Gruppo 9, Tesina 5 - e

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Gruppo 9
Tesina 5
Sara Balletta, Naomi Ciano Albanese e Federico Cascino Milani
RETROGRADE TRASPORT OF NEUROTROPHIC FACTOR SIGNALING:
IMPLICATIONS IN NEURONAL DEVELOPMENT AND PATHOGENESIS
LE NEUROTROFINE
La scoperta dei fattori neurotrofici
I fattori neurotrofici rilasciati dalle cellule bersaglio ed i loro recettori giocano un ruolo cruciale nella
sopravvivenza dei neuroni. La scoperta del primo fattore neurotrofico è attribuita a Rita Levi
Montalcini.
Nel 1947, insieme all'embriologo Viktor Hamburger, dimostrò che l'asportazione di un arto
dall'embrione di pollo produceva la morte di un gran numero di neuroni sensitivi, ipotizzando che
tale fenomeno dipendesse dalla mancanza degli stimoli provenienti dalla regione amputata la quale,
mediante qualche sostanza ancora sconosciuta, regolava la proliferazione del tessuto nervoso
destinato ad innervarla. Nel 1953 Stanley Cohen, basandosi sugli studi effettuati precedentemente da
Buecker, isolò da una coltura di cellule tumorali di topo una nucleoproteina che sembrava essere in
grado di stimolare la crescita neuronale quando messa a contatto con cellule nervose in vitro. Per
determinare se gli acidi nucleici mediassero gli effetti trofici, trattò le cellule
tumorali con veleno di serpente ricco dell’enzima fosfodiesterasi. La Levi
Montalcini provò il veleno di serpente su una frazione di tessuto nervoso
attendendosi una mancata proliferazione delle fibre. La potenza di questa nuova
molecola isolata, invece, era tale da indurre un'incredibile crescita delle cellule
nervose in coltura. Si giunse così alla scoperta del primo fattore neurotrofico, il
nerve growth factor (NGF), grazie alla quale, nel 1986, Levi Montalcini e Cohen
vennero insigniti del Premio Nobel per la medicina.
Le neurotrofine e i loro recettori
La principale famiglia di fattori neurotrofici è quella delle neurotrofine, comprendente: NGF, BDNF
(brain-derived neurotrophic factor), NT-3 e NT-4/5 (neurotrophin). Le neurotrofine interagiscono
con due classi di recettori:
Recettori tirosinchinasici tropomiosina correlati
(Trk): TrkA, TrkB, TrkC. Le neurotrofine legano
questi recettori con un meccanismo specifico e ad
alta affinità.
Recettore p75: tutte le neurotrofine legano tale
recettore con un meccanismo a bassa affinità. Il p75
funge da recettore di morte cellulare comportando la
trascrizione di geni codificanti per proteasi della Figura 1: Esemplificazione del legame specifico
famiglia delle caspasi (3). Nelle cellule che neurotrofine-recettori (da Treccani Enciclopedia online).
coesprimono uno o più recettori Trk, p75 lega
preferenzialmente questi ultimi fungendo da modulatore positivo dell'effetto neurotrofico e
contribuendo ad indurre la sopravvivenza mediante l'attivatore trascrizionale NFkB (2). Il legame
delle neurotrofine ai recettori Trk provoca la fosforilazione del dominio intracellulare dei recettori,
cui segue la dimerizzazione e la fosforilazione di residui di tirosina dell'ansa di attivazione che
determina la formazione di siti di docking per proteine adattatrici, le quali inducono varie cascate
di segnalazione come la via della PI3K (fosfatidilinositolo 3-chinasi) e Ras/ERK. Queste vie
portano all'attivazione del fattore di trascrizione CREB, necessario all'attivazione dei geni favorenti
la sopravvivenza (4).
