NEW MEXICO, DA O’KEEFFE A CHAPPELL IL DOPO RATZINGER BICI DELINQUENTI THE DOORS, UN LIBRO PRIMI INCONTRI ROCK SABATO 7 SETTEMBRE 2013 ANNO 16 N.35 LA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2013 PROVA A SCROLLARSI DI DOSSO L'ETERNA FAMA DI CITTÀ CRIMINALE. TORNANO IN VITA QUARTIERI STORICI, APRONO NUOVI MUSEI, LA NOTTE SI ILLUMINA DI MUSICA E DI GENTE SAPORE DI MARSIGLIA (2) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 MARSIGLIA 2013, L’EUROPA DELLA CULTURA GRAND TOUR di LUCIANO DEL SETTE MARSIGLIA ●●●Il simbolo più evidente della volontà di cambiare, quello sotto gli occhi di tutti, a cominciare dagli occhi dei turisti, è l’enorme parallelepipedo del Mucem, il Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée. Realizzato dall’architetto Rudy Ricciotti, insieme al Centre de conservation e des ressources firmato da Corinne Vezzoni occupa una superficie di ventiseimila metri quadri. La griglia nera che in parte lo avvolge, le immense vetrate che ne delimitano gli spazi, il mare su cui affaccia, la spianata J4 che lo circonda, concorrono a rafforzare il suo ruolo di scenografia spettacolare di Marsiglia 2013 Capitale Europea della Cultura. Ma il Mucem, fisicamente parte dell’area del Vieux Port, è solo una fra le realizzazioni compiute o in fase di completamento all’interno delle tre Zac, le Zones d’Aménagement Concertées (Zone di sviluppo concertate). Le Zac stanno cambiando il volto del centro della città, con il recupero di strutture già esistenti e la costruzione di nuove; la riqualificazione di arterie e zone nevralgiche. Il tutto, 418 gli ettari urbani interessati, è stato avviato nel 1996, grazie ai finanziamenti del progetto Euroméditerranée erogati dall’Unione Europea a dodici Paesi del Mediterraneo, e a quelli di gruppi e istituzioni privati. La Zac Uno, Cité de la Mediterranée, tra Vieux Port e Arenc, comprende, oltre al Mucem e al restaurato Fort San Jean, cui è collegato da una passerella, il Boulevard du Litoral, cioè l’esplanade de la Major, la nuova stazione marittima, le Terrazze del porto, i Dock, l’Euromed-Center, il Silo, i 1500 nuovi alloggi del Parc Habité. La Due, Joliette, tra il porto e il centro Le foto che illustrano il servizio su Marsiglia sono di Roberta Vozza Dando le spalle a Parigi, la capitale della Provenza si racconta con il Vecchio Porto, i vicoli del Panier, il liberty della Canebière, la vita «bobo» di Cours Julien. Protagonista assoluto il grande melting pot della sua popolazione Allons enfants, il giorno è arrivato di Marsiglia, sarà il quartiere degli affari, con uffici ricavati dalla ristrutturazione di edifici d’epoca e la realizzazione di strutture ex novo. La Tre, Saint-Charles-Porte d’Aix, ha il suo cuore nelle vecchie manifatture di tabacco, a Belle de Mai, in dirittura d’arrivo per diventare un centro culturale di 120mila metri quadri, articolato su tre poli: il primo raggruppa gli archivi municipali, i fondi del Museo di Marsiglia, un centro internazionale di restauro di opere d’arte; il secondo ospita studi televisivi, dove si gira anche la soap opera di nascita marsigliese amata da tutta la Francia, Plus belle la vie, in onda su France 3; infine, il polo dello spettacolo, gestito dall’associazione Système Friche Théâtre e pensato per i professionisti del settore. Tutto questo, Mucem e Fort Saint Jean, a parte, sfugge o si mostra appena, senza suscitare particolare interesse in chi, francese o straniero, approda a Marsiglia cuore culturale d’Europa per un anno. Ulteriore «ombra» la gettano il cartellone degli spettacoli, delle performances, delle mostre, che continuerà a sgranare titoli e nomi fino a gennaio 2014; le installazioni, gli eventi di un giorno o di una notte, i concerti, che si susseguono in un cantiere di avvenimenti rivolti a tutte le tasche e a tutte le fasce di pubblico. L’ufficio del turismo, sulla Canebière, registra affollamento perenne. Ma intorno a tutto questo c’è una città con due millenni e mezzo di vita alle spalle, le radici affondate nelle civiltà greca e romana, porto di commerci, da sempre approdo di razze e di credo religiosi diversi. Ma intorno a tutto questo, c’è una città offuscata da un marchio di criminalità e malavita, che si ripropone nelle cronache quasi fosse una maledizione impossibile da esorcizzare. Ma intorno a tutto questo c’è una città che, fuori dal suo ruolo temporaneo, manda nuovi segnali, a volte non privi di contraddizioni; mette a rischio o trasforma troppo di fretta una parte del suo passato; esibisce un volto da Giano bifronte quando, appena alle spalle di un’infilata di palazzi della borghesia ottocentesca, rivela una topografia sociale di vie e di case abitate da un popolo fatto di clochard, i barboni, di extracomunitari costretti all’arte di arrangiarsi, di negozi e bar poveri. È la Marsiglia che l’estraneo, francese o straniero, vive, vede, sfiora comunque lungo i suoi percorsi. È la Marsiglia che nessun cambiamento riuscirà davvero a mutare. I passi del suo cammino, da secoli, si muovono su un filo sospeso. Restare in equilibrio è esercizio reso difficilissimo dalla necessità di scrollarsi di dosso una brutta fama e dal contrappeso di un’anima comunque impossibile da rinnegare. Spesso, Marsiglia viene paragonata a Napoli. Sono, però, paragoni superficiali: i panni stesi al vento tra le facciate di due case, lo spirito meridionale della gente, i rifiuti (dramma microscopico rispetto alla capitale campana) ammassati intorno ai cassonetti, la trascuratezza che aleggia. Marsiglia somiglia a Napoli ben più nel profondo. Al pari di Napoli, il sogno della rinascita di Marsiglia cozza contro una realtà che definire complessa non basta, le fiammate di speranza nascono e si spengono, le generazioni di domani cercano di guardare lontano trattenute da ancore incagliate in mezzo agli scogli della distanza non solo fisica con Parigi e altre mecche dell’Europa giovane. Marsiglia, sia detto fuori dal benché minimo disprezzo, anzi, è una città slabbrata fuori e dentro, come Napoli. Ed è proprio questo aggettivo a definirne il fascino e la forza attrattiva, la complessità dei suoi codici di vita, il disordine dei fatti e delle idee in continuo fermento. Tra il Mucem e il Port Vieux Nuovo e antico, oggi e, forse, domani. Su questi sentieri occorre andare, seppure guardando dal finestrino privilegiato del passeggero estemporaneo. Partenza obbligata dal Mucem. Del suo indubbio effetto spettacolare si è già detto. Vale la pena annotare che una delle due esposizioni permanenti, La galerie de la Mediterranée, dedicata ai quattro elementi unificanti della Civiltà Mediterranea (invenzione dell’agricoltura, nascita dei monoteismi, cittadinanza e diritti ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 SCEGLIERE IL TRENO ●●●Il sito voyages-sncf.com è distributore on line della compagnia nazionale ferroviaria francese Sncf, per l’acquisto di biglietti su destinazioni francesi ed europee. L’offerta comprende i treni circolanti in Francia (TGV, iDTGV, Intercités) e i treni internazionali (TGV Italia-Francia, TGV, Thalys, Eurostar, Elipsos, TGV Lyria, TGV Spagna-Francia, CityNightLine, Italo), che consentono di viaggiare ad alta velocità in tutta Europa. Nella sezione «Calendario prezzi» è possibile individuare, con tre mesi di anticipo rispetto alla data di partenza, i giorni in cui acquistare i propri biglietti usufruendo di tariffe vantaggiose. SEGUE A PAGINA 4 CRIMINALITÀ E PICCOLA DELINQUENZA Non solo gialli e serie tv, benvenuti nel laboratorio delle strade violente di ANNA MARIA MERLO PARIGI ●●●Sono stati i parigini a battezzare La Marsigliese «Il canto di guerra dell’esercito del Reno» (scritto a Strasburgo da Rouget de Lisle dopo la dichiarazione di guerra del re di Francia all’Austria e diventato ufficialmente l’inno nazionale per decisione della Convenzione nel 1795) perché cantato da rivoluzionari della città del sud saliti nella capitale nelle giornate delle Tuileries del 1792. Un omaggio che illustra una lunga storia di amore-odio tra la capitale e la seconda città di Francia, spesso soffocata sotto i cliché che oscillano tra gli affreschi letterari di Marcel Pagnol e il Marsiglia bashing che imperversa nei media, denunciato ancora in questi giorni dai politici locali, che non vogliono far rinchiudere l’immagine della città nel solo perimetro delle preoccupanti statistiche della delinquenza. L’immagine della città Durante la stagione estiva, ad esempio, il costo di un’andata in seconda classe sulla linea Milano-Torino-Chambéry-Lione-Parigi partiva da 29 euro. Nella sezione «Offerte», il sito propone viaggi a diversi livelli di budget, con particolare attenzione alle formule di maggior convenienza economica. Voyages-sncf.com è accessibile anche tramite smartphone e relative applicazioni. Rispetto all’aereo, i tempi di un viaggio in treno, il mezzo scelto da chi scrive, sono senza dubbio più lunghi. Ma presentano alcuni vantaggi quali le partenze senza levatacce, l’arrivo nel centro delle città o nelle immediate vicinanze, le valigie senza problemi di peso al check-in, il finestrino da cui guardare i paesaggi. Una scelta che richiama gli spostamenti ‘slow’ e che invita subito a rilassarsi. l.d.s. politiche dell’essere donna e uomo nell’area mediterranea. Manichini, manifesti, capi di abbigliamento, ex voto, campionari di anticoncezionali, si alternano a spazi come quello in cui è possibile ascoltare il «dizionario» mondiale degli insulti rivolti alle donne e agli omosessuali. Dal Mucem, il panorama del Vieux Port inchioda lo sguardo. Gli alberi nudi delle barche scompongono l’azzurro del mare e la sagoma del forte gemello di Saint Jean, Saint Nicolas. Notre Dame de la Garde, chiesa per eccellenza di Marsiglia, si prende una piccola porzione di cielo sulle colline rocciose e calve. Lungo il Quai du Port e il Quai de Rive Neuve, a destra e a sinistra guardando l’imboccatura del porto, vent’anni fa, con il buio, ti sconsigliavano caldamente di avventurarti. Questioni di marinai e malviventi, di traffici di puttane e di altre cose nascoste da molte oscurità. Adesso, il Quai du Port è tanto inoffensivo quanto omologato. I ristoranti, le brasseries, i fast food appena più eleganti della norma, sgranano uno dopo l’altro insegne e ombrelloni, menu del giorno e tavolini. I turisti si affastellano, studiano i prezzi, esitano, decidono, si sventolano con una mappa per trovare sollievo al caldo; si accalcano per comprare souvenir alcolici alla Maison du pastis, i Santons (le statuette di Natale di cui la città è inventrice), il sapone famoso in tutto il mondo e i suoi derivati. E allora vale provare una camminata sull’altro Quai. Le cose vanno meglio. L’atmosfera un po’ dimessa, i bar meno glamour e le rosticcerie alla buona, la presenza di molti marsigliesi suggeriscono che da questa parte del porto si è meno convinti di un cambiamento così radicale. In fondo al cortile di case sbrecciate aprono i loro battenti piccoli teatri off con annessa caffetteria. Puoi farci sosta per mangiare a pranzo in cambio di un conto sotto i dieci euro, o per una cena più spettacolo. Samir, animatore del minuscolo Théâtre Tati, filosofeggia «Quelli dell’altro quai spennano i turisti che lo vogliono. Io do loro da mangiare per far vivere. prima di tutto, il mio teatro. E sono contento così». dell’uomo, esplorazioni oltre il mondo conosciuto) sembra aver sofferto di una certa fretta nell’allestimento per arrivare puntuali al 2013. Il percorso è confuso, la qualità dei pezzi lascia non di rado a desiderare; i cartellini esplicativi senza protezione sono, a pochi mesi dall’apertura, semi cancellati dal contatto con mani e fondoschiena del pubblico. Assai più attraente Le temps des loisirs, in parte allestita dentro il Forte San Jean, che racconta arti e tradizioni del Mediterraneo in tema di teatri delle marionette, circo, feste, danze e musiche popolari, seguendo tre percorsi tematici: le età della vita, le feste del calendario, l’invenzione del divertimento. Decisamente di richiamo le mostre temporanee, molte delle quali si esauriranno soltanto a fine autunno e a inizio 2014. Due sono da segnalare in particolare: Le Noir et le Bleu, un rêve méditerranée, dedicato al concetto di civiltà, alla sua evoluzione in chiaroscuro a partire dal diciottesimo secolo e al sogno dell’esotismo attraverso le opere di pittori e scrittori. Au bazar du genre, féminin/masculin en Méditerranée indaga le trasformazioni sociali, culturali, continua ad oscillare tra gli estremi. Ha successo da anni la serie televisiva Plus belle la vie, girato a Marsiglia e diffuso su France 3, che veicola con tutti i cliché della città del sud, generosa e umana. Si va dalla melanconia dei gialli di Jean-Claude Izzo alla durezza di Putains de pauvres!, di Maurice Gouiran, un altro giallista marsigliese che mette in scena la sua città. Solo tre ore e un quarto separano Parigi da Marsiglia in Tgv, ma la capitale si sente mille miglia lontana dalla seconda città di Francia. Al di là delle tradizionali rivalità che si esprimono soprattutto negli scontri che accompagnano le partite Psg-Om Marseille, Parigi preferisce voltare le spalle a Marsiglia, per evitare di essere messa di fronte a una sgradevole evidenza: tutti i problemi nazionali si presentano ingigantiti nella città del sud, temuta come un laboratorio negativo che potrebbe prefigurare un futuro poco piacevole in mancanza di una reazione politica adeguata. E a Marsiglia è più difficile nascondere i problemi che a Parigi, avverte il sociologo Jean Viard: «A Marsiglia non c’è un centro bianco e una periferia di colore come a Parigi». Il tasso di disoccupazione è il doppio della media nazionale, la polizia afferma che il traffico di droga è il primo datore di lavoro della città, più di un quarto degli abitanti vive sotto la soglia della povertà, nei quartieri nord, i più popolari, il tasso di assenteismo nelle scuole medie è del 25%. Dall’inizio dell’anno ci sono stati 14 omicidi nelle strade della città. L’anno scorso ce n’erano stati 24. Il primo ministro, Jean-Marc Ayraut, accompagnato da ben sei ministri, si è recato a Marsiglia il 20 agosto, per promettere risposte alla crisi, con interventi a favore di casa, scuola, occupazione. La scorsa primavera, con l’avvio delle celebrazioni dell’anno di Marsiglia capitale della cultura europea e la sequenza di inaugurazioni, dalla Villa Méditerranée al Mucem, dalla ristrutturazione del Fort Saint-Jean ai numerosi interventi urbani destinati a mostrare un nuovo volto della città, un primo passo è già stato fatto per trasformare il volto di una città governata da 18 anni da Jean-Claude Gaudin, senatore-sindaco Ump, a cui si contrappone un’opposizione socialista impelagata negli scandali locali. (3) GERENZA Il manifesto direttore responsabile: Norma Rangeri a cura di Silvana Silvestri (ultravista) Francesco Adinolfi (ultrasuoni) in redazione Roberto Peciola redazione: via A. Bargoni, 8 00153 - Roma Info: ULTRAVISTA e ULTRASUONI fax 0668719573 tel. 0668719557 e 0668719339 [email protected] http://www.ilmanifesto.it impaginazione: il manifesto ricerca iconografica: il manifesto concessionaria di pubblicitá: Poster Pubblicità s.r.l. sede legale: via A. 