SuperNovae
Mensile di aggiornamento astronomico di Skylive
DAL NOBEL AI DUBBI
SKYLIVE TELESCOPI REMOTI
Skylive Telescopi Remoti è un servizio,
promosso e portato avanti da appassionati
di astronomia, che mette a disposizione
degli utenti la possibilità di conoscere
l'astronomia e di viverla in prima persona
sotto il cielo.
l'offerta sensazionale e la varietà degli
oggetti da osservare, aggiungendo il Sole.
Chiunque, registrandosi, potrà osservare
tutto quanto il cielo sarà in grado di
offrire. Gli utenti sostenitori del progetto
potranno anche comandare direttamente i
telescopi tramite PC o SmartPhone, e
scattare bellissime astrofotografie, come
la magnifica Nebulosa Aquila, nella
costellazione del Serpente, immortalata in
alto proprio tramite i nostri telescopi.
1 - IL CIRCUITO DI TELESCOPI REMOTI
La missione storica di Skylive Telescopi
Remoti è offrire il cielo a tutti, consentirne
l'osservazione attraverso una rete
internazionale di telescopi gestibili da
remoto, dislocati sul territorio italiano
e australiano. Gli utenti iscritti a Skylive
potranno quindi osservare il cielo giorno e
notte: durante il giorno boreale saranno
visibili le bellezze del cielo australe mentre
durante la nostra notte ci saranno i
telescopi di Catania e Viverone a tener
compagnia agli astrofili. Di prossima
installazione ci sono altri due telescopi
2 - LA DIVULGAZIONE ASTRONOMICA
Skylive promuove anche la conoscenza
scientifica prima di tutto attraverso le
pagine del proprio portale, aggiornate
quotidianamente con le ultime notizie in
campo astronomico prese dai principali
organi di divulgazione come NASA, ESA,
ESO, ASI, e poi attraverso gli Speciali,
Il 2012 ha portato il Nobel
per la Fisica alla scoperta,
ormai
consolidata,
dell’espansione accelerata
dell’universo. La prova di
tutto è data dalla presenza
di candele standard di
grande potenza, come le
supernovae di tipo Ia:
oggetti celesti brillantissimi
dei quali è nota la luminosità
assoluta e quindi ottimi per
calcolare la distanza in base
alla luminosità apparente.
Maggio 2012 è stato un po’
avaro di notizie, ma una è
abbastanza affascinante: le
supernovae di tipo Ia
derivano da due processi
diversi. Il primo processo è
coerente con una luminosità
stabile visto che è legato al
raggiungimento del limite di
Chandrasekhar,
ma
il
secondo deriva dalla fusione
di due nane bianche, dotate
di massa incerta. Sono
davvero candele standard?
Le misure dell’accelerazione
dell’universo sono state
prese dando per certa la
luminosità sempre uguale di
questi corpi celesti, ma le
cose stanno davvero così?
La cosmologia non finisce
mai…
Stefano Capretti - Skylive
italiani, dei quali uno solare a completare
serate pubbliche gestite anche con la
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
collaborazione dell'Unione Astrofili
Italiani (U.A.I.).
Nel corso degli anni sono stati portati
avanti cicli di serate sempre più
numerosi, fino ad abbracciare un
palinsesto che va dalla spiegazione
delle nozioni di base dell'astronomia
fino all'osservazione del cielo del
periodo,
costellazione
per
costellazione. Ogni serata pubblica è
del tutto gratuita e aperti a tutti gli
iscritti (sostenitori e non). Ciascuna
serata è inoltre arricchita da video e
materiale
scaricabile
gratuitamente.
sempre
Skylive Telescopi Remoti pensa anche
ai più piccoli, con la divisione
123Stella! dedicata
proprio
ai
bambini, ma anche a chi non si è mai
avvicinato all'astronomia ed ha voglia
di imparare in maniera indolore.
Skylive Telescopi Remoti mette a
disposizione
gratuitamente
il
programma SkylivePRO per pilotare i
telescopi remoti, chattare con gli altri
utenti ed assistere alle dirette degli
Speciali. SkylivePRO è
il
client
Windows
sviluppato
da Skylive stesso. Per gli utenti che
usano altri sistemi operativi è invece
disponibile il nostro Client Web.
Skylive Telescopi Remoti
SUPERNOVAE
Mensile di aggiornamento astronomico
di
Skylive Telescopi Remoti
Presidente IVAN BELLIA
Vicepresidente LUCA SCARPAROLO
Telescopi Remoti
&
Astronomia
A cura di STEFANO CAPRETTI
Grafica DANY GOZZI
Contatti: [email protected]
Sito web: http://www.skylive.it
Facebook:
https://www.facebook.com/skylive.telescopiskwall
SKYLIVE e 123Stella: Astronomia per grandi e per piccoli
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Sommario
SuperNovae.................................................................................................................................................. 1
L’ASTRONOMIA ED I SUOI STRUMENTI ................................................................................................... 4
IL CIELO CAPOVOLTO ................................................................................................................................................................................................ 4
NUOVA QUIETE SU SATURNO...................................................................................................................................................................................... 5
ENCELADO: ULTIMO FLYBY PRIMA DEL 2015.............................................................................................................................................................. 5
SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE .......................................................................................................................................................................... 5
FRAMMENTI DAL PASSATO ......................................................................................................................................................................................... 6
UN SISTEMA SOLARE VELOCISSIMO ........................................................................................................................................................................... 7
VESTA: L’ANELLO CHE MANCA .................................................................................................................................................................................. 8
NESSUNO SHOCK PER IL SISTEMA SOLARE ................................................................................................................................................................. 8
SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI.............................................................................................................................................................................. 10
NIENTE TERRE INTORNO AI GIOVIANI....................................................................................................................................................................... 10
TERRE DISTRUTTE......................................................................................................................................................................................................... 10
UN PIANETA NASCOSTO........................................................................................................................................................................................... 11
UN PIANETA CHE EVAPORA ..................................................................................................................................................................................... 12
VAGABONDE GALATTICHE....................................................................................................................................................................................... 14
SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO ................................................................................................................................................................................. 14
SETACCIARE LA CINTURA DI ORIONE ...................................................................................................................................................................... 15
SUPERNOVAE Ia: CANDELE STANDARD? ................................................................................................................................................................. 16
BUCHI NERI A TAVOLA.............................................................................................................................................................................................. 16
AMMASSO CON “VISTA”.......................................................................................................................................................................................... 17
NGC 4698: UNA STRANA GALASSIA ........................................................................................................................................................................ 18
UNA NANA PER HUBBLE ............................................................................................................................................................................................ 18
SUPERNOVA TROPPO BRILLANTE .............................................................................................................................................................................. 19
BUCO NERO IN HD .................................................................................................................................................................................................... 20
I CALCOLI DI ALGOL................................................................................................................................................................................................. 21
SOLI TROPPO VIOLENTI ............................................................................................................................................................................................. 21
PRIMA IMMAGINE CON SORPRESA ......................................................................................................................................................................... 22
COLLANE DI STELLE ................................................................................................................................................................................................... 22
SPIRALI DI SPIRALI ..................................................................................................................................................................................................... 23
INIZIA L’ERA DELLE GITE SPAZIALI ............................................................................................................................................................................. 25
SUPERNOVAE DI ASTRONAUTICA............................................................................................................................................................................. 25
SPECIALE ECLISSE ANULARE DI SOLE – MAGGIO 2012............................................................................................................................................ 26
Gli appuntamenti Skylive di Giugno ...................................................................................................................................................................... 28
Universe Gallery ....................................................................................................................................................................................................... 29
SPECIALE: Il transito di Venere sul Sole ................................................................................................................................................................... 35
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
IL CIELO CAPOVOLTO
L’ASTRONOMIA ED I SUOI STRUMENTI
Chissà se chi si considera astrofilo riesce a ricordare il momento in cui lo è divenuto, il momento in
cui si è innamorato di quelle luci appese su quanto di più sconosciuto e inconcepibile la nostra
mente possa immaginare.
Forse ci si nasce attratti dal cielo, o forse lo si diventa. Forse è una caratteristica che il nostro
provenire dalle stelle, dalle supernovae, ci rende necessario come respirare. Lo stesso percorso
delle tartarughe marine che, pur nascendo lontane dal mare, hanno come primo istinto quello di
andarselo a cercare.
Per quanto mi riguarda, il fascino celeste si è manifestato attraverso i suoi misteri, attraverso le sue
misure. Trecentomila chilometri al secondo sono tantissimi: il diametro terrestre è di dodicimila più
o meno, quindi trecentomila sono venticinque volte la Terra! Eppure la luce impiega un solo
secondo a percorrere venticinque volte il giro della Terra. La stella più brillante che vediamo
invece si trova a poco più di otto anni luce: Sirio. Trasformate tutto in chilometri e… si,
matematicamente ce la facciamo a fare il conto, ma fisicamente riusciremo mai a renderci
conto dell’effettiva distanza di questa stella?
Questa è stata la molla, per me: riuscire ad avere un concetto sulla carta, ma non averlo nella
mente. Una stella di neutroni grande come Roma e con una massa in grado di curvare l’universo
quasi come un buco nero. Una pulsar in grado di ruotare su sé stessa migliaia di volte ogni
secondo. Facile a parole… impossibile o quasi crederci.
Forse sono stato fortunato a rimanere affascinato da queste cose e non dalle immagini di Hubble
che ho avuto modo di apprezzare si, ma soltanto dopo, a corollario di nozioni che avidamente
andavo a cercare per “capire” senza poterci riuscire.
Forse in questo modo ho apprezzato fino in fondo l’Astronomia pura, che troppe volte viene
sporcata da argomenti che vengono spacciati per Astronomia ma che neanche le si avvicinano.
Guardo i telegiornali, mi accorgo che si parla di “Astronomia” per parlare dei Maya,
dell’allineamento dei pianeti che genera distruzione, di asteroidi che puntano la Terra
minacciandola di morte, di pianeti al confine del sistema solare che ci guardano malignamente,
di stelle compagne del Sole che sono in avvicinamento per annientarci.
Poi ci sono le fotografie astronomiche, che ovviamente non sono “fintascienza” come certi
programmi televisivi ma che spesso di astronomico hanno soltanto la cifra spesa per scattarle
visto che si conoscono tutti i dettagli tecnici, ma non cosa si è immortalato.
Forse se mi fossi innamorato delle fotografie di Hubble sarei rimasto deluso dal vedere soltanto
“puntini” dentro il mio telescopio, così come sento dire da molte fonti astrofile. Forse avrei pensato
anche io che senza un telescopio da tremila euro il cielo non può essere ammirato… mentre ad
occhio nudo il cielo è quanto di più bello si possa osservare, insieme al mare.
L’Astronomia è il fine ultimo della nostra vita: la nostra nascita e la nostra morte. Tutto il resto sono
soltanto strumenti dell’Astronomia. Possiamo immortalarla perché è talmente democratica da
farsi ammirare sia da chi la ama in profondità sia da chi la osserva in superficie. Non potremo mai
capirla però: possiamo illuderci di comprenderne i meccanismi ma se cerchiamo di immaginarli
davvero, dall’infinitamente piccolo di un Big Bang all’infinitamente grande di una galassia,
rischiamo di uscirne pazzi. Ma sempre pazzi di lei.
Stefano Capretti
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE
ENCELADO: ULTIMO FLYBY PRIMA DEL 2015
La sonda Cassini sorvola Encelado e Dione ottenendo nuove
immagini ma anche dati riguardanti l'attività gravitazionale
della regione sud-polare
trovare Rhea ma il prossimo flyby è previsto solo per
giugno 2015, quando sarà la volta di Dione. Per Encelado
occorrerà attendere il 14 ottobre 2015.
Fonte: NASA JPL
NUOVA QUIETE SU SATURNO
03/05/2012 - La sonda Cassini della NASA ha sorvolato di
nuovo Encelado e Dione il 2 maggio 2012 ottenendo
immagini durante l'incontro che, per i prossimi tre anni,
sarà il più ravvicinato.
La distanza raggiunta è stata di 74 chilometri dalla
superficie della luna Encelado e l'incontro era finalizzato a
misurare la variazione del campo gravitazionale di
Encelado.
Di nuovo, Cassini ha immortalato i getti provenienti dalle
fessure sudpolari della luna di Saturno, consistenti in
vapore acqueo, acqua ghiacciata e composti organici.
Durante l'approccio maggiore si è osservata la
concentrazione di massa al polo sud, che potrebbe indicare
la presenza di acqua liquida sub-superficiale oppure una
intrusione di ghiaccio che potrebbe spiegare la fantastica
attività geologica del polo sud.