I neuroni estendono i loro assoni verso le cellule bersaglio, le quali secernono bassi livelli di fattori
trofici. Il fattore neurotrofico si lega ai recettori e, insieme a questi ultimi ed in associazione con altre
molecole, viene traslocato all'interno della cellula e trasportato a livello del corpo cellulare mediante
un meccanismo di segnalazione retrograda. Evidenze riguardanti l'esistenza di tale trasporto
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retrogrado si ottennero iniettando una proteina NGF radioattiva all'interno del terminale assonico e
rilevando la sua radioattività a livello dei corpi cellulari neuronali (1).
Meccanismo di trasporto retrogrado
Esistono due modelli che spiegano in che modo il segnale delle neurotrofine venga propagato dalla
terminazione assonale al corpo cellulare: il modello di segnalazione degli endosomi ed il modello
dell'onda di propagazione. Il primo modello, quello più accreditato, prevede l'internalizzazione del
complesso neurotrofina-recettore Trk attivato, associato con adattatori a valle e proteine effettrici.
Tali complessi ligando-recettore risultano carrier essenziali della segnalazione retrograda. Ciò è
dimostrato dal fatto che inibendo l'attività di Trk a livello o degli assoni distali o dei corpi cellulari è
attenuato il trasporto retrogrado, così come l'attivazione del fattore di trascrizione CREB e, dunque,
la sopravvivenza cellulare. Bloccando, altresì,
l'endocitosi di neurotrofine mediante trattamento
farmacologico o distruzione della rete
microtubulare dineina-dipendente, si verifica
apoptosi neuronale (5). Cox e colleghi hanno
inoltre dimostrato che la traduzione a livello
assonale di CREB in risposta all'NGF è
necessaria alla sopravvivenza neuronale, in
quanto neuroni deficienti del trascritto CREB
Figura 2: Meccanismo di trasporto retrogrado conseguente
assonale mancano del segnale di sopravvivenza
all'internalizzazione di NGF-TrkA (da Ito & Enomoto, 2016).
indotto dall'NGF (6).
Processo d'internalizzazione di Trk
Il Trk può essere internalizzato da più di un meccanismo, tra cui: un meccanismo endocitotico
mediato da clatrina e uno pinocitotico che coinvolge la proteina Pincher (3). Evidenze a sostegno del
primo meccanismo citato sono date dall'aumentata associazione della clatrina con le membrane, in
presenza di NGF, in cellule PC12 (cellule di feocromocitoma di ratto) ed in neuroni delle radici
dorsali, inducendo la formazione di complessi contenenti il TrkA attivato, la catena pesante della
clatrina e la proteina adattatrice di questa, AP2. L'internalizzazione del recettore Trk dipende, inoltre,
dalla dinamina, una GTPasi coinvolta nella scissione dalla membrana plasmatica di vescicole rivestite
da clatrina. Ciò farebbe pensare che la modalità d'internalizzazione di Trk mediata da clatrina sia
quella preferenziale (5).
Implicazione dell'alterazione del complesso dineina-dinactina nella sclerosi laterale amiotrofica
È stato dimostrato che mutanti della superossido dismutasi (SOD1) associati al fenotipo SLA (A4V,
G85R, e G93A) interagiscono con il complesso dineina-dinactina responsabile del trasporto
retrogrado in colture cellulari e tessuti di topi affetti da SLA. Tale interazione causa la formazione di
inclusioni proteiche contenenti il mutante SOD1. Nel complesso, questi dati suggeriscono che la
mutazione di SOD1 perturba direttamente il trasporto assonale impedendo l'attivazione dei geni
promuoventi la sopravvivenza. L'interazione tra SOD1 mutato e la dineina potrebbe propagare un
effetto tossico che, in ultima analisi, causerebbe la morte dei motoneuroni contribuendo così
all'insorgenza del fenotipico SLA (7).