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Salendo dal Quai du Port verso il Panier, ti accorgi passo dopo passo che è proprio così. Con l’eccezione della cinquecentesca Maison Diamantée (Casa dei Diamanti), nome che deriva dalle bugnature della sua facciata, e del coevo Hotel de Cabre (il Palazzo di Giustizia) all’angolo di Rue Bonnetterie con la Grand’Rue, gli altri edifici contano pochi secoli di storia: meno di tre il Padiglione Daviel e l’Hotel Dieu nelle forme architettoniche arrivate a noi, quattro l’Hotel de Ville. Eppure fu qui che alcuni marinai greci fondarono nel 600 a.C. Focea, in omaggio alla città da cui provenivano. Scelsero come luogo di insediamento l’area di una baia che chiamarono Lacydon, dove avviarono le loro attività. La baia era dominata da tre modeste alture, battezzate assai dopo butte Saint Laurent, butte des Moulins e butte des Carmes. Sulle buttes Saint Laurent e des Moulins sorsero un tempio dedicato ad Apollo Pizio e ad Artemide, l’attuale Place de Lenche era l’agorà; nel VI secolo a.C., tre metri più in basso rispetto al livello della Grand’Rue di oggi, correva l’arteria commerciale della città. Le alture accolsero le abitazioni di una Focea in continua espansione. Poche briciole di quel passato, e del successivo dominio romano, sono tornate alla luce. Il resto è sepolto per sempre sotto gli strati di interventi urbani condotti senza alcun rispetto della memoria. David Crackanthorpe, nel suo Marsiglia. Ritratto di una città, afferma: «I marsigliesi hanno sempre ricostruito sulle rovine demolite del passato, conservando poco e spesso incuranti del prestigio architettonico e della storia, come se la loro vitalità fosse troppo grande per aver bisogno di antecedenti». In quella che poi divenne la Città Vecchia vissero a stretto contatto ricchi e poveri fino alla seconda metà del ’600. Data ad allora la prima radicale demolizione, voluta da Luigi XIV. Furono abbattute le mura e creata, ad est, la nuova Marsiglia, con vie e viali disegnati seguendo l’ordine di un progetto. Borghesi e patrizi vi si trasferirono, i plebei rimasero a vivere sempre peggio sulle buttes. In pieno Secondo Impero, un altro colpo di scure arrivò dall’apertura di un collegamento (Rue Imperiale, poi Rue de la République) tra il porto e gli edifici dei nuovi dock. Una fetta della butte des Carmes, nel quartiere battezzato Panier e negli immediati dintorni, venne mutilata, e centinaia di abitazioni rase al suolo, provocando l’esodo forzato di oltre sedicimila persone. L’etimologia del nome Panier rimane incerta: la presenza di una locanda in Rue du Panier, una statua della Madonna con in mano un paniere in cui la gente buttava una moneta, l’insegna di un bordello dove si lasciava il denaro dentro un cesto all’esterno prima della prestazione. Quel che è sicuro, per restare ai bordelli, è che il Panier, a metà dell’800, rappresentava uno dei punti di riferimento consolidati della prostituzione sulla costa mediterranea. E insieme il quartiere della città con il maggior numero di chiese. Affaristi, politici e benpensanti tentarono a più riprese di demolirlo, ma per una ragione o per l’altra, i nefasti progetti rimasero nel cassetto. Ci pensarono Wermacht e SS il 23 gennaio del 1943. Il Panier era considerato un covo di partigiani, di ebrei e di spie, reso inaccessibile dall’intrico e dall’oscurità delle vie; la sua popolazione multietnica e proletaria costituiva un vero e proprio affronto alla purezza della razza ariana. Il bilancio del bombardamento dei quartieri vecchi, durato 17 giorni, si chiuse con seimila arresti, seicento deportazioni senza ritorno, quarantamila sfollati e quattordicimila ettari di rovine nelle vicinanze del porto. Quel che restava del Panier, compreso lo splendido complesso secentesco della Vieille Charité, fu per decenni lasciato a se stesso. Alla storia del Panier e dell’immigrazione italiana e corsa, fatta di uomini e donne che lavoravano al limite estremo della fatica, appartiene anche la mafia di Marsiglia, che negli anni ’20 elesse le buttes a suo nucleo strategico e operativo. Paul Carbone, classe 1894, figlio di analfabeti, arrivò dalla Corsica su una nave di contrabbandieri ed entrò nel clan a passi rapidissimi. François Spirito, classe 1900, scese al porto da Napoli insieme ai genitori, costruendosi in una manciata di anni un’invidiabile carriera criminale. Ma il titolo di re della malavita locale spetta a Gaetan Zampa, nato in una via del Panier nel 1933, da una famiglia di origine napoletana. La sua maturazione professionale avvenne a Parigi; Marsiglia, dal 1964, fu teatro d’azione che lo vide boss di vie nevralgiche per la riscossione delle tangenti, il traffico di droga, la prostituzione. Morì nel 1984, suicida in carcere, mentre In quella che poi divenne la Città Vecchia vissero a stretto contatto di gomito ricchi e poveri, almeno fino alla seconda metà del XVII secolo attendeva il processo cui non era riuscito a sfuggire. Solo in anni recenti si è compiuta, e in parte è ancora in corso, la riqualificazione del Panier e della Charité. Divide in due la Montée des Accoules, così chiamata per la piccola chiesa del 1100, demolita nel 1794 e poi ricostruita, un mancorrente cui si aggrappano frotte sempre più fitte di stranieri. Il quartiere è incantevole, la sua storia la raccontano cartelli ben collocati, la maggior parte delle case ha recuperato dignità grazie ai restauri e ai colori pastello delle intonacature, le targhe delle vie richiamano mestieri e persone del luogo, la topografia intricata spinge a svoltare ogni angolo nel timore di lasciarsi sfuggire qualcosa. Ma l’aria sta cambiando. Ed è aria di un eccesso di sfruttamento turistico, che rischia di portare il Panier a fare la fine di Trastevere. I locali con déhors nei punti strategici, le gelaterie fuori luogo esteticamente, le boutiques e i negozi di souvenir, stanno oscurando le gallerie d’arte e gli atelier aperti quando il Panier era lontano dall’essere di moda. All’inizio della Montée des Accoules, la birra Cagole ha aperto un suo punto vendita: bottiglie e lattine, accanto a un’infinità di gadget tra bicchieri, vassoi, grembiuli, scatole di latta, targhe, che hanno per soggetto il dipinto di una bruna e provocante cagole (ragazza dal comportamento per così dire spigliato), fasciata in un abitino succinto, sopra di lei la scritta «La bière du cabanon. A boire bien glacée». Frutto di un’idea di marketing ironica e divertente, che gioca con i ricordi dei vecchi bar portuali, la birra sta riscuotendo un notevole successo. Guarda caso da parte dei turisti e non dei marsigliesi, che continuano a preferirle la bionda e corsa Pietra. Altro segnale allarmante è la speculazione edilizia. Per esempio la conversione in stabile residenziale, avviata da un’impresa privata, di uno dei due antichi mulini, superstiti dei quattordici che erano in funzione nella Place des Moulins. Uno degli angoli più belli del Panier. In Place de Lenche, ex agorà, è una fatica passare fra i tavolini dei ristoranti che l’hanno letteralmente sepolta. Perduta Canebière Si scende dal Panier per risalire la Canebière, arteria nata dagli interventi di Luigi XIV sulle macerie di un centro di fabbricazione e commercio della canapa. La sua progressiva importanza portò via via ad allungarne il tracciato, fino a superare il chilometro di lunghezza. Dal 700 ai primi decenni del 900, la Canebière, dove nel 1860 aveva aperto la Borsa, fu il cuore del commercio marittimo; il regno dei negozi eleganti, dei caffè alla moda, dei ristoranti e degli hotel d’élite. L’avvento dell’aereo spense in una manciata di anni le ciminiere delle navi, e avviò un declino inarrestabile. La Canebière divenne triste, sordida, pericolosa dopo il tramonto; l’abbandono trasformò in fantasmi le statue ornamentali sulle facciate dei palazzi. Le riqualificazioni avviate a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, hanno prodotto risultati stridenti come i tre edifici di diciotto piani che incombono sul Jardin des Vestiges di Cours Belsunce. Annota Crackanthorpe: «Un tentativo di pulizia, investimento e recupero è ancora in fase iniziale, ed è già chiaro... che non potrà essere che la diffusione di un affarismo popolare più cospicuo e più sgradevole...». Per contro, non pochi palazzi sono stati restaurati, la pavimentazione della strada rifatta, un po’ovunque ci sono cantieri aperti. Quanto ai negozi d’epoca, i pochi sopravvissuti puntano tutto sui turisti. Gli altri esibiscono i marchi globalizzati dello shopping, salvo quello dedicato alle glorie calcistiche dell’Olympique Marseille. Rivivere per un attimo la Canebière sfarzosa e scomparsa è impresa possibile, che si compie al numero civico 53. L’Hotel du Louvre et de la Paix, 250 stanze, due ristoranti e due saloni, è adesso sede dei grandi magazzini di abbigliamento C&A. A sinistra e in fondo al primo ambiente, dietro una porta a spinta, si aprono i due saloni dell’hotel. Gli adesivi incollati agli specchi barocchi, gli appendiabiti, i mucchi di scatoloni, divengono invisibili di fronte allo spettacolo di lampadari, mobili, scaffalature, divani, poltrone, soffitti intarsiati, pavimenti in legno, tappezzerie e damaschi, che si polverizzano giorno dopo giorno. Facile il richiamo all’hotel di Shining. Difficile spiegarsi perché la proprietà dei C&A lasci morire lentamente queste meraviglie, e nessuna pubblica autorità intervenga. Resta da raccontare il popolo di migranti che, della Canebière, è divenuto un tratto distintivo dopo la fine della guerra di Algeria. Al rimpatrio dei coloni seguì una prima ondata di immigrazione nordafricana, cui si è aggiunta e continua ad aggiungersi gente dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe, dall’Est Europa. Sono loro i «veri» abitanti delle vie alle spalle, prima fra tutte Rue des Capucins con il mercato e i negozi che vendono infinite varietà di riso, di spezie per carni e verdure, di scatolame, saponi da Aleppo, riviste rosa d’Oriente. Saladin è segnalato sui depliant dell’Ufficio Turistico, ma al padrone non sembra importare granché. Lui serve tutti SCAFFALI IN LIBRERIA David Crackanthorpe, prima e dopo il viaggio IL LIBRO: David Crackanthorpe, «Marsiglia. Ritratto di una città» (edizioni Odoya, pp. 275, 18 euro). Crackanthorpe ha vissuto lungamente a Marsiglia, innamorandosene senza riserve. Il libro racconta la città partendo dalle origini, per poi compiere un cammino che tocca la crescita e lo sviluppo, i commerci, i cambiamenti urbani, la società e la politica, le arti, la cultura, l’immigrazione, la criminalità. Non ci troverete gli indirizzi e gli itinerari di una guida turistica e, invece, come da sottotitolo, il ritratto di un luogo che va capito nella molteplicità dei suoi contenuti. Leggerlo prima di partire aiuta a mettersi nei panni di Marsiglia. Rileggerlo, una volta tornati a casa, mette la giusta dose di nostalgia. l.d.s. ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 PER LA MUSICA TUTTI AL LOLLIPOP Le foto che illustrano il servizio su Marsiglia sono di Roberta Vozza. Sotto, a destra, Raf Vallone e Andrea Ferreol in «Rétour à Marseille» di René Allio ●●●Lollipop, 2 Boulevard Thurner, all’angolo con Rue del Bergers, quartiere Cours Julien, è il punto di riferimento musicale della città. Oltre a spaziare, con CD e vinili, tra i generi più diversi, funziona da caffè -bar e spazio culturale. Nel reparto dedicato agli artisti marsigliesi, seguendo i consigli di Paul, potrete far vostri album da noi introvabili. Voci femminili in ascesa sono Les Poulettes, cinque complici che suonano acustico, compongono, fanno divertire con il loro sguardo di donne puntato sulla società. Ultimo disco Coup de lune. Le Belladonna 9ch, duo in attività dal 1989, partendo dal funk rock sono arrivate a coniare un genere che hanno BAEDEKER MARSIGLIESE La miglior bouilleabaisse e la giusta dose di pastis ●●●MUOVERSI: due sono le linee di metropolitana, tram e bus in superficie. Il costo del biglietto è di 1, 50 euro, ma cala acquistando carnet e tessere giornaliere. CITY PASS: tessera valida 24 o 48 ore, al costo di 22 e 29 euro, che dà diritto a circolare su tutti i mezzi pubblici; all’ingresso gratuito o scontato nei musei, a sconti nei negozi convenzionati. Si acquista presso l’Ufficio del Turismo, 11 La Canebière. Molto ben fatto è poi il sito marseille-tourisme.com. Sito del turismo francese in Italia franceguide.com MARSIGLIA GAY: Gaymap è una mappa gratuita della città corredata da indirizzi di bar, ristoranti, alberghi, saune, negozi, spiagge gayfriendly, marseillegaymap.fr DORMIRE: infinite le possibilità tra hotel e B&B. Sul sito del Turismo c’è un’apposita sezione di ricerca. Una doppia al Mama Shelter (rue de La Loubière 64, mamashelter.com), prima colazione inclusa, costa 69 euro. Rapporto qualità/prezzo ottimo, va prenotato però con largo anticipo. MANGIARE: da evitare sono tutti i ristoranti e le brasseries del Quai du port, luogo molto turistico e anche i locali nelle zone di maggior richiamo. Lo stesso il Panier, ormai, non è esente da trappole. Gli indirizzi forniti qui di seguito, sperimentati di persona, si riferiscono soprattutto alla zona di Cours Julien, facilmente raggiungibile in metro. Prezzi tra i 18 e 25 euro a testa con una birra o un mezzo litro di vino della casa. Eccoli. Adonis du Liban, 12 rue des Trois Rois, 04/91480014, cucina libanese di ottimo livello, titolari simpaticissimi; Lan Thai, 13 rue Vian, 04/91372230, cucina thai eccellente, solo contanti; Le corto, 24 place Notre Dame du Mont, 04/91531950, lecorto.com., menu di mare e di terra, alcune portate arrivano dentro barattoli di vetro caldi; Les Trois Rois, 24 rue des Trois Rois, 04/91534484, raccomandato per la felice unione tra piatti francesi e ricette orientali; O’ Pakistan, 11 rue des Trois Rois, 04/91488710, opakistan.fr, piatti dall’India e dal Pakistan preparati con materie prime freschissime; Les mots des thés, 92 Cours Julien, 04/91586820, solo a pranzo, il posto giusto per un pasto veloce, proposte raffinate a prezzi onesti; Café Theatre Tatie, 19 Quai de Rive Neuve, in un cortiletto, menu semplice, da consumare anche la sera assistendo a uno spettacolo; L’Evêché, 5 rue de l’Evêché, 04/91905611, vecchio ristorante del Panier, bouilleabaisse a meno di 30 euro a testa, prezzo che garantisce pesce fresco e sapienza di preparazione. BERE: ovunque troverete tavoli per sorseggiare dal vino al pastis, dal rum al cocktail. In Cours Julien: Id Fixe, La rhumerie, Café Vian, La butte rouge, Au vin sur zinc. Il bar de la plaine, 57 place Jean Jaurès, è il ritrovo dei tifosi dell’OM. Al bar del Mama Shelter, oltre 30 varietà di Pastis, alcune introvabili in Italia. l.d.s allo stesso modo, il turista non merita la precedenza e neppure la fatica di un sorriso ruffiano. La gente di Cours Ju Dove sono i giovani; dove si incontrano, creano, parlano di un domani difficile anche a Marsiglia? La risposta è Cours Ju, consueta abbreviazione alla francese di Cours Julien. Sulla Plaine, la parte alta della città, in Place Jean Jaurès, i crociati piantavano i loro accampamenti prima di partire verso Gerusalemme. Al Bar de la plaine piantano ogni giorno le tende i tifosi dell’OM. Cours Ju, cinque minuti scarsi di cammino da Jaurès, fu costruito nel 1785 e gli venne assegnato il nome di Cours de Citoyens. Quartiere BoBo, Borghese e Bohémien, esponente di punta di quel fenomeno urbano chiamato gentrification che attira nuovi residenti da altri quartieri delle città, la porzione più animata e rappresentativa di Julien ha l’aspetto di una piazza, con cipressi e altre specie