Durante il mese di maggio, Cassini incontrerà Titano il
giorno 22 in orbita equatoriale prima di intraprendere un
movimento che lo porterà a studiare l'emisfero nord e
l'emisfero sud di Saturno. Il 9 marzo 2013 Cassini tornerà a
07/05/2012 - Era stata battezzata “la grande tempesta del
Nord” ma avremmo anche potuto chiamarla “l'infinita
tempesta del nord”. È una tempesta nell'emisfero nord del
pianeta Saturno con una superficie di dimensioni abnormi e
fulmini 10.000 volte più intensi di quelli terrestri. È la piu
grande tempesta registrata dagli anni '90 sulla superficie
del pianeta, iniziata a fine 2010 e di cui solo ora si vede la
fine. Dalla sua scoperta e per tutta la sua durata, la
tempesta è stata seguita e ripresa dagli strumenti a bordo
della sonda Cassini, fino a produrre a febbraio 2012 questo
bellissimo ultimo fotogramma. Un'immagine che
rappresenta un ottimo biglietto di invito per “Occhi su
Saturno”, l'evento che il 26 maggio verrà dedicato in tutta
Italia all'osservazione del Signore degli anelli.
L'immagine è stata realizzata l'11 febbraio 2012 dalla wide-angle camera, mentre la Cassini inquadrava il pianeta da
appena sotto il piano degli anelli che nell'immagine compaiono come una riga nera in primo piano, non essendo illuminati
dalla luce del Sole. La sonda Cassini si trovava in quel momento a 2,8 milioni di chilometri da Saturno e la risoluzione è di
170 chilometri per pixel. L'immagine è stata realizzata con un filtro nell'infrarosso centrato a 752 nanometri e per questo
risulta in bianco e nero. Questo ritratto è l'ultima tappa di un filmato lungo oltre un anno in cui, da diverse angolazioni e
con illuminazioni varie, Cassini ha ripreso la nascita e l'evoluzione dell'enorme tempesta (vedi la serie di immagini). Oggi,
nell'emisfero nord, dove l'atmosfera era stata in passato sconvolta ed erano presenti enormi formazioni nuvolose, sono
visibili solo tracce di questo violento passato.
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Ma a guardare bene, la preziosa fotografia presenta anche
qualche sorpresa aggiuntiva. Poco visibili e quasi nascoste,
fanno capolino tra gli anelli 4 delle oltre 60 lune di Saturno.
Mimas, di 396 chilometri di diametro, appare come un
punto luminoso quasi al centro del disco del pianeta,
appena sotto gli anelli. Encelado, di 504 chilometri di
diametro, è appena piu spostata sulla destra, visibile in
tutto il suo splendore sullo sfondo scuro del cielo, sempre
al di sotto del piano degli anelli. Le due ultime lune
presenti, Giano ed Epimeteo, a causa delle loro minuscoli
dimensioni quasi si perdono a confronto con il pianeta.
Giano (179 chilometri) è appena visibile come un piccolo
puntino all'estremo destra dell'immagine, mentre
Epimeteo (113 chilometri) si trova appena sopra gli anelli
sull'estrema sinistra dell'inquadratura. Per renderle più
visibili nell'immagine, queste due minuscole lune sono
state rese in post produzione più luminose di Saturno e
delle altre lune di un fattore 1.5 e 1.4 rispettivamente. Solo
uno dei trucchi della scienza per rendere ancora più belli i
ritratti di Saturno realizzati negli anni dalla missione
Cassini.
Ed è proprio per riportare questo magnifico Saturno sotto
la luce dei riflettori, o per meglio dire nel campo di vista dei
telescopi, che il 26 maggio in occasione del 300°
anniversario dalla morte di Gian Domenico Cassini, verrà
organizzata in varie sedi italiane la manifestazione “Occhi
su Saturno”, un'osservazione pubblica su scala nazionale
che coinvolgerà astrofili, osservatori e planetari. Una
manifestazione
da
non
perdere,
promossa
dall'Osservatorio Astronomico Comunale “G.D.Cassini” e
l'Associazione Stellaria, con la collaborazione dell'Istituto di
Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'INAF e dell'Unione
Astrofili Italiani.
Fonte: MEDIA INAF
FRAMMENTI DAL PASSATO
Su Science uno studio sui frammenti di meteoriti trovati
nelle rocce lunari portate sulla Terra dalle missioni Apollo.
Sono una testimonianza del bombardamento di cui fu
oggetto il nostro satellite all'alba del sistema solare.
18/05/2012 - Frammenti del passato. Sono quelli scoperti
nei campioni di rocce riportati a Terra nel 1972 dalla
missione Apollo 16. Frammenti di meteoriti caduti sul
nostro satellite all'inizio della formazione del sistema
solare.
Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, arriva dopo anni
di ipotesi e ricerca di prove indirette. Un gruppo di
ricercatori statunitensi guidati dalla Nasa ha identificato per
la prima volta le briciole di questi antichissimi corpi celesti
che hanno bombardato Terra e Luna quando entrambe
erano ancora giovanissime.
“Si tratta di un risultato importante – ha commentato
Diego Turrini, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia
Spaziali dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Roma
– che fornisce nuove basi osservative per migliorare la
nostra comprensione della evoluzione del Sistema Solare”.
È noto da tempo che Terra e Luna, come anche tutti gli altri
corpi del Sistema Solare, subirono un vero e proprio
bombardamento da parte di piccoli o medi oggetti durante
le prime fasi della loro formazione. Nei pianeti come la
Terra, protetti da uno strato atmosferico e geologicamente
attivi, i segni di queste piogge risultano quasi
completamente cancellati e risulta estremamente arduo
ottenere informazioni sul lontano passato.
Tutti gli articoli possono essere approfonditi sul sito Sklive Telescopi Remoti e vengono inseriti
quotidianamente.
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
In questo contesto la Luna rappresenta invece un perfetto
“testimone” in grado di preservare molte preziose
informazioni. Le analisi realizzate su alcuni campioni di
regolite prelevati nel corso della missione Apollo 16 ha
individuato per la prima volta i frammenti di alcuni dei
proiettili che affollavano il sistema solare tra i 3,4 e i 3,8
miliardi di anni fa.
“I risultati forniscono informazioni su due importanti
aspetti – ha commentato Turrini – da un lato indica che gli
asteroidi sono stati i principali responsabili del cosiddetto
Cataclisma Lunare, una fase di intenso bombardamento che
è stata identificata appunto tramite i crateri lunari e che si
pensa essere stata scatenata dalla migrazione dei pianeti
giganti del nostro Sistema Solare”. Una delle predizioni di
questa ipotesi era esattamente che il principale contributo
a questo bombardamento fosse dato dagli asteroidi e che
le comete avessero invece svolto un ruolo minoritario. “Da
un altro punto di vista – ha aggiunto Turrini – questo
risultato conferma che, in un impatto tra corpi celesti,
frammenti del proiettile possono sopravvivere alla
collisione e contaminare la superficie del corpo bersaglio
anche quando si tratta di impatti ad alta energia come
quelli responsabili della formazione dei bacini lunari”.
103 milioni di anni, è stato corretto attestandosi attorno a
68 milioni di anni. Quindi una differenza del 34%, il che
non è poco.
146Sm è un isotopo del samario, un elemento chimico
molto raro in natura, presente nel Sole e nel nostro
Sistema solare al momento della sua nascita. Questo
isotopo, dato il suo lunghissimo periodo di dimezzamento,
è uno dei principali strumenti utilizzati dagli astrofisici per
determinare la cronologia degli eventi avvenuti nel passato
del Sistema solare e, quindi, anche la sua velocità di
formazione.
Fonte: MEDIA INAF
UN SISTEMA SOLARE VELOCISSIMO
Lo studio di un isotopo e del suo tempo di decadimento
portano ad una stima molto inferiore per il tempo
necessario alla formazione del Sistema Solare.
02/05/2012 - Il nostro buon vecchio Sistema solare ha
ormai 4,5 miliardi di anni, ma è difficile sapere quanto
tempo ha impiegato per formarsi completamente. La sua
evoluzione potrebbe essere avvenuta in un periodo di
tempo minore rispetto a quello stabilito fino ad oggi.
Un team di ricercatori formato da Michael Paul (Università
Ebraica di Gerusalemme) e altri provenienti dall'Università
di Notre Dame, dal Laboratorio Nazionale Argonne (Illinois
– USA) e da due università giapponesi, hanno esaminato
l'attività di uno degli “orologi nucleari” utilizzati per
stabilire l'età o le evoluzioni cronologiche di eventi passati.
Parliamo del nucleo di samario-146 (da ora in poi 146Sm).
La nuova stima del tempo di dimezzamento del 146sm
sembrerebbe mostrare, quindi, che le lancette di questo
particolare “orologio” naturale girerebbero ad una velocità
maggiore e che il nostro sistema planetario potrebbe
essersi sviluppato più velocemente di quanto ritenuto
finora. Lo studio è stato possibile, nel corso degli anni,
grazie all'impiego dell'acceleratore di particelle ATLAS.
Fonte: MEDIA INAF
Dalla ricerca apparsa su Science Journal si apprende che il
tempo di dimezzamento di 146Sm, che finora si riteneva di
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
NESSUNO SHOCK PER IL SISTEMA SOLARE
Il lento movimento del nostro sistema planetario è protetto
da un campo magnetico più forte di quanto pensato finora
e non produce onde nel mezzo interstellare.
11/05/2012 - Sembra essere più simile ad un tranquillo
viaggio in barca piuttosto che un adrenalinico volo di un jet
supersonico il moto del Sole e dell'eliosfera nello spazio
interstellare. Una vera sorpresa per gli scienziati, che arriva
dall'analisi dei dati raccolti dalla sonda IBEX (Interstellar
Boundary EXplorer) della NASA e appena pubblicati in un
articolo online sul sito della rivista Science. Una sorpresa
perché, contrariamente a quanto si pensava finora, il
nostro Sistema solare sembra non possedere la tipica onda
d'urto – detta anche bow shock – che avrebbe dovuto
precederlo nel suo percorso attraverso la tenue nuvola di
gas e polveri interstellari.
interstellare. I nuovi dati di IBEX infatti fissano questo
valore a circa 83.000 Km orari. Che è un bel viaggiare, ma
sempre 11.000 Km all'ora più lento di quanto ritenuto
finora. Con questo ritmo l'eliosfera, secondo gli scienziati,
produrrebbe più un'increspatura nel ‘mare' di gas e polveri
che sta attraversando piuttosto che un vero e proprio
shock.
Il secondo indizio che rafforza questo scenario riguarda la
pressione magnetica nello spazio interplanetario. I dati di
IBEX, in accordo con quanto già rilevato dalle sonde
Voyager, mostrano che il campo magnetico è più intenso al
di fuori dell'eliosfera. Una condizione che richiede
necessariamente velocità più elevate per produrre un'onda
d'urto, come confermano anche due simulazioni al
calcolatore condotte indipendentemente da altrettanti
team di ricerca, uno negli Stati Uniti, l'altro in Russia.
“È ancora troppo presto per dire esattamente cosa possono
significare questi dati per gli studi sulla nostra eliosfera”
continua McComas. “Per decenni le ricerche in questo
settore hanno postulato l'esistenza di un bow shock. Quelle
ricerche ora dovranno essere riviste alla luce degli ultimi
dati di IBEX. Ma possiamo già dire che ci saranno profonde
implicazioni su come entrano e si propagano i raggi cosmici
nel nostro Sistema solare. Un fenomeno rilevante per i suoi
effetti sui viaggi spaziali umani”.
Fonte: MEDIA INAF
VESTA: L’ANELLO CHE MANCA
“Il caratteristico bang sonico prodotto da un jet che si sta
muovendo a velocità supersonica è un esempio di bow
shock nell'ambiente terrestre” spiega David McComas,
Principal Investigator di IBEX. “A quei regimi, l'aria che si
trova davanti al muso dell'aereo non riesce a spostarsi in
modo sufficientemente rapido e si addensa. Quando il
velivolo supera la velocità del suono, l'interazione cambia
istantaneamente, producendo un'onda d'urto”.
Quali informazioni in più hanno oggi gli scienziati per
escludere la presenza di un bow shock che precede
l'eliosfera? Intanto la velocità con cui tutto il nostro
Sistema solare si sta muovendo relativamente al mezzo
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
La missione Dawn conferma che l'asteroide è in realtà un
protopianeta risalente alle prime fasi della formazione del
sistema solare. Ben sei articoli su Science. I ricercatori
dell'Inaf contribuiscono con i dati dello spettrometro VIR.
11/05/2012 - L'astronomia la fa da padrona, nel numero di
Science di questa settimana. E il ruolo del protagonista, tra
un Sole più lento del previsto e un pianeta finora sfuggito ai
supertelescopi, va a Vesta. I dati raccolti nel luglio 2011
dalla sonda “Dawn” della Nasa, durante il fly-by su questo
asteroide gigante (che all'anagrafe si chiama, in realtà, “4
Vesta”) sono la base per ben sei articoli firmati da diversi
team di ricercatori. Un pacchetto di analisi scientifiche che
autorizzano a parlare di una promozione sul campo per
Vesta. Da asteroide (è il secondo del sistema solare, per
massa) a vero e proprio proto-pianeta in qualche modo
sopravvissuto fino ad oggi, tanto che rappresenta una vera
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
testimonianza “fossile” delle prime fasi del sistema solare.