Via di segnalazione del BDNF
La neurotrofina BDNF rappresenta un altro fattore promuovente la sopravvivenza neuronale. Come
l’NGF anche il BDNF è trasportato retrogradamente dai neuriti distali al corpo cellulare grazie al
legame con specifici recettori come TrkB (neuroni corticali) o p75-NTR (neuroni simpatici) (1) La
regolazione della crescita e arborizzazione dendritica dei neuroni corticali BDNF-indotta avviene
grazie al legame con il recettore TrkB a livello dendritico: il complesso BDNF-TrkB, internalizzato
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in
un
endosoma,
viene
trasportato
retrogradamente grazie a motori citoplasmatici
quali la dineina (Fig.5A) (1). Questa è formata
da catene pesanti di circa 4600 amminoacidi,
contenenti il dominio motore, a cui sono
associate catene intermedie e leggere.
Figura 3: Arborizzazione dendritica in topi snapin +/+ (sinistra), L’interazione tra la dineina e l’endosoma TrkBriduzione in topi snapin -/- (centro), ristabilimento trafficking e BDNF è in questo caso garantita dalla presenza
sviluppo dendriti in seguito alla reintroduzione di snapin (destra) (da
di un adattatore proteico, Snapin, che richiama
Zhou et al., 2012).
il motore citoplasmatico legando la catena
intermedia di dineina (DIC). (8) L’intervento di snapin e della dineina sono essenziali per il trasporto
retrogrado, come dimostrato dal fatto che la delezione di snapin o la perturbazione dell’interazione
snapin-DIC abbia tre effetti principali: un numero minore di endosomi TrkB sono trasportati dalla
periferia assonale al soma; un’alterata efficienza del trasporto retrogrado del BDNF verso il nucleo e
una ridotta crescita dendritica dei neuroni corticali. In aggiunta è stato osservato che topi snapin-nulli
muoiono subito dopo la nascita, mentre la reintroduzione del gene snapin nei neuroni mutati è
sufficiente a ristabilire il corretto trafficking vescicolare. (8) (Fig.3)
Il trasporto retrogrado del BDNF è consentito anche dall’azione di un’altra proteina, l’Huntingtina
(Htt) (10). Questa si associa sia alle vescicole che ai microtubuli. L’Htt è coinvolta nel traffico
vescicolare grazie alla capacità di legare direttamente la dineina, interagendo con le DIC. (Fig.4a) (9)
Nello specifico, l’interazione avviene tra una regione di 162 amminoacidi all’estremità dell’Htt
(residui 536-698) e la regione DIC della dineina compresa tra i residui 1-283. Tramite esperimenti di
immunoprecipitazione è stato possibile dimostrare come questo legame sia diretto e specifico
proteina-proteina; non richiede, infatti, la
presenza di ulteriori mediatori come la
a
dinactina, un attivatore della dineina che lega sia
questa che i microtubuli. (9) Il recettore TrkB
lega e colocalizza con l’Htt e la dineina. Il
silenziamento dell’Htt, infatti, comporta una
riduzione del trasporto vescicolare di TrkB nei
b
neuroni striatali (Fig.4b) (10). La sopravvivenza
di questi neuroni è mediata dall’azione del
BDNF, prodotto dai neuroni corticali, e dal suo
legame con i TrkB sulla superficie dendritica dei
neuroni striatali, con conseguente trasporto
retrogrado fino al soma. Numerosi studi hanno
Figura 4: a) l’Htt-verde e le DIC-rossa hanno una
dimostrato
che un inefficiente trasporto
distribuzione simile nelle cellule; il colore giallo rappresenta
la sovrapposizione delle due colorazioni. b) (sinistra) vescicolare di BDNF è coinvolto nella malattia
differenza dell’associazione tra microtubuli (MT) e TrkB, di Huntington (HD), caratterizzata dalla
dineina e Htt nella forma normale (riquadro rosso a sinistra) degenerazione dei neuroni corticali e striatali.
e nella forma patologica con Htt mutata (riquadro rosso a La malattia corrisponde ad una forma patologica
destra); (destra) percentuale di proteine legate agli MT nella
autosomica
dominante
derivante
forma normale e in quella mutata (da Liot et al., 2013).