arboree. Dal tavolo di uno dei tanti locali, lo sguardo scorre sui clienti: coppie dall’abbigliamento e dalle letture gauchistes, ragazzi e ragazze pettinati rasta come le cameriere in servizio, turisti alternativi, pallide marsigliesi e statuari giamaicani in tenere effusioni, studenti che mettono in discussione musica e politica, signore ben pettinate e infervorate nelle chiacchiere davanti a una tazza di tè. Poi lo sguardo si allarga. Al centro della piazza/corso, seduti sui gradini intorno agli specchi d’acqua, clochard, punk a bestia, migranti, si danno quotidiano appuntamento. Appena più in là, passeggiano famiglie precedute da una carrozzina, le donne velate dell’Islam tornano a casa con il carico della spesa, imperversano bambini che corrono dietro un Il quartiere BoBo, Borghese e Bohémien, è l’esponente di punta di quel fenomeno urbano chiamato gentrification che attira nuovi residenti. Giovani, clochard, migranti e punkabbestia chiamato ‘techno guinguette’, rimando alle balere di paese. Disco appena uscito, Le bal des loups garous. Poi ci sono le formidabili gemelle Isaya, flok bluegrass venato di country e rock. Fatica recentissima, Dead or Alive. Rock duro, garage, electroblues, hip pop elencano, ad esempio, i giovani Sauvage (Dissonant Nation), i Cowboys (From outerspace), i Rescue Rangers (Manitoba). In occasione di Marsiglia 2013, undici artisti hanno dato vita ai tre volumi della compilation Focea Rocks. Raffinato il lavoro di Frédéric Nevchehirlian, che in Le soleil brille pour tout le monde? ha musicato 14 poesie inedite di Prevert, dal taglio sociale e politico. Da consultare il sito del Calif (Club Action des Labels Indipendants Français), calif.fr, dedicato alla musica indipendente francese. l. d. s. pallone, volano le clave dei giocolieri e le gigantesche bolle di sapone soffiate da un signore dietro libero compenso da parte del pubblico, i dj provano le loro apparecchiature per una notte di note, scoppiano liti verbali e qualche volta fisiche. È un cocktail dai molti ingredienti, Cours Ju. Gli conferiscono colori i murales delle rues Trois Rois, Trois Mages, Fontanges, Vian, Bussy l’indien, Trois frères Barthelemy. Aggiungono sapori i ristoranti di cucine autentiche da Libano, India, Thailandia, Giappone, Caribe, Africa, Corsica. Non è coincidenza che, a questo cocktail, abbia aggiunto il suo ingrediente burlesco e goliardico il designer Philippe Starck, complici i tre fratelli Trigano e Cyril Aouizerate, con l’Hotel Mama Shelter, in Rue de La Loubière 64. Il soggetto della passatoia della hall è una sardina, alla reception gli addetti indossano una t-shirt e una salopette; lo spazio del ristorante inneggia al cibo e al divertimento: scritte ovunque, sopra il bancone una cinquantina di salvagenti - ochetta, l’angolo per i concerti live allestito con una schiera di chitarre e percussioni, il calciobalilla rosa per otto giocatori. In terrazza un bar dedicato al Pastis e un’enorme scacchiera dentro una vasca, dove sfidarsi tenendo i piedi a bagno; nelle stanze, sulla parete di fronte al letto di lenzuola e coperte bianche, un Mac multifunzioni. I prezzi battono la concorrenza. Cours Ju, a fine giornata, quando la luce prepara il suo congedo, è il posto ideale per ripensare Marsiglia alla vigilia della partenza. Forse hai capito poco di lei, forse, anzi di certo, non hai capito quasi nulla. La penna di Jean Claude Izzo serve a consolarti, quando, in Aglio, menta e basilico scrive: «Da qualsiasi luogo tu arrivi, a Marsiglia sei a casa tua. Nelle strade incontri visi familiari, odori familiari. Marsiglia è familiare. Fin dal primo sguardo». Su Marsiglia hai sempre ragione tu, malinconico Jean Claude. SUL GRANDE SCHERMO Il métissage che incanta le cineprese di SILVANA SILVESTRI ●●●Se c’è una città legata al cinema questa è Marsiglia, con il treno dei Lumière che arriva alla Ciotat a fecondare tutto il resto che venne in seguito. La Marsiglia legata per sempre a Borsalino, al clan dei marsigliesi, alla French Connection è un ricordo del passato. Ormai si è fatto strada un cinema che ha dovuto contrapporsi ai luoghi comuni che hanno imperversato per anni e anche alla censura politica che ne aveva cancellato le istanze. Perfino À bout de souffle inizia con un’azione da film poliziesco: Michel (Belmondo) ruba un’auto al Vieux Port e con quella viaggia verso Parigi. Ma agli occhi di alcuni registi marsigliesi il porto era il luogo del lavoro operaio dei portuali e così è stato per Paul Carpita cineasta politico, figlio lui stesso di portuali, che raccontava negli anni ’50 i legami della città con le ex colonie, le storie di immigrazione. I suoi film avrebbero subito rotto con le immagini stereotipate create da Pagnol nella sua trilogia: Marius (’31) diretto da Alexander Korda, Fanny (’32) diretto da Marc Allégret, César (’36) il solo episodio della saga diretta da lui. Carpita fu subito censurato con Le rendez-vous des quai (’55) dove un giovane portuale deve decidere se continuare il suo lavoro senza prospettive sotto la protezione dei sindacati oppure inoltrarsi verso scorciatoie dai guadagni più facili. L’attacco diretto a Pagnol è considerato Marseille sans le soleil (’60) dove tutti i luoghi comuni contenuti in Marius sono messi in ridicolo nella loro volgarità, gli stessi veicolati da tutti i media. Della vita degli immigrati racconta in Adieu Jesus (’70), un tema affrontato già da Renoir in Toni nel ’35, Marsiglia come approdo di italiani e spagnoli alla disperata ricerca di lavoro, di armeni come Henru Verneuil il cui vero nome era Achod Malakian e che racconta in 588 rue Paradis e Mayrig i suoi ricordi di famiglia, come René Allio, marsigliese, ricordava in L’heure exquise la sua famiglia di emigrati piemontesi. René Allio è l’altra faccia dei «marsigliesi» i suoi film sono contemporanei ai grandi film di genere e arrivano nei nostri cineclub come raffinati film d’autore con i suoi personaggi in fuga in una città segnata dal malessere (La vieille dame indigne, ’65) nelle periferie dove si incontrano Raf Vallone e Andréa Ferréol (Rétour à Marseille). (5) Più recentemente il regista marsigliese per eccellenza, anzi «di quartiere» come si definisce, è Robert Guédiguian – anche le sue sono origini armene e operaie – e nell’Estaque, il quartiere operaio, ha raggruppato la sua fedele troupe di collaboratori capeggiati da Ariane Ascaride e Jean-Pierre Darrousin per le sue storie dallo stile speciale, fatto di humour e istanze politiche, dove si intrecciano problemi di disoccupazione, droga, amore, razzismo, emigrazione (Marius et Jeannette, La ville est tranquille…). Contemporaneamente, alla fine degli anni ’90 la città è percorsa quattro volte dalla serie di film Taxxi blockbuster prodotto da Luc Besson con Sami Naceri fattorino di pizzeria con il sogno di diventare pilota automobilistico alla guida spericolata della sua Peugeot 406, auto pubblica protagonista di svariate avventure. Mentre Jean Comolli realizza la più grande serie di documentari sullo stato della città (Marseille contre Marseille del ’96, Rêves de France à Marseille, del 2002). OLYMPIQUE MARSEILLE Quel desiderio di rivincita nelle acrobazie di un pallone di FLAVIANO DE LUCA ●●●Allleeeezzz l’Ommm! Il grido ti accompagna al bar del Vieux Port, sul telefonino degli adolescenti lungo la Canebière, nei gruppi di ragazzi che si danno la voce al Panier e, naturalmente, sulle curve del Vélodrome, la grossa conchiglia aperta, lo stadio che è il teatro delle imprese della formazione cittadina, l’Olympique Marseille, per tutti semplicemente OM, una squadra di calcio dai colori biancoazzurri che sembra incarnare lo spirito della città di mare e il suo desiderio di rivincita per un destino difficile, di povertà ed esclusione. Come ha brillantemente spiegato l’antropologo Bromberger, «questa forte coscienza di un’identità schernita si unisce a una tradizione di dissenso e di opposizione frondista al potere centrale, in cui affonda le radici un sentimento di irriducibile specificità». La passione per il club cresce nel cosmopolitismo, nella cultura locale, in un forte sentimento comunitario e si respira un po’ dovunque tra pagine di giornali, tavoli di caffè, radio commerciali, pescatori amatoriali. Droit au but recita il motto cucito sulle loro maglie (dritti alla mèta) insieme al logo della società, reminiscenza degli inizi del club, nato nel 1899 come una polisportiva, col rugby nel cuore ma presto scalzato dal pallone rotondo dei Phocéens,come sono soprannominati i calciatori, rievocando i greci focesi, fondatori nel VI secolo a.C. del nucleo originario di Massalia, importante scalo marittimo. Prima e unica squadra francese a vincere la Coppa dei Campioni (nel 1993 a Monaco battendo in finale il Milan con un gol di Boli), l’OM ha una bacheca ricca di trofei: nove titoli di campione di Francia (il primo nel 1937, l’ultimo nel 2010), dieci coppe di Francia, tre coppe di Lega. Il periodo più prospero, ma anche il più controverso, coincide con l'arrivo alla presidenza di Bernard Tapie, discusso personaggio, che nella sua vita, oltre che presidente della squadra, è stato imprenditore, politico, attore e conduttore televisivo. Tapie prende in mano la squadra nel 1986, acquista grandi giocatori fra cui Chris Waddle, Enzo Francescoli (idolo del marsigliese Zidane, il cui primo figlio si chiama Enzo in suo onore), Didier Deschamps e Eric Cantona. La squadra disputa due finali di Coppa dei Campioni, una persa, a Bari nel 1991 contro la Stella Rossa di Belgrado, l’altra, vinta contro il Milan. Sotto la presidenza di Tapie, con allenatori come Beckenbauer, Gili e Goethals, l'OM vince titoli di campione di Francia a ripetizione. Tapie, ai tempi, nel 1989, era riuscito anche a strappare il sì a Maradona e a preparare un sontuoso contratto annullato per la retromarcia del Napoli. Poi lo scandalo Valenciennes, una combine denunciata da un calciatore in occasione di un incontro decisivo per l’assegnazione del titolo, con squalifica e retrocessione nel ’94 in seconda divisione. La dura risalita culmina nella vittoria del titolo del 2010, dopo diciotto anni d’astinenza. Oggi è la squadra dei cannonieri Gignac e Ayew, stretta nella morsa degli squadroni miliardari, Psg e Monaco, in Ligue 1. (6) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 NELLA TERRA DEI PUEBLO E DEI NAVAJO di Manuela De Leonardis SANTA FE ●●●La luce e i colori saturi di un paesaggio che emana una sacralità remota sono forse gli elementi più immediati della grande attrazione per il New Mexico che, a partire dalla prima metà del secolo scorso, hanno subìto generazioni di artisti e fotografi. Nella terra dei pueblo e dei navajo le nuvole sembrano meno inafferrabili e i tramonti sono segni grafici che si perdono nell’orizzonte, piccanti come la salsa di peperoncini verdi, anima della cucina locale. L’intima connessione con la natura è particolarmente evidente nel lavoro di Georgia O’Keeffe, icona del modernismo americano, come sottolinea anche John Loengard nei suoi scatti realizzati per Life nel ’66-’67 e raccolti nel libro Image and Imagination (2006). Immagini che delineano la figura di un’anziana signora alle prese con le abitudini quotidiane nelle sue dimore di Abiquiu e Ghost Ranch, tra lunghe camminate, la cura dei cani e del giardino, la collezione di pietre e di sonagli dei Crotalus. Loengard fotografa anche le mani dell’artista vicino ad un osso pelvico (stesso soggetto del dipinto Pelvis with the Moon, 1943), ma questa immagine non potrà mai competere con la foto delle stesse mani che accarezzano un teschio equino, su cui si era soffermato lo sguardo innamorato di Alfred Stieglitz oltre trent’anni prima. Parecchi altri fotografi hanno ritratto O’Keeffe in New Mexico, tra loro Philippe Halsman nel ’48, Yousuf Karsh nel ’56, Tony Vaccaro e Todd Webb nei primissimi anni Sessanta: Webb inquadra l’artista con il grembiule mentre gira lo stufato nella pentola. Sicuramente però le foto di Laura Gilpin, in cui vediamo l’artista nel suo studio nel ’53, rivelano una più profonda empatia, come è evidente in quelle di Paul Strand, che si sono alternate nel tempo, specchio di un lungo rapporto di stima e amicizia. La prima volta che Georgia O’Keeffe mette piede in New Mexico è New Mexico, le linee sinuose del deserto Il fascino di un paesaggio dall’aura sacrale, le luci sature, le residenze cult e i personaggi che l’hanno abitato. Da O’Keeffe a Walter Chappell proprio con Rebecca, la moglie di Strand, nell’estate 1929: entrambe vivono un momento di profonda crisi matrimoniale. Un viaggio rivelatorio che segna una svolta che, nel caso di O’Keeffe, è anche artistica. Dopo lunghi soggiorni periodici, nel 1945 l’artista acquista a Abiquiu l’antica casa coloniale di adobe in rovina, di cui segue personalmente i lavori di restauro (oggi è di proprietà del Georgia O’Keeffe Museum di Santa Fe ed è visitabile su appuntamento) e nel 1949, tre anni dopo la morte di Stieglitz, si trasferisce definitivamente nel New Mexico. Analogamente, Laura Gilpin sceglie Santa Fe come città elettiva e, a partire dagli anni Trenta, persegue l’obiettivo di documentare la vita dei nativi americani tra Arizona e New Mexico, come è testimoniato, in particolare, nel volume The Enduring Navaho (1968). Il suo racconto visivo (preziose stampe al platino e alla gelatina ai sali d’argento) si sofferma sulle tradizioni, ma anche sulla contemporaneità con le numerose battaglie per il riconoscimento dei diritti di cui è significativo il ritratto di Annie Wauneka, prima donna eletta nel Tribal Council a Window Rock. Tra gli scatti di Gilpin c’è anche il volume moderno, e allo stesso tempo antico, della chiesa di San Francesco d’Assisi a Ranchos de Taos, l’architettura di adobe più fotografata del paese, che ancora oggi mantiene intatto il fascino originale. Anche Ansel Adams la fotografa durante i suoi soggiorni a Taos nell’estate del ’30, ’31 e ’32: anche nel suo caso questa terra del profondo sud è una linfa vitale per superare un momento di impasse nella sua carriera e nella vita privata, segnato dalla fine dell’amicizia e della collaborazione con Stieglitz. A una manciata di chilometri di distanza, esattamente nel Pueblo di Taos, George Alpert - fondatore della Soho Foundation e direttore negli anni Settanta della Soho Photo Gallery di New York - realizza un intero lavoro in bianco e nero, pubblicato in Taos Pueblo (1983) in cui traduce le vibrazioni di spiritualità del luogo, il più antico insediamento di nativi americani Pueblo, tuttora abitato e dal 1992 riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Quanto alle fotografie di Ansel Adams scattate a Chimayo, Laguna Pueblo, Pueblo di San Idelfonso, Taos e in altri luoghi sono pubblicate nel volume Paul Strand. Southwest (2004) di Rebecca Busselle e Trudy Wilner Stack. Non troppo distante da qui, poi, è stata scattata una delle sue fotografie più celebri, Moonrise, Hernandez, New Mexico (1941): sembra che lo stesso autore ne abbia realizzato personalmente oltre 1300 stampe. Come Adams, la stessa Georgia O’Keeffe e numerose altre celebrità tra cui D. H. Lawrence e Martha Graham, anche Edward Weston è ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 (7) Da sinistra Laura Gilpin, «Type a chongo» (da «Enduring Navaho» 1968); Walter Chappell, «Mother and Son», 1962; Edward Weston, «Nude - New Mexico», 1937; a destra, pag. 7, l’artista Judy