TREKKING | Norvegia TREKKING | Norvegia Oltre il circolo polare artico, dove l’orizzonte si arrotola... Dal Lofoten Trek gr Lucchi Testo e foto di Valeria Lucchi “Quest’anno vado in Norvegia”… uhm, no, banale… “Quest’anno vado a fare trekking in Norvegia”… già meglio… “Quest’anno vado a fare trekking alle isole Lofoten in Norvegia”… e chi le conosce? “Quest’anno vado a fare trekking alle isole Lofoten, oltre il circolo polare artico, in Norvegia”, ganzo… ma ci aggiungerei… “Quest’anno vado a fare trekking alle isole Lofoten, oltre il circolo polare artico, in Norvegia, e sono il coach del gruppo”… deeeecisamente figo, ora! Anche se… a dire il vero, la tensione con cui mi sono diretta a Malpensa a conoscere il gruppo dei miei adepti non aderiva perfettamente all’immagine spaccona di cui sopra. Prima volta come coordinatore per Avventure nel mondo, un gruppo sconosciuto, il trekking! Periodo di attentati sventati o presunti tali, aeroporto nel delirio, qualcuno è in ritardo, identifico nei volti le mail che ci siamo scambiati prima della partenza. E studio. Studio le relazioni dei precedenti coordinatori, studio le istruzioni della cassa comune, studio la Lonely Planet. Per studiare, arrivo a decidere di passare le 6 ore di scalo a Varsavia sui sedili di plastica dell’aeroporto invece che fare il giro in città con gli altri. (il gruppo mi confesserà poi di avere commentato questa mia scelta con: “che rigida secchiona la coordinatrice”) Un paio di giorni dopo finalmente la tensione si stempera. Intanto li ho portati sulle isole senza perderne nessuno… e poi queste isole sono di una bellezza straordinaria! Arriviamo nella cittadina di Svolvaer a bordo dell’Hurtigruten, nave da turismo dal nome impronunciabile, costeggiando le isole nella luce della sera. E la luce della sera qui dura per ore e ore, con quella sua inclinazione tutta peculiare che riscalda i colori dell’ambiente in un imprevedibile autunno. Sbarcati sul molo di Svolvaer, veniamo immediatamente immersi nell’atmosfera rilassata delle isole. Fuori il mondo si bombarda, ma noi passiamo la notte in 12 in una cabin di legno sulle rive di un lago circondato da opilobium. E magari le pentole col fondo tondo non rendono agevole la nostra prima pasta tutti insieme, ma l’abilità di una cambusiera e soprattutto il gusto dello scoprirsi gruppo, possono fare apprezzare anche un bel taccone al sugo… per me solo un paio di etti, grazie, che per la prima sera mi voglio tenere leggera. E’ subito nanna, con un po’ di emozione… sarà quella che ci tiene svegli o il concerto a più voci di russate notturne? Le avranno puntellate queste cabin per contenere il barrito elefantiaco che accompagna il riposo del trekker? Meno male che il kit del piccolo viaggiatore prevede, indispensabili, i tappi. Il risveglio è eccitato, inizia la scoperta di questo mondo rarefatto. Gita in barca in uno dei più bei fiordi della Norvegia, il Trollfjord, con pesca del merluzzo. E io pesco. “Coach, sono pronta a fotografarti” “Coach, vedi di pescare un bel merluzzo” “Coach, gli altri stano tirando su pesci a due a due, tu cosa combini?” Una massa di filo mi si aggroviglia tra le mani, le mie lenze rimangono inspiegabilmente vuote, appena qualcosa sembra tirare, scappa dalla mia presa per andarsi ad attaccare agli ami degli altri. “Coach, ma sei un distrastro!” Cinque minuti alla fine della pesca e io sono ancora a mani vuote (soprassedendo sul groviglio che sembra peggiorare). Ma qualcosa tira. E non può scapparmi adesso. Il mio vicino di pesca attende come un avvoltoio… finiscono tutte a lui le mie prede in fuga. Tiro e rilascio, tiro e rilascio… Sampei, guarda e impara. E finalmente si intravede qualcosa a filo d’acqua… ed è enorme, è il più grande di tutti, è un pesce grossissimo. Tiro e rilascio, tiro e arriva pronto il ragazzino della barca con un arpione. Veloce lo afferra, non gli dà chance, ho pescato! Sono la più brava. Ma dura poco, i