dall’espansione di una ripetizione CAG che
codifica per un tratto glutammico dell’Htt. Gli alleli normali presentano da 6 a 34 ripetizioni, mentre
quelli associati alla malattia 36 o più, estremamente instabili. (4) Il diretto coinvolgimento dell’Htt
nel trasporto vescicolare dendritico del BDNF fa sì che questo risulti notevolmente ridotto nell’HD,
fattore contribuente la degenerazione striatale tipica della malattia. (10)
Nelle cellule granulari cerebellari, invece, il legame BDNF-TrkB innesca un meccanismo di
trasporto retrogrado, questa volta assonale (Fig.5B). In particolare, il fattore neurotrofico determina
un’amplificazione della sua stessa sintesi all’interno di queste cellule, seguita dall’esocitosi del fattore
prodotto e dalla formazione di un gradiente chemoattraente in cui la conseguente disposizione
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direzionata del complesso ligando-recettore verso il gradiente di BDNF, polarizza le cellule e ne guida
la migrazione (1). A conferma di ciò, topi KO per proteine quali le CASP2, necessarie all’esocitosi
del BDNF e all’attivazione dei TrkB nelle cellule cerebellari, o le ARFGEF2, richieste per il trasporto
dal Golgi alla membrana, mostravano dei deficit migratori. (11) In questo processo sono coinvolti,
inoltre, il regolatore endocitico Numb e un’atipica PKC (aPKC) il cui legame con il complesso TrkBNumb presente a livello dell’endosoma può mediare meccanismi di trasduzione del segnale che
portano ad un’efficiente migrazione (1).
Contrariamente a quanto visto finora, a livello dei neuroni simpatici il legame del BDNF ai
recettori p75-NTR rappresenta un segnale di morte cellulare (Fig.5C). Il BDNF trasportato
retrogradamente fino ai corpi cellulari è qui degradato, contribuendo, secondo meccanismi ancora
sconosciuti, all’apoptosi di queste cellule (1).
Via di segnalazione dell’NT-3
La neurotrofina 3 (NT-3) agisce a livello dei neuroni simpatici favorendone la crescita neuritica (1).
L’attività di promozione della sopravvivenza sembra, tuttavia, molto ridotta nel caso dell’NT-3: è
necessaria, infatti, la sua applicazione diretta all’interno dei corpi cellulari non essendo stato
evidenziato un trasporto retrogrado del fattore dalla periferia assonale al soma. Come l’NGF, anche
l’NT-3 può legare i recettori TrkA. A questi si
aggiunge anche la possibilità di legare i TrkC,
estranei però ai processi di sopravvivenza e di cui i
neuroni simpatici esprimono bassi livelli, a
differenza di quanto avviene per i TrkA(12). L’NGF
e l’NT-3, pur legandosi allo stesso recettore, ne
regolano l’attività differentemente, sia per quanto
concerne il tempo di attivazione, sia per i target a
valle, consentendo una regolazione differenziale
della sopravvivenza e della neuritogenesi (12).
Contrariamente a quanto avviene nella segnalazione
retrograda mediata dal legame NGF-TrkA, in
questo caso si ha l’esclusiva attività di NT-3-TrkA
a livello del terminale assonico dovuta all’assenza
del trasporto retrogrado della neurotrofina (Fig.5D).
Questa è dovuta alla mancanza del complesso
Figura 5: esempi di trasporto retrogrado dei complessi proteico Rac1-Coffilina, presente invece negli
neurotrofine-Trk (da Ito & Enomoto, 2016).
endosomi NGF-TrkA, depolarizzante il denso
reticolo di actina presente negli assoni e favorente, di fatto, il trasporto vescicolare (1).
LA FAMIGLIA DEL GDNF
Storia
La famiglia del GDNF comprende quattro proteine neurotrofiche: il fattore neurotrofico derivato dalla
linea dalle cellule gliali (glial cell line-derived neurotrophic factor, o GDNF), la neurturina (NRTN),
l’artemina (ARTN) e la persefina (PSPN). Queste quattro molecole sono anche chiamate GDNFfamily ligands, o GFLs.