Tuwaletstiwa (fotografata da Manuela De Leonardis) e, sotto, l’opera «Plutonium_onehandful» (2012) INTERVISTA ■ PARLA L’ARTISTA E SCRITTRICE JUDY TUWALETSTIWA Un quadro rituale per celebrare i fasti della Madre terra M. D. L. GALISTEO (NEW MEXICO) stato ospite a Los Gallos, l’eccentrica residenza in adobe fatta costruire a Taos dalla scrittrice e mecenate Mable Dodge Luhan (autrice anche di Winter in Taos, 1935) insieme al suo terzo marito Tony Luhan. Il 29 dicembre 1937 il fotografo californiano scatta una serie di nudi in cui la sinuosità e la morbidezza della pelle della sua modella e musa (nonchè futura seconda moglie), Charis Wilson, sono in netto contrasto con la porosità della superficie modellata con argilla e paglia. Il New Mexico non è stato che una tappa del lunghissimo viaggio nel west (i due percorsero quasi diciassettemila chilometri in 187 giorni) che Weston si concesse con il cospicuo Guggenheim Fellowship, per la prima volta assegnato ad un fotografo. Più tardi, nel 1969, Dennis Hopper giunto a Taos per girare Easy Rider si innamora della stessa residenza, tanto da acquistarla l’anno successivo dalla nipote della scrittrice. Proprio nel solarium il regista, attore, artista e grande collezionista di Pop Art tra i più dannati di Hollywood sposa il 31 ottobre 1970 Michelle Phillips, la cantante dei Mamas and Papas, che chiede il divorzio otto giorni dopo. A Taos, comunque, Hopper vivrà per alcuni anni, scattando anche una serie di fotografie (recentemente esposte da Gagosian a New York) con un’instamatic che portava a stampare in un drugstore. In questo curioso filo conduttore che avvicina e unisce i vari personaggi finora citati c’è anche Walter Chappell - last but not least che tra i suoi ritratti delle star del cinema annovera anche Dennis Hopper, fotografato nel ’69. Ma più noti dei ritratti sono i suoi controversi nudi. A questo personaggio fuori dagli schemi, che subito dopo la guerra frequenta a San Francisco il circolo dei fotografi che include Minor White, Edward Weston, Imogen Cunningham e Ansel Adams, per trasferirsi dopo qualche anno a Rochester per studiare con White, la Fondazione Fotografia di Modena dedica, nell’ambito del Festivalfilosofia, in anteprima mondiale la più grande retrospettiva Walter Chappell. Eternal Impermanence (13 settembre – 2 febbraio 2014). Nella visione di Chappell la natura è analizzata attraverso la meditazione e la spiritualità. Soprattutto quella del New Mexico, dove vive in diversi momenti della sua vita incluso l’ultimo paragrafo quando, a partire dal 1987 e fino alla morte (2000) si trasferisce a El Rito, a poca distanza da Abiquiu, dove continua fino all’ultimo a fotografare e tenere workshop. «Per me - affermava - il grande espediente è la visione attraverso la macchina fotografica: l’uso sensibile dei miei occhi sotto la visione più alta di una comprensione e l’intuizione basata sulla conoscenza di un rapporto con la realtà». ●●●Alti alberi di cottonwood, i pioppi neri americani, circondano lo studio di Judy Tuwaletstiwa (Los Angeles, 1941). La casa è qualche metro più avanti: una lunga L di adobe con grandi finestre che lasciano entrare la natura silenziosa. All’interno adornano le pareti e il caminetto una serie di kachina dolls scolpite nel legno e dipinte in vari colori, patrimonio culturale degli hopi. Dal 1993, per dodici anni, l’artista ha vissuto con il suo secondo marito nella casa di Phillip, nel villaggio di Kykotsmovi, nella riserva hopi in Arizona nordorientale. Forse ciò che accomuna l’orizzonte sconfinato dei due luoghi è proprio la sensazione di vivere il paesaggio come un respiro profondo, assorbendo l’intensità della luce che attraversa la storia. Benché disti solo 33 minuti da Santa Fe, Galisteo è un luogo isolato che, allo stesso tempo, ha avuto e ha tuttora una comunità elettiva di artisti, attori e scrittori tra cui Agnes Martin, Nancy Holt, Lucy R. Lippard, Bernard Pomerance, Bruce Neuman e Suzanne Rothenburg. Alcuni elementi della terra che la circonda (legno, sabbia incorporata nel colore), insieme a piume, fili, tela grezza fanno parte del lavoro astratto di Judy Tuwaletstiwa, a cui si è aggiunto recentemente il vetro. Parallelamente le sue doti narrative di scrittrice si fondono con le immagini in Frog Dreaming, un libro per bambini che verrà pubblicato con un nom de plume (quello della zia Fern Green) e che la porta indietro nel tempo alle magnifiche storie di un mondo che non c’è più, lo stesso che raccontava la nonna Rose Green. Nel frattempo le mani di Judy aprono Mapping Water (Radius Book 2007), un libro d’arte concepito come un viaggio tra i ricordi: «Siamo sconosciuti l’uno all’altro. Forse il mio viaggio illumina il tuo», scrive nelle pagine iniziali. E aggiunge, sfogliando il libro: «Il primo capitolo è sulle memorie culturali. Comincio con il rintracciare la definizione della parola genesi - una parola meravigliosa - all’interno di culture differenti. È interessare analizzare etimologicamente le variazioni di questa stessa parola: gene, genio, genocidio, germinazione… fino al sanscrito dove significa ’generato dai vermi’». ●Sei laureata in letteratura medievale. Qual è la connessione tra la tua formazione e il lavoro di artista visiva? Provenendo da una famiglia ebrea in cui c’era una forte componente politica, dovevo necessariamente avere la capacità di difendermi verbalmente. O parlavo o morivo, non c’erano altre possibilità. La parola è sempre stata importante, però se si cresce all’interno di una famiglia in cui le parole sono manipolate dall’ideologia, si hanno due messaggi paralleli. Ho imparato quanto sia importante esprimersi con proprietà di linguaggio e, allo stesso tempo, quanto la parola possa cambiare di significato. Questo è il motivo per cui quando sono andata all’università studiare la lingua inglese è stata una porta d’accesso per me. Studiando la lingua medievale, poi, ho scoperto che è molto cinematografica. Leggendo Chaucer, soprattutto nella versione originale, è come se ci fosse una macchina da ripresa che si avvicina e poi si sposta sulla scena. Malgrado fossimo stati molto poveri, in famiglia una delle cose che abbiamo sempre fatto è stato andare a teatro e al cinema per vedere film stranieri. Questa è stata la parte più nutriente della mia crescita. E quando ho iniziato a studiare la letteratura inglese medievale è stato come se le storie diventassero reali, ma in un modo diverso. Anche aver avuto un grande professore come Alain Renoir, figlio di Jean e nipote di Auguste, ha avuto la sua rilevanza. È stato lui a stimolare la parte di me che è diventata artista, tirando fuori la parte visuale dai grandi poemi come Sir Gawain e il Cavaliere Verde e da altri, appena successivi alla tradizione orale. La tradizione orale, infatti, è molto diversa da quella scritta. Il medioevo era molto fluido e ricco in ambito letterario, senza considerare la bellezza della sinuosità della lingua sulla superficie della pagina, che è come nella tessitura in cui trama e ordito si alternano. La prima cosa che ho «Ho trascorso più di dieci anni nella riserva hopi. Poter vedere distanze di cento miglia ha semplificato tutto... Da allora, ho usato soltanto bianco, nero, rosso e colori neutri» fatto, quando sono diventata artista, è stato proprio imparare la tessitura; a quei tempi ero in Scozia dove ho frequentato corsi serali all’università e lì, all’improvviso, ho capito - attraverso il lavoro delle mie mani - che il mondo cominciava ad avere senso come la struttura di un tessuto. ●Qual è stato l’insegnamento dei tuoi genitori, Evelyn Greenberg e Alvin Abram Averbuck, ebrei attivi nel partito comunista? Come molti altri comunisti americani hanno lasciato il partito dopo la repressione sovietica della Rivoluzione Ungherese del 1956, ma fino ad allora sono stati molto idealisti. Io e mio fratello siamo cresciuti nel clima multiculturale nell’East Los Angeles dove c’erano alcune famiglie ebree, ma anche tanti messicani, neri e molti giapponesi, che hanno dovuto rimettere in ordine le loro vite dopo aver vissuto, durante la seconda guerra mondiale, nei campi di rilocazione. Mia madre e mio padre, in quanto ebrei, da una parte avevano una valigia piena di paure e dall’altra una piena di sogni, in mezzo c’era il desiderio che i loro figli studiassero. Attraverso le nostre vite abbiamo realizzato i loro sogni. Il mio lavoro è stato proprio quello di mettere insieme quelle due valigie. ●I musei d’arte sono stati il tuo insegnamento, illuminante in particolare una mostra di Van Gogh… Quando ho visto la mostra di Van Gogh a San Francisco, nel 1970, avevo già tre dei miei quattro figli, un matrimonio molto difficile e non avevo la minima idea di fare l’artista. Quando mi sono fermata davanti al Campo di grano con corvi ho cominciato a piangere. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, semplicemente non ho fatto altro che continuare a piangere per tutta la strada fino a casa. Anni dopo ho letto quello che ha scritto Vincent in una lettera a suo fratello Theo: sperava che nel vedere i suoi quadri la gente aprisse le cateratte dei loro cuori. Ha totalmente aperto le mie! Arrivata a casa dovevo fare qualcosa: ho preso un pezzo di cartoncino e con la matita ho disegnato un albero in maniera espressionista. Non è che fosse un bel disegno, ma è stato l’inizio. ●Un’altra esperienza fondamentale è stata l’incontro con Phillip a Choco Canyon. Con lui hai vissuto a lungo nella Terza Mesa... Quanto entra quest’esperienza nel tuo lavoro? Profondamente! Prima di vivere con gli hopi lavoravo in maniera narrativa. L’esperienza di poter vedere nel deserto distanze di cento miglia ha semplificato tutto. Dal 1993 per vent’anni ho usato soltanto bianco, nero, rosso e colori neutri. Vivere presso gli hopi, immersa in quel paesaggio semplificato e con le canzoni kachina, è stata un’esperienza profonda. Anche se non sono in grado di capire le parole delle canzoni il loro suono va direttamente al cosmo e al cuore, è come un «om»: un suono che arriva dalla terra. Per gli hopi conscio e inconscio non sono separati. Il paesaggio è molto duro, chiede tutto. Sopravvissuti per oltre mille anni coltivando, hanno una profonda conoscenza della loro terra. Nelle loro canzoni, nelle cerimonie e nelle storie parlano alla terra e questa gli risponde. Però dopo più di dieci anni trascorsi nella loro riserva, ho capito che ero rimasta sempre un’altra. Avevo degli amici affettuosi, ma non ero parte di un clan e la società hopi è organizzata in clan. Ero accettata come la moglie di Phillip. Ad un certo punto ho sentito che dovevo rientrare nel mondo della cultura occidentale. (8) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 TEOLOGIA E POLITICA L’EPOCA INSICURA Quel mistero del male dopo Ratzinger di RAFFAELE K. SALINARI ●●●Per l’Occidente cristiano e il suo Evo, il Tempo della Fine non è la Fine del Tempo ma solo l’inizio del Tempo Nuovo, quello della Salvezza per chi ha sempre creduto al messaggio del Cristo e della sua Chiesa; per questo l’istituzione ecclesiale deve qui ed ora riappropriarsi in toto della sua missione escatologica, rendendosi testimonianza vivente di questa rivelazione, pena non solo la sua inutilità come veicolo della Salvezza ma, sommo abominio, divenire essa stessa il corpo dell’Anticristo, veicolarne il Mysterium iniquitatis, il mistero del male, assumendone le forme progressivamente secolarizzate. In questo difficile chiasma tra essere-nel-mondo per il mondo ed essere-nel-mondo per testimoniare una Salvezza che di fatto lo trascende, in questa vera e propria aporia, vive l’autentica teologia politica: non la semplice influenza esercitata sulle forme della politica mondana dalle idee religiose, bensì l’orientamento e la destinazione politica consustanziale alla vita della religione. È in questa prospettiva apocalittica, come vedremo analizzando il testo della profetica Seconda lettera ai Tessalonicesi di San Paolo, che si confrontano l’Anticristo ed il misterioso «potere che lo frena», il katechon, che però dovrà togliersi di mezzo al momento opportuno, quando il Salvatore spazzerà via l’Avversario col soffio della sua bocca. Corpo bipartito della Chiesa Molto si è congetturato sulla natura di questo «potere che frena» ma, per alcuni, sino dall’inizio della cristianità, esso convive ed opera all’interno stesso della Chiesa insieme al potere dell’Anticristo, come ci riferisce l’antico teologo Ticonio nel suo Commento all’Apocalisse risalente al IV secolo, nel quale sostiene la teoria del «corpo bipartito della Chiesa»: la compresenza di una sua parte fusca ed una sua parte decora, come si definisce la sposa nel Cantico dei cantici (1,4). Secondo Ticonio esiterebbe allora una Chiesa nera (fusca) che appartiene all’Anticristo ed una bella (decora) schierata con il Salvatore. Questa tesi, centrale per comprendere le motivazioni teologico politiche delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, era stata assunta dal giovane teologo Ratzinger. Meditando la sua scelta su questo concetto centrale, al quale egli dedica una riflessione già nel lontano 1956 - dunque ben prima della sua ascesa al Soglio di Pietro Papa Benedetto XVI ha compiuto il suo «gesto esemplare», come lo definisce Giorgio Agamben ne Il mistero del male, Benedetto XVI e la fine dei tempi, (Laterza pp. 67, euro 7). Il testo, composto da due riflessioni - una lectio magistralis ed un breve saggio - che trattano lo stesso argomento, vuole situare la Le dimissioni di Benedetto XVI «raccontate» da Agamben, guardando alla globalizzazione e il tempo apodittico di Cacciari nel suo «Il potere che frena» decisione papale nel «contesto teologico ed ecclesiologico che le è propria», arrivando, tuttavia, a trarne le conseguenze «per la situazione politica delle democrazie in cui viviamo». Le motivazioni di Benedetto XVI, la sua analisi della situazione odierna della Chiesa rispetto alle «cose ultime», il suo avvertire che all’interno della Istituzione le forze dell’Avversario, la Chiesa fusca, sembra aver preso il sopravvento su quella del bene (decora), hanno spinto il pontefice all’azione radicale delle dimissioni per ricordare, come dice Agamben: «Che non è possibile che la Chiesa sopravviva se rimanda alla fine dei tempi la soluzione del conflitto che ne dilania il ’corpo bipartito’. Come il problema della legittimità, così anche il problema di ciò che è giusto non può essere eliminato dalla vita storica della Chiesa, ma deve ispirare ogni istante la consapevolezza delle sue decisioni nel mondo. Se si finge di ignorare, come spesso ha fatto la Chiesa, la realtà del corpo bipartito, la Chiesa fusca finisce col prevalere su quella decora e il dramma escatologico perde ogni senso». Su questa definizione di Chiesa come protagonista del «dramma escatologico», Agamben traccia una vera e propria filologia, una interpretazione autentica del termine «dramma», ricordandoci che: «Il Mysterium iniquitatis della seconda lettera ai Tessalonicesi non è un arcano sovratemporale, il cui unico senso è di porre fine alla storia e all’economia della salvezza: è un dramma storico (mysterion in greco significa ‘azione drammatica’), che è in corso per così dire in ogni istante e in cui incessantemente si giocano le sorti dell’umanità, la salvezza o la rovina degli uomini». Iniquità e perdizione E così Ratzinger ha voluto riportare all’attenzione della