"Newsletter" - Rivista di Musica Corale di U.S.C.I Pavia

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CONSIGLIO DIRETTIVO E
COMMISSIONE ARTISTICA
USCI PAVIA
ANNO I, NUMERO 2
“N EWS L ET T ER ”
R IV IS TA
DI
MAGGIO—AGOSTO 2013
MUSICA
C O R ALE
WWW.USCIPAVIA.IT
L’IN-CANTAR “CANTANDO”:
CORI, CANTORI E DIRETTORI - 1
SOMMARIO:
EDITORIALE:
L’IN-CANTAR
“CANTANDO”
2
TERZA PAGINA:
IL PRESIDENTE DI
U.S.C.I. PAVIA
3
COMMENTO:
CANTINSIEME
MUSICA DIVINA
5
CORO DA OSTERIA: UN
PATRIMONIO STORICO
IN VIA DI ESTINZIONE
7
ARTICOLO:
CONCERTI NELLE
CHIESE
8
LA VOSTRA VOCE:
IN DIALOGO CON
I LETTORI
12
USCI PAVIA:
INCONTRI
FORMATIVI 2013
13
AMATORI E DILETTANTI: UNA QUESTIONE
SEMANTICA
14
Ognuno dei miei amici
lettori, un giorno più o meno lontano della loro storia personale, è
entrato a far parte di un coro.
Probabilmente, una larga maggioranza di chi sta sfogliando questo
secondo numero di “Newsletter”
ne fa ancora parte integrante, con
ruoli ed aspettative diverse, magari anche prestando la propria voce
in più di una formazione corale.
Iniziare
a
cantare
in
coro è una
esperienza
tutto sommato molto semplice
che,
all’origine,
presuppone
due diverse
tipologie:
ascoltando
cantare,
ci
siamo recati dal direttore chiedendo se fosse possibile provare ad
entrare anche noi, oppure siamo
stati invitati (o trascinati, qualche
volta) da un conoscente che, amico o parente, ad ogni occasione
non smetteva di ripetere quanto
bella fosse la sua attività di cantore. Insomma, che ci sia stato un
accosto volontario al coro, oppure
una sollecitazione esterna che ci
ha indotto a provare, una volta
dentro si sono innescate tutta una
serie di conseguenze che, a pensarci bene, influenzano la sfera
culturale, sociale e relazionale del
singolo individuo rapportato al
gruppo.
Relazioni, dicevamo. Il
coro, per definizione, è un insieme; farne parte non vuol dire
annullare la propria individualità
(musicale e caratteriale) a favore
del gruppo, anzi, al contrario,
significa sommare se stessi agli
altri, in modo da creare un
“piccolo mondo” ricco, variegato e
pieno di tante sfaccettature, in
modo che ciascuno ne tragga
indiretto beneficio. Musicalmente,
per inteso, è il direttore la figura
sulla quale grava la responsabilità
di sommare e fondere le diverse
voci, in una serie di passaggi che
vanno dalla istruzione vocale alla
adeguata scelta del genere e del
repertorio; in definitiva, possiamo
considerare il direttore come un
“organaro”, più generalmente
inteso come costruttore ed accordatore dello strumento coro. Caratterialmente, invece, ogni cantore è direttamente coinvolto nell’interazione relazionale con gli altri
colleghi, e spesso, in verità, alcune
cose non funzionano perché non
sempre scatta quella empatia
reciproca. Ciò detto, senza entrare
nel merito della situazione, alcune
volte tutti ci dimentichiamo che si
è in coro per cantare insieme, non
solo per se stessi bensì affinché
altri fruiscano della nostra arte;
perciò, al di là di quelle che, inevitabilmente, si possono concretizzare, nel vivere comune, in malintesi, contraddizioni, incomprensioni o quant’altro, andrebbe sempre,
per tutti, visualizzato l’obbiettivo
finale: il cantare bene è frutto del
ben cantare, dello stare bene
insieme e del relazionarsi con
cordialità tra membri del coro. Non
dimenticando che, in molti casi,
nei cori sono nate amicizie molto
forti ed anche, perché no, coppie e
matrimoni.
Un ensemble di nuova
fondazione si forma, nella maggioranza dei casi, su base amatoriale
e dilettantistica (nell’accezione più
positiva del termine, ben inteso)
prendendo spesso forma, inoltre,
da situazioni precostituite: un
gruppo di alpini, una parrocchia,
un circolo lirico, un gruppo di giovani, un gruppo di cantori già
esperti convocati da un direttore
cui si è particolarmente legati e via
dicendo, si uniscono tra loro dando vita ad un nuovo coro. Naturalmente, non sempre tutte le persone che “fondano il coro” possiedono la necessaria formazione per
potere cantare a buon livello, o
semplicemente non sono in numero sufficiente per ottenere risultati
rilevanti: perciò è frequente che al
nucleo originario si aggiunga anche un secondo nucleo, successivo, per integrare la formazione e
garantire un miglioramento tecnico. Il primo scoglio da superare, in
genere, è proprio la coabitazione
tra questi due nuclei fondatori; se
non si implode e si attraversa con
successo questa particolare fase
di assestamento, il coro potrà
proseguire a lavorare senza particolari scossoni che ne minano la
tenuta e la solidità, artistica e
caratteriale.
Direttore, cantore. Una
carissima persona, tanti anni fa,
ben consapevole della propria
personale pluriennale esperienza
di cantore, mi diceva candidamente che “Il coro deve essere una
dittatura buona!”. Mi sono sempre
soffermato a riflettere su questa
espressione; da un punto di vista
linguistico, la contraddizione è
certamente evidente, una dittatura non può essere, infatti, “buona”
per definizione. E’ pur vero, altresì,
che in coro non possono comandare tutti e perciò dovrebbero
esserci almeno due punti di riferimento particolari, uno artistico ed
uno che si occupa del management. Generalmente si parla del
Direttore nel primo caso e del
Presidente (o altra figura simile)
nel secondo; di quest’ultima non
sono particolarmente esperto,
quindi preferisco concentrarmi sul
ruolo del Direttore. Ne ho conosciuti tanti, in quanto colleghi
operanti in diverse circostanze,
altrettanti li ho incontrati nei corsi
tenuti e nei vari momenti formativi
della mia attività professionale;
ognuno con le proprie prerogative,
con il proprio background culturale, la differente esperienza di
studio e di carriera. Definire un
direttore di coro non è semplice,
proprio perché si tratta di una
figura poliedrica, che incamera
dentro di se numerose responsabilità.
Anzitutto, dicevamo, è
un organaro, si occupa, infatti, in
p r im a p e r s o n a s i a d e l la
“costruzione” del proprio strumen-
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“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
Pagina 2
CONTINUA DA PAG. 1: EDITORIALE
to che della sua accordatura; è (o dovrebbe essere) un preparatore vocale, dato il lavoro che lo attende per fondere le
diverse caratteristiche delle voci che ha di fronte a se; è un ricercatore, un serio uomo di cultura, visto l’indiscusso
sforzo di scelta del repertorio, il quale dovrebbe essere costruito ad hoc sulla pelle dei propri cantori; è certamente un
interprete, considerando che “filtra” le idee musicali, dinamiche e fraseologiche dall’autore direttamente ai propri
coristi; è un esecutore, quando dirigendo “suona” il proprio “strumento coro”; infine, ogni direttore è un piccolo psicologo in erba, in quanto è chiamato a tenere atteggiamenti di equilibrio nei confronti di tutti, ascoltando e cercando di
comprendere ogni interlocutore che gli si para di fronte. Chi dunque, ingenuamente, pensa che il mestiere del direttore di coro sia di serie “B” rispetto al suo più blasonato pari grado in orchestra, non dovrebbe trascurare tutti questi
elementi appena elencati i quali fanno del “nostro” un professionista serio, preparato, studioso, mai fermo sulle convinzioni ma dinamico nel carpire tutto ciò che può essere di beneficio e di miglioramento alla propria attività. Infine,
giusto per non farsi mancare nulla, al direttore di coro è necessariamente richiesta la capacità di leadership, congiuntamente all’autorevolezza (sia chiaro, non l’autorità, l’autorevolezza) che gli viene conferita dal suo grado di preparazione e dal suo carattere. Essere leader di un gruppo offre certamente aspetti positivi ed affascinanti, un po’ perché automaticamente - dirigendo si è al centro dell’attenzione con tutto ciò che ne deriva, anche i pericoli dell’apparire
troppo a discapito del coro; tuttavia la leadership va accettata anche nei momenti difficili della gestione, quando le
cose funzionano così così musicalmente e umanamente. Ho appreso, a livello personale, questa realtà durante la mia
esperienza negli USA, laddove la funzione del Music Minister è ben definita anche nell’ambito delle responsabilità; di
fronte ad un tentennamento, i collaboratori del mio staff tranquillamente mi sollecitavano; “Sei tu il Direttore, tu devi
decidere!”. E così doveva essere, dovrebbe essere anche da noi, sempre tenendo conto che anche nelle scelte impopolari e difficili non si dimentichi quella dose di generosa umanità che rende meno complicate le situazioni. Per rispondere, quindi al mio amico di tanti anni fa, il direttore non deve essere un dittatore, bensì un autorevole, preparato
professionista capace di portare gioia e serenità nei propri coristi, attraverso competenza, cordialità, rispetto ed umiltà.
Cantori. Già, e i cantori? Sono comunque sempre da elogiare. Anche quando il direttore termina una prova
con l’insoddisfazione di non essere arrivato al punto previsto e si porta a casa tanti di quei grattacapi da mal di testa
perenne! Persone di ogni età, estrazione sociale e culturale, con professioni e conti in banca differenti, abbandonando
le loro case e le loro famiglie per le due ore di lezione, sono tutte uguali davanti ad uno spartito e chiedono tutti la
stessa cosa al loro direttore: farli cantare, possibilmente bene. Noi direttori dobbiamo evitare un grosso pericolo, tanto
grande proprio perché subdolo: non tradiamoli mai, i nostri cantori. Se vogliamo ottenere da loro il 100 per 100 dobbiamo dar loro il 150; altrimenti, la maggior parte di essi, se ne accorgerà e la nostra personale autorevolezza e credibilità recederanno inevitabilmente.
