L`attualità del pensiero di Giuseppe Di Vittorio Le nuove generazioni

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L’attualità del pensiero di Giuseppe Di Vittorio
Le nuove generazioni sanno poco o nulla di Giuseppe Di Vittorio, certamente una delle personalità più
ricche e affascinanti espresse dal movimento sindacale italiano.
Questo incontro tra lo SPl-CGIL di Lecco e Foggia, due strutture sindacali: una del Nord e uno del Sud, si
fonda su un legame storico che ha visto la nascita e la morte di un grande dirigente sindacale, ed io
aggiungo di un grande Riformista di quei tempi.
Le nostre strutture si caricano di una grande responsabilità, nel far conoscere la straordinaria attualità
dell’impegno e del messaggio di Giuseppe Di Vittorio.
L’attuale contesto sociale, politico e culturale del nostro paese ci deve spingere a riprendere il messaggio di
Di Vittorio sulla cultura, sui diritti, sull’autonomia del sindacato, sulla onestà politica e dirittura morale in
particolar modo.
Io penso che la peggiore crisi che stiamo vivendo, sia da riferirsi proprio allo scardinamento della cultura
dalla società e le conseguenze sono evidenti, sia a livello politico sia a livello di rapporti sociali.
L’importanza di conoscere il mondo sindacale, la storia del movimento operaio, permette una reale
riflessione politica sul presente e sul futuro e questa riflessione deve tornare a essere elemento normale dei
cittadini, dei lavoratori e dei più giovani.
E’ questo il messaggio che la Cgil di Foggia, lo SPI e l’Associazione Casa Di Vittorio hanno inteso proporre più
volte alla riflessione pubblica in occasione dell’annuale ricorrenza della morte di Giuseppe Di Vittorio.
“Proprio i giovani e la cultura sono stati il tema attorno al quale si è voluto riflettere questa mattina nel
corso di un’iniziativa pubblica con gli studenti delle scuole di Cerignola”.
“Il rischio grave che corriamo è che venendo meno il legame tra sapere e l’accesso al mondo del lavoro, i
giovani possano essere portati a sottovalutare il valore della conoscenza, che in ogni caso è elemento
indispensabile del sapere critico e dell’esercizio personale e comune della cittadinanza.
Il pensiero di Giuseppe Di Vittorio, è che non basta che i diritti vengano riconosciuti, ma che tutti vengano
messi nelle condizioni di poter esercitare i propri diritti, e la condizione prioritaria affinché ciò avvenga è
proprio la cultura”.
“Il sapere e la cultura come strumento di riscatto sociale e di emancipazione sono stati architrave del
pensiero e dell’azione di Giuseppe Di Vittorio.
Per questo l’esercizio della memoria attorno al suo impegno non sono mai mera ritualità ma occasione di
riflessione e analisi rispetto all’attualità, alle sfide di oggi che devono essere dell’intero Paese, pena la
crescente esclusione sociale e il complessivo impoverimento economico e culturale”.
Ricordando in quest’occasione l’attualità del pensiero di Giuseppe Di Vittorio, contestualizzando ai giorni
nostri, mi piace porre tre questioni fondamentali che oggi noi tutti viviamo:
1. Ruolo del sindacato Confederale, come portatore di interesse generale Paese
Diceva Di Vittorio (alla III sottocommissione della Costituente), “Gli interessi che rappresentano e
difendono i sindacati dei lavoratori sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico o
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egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della nazione”. Il benessere
generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell’economia
nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del paese, oltre
che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti. Non è mai accaduto, e non può accadere ai liberi
sindacati dei lavoratori, di avere interessi contrari a quelli della collettività nazionale. Gli interessi
economici rappresentati rispettivamente dai sindacati dei lavoratori e da quelli dei datori di lavoro sono
entrambi legittimi, ma la loro portata non è uguale, nel complesso della vita nazionale, anche a causa
del numero incomparabilmente maggiore di cittadini rappresentati dai primi rispetto ai secondi. Per di
più, i sindacati dei lavoratori rappresentano interessi vasti e vitali della grande massa dei cittadini non
abbienti, che lo Stato democratico ha il dovere di difendere e tutelare.
Ne consegue che il concetto di pariteticità fra gli interessi rappresentati dai sindacati dei lavoratori e
quelli rappresentati dai sindacati padronali non corrisponde alla realtà ed è perciò da considerarsi
infondato e ingiusto.
Tutto ciò e scritto nella Costituzione Repubblicana, chi utilizza oggi gli SMARTFONE, che twitter, chi
utilizza le macchine non con i rullini, si possono informare e studiare, soprattutto chi ha giurato sulla
Costituzione.