riflessione politico teologica della Chiesa e del suo Evo il Mysterium iniquitatis, il «mistero del male» come componente essenziale della rivelazione cristiana e, con esso, il tema e la natura della Chiesa come kathecon, l’enigmatico «potere che trattiene» il Tempo della Fine, quando l’Anticristo sarà definitivamente sconfitto dal ritorno del Salvatore. Dice dunque Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2, 1-12), già ampiamente commentata da Carl Schmitt come base della relazione tra teologia e politica nella fondazione e nella superiorità dello Jus Publicum Europaeum: «Ora vi preghiamo, fratelli, a proposito della parusia del Signore nostro Gesù Cristo e della nostra riunione in Lui, che non vi facciate subito turbare né stoltamente spaventare, né da ispirazioni, né da parole, né da lettera fatta passare per nostra, come fosse imminente il giorno del Signore. Che nessuno vi inganni in nessun modo! Infatti, prima dovrà venire l’apostasia (discessio) e l’apocalisse dell’uomo dell’anomia (homo iniquitatis), il figlio della apoleia, (filius perditionis) l’Avversario (qui adversatur), colui che si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio e come Dio è venerato, fino ad insediarsi nel tempio di Dio e a mostrare se stesso come Dio. Non ricordate che quando ero ancora con voi vi dicevo queste cose? E ora conoscete ciò che trattiene (to katechon) la sua apocalisse, che avverrà a suo tempo. Già, infatti, il mistero dell’iniquità è in atto; ma chi trattiene (ho katechon) trattenga, precisamente fino a quando non venga tolto di mezzo. Allora sarà l’Apocalisse dell’Anomos (Iniquus), che il Signore Gesù distruggerà con il soffio delle sua bocca; annienterà all’apparire della sua parusia l’Anomos la cui parusia appare invece secondo l’essere in atto di Satana in ogni potenza e segni e falsi prodigi e con tutti gli inganni dell’ingiustizia per coloro che si perdono perché non hanno accolto l’amore della verità per la loro salvezza. E per questo Dio invierà loro la potenza dell’inganno, affinché credano alla menzogna e siano così giudicati tutti quelli che non ebbero fede nella verità, ma acconsentono all’iniquità». Il Tempo della Fine Questa verità escatologico profetica è dunque l’essenza del messaggio cristiano e lo scopo stesso della Chiesa che, senza la sua permanente relazione con il Tempo della Fine si perde nel tempo profano in cui prevalgono le cure secolari e trionfa l’anomia, intesa non come semplice assenza delle regole, ma del prevalere di regole totalmente immanenti al secolo, desacralizzate, dettate e gestite dall’Avversario: un quadro drammaticamente attuale che prefigura lo smarrirsi irreversibile della rivelazione cristiana, della verità della Salvezza eterna come legge suprema dalla cui Autorità trascendente derivano tutte le altre. La perdita dell’orizzonte escatologico dunque, sostiene Agamben, ha motivato le ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 Grande, particolare del Giudizio universale (inferno) di Coppo di Marcovaldo nel Battistero di san Giovanni, Firenze; Luca Signorelli, dettaglio di «Predica e morte dell’Anticristo» e, sotto, due particolari della dannazione, Orvieto, Cappella san Brizio; piccole, Arazzi dell'Apocalisse: Il tino trabocca di sangue di artista sconosciuto nel Castello Angers; L' Arcangelo Gabriele della chiesa parrocchiale di Sagama, 1492, attribuito al Maestro di Castelsardo, nel Museo d'Art de Catalunya, Barcellona L’istituzione ecclesiale deve riappropriarsi della sua missione salvifica, altrimenti finisce per nutrire essa stessa il corpo dell’Anticristo dimissioni di Benedetto XVI che, con questo gesto: «Ha riportato alla luce il mistero escatologico in tutta la sua forza dirompente; ma solo in questo modo la Chiesa, che si è smarrita nel tempo, potrà ritrovare la giusta relazione con la fine dei tempi. Vi sono, nella Chiesa, due elementi inconciliabili e, tuttavia, strettamente intrecciati: l’economia e l’escatologia, l’elemento mondano-temporale e quello che si mantiene in relazione con la fine del tempo e del mondo. Quando l’elemento escatologico si eclissa nell’ombra, l’economia mondana diventa propriamente infinita, cioè interminabile e senza scopo. Il paradosso della Chiesa è che essa, dal punto di vita escatologico, deve rinunciare al mondo, ma non può farlo perché, dal punto di vista dell’economia, essa è del mondo, e non può rinunciare a questo senza rinunciare a se stessa. Ma proprio qui si situa la crisi decisiva: perché il coraggio - questo ci sembra il senso ultimo del messaggio di Benedetto XVI - non è che la capacità di mantenersi in relazione con la propria fine». Ecco che, allora, questo orizzonte teologico politico investe in essenza il ruolo della Chiesa come parte, o addirittura fondamento, qui ed ora, di quel misterioso potere catecontico che frenerebbe il pieno manifestarsi dell’Anticristo, sino a che, toltosi di mezzo, il Signore avvenga e lo spazzi via definitivamente compiendo il Tempo della Fine, il Giudizio Universale, separando per l’eternità i salvati dai persi. Ma, se questo tempo è già in atto, l’urgenza posta alla Chiesa dal Mysterium iniquitatis che ogni momento spinge l’Anticristo a prendere potere sul mondo, deve trasformarsi in atti concreti e radicali subito. La presenza nel «tempo di mezzo» tra il primo avvento e il definitivo non può essere vista e vissuta come semplice attesa dell’approdo finale, ma come ispirazione escatologica delle scelte quotidiane che l’Istituzione deve attuare ogni momento per rimanere in relazione adesso con la rivelazione del messaggio cristiano e mettersi così dalla parte dei salvati nel Giorno del Tempo della Fine, cioè ogni giorno. Il gesto di Benedetto XVI, così conclude Agamben, sarebbe espressione della volontà di riaffermare questo difficile equilibrio della Chiesa tra mondo e escaton, la sua «capacità di agire nell’intervallo tra la prima e la seconda venuta, cioè nel tempo storico che stiamo vivendo», poiché una società può funzionare, sostiene l’autore, solo se la giustizia (che nella Chiesa corrisponde all’escatologia) non resta una mera idea ma riesce a trovare espressione politica in una forza capace di «controbilanciare il progressivo appiattimento su un unico piano tecnico economico» di quei principi di legittimità e legalità, Aauctoritas e Potestsas potere temporale e potere spirituale - che rappresentano il patrimonio più prezioso della cultura europea. Il «potere che frena» Queste stesse riflessioni, partendo dalla natura del «potere che frena» per arrivare ad una analisi sub specie teologico politica della realtà del mondo globalizzato, sono anche oggetto del libro di Massimo Cacciari Il potere che frena (Adelphi, pp. 211, euro 13), che sviluppa la stessa problematica del rapporto tra seculum e tempo apocalittico, arrivando ad abbracciare il problema contingente del «governo della globalizzazione» visto come politicamente impossibile proprio per la mancanza di una Auctoritas di ascendenza cristiana, cioè trascendente: l’escaton che informi di sé la Potestas delle leggi mondane: «Da parte sua, neppure la sovranità politica potrà ‘reggere’ se destituita da qualsiasi effettuale rimando al principio di autorità», sostiene Cacciari. Il suo saggio parte dall’analisi della Seconda lettera ai Tessalonicesi di San Paolo, per esaminare le varie forme o nature che, via via nel tempo e nelle diverse situazioni storiche, sono state attribuite al katechon. Si parte da quelle più accreditate, l’Impero romano o, appunto la Chiesa stessa, per arrivare a delineare il percorso storico che porta all’oggi, all’attuale regno dell’anomia, il momento apocalittico in cui si manifesterebbe appieno il regno dell’Avversario, ed ogni potere catecontico del «sapere, ricordare, prevedere» si esaurisce poiché, secondo la profezia paolina, deve farsi da parte. E così, conclude Cacciari nell’ultimo capitolo del saggio, L’età di Epimeteo, che ben disegna il cambio di fase dall’epoca prometeica in cui l’umanità sembrava muoversi in una prospettiva di «bene comune», a quella epimeteica dominata dal particulare: «Muta il senso della saggezza politica. Quella del katechon ‘classico’ studiava, sì, il possibile, ma non rinunciava a speculare sull’ottimo. La sua forma era, sì, intessuta di temperanza e mesotes, e tuttavia mai riducibile a techne, poiché ribadiva in ogni aspetto la propria provenienza ‘dall’alto’. Per poter contenere, il katechon pensava necessaria una sophia capace di rappresentare il ‘bene comune’, e il Comune non potrà mai risultare dalla somma degli interessi particolari». Ecco che, allora: «Il dissolversi della forma catecontica si origina dal suo stesso interno, viene da noi, come si è visto. Inizia con la critica dell’idea di impero, prosegue con quella di ogni ‘dio mortale’, corrode infine, logicamente filosoficamente la realtà dello Stato, lo desostanzializza, lo spoglia di ogni Auctoritas, ne denuncia la natura di finzione ideologica, dimostra l’impossibilità di superare il piano assolutamente orizzontale della reta di conflitti e degli interessi». L’età di Epimeteo Qui ritorna l’interpretazione di Carl Schmitt nel suo Nomos della terra, in cui il giurista tedesco mette in guardia dai guasti della globalizzazione ben prima che essa avvenisse con la pervasività fenomenica che oggi ben conosciamo. Oggi, senza territorializzazione del potere, senza quella justissima tellus incarnata da stati o istituzioni realmente sovranazionali e condivisi, e senza una Chiesa realmente testimoniante la Salvezza, perché scossa sino alle (9) fondamenta dal Mysterium iniquitatis che sembra scaturire dal suo stesso corpo, quale legittimità hanno i poteri che dicono di voler governare la globalizzazione? O meglio, è ancora in oggetto questo problema, oppure le dinamiche prevalenti hanno totalmente affermato uno stato di piena anomia, intesa non come anarchia, ma come una serie di norme particolari e indipendenti che rispondono solo all’edonismo dei singoli o all’accumulazione del profitto «finché dura»? La risposta di Cacciari è coerente con le sue premesse apocalittiche: «Il pensiero conservatore ritiene che questo passaggio segni la vittoria del chaos e dell’anomia come chaos. Ma non è affatto così. Quello dell’anomia, come già si è detto, è un sistema; è anzi il sistema –mondo. In esso è impensabile un ordine ‘territorializzato’ come quello sempre presupposto dal katechon. È impensabile una fonte del potere che ne trascenda il funzionamento immanente, un’idea da cui il suo esercizio dipenda e a cui esso si richiami». Qui dunque viene a definirsi il concetto di anomia della globalizzazione come: «Un tempo ‘libero’ da determinatezze spaziali, in cui l’individuo non tollera di essere ‘rappresentato’ se non dall’impersonale delle norme che sembrano alla base del funzionamento e del successo di quelle potenze da cui egli riconoscere dipendere la propria vita». L’Evo dell’insecuritas Ecco che, infine, la parabola teologica incrocia quella biopolitica, creando un unicum in cui il potere che decide sulla vita e la morte della «nuda vita» sembra divenire la Weltanschauung stessa dell’individuo globalizzato. A questo punto un Potere Sovrano, che volesse realmente governare The Globe, dovrebbe riassumere ancora in sé le categorie dell’Auctoritas e della Potestas per fermare l’anomia del sistema-mondo; ma per Cacciari questo non è più possibile. «Qui emerge ‘l’apocalittica’ aporia. Non può darsi Nomos del Mondo, esistono solo queste leggi determinate. E, oltre ad esse, esistono forze, potenze decisive, che operano sul piano globale e producono in base alle norme interne al proprio funzionamento». Che fare allora, quale prospettiva si apre in questa situazione? Le conclusioni sono da una parte analitiche e dall’altra apocalittiche, epimeteiche appunto. In sostanza il filosofo veneziano annuncia l’apertura di un periodo dalla durata non prevedibile, uno spazio di «permanente crisi», di insecuritas, in cui da una crisi si passerà all’altra senza soluzione di continuità; crisi più o meno governate e gestite parzialmente da élites globali che però non possono tendere al controllo complessivo delle cose proprio per quella mancanza di Auctoritas che essi stessi hanno progressivamente distrutto con la loro discessio, la loro apostasia. E così: «Quello di Epimeteo sarà piuttosto l’Evo dell’insecuritas e delle crisi permanenti: teologicamente esso può rappresentare l’ultimo spasmo del tempo prima della Decisione; politicamente la sua durata è imprevedibile”. Siamo allora nel pieno di una «crisi del politico» poiché in questa situazione: «Ogni forma politica finisce necessariamente col tendere a divenire funzione di quelle stesse potenze fisiologicamente insofferenti del suo primato». Ricostruire l’Evo La chiusura del saggio riecheggia le profezie abissali di Carl Schmitt e la sua richiesta di ripristinare i Grossraum, i «grandi spazi» geopolitici che, forse, seppur in conflitto tra di loro, in un futuro non prevedibile potrebbero assicurare una certo equilibrio alla fase attuale, anche se uniti soltanto dalla comune apostasia verso l’Evo cristiano. E dunque, «Prometeo si è ritirato» o è tornare ad essere incatenato alla sua roccia, costretto a guardare il fratello Epimeteo scoperchiare sempre nuovi vasi di Pandora. Quella di Cacciari è, in definitiva, una sfida radicale al pensiero paleo-prometeico della sinistra, ancora incapace di cogliere lo spirito dei tempi e di conseguenza adattare le sue forme di pensare il politico per agire in questa situazione desacralizzata. Se la sua analisi, a nostro parere estremamente suggestiva e feconda, fosse assunta nelle premesse, ma non necessariamente nelle conclusioni, l’orizzonte segnerebbe la ricostruzione di un nuovo Evo, ma questa volta sulla base simbolico fattuale di un nuovo escaton: la sacertà immanente a ogni forma di esistenza. Certo un lavoro da nuovi Titani. (10) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 BIKERS & ANTROPOLOGIA Nel riquadro al centro la copertina del libro di Cesare Lombroso NOVECENTO Delinquenti SINISTRA ITALIANA Quando lo sport era il nemico pubblico su due ruote Nei primi anni del secolo scorso, secondo le tesi del criminologo Cesare Lombroso, il «biciclo» aveva assunto una straordinaria importanza sia come causa che come strumento del crimine di PASQUALE COCCIA Ciclisti, dunque delinquenti. Sentenziava così, all'alba del Novecento Cesare Lombroso e per gli appassionati della biciletta non vi era appello. Il biciclo, come lo chiamava l'autore del famoso trattato L'uomo delinquente, sul finire dell'Ottocento e i primi anni del Novecento tentava i più arditi, i più spericolati, quelli che volevano a tutti i costi provare l'emozione del nuovo, del resto salire sulla «macchina» e pedalare a spron battuto consentiva di dare velocità al corpo e vivere nuove emozioni. Dunque, sosteneva il Lombroso che il massimo della tendenza criminosa si registrava tra coloro che avevano una fascia di età tra i 15 e i 25 anni, quelli esageratamente agili, perciò concludeva senza ombra di dubbio: «Nessuno dei nuovi congegni ha assunto la straordinaria importanza del biciclo sia come causa che come strumento del crimine». Parte da lontano Cesare Lombroso e nel suo libro I delitti vecchi e nuovi, pubblicato nel 1902, a sostegno delle sue tesi riferisce il caso di due fratelli di Torino, entrambi adolescenti, definiti «precoci in amore