Il desiderio di fare musica e di cantare sono i principali motivi che spingono l’individuo a far parte di un coro,
non c’è dubbio: ma c’è dell’altro. Nella società di oggi l’individualismo è una piaga diffusa, che lo sfrenato culto alla
televisione, al computer o allo smartphone non aiuta certo a debellare. In ogni ambito della vita quotidiana l’uomo
fatica a relazionarsi con gli altri, non tanto perché si sente superiore, credo io, ma semplicemente perché sono talmente pochi i motivi che alimentano la comunicazione che si preferisce di gran lunga la “non relazione”. Le uniche realtà
che non si allineano a tutto ciò sono quelle associative, nelle diverse forme che appunto offre l’associazionismo; tra
queste, certamente, anche il coro quindi svolge un importantissimo ruolo di tipo sociale ed umano, offrendo spazi di
interazione tra le persone sotto l’ala protettrice della cultura e dell’arte musicale. Ne è testimone il fatto che il numero
dei cori di nuova fondazione è notevolmente cresciuto, peraltro in modo abbastanza uniforme non solo in Italia ma
anche all’estero, sebbene la cultura e la formazione musicale, lo sappiamo bene, specie nei paesi anglosassoni sono
decisamente più sviluppate che da noi.
Altro punto davvero importante, inevitabilmente da toccare, è quello della formazione. Se ne è parlato a
proposito dei direttori, ma anche i cantori sono caldamente invitati a curare questo fondamentale aspetto; in definitiva, dal grado di competenza del singolo corista dipende direttamente il risultato finale del coro. Perciò è utile che ogni
cantore solleciti continuamente il proprio maestro invitandolo a non trascurare l’istruzione vocale, una minima alfabetizzazione musicale e una appropriata guida e formazione dell’orecchio; tuttavia, come già in molti fanno, è una pratica
lodevole e proficua quella di frequentare corsi particolari, atelier, giornate o periodi di studio, attività peraltro sulle
quali USCI Pavia si sta impegnando notevolmente e che rappresentano una notevole parte del nostro sforzo organizzativo. Anche per questa ragione, a nome del Consiglio e della Commissione Artistica, invito tutti voi a tenere presente
queste iniziative ed a prendervi parte, nel limite del possibile di ciascuno.
Tutte queste considerazioni possono sembrare scontate, probabilmente anche superflue, ma in qualcuno
dei lettori avranno certamente suscitato domande e pensieri di vario genere. La tendenza a dare per scontate certe
dimensioni del nostro “fare coro insieme” e, più in generale, del nostro vivere comune, spesso ci porta a guardare
anche le cose più importanti con una certa sufficienza. Eppure, i nostri cori, fatte le debite eccezioni, caso per caso,
nascono e camminano, più o meno, negli scenari che sono appena stati descritti. Da qui, perciò, nasce l’in-cantar
cantando, ossia tutta quella serie di emozioni, sensazioni e vibrazioni che noi con i nostri cantori possiamo riuscire a
suscitare in coloro che ci ascoltano. Da qui parte allora anche la nostra indagine, che ci terrà un po’ di compagnia nei
prossimi numeri di Newsletter. Sperando di incontrare il favore di almeno qualche spaurito lettore. Alla prossima, dunque.
ENRICO VERCESI
“Il coro svolge un
importantissimo
ruolo di tipo
sociale ed umano,
offrendo spazi di
interazione tra le
persone sotto l’ala
protettrice della
cultura e dell’arte
musicale”.
ANNO I, NUMERO 2
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TERZA PAGINA: IL PRESIDENTE DI U.S.C.I. PAVIA
Cari amici, il giorno 16 febbraio alle ore
16:00 si è svolta l’assemblea generale dei soci
Usci Pavia, durante la quale sono state elette le
nuove cariche per il triennio 2013-2016. La riconferma, da parte dei soci, del presidente del consiglio direttivo: Massarotti Gilberto e del Presidente
della commissione artistica Vercesi Enrico hanno
permesso di creare un legame di continuità nel
lavoro svolto durante il precedente triennio, ponendo così la fiducia sui nuovi progetti proposti
dai due organi per il mandato 2013-2016.
Le nuove cariche del Consiglio Direttivo: Presidente Massarotti Gilberto, VicePresidente Sala Ernesto, segretario Scupelli Lia,
tesoriere Giampaolo Simone, consigliere Fontana
Katia, consigliere Ticinese Claudia, consigliere membro comm. art. Vercesi Enrico; mentre della Commissione Artistica: Presidente Vercesi Enrico, commissario La Rosa Paolo (con incarico rapporti commissione artistica regionale),
commissario Quaroni Simone.
Il Presidente di U.S.C.I. PV,
Dott. Gilberto Massarotti
Al via le
molteplici
iniziative
organizzate
nel triennio
2013-2016
Il nuovo consiglio e commissione artistica Usci Pavia
CantInsieme: rassegne di cori; abbiamo iniziato il giorno 18 maggio alle
ore 21:00 con “Musica Divina” a Portalbera (PV), dove si sono esibite
corali di genere sacro: nelle pagine seguenti potrete trovare un articolo
appositamente scritto a commento della serata. Proseguiremo il giorno
22 giugno alle ore 21:00 a Vigevano presso l’Auditorium San Dionigi
con i cori che eseguono musica alpina e popolare (nell’occasione sarà
presente il M° Bepi de Marzi, il quale presenterà i brani da lui scritti
durante la sua carriera).
Nel periodo autunnale si vedrà l’avvicendamento di altre tre rassegne:
a ottobre le corali liriche; il giorno 7 dicembre le corali gospel e il 14
vedrà la partecipazione delle corali di musica sacra. Un invito ulteriore
ai nostri cori nel non far mancare la propria adesione a questi incontri
di notevole interesse musicale ma anche di grande arricchimento e
condivisione personale tra i cantori.
da U.S.C.I. Pavia
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
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TERZA PAGINA: IL PRESIDENTE DI U.S.C.I. PAVIA
Percorsi corali:
Sabato 4 maggio 2013 ore 10:00 presso l’Accademia Musicale di Stradella, situata in Via Bovio, (a proposito un ringraziamento alla Direttrice
dell’Accademia, Romina Vavassori per il sostegno e la continua collaborazione) si è svolta una giornata di approfondimento e studio sulla
vocalità e l’interpretazione per voci miste, condotta dal docente: M°
Enrico Vercesi, Presidente della Commissione Artistica di USCI Pavia. La
giornata, divisa in due parti, vocalità al mattino ed interpretazione al
pomeriggio, ha dimostrato una più che buona partecipazione, grazie
alla adesione di circa trenta cantori.
Sabato 22 giugno 2013 ore 10:00 presso l’ Auditorium San Dionigi a Vigevano sarà presente Bepi De Marzi, il quale
affronterà una giornata di musica, di ascolto e di canto con tutti coloro che vorranno aderire all’iniziativa. Il titolo della
manifestazione è: “Una giornata con Bepi de Marzi…so dove nasce la voglia di cantare! Tra la donazione amatoriale e
la vocalità”. La giornata inizierà alle ore 10:00 per concludersi alle ore 17:00, con al termine alle ore 21:00 una rassegna di cori di musica alpina presentati dallo stesso Bepi de Marzi.
Il Vice Presidente di
U.S.C.I. PV, Ernesto Sala
Sabato 12 ottobre 2013 ore 10:00 presso il Broletto di Pavia, situato in piazza della Vittoria, sarà presente il M° Alessandro Pozzetto, direttore dell’Italian Gospel Choir. Scopo dell’iniziativa è quello di dare la possibilità ai cori gospel, ai
singoli direttori di coro, ai singoli cantori e agli appassionati di musica corale gospel, di uno studio più approfondito
delle proprie conoscenze vocali e musicali. Il titolo della manifestazione sarà:” La vocalità gospel”.
TelePavia:
Con grande gioia un network locale ha proposto ad
Usci Pavia una collaborazione con le corali locali,
proponendo così un programma dedicato interamente ai cori della provincia di Pavia, dal titolo “Oh
happy day”. Il totale delle puntate sarà di 16. La
prima puntata è andata in onda domenica 7 aprile
alle ore 20:30 e successivamente tutte le domeniche di aprile, maggio e giugno. Saranno presenti
moltissimi cori della provincia di Pavia a rappresentare le diverse realtà della coralità nazionale.
Ogni settimana una diversa formazione sarà protagonista di una serata-concerto in onda dagli studi di
Tele PAVIA. Gospel, lirica, musica popolare e tutti i
generi che compongono il variegato mondo delle
corali. Tutte le esibizioni saranno rigorosamente dal
vivo, e fra un brano e l’altro ci sarà spazio per presentare la vita associativa dei cori.
Al via le
molteplici
iniziative
organizzate
nel triennio
2013-2016 da
U.S.C.I. Pavia
Rivista Usci Pavia n°1: a febbraio 2013 è nata la prima rivista edita da Usci Pavia. Una rivista on-line dal titolo
“Newsletter”. Distribuita presso tutti i cori aderenti all’associazione e a tutte le istituzioni, quale strumento di divulgazione delle realtà corali pavesi, delle iniziative promosse a livello locale, provinciale, regionale e quale strumento di
indagine sul mondo della coralità. Saranno presenti interviste, articoli, approfondimenti tecnici e giuridici sulle associazioni, eventi e iniziative. La rivista è scaricabile in formato PDF all’indirizzo: www.uscipavia.it
Nasce il sito Usci Pavia: da aprile 2013 è online il primo sito di Usci Pavia. Alcuni link faranno riferimento al mondo
corale della provincia pavese, agli eventi promossi da Usci Pavia, ai documenti, alle recensioni e tanto altro sul mondo
della coralità locale e nazionale.
Corso per Direttori di Coro 2013: ne riferisce in una pagina a parte il Presidente della Commissione Artistica Provinciale, Enrico Vercesi.