Queste riflessioni di Giuseppe Di Vittorio alla (III Sottocommissione della Costituente nel 1946) è una
grande risposta a chi oggi considera il sindacato Confederale un arnese vecchio, una ferraglia del “900,
chi vuole confinare questo sindacato Confederale come la CGIL, solo come strumento contrattuale nei
posti di lavoro, e non come soggetto politico di contrattazione con il governo, con le Regioni e con gli
Enti Locali, per gli interessi generali dei lavoratori e pensionati e dei cittadini, ruolo che ha conquistato
questo Sindacato dalla Costituente ad oggi.
In questo senso è collegato anche al tema del Ruolo e autonomia politica del sindacato. Come attualità di
oggi del pensiero di Giuseppe Di Vittorio:
Perché, con la sua concezione dell’autonomia del sindacato, del sindacato come soggetto politico, ha
saputo indicare una prospettiva riformatrice in cui proposta e iniziativa di massa erano unite da un nesso
inscindibile, capace di vagliare la validità e la coerenza di ogni singola scelta politica in un processo
democratico che sfuggisse alle insidie del trasformismo, del leaderismo e del consenso passivo verso i
“capi”. Vedete compagni/e, L’autocritica che fece Di Vittorio a seguita alla sconfitta della Fiom alla Fiat nel
1955 ne è una testimonianza limpida. “ Diceva: “Anche se la colpa è al 99% del padrone, se c’è un 1% che ci
riguarda – disse al Direttivo della Cgil – è su questo che io voglio lavorare”. E quell’1% non era piccola cosa.
Si trattava di riappropriarsi dei problemi della condizione operaia anche attraverso nuove forme di
democrazia e rappresentanza sindacale. La stessa condizione che oggi noi vive con i lavoratori nelle
fabbriche che chiudono, le condizioni disumane del precariato che vivono i giovani.
Di Vittorio nel 1956 con I fatti d’Ungheria,
Le vicende ungheresi, oltre che per i riflessi enormi che ebbero nell'ambito del movimento comunista
internazionale, sono ricordate anche per la divaricazione nel giudizio politico che si manifestò nella sinistra
italiana tra comunisti e socialisti ed anche per il forte contrasto politico che si registrarono nell'ambito del
PCI tra il segretario nazionale Palmiro Togliatti e il capo della CGIL, Giuseppe Di Vittorio.
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Come è noto, nel 1956, Di Vittorio assunse insieme a tutta la segreteria della CGIL una posizione di
condanna, chiara e coraggiosa, dell'intervento sovietico, ribadendo che «il progresso sociale e la
costruzione di una società nella quale il lavoro sia liberato dallo sfruttamento capitalistico, sono possibili
soltanto con il consenso e la partecipazione attiva della classe operaia e delle masse popolari, garanzia
della più ampia affermazione dei diritti di libertà, di democrazia e di indipendenza nazionale»
differenziandosi in modo netto da Togliatti e dal resto del gruppo dirigente comunista. Per questo suo
giudizio fu fatto oggetto di pesanti attacchi da parte di Togliatti e del gruppo dirigente del PCI fino
all'insinuazione personale.
Le stesse cose che oggi il gruppo dirigente della CGIL e Susanna Camusso in prima persona sta subendo da
alcuni dirigenti del suo partito, come la sig.ra Picierno.
2. Questione che voglio ricordare e la condizione dei nuovi braccianti in Capitanata, e nel
Mezzogiorno – oggi come 100 anni fa
(Nell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali, 1908) scriveva:
Quale impressionante spettacolo queste torme emaciate di lavoratori! Chi ha avuto occasione di
passare per le vie di Foggia e degli altri centri della provincia, durante la stagione dei raccolti, è
certamente rimasto colpito dal vedere tanta povera gente (…) distesa sui marciapiedi o dentro stalle
ammonticchiata, per passarci la notte su miseri giacigli. E questo era il partito migliore. La maggior
parte, per evitare il lungo cammino mattutino e serale per e dal luogo di lavoro, preferiva passare la
notte in qualunque disagio. Di sera si assiepava qua e là, attorno a bracieri improvvisati, per fugare
le nuvole dense di zanzare vaganti per l’aria, presso qualche casa colonica, non senza pericolo di
infezioni e malattie.
Rileggendo quell’inchiesta parlamentare a distanza di 100 anni in alcune realtà non è cambiato
granché. I braccianti di colore vivono le stesse se non peggio le condizioni di 100 anni fa, nel
foggiano, (come nel ghetto di Rignano) nel Casertano, in Calabria, la stessa denuncia di qualche
giorno fa del Sindacato e delle donne polacche, rumene, che lavorano nelle Serre ortofrutticole di
Vittoria in Sicilia, oltre a vivere in condizione precaria, sono costrette anche a subire violenze
sessuale dai caporali e dai padroni.