e nell'uso del vino, divenuti ladri per causa del biciclo». Nell'analisi tra il modello dei vecchi e nuovi criminali, che la società dell'industria alimentava come sottoprodotto, il caso di uno studente ginnasiale di 16 anni, il quale «avendo precoce sensualità, e passione precoce pel giuoco e sport, affittava una bicicletta e non la restituiva al noleggiatore, finendo in carcere». Più chiaro il caso di un giovane di 22 anni, il quale «aveva i caratteri di un delinquente nato, cranio idrocefalo, occhio strabico, avendo preso un colpo al capo a seguito di una caduta ed essendo dedito ai piaceri più ignobili fin dall'età di 10 anni, aveva rubato un bicilo nel negozio in cui lavorava come commesso». A parziale giustifica dell'efferato furto, il Lombroso scriveva: «Bisogna però notare che la madre era isterica e pazza morale; lo zio paterno epilettico e suicida; egli ebbe turbe isterico-epilettiche da giovanissimo, il che spiega la doppia personalità, l'altruismo eccessivo da un lato e l'eccessivo egoismo dall'altro, doppia bilancia che traboccò nel delitto per causa della vanità morbosa, acuita evidentemente dalla moda del biciclo». Non poteva mancare il riferimento al genere femminile, associato senza mezzi termini alla bicicletta come causa di tutti i mali. «Se uno si pretendeva di trovare nelle donne il movente di ogni delitto virile, si potrebbe con minore esagerazione oggi dire: cercate il biciclo!», sosteneva Cesare Lombroso. A conclusione di una serie di casi clinici correlati alla bicicletta, Lombroso attribuisce alle due ruote anche l'origine di casi di pazzia, che il noto criminologo definiva clinicamente «ebefrenia biciclica» tale era il filo rosso che legava il pericoloso mezzo a due ruote ai casi di follia. Il caso clou è quello di un ragazzo di 13 anni «figlio di operai, soffre l'ossessione di possedere una fisarmonica, poi lo prende la smania irrefrenabile dei bicicli, e tutto il giorno, essendo la famiglia povera, medita i mezzi per rubarli, senza essere scoperto, sicché i parenti si allarmano come di pazzia gravissima e criminale». Della bicicletta all'inizio del secolo scorso, facevano uso i ladri per allontanarsi il più velocemente possibile dal luogo del misfatto, ma Lombroso non esitava a considerarla quale origine delle tentazioni delinquenziali. La sua attenzione si soffermò sui ladri di biciclette, fenomeno assai in voga fin dai primi anni del Novecento, infatti una banda di giovinastri, aveva sottratto ai legittimi proprietari «settanta o ottanta bicicli in pochi mesi», e non esitò a tratteggiare l'identikit dei ladri di biciclette, vere e prorie categorie sociali ritenute borderline: «Sono giovanissimi, agilissimi, appassionati ciclisti e della cosiddetta buona società, specialmente militari ed ex militari, meccanici, artisti o studenti con scarsezza del tipo fisiognomico criminale». Le tesi di Lombroso ebbero un certo effetto sull'opinione pubblica, che non poteva non associare la bicicletta ai fenomeni di delinquenza, considerazioni delle quali si avvantaggiarono non poco coloro che all'interno del partito socialista si erano dichiarati apertamente antisportivi. La pratica ciclistica, poteva avere secondo il Lombroso anche un effetto terapeutico, perciò lo consigliava per le cure di «giovani epilettici, discoli, indocili, bizzarri, esauribili e frenostenici». Il ciclismo moderato poteva giovare alle malattie mentali che affliggevano quei giovinastri presi dalla frenesia del nuovo «il ciclismo regolato può avere utili applicazioni in certe nevropatie e specialmente nelle forme depressive: lo spleen e l'ipocondria; nella cura delle paresi, delle amiotrofie, della paralisi infantile, paralisi isterica, dell'esaurimento nervoso generale, della sciatica, della tabe dorsale». Inoltre, avvertiva il criminologo «come effetto generale immediato, si ottiene dal ciclismo l'esaltazione di tutte le funzioni della sensibilità, della circolazione, della forza muscolare, che mette a capo ad una certa eccitazione dell'attività del cervello. Se il ciclismo moderato produce un'eccitazione cerebrale leggera, così che dopo una breve passeggiata, l'intelligenza è più libera e il lavoro mentale è più facile, il ciclismo smodato, invece, determinando un'eccitazione più forte e più lunga, può mettere capo a varie malattie del cervello». di P.C. Se in Europa un certo dinamismo sportivo aveva coinvolto le organizzazioni politiche vicine al movimento operaio, soprattutto nei paesi del nord e del centro dell'Europa, in Italia in particolare tra i giovani delle organizzazioni politiche e sindacali di sinistra, nei confronti dello sport permaneva una forte ostilità in tutto il primo decennio del Novecento. Il partito socialista, impegnato anche in parlamento in dure battaglie per migliorare le condizioni di vita degli operai, trascurò totalmente la questione sport, indiscutibile punto di attrazione dei giovani, demandando il dibattito e le iniziative alla federazione giovanile socialista, che sul tema anziché rappresentare il nuovo, aprendo una breccia a favore dello sport, manifestò un acceso antisportismo, ancor più radicale di quello espresso dai dirigenti del partito. La gioventù di inizio secolo, preferiva la partita di calcio al comizio e la lettura della Gazzetta dello Sport a L'Avanti!, alla sezione locale del partito la società di ginnastica, una situazione che rendeva impotenti le organizzazioni di sinistra, che non avevano compreso il ruolo di aggregazione che svolgeva lo sport e di fascino che esercitava sui giovani. Il dibattito sul che fare, si infervora sugli organi di informazione di sinistra L'Avanguardia, L'Avanti!, La Riscossa, La Lotta, La Giustizia, in vista del congresso nazionale dei giovanili socialisti del 1910 che si tenne a Firenze. Per i giovani socialisti di San Giovanni Valdarno non bisognava occuparsi di sport «essendo cosa assolutamente inutile e disastrosa alla vita politica» mentre quelli del circolo di Boggibonsi ritenevano che lo sport fosse «rovinatore di organismi». Ad avere le idee chiare sull'utilità dello sport è Ernesto Baldo delegato di Canelli: «Serve a far arricchire le case produttrici di biciclette; è il nuovo e unico divertimento per i vagabondi; rovina molti giovani». Non mancano tesi a sostegno dello sport, grazie ai buoni risultati ottenuti da alcune organizzazioni giovanili socialiste, che erano riuscite ad avvicinare alla politica molti giovani grazie, come sostiene Giacomo Azzi di Milano che riteneva si potessero «assorbire alcune mansioni dello sport, come hanno fatto i giovani socialisti in Germania e in Belgio», a stretto giro rispondeva il rappresentante del circolo giovanile socialista di San Quirico che intravedeva il pericolo che «le nostre sezioni si trasformassero in tante palestre». A Ravenna, invece, il congresso deliberava di «disciplinare l'esercizio dello sport e più propriamente della bicicletta». L'antisportismo si propaga particolarmente tra il 1907 e il 1910 perché in quegli anni nascono le grandi classiche, Milano-Sanremo (1907) e il Giro d'Italia (1909), punto di attrazione di giovani e operai, suscitando non poca apprensione tra i dirigenti dell'organizzazione giovanile di sinistra, che non esitarono a definire i ciclisti che gareggiavano «velocipedastri piegati su criminosi manubri a corna di bufalo». ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 PAGINE ■ UN TESTO CHE DISVELA GIOIE E TORMENTI DI UNA BAND John Densmore, non aprite quelle Porte di JOHN DENSMORE* È mattina presto e ho appena lasciato l’automobile nel parcheggio del tribunale, dove ho pagato la solita tariffa di diciassette dollari. Un costo che scende benevolmente a sei dollari dopo le undici del mattino, ma chi è che va in tribunale dopo le undici? Non che io non possa permettermi tale tariffa. Posso permettermela. Ma che dire delle persone sventurate che dominano l’edificio al mattino, con le loro sfortune relative a immigrazione, multe e crimini minori? «Freghiamo i poveretti per l’ennesima volta», deve essere il motto di questo posto. Mentre mi avvicino alle pesanti porte d’ingresso del minaccioso tribunale di Los Angeles, sono più che consapevole del fatto che si tratti di un ambiente ben diverso da quelli in cui sono solito suonare. Rispetto ai locali fumosi in cui ho passato la mia giovinezza solitaria, è decisamente antisettico. Da ragazzino speravo che una ragazza mi notasse dietro la mia scintillante batteria, ma in questo momento non dispongo della mia coperta di Linus musicale. Sono solo mentre faccio il mio ingresso in questo tribunale, armato della mia determinazione a sistemare ciò che credo sia sbagliato. Mi fermo un istante mentre attraverso il metal detector di recente installazione, all’ingresso. Vengo perquisito dagli addetti alla sicurezza mentre poso lo sguardo sul lungo corridoio di marmo dall’intensa illuminazione al neon che si snoda verso la mia nuova cella: intendo l’aula di tribunale Division #36. Immagino che, per alcune settimane, sarò qui tutti i giorni. (Non tutta l’estate, come in realtà andrà a finire). Sono afflitto da riflessioni su come la mia «integrità» mi ha condotto a questa orrenda corte di giustizia. Finirò davvero per avere un minimo di giustizia? Cosa sto cercando di dimostrare? Sto macchiandomi di sabotaggio nei confronti dei miei vecchi compagni? Sono riflessioni che non mi fermeranno, per esempio il fatto che forse dovrei essere meno possessivo riguardo alla titolarità del nostro nome. Non mi appartiene. Appartiene a tutti. Siamo tutti coinvolti in questa cosa. È sbagliato che una persona sola cerchi di fermare tutto? Sono un guastafeste? La verità è che un patto prezioso vergato molto tempo fa dal nostro frontman, Jim, stabilisce in maniera chiara che, se mai la situazione si fosse fatta strana, uno di noi avrebbe potuto e dovuto fare qualcosa. Be’, si è fatta strana e io sto facendo qualcosa. Ma ora che ho scoperto gli altarini, mi trovo nel posto più strano in cui sia mai stato. Dentro l’aula giudiziaria, le persone parlano a bassa voce, chiamandosi «signore» e «vostro Il batterista dei Doors racconta le sue battaglie legali contro gli ex compagni per non svendere l’eredità artistica e morale del gruppo. Quando il rock finisce in tribunale. Un estratto dal libro onore», e contemporaneamente e volutamente pugnalano chiunque sia loro d’intralcio… al collo, alla schiena, ai fianchi, davanti, ai piedi… dappertutto. Indossano il miglior abito Armani della domenica, ma si comportano come se si trovassero in un bordello e non in una chiesa. Cosa diavolo ci faccio qui? Non avevo idea che, quando Jim suggerì che dividessimo tutto in quattro, si fosse trattato di una decisione storica che non era e non sarebbe mai stata messa in atto da nessuna altra band. La sua idea non era semplicemente stata magnanima, perché quella solidarietà si dimostrò inoppugnabile. Nessuno avrebbe incrinato quella fortezza. Mi conforta la convinzione di non aver sabotato Jim. Anzi, riflettendo a distanza di tanti anni sulla reazione violenta di Jim all’incidente della Buick, quando Ray, Robby e io per poco non vendemmo Light My Fire per uno spot televisivo, provo vergogna. Al tempo, quando lo sfogo rabbioso di passione di Jim contro la nostra decisione di vendere una canzone a un’agenzia pubblicitaria mi rimase impresso nella mente, per sempre, il gene dell’avidità scorreva nelle mie vene. Per trent’anni siamo stati un gruppo musicale con uno degli accordi a quattro più unici di sempre: non si sarebbe potuto stipulare alcun contratto senza l’okay di tutti. E ora siamo nemici in armi al quarto piano del tribunale, nel centro di Los Angeles. Nel libro Il codice dell’anima: carattere, vocazione, destino, James Hillman (candidato al Pulitzer, psicologo junghiano e autore di bestseller) dichiara che gli individui hanno già dentro di sé il potenziale per sviluppare tutte le loro possibilità esclusive, proprio come una ghianda detiene in sé il progetto di una quercia. Credo che Jim e il leggendario Cavallo Pazzo (il condottiero nativo americano degli Oglala Lakota) avessero vocazioni simili, ovvero il mistero invisibile al centro di ogni vita che risponde alla domanda fondamentale: «Cos’è che davvero, intimamente, devo fare?». Malgrado tutte le avversità della sorte orribile che toccò a questi due uomini, vissero fino in fondo le immagini significative che avevano dentro di sé fin dal principio. Odio tutte quelle false dicerie sulla morte di Morrison, ma c’è un motivo per cui, come nel caso di Cavallo Pazzo, (11) l’ubicazione dei resti di Jim è tuttora fonte di mistero. Sono certo che il cimitero parigino di Père-Lachaise sia il suo «felice territorio di caccia» perché ha scambiato Il Grande Spirito con lo spirito nella bottiglia, ma lo spirito di Jim resta così forte che i fan lo vogliono in vita. (...) Io stesso ripenso al periodo dolce e innocente in cui eravamo una garage band, prima che il nostro «grande sogno» ci proiettasse sul palcoscenico globale. Ma c’è davvero poco di sacro in questa corte, zeppa di persone che si scambiano segreti a bassa voce. Sono abituato a fan vocianti, inebriati che ci chiedono a gran voce la loro canzone preferita. Come si è arrivati a questo punto? Mentre attendo di mettere piede nell’aula giudiziaria, viaggio a ritroso nel tempo, fino agli inizi… Era il 1965. Ray Manzarek e Jim Morrison si erano conosciuti ed erano subito diventati amici frequentando la scuola di cinema dell’Ucla, nel bellissimo Westwood Village di Los Angeles. Al tempo, la gente stava iniziando a sviluppare interesse per la filosofia orientale e, dunque, il mio buon amico Robby Krieger e io decidemmo di partecipare a un seminario sulla meditazione trascendentale a cui partecipò anche Ray, che non avevo ancora incontrato. Avevo un’ossessione per la musica e avevo iniziato a prendere lezioni di piano a otto anni, inoltre avevo suonato la batteria nella banda delle scuole superiori, nella banda da ballo e nell’orchestra. Andai a Tijuana, dove mi feci fare un documento di identità falso per poter suonare nei bar… un professionista in erba. All’incontro sulla meditazione trascendentale, Ray si presentò e mi invitò a casa dei suoi genitori a Manhattan Beach per fare una jam. Ero pronto, felice di seguire qualsiasi suggerimento pur di intensificare l’eccitazione che fare musica mi trasmetteva. Gli elogi di altri musicisti erano come il balsamo del dermatologo per la mia acne. L’incontro nel garage di Ray ebbe sfumature negative e positive. Da un lato, c’era lo scarso livello musicale dei due fratelli di Ray… ma quel tizio che se n’era restato in un angolo del garage mi affascinava. Si chiamava Jim Morrison, sembrava una versione moderna di una scultura greca e si muoveva pure come una statua greca. In altre parole, non si muoveva affatto. *(C) 2013 John Densmore, estratto da «The Doors. Lo spirito di un'epoca e l'eredità di Jim Morrison» (John Densmore, Arcana, euro 22, pp. 335) Un’immagine recente di Densmore (foto Jeff Sarpa), sopra con la prima batteria (Densmore), al centro Jim Morrison (Paul Ferrara) e ancora Densmore (Paul Ferrara) (12) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 ROCK STORIE ■ QUANDO LA COPPIA «SCOPPIA». GLI OTTO SODALIZI PIÙ IMPORTANTI DELLA MUSICA Il primo incontro non si scorda mai di GUIDO MARIANI C’è stato un tempo in cui anche i miti del rock erano adolescenti con più sogni che convinzioni, fino a