Gilberto Massarotti
ANNO I, NUMERO 2
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COMMENTO: CANTINSIEME. MUSICA DIVINA
Che cos’è la musica se non la metafora di un viaggio? Sovente è proprio la porta di ingresso per il viaggio
stesso... Apro in questa forma, forse poetica e non in stile di mera cronaca, questa mia che, più che un articolo, nasce
come riflessione in risposta alla sollecitazione di Enrico Vercesi a contribuire alla “nostra” rivista “Newsletter”.
Credo che la musica sia appunto questo: il viaggio che lo spirito dell’uomo compie attraversando il tempo e
lo spazio, abitando la storia, cercando di cogliere frammenti di vita e tentando di restituire loro la forma che ne è propria in natura, ciò che è stato definito da Jankélévitch come «perfetta armonia» nel suo testo “La musica e l’ineffabile”.
Quei segni neri deposti sul rigo musicale e gli spazi vuoti della pagina sulla quale si compone sono un dono e, una
volta scoperti e raccolti, divengono capaci di riempire l’esistenza umana, di risuonare nel profondo di chi ascolta e
sceglie di accettare l’invito a entrare in un universo Altro.
Personalmente è stato questo l’atteggiamento con il quale mi sono accostato alla serata “Musica divina”
organizzata da USCI Pavia, all’interno della rassegna corale “CantInsieme”, la sera di sabato 18 maggio presso la
chiesa parrocchiale di Portalbera. Nonostante forse qualche preoccupazione legata alle condizioni meteo, al timore
per un fiume Po prossimo alla sua piena, a una serata proposta in un “paesino sperduto” (non me ne si voglia...) in
una sera di maggio (con la tradizione del Rosario Mariano), mi sembra di poter affermare che la serata sia stata un
successo. Una di quelle che ti si scolpiscono nella mente e, a distanza di anni, ricordi con piacere e con un pizzico di
nostalgia, forse proprio perché quando la proposta che viene sognata è di qualità, se viene curata nei dettagli, ben
organizzata e coordinata, a trionfare in scena è proprio la musica.
Mi sembra di
poter affermare
che la serata sia
stata un
successo
perché a
trionfare in
scena è proprio
la musica
La Corale “San Giacomo” di Casei Gerola diretta da Giuseppe Pipero
Questi i quattro cori che hanno partecipato all’evento: il “Coro Polifonico Padano” di Pieve Porto Morone –
diretto da Rosalia Dell’Acqua –, il “Gruppo Corale San Germano” di Rivanazzano Terme – diretto da Isabella Salvo –, la
“Corale San Giacomo” di Casei Gerola – diretta da Giuseppe Pipero – e il “Coro Musicaninsieme” di Voghera – diretto
da Sara Bonini e accompagnato al pianoforte da Paolo Rolandi –. Le ensemble hanno proposto il personale viaggio
attraverso le pieghe di quasi quattrocento anni di storia della musica. A partire dai brani prettamente “a cappella”
proposti dal Coro Polifonico Padano – con leggiadria diretto da Dell’Acqua – che riecheggiavano della spiritualità dell’
‘800 di Brucknet, di Kodàly, di Bàrdos arrivando al vivente Busto, gli astanti sono stati condotti in un percorso che ha
poi toccato, con la Corale San Germano, brani di Neander, di Orlandini, di Pozzoli, di Perosi arrivando a tempi più moderni con “Un canto nascerà” del G.E.N. Rosso. La rassegna ha poi incontrato la fantasia creativa di Giuseppe Pipero
che ha fatto concertare la modernità delle tastiere con la storicità di un violoncello e di un flauto traverso, terreno
fecondo per la vocalità della Corale San Giacomo – da lui diretta – che ha proposto prettamente brani di propria com-
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
Pagina 6
COMMENTO: CANTINSIEME. MUSICA DIVINA
posizione. Degno di particolare nota il momento dedicato alla consegna della cravatta con le firme di tutti i coristi e di
un quadretto con alcune foto ricordo della Corale al membro più anziano del coro, classe 1924, anche se non più
attivo come cantore ma, per l’occasione, ospite particolare. È personalmente stato molto toccante scorgere lacrime di
commozione sul volto di questo ottantanovenne: una testimonianza di vita vissuta in musica, di immagini e di ricordi
che riaffioravano tra le note, circondati dalla nostalgia e dall’affetto degli amici di sempre. È stata poi la volta del Coro
Musicainsieme che ha infine concluso la rassegna proponendo brani di Perosi, di Donizetti, di Somma, di Attwood, di
Schnabel e di Bellini.
Al termine dei contributi delle singole corali, il presidente di U.S.C.I. Pavia, unitamente al presidente della
Commissione Artistica della stessa U.S.C.I. e al sindaco di Portalbera, ha consegnato l’attestato di partecipazione
appositamente preparato a ciascun coro, con le foto di rito. Da segnalare anche la consegna dell’attestato al membro
più giovane del Coro Musicansieme, la bimba di otto anni, figlia del direttore Bonini, che ha cantano (in latino) i brani
proposti: a lei i complimenti più sinceri e l’augurio affinché possa continuare a crescere nella passione per la musica.
Sono stati consegnati anche attestati “honoris causa” alla “Accademia della Musica” di Stradella, alla
“Amministrazione Comunale” e alla “ProLoco” di Portalbera, quest’ultima che ha curato il rituale “brindisi” finale, appuntamento immancabile in queste circostanze.
“CantInsieme, Musica Divina”, una rassegna corale di musica sacra nella quale la musica è stata protagonista e potente mezzo di comunicazione. Allora ecco che il sogno di una proposta diviene realtà e che l’evento è stato
una piccola oasi di speranza, un momento di sosta nel quale, grazie alla musica, è stato possibile godere e condividere le esperienze che alcune tra le differenti realtà corali presenti sul territorio pavese portano avanti nel quotidiano.
Grazie, quindi, a Gilberto Massarotti – Presidente di U.S.C.I., delegazione di Pavia – che, con il proprio staff,
si prodiga nell’offrire spazi di incontro e dialogo attorno alla tavola della musica. Grazie a Enrico Vercesi – Presidente
“CantInsieme,
della Commissione Artistica della stessa U.S.C.I – che con serietà e professionalità riesce ad offrire ogni volta stimoli
Musica Divina”,
nuovi per la crescita personale dei cantori. Grazie, infine, ai cantori e alle corali tutte che, fidandosi del proprio stru-
una rassegna
mento vocale e dei propri direttori, mettendosi ogni volta in gioco, consentono di vivere esperienze come questa e
corale di musica
contribuiscono a dare lustro alla coralità pavese e alla storia della nostra musica.
sacra nella quale
la musica è stata
Andrea Carlo Protti
protagonista e
potente mezzo di
comunicazione
Il Coro Polifonico Padano diretto da
Rosalia Dell’Acqua
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CORO D’OSTERIA: UN PATRIMONIO STORICO
IN VIA DI ESTINZIONE
Sono nato e ho trascorso la mia adolescenza a Livelli, un paesino della Valle Staffora, presso
Varzi. Nel Borgo, 130 anime circa negli anni '60, c'era un'osteria ed era, oltre la Parrocchia, l'unico centro
di aggregazione e di socializzazione. Ricordo molto bene che nelle festività di mezza stagione (escluso il
periodo della mietitura e dei lavori più gravosi richiesti dalla coltivazione dei campi) e soprattutto durante
il periodo invernale, quando le nevicate erano veramente copiose, alcuni uomini del Paese, dopo una
partita a carte, si raccoglievano attorno ad un tavolo, dove nel mezzo veniva posto l'immancabile “mezzo
litro” di vino locale, ed iniziavano a cantare.
Erano pochi, 5 regolarmente, 8 nei momenti di maggiore presenza. Il mezzo litro veniva rinnovato più volte ed i canti continuavano ininterrotti fino a notte tarda. Di norma si trattava di “canti narrativi”;
canti cioè che, sull'onda della stessa aria, raccontavano storie popolari in generale connesse ad amori
difficili, figli indesiderati, la partenza di giovani per la guerra, e così via: storie del popolo.
“Facciamo una Bogliasca”, diceva qualcuno (Bogli, allora medio centro degli Appennini piacentini nel comune di Ottone, ha dato origine ai canti narrativi), e si incominciava: “Io son la Linda, la giovane
tradita; e Ugo mi tradì, sposando un'altra donna, e io poverina restai sola....”. Canti interminabili, ma che
raccoglievano tutto il paese attorno a chi cantava e, tra chi proponeva un motivo, chi un altro, si condividevano momenti di socializzazione che contribuivano poi a caratterizzare in positivo tutti i rapporti tra la
gente del paese.
Oltre alle circostanze “spontanee” c'erano anche momenti particolari e ben definiti che venivano caratterizzati da questi canti: la festa del Paese, il periodo della trebbiatura, il periodo della vendemmia e, soprattutto, il carnevale.
Praticamente, ogni piccolo centro della Valle Staffora aveva il suo “Coro d'Osteria”. E, quando
ricorreva la festa patronale di un Paese, i “cantori” degli altri paesi si radunavano (spesso invitati) nel
paese in festa ed allora i gruppi aumentavano di numero e, oltre a cantare, non si mancava di ricordare
alcuni personaggi che non erano più: “Ricordi che basso aveva.... e che voce da tenore aveva....”.
Poi, nel periodo della ricostruzione (anni '60 e '70), i giovani come me si allontanarono dai vari
paesi d'origine per cercare lavoro nelle grandi città, il numero degli anziani si assottigliava sempre di più
e le piccole espressioni corali non venivano più alimentate; le osterie venivano chiuse perché con meno
frequentatori non avevano di che vivere e, di conseguenza, le occasioni per trovarsi a “fare un canto” si
sono enormemente ridotte.