francesi dell’altro tour un minuto dopo pescano addirittura due pesci delle dimensioni del mio. Arroganti! Bè… tanto noi abbiamo vinto i mondiali. È una splendida giornata di sole e i colori cristallini di questo freddo mare si riflettono nelle rocce dei fiordi... È una splendida giornata di sole e noi stiamo per inaugurare i trekking della vacanza... È una splendida giornata di sole ed è qui che le isole mostrano la loro vera natura... in una parola: infame. I sentieri non sono segnalati, l’avvistamento all’ometto di sassi è caccia per la sopravvivenza, le pietre con segni di vernice sono estinte e i percorsi, se visibili, sono fangosi, scivolosi, esposti, e ancor più spesso scompaiono sotto boscaglie che ti fanno rimpiangere di non avere portato il machete, oppure strisciano ricoperti di muschi pieni di colori e mirtilli che nascondono buche e avvallamenti. Non mancano mai pietraie verticali dove il trekking diventa percorso di guerra e ogni parte del corpo si rende funzionale a proseguire: mani, unghie, denti, braccia, cosce, ginocchia e sedere scoprono la loro natura prensile, mentre un mugugno si alza costante: “Norvegesi infami, imparassero a mantenerli questi sentieri”. Il “salto della capra”, passeggiata tipica di Svolvaer che porta a due pinnacoli gemelli dove i più temerari tentano il salto, mi sfugge di qualche lunghezza. Molto meglio tornare sui miei passi per una birra giù in paese. Birra? Ma non si vende birra nei supermercati oltre le 5 del pomeriggio! Le restrizioni alcoliche ci trovano impreparati, Lofoten ...... ........................................................................... Avventure nel mondo 1 | 2014 - 125 salvo scoprire, nel corso del viaggio, che se esistono bottiglie di superalcolici, vengono scolate direttamente al supermercato… non deve essere facile la vita in questa parte del mondo. Per fortuna, il secondo giorno è prevista una “facile e tranquilla attraversata”… ho voglia di camminare, ma cavoli sapendo dove vado. Fatale illusione. Il sentiero viene presto perso e nell’improvvisarne uno finiamo a fare una ferratina su uno degli innumerevoli laghetti che punteggiano il panorama delle lofoten. Ma non è tempo di riflessioni romantiche sullo scenario naturale… accovacciata sui talloni, passo le bacchette a chi sa mantenere una posizione eretta, afferro la situazione a due mani, abbraccio il cavo d’acciaio, e passo dall’altra parte. Si continua su una parete verticale di muschi e felci, cercando un sentiero che riappare ma subito scompare nelle cacche di pecora piovute copiose su questi monti. “Facile tranquilla attraversata? Norvegesi infami!”Ed è qui che svela le sue inarrivabili doti di orientamento il neo rinominato Penna Bianca, componente toscano del gruppo, che ci precede, sparisce e ricompare senza preavviso su una roccia quando avvista il sentiero. Il percorso sembra poi farsi più pianeggiante, ma il clima diventa più rigido… una pioggerella ci fa estrarre le mantelle dallo zaino, mentre qualcuno scopre la natura scivolosa delle rocce proprio mentre sta attraversando un torrentello… ma perché no? In fondo sono solo 6 ore che camminiamo senza la certezza di un percorso: un bagno ghiacciato non può che rinfrescare le idee. Haugen, meta finale del trekking, si lascia finalmente intravedere… e non è affatto vicina. Ancora sentieri fangosi e cacche di pecora e betulle e percorsi verticali e marcite e zanzare da combattimento… e dopo altre 4 ore siamo finalmente a bordo del maxi taxi che ci riporta al knutmarka camping, pronti per una dose massiccia di pasta che ci portiamo dietro dall’Italia per evitare i proibitivi costi norvegesi. “Pulisco io la pentola?” Ed è in queste serate, dove la cambusiera ufficiale ci coccola a crostini con formaggio fuso e bis di primi, è in questi rorbuer, le antiche abitazioni dei pescatori, che 12 persone diventano gruppo… in un ringo condiviso e strappato a denti perché la fame è una brutta