quando l’incontro giusto ha cambiato le loro vite. La storia delle grandi band è anche una storia di profonde amicizie o grandi amori, di legami personali nati per caso e diventati un percorso di vita basato su una comune visione artistica o un desiderio di gloria. Molte leggende del pop e del rock sono legate a un primo incontro, a una scintilla che ha unito due anime destinate a diventare gemelle: amici diventati artisti, artisti diventati star. In alcuni casi l’unione si è dimostrata inossidabile, in altri il successo, il destino, il tempo hanno corroso il legame. Ma la musica è rimasta. JOHN LENNON & PAUL MCCARTNEY Il mondo come lo conosciamo sarebbe oggi molto diverso se nel pomeriggio del 6 luglio 1957 un quindicenne di Liverpool chiamato Paul McCartney non avesse partecipato a una festa nel giardino della parrocchia del quartiere di Woolton, in occasione della fiera tradizionale della Rose Queen che prevedeva una sfilata, uno show dei cani della polizia, un rinfresco e alcune esibizioni musicali, tra cui quella di un gruppo di musica skiffle chiamato Quarrymen. Leader della formazione era John Lennon, un sedicenne che cantava e suonava la chitarra. I Quarrymen si esibirono prima sul retro di un furgone accompagnando la sfilata, poi allestirono i loro strumenti per un’esibizione serale in programma presso la parrocchia. Fu qui che il bassista dei Quarrymen, Ivan Vaughan, presentò al cantante il suo compagno di scuola Paul. «Ero uno scolaretto un po’ grassoccio e nel momento in cui mi mise il braccio sulla spalla capii che era un po’ ubriaco» ricorderà McCartney. Secondo il suo racconto, John mostrava già dei chiari segni di un grande talento: «Era bravo. Pensai ‘Si presenta bene, canta bene ed è un ottimo lead singer’. Si distingueva da tutti gli altri membri della band». Dopo essersi presentati i due imbracciarono gli strumenti, McCartney mostrò a Lennon come accordare la chitarra e poi si mise a cantare Twenty Flight Rock di Eddie Cochran e Be Bop a Lula di Gene Vincent. Proseguirono insieme strimpellando alcuni ritornelli delle canzoni di Little Richard. A quanto ricorda Paul andarono anche a suonare un pianoforte su cui lui accennò le note della scatenata A Whole Lot of Shakin' di Jerry Lee Lewis. Alla fine della serata i membri del gruppo con Paul andarono al pub dove entrarono mentendo sulla loro età e facendosi servire delle birre. Qualche settimana dopo Lennon caldeggiò l’entrata di Paul nei Quarrymen. «Da quel giorno - ha ricordato McCartney - passammo i nostri anni da teenager come amici inseparabili». BONO VOX & THE EDGE Il rock e la bibbia. È difficile pensare a un legame più saldo se le premesse sono queste. La storia degli U2 inizia in una scuola superiore di Dublino, la Mount Temple High School. Un giorno, nel settembre del 1976, sulla bacheca della scuola apparve un annuncio scritto a penna: «Batterista sta cercando musicisti per iniziare una rock band». Più sotto una firma, Larry Mullen Jr., e un numero di telefono. Larry ai tempi era un ragazzino di 14 anni con una buona formazione musicale, ma scarsa esperienza e al suo richiamo risposero alcuni suoi coetanei che di musica ne sapevano molto meno. Larry convocò tutti a casa sua e nella sua cucina si presentarono sei ragazzi tra cui due suoi amici, Peter Martin e Ivan McCormick e altri alunni della scuola, David Evans e suo fratello Dick, Adam Clayton e Paul Hewson che si faceva chiamare Bono Vox. In poche settimane da quella riunione improvvisata nacque un progetto musicale chiamato i Feedback, Peter Martin, Ivan McCormick si fecero da parte così come, per motivi di studio, Dick Evans. I Feedback divennero gli Hype, gli Hype divennero gli U2. In quella cucina era nato un legame artistico e umano che dura anche oggi. Bono Vox iniziò a conoscere gli altri e troverà la sua anima artistica gemella in David, ragazzo meno istrionico di lui, a cui affibbierà un nome che gli rimarrà attaccato per sempre, The Edge. Paul Hewson era un adolescente incontenibile noto per voler essere sempre al centro dell’attenzione. Faceva parte di un gruppo di ragazzi che nella scuola si dava una certa importanza, si facevano chiamare The Lypton Village e amavano darsi dei soprannomi. Quello di Paul era stato per un certo periodo lo scioglilingua demenziale «Steinhegvanhuysenolegbangbangbangbang», ma poi un membro dell’improvvisata compagnia decise che andava meglio Bono Vox, dall’insegna di un negozio di apparecchi acustici di Dublino. Fu così che Bono si sentì in dovere bollare con un nomignolo anche il suo nuovo amico e lo definì The Edge traducibile come «limite», ma anche come «spigolo». Un nome scelto per l’aspetto affilato del volto del ragazzo, ma poi rivelatosi perfetto per descrivere la sua personalità acuta e determinata. L’amicizia tra i due non si limitava al rock, Bono e The Edge con Larry rinsaldarono il loro legame anche partecipando nei primi anni della loro amicizia a un gruppo di preghiera e di studi biblici chiamato Shalom. A un certo punto si trovarono di fronte al dilemma se la loro fede potesse conciliarsi con il rock. Stava scoppiando la rivoluzione del punk, i ragazzi erano stati folgorati dai Ramones, visti dal vivo a Dublino nel settembre del ’77. Insieme capirono alla fine che, senza rinunciare alla fede, il rock era la loro vita se fossero stati in grado di trovare una loro voce. Fecero questa scelta insieme senza più guardarsi indietro. Da adolescenti e sognatori a icone pop. Amicizie, legami e amori destinati a segnare epoche, mode e stili. Una festa in parrocchia per i Beatles, il treno dei Rolling Stones, gli U2 e la bibbia LOU REED & JOHN CALE Il giovane Lou Reed era un ragazzo appassionato di musica che aveva già maturato alle scuole superiori le sue prime esperienze in alcuni gruppetti. Dopo il liceo si iscrisse all’Università di Syracuse, dove frequentò la facoltà di arte. Uscito dal College, nel 1964, venne reclutato da una casa discografica di Long Island, la Pickwick International, una sorta di piccola industria della canzone che sfornava singoli a ripetizione. Una fabbrica di one hit-wonder che incassava sugli stili musicali di moda. Reed veniva pagato 25 dollari a settimana per scrivere canzoni rock e pop che spesso uscivano sotto nomi di fantasia di gruppi che di fatto non esistevano. Terry Phillips, uno dei proprietari della Pickwick, a un party incontrò John Cale, proveniente dal Galles e approdato negli Stati Uniti per studiare musica classica con una borsa di studio. Decise di reclutarlo e fargli incidere con Lou Reed un brano che quest’ultimo aveva scritto e che prometteva di diventare una potenziale hit. La canzone si chiamava The Ostrich e fu pubblicata sotto il nome The Primitives, band che vedeva per la prima volta insieme Reed e Cale. «Ai tempi - ricorderà Lou - si lavorava rinchiusi in quattro in una stanza a scrivere canzoni. Ci dicevano: “Abbiamo bisogno di 10 canzoni nello stile California, 10 nello stile Detroit”. Andavamo poi nello studio e incidevamo tre o quattro album velocemente perché alla fine ci sapevamo fare. Non lavoravamo bene. Lavoravamo in fretta». Lou, che ai tempi viveva ancora nella casa di famiglia a Freeport, decise di trasferirsi a casa del nuovo amico nel cuore di Manhattan. I loro interessi divennero la musica e l’eroina. «Non avevamo un soldo. Mangiavamo solo cereali e vendevamo il sangue. Abbiamo anche posato per dei tabloid scandalistici da 15 centesimi che pubblicavano storie fasulle. La mia foto venne usata come quella di un killer che aveva ucciso 14 bambini, aveva registrato le loro urla su un nastro che ascoltava nella sua fattoria del Kansas. La foto di John divenne quella di un tizio che aveva ucciso l’amante perché lei voleva mettersi con la sorella e lui non voleva che la sorella frequentasse delle lesbiche». Ma nella loro vita erano destinati a ben altro. Nel 1965 fondarono i Velvet Underground con due laureati di Syracuse, Donald «Sterling» Morrison e Angus Maclise (poi rimpiazzato da Maureen Tucker). Rievocherà Reed: «Iniziammo a suonare in una tremenda coffee house che ci pagava 5 dollari a testa a sera e ci cacciò dopo una settimana e mezza perché la gente odiava la nostra musica». Dietro l’angolo c’era una persona destinata a cambiare le loro vite. Incontrarono infatti Andy Warhol che fece di loro la band di punta della scena artistica newyorkese. ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 BLACKWING 602, LA REGINA DELLE MATITE MICK JAGGER & KEITH RICHARDS Si sono amati, si sono odiati, hanno scritto pagine memorabili di rock e di vita spericolata e superati i settant’anni, suonano ancora insieme con lo spirito di due ragazzini. La mattina del 17 ottobre 1961 il diciottenne Mick Jagger arrivò sul binario 2 della stazione del paese di Dartford, nel Kent, per raggiungere la London School of Economics di cui era studente. Poco dopo arrivò nello stesso posto un altro ragazzo suo coetaneo, Keith Richards. Era diretto al Sidcup Art College e portava con sé la sua chitarra elettrica Höfner. Jagger aveva sotto braccio alcuni dei suoi amatissimi vinili di blues. Uno aveva i dischi, l’altro uno strumento, i due si notarono, si squadrarono e si riconobbero. Avevano infatti entrambi frequentato anni prima la stessa scuola, la Wentworth Primary School. Iniziarono così a parlare di musica e a capire che avevano le stesse idee. Fu un colpo di fulmine artistico. Richards divenne da subito il chitarrista del gruppo di cui Jagger era allora il frontman, i Little Boy Blue and the Blue Boys. Della acerba band esiste anche un pugno di registrazioni tra cui una versione di La Bamba in cui Jagger inciampa sullo spagnolo. Ma i Blue Boys erano destinati a una vita breve. Mick e Keith incontrarono Brian Jones e Ian Stewart, e il 12 luglio 1962 al Marquee club di Londra si tenne il primo concerto dei Rolling Stones. Il duo di amici fraterni si troverà negli anni anche un soprannome. Nel dicembre 1968 durante una vacanza in barca in Brasile con le rispettive fidanzate, Marianne Faithfull e Anita Pallenberg, incontrarono un’anziana coppia inglese che chiese loro chi fossero. Mick e Keith non vollero rivelare le loro identità sfidando i due a riconoscerli. La moglie chiese un aiutino e reclamò insistentemente di darle un suggerimento, ripetendo «Just give us a glimmer!». La situazione divertì molto i due Stones sorpresi da questa ritrovata anonimità. Glimmer letteralmente vuol dire «luccichio» e da quel momento i due decisero di firmarsi nei dischi come i Glimmer Twins. Da allora ci sono stati alti e bassi, infiniti litigi e riconciliazioni, ma gli Stones sono sempre sopravvissuti. Richards è addirittura arrivato a denigrare le dimensioni del pene di Mick nella sua autobiografia Life. Jagger non l’ha presa bene, ma quest’estate hanno festeggiato i 50 anni di carriera sul palco. E a Dartford stanno preparando un monumento da esporre sul binario 2 che ricordi per sempre quell’incontro tra i due ragazzi innamorati del blues. di FRANCESCO ADINOLFI Sta tutto in quell’anima di grafite, morbida, aspersa di cera. O magari in quella ghiera dorata, compressa, da cui sbuca una gommina rosa per cancellare. Oppure è quel nero a contrasto con l’oro. O forse è una perversa, affascinante combinazione di «ingredienti» che rende la Blackwing 602 (foto) la regina delle matite. Per lei impazzivano Vladimir Nabokov, John Steinbeck, Stephen Sondheim. Con lei animava e disegnava Chuck Jones, il genio della serie animata Looney Tunes. Invitato in tv dal presentatore Usa Charlie Rose, brandendo la Blackwing 602 (13) sentenziò: «Una penna è piena di inchiostro, questa è piena di idee». La storia della matita è triste e bizzarra. In produzione dal 1949, quando nel 1994 la Eberhard Faber viene rilevata dalla Faber-Castell, in fabbrica si accorgono che il macchinario che produceva la ghiera dorata era stato irrimediabilmente danneggiato. Si decise dunque di bloccare la produzione e smaltire le scorte (durate fino al 1998). Nel 2010 la California Cedar Pencil Company ha rieditato la matita rinominandola Palomino Blackwing; un anno dopo è seguita la Palomino Blackwing 602: ghiera diversa, grafite più dura, colore esterno meno intenso. Insomma non più lo stesso oggetto utilizzato anche Igor Stravinskij. Oggi una scatola da nove 602 originali arriva a costare anche 250 dollari. E un blog interamente dedicato alla matita spiega perché: http://blackwingpages.com/no-ordinary-pencil/ PAUL SIMON & ART GARFUNKEL JACK & MEG WHITE John Anthony Gillis era un aspirante musicista con una piccola impresa di tappezzeria quando una sera del 1994 andò a mangiarsi una bistecca al bar Memphis Smoke di Royal Oak, poco fuori Detroit. Qui incontrò la cameriera Meg White, si conobbero e divennero ben presto una coppia. Due anni dopo erano marito e moglie e fu proprio John che decise di prendere il cognome della moglie diventando Jack White. Meg non era musicista, ma seguì la passione del marito e iniziò ad accompagnarlo alla batteria, finché la coppia decise di creare un duo musicale, i White Stripes. Scelsero di mantenere le cose più essenziali possibili: voce, batteria, chitarra. Vollero inoltre di presentarsi al pubblico come fratello e sorella e non come marito e moglie. Un po’ per gioco un po’ per non sentirsi fare le solite domande sulle coppie che suonano insieme. Nel ’99 incisero il loro primo album omonimo. «Quando vedi un duo e scopri che sono fratello e sorella - spiegò Jack - pensi subito che ci sia qualcosa da scoprire. Sei più interessato alla musica, non alla relazione personale tra i due». Il pubblico li credeva ancora fratello e sorella quando i due decisero di divorziare nel marzo del 2000. Dopo il divorzio rimasero una coppia artistica e conquistarono il grande successo. La loro avventura musicale si è conclusa ufficialmente nel 2011. Tutto cominciò con Alice nel paese delle meraviglie. Nel 1953 Paul Simon e Arthur Garfunkel erano due ragazzini che frequentavano una scuola media a Forest Hills nel quartiere del Queens a New York. La scuola decise di allestire una rappresentazione teatrale della fiaba di Lewis Carroll con gli studenti come attori. A Simon finì la parte del Bianconiglio a Art la parte dello Stregatto. I due si conobbero così e fra loro nacque subito una fratellanza artistica. «Artie aveva la miglior voce del quartiere - ricordò Paul Simon - ci innamorammo del rock’n’roll quando a New York c’era solo una radio che lo trasmetteva». «Passavamo i pomeriggi insieme a cantare - rievocò Art Garfunkel - e ci inventavamo degli show musicali radiofonici che incidevamo su un registratore a nastri». Nel 1957 iniziarono a fare musica in modo professionale. Non scelsero il nome Stregatto e Bianconiglio, ma quasi, e pubblicarono un disco come Tom & Jerry riuscendo, ancora da studenti, a mandare il 45 giri Hey Schoolgirl in classifica. Ma il vero successo era ancora lontano. Nel 1964 approdarono alla Columbia dove pubblicarono il loro primo album come Simon & Garfunkel. L’anno dopo il singolo The Sound of Silence li consacrò alla fama mondiale. La loro amicizia però sembra aver avuto più bassi che alti. Il duo si separò nel 1970 in maniera poco amichevole tra reciproche invidie e recriminazioni. Si riunirono nel 1981 per uno storico concerto al Central Park. Nel 1990 furono ammessi nella Hall of Fame del rock e riuscirono a punzecchiarsi anche alla cerimonia. «Arthur e io non siamo d’accordo quasi