Quando, negli anni '80, alcuni amici mi sollecitarono di prendere l'iniziativa per formare un Coro,
si immaginavano di poter continuare la tradizione del canto d'osteria. In pochi giorni oltre 40 uomini risposero al “passaparola” e formammo il “Comolpa”, che non poteva certo configurarsi come “Coro d'Osteria” ed è così che, per mantenere i contatti con la tradizione, all'interno del Comolpa esiste da sempre
un piccolo gruppo di uomini che interpretano esclusivamente i canti tradizionali di un tempo, con l'impostazione di allora: un tenore primo, un tenore secondo e qualche basso. E, quando cantiamo con questa
formazione, la gente si raccoglie numerosa intorno a noi perché riconosce la tradizione che viene tramandata solo attraverso le emozioni.
Per qualche tempo anche in altre località della Valle Staffora si formarono gruppi come il nostro
ma, recentemente, a causa della scomparsa o dei problemi di salute di qualcuno ormai anziano, queste
espressioni si sono veramente ridotte. Anche noi fatichiamo a mantenere l'equilibrio nella struttura delle
Risorse necessarie. Purtroppo pochi sono i giovani che si avvicinano a questo tipo di espressione ed il
rischio di estinzione è veramente reale.
Personalmente sono convinto che portare queste espressioni corali nelle scuole locali e rendere
testimonianza ai giovani della gratificazione che se ne può trarre, possa essere uno dei modi per incentivare le “vocazioni”. Forse, come USCI, potremmo farci carico di una proposta presso le Istituzioni scolastiche. Chissà che....
ERALDO PEDEMONTE
La gente si
raccoglie
numerosa intorno
a noi perché
riconosce la
tradizione che
viene tramandata
solo attraverso le
emozioni.
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
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ARTICOLO: CONCERTI NELLE CHIESE
Pubblichiamo un interessante contributo di Valentino Donella che contribuisce ulteriormente ad approfondire l’argomento dei “Concerti nelle Chiese”, iniziato con lo scorso numero di “Newsletter”. Valentino Donella (1937),
veronese, sacerdote, è l’attuale Direttore della Cappella Musicale di S. Maria Maggiore in Bergamo. Oltre ad essere
uno dei più prolifici compositori italiani (al suo attivo musica sacra vocale e strumentale per svariati organici e per
tutti i tempi dall’anno liturgico, numerose Oratori e Cantate), è anche uno studioso ed un musicologo di grido, caratteristiche che gli hanno permesso la pubblicazione di numerosi volumi, l’ultimo dei quali è “La Musica nella Liturgia,
dal Concilio Vaticano II ad oggi”. Dal 1997 è anche il Direttore Responsabile del Bollettino Ceciliano, organo ufficiale
dell’Associazione Italiana Santa Cecilia di Roma.
P. Pellegrino Santucci nel numero 33 (2000) di "Arte organaria e organistica" constata e lamenta il
fallimento dell'integrale per organo di J.S. Bach presentata per la quinta volta nella basilica di S. Maria dei
Servi di Bologna fra l'ottobre del 1999 e l'aprile del 2000: "un organo notissimo... gli organisti tutti a prova di
fuoco, la propaganda, quella usuale, la disponibilità della chiesa totale", e tuttavia, "quanto a partecipazione di
pubblico, è stato un vero disastro ". La notizia ci ha indotti a racimolare qualche idea e a mettere sulla carta
una serie di pensieri e di opinioni sull'argomento, frutto di una qualche esperienza personale; vai la pena di
ragionarci sopra un poco, anche se non si tratta direttamente di musica liturgica; quello dei concerti nelle chiese è ormai un fenomeno allargato e consolidato e indubbiamente caratteristico degli ultimi decenni, nel bene e
nel male.
"L'interesse per la musica è una delle manifestazioni della cultura contemporanea. La facilità di poter ascoltare in casa le opere classiche, attraverso la radio, i dischi, le cassette, la televisione, non solo ha fatto
diminuire il piacere dell'ascolto di concerti dal vivo, ma anzi lo ha aumentato. Questo è un fenomeno positivo,
perché la musica e il canto contribuiscono a elevare lo spirito ". E l'incipit della lettera della S. Congregazione
per il Culto Divino (1987) sui "Concerti nelle chiese": un'apertura ottimistica, come oggi forse non lo sarebbe
alla stessa maniera, dal momento che da qualche tempo la musica seria (religiosa o sacra) non si ascolta
quasi più - in concerto - neppure in Vaticano. Certo della musica se ne fa e se ne ascolta molta, ma del genere
sempre più "alleggerito" o "contaminato", per non disturbare i cervelli assopiti dei nostri contemporanei, adusi
al loro rock quotidiano. Ad ogni modo il documento prosegue nella sua analisi introduttiva: "L'aumento quantitativo dei concerti ha portato recentemente, in diversi paesi, ali 'utilizzazione frequente delle chiese per la loro
esecuzione. Diversi sono i motivi addotti; necessità di ambienti, non trovando con facilità luoghi adeguati; ragioni acustiche, per le quali le chiese generalmente danno buona garanzia; ragioni estetiche, desiderando che
il concerto venga eseguito in un ambiente di bellezza; ragioni di convenienza, per ridare alle composizioni eseguite il loro ambiente nativo; ragioni anche semplicemente pratiche, soprattutto per i concerti d'organo: le
chiese, infatti, nella loro generalità ne sono dotate ".
Più sotto lo stesso documento ricorda che molte scholae cantorum, non potendo più eseguire nella
liturgia un certo repertorio del passato, sono orientale a presentarlo nei "concerti spirituali", e altrettanto fanno
alcuni gruppi di gregoriano: anch'essi si rifugiano nel concerto, visto che "il canto proprio della liturgia romana",
l'unico riconosciuto dalla Chiesa, non è più considerato idoneo per pregare. Qualche riflessione, dicevamo, alla
rinfusa e a voce alta.
Negli anni settanta assistemmo al boom dei concerti d'organo; ricordo che nella mia città ci si faceva
concorrenza - per lo più involontaria - tra chiesa e chiesa, tra organi antichi e organi moderni, a colpi di T.
Koopman e di G.F. Parodi, di G. Leonhardt e di J. Langlais... Faceva impressione vedere le chiese stracolme di
gente e di giovani arrampicati su per gli altari, tutti assorti ad ascoltare Bach. Da un giorno all'altro erano diventati esperti e intenditori della musica più alta e complessa del mondo. Si trattava di una moda, naturalmente! Una moda che si è ridimensionata. Oggi vanno ad ascoltare Bach i pochi di sempre che qualche cosa ci
capiscono. Ma siamo autorizzati da ciò a concludere che il grosso della gente è sostanzialmente insensibile
alla musica pensosa? Sembrerebbe di no. Incalzano altre esperienze in base alle quali la stessa gente comune
- anche la più lontana dai nostri repertori musicali - in realtà ama ascoltare qualcosa di buono, anche di impegnativo, se si trova nelle condizioni giuste, se viene aiutata a capire. Dal 1980 vado organizzando e dirigendo
concerti in chiesa, a Verona con le Abendmusiken e a Bergamo con i "Concerti della Cappella"; musiche non
sempre facili, spesso in prima esecuzione, per coro, solisti, strumenti, qualche volta con l'orchestra. Sarà la
diversità delle scelte programmatiche, saranno le formule di presentazione, la suggestione dei luoghi, gli orari
indovinati (per lo più la domenica pomeriggio), l'entrata libera, fatto sta che il pubblico c'è sempre e numeroso,
attento e gratificato. Insisto e sottolineo: gente comunissima (le persone importanti presenziano esclusivamente agli "eventi" e solo se invitate; i musicisti poi snobbano i nostri concerti, specialmente se prevedono composizioni del direttore stesso), cittadini e turisti che lasciano volentieri la passeggiata lungo le vie del centro per
entrare a godersi un'ora diversa di "divertimento" spirituale. È proprio questa constatazione che mi ha consolidato in certi convincimenti, primo fra tutti che si ingannano clamorosamente i fedeli quando nella liturgia si da
loro in pasto delle canzonacce col pretesto di andare incontro al loro livello culturale. Una truffa! Ho sempre
constatato che la gente (giovani compresi) capisce e ama ben oltre quello che la Chiesa oggi è in grado o ha il
coraggio di offrire loro sul piano della liturgia musicata e cantata. Il vuoto è dalla parte del presbiterio (o della
canonica, o della curia), non nella navata. Tutto sta nell'aiutare a capire, nello svelare i tesori nascosti, nel far
entrare evangelicamente dentro la sala del convito gli storpi e i derelitti. Se ci fosse una pastorale attenta anche a questi aspetti (che poi sono immediatamente connessi con l'evangelizzazione) la fila degli affamati del
Bello-Vero-Santo sarebbe ancora più lunga.
A - Già, una pastorale attenta! Che non c'è. In genere è lasciato tutto in mano di estranei, tra i quali si
Il Maestro Don Valentino Donella
“Faceva
impressione
vedere le chiese
stracolme di
gente e di
giovani
arrampicati su
per gli altari,
tutti assorti ad
ascoltare Bach”.
ANNO I, NUMERO 2
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incontrano certamente degli operatori bene intenzionati, ma anche arruffoni e faccendieri, che con le loro organizzazioni approssimative invadano e strumentalizzano i luoghi sacri, offendono la musica e gli ascoltatori. Si
assiste così (più nel passato, per la verità) alla moltiplicazione non giustificata di manifestazioni, che rispondono più ad interessi personali che a criteri di cultura e meno ancora di spiritualità cristiana. Ho conosciuto un
organista che per ogni collega di passaggio organizzava un concerto, mettendosi d'accordo con il parroco di una
chiesa dotata d'organo e raccogliendo un pò di allievi in qualità di ascoltatori. Ad quid?!
B - Peggio ancora nel caso di concerti "secolarizzati". La secolarizzazione non risparmia più nulla ormai.
- Sempre più si leggono sui programmi titoli di composizioni corali o sinfoniche totalmente estranee
alla sacertà del luogo, senza un minimo aggancio con le specifiche tematiche bibliche o liturgiche. Le stesse
musiche per organo di nuova creazione, a differenza di quelle del passato che sbocciavano più o meno direttamente dall'humus della liturgia, si sono "laicizzate" nell'ispirazione e nei contenuti tematici; spesso costruite
con tecniche ostiche in un arido e disorientante sperimentalismo fine a se stesso. In ogni caso eludendo lo
scopo primario del concerto in chiesa.