Il GDNF fu scoperto e purificato dalle cellule di un glioma di ratto nel 1991 e ha attirato fin da
subito l’attenzione dei ricercatori per gli incredibili effetti neurotrofici dimostrati in vivo e in vitro, in
particolare sui neuroni dopaminergici del mesencefalo. Per questo è stato subito proposto come
potenziale farmaco per la cura di molte patologie neurodegenerative come morbo il Parkinson. In
meno di dieci anni, infatti, il GDNF è stato sperimentato anche sull’uomo con risultati molto
incoraggianti. Inoltre, questa famiglia di fattori neurotrofici ha un ruolo importante anche nello
sviluppo e nella regolazione di altri sistemi oltre quello nervoso. Per questo la ricerca in quest’ambito,
anche se recente, è molto prolifica e importante (13, 14).
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Meccanismi di segnalazione dei ligandi della famiglia dei GDNF
I GFLs sono sintetizzati, secreti e attivati da una gran varietà di tessuti. La loro captazione influenza
lo sviluppo, il differenziamento e la sopravvivenza nell’età adulta delle cellule bersaglio. Queste
proteine fanno parte della superfamiglia del fattore di crescita trasformante-β (transforming growth
factor-β), i cui membri sono caratterizzati da 7 residui di cisteina intervallati sempre dalla stessa
distanza. I GFLs vengono prodotti da due precursori: i preproGFL e i proGFL di cui, però, si sa molto
poco. La loro attivazione avviene molto probabilmente tramite il clivaggio da parte di alcune proteasi
non ancora identificate; inoltre, nonostante siano ben conosciuti i geni per la sintesi dei GFLs, non
sono ancora chiari i meccanismi che regolano la trascrizione, la traduzione, l’attivazione e la
secrezione di tali proteine (14).
Tutti i GFLs si legano ad una classe di proteine, nota come famiglia di recettori GDNF-α (GDNFfamily receptor-α, o GFRα), che comprende quattro recettori (GFRα1-4) collegati al lato
extracellulare della membrana da un’ancora di glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Il GDNF si lega
generalmente al GFRα1, la neurturina al GFRα2, l’artemina al GFRα3 e la persefina al GFRα4. Il
legame dei GFLs al loro recettore attiva in ogni caso il recettore tirosinchinasi (receptor tyrosine
kinase, o RET), una proteina con una singola alfa elica transmembrana che possiede un dominio ricco
di cisteine e un dominio caderine-like nella parte extracellulare, e un dominio tirosinchinasico
intracellulare. L’associazione
GFL-GFRα
porta
alla
dimerizzazione di RET che
fosforila una gran varietà di
proteine attivando diverse vie
di segnalazione, come quella
del MAPK (mitogen-activate
protein kinase) e quella del
PI3K,
coinvolte
nella
sopravvivenza cellulare (14,
15).
Figura 6: a) i GFLs si legano ad un specifico recettore che attiva la proteina RET. b) il
complesso GFL- GFRα si lega a RET e induce la sua dimerizzazione dando il via alla
trasduzione del segnale (da Mulligan, 2014).
Trasporto dei GFLs
I GFLs vengono trasportati in alcuni neuroni grazie al trasporto assonale retrogrado, mentre in altri
con meccanismi diversi ancora sconosciuti. Il trasporto retrogrado è stato dimostrato per la prima
volta nei neuroni del mesencefalo tramite l’iniezione di GDNF marcato con 125I nelle cellule dello
striato. Il composto radioattivo, infatti, si può ritrovare in poco tempo nei neuroni dopaminergici della
substantia nigra che proiettano i loro assoni verso lo striato. I meccanismi con i quali avviene questo
trasporto non sono ancora stati studiati nel dettaglio; l’ipotesi più accreditata prevede l’inclusione di
questi fattori in vescicole endocitiche, in maniera simile a quello che avviene per le neurotrofine (1).
Funzione dei GFLs nel sistema nervoso
Grazie al silenziamento genico è stato possibile osservare gli effetti della mancanza di questi fattori
neurotrofici nelle varie parti del sistema nervoso durante lo sviluppo e ricavare, così, la loro funzione.