“I ricercatori dell'INAF sono molto presenti nella missione
Dawn e hanno ruoli di responsabilità a livello di gestione
della missione e nell'analisi e interpretazione dei dati
raccolti, oltre ovviamente alla guida scientifica dello
spettrometro VIR. Una bella soddisfazione e un'ulteriore
conferma dell'alto livello internazionale raggiunto
dall'astrofisica e dalla tecnologia italiana” commenta Maria
Cristina De Sanctis, dell'INAF-IAPS di Roma, team leader
dello spettrometro VIR e autrice di uno degli articoli usciti
su Science.
Il primo studio, quello che tira le somme, è firmato da
Christopher Russell dell'Università della California a Los
Angeles. Che incrociando i dati raccolti dai vari strumenti di
Dawn, racconta come Vesta sia nato probabilmente
durante i primi milioni di anni della formazione del sistema
solare, evolvendo poi fino a formare un nucleo costituito da
ferro, forse grande abbastanza da generare un campo
magnetico. E indica proprio in quel “cuore” ferroso e nelle
grandi dimensioni gli elementi che hanno permesso
all'asteroide di soprvavvivere fino ai giorni nostri, anziché
disgregarsi in corpi più piccoli sotto l'effetto della gravità e
degli impatti con altri asteroidi.
Una parte importante nell'analisi è affidata proprio ai dati
provenienti dallo spettrometro VIR. L'articolo di Maria
Cristina de Sanctis e colleghi analizza la mineralogia di
Vesta, e conferma l'antico sospetto degli astronomi che sia
proprio lui la fonte di una classe di meteoriti, detti HED
(howardite-eucrite-diogenite) che ogni tanto colpiscono la
Terra. La superficie di Vesta mostra tracce degli stessi
minerali contenuti nei “sassi” che ci scaglia addosso, e un
gigantesco bacino dalle parti del suo Polo Sud sembra
proprio essere il punto da cui si staccano. Più in generale,
spiegano De Sanctis e colleghi, Vesta sembra aver avuto
una evoluzione geologica complessa, con la progressiva
differenziazione di un mantello e di una crosta superficiale.
Insomma quello che succede di solito ai pianeti, piuttosto
che agli astereoidi. Anche lo studio di Vishnu Reddi, sempre
basato sui dati dello spettrometro, descrive una storia
lunga e tormentata, evidente dalla presenza di quattro
classi spettrali distinte sulla superficie del pianeta, che
parlano delle diverse fasi di vita per cui Vesta è passato.
Dall'iniziale bombardameno di altri corpi che ne ha scavato
la superficie, fino a fasi più tranquille che le hanno
permesso di consolidarsi.
Un altro gruppo di articoli (tra cui uno ancora di un nome
italiano, quello di Simone Marchi del NASA Lunar Science
Institute in Boulder, in Colorado), descrive invece uno per
uno i crateri sulla superficie di Vesta. Il più grande, e il più
giovane, è proprio quel cratere Rheasilvia, nei pressi del
Polo Sud. Lungo circa 500 km, risalente a un miliardo di
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
anni fa, e probabile fonte dei meteoriti HED. Nessuna
evidenza, invece, che su Vesta vi sia mai stata attività
vulcanica, altro punto di domanda a cui i ricercatori
volevano rispondere.
Il ritratto che emerge è insomma quello di un “anello
mancante” nell'evoluzione del sistema solare. Vesta
assomma caratteristiche tipiche degli altri asteroidi, della
Luna e dei pianeti come la Terra, tanto che i ricercatori lo
descrivono come un corpo celeste “di transizione”, dalle
caratteristiche uniche. Una conferma che l'obbiettivo della
missione Dawn era ben scelto (ma non è l'unico: c'è ancora
l'asteroide Cerere, con cui la sonda ha appuntamento nel
febbraio 2015). E che valeva la pena di “salvare” la
missione dalle intemperie che, a un certo punto del
decennio passato, ne hanno messo in dubbio la
realizzazione, quando la Nasa considerava seriamente di
cancellarla per ragioni di budget.
“Quando si progetta una missione ambiziosa vi sono
sempre forze contrastanti e si formano un partito pro e uno
contro” ricorda Simona Di Pippo, che ha coordinato la
partecipazione italiana a Dawn durante la realizzazione e il
lancio come responsabile per l'Osservazione dell'Universo
dell'Agenzia Spaziale Italiana (ruolo che ha ricoperto fino al
2008). “Ma posso dire che la partecipazione italiana ha
avuto un peso importante nella decisione finale di
mantenere la missione. L'Italia nel suo complesso ha
sviluppato e consolidato da decenni un rapporto di
credibilità con gli USA per la fornitura di strumenti
scientifici. Iniziato con Cassini, continuato con Rosetta, su
Dawn ci ha permesso di essere scelti e di far sentire la
nostra voce al momento di prendere decisioni”. Quanto alla
scelta degli asteroidi “bersaglio”, Di Pippo ricorda che
“l'obbiettivo primario era andare a studiare le fasi
primordiali del sistema solare, da cui il nome della
missione, che sta per ‘alba'. Vesta e Cerere sono due corpi,
molto diversi tra loro, che presi assieme sembravano
fornire la maggior quantità possibile di informazioni
sull'inizio del sistema solare”.
E parlando di esplorazione del sistema solare, impossibile
non ricordare che si avvicina ormai l'appuntamento della
missione Rosetta con la “sua” cometa 67P/Churyumov–
Gerasimenko, che raggiungerà nel 2014. Un'altra missione
(a guida ESA, questa volta) in cui l'Italia ha un ruolo
centrale.
Fonte: MEDIA INAF
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI
TERRE DISTRUTTE
Gli occhi umani si fermano su luoghi nei quali un tempo
erano sistemi planetari che oggi sono stati distrutti da nane
bianche.
04/05/2012 - D'esopianeti si parla. O meglio, di quel che ne
rimane. Quelli nei quali si sono appena imbattuti gli
astrofisici dell'Università di Warwick, infatti, sono gli avanzi
di sistemi planetari consumati dalle quattro nane bianche
che li ospitavano. Insomma, questa volta siamo arrivati
troppo tardi. Peccato, verrebbe da dire, per almeno due
ragioni. Primo, li abbiamo mancati davvero per un soffio: gli
scienziati ritengono infatti che il processo di “digestione”
dei pianeti da parte delle nane bianche – ovvero, il tempo
richiesto prima che gli elementi pesanti finiscano nel nucleo
delle stelle, diventando invisibili – sia molto rapido, una
questione di giorni. Secondo, in base alla composizione
chimica dei suddetti avanzi, questa volta doveva trattarsi di
pianeti parecchio simili alla Terra. A voler vedere il
bicchiere mezzo pieno, però, è stato un colpaccio: ciò che si
è srotolato innanzi agli occhi dei ricercatori è infatti il film di
quello che potrebbe essere il destino del nostro pianeta.
Ma andiamo con ordine. E diciamo subito che
l'osservazione non è avvenuta per caso. Le quattro stelle
incriminate, infatti, fanno parte della più grande survey mai
condotta sulla composizione chimica dell'atmosfera delle
nane bianche, compiuta utilizzando lo Hubble Space
Telescope. Ora, poiché le nane bianche rappresentano lo
stadio finale dell'evoluzione di stelle come il nostro Sole,
trovarvi avanzi di pianeti non sarebbe in sé nulla di
sorprendente. Coglierne le tracce, però, non è affatto
semplice. O meglio, l'intervallo temporale a disposizione
per riuscirci è molto breve: è il tempo impiegato dalla
polvere planetaria per attraversare l'atmosfera d'idrogeno
ed elio della stella stessa. Una finestra che, a causa
dell'intensa forza di gravità esercitata dalle nane bianche,
dura appena qualche giorno, con la materia che continua
ad affluire a ritmi vertiginosi: fino a mille tonnellate al
secondo.
Ed è proprio analizzando la luce emessa dall'atmosfera
delle stelle in quel breve arco temporale – per i pianeti
coinvolti, le ultime ore di vita – che gli astrofisici guidati da
Boris Gänsicke, primo autore dello studio in uscita su
Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, hanno
rilevato, in quattro di esse, la presenza di quantità
relativamente abbondanti d'ossigeno, magnesio, ferro e
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
silicio: i quattro elementi che costituiscono, grosso modo, il
93 percento della Terra. Non solo: le tracce di carbonio, al
contrario, sono risultate assai scarse. In proporzione, in
quantità paragonabile a quella dello stesso elemento sulla
Terra. Ed è in assoluto la prima volta che una percentuale
così ridotta di carbonio viene rilevata nell'atmosfera
polverosa delle nane bianche.
Ma c'è di più. Una delle quattro stelle – per i più curiosi, il
dimenticabile nome è PG0843+516 – ha mostrato pure
un'abbondanza anomala di nickel, ferro e zolfo. Gli stessi
elementi che ci si attende di trovare nel nucleo di pianeti
rocciosi simili alla Terra. Vale a dire, pianeti
sufficientemente grandi da aver subito un processo di
differenziazione tale da separare, proprio com'è avvenuto
per la Terra, il nucleo vero e proprio dal mantello.
Fonte: MEDIA INAF
NIENTE TERRE INTORNO AI GIOVIANI
Un nuovo studio pubblicato a maggio mostra l'assenza di
pianeti terrestri intorno a stelle che presentano giganti
gassosi in orbita molto stretta.
08/05/2012 - Gli astronomi alla ricerca di pianeti simili alla
Terra possono tirar fuori dalle possibilità le stelle con i
gioviani caldi in orbita, secondo un nuovo studio.
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
La scoperta, pubblicata su "Proceedings of the National
Academy of Science", conferma anche il movimento caotico
di questi pianeti intorno alla loro stella di appartenenza.
I gioviani caldi sono pianeti gassosi molto grandi che
completano la propria orbita in meno di una settimana.
Finora, molti scienziati pensavano che questi pianeti
migrassero lentamente verso la propria stella tirandosi
dietro i pianeti più piccoli. Utilizzando i dati di Kepler, un
team di ricercatori guidato dal dr. Jason Steffen del
Fermilab Center for Particle Astrophysics nell'Illinois ha
utilizzato 63 stelle dotate di giganti gassosi di tipo gioviano
caldo per verificare la presenza di questi pianeti più piccoli
attraverso la presenza di disturbi gravitazionali.
stretta.
L'assenza di pianeti rocciosi nei pressi dei gioviani
conferma questa teoria migratoria.
Fonte: ABC Science
UN PIANETA NASCOSTO
Applicando ai dati del satellite Kepler la tecnica della
misura delle variazioni del tempo di transito, la stessa che
nel 1846 permise di prevedere l’esistenza di Nettuno, è
stata confermata la presenza di un pianeta invisibile
attorno alla stella KOI-872.
11/05/2012 - Per esserci c'è, ed è pure grosso: più o meno
come Saturno. Gli astronomi sono così certi della sua
esistenza da avergli già dato pure il nome: KOI-872c. Ma
non c'è alcun modo di vederlo, l'ultimo pianeta extrasolare
scovato dalla sonda Kepler della NASA. E allora come
hanno fatto a individuarlo e caratterizzarlo? «Mettiamola
così: se un treno ad alta velocità arriva in stazione con due
ore di ritardo», dice David Nesvorny, del Southwest
Research Institute, primo autore dello studio appena uscito
su Science, «dev'esserci una buona ragione. Ecco, il trucco
è stato capire qual è, questa ragione». Fuor di metafora, se
un pianeta, correndo lungo quell'evanescente ma
inesorabile binario che è la sua orbita, non arriva mai
puntuale agli appuntamenti prestabiliti, dev'esserci
qualcosa che lo frena o che lo fa accelerare. Tipo cosa? Per
esempio, un altro pianeta.
L'analisi ha dato esito negativo, così l'esame è stato
ripetuto su stelle con gioviani "tiepidi", grandi pianeti con
orbite di un paio di settimane, e con "nettuniani caldi".
Pianeti simili alla Terra sono stati trovati nel 10% dei casi
per i gioviani tiepidi e nel 30% dei sistemi nettuniani.
Il team sostiene che la scoperta conferma la teoria sulla
formazione di gioviani caldi, nota come interazione pianetapianeta, elaborata da Eric Ford e Frank Rasio sedici anni fa.
La teoria suggerisce un incontro ravvicinato tra due grandi
pianeti gassosi nei primi stadi di formazione del sistema
planetario, che avrebbe spinto uno della coppia al di fuori
del sistema e l'altro in orbita ellittica. Se il pianeta rimasto
passa vicino a pianeti più piccoli li può sbalzare verso
l'esterno del sistema planetario. Eventualmente, la stella
può portare il pianeta più grande in una orbita circolare
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Il ragionamento non fa una grinza. Ed è anche alla base di
un metodo noto da oltre un secolo e mezzo: la misura delle
variazioni del tempo di transito (o TTV, transit timing
variation). È proprio misurando le discrepanze fra la
posizione osservata di Urano e quella attesa in base alla
leggi della gravità che il matematico francese Urbain Le
Verrier, esperto di meccanica celeste, riuscì nell'agosto del
1846 a predire non solo l'esistenza ma anche la posizione
dell'allora sconosciuto Nettuno. Circa due mesi dopo, il
pianeta venne effettivamente osservato per la prima volta,
esattamente là dove Le Verrier aveva indicato.
