Dalle Lettere al Direttore del Corriere della Sera del 12 settembre

Dalle Lettere al Direttore del Corriere della Sera del 12 settembre 2006
Quando il merito è un fattore di disturbo
Ho molto apprezzato l’articolo di Sergio Romano “La lobby che tiene famiglia”
(Corriere 31 luglio), in particolare laddove ( a proposito del decreto Bersani) scrive:
“I professori universitari e altri membri di antiche professioni liberali si considerano
comproprietari di un sodalizio cui debbono poter accedere anzitutto i figli, i
congiunti, gli allievi, i collaboratori fedeli. E’ questa la ragione per cui in Italia i
pubblici concorsi vengono spesso ritardati, rinviati, aggiustati o più semplicemente
aggirati con il sistema della chiamata personale, del reclutamento clientelare o
dell’ope legis. Il merito come criterio di scelta rappresenta per tutte le corporazioni
un fastidioso fattore di disturbo. E’ meglio cooptare sulla base di altri criteri: i
legami di sangue, lo scambio di favori o la fedeltà.”
A questo proposito, mi permetto di raccontare una storia vera. Pochi anni fa, si
svolse presso un’università italiana una valutazione comparativa per un posto e due
idoneità, a professore ordinario di Storia dell’Europa orientale ( materia che in ogni
Paese civile del mondo richiede la capacità di leggere le fonti in almeno una lingua
della regione interessata). Uno dei candidati, il più meritevole di tutti, fu raggiunto
dalla telefonata minatoria di un collega, in cui gli si intimava, se voleva vincere, di
farsi eleggere commissario e di comportarsi in un certo modo in un altro concorso, e
si ritirò indignato. Un altro, anch’egli molto qualificato, fu escluso per aver
presentato troppe pubblicazioni (sic!): il bando diceva che non dovevano superare il
numero di trenta (evidentemente per non mettere in difficoltà il vincitore in pectore
che era un po’ scarso). A me, che ero anche candidato, e che avevo dovuto scegliere
tra 75 pubblicazioni, giunse da uno dei commissari un’intimazione tipo Bravi di don
Rodrigo (per non dire di peggio): o rinunciavo a presentarmi, oppure non solo avrei
subito un giudizio negativo, ma sarei anche stato messo alla gogna, ossia tale giudizio
sarebbe stato reso pubblico attraverso il sito dell’università. Una simile intimidazione
raggiunse un’assai valida collega, con cui mi consultai: decidemmo di partecipare
comunque, per una questione di principio. I
giudizi negativi arrivarono
puntualmente (nel mio caso: “produzione scientifica limitata”!), così come la gogna.
Dimenticavo: sette su otto tra commissari e vincitori di quel concorso non
passerebbero un esame elementare di alcuna lingua dell’Europa orientale e non hanno
quindi mai letto una fonte storica originale di alcuno dei Paesi in questione. I
colleghi stranieri stentano a credere a questa storia.
Federico Argentieri