Sistema simpatico: l’artemina e il GFRα3 sembrano svolgere un ruolo fondamentale nello
sviluppo del sistema simpatico, in particolare per la migrazione delle cellule che formeranno il
ganglio cervicale superiore. Topi KO per questi geni muoiono perché gli assoni dei neuroni
simpatici non riescono a raggiungere il proprio bersaglio. Durante gli stadi tardivi dello sviluppo
embrionale l’espressione di GFRα3 diminuisce e i neuroni diventano dipendenti dalle neurotrofine
prodotte dal bersaglio.
Sistema parasimpatico: durante l’embriogenesi è essenziale la presenza del GDNF e del recettore
GFRα1. In mancanza di questi buona parte dei neuroni postgangliari parasimpatici sono del tutto
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assenti o mostrano difetti nella migrazione e nella crescita. Prima della nascita l’espressione di
GFRα1 diinuisce, ma allo stesso tempo aumenta l’espressione di GFRα2. La neurturina, infatti,
sembra intervenire al posto del GDNF nello sviluppo tardivo: topi che non esprimono NRTN e
GFRα2 non mostrano una riduzione nel numero di neuroni postgangliari ma i corpi cellulari sono
molto piccoli e gli assoni non innervano correttamente i loro bersagli. La neurturina è perciò
necessaria per la guida degli assoni e per il mantenimento della funzionalità cellulare nell’età
adulta.
Neuroni sensitivi: il ruolo dei GFLs nei neuroni afferenti non è ancora del tutto chiaro. In vitro il
GDNF è necessario per sostenere una popolazione di neuroni sensitivi mentre non è così
fondamentale in vivo. Il GDNF, in sinergia con il BDNF, sembra necessario solo per la
sopravvivenza di alcuni neuroni come quelli del ganglio petroso e per il mantenimento di alcuni
meccanocettori. Molti neuroni sensitivi della pelle esprimono il gene per RET dopo la nascita e per
questo si ipotizza che i GFLs abbiano un ruolo nello sviluppo di questi recettori, in particolare la
neurturina sembra importante per lo sviluppo dei nocicettori termici.
Neuroni motori: durante lo sviluppo il GDNF è prodotto dalle cellule di Schwann. La mancanza
di questo fattore neurotrofico porta ad una perdita di motoneuroni del 20-40%. Nella vita postnatale
il GDNF sembra regolare soprattutto l’arborizzazione terminale e la formazione delle sinapsi.
Neuroni dopaminergici: nel mesencefalo GDNF e NRTN sono fattori essenziali per la
sopravvivenza dei neuroni dopaminergici ma non sono fondamentali durante lo sviluppo. Questi
neuroni, infatti, diventano dipendenti dal GDNF solo dopo aver fatto sinapsi con lo striato (14, 15)
Usi terapeutici
Data la loro grande importanza nello sviluppo e nella sopravvivenza dei neuroni i GFLs hanno molti
potenziali usi clinici. Uno dei più importanti riguarda il morbo di Parkinson. Dalle varie
sperimentazioni, effettuate anche sugli umani, è stato evidenziato che i neuroni dopaminergici colpiti
da questa malattia possono ricrescere e ripristinare le loro funzionalità se esposti al GDNF (13).
Questo fattore si è anche dimostrato un potente strumento per la rigenerazione assonale dei
motoneuroni e dei neuroni sensitivi. Neuroni afferenti che hanno subito una lesione dell’assone prima
del ganglio della radice dorsale non sono normalmente in grado di rigenerarlo; se trattati con GDNF,
NGF e NT-3, però, possono crescere all’indietro verso le corna dorsali del midollo spinale e ricreare
delle sinapsi funzionali (16). I GFLs possono anche essere usati per il trattamento dell’epilessia,
dell’ischemia e della dipendenza da droghe. Il GDNF, infatti, agisce sui neuroni dopaminergici
dell’area tegmentale ventrale, importante nodo dei circuiti della dipendenza, bloccando alcuni
meccanismi di plasticità neuronale indotti dall’abuso di droga (17).
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