Alcune impressioni di Gino De Dominicis, Venezia, 15 giugno 1993, in «Giornale dell’arte, “luglio agosto 1993, in Gino De Dominicis, catalogo della mostra (Roma, Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, 30 maggio – 7 novembre 2010), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Electa, pp. 95-96. … La cultura occidentale oggi si identifica principalmente con linguaggi immateriali e in movimento e dimentica le arti maggiori, materiali immobili, mute e nate dal desiderio di contrastare la precarietà, la corruttibilità e la morte. Il “Capolavoro dell’arte” corrisponde infatti all’“immortalità del corpo”, niente a che fare con l’effimero quindi. Inoltre le opere d’arte visiva non partecipando della dimensione temporale sono tutte contemporanee. Data poi l’universalità delle arti visive, i concetti di intenzionalità e di multiculturalità sono impliciti. L’equivoco che esista un “mondo dell’arte” anziché un’Arte del mondo ha reso possibile il maldestro tentativo di voler togliere centralità all’opera d’arte e all’artista a favore di coloro che se ne occupano, non a caso alcuni premi della Biennale testé assegnati sono stati consegnati anche a non artisti, di questo passo alla prossima edizione premieranno anche il pubblico. Per quanto riguarda i debiti culturali dell’Occidente verso altre culture, il vero grande debito comune a tutte è con la civiltà originaria. L’arte viene poi scambiata con la cultura e viceversa, mentre l’arte è creazione e la cultura invece è il “racconto della creazione”. Anche il concetto di tempo viene rovesciato: l’arte contemporanea infatti è immaginata come arte giovane, moderna, mentre venendo dopo tutta quella che la precede dovrebbe essere la vera Arte antica. Ho notato alla Biennale un modo di esprimersi molto strano ma sintomatico di una mentalità di moda negli anni ’60-’70: invece di nominare le opere erano lodati gli spazi, le “sale”, gli “allestimenti”, e non a caso è stato premiato un padiglione al posto dell’artista che esponeva. Alla scorsa edizione hanno addirittura dato il premio della pittura ad uno scultore, premio della scultura a due fotografi, e circolava la voce che volessero dare il premio per l’architettura ad Alberto Moravia! Anche se fallimentare sembra persistere una mentalità antiArte che ha reso possibile tra l’altro un euforico protagonismo “creativo” di non artisti. Per sentirsi tutti artisti è stata anche sostituita l’opera d’arte con il problema dell’arte o con un astratto sentimento dell’arte, anzi l’arte non è più considerata opera dell’artista, ma un prodotto realizzato dalle componenti sociali che lo gestiscono… Adriana Polveroni, Per me è troppo inglese. Colloquio con Gino De Dominicis, L’Espresso, 13 giugno 1996, in Gino De Dominicis, catalogo della mostra (Roma, Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, 30 maggio – 7 novembre 2010), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Electa, p. 98 AP: … È stata importante per lei la lezione di Francis Bacon? GDD: HO sempre fatto a meno delle sue opere, mi ricordano un po’ troppo certe fotografie mosse e anche le inquadrature dei suoi soggetti hanno un taglio fotografico che non mi convince. Mi dispiace che Bacon non abbia mai fatto dei volti fermi, cosa peraltro molto più complicata che fare volti mossi. E d’altronde in una delle ultime interviste parlava di questo suo limite. AP: Lo riconosce comunque come un maestro? GDD: No, preferisco Ottone Rosai, che ho sempre pensato avesse influenzato Bacon. Recentemente ho avuto con piacere la conferma che Bacon conosceva benissimo le opere di Rosai e che lo considerava tra i maggiori pittori europei. Comunque Bacon rimane un buon pittore inglese… AP: E dove rintraccia la vicinanza tra Bacon e Rosai? GDD: Nella deformazione del volto e delle figure che accomuna entrambi. AP: Dell’attualità di Bacon che cosa pensa? GDD: L’essere attuale non è un probelma dell’artista, ma del pubblico. Frasi di Gino De Dominicis, 1969-1996, raccolte da Cecilia Torrealta, in XLVII Biennale di enezia, Venezia 1997, pp. 66-67, ora in Gino De Dominicis, catalogo della mostra (Roma, Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, 30 maggio – 7 novembre 2010), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Electa, pp. 99. È il pubblico che si espone all’arte e non viceversa. Oggi si crede che gli spazi deputati all’arte visiva abbiano il potere