- Si aggiunga, per l'organo, il fenomeno notevolmente incrementato delle trascrizioni. Cosa non si è
trascritto ormai! Si portano allegramente sulle tastiere dello strumento liturgico (tolto agli usi profani con apposita benedizione) musiche improprie, musiche pensate per altri usi e situazioni, come le "Quattro stagioni" di
Vivaldi, la "Sagra della primavera" di Stravinskij, le "Danze polovesiane" di Borodin, la "Marcia funebre per una
marionetta" di Gounod, oltre a tutto quel repertorio operistico (Rossini, Donizetti, Mercadante, Verdi,...) fatto di
ouvertures, arie e cavatine che già ha deliziato le orecchie dei nostri avi. In un concerto nel giorno dell'Assunzione di Maria (15 agosto), dopo una buona esecuzione dell'"Ascensione" di Messiaen (di cui il sottoscritto si era
sforzato di illustrare l'altissimo valore mistico) sentii abbordare con sfrontezza una serie di danze sarde piazzaiole e chiassose: un sacrilegio! Non perché le danze erano sarde, ma perché in chiesa su quello strumento, in
quel giorno, dopo il paradiso prospettato dalla visione di Messiaen non ci stavano. Solo una grossolanità di
spirito poteva - e può - impedire di capirlo.
- Inoltre: cantanti in decolté, vips in bella vista nei primi posti riservati, atmosfera da foyer, gli immancabili e petulanti squilli dei telefonini, chiacchiere da finti intenditori, programmi infittiti di ragguagli sulla vita e
miracoli degli esecutori... La mondanità tocca il culmine. Si dava una sera la cantata "Cristoforo Colombo" di G.
Donizetti; il sottoscritto, probabilmente il più informato tra tutti i presenti, sapeva ben poco o nulla del lavoro
donizettiano; invano ho cercato mezza parola di presentazione nel denso depliant di sala: non l'ho trovata. In
compenso sono stato debitamente informato che il direttore d'orchestra era stato campione di surf. Quella di
non spiegare i programmi è probabilmente la più criminale delle abitudini; in chiesa, poi, diventa peccato di
disprezzo nei confronti dell'ascoltatore. A questo punto vale la pena di approfondire un concetto che deve stare
alla base di ogni eventuale attività concertistica nei luoghi consacrati: l'idea che il concerto in chiesa debba
rientrare in qualche maniera in un consapevole e mirato progetto pastorale. Ciò vale per chiese particolarmente
importanti, ambite come privilegiati contenitori di musica; vale per quelle chiese che conservano uno strumento
storico, ricercato dai cultori dei repertori antichi, o per quelle che rappresentano l'unico ambiente disponibile in
un determinato territorio.
Progetto pastorale (specifico o inserito in un quadro parrocchiale o diocesano più generale) che non
consisterà solo nell'intervenire in extremis, esigendo la rettifica di programmi già tracciati e pretendendo sostituzioni di pezzi inaccettabili all'ultimo momento, con inevitabili scontri e inimicamenti con i musicisti e gli organizzatori "esterni", ma nel porre gesti positivi.
1)
Ci dovrà essere anzitutto la convinzione che una attività musicale ben condotta rappresenta
un fatto positivo, un momento di crescita culturale e spirituale, addirittura una mossa preevangelizzante; vorremmo sbagliarci, ma non ci sembra che tale convinzione esista nel mondo ecclesiale, salvo eccezioni. Di conseguenza non c'è sensibilità, non c'è programmazione, si
rischia pure di non trovare collaborazione.
2)
Si tratta di prendere l'iniziativa, di gestire in proprio l'organo di cui si è responsabili o la basilica della quale si è titolari, specialmente se si trova in un posto strategico della città: sia pure
appoggiandosi all'opera artistica ed organizzativa di musicisti o di centri culturali specializzati
e alla sponsorizzazione degli enti a ciò interessati.
3)
O, almeno, orientare gli organizzatori e i dirigenti delle varie Società musicali-organistiche che
bussano alla porta, stimolandoli a scelte musicali e a modalità di conduzione che siano conformi agli scopi e alle norme stabilite dalla Chiesa.
4)
Fare in modo che i concerti siano collegati con le feste principali dell'anno liturgico. In questo
senso si esprime, tra gli altri, il "Direttorio liturgico-pastorale" della diocesi di Cremona (N. E.
C., 1998), il quale chiama a questo impegno per prime le scholae cantorum parrocchiali,
almeno le più capaci: "Organizzazione e programmazione dei brani per i concerti nelle chiese
siano in stretta relazione con le principali solennità dell'anno liturgico (es. Natale, Pasqua,
Pentecoste, Dedicazione della chiesa, solennità patronale...) per stimolare i fedeli ad una più
profonda conoscenza del mistero che si celebra. Pertanto, i concerti nelle chiese siano intesi
piuttosto come elevazioni spirituali, anziché mera esibizione di artisti e brani d'effetto. A tale
scopo sarebbe bene che artefici di queste elevazioni spirituali fossero le scholae cantorum
parrocchiali: così verrebbe ulteriormente qualificato il prezioso servizio che già rendono alla
comunità. Invece le esibizioni di complessi strumentali e/o corali non legati strettamente alla
comunità parrocchiale, devono essere considerate un fatto del tutto eccezionale" (n. 469).
La Cappella Musicale di Santa
Maria Maggiore di Bergamo durante
un concerto, diretta dal Maestro
Don Valentino Donella
“Quella di non
spiegare i
programmi è
probabilmente la
più criminale
delle abitudini; in
chiesa, poi,
diventa peccato
di disprezzo nei
confronti
dell'ascoltatore”.
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
Sembra assodato dunque che di fronte al fenomeno dei concerti nelle chiese le comunità cristiane non
possono stare a guardare o, peggio, a subire; dovrebbero muoversi per prime, secondo dei progetti culturali e
pastorali ben delineati, dovrebbero superare quell’atteggiamento di sospetto e di difesa, che traspare perfino dal
documento del 1987, per porsi - nei limiti del possibile - in un piano più propositivo, mettendo in atto una serie di
strategie e di sinergie, dando vita ad iniziative e strutture di supporto (strumenti, ambienti, circoli di cultura, conferenze di approfondimento, registrazioni o dischi da far circolare, gemellaggi con analoghe realtà, scambi di
programmi e di forze organizzative, ecc.). Bisognerà anzitutto porre la massima attenzione al tipo di musica che
si intende proporre, e nello stesso tempo al contenitore della musica stessa, sia essa organistica che corale o
sinfonico-corale. La Lettera della S. Congregazione ci da le prime indicazioni: “Il regolamento per l’uso delle chiese è determinato dal con. 1210 del Codice di Diritto Canonico: ‘Nel luogo sacro sia ammesso solo quanto serve
per esercitare e promuovere il culto, la religione, ed è vietato tutto ciò che non sia consono alla santità del luogo.
Tuttavia l’Ordinario può permettere, caso per caso, altri usi, che però non siano contrari alla santità del luogo”. Il
principio che l’utilizzazione della chiesa non deve essere contraria alla santità del luogo determina il criterio secondo il quale si deve aprire la porta della chiesa a un concerto di musica sacra o religiosa, e la si deve chiudere
ad ogni altra specie di musica. La più bella musica sinfonica, per esempio, non è di per sé religiosa. Tale qualifica
deve risultare esplicitamente dalla destinazione originale dei pezzi musicali o dei canti e dal loro contenuto. Non
è legittimo programmare in una chiesa l’esecuzione di una musica che non è di ispirazione religiosa e che è stata
composta per essere eseguita in contesti profani precisi, sia essa classica, o contemporanea, di alto livello o
popolare: ciò non rispetterebbe il carattere sacro della chiesa, e la stessa opera musicale eseguita in un contesto
non connaturale ad essa”. (n.8) A questo proposito credo di poter ritenere valida la distinzione già da me proposta circa le possibili manifestazioni da tenersi in chiesa fuori della liturgia: Pii esercizi o paraliturgie, con prevalenza di preghiera. Celebrazioni della Parola in cui l’ascolto biblico si alterna all’ascolto musicale. Concerti spirituali
nei quali si intende esplicitamente evidenziare l’aspetto di spiritualità, Concerto di solo ascolto musicale dove la
spiritualità non è negata ma abbinata ad un alto interesse culturale (cfr. “Musica e Liturgia”, Ed. Carrara, p.296).
È chiaro che ognuna di queste modalità ha il suo “pubblico”; si tratta di aver chiaro in testa quello che si vuole
offrire, e a chi si intende rivolgersi, e di conseguenza quale fisionomia o articolazione dare all’eventuale manifestazione. In genere la stragrande maggioranza delle proposte girano intorno al Concerto spirituale o al Concerto
vero e proprio, con tutte le possibili varianti. Altrettanto valida, per delle scelte ragionate, penso sia l’altra distinzione: musica religiosa (tutta quella che ha un qualche riferimento alle realtà religiose e spirituali), musica sacra
(quella che è espressamente pensata per il servizio rituale cristiano), musica liturgica (quando ha effettivi requisiti di funzionalità rituale). È chiaro che la musica religiosa si può sempre proporre in un concerto nei luoghi sacri; e
ancor più la musica sacra-liturgica di tutti i tempi, compresa quella odierna, se contiene sufficienti motivi di interesse musicale, al di là della semplice validità rituale: condizione che si va sempre più rarefacendo. Il concerto
assumerebbe il valore di riproposta - in diversa sede e in un atteggiamento più estetico - di composizioni precedentemente utilizzate in contesto di preghiera. Una consistenza enorme ha la musica “liturgica” del passato
(messe, salmi, Stabat Mater, Te Deum, mottetti…); un autentico “thesaurus” dal quale attingere a larghe mani
con intelligente sistematicità, visto che oggi non è più utilizzabile agevolmente nella liturgia rinnovata a causa
degli stili improponibili, della lingua latina, delle dimensioni inusitate dei pezzi o delle reali difficoltà insite nelle
composizioni stesse. Abbiamo archivi pieni di spartiti che si potrebbero preparare e suggerire ai vari musicisti che
chiedono di esibirsi nelle nostre chiese. È incomprensibile l’arteriosclerosi di quei gruppi che non sanno andare
oltre la Messa da Requiem di Mozart (quante ne abbiamo sentite anche nel passato anno giubilare). Così come
dovrebbe finire la discutibile abitudine (o pigrizia) di quegli organisti che si spostano da uno strumento all’altro
con nella borsa pochi pezzi da riproporre all’infinito. Bisogna avere il coraggio di un discorso chiaro: “Se vuoi
suonare devi preparare questo e quel pezzo, devi inserirti in questa precisa programmazione”. Sapendo come
vanno le cose, questi discorsi potranno suonare provocatori. È comprensibile! Ma inevitabile!