Sorte che il gigante alieno appena scoperto da Nesvorny e
colleghi difficilmente potrà condividere con Nettuno, quella
di venire osservato. La sua rivoluzione attorno alla stella
KOI-872 (dove KOI sta per Kepler Object of Interest), che
dura circa 57 giorni, segue un'orbita tale da renderlo
completamente invisibile anche all'occhio ultrasensibile di
Kepler. La sonda NASA, infatti, è progettata per rilevare il
cosiddetto “transito”: il passaggio d'un pianeta fra la stella
che lo ospita e noi che la osserviamo. Come quello che si
verificherà tra il 5 e il 6 giugno prossimi dalle nostre parti,
quando Venere “transiterà”, appunto, davanti al Sole. Ma
affinché un transito sia visibile occorre che il piano
dell'orbita del pianeta sia allineato con il nostro punto di
vista: una condizione che solo una piccola percentuale degli
esopianeti soddisfa (la probabilità è data dal rapporto fra il
diametro della stella madre e il diametro dell'orbita del
pianeta).
Nel sistema planetario di KOI-872, però, un pianeta che
transita davanti alla stella c'è: si chiama KOI-872b, ed è a lui
che è toccato impersonare il ruolo di pianeta perturbato
che un secolo e mezzo addietro fu di Urano. Il team guidato
da Nesvorny ha ricostruito dall'immenso archivio di Kepler
il “diario di bordo” di tutti i suoi passaggi davanti a KOI-872,
appuntandosi l'orario esatto di ogni transito. Subito gli
scienziati si sono resi conto d'essere davanti a un pianeta
che, quanto a puntualità, lascia parecchio a desiderare, con
variazioni fino a due ore rispetto alle attese. Armati di
modelli matematici e computer, gli scienziati del team si
sono quindi messi a valutare i possibili scenari in grado di
spiegare queste variazioni temporali. Considerando che la
sigla del loro progetto, HEK, sta per Hunt for the Exomoons
with Kepler, lo scenario nel quale più speravano era,
probabilmente, quello in cui il colpevole delle perturbazioni
si fosse rivelato un satellite, una “luna extrasolare”. Invece
è saltato fuori un pianeta. Ma gli astronomi hanno
comunque motivo di essere soddisfatti: sebbene KOI-872c
non sia il primo in assoluto a essere scoperto con il metodo
della transit timing variation (vedi su Media INAF il caso di
Kepler-19b, che però accumula solo una manciata di minuti
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
di ritardo), questa è la prima volta che, con il metodo alla
base della scoperta di Nettuno, si riesce non solo a
certificare l'esistenza di un esopianeta invisibile, ma anche
a calcolarne la massa e il periodo orbitale.
Fonte: MEDIA INAF
UN PIANETA CHE EVAPORA
Si trova a 1500 anni luce di distanza, è piccolo come
Mercurio e ha un tempo di rivoluzione intorno alla sua stella
madre di appena 15 ore. I quasi 2000 gradi celsius della sua
superficie stanno trasformando il suo materiale roccioso in
una coda di gas e polveri, quasi fosse una cometa.
21/05/2012 - Un pianeta che evapora. È quanto ipotizzano
aver scoperto ricercatori del MIT, della NASA e di altri
istituti, in uno studio, basato su dati del satellite Kepler,
pubblicato sull'Astrophysical Journal.
Si tratterebbe di un pianeta delle dimensioni di Mercurio, a
circa 1500 anni luce di distanza e con un'orbita intorno alla
sua calda stella madre di appena 15 ore.
Secondo gli scienziati, come una cometa, il pianeta viene
seguito da una lunga scia di polveri e detriti che altro non
sono che il materiale roccioso che lo caratterizza che sta
evaporando a causa di una temperatura, sulla superficie,
prossima ai duemila gradi.
Secondo i calcoli e le simulazioni fatte dal team di
ricercatori, il piccolo pianeta extrasolare si degraderà
completamente entro cento milioni di anni.
“Pensiamo che questa polvere sia costituita da particelle di
dimensioni inferiori al micron” dice il co-autore Saul
Rappaport, professore di fisica al MIT. “Un po' come
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
guardare attraverso lo smog di Los Angeles”.
Gli scienziati sono arrivati a tale conclusione analizzando i dati del cacciatore di pianeti extrasolari Kepler, che ha rilevato
una curiosa variazione di luce nella stella KIC 12557548. Il pianeta passando davanti la stella scherma la luce. Questo
permette di riconoscere il passaggio di un pianeta davanti la sua stella madre e registrando i passaggi successivi, misurare
il tempo della sua orbita. Gli astronomi però hanno notato un'anomala variazione dell'intensità della luce “bloccata” ad
ogni passaggio del pianeta. Nel tentativo di risolvere il puzzle, i ricercatori hanno dapprima ipotizzato che il pianeta fosse
accompagnato da un altro pianeta e l'uno orbitasse intorno all'altro, ma l'estrema brevità della rivoluzione intorno alla
stella madre, una delle minori mai scoperte, ha fatto naufragare tale teoria.
Da qui l'ipotesi che tale variazione dipendesse dalle modifiche morfologiche del pianeta stesso e dalla sua coda di gas e
polveri prodotta da tali modifiche. Un'ipotesi che avrebbe poi trovato una conferma nel modello di simulazione che ha
permesso di “giustificare” le curve irregolari di luminosità registrate dal satelllite della NASA.
Fonte: MEDIA INAF
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO
VAGABONDE GALATTICHE
Stelle iperveloci che vagano per lo spazio intergalattico:
sono forse stelle esiliate dalla galassia madre in seguito ad
un incontro con il buco nero centrale.
01/05/2012 - “Calciate” fuori dalla propria galassia.
Seppure difficile è quello ipotizzato dagli astronomi perché
una stella possa raggiungere la velocità di circa 3 milioni e
mezzo di chilometri all'ora, una velocità sufficiente a farle
sfuggire alla presa gravitazionale della loro galassia. A
renderle iperveloci un incontro ravvicinato con il buco nero
supermassiccio al centro della galassia.
Finora gli astronomi hanno scoperto 16 di queste “stelle
iperveloci”, ma sono state individuate mentre si trovano
ancora all'interno della galassia.
Gli astronomi dell'Università di Vanderbilt, nel Tennessee,
in un lavoro che apparirà nel numero di maggio
dell'Astronomical Journal, annunciano di aver identificato
un gruppo di oltre 675 stelle ai confini della periferia della
Via Lattea, sostenendo siano stelle iperveloci espulse dal
nucleo galattico. Gli astronomi hanno selezionato queste
stelle in base alla loro posizione nello spazio intergalattico
tra la Via Lattea e la galassia vicina Andromeda, e per la loro
peculiare colorazione rossa.
“Queste stelle davvero spiccano. Sono stelle giganti rosse
con metallicità elevata che dà loro un colore insolito”, dice
Kelly Holley-Bockelmann, che ha condotto lo studio con
Lauren Palladino.
La “metallicità” di una stella indica la percentuale di
elementi chimici diversi da idrogeno ed elio che la
compongono. Una metallicità elevata indica un'origine
interna galattica: le stelle più antiche e quelle ai confini
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
delle galassie tendono ad avere una metallicità più bassa.
L'identificazione di questi possibili candidati è stata fatta
analizzando le milioni di stelle catalogate nella Sloan Digital
Sky Survey.
“Si è ipotizzato che queste stelle 'raminghe' dovessero
esserci al di fuori della galassia, ma nessuno le aveva
cercate. Così abbiamo deciso di fare un tentativo”, dice
Holley-Bockelmann.
Il buco nero che si trova al centro della Via Lattea ha una
massa di quattro milioni di volte la massa del Sole e un
campo gravitazionale che lo circonda abbastanza forte da
accelerare le stelle fino alle ipervelocità necessarie ad
essere scagliate fuori dalla galassia stessa.
Due gli scenari ipotizzati perché questo accada. Il più tipico
prevede un sistema binario che viene catturato dalla morsa
del buco nero. E mentre una delle due stelle precipita in
una spirale verso il buco nero l'altra viene scagliata via ad
una velocità incredibile.
Un secondo possibile scenario ipotizza che nei periodi in cui
il buco nero centrale è nel processo di “cannibalizzare” un
piccolo buco nero, ogni stella che si avventurasse troppo
vicino a questa coppia rotante potrebbe essere scagliata
via con ipervelocità.
Le giganti rosse sono lo stadio finale dell'evoluzione di
stelle di medie dimensioni come il sole. Secondo gli
astronomi di Varderbilt così devono essere state quando
sono state scagliate via dal buco nero centrale. Nel loro
lungo viaggio, durato almeno 10 milioni di anni per coprire
la distanza tra il centro della galassia e il suo confine,
50.000 anni luce, hanno maturato la loro condizione di
gigante rosse.
“Studiare queste stelle 'raminghe' ci possono fornire nuove
conoscenze sulla storia e l'evoluzione della nostra galassia”,
ha detto Holley-Bockelmann. Il prossimo passo dei
ricercatori è però determinare se alcune delle loro
candidate non fossero insolitamente nane brune, invece di
giganti rosse. Dato che le nane brune producono molta
meno luce, avrebbero dovuto essere molto più vicine per
apparire altrettanto luminose.
Fonte: MEDIA INAF
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SETACCIARE LA CINTURA DI ORIONE
Una nuova immagine dell'ESO mostra gli intrecci polverosi nella cintura di Orione, precisamente in M78 posta proprio
sopra.
02/05/2012 - Una nuova immagine della regione che circonda la nebulosa a riflessione Messier 78, appena a nord della
Cintura di Orione, mostra nubi di polvere cosmica intrecciate alla nebulosa come un filo di perle. Le osservazioni,
effettuate con il telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) [1], sfruttano il calore prodotto dai grani di polvere
interstellare per mostrare agli astronomi le zone in cui si formano nuove stelle. La polvere può sembrare noiosa, poco
interessante - la sporcizia superficiale che nasconde la bellezza di un oggetto. Ma questa nuova immagine di Messier 78 e
dintorni, che svela la radiazione sub-millimetrica prodotta dai grani di polvere nello spazio, mostra che anche la polvere
può essere abbagliante. La polvere è importante per gli astronomi poichè dense nubi di gase e polvere sono le culle di
nuove stelle.
Nel centro dell'immagine si vede Messier 78, nota anche con il nome di NGC 2068. In luce visibile la regione appare come
una nebulosa a riflessione, cioè vediamo il pallido riflesso della luce azzurra delle stelle, rimandato a noi dalle nubi di
polvere. Le osservazioni di APEX, di colore aranciato, sono sovrapposte all'immagine in luce visibile. Sensibili a lunghezze
d'onda maggiori, svelano il delicato brillio di densi grumi di polvere fredda, fino a -250ºC. Questa polvere risulta scura e
opaca in luce visibile e questo è uno dei motivi per cui telescopi come APEX sono così importanti per studiare le nubi di
polvere in cui nascono nuove stelle. Un filamento visto da APEX appare in luce visibile come una striscia nera di polvere
che attraversa Messier 78. Questo ci dice che le dense nubi di polvere si trovano davanti alla nebulosa, e ne bloccano la
luce bluastra. Un'altra regione di polvere risplendente vista da APEX spicca nel bordo inferiore di Messier 78 osservato in
luce visibile. La mancanza di una corrispondente striscia di polvere scura nelle immagini in luce visibile ci dice che questa
regione densa di polvere deve trovarsi dietro alla nebulosa a riflessione.
Osservando il gas in queste nubi si rivelano flussi di gas ad alta velocità che fuoriescono da alcuni di questi grumi densi,
esplusi da stelle giovani durante la loro formazione a partire dalle nubi circostanti. La loro presenza è perciò una
dimostrazione che i grumi stanno attivamente formando stelle.
Nella parte superiore dell'immagine si vede un'altra nebulosa a riflessione, NGC 2071. Mentre la zona più in basso
contiene solo stelle giovani e di piccola massa, NGC 2071 contiene una stella giovane più massiccia, circa cinque volte la
massa del Sole, nel punto più brillante mostrato dalle osservazioni APEX.
Le osservazioni APEX usate per questa immagine sono state coordinate da Thomas Stanke (ESO), Tom Megeath (University
of Toledo, USA), e Amy Stutz (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg, Germania).
Fonte: ESO
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
BUCHI NERI A TAVOLA
Contrariamente a ciò che si crede, i buchi neri mangiano
poche volte durante la propria vita e quando lo fanno è
davvero soddisfacente riuscire ad osservarli.
03/05/2012 - Cambridge, MA - Difficilmente si può pensare
a qualcosa di più pauroso di un buco nero supermassivo:
questi invisibili e giganti centri galattici affamati di materia,
o almeno così riteniamo. Ma la realtà è più benevola: i
buchi
neri
supermassivi
non
mangiano
così
frequentemente, il che rende la scoperta di un buco nero
nel bel mezzo di un pasto ancora più eccitante per gli
astronomi.
di digestione, in tempo reale. Il bagliore è provenuto dal
buco nero di una galassia posta a 2,7 miliardi di anni luce da
noi, di massa pari a circa 3 milioni di masse solari e quindi
circa la metà del buco nero della nostra Via Lattea.