bestia e la golosità è ancora più bastarda, in una tisana prima di andare a dormire, quando le 10 ore di trekking su sentieri impervi si depositano nelle gambe e organizzano un rave all’acido lattico, in un troddio di metà sera, tipica espressione sarda per definire la produzione di gas nobili ad opera del dirigente del gruppo… ingegnere, il riscaldamento funziona, lasci perdere! ma le condizioni avverse non influiscono sulla percezione della bellezza di questi luoghi. Lo sguardo si spinge oltre i tralicci di legno dove viene fatto essiccare il merluzzo, si sofferma nell’acqua dei fiordi che fa invidia alla Sardegna (per quanto la nostra corrispondente da Cagliari rifiuti il paragone), saltella tra le casette di legno colorate col tetto ricoperto di erba, ma arranca nel cercare l’attacco di un sentiero. “E’ sicuramente di qui, andiamo”… ed è subito pietraia. Continui a salire e ti perdi nella nuvola. Ma è proprio nella nuvola del monte Festvagtinden che queste isole mi svelano per la prima volta il loro lato magico. Dopo una salita in cui abbracci le rocce a pelle d’orso, con gli scarponi di chi ti sta davanti come unico punto di riferimento per guadagnare in cima, sulle rive di uno degli innumerevoli laghetti di montagna, cala la nuvola. Ricopre la cima, avvolge il gruppo, confonde le rocce, sfuma i cespugli, è nebbia. Ci si ferma, una barretta un po’ di tè del cioccolato, salire ancora non ha senso, ma forse è presto per scendere. Alla vista del primo boletus il gruppo si lancia in una caccia al fungo che li disperde negli anfratti tra rocce e cespugli. Ci provo anch’io, ma la mia chiara mancanza di predisposizione mi porta a concludere che sia meglio riposare le stanche membra su una roccia. Due pail e una mantella e questo umido non mi può più dar fastidio. Ora lo assaporo. Assaporo i contorni sfumati e le sagome di roccia intorno a me, mi nutro delle voci portate dall’aria, e dei fischi senza volto, osservo il laghetto al mio fianco, non se ne vede la sponda opposta ma si può immaginare che la roccia nel mezzo sia in realtà il dorso di una balena fuori strada. E mentre la nebbia lascia margini all’immaginazione, in fondo, la nuvola alza l’orlo della sua gonna e svela le isolette che Ci spostiamo lungo l’isola di Austvagoy, il clima è ancora nuvolo, un po’ incerto, a tratti piove, 126 - Avventure nel mondo 1 | 2014 compongono henningsvaer, è un attimo, è già finito, subito si riabbassa, e pudica le nasconde. Io mi arrotolo nella mantella, sono ferma immobile e ascolto. Ancora voci e richiami, chi ha trovato un fungo, chi scopre che non è buono, non li vedo, non si vedono, qualcuno mi passa davanti, non mi vede, sono diventata roccia anche io? Un paio spariscono oltre il lago, li sento chiamare dal banco di nebbia. Sono ovunque dietro queste sagome di roccia, giungono da tutti i lati, li intravedi, ma l’attimo dopo sono già stati ingoiati dalla nebbia. Gnomi. Sono gnomi! Sono entrata nella notte di mezza estate di Shakespeare e le creature dei boschi comunicano tra loro ma non si presentano alla vista. E anche io su questa roccia divento invisibile e forse sono già finita dietro uno di quegli specchi che ti porta in un’altra dimensione: continui a vedere questa, ma non riesci a tornarci più. Finisce la ricerca, si deve scendere e finalmente appare il vero sentiero della passeggiata. Non certo la sassaiola verticale dove ho conficcato le unghie, ma un comodo sentiero di fango di cui scopriamo l’inizio solo una volta ritornati in fondo: oltre le frasche degli alberi, in un anfratto tra due grosse pietre, prende l’avvio un percorso tra rocce che alcuni metri più in alto diventa sentiero. Lo conosco, lo avevo letto nei libri: è l’ingresso di shangri-laa… porta introvabile per un mondo nascosto (“norvegesi infami, cambiate mestiere…”). È un giorno magico questo, e la magia non tramonta nella sera. Nel sottotetto del rorbue di Henningsvaer, tra gli oggetti di un