Affrontiamo ora un paio di questioni.
1 - Oltre a questi repertori sacro-liturgici e religiosi, sono ammissibili nelle programmazioni altre musiche, per lo più strumentali, che pur non essendo in alcun modo etichettabili come religiose si presentano tuttavia
come “non disdicevoli”? In altre parole: musiche da camera, composizioni barocche o sinfoniche come i concerti
di Vivaldi, i concerti per organo di Haendel, le sinfonie di Mozart, i quartetti di Beethoven... non possono starci?
Stando alla lettera del documento sopra riportato, no certamente; e probabilmente neanche in base allo spirito
dello stesso. Si dice in pratica che, anche nel peggiore dei casi, almeno un appiglio, una giustificazione, un pezzo,
un episodio collegato con le composizioni, ecc... ci deve essere all’interno del programma; e soprattutto un contesto che giustifichi o legittimi delle scelte musicali infelici. Le pressioni in direzione di una maggiore apertura sono
forti, e sono causa di incomprensioni e di mugugni da parte di chi non riesce ad entrare nella mente dei legislatori ecclesiastici. Una pastorale attenta e responsabile potrebbe qualche volta acconsentire a richieste non ortodosse, considerando però che in tal modo si imbocca una strada pericolosa e che, in questo ambito, un discrimine chiaro tra quello che può passare e quello che assolutamente va intercettato non esiste, mentre incombe il
pericolo dell’abuso e del lassismo. Lo scopo del concerto in chiesa non può venire in alcun modo eluso, ed è
quello di offrire un momento di spiritualità, un po’ di silenzio interiore, occasioni per riflettere, magari per pregare.
2 - Perché, accanto e oltre i soliti repertori già confezionati ed ereditati, non si cerca qualcosa di nuovo
e di più appropriato al concerto? Mi inoltro su un argomento che richiederebbe molto spazio; cerco di riassumerlo
con qualche esemplificazione ricavata - perdonerete - dalla mia attività. Durante l’anno giubilare abbiamo sentito
di tutto e quasi nulla di specifico: noi abbiamo realizzato un programma dal titolo: “Romei e vagabondi, santi e
briganti”, per soli, coro e gruppo strumentale, un percorso di 90 minuti sulla strada degli anni santi, dal 1300 ai
nostri giorni. In occasione della beatificazione di papa Giovanni abbiamo musicato ed eseguito il suo bellissimo e
commovente testamento spirituale (“Partendo per le vie del cielo”, per baritono coro e strumenti) (1). Il ripresentare in concerto la musica della liturgia rimane sempre un ripiego, se non una storpiatura; la via nuova potrebbe
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La “Schola Regina Pacis” durante
il concerto finale del
corso Direttori di Coro 2012
“Perché,
accanto e oltre i
soliti repertori
già confezionati
ed ereditati, non
si cerca
qualcosa di
nuovo ?”
ANNO I, NUMERO 2
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essere quella di provocare i compositori alla realizzazione di un “Repertorio religioso da concerto”.
Qualche parola, ora, su aspetti particolari toccati dalla Lettera che si prestano a discussione.
1)
La norma per la quale il permesso viene dato per modum actus, cioè caso per caso, denuncia
quell’atteggiamento inconscio di difesa da una sorta di pericolosa aggressione esterna (2).
Inoltre rende macchinosa la programmazione, così come anche l’approvazione delle musiche
da parte della Commissione Diocesana rallenta i tempi e compromette la puntualità. Cose
che è giusto richiedere per concerti occasionali; non quando l’attività concertistica è abituale
in una determinata chiesa o zona. In questi casi pensiamo sia sufficiente presentare (e magari discutere insieme) e ottenere l’approvazione del “progetto” musicale-pastorale nel suo
insieme.
2)
È richiesta l’entrata libera. Ma l’organizzazione costa!, si obietta, quindi è giusto, e necessario
a volte, far pagare qualcosa. Anche qui la risposta deve essere coerente: se i concerti sono
pensati e realizzati come un servizio pastorale, non è possibile richiedere il biglietto d’ingresso, bisognerà cercare sponsor stabili, interessati e coinvolti nel progetto, bisognerà predisporre quelle strutture di supporto di cui si è detto. Eccezionalmente, per programmi straordinari
si potranno fare degli appelli pure straordinari, come si fa in parrocchia quando c’è da affrontare, ad esempio, una impresa edilizia fuori dell’ordinario.
3)
Circa l’abbigliamento e il comportamento siamo tutti d’accordo, e ne abbiamo già parlato.
Occorrerà guardarsi dal trattare troppo diversamente le persone “importanti”.
4)
Non occupare il presbiterio! E dove ci si mette, se è quello l’unico posto? per di più poco agibile data la presenza di molti altari rivolti inamovibili. Più comprensibile, doverosa e assolutamente da osservare invece la raccomandazione riguardante il “massimo rispetto all’altare, al
seggio di celebrante, all’ambone “.
5)
II SS. Sacramento “per quanto è possibile” sia conservato altrove; certo, dipende molto dalla
serietà o meno dell’organizzazione.
6)
“Il concerto sarà presentato”: giustamente ci si preoccupa di creare il contesto adeguato
all’ambiente e alla manifestazione, l’atmosfera più opportuna ad un ascolto proficuo. Le presentazioni sono determinanti per dare il senso giusto alle manifestazioni, aiutano ad entrare
nella ricchezza delle proposte, ad inquadrare le eventuali composizioni non “ortodosse”. Chi
presenta e commenta dovrà possedere il carisma raro della sintesi e della comunicazione,
evitando discorsi tecnici e analisi scolastiche, dando piuttosto degli stimoli ad un ascolto
interessato; soprattutto non potrà limitarsi a leggere quello che già è scritto nel programma.
Insomma, è preferibile un concerto di musiche non del tutto religiose, ma presentate bene - in
modo cioè che consentano la “partecipazione interiore degli uditori” -, che un concerto di
gregoriano buttato là in qualche maniera, non fatto gustare e magari sopportato dagli stessi
preti ospitanti.
In conclusione ci pare che il documento sui concerti nelle chiese debba essere riscritto con altro spirito e in senso più positivo e propositivo. Pillola amara finale: è umiliante e frustrante, dopo aver lavorato nel
senso più giusto, vedersi smentiti e un po’ sbeffeggiati da concerti trasgressivi trasmessi in televisione, per lo
più da chiese romane; là e in altre chiese della penisola o in determinate occasioni le indicazioni dei documenti
non valgono più? È sufficiente l’arrivo di una orchestra importante perché la disciplina salti in aria, col benestare espresso o presunto del vescovo locale? Le possibilità finanziarie giustificano una Regione del nord a mandare in giro per le cattedrali un tenore di grido col suo pianoforte personale a cantare quello che gli pare, passando sopra la testa di tutti?
VALENTINO DONELLA
Note
1 - Del resto non era che la prosecuzione di una attività specifica iniziata oltre vent’anni fa durante la
quale abbiamo affrontato in concerto i temi più diversi e meno scontati: dalle grandi pagine della letteratura
religiosa: Là in Ostia Tiberina (estasi e morte di Monica, dalle Confessioni di S. Agostino), Assassinio nella cattedrale (dal dramma omonimo di Th. S. Eliot), L’ultima al patibolo (dai Dialoghi delle carmelitane di G. Bernanos), ai grandi miti reinterpretati: Faust non è più (parabola dell’uomo insipiente che cerca per vie sbagliate),
Ulisse non tornerà (parabola di Nessuno che ritrova se stesso e la sua Casa); inoltre i problemi quotidiani, colti
dal giornale: Se guardo il tuo cielo (dall’istanza ecologica all’attesa di cieli nuovi e terra nuova), Questo povero
grida (da tangentopoli all’invocazione di una Giustizia superiore), La ricerca del S. Graal (la scoperta della Verità nel bazar delle cianfrusaglie), La storia maledetta (interviste a personaggi famosi sulla figura di Cristo), Il
viaggiatore incantato (il senso della vita nel disegno provvidenziale di Dio), Non aspettare Godot (l’esigenza di
ideali e di riferimenti etici precisi). Il tutto per soli, coro e orchestra.
2 - Ancora di più la norma che prescrive di “assicurare per iscritto la responsabilità civile, le spese, il
riordinamento nell’edificio, i danni eventuali” (n. 10/h).
La copertina dell’ultimo libro di
Don Valentino Donella:
“La Musica nella Liturgia dal
Concilio Vaticano II ad oggi”.
“Un contributo
autorevole in
materia di
“Concerti nelle
Chiese” a noi
offerto da
Valentino
Donella”
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
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IN DIALOGO CON I LETTORI
“Folgorato sulla via di Damasco”
Non ho mai cantato in un coro fino a circa 3 anni fa fatta eccezione per il coretto parrocchiale e non avevo
una particolare passione per il genere gospel che mi era piuttosto sconosciuto. Succede che mio figlio si iscrive alla
scuola guida e come istruttore ha il direttore del Ticinum. Mio figlio è un grande appassionato di musica così durante
le lezioni si ritrovano a parlare di musica e di canto e salta fuori la storia del Ticinum. Simone (il nostro direttore) gli
propone di andare a sentire le prove per entrare a far parte del coro ma lui tergiversa e lo dice a me. La mia prima
reazione è completamente negativa, no dico, sono già impegnato con le prove del coro parrocchiale.
