITO FILTRO PORTA ALLA CECITA'! IMPORTANZA STORICA Non si tratta solo di un fenomeno osservativo, o meglio non è sempre stato così. Un tempo i transiti di Venere erano fondamentali anche per determinare con precisione, tramite il metodo della parallasse, la dimensione del Sistema Solare, la distanza quindi tra Terra, Sole e Venere e per calcolare la grandezza del diametro del pianeta in base al tempo impiegato per percorrere il disco solare. Il primo transito previsto fu quello del 1631 ma non fu osservato da nessuno: i dati di Keplero, infatti, non era accurati al punto da prevedere anche che il fenomeno non sarebbe stato visibile dall'Europa. La prima osservazione fu così rimandata a otto anni dopo, al secondo passaggio della coppia di transiti, e fu opera di Jeremiah Horrocks: per la prima volta si capì il gioco delle coppie dei transiti di Venere, cosa che finora era sfuggita anche a Keplero. Rivista mensile di aggiornamento astronomico 35 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Sempre grazie ai transiti si riuscì a capire che Venere ha una propria atmosfera: i raggi solari infatti furono sorpresi ad essere rifratti ancora prima dell'entrata del disco di Venere nel disco solare, quindi ad opera di un involucro gassoso che doveva per forza circondare il pianeta. Una sorta di imprecisione viene fornita da un effetto chiamato back drop, che rende impossibile stabilire con precisione assoluta il momento in cui inizia e termina il transito. Un tempo questo fenomeno era assegnato all'atmosfera del pianeta in transito, ma ci si rese conto che è invece dovuto ad un effetto ottico conseguente alla turbolenza atmosferica terrestre nonché ai mezzi ottici utilizzati. L'effetto consiste, in pratica, in una spalmatura del dischetto del pianeta nel momento in cui si trova nei pressi del bordo solare, come si evince dall'immagine. IL TRANSITO DEL 6 GIUGNO Detto questo, non resta che passare al transito del 6 giugno 2012 (6 giugno per noi, ma dal punto di vista geocentrico si parla di 5 e 6 giugno) dicendo già da ora che non si tratterà di un evento favorevole per il nostro paese dal momento che avrà inizio con gli astri ancora sotto l'orizzonte e che sarà visibile soltanto bassissimo all'orizzonte est durante le fasi finali, quindi poco prima dell'uscita del pianeta dal disco solare. Ovviamente, sarà comunque un appuntamento da non perdere, l'ultimo della nostra vita dal momento che il prossimo transito di Venere sul disco solare si verificherà il giorno 11 dicembre 2117. Quindi accontentiamoci e cerchiamo di massimizzare la soddisfazione che si potrà ottenere. Innanzitutto, l'area di visibilità dell'evento sarà circoscritta più o meno alla parte centrale e occidentale dell'Oceano Pacifico: dal nord America si potrà assistere all'inizio dell'evento mentre in Asia Meridionale, Medio Oriente e gran parte dell'Europa si potrà assistere alla parte finale, come detto. Tanto per fare un esempio, a Roma Venere toccherà in uscita la parte interna del disco solare intorno alle 04:37 TU con una altezza di soli 10° mentre uscirà completamente dal disco alle ore 04:55 TU ad una altezza di soli 13°. A Milano stessi orari, ma con altezze di 9° e 12° sull'orizzonte est. Dal punto di vista geocentrico, e quindi non tenendo in considerazione le condizioni locali e gli orizzonti, l'evento sarà lunghissimo e prevede le seguenti fasi: Rivista mensile di aggiornamento astronomico 36 SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012 Primo contatto con il disco esterno, 5 giugno ore 22:09:40 locali Ingresso totale nel disco, 5 giugno ore 22:27:28 UT Minima separazione, 6 giugno ore 01:29:35 UT Contatto con il disco interno, 6 giugno ore 04:31:42 UT Uscita dal disco solare, 6 giugno ore 04:49:30 UT L'evento quindi dura ben sei ore e quaranta minuti, ma dall'Italia sarà visibile soltanto dal sorgere del Sole, poco prima delle ore 6, alle 06.55 orario in cui tutto avrà fine. di Stefano Capretti Rivista mensile di aggiornamento astronomico 37