Le osservazioni che son oseguite hanno mostrato che il
buco nero ha consumato una grande quantità di elio quindi
la stella digerita era il nucleo di una stella gigante rossa. La
mancanza di idrogeno ha mostrato che la stella ha perso la
sua atmosfera più esterna durante precedenti passaggi
ravvicinati.
Fonte: CFA Harvard
SUPERNOVAE Ia: CANDELE STANDARD?
Un nuovo studio mostra come le esplosioni Ia possano
provenire da due meccanismi diversi. Ma allora come è
possibile utilizzarle come candele standard per misurare
espansione accelerata ed energia oscura?
08/05/2012 - Le stelle che esplodono come supernovae Ia
giocano un ruolo importante nella misurazione
dell'universo e vengono utilizzate per scoprire l'esistenza
dell'energia oscura. Sono abbastanza grandi per essere
viste a grandi distanze e quindi sono utilizzabili come
candele standard, oggetti dei quali è nota la luminosità. Il
premio nobel 2011 per la fisica è stato consegnato proprio
per la scoperta dell'accelerazione dell'universo ottenuta
tramite le supernovae Ia, tuttavia c'è un fatto ancora
abbastanza imbarazzante riguardo i sistemi che le
innescano.
Ci sono due modelli molto diversi per spiegare l'origine
delle supernovae Ia, e diversi studi supportano entrambi i
modelli. Oggi l'evidenza sembra dire che entrambi sono
corretti.
I buchi neri sono un po' come gli squali: la gente ritiene che
siano sempre impegnati a mangiare e uccidere ma in realtà
la maggior parte della vita la passano in stato di quiete.
Occasionamente una stella si presenta troppo vicina, ed
allora inizia un piccolo spuntino.
Sulla rivista Nature del 3 maggio un articolo a cura di Suvi
Gezari della John Hopkins University racconta la scoperta di
un buco nero supermassivo scoperto durante un pasto.
Se una stella passa troppo vicina ad un buco nero, le forze
mareali la possono spezzare ed il gas che la costituisce inizia
a spiraleggiare intorno al buco nero. Le frizioni riscaldano i
gas e causano i bagliori quindi scovare buchi neri
supermassivi con bagliori vuol dire trovarli a pranzo.
Proprio il 31 maggio 2010 un flare crescente ha prodotto un
picco il giorno 21 luglio prima di calare di nuovo nel corso di
un anno, quindi si è assistito ad un pasto stellare completo
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Le supernovae Ia originano dalle nane bianche, il nucleo
denso di stelle morte. Le nane bianche sono anche
chiamate stelle degeneri a causa del fatto che sono
supportate da una pressione degenere. In un modello di
supernova, una nana bianca sottrae materiale ad una stella
compagna prima di raggiungere una dimensione che
innesca le reazioni nucleari, inizio dell'esplosione. Nel
secondo modello, due nane bianche si fondono ed
esplodono. Il primo modello dovrebbe mostrare il gas
sottratto alla stella compagna, il secondo no.
Lo studio di 23 supernovae è stato mirato alla ricerca di
questo gas intorno al resto, che dovrebbe essere presente
solo in sistemi del primo tipo di spiegazione. Le esplosioni
più potenti tendono ad accompagnarsi a sistemi con questo
gas, ma soltanto una piccola frazione di supernovae mostra
questa componente. Il resto sembra provenire da un
processo del secondo tipo.
Ci sono in definitiva due tipi di ambienti, con e senza gas,
entrambi trovati intorno a supernovae Ia.
Questo ha importanti implicazioni per la misura dell'energia
oscura e l'espansione dell'universo. Se ci sono due
meccanismi differenti che producono le supernovae Ia,
allora i due tipi vanno calcolati separatamente nella misura
delle distanze cosmiche.
Ma se i processi sono simili, come è possibile che l'effetto
sia lo stesso al punto da poter utilizzare queste esplosioni
come candele standard? Ancora non c'è risposta.
L'articolo è apparso su Astrophysical Journal nell'edizione
on line.
tra il Sole e il sistema stellare più vicino, Alfa Centauri.
Sono stati individuati circa 160 ammassi globulari nella
nostra galassia, la Via Lattea, la maggior parte verso il
rigonfiamento centrale. Le due scoperte più recenti,
realizzate con il telescopio VISTA, sono state annunciate
recentemente. Le galassie più grandi possono contenere
migliaia di queste ricche raccolte di stelle.
Le osservazioni delle stelle degli ammassi globulari svelano
che esse sono nate tutte all'incirca nello stesso periodo più di 10 miliardi di anni fa - e dalla stessa nube di gas.
Poichè questo periodo di formazione avveniva solo pochi
miliardi di anni dopo il Big Bang, quasi tutto il gas a
disposizione era formato dall'elemento più semplice, più
leggero e più comune nel cosmo: l'idrogeno, con poco elio
e piccole tracce di elementi chimici più pesanti, come
l'ossigeno e l'azoto.
Fonte: Harvard Center for Astrophysics
AMMASSO CON “VISTA”
VISTA, il telescopio infrarosso per survey ESO, si sofferma su
Messier 55 mostrandone decine di migliaia di stelle.
09/05/2012 - Una nuova immagine di Messier 55 ottenuta
da VISTA, il telescopio infrarosso per survey dell'ESO,
mostra decine di migliaia di stelle, fitte come uno sciame
d'api. Oltre ad essere racchiuse in uno spazio relativamente
piccolo, queste stelle sono anche tra le più vecchie
dell'Universo. Gli astronomi studiano Messier 55 e altri
oggetti antichi come questo, gli ammassi globulari, per
imparare come le galassie si evolvono e le stelle
invecchiano.
Gli ammassi globulari sono tenuti insieme, in una stretta
formazione sferica, dalla forza di gravità. In Messier 55 le
stelle si tengono certamente buona compagnia: circa
centomila stelle sono racchiuse in una sfera con un
diametro che corrisponde a solo circa 25 volte la distanza
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
L'essere formate quasi completamente da idrogeno
rappresenta l'elemento distintivo delle stelle residenti negli
ammassi globulari rispetto a stelle nate in epoche
successive, come il Sole, che sono intrise di elementi più
pesanti creati dalle precedenti generazioni di stelle. Il Sole
si è acceso circa 4,6 miliardi di anni fa, il che gli attribuisce
un'età pari a circa la metà di quella delle stelle della
maggior parte degli ammassi globulari. L'impronta chimica
della nube di gas da cui si è formato il Sole si riflette
nell'abbondanza dei vari elementi che si trovano nel
Sistema Solare - negli asteroidi, nei pianeti e nei nostri
stessi corpi.
Se volete osservare Messier 55 cercatelo nella costellazione
del Sagittario. L'ammasso di grandi dimensioni appare
grande quasi due terzi della dimensione della Luna piena e
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
non è difficile da osservare con un piccolo telescopio, anche
se si trova ad una distanza di circa 17000 anni luce dalla
Terra.
L'astronomo francese Nicolas Louis de Lacaille è stato il
primo a documentare il raggruppamento di stelle, verso il
1752, e circa 26 anni dopo un altro astronomo francese,
Charles Messier, ha incluso l'ammasso come 55esimo
elemento nel suo famoso catalogo astronomico. L'oggetto è
anche elencato come NGC 6809 nel Nuovo Catalogo
Generale, un catalogo molto citato e più ampio compilato
alla fine del diciannovesimo secolo.
Questa nuova immagine è stata ottenuta in luce infrarossa
del telescopio da 4,1 metri di diametro VISTA (Visible and
Infrared Survey Telescope for Astronomy) all'Osservatorio
del Paranal nel nord del Cile.
L'immagine di VISTA riporta, oltre alle stelle di Messier 55,
molte galassie ben più lontane dell'ammasso. Un galassia a
spirale di particolare rilievo compare, di taglio, in alto a
destra del centro del campo.
Fonte: ESO
UNA NANA PER HUBBLE
hanno molto spazio vuoto tra le stelle che lascia passare la
luce della galassia più lontana.
La galassia e la sua nebulosa si trovano a 10 milioni di anni
luce dalla Terra, visibile nella costellazione della Giraffa
(Camelopardis). Nonostante NGC 2366 possa sembrare
molto più piccola rispetto alle sue “colleghe”, molte delle
sue stelle non sono piccole affatto. Molte sono infatti delle
Giganti blu (i puntini luminosi blu), formatesi in tempi
relativamente recenti.
Il colore blu della nebulosa è dovuto ai filtri verdi e
infrarossi di Hubble. In realtà il suo colore naturale è rosso.
Il campo di osservazione è pari a circa 5.5 arcominuti, vale a
dire a poco più di un quinto del diametro della Luna piena.
Fonte: MEDIA INAF
NGC 4698: UNA STRANA GALASSIA
La galassia NGC 4698 mostra un rigonfiamento centrale che
si allunga perpendicolarmente rispetto al disco. È quanto
illustra Enrico Maria Corsini del Dipartimento di Astronomia
dell'Università di Padova e associato INAF sul prossimo
numero di Monthly Notices of the Royal Astronomical
Society.
Il telescopio spaziale orbitante ha osservato una galassia
nana, chiamata NGC 2366. Le straordinarie immagini
mostrano una galassia molto luminosa, priva della tipica
struttura a spirale, e talmente vicina da poterne individuare
le singole stelle.
10/05/2012 - Lascia senza fiato l'ultima immagine catturata
dal telescopio NASA/ESA Hubble che ritrae una galassia
nana, denominata NGC 2366, proprio al centro della foto.
Gli astronomi hanno notato la mancanza di una struttura a
spirale ben definita e questo dettaglio li ha portati a
definirla una galassia irregolare. La caratteristica che salta
subito agli occhi è una grande nebulosa visibile in alto a
destra, classificata come NGC 2363.
Vicino alla nebulosa, i ricercatori hanno potuto osservare
una galassia molto più lontana (la spirale giallina al centro
della foto) seppur ancora ben visibile dal telescopio. Questo
avviene perché le galassie non sono oggetti compatti, ma
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
09/05/2012 - Non è una galassia a spirale come le altre. Si
tratta di un oggetto molto peculiare e assai diverso rispetto
alle altre galassie a spirale, come M31 nella costellazione di
Andromeda o M51 in quella dei Cani da Caccia, che Edwin
P. Hubble aveva scelto come prototipi per definire i criteri
della sua classificazione morfologica delle galassie.
Infatti il rigonfiamento centrale di NGC 4698, in cui si
addensano le stelle più vecchie della galassia, si allunga
perpendicolarmente rispetto al disco, dove si avviluppano i
bracci di spirale e in cui si trovano la maggior parte del gas
e delle stelle più giovani. Di solito il rigonfiamento centrale
di una galassia a spirale o ha una forma sferica o si allunga
nel piano del disco, come succede per M31 e M51.
Anche se sono state identificate almeno altre due galassie a
spirale simili a NGC 4698, denominate NGC 4672 e UGC
10043, il caso di NGC 4698 è ancora più strano perché il suo
nucleo ospita un piccolo disco di stelle e gas che ruota
perpendicolarmente rispetto al disco principale. Il dischetto
al centro di NGC 4698 ha un diametro di un migliaio di anni
18
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
luce e contiene qualche decina di milioni di stelle con
un'età compresa tra 5 e 10 miliardi di anni. Questa
configurazione è il risultato finale della cattura in tempi
remoti di una certa quantità di gas dall'ambiente esterno. Il
gas acquisito ha spiraleggiato fino al centro di NGC 4698 e
si è disposto ortogonalmente rispetto al disco principale a
causa della particolare forma intrinseca del rigonfiamento
centrale. Dal gas catturato sono successivamente nate le
stelle che oggi formano il disco nucleare.
Ma il passato di NGC 4698, che appartiene all'ammasso di
galassie della Vergine, il quale conta diverse centinaia di
membri e dista da noi 55 milioni di anni luce, potrebbe
essere stato ancora più turbolento, infatti è possibile
avanzare l'ipotesi che addirittura l'intero disco principale sia
il frutto di una cattura di materiale esterno da parte di
quello che è diventato il rigonfiamento centrale di NGC
4698. Ciò avrebbe indotto una radicale trasformazione di
quella che doveva essere un'anonima galassia ellittica nella
bizzarra galassia a spirale che oggi vediamo.
“È stato possibile ricostruire la forma intrinseca del
rigonfiamento centrale di NGC 4698 perché la galassia non
é vista di taglio, contrariamente a quanto invece accade per
NGC 4672 e UGC 10043”, spiega Enrico Maria Corsini,
ricercatore dell'Università di Padova e associato INAF.
“Questo ci ha permesso di provare che il rigonfiamento ha
due piani ortogonali di equilibrio e che proprio su di essi si
trovano il disco nucleare e quello principale di NGC 4698”,
come discusso nell'articolo in uscita su Monthly Notices of
the Royal Astronomical Society, in cui vengono analizzate in
dettaglio numerose immagini a diverse lunghezze d'onda
della galassia, ottenute sia da terra che dal telescopio
spaziale Hubble.