Capita in seguito che andiamo a sentire un concerto del Ticinum organizzato da mio figlio nell’ambito della
settimana universitaria della F.U.C.I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e lì il sottoscritto rimane folgorato
come San Paolo sulla via di Damasco perché quello che sta ascoltando non è solo canto e musica è la “musica dell’anima” che ti arriva dritta al cuore attraverso le voci dei coristi, conoscendo bene l’inglese riesco a capire il senso dei
testi e mi dico “che meraviglia!” Someone’s praying Lord Kumbaya (cioè come down by me), someone’s crying Lord
Kumbaya, someone’s dying Lord Kumbaya oh Lord Kumbaya… qualcuno sta pregando Signore, vieni qui da me, qualcuno sta piangendo Signore, vieni qui da me, qualcuno sta morendo Signore, vieni qui da me, oh mio Signore vieni qui
da me. Immagino le sofferenze degli schiavi neri nelle piantagioni di cotone che pur lavorando duramente sotto il sole
dall’alba a tramonto, frustati e insultati in continuazione, avevano la forza di pregare in questo modo e mi scopro con il
“magone” e le lacrime agli occhi. Decido di andare a sentire le prove e qui c’è un’altra folgorazione perché quelli che
vedo cantare insieme non sono solo coristi affiatati ma evidentemente amici molto legati tra loro. Entro ufficialmente
nel gruppo e incontro persone meravigliose, scopro anche che il nostro presidente Gilberto è il figlio di una mia vicina
di casa dei tempi andati. Sono passati più di 3 anni e dopo di me sono entrati a far parte del coro anche mio figlio e
poi mia moglie tanto è vero che ci hanno ribattezzato la sacra famiglia.
La gioia del
cantare insieme
Il gospel (ho scoperto solo in seguito che deriva da God spell cioè la Parola di Dio) mi ha dato gioie e soddisfazioni, ogni concerto è stato ed è tuttora un’emozione nuova e se dipendesse da me ne faremmo uno alla settimana,
con alcuni coristi è nata una grande amicizia che me li fa considerare fratelli di fatto anche se non di sangue.
La mia esperienza nell’ambito del Ticinum continua e sono grato a Gilberto e Simone che mi hanno fatto
trascende le
differenze,
abbatte le
“scoprire” la musica dell’anima e del cuore e uno splendido modo per pregare perché, come diceva Sant’Agostino, chi
barriere, porta
canta prega due volte.
tutti verso l’alto,
Lorenzo Franzini (Ass. Cult. Ticinum Gospel Choir di Pavia)
indipendentemente dal
Pubblico con gioia il contributo di Lorenzo, e contestualmente lo saluto affettuosamente, augurandogli ogni
bene. Ma, al di là dei pur gusti convenevoli, la lettera di Lorenzo è l’esternazione pratica e sistematica di tanti sentimenti che accumunano molti cantori: la gioia del cantare insieme trascende le differenze, abbatte le barriere, porta
tutti verso l’alto, indipendentemente dal genere eseguito, proprio perché duplice è il senso e la finalità del coro. Se da
un lato, infatti, ognuno di noi vive la splendida esperienza di “costruire” la musica nello studiare un brano, scoprendone le architetture, le dinamiche, le frasi spesso così pregne di significati, specialmente quando la composizione aderisce perfettamente alla parola cantata, dall’altro lato ogni cantore prova la gratificante realtà di condividere con gli
ascoltatori, durante l’esecuzione, tutte le emozioni che egli stesso, per primo ha sperimentato nella fase di studio.
Il coro non è luogo per solitari, per musoni, per persone brutte dentro. Se, in qualche modo, tali individui
capitano in coro per errore, facilmente se ne andranno dopo poco, a meno che non subiscano una personalissima
metamorfosi. Il coro migliora gli individui, non fosse altro per la magica atmosfera che solo la musica piò creare; dona
speranza e refrigerio, è una fontana alla quale dissetarsi, talvolta anche voracemente, è un oasi nella quale non esistono più differenze dal momento in cui tutti si rema verso una direzione comune. E in questo senso sembra davvero
incredibile come molte istituzioni - culturali, politiche ed anche religiose - sembrano guardare alle realtà corali con
indifferenza, disinteresse o, peggio, contrarietà. Senza rendersi conto di avere tra le mani un micro-sistema che è,
talvolta, un piccolo angolo di Paradiso.
E.V.
genere eseguito.
ANNO I, NUMERO 2
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PROGETTI FORMATIVI: CORSO PER DIRETTORI DI CORO
Dopo il positivo avvio lo scorso anno, anche per il 2013 USCI Pavia, rispondendo alle richieste
ed alle esigenze formative espresse dai nostri associati, ripropone la seconda edizione del Corso per
Direttori di Coro, una sorta di stage dove, accanto all’attività di insegnamento vero e proprio, i momenti di
condivisione delle singole esperienze, il confronto tra i vari partecipanti, il dialogo aperto e cordiale a
trecento sessanta gradi con il docente, aiutano e rendono ancora più interessante e assolutamente “da
vivere” una proposta di questo tipo, unica nella provincia di Pavia e non solo.
Durante la prima edizione, gli allievi iscritti sono stati nove; non male, se si considera che simili
corsi, anche a livello nazionale, raggiungono anche numeri inferiori, tuttavia USCI ripropone l’iniziativa
confidando in una adesione maggiore, specialmente da parte dei Direttori della delegazione pavese. Il
corso è inoltre aperto ad Insegnanti delle scuole di primo e secondo grado, agli strumentisti ed agli eventuali cantori che vogliono conoscere un po’ meglio cosa c’è dietro ai compiti ed alle prerogative della
direzione di coro, tenendo conto del sicuro interesse per le tematiche della vocalità e dell’interpretazione,
argomenti comuni a tutti gli ruoli del coro.
Utilizzando la stessa formula del 2012 il corso si svolgerà con i primi tre incontri, al sabato,
suddivisi, al mattino, in lezioni di vocalità, tecnica della direzione ed analisi dei repertori; dopo la pausa
pranzo, al pomeriggio, la concertazione sui brani proposti e la direzione a turno di ciascuno degli allievi.
Successivamente saranno realizzate due lezioni di concertazione, in sue sere distinte, ove gli allievi dirigeranno il coro laboratorio, che anche quest’anno, sarà la “Schola Regina Pacis” di Scorzoletta, Pietra De
Giorgi (PV). Al termine, venerdì 22 novembre festa di Santa Cecilia, il Concerto finale diretto dai partecipanti al corso.
Nel dettaglio le date:

Sabato 5, 19 e 26 ottobre: lezioni teoriche presso “Accademia Musicale di Stradella”, via Bovio,
Stradella, orari mattino 9.30 - 12.30; pomeriggio 14.00 - 17.00;

Giovedì 7 e 14 novembre: concertazione con il coro laboratorio presso “Santuario del Perpetuo
Soccorso” di Scorzoletta, Pietra De Giorgi (PV) orari 20.45 - 22.45;

Venerdì 22 novembre: Concerto finale presso la Chiesa di San Luca a Pavia, ore 21.00
Per le iscrizioni ed informazioni rivolgersi via mail a USCI Pavia o, per chiarimenti, al Presidente
della Commissione Artistica, Enrico Vercesi, Docente del corso. In particolare, nel caso di iscrizione per
coloro che già hanno partecipato alla precedente edizione, si verificherà l’opportunità di rendere il corso
“ciclico” oppure creare un momento di lavoro aderente alle esigenze singole.
PROGETTI FORMATIVI: ATELIER 2013
Dopo il primo atelier svolto a Stradella lo scorso 4 maggio, dedicato ai cori
di voci miste, è in programma a Vigevano la giornata di studio e interpretazione di musica popolare, tenuto dal Maestro Bepi De Marzi. L’appuntamento è previsto per Sabato 22 Giugno a partire dalle ore 10.00; verrà
offerta una concreta opportunità formativa, ma anche di condivisione e di
gioia del cantare insieme, filtrata dalla competenza e proverbiale simpatia
di Bepi De Marzi, amico di USCI Pavia, cui abbiamo riservato un ampio
spazio pubblicando sul primo numero di “Newsletter” una interessante ed
apprezzata intervista firmata da Mario Zuccante. Dunque tutti a Vigevano,
per una giornata che si preannuncia davvero indimenticabile e che sarà
conclusa, in serata, da un concerto offerto in onore di De Marzi.
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Alessandro Pozzetto durante l’atelier “Percorsi corali” Gospel 2012
Un altro importantissimo appuntamento del 2013 è rappresentato dall’Atelier sulla vocalità e la interpretazione della musica Gospel, anche quest’anno, come nella passata edizione, affidato all’estro magistrale di Alessandro
Pozzetto. La giornata, che si svolgerà sabato 12 ottobre a Pavia, comprenderà una sessione mattutina ed una pomeridiana, durante le quali saranno
affrontate le tematiche relative al canto gospel; dopo l’esperienza molto
positiva del 2012 che ha visto la partecipazione di circa quaranta cantori, il
Maestro Pozzetto ci offre ancora la possibilità di incontrarci con la sua
competente esuberanza e di gustare tutte le sfumature della musica Gospel, nella molteplicità degli effetti che riesce a raggiungere e nella profondità di testi davvero pieni di spiritualità. Per informazioni sui prossimi atelier è possibile contattare via mail la segreteria di USCI Pavia.
Corso per
Direttori di
Coro 2013
e
Atelier
2013
“NEWSLETTER”
RIVISTA DI MUSICA CORALE
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APPROFONDIMENTO: AMATORIALIRA’ E DILETTANTISMO
Pubblichiamo questo articolo di Leo Sandro Di Tomaso apparso sulla rivista “Choraliter”, n. 12, Ed. FENIARCO, Settembre-Dicembre 2003.