negozio di artigianato, l’odore pregnante del legno e il profumo di pane appena sfornato, si improvvisa una torta per chi proprio stasera solca la metà del cammin di nostra vita… è proprio il caso di cantare “what a wonderful world” e se armstrong non è a portata di mano, il troddiologo ufficiale per una volta usa l’ugola per accompagnare l’armonia del momento. La signora del rorbue ci guarda con paralisi al sorriso, ma non si lasca intimorire: afferra un’ascia e la scarica col retro su uno degli stoccafissi che pendono nel negozio. Pochi colpi ben assestati e lo snack è pronto. Un colpo d’ascia deciso e finalmente i trekker possono degustarlo. Buono come antipasto, ideale come merenda e in ogni momento della giornata, perfetto per staccare i denti dalle gengive e impastare la saliva nel tentativo di renderlo masticabile. Ma quantomeno dietetico. Col risveglio dalla notte di festa, un maxi taxi ci porterà alla tappa successiva, caricando noi, i nostri zaini, i sacchetti di provviste, l’attrezzatura da escursione ammutinata dallo zaino, fino alla tappa successiva: un altro trekking ci aspetta e un rorbuer ci accoglie… o forse… un horrorbuer! Fiordo di Maervoll, splendido susseguirsi di anfratti di roccia e verde, che strapiombano nel mare, qualche isola in fondo, con uno sprazzo di luce che la colora, e un paesino che appare abbandonato. “Non credo che sia qui il nostro rorbue” L ............................................................................ ..... 09 TREKKING | Norvegia “...Johann Unstad, sì è qui” Un casermone bianco dai muri scrostati ci si para di fronte. Non ha niente a che vedere con i rorbuer che ci hanno ospitato finora, accoglienti, colorati. Le finestre sono sbeccate, i contorni rigidi, la struttura desolante. Dal fondo del pullmino un lamento si alza e assume presto tonalità ben conosciute: è la sigla della famiglia Addams. Horrorbuer! Ma Maervoll non è che un buon punto di appoggio per una lunga passeggiata costiera nell’isola di Vestvagoy, perché se la montagna è preponderante in questo viaggio, non dimentichiamoci che siamo sempre su isole. E quando l’arrivo avviene su una spiaggia bianchissima di sabbia fine, dove il mare si svolge placido e smeraldino, gli perdoni anche questo vento violento che ti attacca i vestiti al corpo, pettina i prati e arrossa la pelle del viso, unica parte del corpo che ti azzardi a lasciare scoperta. Eppure non si traduce in stanchezza… il corpo ormai è allenato, l’acido lattico è andato a depositarsi altrove, il muscolo risponde… si può quasi fare un giro in barca. Nel mezzo del fiordo le voci, seppure sottili e lontane, arrivano limpide, l’acqua a specchio non resiste alla forza del remo, e le meduse si chiudono e si riaprono al ritmo di un respiro rallentato. In fondo, forse anche l’horrorbuer è solo un po’… minimalista. Ancora trekking, senza sosta, sulla spinta di un corpo che chiede di muoversi. Siamo a Nusfjord, paesino-museo patrimonio dell’umanità, dove le teste di pesce diventano elemento decorativo per la ringhiera di legno che costeggia tutto il molo, e i gabbiani intonano concerti di stridolii senza sosta… bello, la voce della natura, sentili... però, ma non si stancano?… stanotte li ammazzo! In una passeggiata costiera sotto il sole che da qui in poi non ci abbandonerà più, scopriamo gli scherzi della prospettiva. Tra calette di rocce tonde e morbide, su tratti di pietra e declivi erbosi, si aprono insenature in sequenza. È mare, è certamente mare, che riempie sia l’insenatura più vicina che quella più lontana, ma allora come mai un’insenatura sembra più alta dell’altra? Ma no, è un lago. Quello vicino è mare e quello lontano è lago, non vedi che è a un livello più alto? E mentre ne sei quasi convinto, una barca ci entra dentro… è mare, mare sopraelevato. Ma come? Che scherzo è questo? Eppure sembrano proprio ad altezze diverse! Curvatura imprevedibile di un mondo che a questa latitudine si