di compiere il miracolo di tramutare in opera d’arte qualunque cosa vi venga esposta. È sbagliato mettere sotto la riproduzione fotografica di un’opera d’arte il nome dell’artista. È il nome del fotografo che ha realizzato la foto che dovrebbe esserci. Non sono molto interessato all’arte moderna e neanche a quella antica. Preferisco quella prediluviana. Le mie opere spesso si sono rifiutate di partecipre alle grandi mostre. La fotografia non crea. Riproduce o interpreta l’esistente… Duccio Trombadori, Colloquio sulla contemporaneità (promemoria di fine secolo), in XII Quadriennale Italia 1950-1990. Ultime generazioni, Roma 1996, pp. 30- 33, ora in Gino De Dominicis, catalogo della mostra (Roma, Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, 30 maggio – 7 novembre 2010), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Electa, pp. 100-101. […] Oggi sembra essere di moda la multimedialità, lo sconfinamento e la contaminazione tra i linguaggi. In realtà vorrebbero mettere al posto degli artisti creatori la figura del “creativo”. Se mai è esistita una contaminazione tra i linguaggi è sempre stata in una sola direzione: i vari linguaggi “artistici” hanno sempre copiato o attinto alle arti maggiori. Quindi sono i linguaggi “creativi” che hanno deciso di farsi contaminare dalle arti maggiori e mai viceversa. La balorda idea di accostare alle arti maggiori linguaggi che nulla hanno a che fare con queste ha raggiunto il suo apice nelle ultime Biennali di Venezia, che passeranno sicuramente alla storia per la loro stupidità… Mi ricordo che alla fine degli anni Settanta, fenomeno unico nella storia dell’arte, notai la improvvisa comparsa di tantissimi artisti visivi con gli occhiali. Rimasi molto sorpreso, ma in seguito verificai che non erano pittori o scultori ma “artisti concettuali”. Non era la vista infatti, per i “concettuali”, ad essere il senso principale per la creazione dell’opera, come invece è per il pittore. Le loro realizzazioni infatti erano delle analisi sull’arte e sul “problema dell’arte”: Altra stranezza dell’epoca fu che galleristi “creativi” decisero allegramente di rendere disponibili gli spazi dell’arte visiva a qualsiasi linguaggio e a chiunque avesse qualcosa da dire… Oggi si tende a confondere l’arte con la cultura. L’arte è creazione. La cultura invece è il racconto o la rielaborazione della creazione. Pensare di creare un’opera d’arte citando o copiando opere d’arte già esistenti significa avere un rapporto solo formale con l’opera. Sarebbe come se nel futuro trovassero un telesivore e ne venisse copiata la forma senza conoscerne il significato o la funzione. Anche la copia di una scultura africana non potrà mai avere i poteri dell’originale. Pure in questo sta la differenza tra un’opera d’arte e un oggetto estetico… È anche sintomatico che i personaggi più in voga oggi siano i “curators” (organizzatori di mostre). Anche l’arte visiva è oggi percepita come tutt’altro da quello che principalmente è. Si è persa tra l’altro la conoscenza dei poteri dell’opera. L’oggetto d’arte visiva è un oggetto vivente e non è princiapalmente fatto per essere visto. Stare in un museo, per essere guardate, è una destinazione secondaria per le vere opere d’arte. In ogni caso è il pubblico che si espone all’opera d’arte, e mai viceversa. Il capolavoro dell’arte è antientropico… Non è mai esistito e non esiste un mondo dell’arte, ma solo opere d’arte nel mondo. L’arte riguarda il genio e il suo spazio è quello della verticalità: non si sposta orizzontamente da destra a sinistra, o viceversa, ma si muove, immobile, dall’alto verso l’alto. Come giustamente pensava anche mia zia. Marina Valensise, Contro i ciarlatani dell’arte, “Panorama”, 10 dicembre 1998, p. 233, ora in Gino De Dominicis, catalogo della mostra (Roma, Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, 30 maggio – 7 novembre 2010), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Electa, pp. 101-102. … L’arte visiva in passato serviva alle religioni, mentre oggi in Occidente si sta trasformando essa stessa in una religione. L’artista in questo caso sarebbe il santo, per il quale però non è indispendabile fare miracoli (opere d’arte), le gallerie sarebbero le chiese, i critici i preti, e le grandi mostre internazionali i concili, dove s’aggiorna volta per volta la dottrina, secondo la volontà dell’organizzazione in veste di Papa. …