AMATORI E DILETTANTI: UNA QUESTIONE SEMANTICA
di Leo Sandro Di Tomaso
Partendo dall’esperienza personale
Dal punto di vista professionale, non c’entro molto con il canto corale: infatti ho affiancato la mia attività di
docente di materie letterarie e latino alla ricerca storica, con alcune pubblicazioni, conferenze e lezioni in
corsi di formazione per insegnanti. Per quanto attiene alla musica, invece, ritengo di essere un dilettante in
un senso che vorrei spiegare. La mia formazione musicale è quella tipica del tradizionale seminario italiano (intendo il seminario ecclesiastico italiano) degli anni Cinquanta/Sessanta che prevedeva corsi di solfeggio, di canto e di strumenti in un contesto culturale in cui la musica era ritenuta una materia importante
e alla quale quindi erano dedicate molte ore. Il tutto in vista di una formazione globale e duttile, come quella che si riteneva dovesse avere un animatore di comunità. In particolare, un seminario regionale pontificio
(quindi con più mezzi, anche economici rispetto ad un seminario vescovile) che ho frequentato negli anni
della mia prima adolescenza, i cui docenti erano tutti diplomati in conservatorio, forniva ai più portati e
volenterosi dei corsi particolari di harmonium, di pianoforte, di organo, ecc. Da questa mia esperienza ho
tratto il concetto di amatorialità. Sì, di amatorialità, non di dilettantismo, e ora dirò il perché di questa restrizione del campo semantico.
La musica era
L’imprecisione dei sinonimi
ritenuta una
E’ noto a chi ha pratica linguistica che veri sinonimi non esistono: i dizionari stessi mettono le mani avanti
nel definire i sinonimi, al di là della pretesa che la parola “sinonimia” accampa a priori (1). Evidentemente
non basta il vocabolario dei sinonimi e dei contrari se spessissimo i miei allievi, durante un compito in classe, mi chiedono di indicare loro dei sinonimi: ogni volta, con infinite precauzioni, chiedo il contesto in cui la
parola è inserita: solo allora cerco di indicare un possibile sinonimo oppure invito a cambiare la frase usando parole che esprimano non nominalmente i concetti (evitando, tra l’altro, la nominalizzazione che spesso
appesantisce il discorso). Un’altra osservazione, che può essere utile per capire ciò che intendo dire, è
quella relativa al destino storico delle parole; quante sorprese ci riserverebbe la conoscenza di quei vocaboli che si sono affermati pur essendo di uso basso (di quel sermo cotidianus che tanto scandalizzò Petrarca quando lo trovò in Cicerone e che invano un professore della tarda latinità cercava di fustigare, come
caballus, che i suoi alunni usavano al posto di equus, o di bellus al posto di pulcher, ecc. ). Ma la sorpresa
non viene tanto da quest’area, sia pure numerosa: la sorpresa (si vede che non uso il sinonimo meraviglia?) viene da quelle parole che un tempo avevano un senso negativo (ad esempio: testa rispetto a caput)
che i parlanti in seguito hanno trasformato in positivo e, viceversa, da quei vocaboli che si sono trasformati
da positivi in negativi (imbecillis = debole vs/ imbecille = stupido; individuo vs/ idiota = persona di intelligenza ritardata). Queste premesse di linguistica storico-critica possono fornirci il quadro, lo sfondo (quadro
e sfondo sono sinonimi?) per comprendere che persino le parole sinonimiche più ovvie, quali padre/papà,
madre/mamma, non possono essere impiegate sempre l’una per l’altra indifferentemente. In verità sono
arrivato alla conclusione che è meglio ripetere una parola piuttosto che usare espressioni come
“quest’ultimo/a”. Il grande Manzoni non prescriverebbe ai giovani di usare effettuare al posto del verbo
che egli usa infinite volte, cioè il verbo fare. Comunque, come per ogni cosa, in medio stat virtus, posto che
il medium lo si sappia trovare…
L’opzione per “amatorialità”
Questo discorso evidentemente vale anche per le tre parole proposte alla nostra riflessione, cioè amatorialità, dilettantismo, volontariato (opposte a professionismo): ritengo, infatti, che non vi sia tra questi vocabo-
materia
importante e alla
quale quindi
erano dedicate
molte ore. Il tutto
in vista di una
formazione
globale e duttile.
ANNO I, NUMERO 2
li un rapporto paragonabile a quello di uno spettro luminoso in cui il passaggio da un colore ad un altro
definito e distinguibile avviene attraverso successive sfumature che, una volta trascorse, danno il nuovo
colore (2). Addirittura si può affermare che la stessa parola professionalità talora non sia l’opposto di
amatorialità; basti pensare alle conoscenze che un amatore, ad esempio, nell’ambito del mercato dell’arte, possiede rispetto al pittore o allo stesso gallerista: si tratta di saperi e competenze veramente professionistiche. Voglio ora dimostrare che la parola amatorialità, derivata da amatoriale (a sua volta derivata
da amatore), benché non sia attestata dai migliori dizionari, è quella che meglio esprime la mia esperienza e la mia nozione di coralità adatta a chi non è musicista di professione e, a mio avviso, proponibile a
chiunque voglia cantare senza essere un cantante di professione. Venendo ora alla parola dilettantismo,
dobbiamo per prima cosa osservare che essa rappresenta un approdo di significato per lo più negativo
nell’uso linguistico, sebbene il suo etimo sia di grande nobiltà. Esso infatti parte dal verbo “diligere”, che
propriamente indica l’azione di scegliere (de + lego) la cosa o la persona più bella o più valida (cosa o
persona diletta; il diletto = l’amato) tra tante altre. La nobiltà delle origini cozza perennemente con la
negatività dell’uso; proprio questa duplice natura dà origine ad un vocabolo che oscilla continuamente:
un’anfibologia perenne, tanto che i dizionari sentono il bisogno di affermarne ora il senso positivo ora il
senso negativo. Per me, quindi, appare arduo considerarlo sinonimo di amatorialità, benché le due parole
abbiano origini sinonimiche che rientrano nell’area semantica dell’amore, l’una insistendo sulla scelta
dell’oggetto/ amato/a, l’altra sul più diffuso verbo amare. Dobbiamo insomma evitare questo termine se
vogliamo indicare un coro composto da persone che si preparano adeguatamente e continuamente, che
provano a partecipare o che partecipano a concorsi, ricevendo riconoscimenti da giurati professionisti,
che curano la vocalità, ecc., dobbiamo invece usarlo per compagini corali che non lavorano in questo
senso o che non riescono a ricevere consensi autorevoli. Insomma la parola dilettantismo, siccome cambia continuamente colore a seconda del contesto e, nel parlato, della particolare sfumatura della voce, si
presta meno per designare cori amatoriali seri che cori amatoriali meno impegnati o incapaci di uscire da
un livello appunto dilettantistico. Invece la parola amatorialità per adesso non è stata ancora toccata
dalla sfida della negatività; per cui la sua accezione, almeno per quanto attiene alla mia esperienza e alle
mie conoscenze, è ancora positiva. La verginità di questa parola (non bella come tutte quelle nate da un
aggettivo a sua volta derivato da un nome: ad esempio, maestosità da maestoso) è attestata dal fatto
che i vocabolari seri (non quelli che io chiamo vocabolari/lavandaie, che basano il loro business sulla
quantità di neologismi d’uso recente) non la riportano ancora. Mi auguro che rimanga parola tecnica di
uso specialistico. Detto questo, escluderei la parola volontariato come sinonimo di amatorialità: questo
nobile termine ben si addice al campo che gli è proprio e che tutti conosciamo. Spero che il lettore abbia
a questo punto chiaro il motivo della mia preferenza per il termine amatorialità. Come dicevo nelle premesse, la mia esperienza mi ha condotto ad amare la musica in generale e il canto corale in particolare,
non in modo spontaneistico bensì con una certa formazione che, se non mi ha fatto diventare professionista (si pensi alle concrete ed eterne difficolta legate alla vocalità: dalla tecnica della respirazione alla
pronuncia e all’uso di tutto l’apparato che consente la corretta emissione della voce, ecc.), mi sorregge
con un minimo di tecnica di base che mi sospinge ogni giorno a migliorarmi. D’altra parte tutti sanno
come sono formati molti cori lirici anche di teatri prestigiosi (questo da sempre: si pensi alla testimonianza di Toscanini): sono spesso cori di professionisti attorniati da amatori. Ne ho fatto esperienza diretta,
seguendo un giovane cantante in almeno dieci teatri del Nord Italia, anche di grandi citta. Amatorialità:
un’avventura che somiglia a quella di chi ama una persona sapendo che mai riuscirà a conoscerla a fondo e che tuttavia amerà per sempre, scoprendola ogni giorno nuova (questo è anche il segreto di un felice rapporto di coppia). Questo non vuol dire che il/la professionista non viva la sua avventura d’amore
con la musica: però forse per questa persona la routine è in agguato.
NOTE:
1 La parola deriva da due realtà che hanno il nome in comune; i dizionari affermano trattarsi di vocaboli che, più o meno approssimativamente, esprimono lo stesso concetto di un altro termine (cfr.: Dizionario Sandron della lingua italiana).
2 In questo ambito anzi è difficile affermare che vi siano colori sinonimici: vi sono forse sinonimi che si affibbiano ad un colore, ma non
c’è un colore uguale ad un altro; non solo, ma nell’ambito di uno stesso colore siamo costretti ad aggiungere una parola per distinguerlo (come, ad esempio, rosa e rosa-fucsia).
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La mia
esperienza mi
ha condotto ad
amare la
musica in
generale e il
canto corale in
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Anno I - Numero 2
contributi
Direttore Responsabile: Enrico Vercesi
scritti e le
Hanno collaborato a questo numero: Valentino Donella, Lorenzo Franzini, Gilberto Massarotti, Eraldo Pedemonte,
Andrea Carlo Protti, Enrico Vercesi, .
attività dei
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redazione si riserva la facoltà di decidere in merito alla loro eventuale pubblicazione.
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