schiaccia e ti lascia spiazzato, irriverente nel prendere in giro uno sguardo, ad altre prospettive, abituato. Il mondo da queste parti è diverso. Se non è diverso per la cultura, per il colore della pelle delle persone, per gli odori delle strade e i rumori della notte, è diverso per la luce che non lascia spazio alla notte, è diverso per l’orizzonte, che gioca con formule imprevedibili, è diverso per il cielo che trasmette spettacoli di esclusiva bellezza. È notte nelle case di A, paesino alla fine della strada che congiunge le 4 isole maggiori. Nei rorbuer i piccoli abitanti si preparano al sonno: chi vengono a cadere. Il giorno dopo proviamo a condividere con altri gruppi di viaggiatori incontrati per caso l’emozione di una serata di sorprese. “Sì, abbiamo visto l’aurora boreale, è bellissima, è durata mezz’ora, tutto il cielo ne era solcato e a un certo punto un meteorite ha tagliato il cielo e si è andato a schiantare dietro la montagna”… non ne sono certa, ma potrei dire di avere colto nei volti di chi ascoltava un sentimento a metà tra l’incredulità e il dubbio che i nostri zaini non fossero proprio solo pieni di pasta… Ma noi l’abbiamo vista davvero. Qualcuno vuole saperne di più, comprendere il fenomeno e la Lonely Planet, moderno manuale delle giovani marmotte, viene in aiuto. Ma la spiegazione risulta troppo tecnica, la leggo e non la riesco a ricordare, finché non viene rivisitata e funziona più o meno così: cioè, bella zio, ci sono ‘ste particelle di sole cariche abbbestia, no? che vengono attratte dal campo geomagnetico del polo, cioè, un posto molto fico, si beccano con l’azoto e l’ossigeno e da lì, oh, bella zio, bella storia! Il sole del mattino ci riporta a dimensioni più terrene. Di nuovo salita, di nuovo pietraia, questa volta con la variante di piante impollinate che ci tingono di giallo al passaggio, e catene poste Lofoten srotola un sacco a pelo, chi si concede una 14 doccia gelata, chi è già sotto le coperte nell’intimità della propria biancheria a coccolarsi nelle pagine di un libro. Ma fuori qualcuno è in agguato. Sbatte una porta, un passo si fa pesante e frettoloso sulle incerte assi di legno che collegano un rorbue all’altro, diventa corsa, e un grido lacera la notte: “Aurora! È l’aurora! Ragazzi, l’aurora boreale”. Tutti fuori, precipitati dalle brande alla notte, in mutande, in ciabatte, in maglietta e siamo sopra il circolo polare… sta scomparendo ma se ne vede una scia. “E’ l’aurora”. Là, sopra il mare, una striatura verde lascia un sospiro nel cielo e sparisce. Ma ormai chi dorme più. “Là, guarda, là, ne sta iniziando un’altra”. Da sopra il tetto della casa un altro di questi aloni verdi si sta formando. “Là, laggiù, questa si vede benissimo”. Ed è un susseguirsi, fantasmi verdi nella notte che solcano il cielo, si avvolgono, disegnano zig zag, si sfumano, ricompaiono, si fanno più intensi, si perdono e si riformano, dal passo di una montagna, o nel mezzo del mare, riempiendo il cielo, o disegnando solo una striscia. Stiamo assistendo all’aurora boreale. Stiamo davvero assistendo all’aurora boreale. Siamo riusciti a vederla. Ed è bellissima, ha quella forza di emozionare che solo la natura può regalare quando mostra qualcosa che è magia e potere insieme. Gli insonni si moltiplicano sotto il cielo, avvinti da questo spettacolo in cui nessuno avrebbe osato sperare. Attenti, pronti ad avvistare una nuova striatura, a seguirne i mutamenti, rapiti dal cielo. E il cielo non smette di stupire. Alla nostra destra, improvviso, si apre uno squarcio, come una stella cadente, non è aurora questa, una scia ma più grossa e duratura di una stella cadente, poi diventa rossa, forse fuoco, scompare dietro una montagna che risplende di un improvviso bagliore. Muti. Restiamo completamente muti. Cosa diavolo era? Cosa è stato? Una stella cadente, certo, una stella cadente. Ma non scherziamo… chi ha mai visto una stella cadente prendere fuoco? E il