Lo studio dell'età delle stelle dei dischi nucleari che si
osservano in circa il 20 per cento delle galassie ellittiche e a
spirale permette di far luce sui loro processi di formazione
ed evoluzione. Infatti, stando alle simulazioni numeriche
che riproducono questi processi, i dischi nucleari sono
strutture estremamente fragili, che non possono
sopravvivere agli scontri tra galassie. Questo significa che
datare l'epoca della formazione dei dischetti permette di
stimare l'intervallo di tempo trascorso dall'ultimo evento
catastrofico subito dalla galassia che li ospita. Se così fosse,
allora in NGC 4698 prima si sarebbe formato il disco
principale e poi quello nucleare.
Fonte: MEDIA INAF
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
SUPERNOVA TROPPO BRILLANTE
L'estrema brillantezza della supernova scoperta nel 2010
può essere spiegata con la rottura del guscio di gas da parte
dell'onda d'urto.
15/05/2012 - Il 3 novembre 2012 una supernova è stata
scoperta nella galassia UGC 5189A, posta a 160 milioni di
anni luce da noi. Tramite di dati della All Sky Automated
Survey Telescop alle Hawaii gli astronomi hanno
determinato che la supernova è esplosa ai primi di ottobre
2010.
Questa immagine composita della galassia mostra i dati X di
Chandra in colore porpora ed i dati ottici di Hubble in rosso,
verde e blu. SN 2010jl è la sorgente molto brillante in X
vicina alla parte superiore della galassia.
Un team di ricercatori ha utilizzato Chandra per osservare la
supernova a dicembre 2010 e di nuovo ad ottobre 2011.
In spettro visibile la supernova è stata dieci volte più
luminosa di una tipica supernova risultante dal collasso di
una stella massiva. Ci sono differenti spiegazioni per questa
luminosità, come l'interazione con un denso guscio di
materia intorno alla stella esplosa, oppure la radioattività
risultante da una supernova instabile oppure ancora
l'emissione alimentata da una stella di neutroni con un
atipico campo magnetico.
19
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Le prime osservazioni di Chandra mostrano come la
radiazione X dall'esplosione sia stata fortemente assorbita
da un guscio di gas denso intorno alla supernova. Questo
guscio è stato formato dal gas soffiato via dalla stella
massiva prima di esplodere.
Seconde osservazioni mostrano un minore assorbimento di
radiazione X, ad indicare che l'onda d'urto ha spezzato il
guscio che circondava la stella. Il gas ha una temperatura
altissima, maggiore di 100 milioni Kelvin: la materia intorno
alla supernova è stata riscaldata e ionizzata dai raggi X
generati.
Fonte: Chandra Harvard
BUCO NERO IN HD
L'avanzatissimo strumento che combina la luce di tre dei
telescopi del Very Large Telescope ha permesso di indagare
con grande accuratezza la zona circostante il buco nero al
centro della galassia NGC 3783, scoprendo attorno ad esso
un anello di gas.
16/05/2012 - Prendete tre dei telescopi da 8 metri che
costituiscono il Very Large Telescope, sulle Ande cilene.
Puntate un oggetto celeste, raccogliete con essi la sua luce
e combinatela nel giusto modo. Otterrete delle riprese
dettagliatissime. A raccontarla così, la “ricetta
dell'osservazione perfetta” sembra un gioco da ragazzi, ma
è rimasta a lungo un sogno per gli astronomi dell'ESO, dati i
complessi problemi tecnici e operativi che sono legati a
questo metodo. Difficoltà che sono state superate da una
serie di migliorie apportate negli ultimi anni ai telescopi VLT
e dalla piena entrata in funzione del sofisticato
interferometro AMBER (Astronomical Multi Beam
combineR).
Ne è testimonianza lo studio ad alta risoluzione di un
nucleo galattico attivo – il “cuore violento” di una lontana
galassia che ospita un buco nero supermassiccio. Uno
studio che ha permesso di individuare nella regione più
interna del nucleo della galassia NGC 3783 un anello di
polveri avente un raggio di circa mezzo anno luce. Secondo
gli scienziati, questa enorme “ciambella” sarebbe la riserva
di materia che alimenta il disco di accrescimento di gas
caldo presente attorno al buco nero supermassiccio nel
centro della galassia. Buco nero che sarebbe il responsabile
della potente emissione dell'oggetto celeste, che va dalle
onde radio fino ai raggi X.
“Per la prima volta è stato possibile utilizzare AMBER per
osservare un Nucleo Galattico Attivo e, a parte l'importante
risultato scientifico ottenuto, questo fatto indica come il
Very Large Telescope Interferometer (VLTI) cominci a
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
permettere lo studio di sorgenti deboli di tutti i tipi”
commenta Alessandro Marconi, dell'Università di Firenze e
associato INAF, che ha partecipato allo studio su NGC 3783.
Il lavoro, guidato da Gerd Weigelt del Max-Planck-Institut
für Radioastronomie, viene pubblicato nell'ultimo numero
della rivista Astronomy&Astrophysics.
Essere riusciti a studiare nella banda del vicino infrarosso
zone così prossime al buco nero in una galassia distante 150
milioni di anni luce è un risultato davvero eccezionale, che
avrebbe richiesto un telescopio con uno specchio principale
di oltre 100 metri di diametro, misura irraggiungibile per gli
strumenti attuali e per quelli che entreranno in funzione nei
prossimi anni. Il problema è stato superato brillantemente
grazie ad AMBER. Lo strumento combina la luce raccolta da
tre dei telescopi che compongono il VLT, ciascuno del
diametro di 8,2 metri. Grazie a questa tecnica, le immagini
prodotte raggiungono un'accuratezza 15 volte maggiore di
quanto sarebbe possibile con un singolo telescopio,
permettendo così, ad esempio, di distinguere un astronauta
sulla superficie della Luna. Ed il “cuore” di AMBER, ossia
l'avanzatissimo spettrometro che scompone la luce
proveniente dai telescopi, la collima e produce l'immagine
finale, è tutto italiano: è stato infatti ideato, realizzato e
testato dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell'INAF.
“Queste osservazioni ottenute con AMBER rappresentano
un importante successo scientifico e tecnologico, ottenuto
con il fondamentale contributo italiano dell'INAF. Un
successo che testimonia l'eccellenza anche della ricerca
applicata che viene portata avanti nel nostro Istituto e che
viene ‘esportata' in progetti di respiro mondiale” prosegue
Marconi. “In questo contesto ricordo ad esempio anche le
ottiche adattive, che equipaggiano il Large Binocular
Telescope e, nel prossimo futuro, il gigantesco telescopio
europeo E-ELT. O gli specchi per raggi X, a bordo di alcuni
tra i più avanzati satelliti per l'astrofisica delle alte energie,
ma anche la strumentazione e i sensori a che equipaggiano
numerose sonde che stanno esplorando il Sistema solare,
solo per citarne alcuni. Vorrei infine ricordare due persone
fondamentali per il successo del progetto AMBER e che
purtroppo non sono più tra noi: Sandro Gennari che ha
costruito lo spettrometro di AMBER e Franco Pacini, allora
direttore dell'Osservatorio Astrofisico di Arcetri, convinto
sostenitore dello strumento”.
Fonte: MEDIA INAF
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
I CALCOLI DI ALGOL
L'analisi della variabilità della stella del diavolo sono stati
confrontati con i calcoli degli antichi egizi dimostrando
ancora una volta l'estrema esattezza degli astronomi di un
tempo.
17/05/2012 - Difficile battere la saggezza degli antichi egizi.
A confermarlo è un recente studio di un gruppo di
ricercatori dell'Università di Helsinki, in Finlandia, che
hanno rinfrescato le osservazioni degli antichi egizi sulle
stelle variabili.
In particolare si sono concentrati su Algon, che in arabo
significa “stella del demonio”. E' una stella binaria a eclisse,
e gli egizi tre millenni fa osservavano le sue variazioni di
luminosità per “prevedere” giornate più favorevoli e altre
meno.
Gli astronomi finlandesi hanno rispolverato il calendario
egiziano Cairo 86637, scoprendo che si tratta
probabilmente del più antico e meglio conservato
documento storico di osservazione a occhio nudo di una
stella variabile.
Per ogni giorno dell'anno, gli antichi egizi avevano previsto
una divisione in tre parti. Ad ogni sezione del giorno veniva
poi riferita una buona o una cattiva previsione. Le analisi
dei ricercatori finlandesi hanno rilevato che le previsioni nel
calendario egizio sono scandite da due periodi ricorrenti.
Uno è di circa 29,6 giorni, ed è chiaramente corrispondente
al ciclo lunare. L'altro di 2,85 giorni, è invece riferito al
periodo di variazione di Algol, dove la stella minore eclissa
la più luminosa proprio per un periodo di 2.867 giorni.
Questo fenomeno è facilmente osservabile anche ad occhio
nudo.
Lauri Jetsu, membro del gruppo di ricerca sottolinea che il
periodo di variazione di Algol è aumentato nel corso di
3000 anni di circa 0,017 giorni, “a causa di un trasferimento
di massa tra le due stelle della binaria a eclisse”.
Fonte: MEDIA INAF
SOLI TROPPO VIOLENTI
Dall'analisi dei dati del satellite Kepler della NASA emerge
che le stelle con le stesse caratteristiche della nostra
producono brillamenti che sono anche milioni di volte più
intensi di quelli che avvengono sul nostro Sole. Cosa possa
scatenare queste immani esplosioni è però ancora un
mistero..
17/05/2012 - Siete preoccupati per le tempeste solari che,
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
specie nei prossimi mesi, potrebbero investirci?
L'argomento è in effetti di estrema attualità, visto che
proprio in queste ore stiamo tirando un sospiro di sollievo
per il gigantesco gruppo di macchie solari denominato AR
1476, prossimo ormai al bordo del Sole che, per fortuna,
non ha prodotto i fenomeni temuti, come intensi
brillamenti (flare) ed emissioni di massa coronale (CME).
Temuti perché nei casi più estremi i loro effetti sulla Terra
riuscirebbero a danneggiare la nostra rete di
telecomunicazioni e, magari, arrivare a produrre qualche
black out sulle reti elettriche alle alte latitudini. Ma tutto
sommato, anche dovessero presentarsi queste circostanze,
dovremo ritenerci fortunati. Si perché, a quanto pare,
nell'universo le stelle come il Sole sembrano molto più
attive e soprattutto capaci di produrre esplosioni con
energie migliaia o addirittura milioni di volte maggiori dei
più violenti brillamenti che abbiamo finora registrato sulla
nostra stella.
A indicare questo scenario è lo studio di un gruppo di
ricercatori giapponesi dell'Università di Kioto guidato da
Hiroyuki Maehara, che viene pubblicato nell'ultimo numero
della rivista Nature. Il team ha analizzato i dati raccolti dal
satellite Kepler della NASA che tiene continuamente sotto
controllo oltre 100.000 stelle, riuscendo a rilevare anche le
loro più piccole variazioni di luminosità.
Tra tutte queste i ricercatori hanno concentrato la loro
attenzione sulle oscillazioni della luce prodotta da circa
83.000 stelle che presentano caratteristiche analoghe al
nostro Sole, come massa, temperatura superficiale, età,
riuscendo a individuare 365 brillamenti avvenuti su 148
differenti astri. E dall'analisi che ne segue, i brillamenti che
si registrano sulla nostra stella sembrano essere al
confronto poco più che deboli scintille.
I superflare extrasolari hanno durate che arrivano fino a 12
ore, rilasciando energie che possono essere decine di
migliaia di volte maggiori di quello che ad oggi è il
brillamento solare più potente mai registrato, avvenuto nel
1859. E, in analogia a quanto avviene sulla nostra stella,
sono stati tutti prodotti da astri che presentano grandi
21
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
macchie. È quindi confermata l'ipotesi che, così come
accade per la nostra stella, questi fenomeni siano la diretta
conseguenza delle interazioni dei campi magnetici e a
meccanismi di riconnessione ad essi legati. Resta però il
dubbio sul perché oggetti celesti che possono essere
considerati in tutto e per tutto ‘gemelli' del Sole presentino
fenomeni così straordinariamente intensi e frequenti
rispetto a quanto produce la nostra stella. Forse questi
superflare potrebbero essere innescati dalla presenza di
pianeti di massa comparabile o maggiore a quella del
nostro Giove che si trovano in orbite molto ravvicinate
attorno alla loro stella madre. Il fatto che però tra tutti i
148 astri che hanno mostrato brillamenti, nessuno sembra
possedere pianeti di tipo Giove caldo, lascia la questione
ancora aperta.
Conseguenza di questo studio anche l'interrogativo sulla
vita, quanto possa essere legata all'”anomala” tranquillità
del nostro Sole, o quanto quei soli possano dare il via a
forme di vita differenti. Sarà l'occasione per tornarci sopra..