Solo il premier Renzi ha decretato che in Italia non esistono più padroni, gli operai sono uguali e
hanno le stesse opportunità dei loro padroni. E il premier oltre alla pubblicità tipo alla ruota che gira,
dovrebbe veramente impegnarsi a lottare e rimuovere queste oscenità di questo secolo insieme al
Sindacato. Non so in quale pianeta vive questo Renzi.
Questo Sindacato, oggi oltre nel 1949 con Di Vittorio che lancio la sfida allo Stato, del Piano del
Lavoro, questa CGIL in questo secolo, l’anno scorso ha lanciato un nuovo Piano del Lavoro.
Il Piano del lavoro di Di Vittorio nel 1949, e quello lanciato l’anno scorso dalla CGIL, nasce con l'idea di
raccogliere e unire tutte le energie produttive per far sì che la fase della ricostruzione coincida con un
nuovo sviluppo del Paese. Non una trasformazione radicale dei rapporti di classe, dunque, ma un deciso
intervento pubblico per correggere gli squilibri sociali ed economici. E, per la CGIL, un modo di affermarsi
come sindacato di proposta e di lotta anche su questioni di carattere generale.
3. Terza e ultima riflessione che mi piace fare qui con voi, è la lettera che Giuseppe Di Vittorio scrive a
tale Preziuso, dipendente dell’aristocratico e latifondista Giuseppe Pavoncelli, cerignolano come Di
Vittorio.
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La lettera è datata 24 dicembre 1920. Fu diffusa e pubblicata nel 2008, durante le riprese cerignolane di
Pane e libertà. Lettera che abbiamo distribuito nei nostri congressi SPI in Capitanata.
Di Vittorio non era ancora il sindacalista di fama internazionale che anni dopo avrebbe diretto
l’organizzazione sindacale mondiale. Ma nella sua Cerignola si batteva senza requie per l’emancipazione dei
braccianti.
C’è da aggiungere che Di Vittorio aveva da poco imparato a leggere e a scrivere. Analfabeta come tutti i suoi
compagni braccianti, quando era ancora un ragazzo, aveva venduto la giacca pur di comprarsi un
vocabolario e imparare le stesse parole che conoscevano i padroni.
La data della lettera è indicativa. Siamo alla vigilia di Natale e Giuseppe Pavoncelli manda a casa Di Vittorio,
per il tramite di Preziuso, un regalo natalizio. Doveva essere particolarmente ricco: “Quel po’ di ben di Dio”
lo definisce il sindacalista.
Quando Preziuso giunge nell’abitazione del buon Peppino, questi non c’è. La moglie imbarazzata non sa
bene cosa fare. Comunque si fa lasciare il pacco. Appena rientrato a casa, Di Vittorio non ha dubbi. Quel
pacco avrebbe potuto permettere a lui, alla sua famiglia, ai suoi compagni un Natale più ricco, ma non se ne
parla neanche. Lo restituisce, non senza aver inviato al latore del pacco, il Preziuso, appunto, una lettera
che è un capolavoro di onestà politica e di dirittura morale.
È da notare che Di Vittorio non rimprovera Pavoncelli per il suo regalo. Non l’accusa di tentata corruzione,
anzi lo ringrazia, e già s’intravede la stoffa dello straordinario negoziatore che, dopo la guerra, sarebbe
riuscito a contrattare con il padronato e con il governo il “piano per il lavoro”, contribuendo in modo
decisivo alla ricostruzione e alla ripresa.
Accettare quel pacco non lederebbe l’onestà interna di Giuseppe Di Vittorio, che lo scrive a chiare lettere.
Ma, aggiunge Peppino, “è necessaria- e Lei lo intende- anche l'onestà esteriore.”
Una grande lezione non solo di onestà, ma anche d’intelligenza, e di pacatezza, da additare anche a quanti
cavalcano la questione morale senza orientarla a una politica che costruisca futuro. C'è un passaggio della
missiva che sembra fatto apposta per stigmatizzare certi comportamenti che sono diventati di ordinaria
quotidianità: "la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché- in gran parte- è fatta di
esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente- come il nostro -ghiotto di pettegolezzi più o
meno piccanti."
Il testo integrale che umilmente noi consegniamo a tutti voi, abbiamo intitolato la lettera per il nostro
congresso è quanto mai esemplare: La dignità della politica, questa lettera dovrebbero leggerla con grande
attenzione i politici, gli amministratori della cosa pubblica, i manager pubblici e privati, tutti coloro che
dirigono la cosa pubblica.
Ecco, con questa collaborazione che da oggi noi iniziamo tra lo SPI –CGIL di Lecco e Foggia, vogliamo,
continuare queste riflessioni e far emergere sempre più l’attualità del pensiero di Giuseppe Di Vittorio, tra i
delegati sindacali, tra gli studenti e l’università di Foggia, e Lecco anche nel futuro.
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