bagliore? Non sarà mica atterrata? Cosa sta succedendo? In una notte irreale di fantasmi verdi, una scia di fuoco è forse il segno che il cielo ci sta cadendo sulla testa? Per Toutatis! Un meteorite. È stato un meteorite entrato nell’atmosfera. Sì, va bene, ma dove è finito? Lo spettacolo termina, l’inquietudine resta… questo è un mondo diverso. È il mondo dove le stelle ...... ........................................................................... Avventure nel mondo 1 | 2014 - 127 TREKKING | Norvegia nei punti più ripidi del sentiero per aiutare l’escursionista nella difficile salita (in realtà attaccate con precisione nel chiaro intento di avvinghiarti in una sola morsa con lo zaino). È la salita al rifugio Munkebu, dove vogliamo passare la notte nell’isolamento completo dei monti. Il sole crea riflessi nelle increspature dei mille laghetti di montagna che punteggiano le lofoten, per perdersi nel mare, quinta finale di questo spettacolo. Invoglia al bagnetto.... quasi quasi... ma perché no, in fondo nei nostri laghetti di montagna l’ho sempre fatto. Tolgo i pantaloni, entro esco. In mezzo In mezzo“aaahdiomioaaah vogliosalirenoaaahnonriescoaaahhritornoaaaahha aaah”. Dolore, poi caldo di reazione. Bello. Non lo rifaccio però. Per fortuna nel rifugio legna e stufa non mancano... e anche un’ottima compagnia. Due olandesi arrivati per ultimi scaricano i nostri sacchi a pelo dai letti reclamando la precedenza accordata ai soci. Ah, che simpatico spirito di montagna! Meno male che c’è Bjorn, norvegese di Oslo, che ha girato il mondo e ci spiega la differenza tra Finna Tutta (“belle tette” in svedese) e Finna Pupper (“belle tette” in norvegese). Bella zio, Bjorn, sei uno di noi. Al risveglio, ci aspetta un trekking con finale sulle condotte dell’acqua per ovviare alla perdita del sentiero in un burrone, per poi essere accolti da un fiordo dalle acque verdissime. Aspettiamo il traghetto che ci riporti a Reine, il punto più pittoresco di tutta la Norvegia, e per ingannare l’attesa, osserviamo le grosse meduse che sculettano placide sott’acqua. In pochi minuti siamo tutti dotati di sassi: si scatena la boccia alla medusa! Mentre i più abili fanno punto con la medusa, un telefonino squilla: “ciao mamma, sono in fiordo, stiamo giocando a bocce con una medusa” “ma... ma... stai bene?” Questa capacità di ingannare il tempo, trova il suo massimo nella serata di Rost, con il supporto improvvisato di un barattolino di bolle di sapone... chi le fa più grosse, chi ne riesce a fare una dentro l’altra... qualcuno le soffia, scoppiano, le rifacciamo ed ecco che il gioco diventa farle stare in aria più a lungo possibile. Si sventolano mani, si soffia, ci si scaglia per terra per recuperarla in extremis, di nuovo sventolamento e quando il gioco riesce, è Ennio Morricone a dettare la colonna sonora. In uno schom-schom rubato a “giù la testa”, le bolle restano sospese, si arrotolano su se stesse, riflettono nella superficie tremola le lacrime di chi ride tutto intorno. È di nuovo magia, e questa non se la scorderà nessuno ...Schom-schom! Ma le fatiche mica sono finite! Se la sera scioglie le tensioni in risate e cibo, durante il giorno le prove continuano a farsi ardue... ma sempre più belle. Lasciamo l’isola di Moskenesoy un mattino presto. Il ferry ci porta a Vaeroy, a un’ora e mezza di distanza dal gruppo di isole più consistente. È un mucchietto di case, con una montagna in fondo e una spiaggia dall’altro lato. È tutta qui... ma basta poco per capire che è diversa. L’atmosfera è diversa, come sospesa. Intorno all’isola il maelstrom si intravede in lontananza: due correnti si incontrano e creano nel mare differenti altezze (e questa volta per davvero). Dove siamo finiti? Saliamo sulla montagna, sotte le antenne di una base Nato. Oltre la base si dovrebbe aprire il sentiero che porta alla spiaggia, come ci ha precisamente indicato il preside della scuola locale. Dov’è il sentiero? Ha