Poiché la polvere interstellare oscura la maggior parte
dell'attività di formazione di nuove stelle nell'Universo
primordiale, soltanto strumenti come quelli del telescopio
Herschel (che possono rilevare la luce infrarossa prodotta
da questa polvere mentre viene riscaldata dalle stelle in
formazione) permettono di studiarla. Herschel è una
missione ESA a cui INAF contribuisce in modo sostanziale.
La quantità di luce infrarossa in arrivo fa pensare che le
galassie all'interno del filamento producano l'equivalente di
1000 masse solari di nuove stelle ogni anno. Studiando cosa
succede là in mezzo, gli astrofisici saranno in grado di
rispondere all'eterna domanda: per la crescita, contano più
i geni o l'ambiente? “L'evoluzione di una galassia è
dominata da proprietà intrinseche, come la sua massa
totale, o sono le condizioni dell'ambiente cosmico su
grande scala a determinare come cresce e cambia nel
tempo?” si chiede Jim Geach, altro autore dello studio (che
compare su Astrophysical Journal Letters) . “Questa è una
delle domande chiave nell'astrofisica moderna”.
Fonte: MEDIA INAF
COLLANE DI STELLE
La missione Herschel riprende un filamento che collega due
ammassi di galassie, ricchissimo di stelle in formazione. Gli
astrofisici vogliono studiarlo per capire se siano le proprietà
intrinseche delle galassie a determinare la loro evoluzione,
o l'ambiente cosmico circostante.
18/05/2012 - E' una collisione memorabile, quella che si
prepara in una zona di cielo ripresa dal satellite Herschel, e
studiata da un gruppo di ricercatori della McGill University
in Canada. Un filamento gigante, fatto in realtà di centinaia
di galassie, che collega due diversi ammassi galattici, che
assieme a un terzo sono sulla via per scontrarsi e confluire
in un superammasso da record, che diventerà uno dei più
grandi dell'Universo (tra quelli osservati, per lo meno).
Il filamento, la cui luce ha impiegato oltre 7 miliardi di anni
a raggiungerci, è una testimonianza cruciale di un momento
chiave dello sviluppo dell'Universo, quello in cui iniziavano
a prendere forma i superammassi, colossali aggregati di
galassie. Quel ponte che collega i due ammassi è una
regione di intensissima formazione di nuove stelle, e, come
spiega la prima autrice dello studio Kristen Coppin, “ci dà
una istantanea di come l'evoluzione di strutture cosmiche
su grande scala influenza l'evoluzione delle singole galassie
intrappolate al loro interno”.
Il filamento intergalattico ha un'ampiezza di 8 milioni di
anni luce, e collega due dei tre ammassi che formano il
superammasso noto come RCS2319.
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
Le galassie nel filamento finiranno, nel giro di 7 o 8 miliardi
di anni, per migrare verso quello che diventerà il centro di
un unico, gigantesco super ammasso.
Fonte: MEDIA INAF
PRIMA IMMAGINE CON SORPRESA
Ecco la prima immagine scientifica ottenuta dal più grande
e potente strumento per radioastronomia mai realizzato.
Sebbene LOFAR stia completando le fasi di collaudo, questa
sua ripresa ha già evidenziato un'emissione anomala di
onde radio a bassa frequenza: risulta infatti assai maggiore
di quanto previsto dalle attuali teorie.
18/05/2012 - A vederle dall'alto, sembrano delle grandi
scacchiere composte da grosse tessere di mosaico tutte di
colore nero. In realtà sono speciali stazioni per captare i
segnali provenienti dal cosmo. In Europa ce ne sono 50,
sparse tra Germania, Olanda, Svezia Francia e Regno Unito,
che sfruttano il potere ricevente di circa 20.000 antenne,
22
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
collegate tra loro da una rete informatica che trasmette
dati ad altissima velocità tramite connessioni in fibra ottica.
Questa immensa ragnatela si chiama LOFAR (LOw
Frequency ARray) ed è il più esteso e più complesso
radiotelescopio mai costruito. La tecnica con cui è stato
concepito e realizzato gli permette di avere le stesse
prestazioni di un singolo radiotelescopio grande quanto 20
campi da calcio, indagando i segnali di bassa frequenza
provenienti dall'Universo, in particolare tra 15 e 200 MHz.
Un intervallo di radiazione finora poco o per nulla
esplorato, e quindi una ‘nuova frontiera' nella
radioastronomia.
Una frontiera che è stata varcata durante il collaudo
operativo dello strumento, culminato con la realizzazione
della prima immagine a frequenze radio fra 20 e 60 MHz
dell'ammasso di galassie denominato Abell 2256: un
insieme di centinaia di galassie distante circa 800 milioni di
anni luce da noi. La ripresa è stata realizzata nell'ambito di
uno studio guidato da Reinout van Weeren, dell'Istituto di
ricerca olandese ASTRON e della Leiden University e a cui
hanno partecipato ricercatori provenienti da 26 Istituti, tra
cui anche dell'INAF.
La ripresa era stata pensata per testare la funzionalità di
LOFAR e per calibrare i suoi componenti. Ma subito i
ricercatori hanno intuito che le informazioni in essa raccolte
erano molto più di una semplice immagine di prova.
L'analisi dei dati ha infatti evidenziato che l'intensità
dell'emissione radio dell'ammasso preso in esame da
LOFAR è molto maggiore di quella prevista sulla base di
osservazioni già condotte per Abell 2256 da altri
radiotelescopi, ma a frequenze più alte. Uno scenario
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
inatteso, che suggerisce ai ricercatori nuove domande sui
processi fisici responsabili di questa emissione. “L'idea
prevalente emersa negli ultimi anni tra la comunità
scientifica è che l'emissione radio dagli ammassi sia
prodotta da particelle di alta energia accelerate da shock e
turbolenza che vengono generati durante la fase di
formazione degli ammassi stessi. Queste prime osservazioni
complicano ulteriormente gli scenari teorici”, commenta
Gianfranco Brunetti dell'Istituto di Radioastronomia (IRA)
dell'INAF, fra gli autori dell'articolo, che assieme a Marcus
Brueggen della Jacobs University di Brema, coordina gli
studi LOFAR sugli ammassi di galassie.
Insomma, se il buon giorno si vede dal mattino, LOFAR
promette di mantenere tutti gli obiettivi scientifici per cui è
stato realizzato. Uno dei più ambiziosi che si prefigge
questo avanzatissimo radiotelescopio è la mappatura
sistematica dell'emisfero nord del cielo, con una sensibilità
cento volte maggiore rispetto al passato. Una caratteristica
che permetterà al radiotelescopio di rilevare qualcosa come
100 milioni di sorgenti celesti, forse addirittura di più.
Questo grande programma di osservazioni coinvolge molte
decine di ricercatori da tutto il mondo, fra cui anche alcuni
dell'INAF.
“C'e' un grande interesse trasversale per LOFAR tra gli
astrofisici italiani” commenta Luigina Feretti, direttore
dell'Istituto di Radioastronomia dell'INAF. ”Da qualche anno
stiamo cercando di reperire i fondi necessari, circa un
milione di Euro, per installare una stazione LOFAR su
territorio
italiano.
Questo
permetterebbe
un
coinvolgimento istituzionale della nostra comunità
scientifica in una grande collaborazione internazionale, che
si colloca sulla strada verso un'altra pietra miliare per la
ricerca astrofisica dei prossimi decenni: il radiotelescopio
SKA, lo Square Kilometre Array”.
Fonte: MEDIA INAF
SPIRALI DI SPIRALI
Hubble immortala un centro galattico a spirale, parte di una
spirale più grande.
28/05/2012 - Il telescopio spaziale Hubble ha catturato
questa immagine di una galassia nota come ESO 498-G5.
Una interessante caratteristica di questa galassia è che i
suoi bracci a spirale creano una sorta di piccola spirale
verso il centro galattico, cosicché il nucleo sembra un po'
come una galassia a spirale in miniatura. Questo tipo di
struttura è in contrasto con i bulge ellittici e pieni di stelle
della maggior parte delle galassie a spirale.
Gli astronomi si riferiscono a questa struttura come ad uno
23
SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
pseudobulge. Le osservazioni di Hubble, privi delle
distorsioni indotte dalla nostra atmosfera, hanno aiutato a
rivelare che questi due differenti tipi di centro galattico
sono realmente esistenti, mostrando inoltre che la
formazione stellare è ancora in piedi nello pseudobulge
mentre è cessata nel cuore galattico delle galassie
"normali". Un modello simile ad una matriosca: un bulge
normale può essere assimilato ad una galassia ellittica
interna ad una spirale, mentre uno pseudobulge ad una
galassia a spirale dentro una spirale più grande.
Non solo: proprio come le giganti galassie ellittiche, i bulge
normali consistono di stelle che si muovono su orbite
randomiche mentre la struttura ed il movimento interno
alle stelle dello pseudobulge ricalca quello delle stelle del
disco delle galassie a spirale. Questo suggerisce due
differenti modelli per i due tipi di bulge: quelli classici si
dovrebbero sviluppare attraverso eventi di ampie
dimensioni come fusioni, mentre uno pseudobulge
dovrebbe avere una evoluzione più graduale.
ESO 498-G5 si trova a 100 milioni di anni luce nella
costellazione del Compasso e l'immagine è composta da
esposizioni in luce visibile e infrarosso, in un campo di circa
3.3 per 1.6 minuti d'arco.
Fonte: NASA
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SUPERNOVAE DI ASTRONAUTICA
INIZIA L’ERA DELLE GITE SPAZIALI
La capsula DRAGON lanciata martedì da Space X ha completato con successo il docking alla Stazione Spaziale
Internazionale. Per la prima volta, la ISS viene raggiunta da una missione commerciale. Da ora in poi veicoli di questo tipo
affiancheranno la Soyuz nelle missioni verso l'orbita bassa. L'opinione di Umberto Guidoni
28/05/2012 - La “liberalizzazione” dell’orbita bassa ora è iniziata davvero. Alle ora 15 e 56 italiane, la capsula Dragon è
stata agganciata dal braccio robotico della Stazione Spaziale Internazionale, diventando ufficialmente il primo veicolo
“commerciale” ad agganciarsi alla ISS. La manovra era iniziata molte ore prima, da quando alle 3 e 30 circa di notte in Italia,
l’International Space Station Mission management team della NASA dava il via libera al docking. Dopo un lungo
avvicinamento, e una pausa di sicurezza a circa 250 metri dalla stazione (servita a provare le manovre di allontanamento
nel caso qualcosa fosse andato storto), la capsula è stata “catturata” dal braccio robotico della Stazione. Quest’ultimo l’ha
poi avvicinata fino all’aggancio e all’apertura dei boccaporti di collegamento tra la ISS e Dragon, attraverso cui il carico di
rifornimenti a bordo della capsula verrà trasferito sulla stazione. Dragon era stato lanciato tre giorni prima, il 22 maggio.
A differenza del lancio di satelliti artificiali, l’aggancio di moduli alla Stazione Spaziale Internazionale era sinora monopolio
delle grandi agenzie come NASA, Roscosmos (Russia) ed ESA. Con la manovra di oggi, si entra in una nuova era, prefigurata
da anni dalla stessa NASA. L’orbita bassa (Low Earth Orbit o LEO, quella su cui si trova la ISS) non è più territorio “di
frontiera”, riservato alle grandi agenzie governative, ma si apre a operatori commerciali (anche se la missione Space X
Dragon commerciale lo è fino a un certo punto, visto che la navicella è stata sviluppata su contratto NASA).
“E’ un successo importante per una società come SpaceX nata solo da pochi anni e già entrata tra i grandi del settore
spaziale” spiega Umberto Guidoni, ex astronauta, che ha volato due volte con lo Space Shuttle nel 1996 e nel 2001, la
seconda volta raggiungendo la Stazione Spaziale Internazionale. “Ora però SpaceX dovrà dimostrare di essere in grado di
mantenere una fitta e regolare schedule di voli, che è quello che il mercato le richiederà”. Secondo Guidoni, per quanto la
tecnologia per volare in orbita bassa sia ormai in gran parte matura, ”c’è ancora un margine di sviluppo. Il risultato di oggi
in fondo riguarda sempre solo i professionisti del ramo, gli astronauti. L’altro grande obbiettivo è il turismo spaziale. Per
farlo diventare reale, e non solo un privilegio per persone ricchissime come è stato finora, serve un veicolo ancora più
semplice e meno costoso di Dragon”.
Il prossimo passo fondamentale per Space X sarà quello di un volo abitato, cosa che dovrebbe avvenire entro il 2013/2014.
Un obiettivo su cui la Nasa stessa vuole accelerare, anche per avere un mezzo alternativo alla Soyuz per raggiungere la ISS.
Fonte: MEDIA INAF
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
SPECIALE ECLISSE ANULARE DI SOLE – MAGGIO 2012
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Gli appuntamenti Skylive di Giugno
Venerdi 1 Giugno 2012
Una Costellazione sopra di Noi: Una serata in diretta al telescopio numero 4 tra le bellezze della costellazione del
mese, il Bifolco. Conduce Giorgio Bianciardi, staff Skylive e vicepresidente UAI.