detto qui sotto. Qui sotto dove? Sotto le nostre suole si apre un percorso verticale a picco sulla scogliera ...ma anche no! Torniamo sui nostri passi. Il cielo si copre, l’ambiente si fa celtico. Il muschio muta i colori dal rosso al verde al bianco. Crea contrasto con l’azzurro prepotente del mare a strapiombo qui sotto. Siamo fuori dal tempo, in un non-luogo, e se non stiamo attenti, questo mondo rarefatto, questo scenario irreale, può pure risucchiarci. Troviamo finalmente il passaggio e con l’ultima delle pietraie di questa vacanza ci portiamo sull’altro lato dell’isola. Qui torna il sole, e dà voce ai gabbiani e alle onde, ci porta oltre le rocce e il muschio, su una spiaggia che potrebbe essere tranquillamente ambientata alle seychelles. E scalda, scalda davvero... in fondo, massì, perché non fare il bagno (un buon motivo potrebbe essere la mancanza di costume, ma si sa che i gruppi di trekker si aiutano tra di loro). Pochi passi su questa sabbia compatta... e siamo in acqua e siamo fuori. Persino più breve di quello nel laghetto di montagna, ma sufficiente a dire: “ho fatto il bagno nel mare del nord” o meglio “ho fatto il bagno nel mare del nord, oltre il circolo polare artico, alle isole Lofoten in Norvegia, dove ero il coach di un gruppo di trekker”.... deeeecisamente ganzo. Il sole sta calando e prosegue a calare per ore e ore, ma la luce è già quella del tramonto. La spiaggia crea effetti di controluce con le rocce che la movimentano, la luce si riflette nel mare, oscurandone l’azzurro ma restituendo bagliori, e nella poesia di questa sera che tarda, cosa c’è di meglio che tirare fuori una scatola di fagioli e scaldarla direttamente sul falò improvvisato? Trinità, ce ne è anche per te, bello! Nella sera che continua a calare, riprendiamo la via del rientro, costeggiando il mare col sole che scalda i volti e ci fa sudare. Per sentierini stretti, scendendo e risalendo alture, superando pietraie, sempre col mare a fianco e le onde che si frangono a pochi metri, in cielo i gabbiani non smettono di cantare ed è tutta una splendida colonna sonora per quest’ultima passeggiata nel calore del sole, nel verde delle lofoten. Poi è un attimo, quasi non te ne accorgi, e il sole va dietro una nuvola, ancora in cielo ma nascosto. Il caldo smette, i gabbiani si zittiscono, il mare si acquieta, la natura si spegne. Com’è successo? Rumore, musica, caldo e poi... silenzio. Il sole ha spento il mondo. E noi restiamo basiti a cercare di rapire nell’orizzonte il segreto di questa sincronia... ma non a lungo. A queste latitudini persino l’orizzonte è inquieto, e sembra quasi che ti si arrotoli verso. Sciogliamo l’atmosfera irreale di quest’isola in un camper di turisti tedeschi, che avrà il fegato di caricarci tutti per riportarci dall’altro lato dell’isola, pronti per una serata di spaghetti e biscotti al cioccolato. È un ottimo saluto alle isole, prima dell’ultima tappa di Rost, a due ore di traghetto da Vaeroy, dove una signora ci viene a prendere in barchetta per condurci al rorbuer, affascinante luogo di nidificazione di un’intera colonia di gabbiani (in gergo rinominato: “il cacatoio”... e colui che gli ha dato il nome, ne ha riportato le peggiori conseguenze). Scogli disseminati, per lo più disabitati, uno è diventato colonia italiana, come ci racconta con grande enfasi la padrona del rorbuer nel giro di birdwatching. (gli italiani sono riusciti a Lofoten 128 - Avventure nel mondo 1 | 2014 01 ............................................................................ ..... TREKKING | Norvegia colonizzare un sasso più piccolo del mio salotto... siamo sempre avanti!). I cormorani dai piedi di papera punteggiano di nero le rocce sbiancate dal guano, lasciando un pò di spazio a qualche gabbiano in vena di socializzazioni inter-razziali. Meno di compagnia l’aquila di mare, per lo più appollaiata su una roccia per piombare ad ali spiegate su qualche pesce di passaggio. Grande assente la pulcinella di mare, partita per le vacanze un paio di settimane fa... d’altra parte è fine stagione qui sulle isole. Ed è fine stagione anche per noi. La mattina dopo si sveglia il magone assieme a noi, nel risalire sul ferry che ci porterà in terraferma. È un giorno di splendido sole, ma le rocce di queste isole rimangono purtroppo alle nostre spalle. Resta ancora una carta a questa natura bizzarra, ed è proprio la terraferma a giocarla. È stata anticipata a Vaeroy, ma qui trova il suo massimo che ispirò ad Edgar Allan Poe il racconto che ne prende il nome (poi ripreso in un ottimo albo di Dylan Dog, peraltro): il maelstrom! All’incrocio di due fiordi, nel punto più stretto, due correnti si scontrano: nel mezzo l’acqua continua a scorrere verso il mare aperto, ma ai lati procede in senso opposto, ed è ribollire, e gorghi che si susseguono si spengono e si riformano, e cascatelle che si gettano una nell’altra e ancora ribollire da mettere in crisi le barche che ci passano in mezzo, o tutt’al più creare un divertimento da montagne russe ai turisti in gommone. È l’ultimo sguardo oltre il circolo polare artico. Il piano voli ci porta a Oslo e poi Varsavia, dove le emozioni sono cittadine e le suole degli scarponi si sentono a disagio sull’asfalto. La luce riprende un orario più consono, gli orizzonti sono nascosti dai palazzi, il verde è domato in aiuole ordinate... è tutto molto straniante, malinconico. Resta nelle centinaia di foto scattate quella natura imprevedibile e senza precedenti, fatta di una curvatura irreale del mondo, di una luce infinita e di colori primari nella terra e nel mare. Resta il ricordo di un posto magico, nella gioia di un’aurora boreale tagliata da un meteorite, e nella percezione di essere parte di un mondo rarefatto. ...resta nell’aria un caldo schom-schom, nella fredda sera del circolo polare artico. ...................................................................................................................................................................................................... TREKKING | Turchia Magie e Poesia...di Cappadocia Da un Cappadocia Trek gruppo Fossat Testo e foto di Bruno Fossat “E’ bello per tutti andar di magia, colori, profumi e molta allegria! A dir che poi, con forme strane ci si incrocia, sono i camini di Cappadocia! Basta partire e volar via nel magico cuore della Turchia! Un nuovo poeta all’orizzonte? Semplici versi in rima? Ricordi di un viaggio ricco di magia da raccontare in poesia? Forse niente di tutto ciò o forse di ciascuna cosa un po’! 01 Siamo tornati da circa un mese dal “Cappadocia Trek“, forti e intensi sono i ricordi del magico cuore di Turchia: la Cappadocia. Marilena, mia compagna e partecipante al viaggio, mi chiede: ti prego scrivi un articolo su questo viaggio, rispondo ok ma tua è l’idea, tuo l’onere di darmi uno spunto da cui partire, pochi minuti ed ecco i 3 versi con cui inizia questo articolo, che prontezza, dico, ...... ........................................................................... quella terra è così magica che ne sono ancora permeata, risponde. In effetti, anche chi ha al suo attivo una serie di viaggi, non può non restare colpito dalla Cappadocia, le sensazioni più forti e vivide, sia vissute in loco che rimaste dentro come ricordi, si possono sintetizzare in due parole: magia e poesia. La sintesi del programma di viaggio realizzato è il seguente: 23 mag --> voli Italia Turchia e trasferimento a Urgup 24 mag --> trekking valle Gomeda, lago Damsa 25 mag --> trekking valle Uzengi, valle Pancarlik, Hallac deresi 26 mag --> trekking tra i Camini delle Fate 27 mag --> trekking valle di Zemi, valle Baglidere 28 mag --> trekking valle Cat, Uchisar 29 mag --> Soganli, Derinkuyu, Guzelyurt 30 mag --> trekking valle Ilhara 31 mag --> Goreme, Sarihan, Mustafapasa 1-2-3 giu --> Istanbul 04 giu --> voli Turchia Italia Avventure nel mondo 1 | 2014 - 129