Giovedi 14 Giugno 2012
Corso di Astronomia di Base: Sesto appuntamento con il corso di astronomia di base, incentrato sul ciclo di vita delle
stelle. Conduce Stefano Capretti, staff Skylive.
Giovedi 28 Giugno 2012
Rassegna stampa e Cielo del Mese: Una serata per ripercorrere le principali notizie del mese di Giugno 2012 e per
introdurre il cielo del mese di Luglio, con un occhio di riguardo all’evento del 15: occultazione lunare di Giove.
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SUPERNOVAE – n° 4 – Giugno 2012
Universe Gallery
L'immagine della NASA ottenuta dall'Hubble Space Telescope potrebbe sembrare come una piccola parte di cielo a
prima vista, ma con uno zoom nella parte centrale dell'ammasso galattico, una delle più grandi strutture dell'universo,
quindi è come guardare nell'occhio di un ciclone. Gli ammassi di galassie sono grandi gruppi formati da dozzine di
centinaia di galassie, legate insieme dalla gravità. Le galassie a volte arrivano troppo vicine tra di loro e le grandi forze
gravitazionali le possono distorcere oppure addirittura spezzare durante la collisione. Questo ammasso in particolare,
chiamato Abell 1185, è un ammasso caotico. Le galassie di varia forma e dimensione effettuano traiettorie abbastanza
rischiose. Alcune sono già state provate dalle interazioni cosmiche, lasciando code di materia nel vuoto. Hanno dato vita
ad una forma particolare chiamata "La Chitarra", posta appena al di fuori del frame di questa immagine.
Abell 1185 è posta a circa 400 milioni di anni luce dalla Terra e abbraccia uno spazio di un milione di anni luce. Poche
galassie ellittiche che formano l'ammasso sono visibili agli angoli dell'immagine.
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L'immagine della nebulosa Thor's Helmet, anche nota come NGC 2359, è stata ottenuta dalla Wide Field Camera a bordo
dell'Isaac Newton Telescope (INT). Si tratta di una immagine composita ottenuta dai dati raccolti attraverso filtri per
isolare la luce emessa dall'idrogeno alfa (H-alpha), dall'ossigeno due volte ionizzato (OIII) e dallo zolfo ionizzato (SII). I
dati sono stati poi codificati in rosso, verde e blu rispettivamente.
NGC 2359 è attualmente una bolla interstellare, soffiata dai venti della stella brillante e massiva posta nei pressi del
centro. E' una stella di Wolf-Rayet, una gigante molto calda, che a breve dovrebbe passare allo stadio di supernova. Si
trova a 15.000 anni luce dalla Terra nel Cane Maggiore e misura 30 anni luce di diametro.
Si tratta di una delle strutture nebulari di Wolf Rayet meglio conosciute ed il nome è dovuto alla somiglianza con il
copricapo del famoso dio del tuono, Thor.
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Reti caotiche di polvere e gas sono il segnaposto delle prossime generazioni di stelle massive in questa nuova immagine
della nursery stellare Cygnus-X ottenuta dall'Herschel Observatory dell'ESA.
Si tratta di una regione estremamente attiva di nascita stellare distante 4500 anni luce dalla Terra, nel Cigno. L'occhio
infrarosso di Herschel ha consentito di osservare le regioni nelle quali la polvere è scaldata dalle stelle, laddove nuove
generazioni di stelle stanno per prendere vita.
Le aree bianche brillanti evidenziano zone nelle quali si sono formate da poco grandi stelle a partire da nubi turbolente,
soprattutto nella zona a destra dell'immagine. Qui, punti addensati di gas e polvere segnano le intersezioni tra i filamenti
e collassano a formare nuovi astri.
Al centro dell'immagine, la radiazione e i potenti venti stellari hanno ripulito la zona scoprendo il materiale interstellare.
La zona a sinistra è dominata da colonne di gas che somigliano al collo di un cigno.
In basso e a destra, un guscio di gas e polvere è stato probabilmente espulso da una stella supergigante nel suo centro,
non visibile nell'immagine.
Stringhe di oggetti rossi compatti abbracciano tutta la scena, semi di prossime generazioni stellari.
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La strana galassia Centauro A è raffigurata in questa nuova immagine dell'Osservatorio Australe Europeo. Raggiungendo
un tempo totale di esposizione di più di 50 ore, questa è probabilmente l'immagine più profonda di questo oggetto
singolare e spettacolare. L'immagine è stata ottenuta dallo strumento WFI (Wide Field Imager) sul telescopio da 2,2
metri dell'MPG/ESO all'Osservatorio di La Silla in Cile.
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Nella costellazione di Andromeda, NGC 891 si trova a circa 30 milioni di anni luce dalla Terra e il telescopio spaziale
Hubble ha volto il proprio sguardo proprio verso questa spirale spiandone la metà settentrionale. Il bulge centrale si
trova appena al di fuori dell'immagine, sul lato in basso a sinistra.
La galassia abbraccia un'area di circa 100 mila anni luce e viene osservata precisamente di taglio rivelando quindi il piano
di polveri e di gas interstellare. Osservazioni più dettagliate rivelano la presenza di filamenti di polvere e gas in fuga dal
piano della galassia, verso l'alone, a centinaia di anni luce.
Gli astronomi credono che questi filamenti siano il risultato dell'espulsione di materiale dovuta a supernovae oppure a
intensa attività di formazione stellare. Questi eventi causano venti potenti che soffiano via la polvere ed il gas a distanze
siderali.
NGC 891 è parte di un piccolo gruppo di galassie legate insieme dalla gravità.
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Il telescopio Spitzer della NASA ha immortalato questa galassia dotata di una struttura simile ad un occhio al suo centro.
L'occhio è un mostruoso buco nero circondato da un anello di stelle. In questa immagine codificata dall'infrarosso l'area
intorno al buco nero invisibile è blu e l'anello di stelle è bianco. La galassia è NGC 1097 e si trova a 50 milioni di anni luce
da noi: è una spirale come la nostra con bracci di stelle molto pronunciati.
Il buco nero ha una massa di circa 100 milioni di masse solari e si ciba del gass e della polvere circostanti, con saltuari
spuntini di stelle. Al confronto il buco nero della Via Lattea fa ridere, con pochi milioni di masse solari.
L'immagine abbraccia una regione di soli 5.500 anni luce, più di 300 regioni di formazione stellare distribuite lungo
l'anello di gas e polveri. Al centro, la brillante sorgente dove l'AGN ed il buco nero sono localizzati.
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SPECIALE: Il transito di Venere sul Sole
MAI OSSERVARE IL SOLE SENZA UN APPOSITO FILTRO!
Finora siamo abituati a vedere verso ovest una "stella" brillantissima e sappiamo che non si tratta di una stella, ma del
pianeta Venere che quando è visibile si fa notare in maniera molto evidente.
Spesso ciò che non è noto è il giorno in cui Venere, anziché essere alla massima distanza dal Sole, si trova in
congiunzione eliaca. Di certo non è il caso di quest'anno dal momento che il pianeta darà spettacolo proprio nel giorno
della congiunzione eliaca inferiore, passando proprio sul disco solare.
Si tratta di un gioco di orbite e di inclinazioni: l'orbita di Venere è
inclinata di 3,4° rispetto a quella terrestre quindi nel momento in
cui Venere passa davanti al Sole lo fa, in genere, passando sopra o
sotto il nostro astro diurno. Nel momento in cui i piani orbitali di
Terra, Sole e Venere si intersecano avviene un transito, quindi un
passaggio del disco del pianeta sul disco del Sole.
Già da questo si può capire come si tratti di un evento abbastanza
raro. L'inclinazione dell'orbita di Mercurio rispetto all'eclittica,
all'incirca di 7°, fa si che Mercurio regali in media 13 transiti al
secolo: per il resto passa al di sopra o al di sotto del disco solare.
Mercurio passa sui nodi dell'eclittica soltanto l'8 maggio ed il 10
novembre, perciò i transiti avvengono più o meno intorno a queste
date, quando avvengono. L'ultimo transito di Mercurio è avvenuto l'8 novembre del 2006. I transiti di Maggio avvengono
con cicli di 7, 13 e 33 anni, mentre quelli di Novembre con cicli di 13 e 33 anni.
Per Venere è tutto più difficile: la sua orbita lascia poco spazio ai transiti, che quindi sono più rari di quelli di Mercurio ed
avvengono un paio di volte ogni secolo, ma a coppia durante la quale gli eventi sono distanziati di 8 anni. Le date più
recenti vedono i transiti nel 1631 e nel 1639, nel 1761 e nel 1769, nel 1874 e nel 1882, sempre all'inizio di dicembre e di
giugno. Il prossimo transito sarà quello ormai famoso del 6 giugno del 2012, visto che il primo della coppia è avvenuto l'8
giugno del 2004.
Quindi il transito è il passaggio del disco di un pianeta sul disco solare, o di un satellite sul disco del proprio pianeta
osservato da un pianeta esterno.
Il transito di Venere si presenta come il passaggio di un dischetto scuro sul disco solare, quindi va osservato con tutte le
attenzioni del caso: OSSERVARE IL SOLE SENZA UN APPOSITO FILTRO PORTA ALLA CECITA'!
IMPORTANZA STORICA
Non si tratta solo di un fenomeno osservativo, o meglio non è sempre stato così. Un
tempo i transiti di Venere erano fondamentali anche per determinare con
precisione, tramite il metodo della parallasse, la dimensione del Sistema Solare, la
distanza quindi tra Terra, Sole e Venere e per calcolare la grandezza del diametro del
pianeta in base al tempo impiegato per percorrere il disco solare.
Il primo transito previsto fu quello del 1631 ma non fu osservato da nessuno: i dati di
Keplero, infatti, non era accurati al punto da prevedere anche che il fenomeno non
sarebbe stato visibile dall'Europa.
La prima osservazione fu così rimandata a otto anni dopo, al secondo passaggio della
coppia di transiti, e fu opera di Jeremiah Horrocks: per la prima volta si capì il gioco
delle coppie dei transiti di Venere, cosa che finora era sfuggita anche a Keplero.
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Sempre grazie ai transiti si riuscì a capire che Venere ha una propria atmosfera: i raggi solari infatti furono sorpresi ad
essere rifratti ancora prima dell'entrata del disco di Venere nel disco solare, quindi ad opera di un involucro gassoso che
doveva per forza circondare il pianeta.
Una sorta di imprecisione viene fornita da un effetto chiamato back drop, che rende impossibile stabilire con precisione
assoluta il momento in cui inizia e termina il transito. Un tempo questo fenomeno era assegnato all'atmosfera del
pianeta in transito, ma ci si rese conto che è invece dovuto ad un effetto ottico conseguente alla turbolenza atmosferica
terrestre nonché ai mezzi ottici utilizzati. L'effetto consiste, in pratica, in una spalmatura del dischetto del pianeta nel
momento in cui si trova nei pressi del bordo solare, come si evince dall'immagine.
IL TRANSITO DEL 6 GIUGNO
Detto questo, non resta che passare al transito del 6 giugno 2012 (6 giugno per noi, ma dal punto di vista geocentrico si
parla di 5 e 6 giugno) dicendo già da ora che non si tratterà di un evento favorevole per il nostro paese dal momento che
avrà inizio con gli astri ancora sotto l'orizzonte e che sarà visibile soltanto bassissimo all'orizzonte est durante le fasi
finali, quindi poco prima dell'uscita del pianeta dal disco solare.
Ovviamente, sarà comunque un appuntamento da non perdere, l'ultimo della nostra vita dal momento che il prossimo
transito di Venere sul disco solare si verificherà il giorno 11 dicembre 2117. Quindi accontentiamoci e cerchiamo di
massimizzare la soddisfazione che si potrà ottenere.
Innanzitutto, l'area di visibilità dell'evento sarà circoscritta più o meno alla parte centrale e occidentale dell'Oceano
Pacifico: dal nord America si potrà assistere all'inizio dell'evento mentre in Asia Meridionale, Medio Oriente e gran parte
dell'Europa si potrà assistere alla parte finale, come detto.
Tanto per fare un esempio, a Roma Venere toccherà in uscita la parte interna del disco solare intorno alle 04:37 TU con
una altezza di soli 10° mentre uscirà completamente dal disco alle ore 04:55 TU ad una altezza di soli 13°. A Milano stessi
orari, ma con altezze di 9° e 12° sull'orizzonte est.
Dal punto di vista geocentrico, e quindi non tenendo in considerazione le condizioni locali e gli orizzonti, l'evento sarà
lunghissimo e prevede le seguenti fasi:
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Primo contatto con il disco esterno, 5 giugno ore 22:09:40 locali
Ingresso totale nel disco, 5 giugno ore 22:27:28 UT
Minima separazione, 6 giugno ore 01:29:35 UT
Contatto con il disco interno, 6 giugno ore 04:31:42 UT
Uscita dal disco solare, 6 giugno ore 04:49:30 UT
L'evento quindi dura ben sei ore e quaranta minuti, ma dall'Italia sarà visibile soltanto dal sorgere del Sole, poco prima
delle ore 6, alle 06.55 orario in cui tutto avrà fine.
di Stefano Capretti
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