su niente» scherzò Simon. Nonostante tutto nel 2003 erano ancora in tour insieme. «Alla fine siamo come fratelli nei nostri gusti musicali e nel nostro sense of humor» spiegò Garfunkel. SID VICIOUS & JOHNNY ROTTEN STEVIE NICKS & LINDSEY BUCKINGHAM Chi ha detto che i grandi amori debbano durare per sempre? Stevie Nicks e Lindsey Buckingham sono stati probabilmente la coppia di amanti-rocker più celebre al mondo e la fine della loro relazione è stata l’ispirazione artistica di uno dei dischi fondamentali degli anni Settanta. I due si incontrarono per la prima volta al liceo. Era il 1966. Lindsey stava cantando a una festa e Stevie lo vide, ne rimase colpita. Si misero a cantare insieme. «Stava suonando California Dreamin’ - ha ricordato la cantante - e io mi misi a cantare con lui. Gli dissi “io sono Stevie”. “Io sono Lindsey” rispose. Eravamo entrambi fidanzati all’epoca, ma mi innamorai di lui. Mi aveva catturata». «Due anni dopo, io iniziai a cantare in un gruppo, lui mi chiamò e mi chiese se volevo far parte di una rock band. Allora suonavo folk, ma accettai. Nel giro di poche settimane aprivamo gli show di Jefferson Airplane e Janis Joplin». Ormai erano diventati una coppia fissa e la loro band si chiamava i Fritz, ma ebbe vita breve. Nel 1973 arrivò però il loro primo album come duo. Si intitolava Buckingham Nicks e loro appaiono romanticamente insieme sulla copertina che li ritrae nudi. Due anni dopo entrarono nei Fleetwood Mac, un gruppo blues rock inglese che sembrava ormai sul viale del tramonto e che aveva già nove album alle spalle. Con Stevie e Lindsey la band rinacque. L’album Fleetwood Mac del ’75 vendette 5 milioni di copie negli Stati Uniti e li consacrò come star assolute. Ma il successo li travolse, tra Stevie e Lindsey le cose iniziarono ad andare male. Nel 1976 si lasciarono e l’amarezza della loro separazione confluì nelle canzoni del nuovo album dei Fleetwood Mac, Rumours. La crisi personale fu la loro fortuna artistica. Il disco venne pubblicato nel febbraio del 1977 e da allora ha venduto più di 40 milioni di copie nel mondo. Stevie Nicks e Lindsey Buckingham hanno continuato a suonare insieme per anni. I Fleetwood Mac si sono sciolti e riformati più volte e quest’anno sono ancora in tour insieme. La relazione amorosa si è interrotta, ma l’intesa no. «Quel folle legame elettrizzante tra noi non è mai morto, non morirà mai. Non andrà mai via - ha spiegato in diverse occasioni Stevie -. Lindsey è sposato, è felice, ha tre figli. Ha trovato un posto sicuro. Ma quello che siamo uno per l’altra non cambierà mai. È finita, l’amore in qualche modo è rimasto, ma non siamo stati più insieme e non lo saremo più. E questo è forse anche più romantico». Simon Ritchie nacque nel maggio del 1957, figlio di Anne Beverley una donna single che amava vivere da hippie. Per un certo periodo il ragazzo visse a Ibiza, dove la madre viveva spacciando marijuana. Tornati in Inghilterra, Anne iniziò a usare droghe pesanti e la famiglia dovette vivere con l’assistenza dei servizi sociali. Dopo una serie infinita di lavoretti della madre e di traslochi, il giovane Simon si trovò a Hackney, quartiere nord-est di Londra, e venne iscritto a un liceo artistico statale. Lì conobbe John Lydon. I due divennero inseparabili. Ritchie all’epoca era un fan sfegatato del glam rock, seguiva David Bowie e i Roxy Music, adorava i T. Rex ed era un maniaco della moda, amava vestirsi come i suoi idoli a costo di sembrare goffo ed effeminato. Lui e Lydon decisero ben presto che la scuola non era fatta per loro e la abbandonarono. Trascorrevano le giornate in King’s Road fuori dal negozio più glam di Londra, Sex, la boutique di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Le notti le passavano in case occupate nell’area di Hampstead, strimpellando musica per strada per racimolare qualche spicciolo. «Gli altri squatter ci odiavano per come vestivamo - ricorderà John Lydon -. Decidemmo di adeguarci e io gli tagliai i capelli a ciuffi, così a caso. L’idea era quella di non avere nessuno stile particolare». Fu anche così che nacque il punk. Lydon iniziò a chiamare Ritchie con lo stesso nome con cui aveva chiamato un suo criceto, Sid Vicious. Nel 1975 Lydon era diventato parte dei Sex Pistols, nati sotto l’egida di Malcolm McLaren, e anche a lui verrà affibbiato un soprannome, Johnny Rotten, «il marcio», un appellativo scelto dal chitarrista della band Steve Jones a quanto pare per i denti non in perfetta salute del ragazzo. Sid andava a tutti i concerti dei Pistols ed era ormai parte dello spettacolo, ballava come un pazzo, si dimenava, saliva sul palco e si buttava addosso agli spettatori. Quando Glen Matlock, il bassista, nel febbraio del ’77 lasciò il gruppo, Sid prese il suo posto. Divenne l’immagine più riconoscibile della rivoluzione punk. Ma era fuori controllo e la sua vita finì in tragedia due anni dopo, quando uccise la fidanzata Nancy prima di togliersi la vita. Certi legami sono più forti della follia e del sangue e John Lydon lo ricorderà sempre come il ragazzo di cui fu amico per la pelle: «Tutti lo ricordano con il personaggio che interpretava - ha detto - non come la persona reale che era». (14) ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 RITMI Hailé Selassié, il fuoco e la piazza di Vernasca sono gli elementi del progetto di Simone Trabucchi e Simone Bertuzzi di SERENA VALIETTI «Quando da ragazzino mia nonna mi vedeva spettinato o vestito un po' trasandato mi diceva “sistemati che sembri un Negus!”», una parola che per un'anziana signora di un paesino aggrappato all'Appennino piacentino identificava un personaggio istrionico, bizzarro, anche un po’ repellente. Di quel termine radicato nel vocabolario del posto, che significava imperatore in etiope, non certo reietto, era rimasto a galla solo un significato attribuito, mentre il contesto legato a quell'espressione era andato totalmente a fondo. Ottant'anni dopo quel termine riaffiora e diventa la linea guida dell'ultimo progetto di Simone Trabucchi e Simone Bertuzzi, che dal 2003 come Invernomuto portano avanti un percorso fortemente radicato tra sottoculture e musica, che si allarga a immaginari collettivi molto differenti tra loro, analizzandone simboli e codici. Simone, uno o entrambi, è quel ragazzino spettinato, un Negus nel suo non essere riconosciuto della nonna in funzione della sua alterità sottoculturale, unito nella sua diversità a quello che gli abitanti di un piccolo centro italiano degli anni Trenta percepivano l'esotismo quasi caricaturale dell'Imperatore di Etiopia, Hailé Selassié. Negus è il titolo del progetto di Invernomuto, che partendo da Vernasca indaga questa figura, il cui fantoccio «è stato bruciato in una festa nella piazza del paese per celebrare un soldato ferito rientrato dalla guerra etiope - racconta il duo Invernomuto -. Una storia sopravvissuta solo oralmente, che per noi meritava di essere raccontata, fissata perché riporta alla luce gli episodi rimossi di un'Italia coloniale e da cui allargarsi a Etiopia e Giamaica, coinvolgendo anche il re del dub Lee “Scracth” Perry. La versione live del progetto Negus, Echo Chamber, sarà presentata in anteprima il 13 settembre nella sezione VerniXage INTERVISTA ■ IL 13 SETTEMBRE DAL VIVO AL MILANO FILM FESTIVAL Reggae al rogo. Il Negus secondo Invernomuto dedicata al rapporto tra cinema e videoarte del Milano Film Festival, dove i fotogrammi del lavoro di Invernomuto saranno sonorizzati dai due Simone in versione selecter, che proporranno una colonna sonora diffusa dal Prince Healer sound system. «Muovendosi tra sottoculture e musica prima o poi è stato inevitabile incontrare il reggae. Il passo successivo è stato cominciare a lavorare sul contesto, utilizzando la musica come lente per studiare un territorio spesso molto vicino a noi: abbiamo fatto un lavoro che partendo dal black metal norvegese finiva a concentrarsi sul ritrovamento di un fossile nel piacentino (Whalesland, ndr). Questo vale anche per il reggae: lo shock è stato scoprire che il fantoccio dell'icona del rastafarianesimo era stato bruciato nella piazza sotto casa, a quel punto raccontare la storia è diventato necessario; per farlo abbiamo scelto un approccio performativo e pensato a un rito di purificazione della piazza, teatro del rogo». Il primo studio di Negus viene In queste immagini alcuni momenti della performance «Negus» di Invernomuto, con Lee «Scratch» Perry (anche qui accanto) nei panni di Hailé Selassié (foto di Moira Ricci) presentato nel 2011 al Padiglione d'Arte Contemporanea di Ferrara, dove Invernomuto realizza un'installazione contenente gli elementi base del progetto, Hailé Selassié, il fuoco e la piazza di Vernasca. «Da qui abbiamo sviluppato la prima versione del video, Negus-Duppy Conquerors, in cui abbiamo allestito una scenografia con un fuoco centrale, un gigantesco sound system e incluso anche il monumento ai caduti. Mio fratello e alcuni amici rappresentavano i guardiani, che dovevano tenere lontani i fantasmi (duppy in patois giamaicano, ndr) assumendo la posa del leone in cui si metteva durante i suoi set lo storico producer Jah Shaka». Con questo video Invernomuto è stato nominato da Filipa Ramos e Elena Filipovic tra i cinque finalisti del Premio Furla di arte contemporanea, il tema 2013 era proprio il fuoco, Add Fire. «Fire! Fire! Fire! continuerà a urlare anche Lee “Scratch” Perry nella piazza di Vernasca, mixando altre parole rituali in una sorta di freestyle facendo partire guizzi di fuoco catartici, innocui rispetto alle fiamme con cui bruciò il suo studio di Kingston. Pur essendo un personaggio molto controverso, “The Upsetter” in questo caso ha sposato subito il senso del progetto, calandosi nel ruolo del maestro di cerimonia del rito di purificazione del posto dal rogo di decenni prima. Quel fatto ha subito una rimozione fortissima da parte degli abitanti di Vernasca, che quasi non ricordano più nulla, come al margine della nostra storia nazionale è stata lasciata la questione coloniale etiope. Una rimozione parziale è avvenuta anche in Africa: oggi Selassié è amato da molti e si scorda l'attentato fallimentare contro di lui da parte degli studenti del paese sull'onda del maggio francese». Le distanze tra Vernasca e Addis Abeba per gli Invernomuto si accorciano ulteriormente grazie alla piattaforma di crowdfunding Indiegogo, con cui il duo ha raccolto i fondi per portare Lee «Scratch» Perry in Italia: «Tra i donatori c'era anche il direttore del festival Novara Jazz Corrado Beldì, che dopo un viaggio in Etiopia era rimasto in contatto con Alessandro Ruggeri dell'Istituto italiano di Cultura della capitale, dove siamo stati ospiti per una breve residenza». Da Addis Abeba ci siamo mossi lungo i tracciati in cui il mito trasfigura la storia di Selassié, venerato come il Messia Nero dai rastafariani, a cui decise di concedere un ampio appezzamento in Etiopia perché questi potessero ritornare alle origini. «Abbiamo visitato la comunità rasta di Shashamane, un ghetto autoproclamato: un luogo che da Kingston sembrava un paradiso, si è rivelato un compound di lamiere e baracche. Una contraddizione pazzesca che ritorna in una Giamaica ormai lontana da quella di Marley, ma del gangsta ragga di Vybz Kartel, che non smette richiamare il mito del back to Zion; il punto è che i giovani etiopi che lo cantano a Zion ci stanno già, ma vivono di merda comunque». Nonostante tutto l'utopia ideale resta più forte della realtà dei fatti. «L'artificio è il motore per una più ampia analisi della rampante e quotidiana fiction che siede quieta sotto la superficie della vita contemporanea» scriveranno Ramos e Filipovic riguardo al lavoro di Invernomuto, nato «scavando nella vicenda del Negus e assemblando i materiali visivi secondo una modalità tipica del reggae, il versioning, che da un'unica base genera differenti versioni di una canzone». Base del progetto è la piazza del rogo, spazio di definizione di un'identità collettiva, rinforzata dalla valenza simbolica dei monumenti: «Da quello ai Caduti di Vernasca, a quelli di Addis Abeba dedicati a Selassié, sottratti dagli invasori come trofei». La rimozione dei memoriali, l'esodo dei rasta e le correnti sommerse della musica confluiscono nel nucleo mobile di Invernomuto, insieme alle ricerche personali dei due: Simone Bertuzzi con Palm Wine, un progetto nato nel 2009 come evoluzione della sua tesi sulle transculture del suono e Simone Trabucchi attivo con l'etichetta di ricerca Hundebiss e l'alias Dracula Lewis. Due esperienze che andando oltre l'arte ne rientrano attraverso l'approccio plurale e trasversale di Invernomuto, «un'operazione in cui gli immaginari legati a questi mondi, uniti ad altri contesti, vengono fatti collassare insieme e codici dati per assodati si scardinano, generando una narrazione polifonica e in continua mutazione e migrazione». ALIAS 7 SETTEMBRE 2013 (15) ULTRASUONATI DA STEFANO CRIPPA VIOLA DE SOTO GIANLUCA DIANA GUIDO FESTINESE GUIDO MICHELONE ROBERTO PECIOLA NEW ORLEANS Basin Street, label per tradizione Iperattività per una delle storiche etichette di Nowlins, la Basin Street Records. Si parte con Theresa Andersson: svedese naturalizzata statunitense di casa a New Orleans. La one-woman band con Street Parade incide il suo miglior disco. L'ottima cantante e polistrumentista che qui si avvale di una band effettiva, firma undici brani autografi vicini al folk pop scandinavo. Solo apparenza: ovunque trovate metriche e ritmiche di Nola, frammentate e riscostruite con tanto gusto. Scopritele con Fiya's Gone e What Comes Next. Spazio anche a Kermit Ruffins, che pubblica We Partyin' Traditional Style!, il quale chiaramente non contiene nulla di nuovo. Di contro se si vuole ascoltare l'anima musicale tradizionale della città, lui è davvero il miglior rappresentante contemporaneo, vedasi Exactly Like You e Treme Second Line. Finale con Davell Crawford e il suo My Gift to You. Finalmente una produzione in studio degna delle sue performance live. Tradizione, jazz pop e una maestria indiscussa al pianoforte. Alla storia: Creole Man e River. Bravo. (Gianluca Diana) ON THE ROAD David Byrne & St. Vincent L'incontro tra l'ex leader dei Talking Heads e la talentuosa cantante e autrice statunitense ha portato a un apprezzato lavoro discografico, Love This Giants, e a un nuovo ep dal titolo Brass Tactics. Gardone Riviera (Bs) LUNEDI' 9 SETTEMBRE (ANFITEATRO VITTORIALE) Padova MARTEDI' 10 SETTEMBRE (GRAN TEATRO GEOX) Roma MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA) Firenze GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (TEATRO VERDI) Beach Fossils Direttamente dalla scena noise pop di New York. Modena MARTEDI' 10 SETTEMBRE (EX OSPEDALE SANT'AGOSTINO) Roma MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (CIRCOLO DEGLI ARTISTI) Padova GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (CASTELLO CARRARESE) Evan Lurie L'ex leader dei Lounge Lizards è oggi un apprezzato compositore di colonne sonore. Mantova SABATO 7 SETTTEMBRE (VIRGILIOFESTIVAL DELLA LETTERATURA) Milano DOMENICA 8 SETTEMBRE (COX 18) Vasto (Ch) GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (TEATRO ROSSETTI) Napoli VENERDI' 13 SETTEMBRE (RIOT STUDIO) AA. VV. VERVE REMIXED: THE FIRST LADIES (Verve/ Universal) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Certo, a sentire la voce di Ella filtrata «swingare» sulle note di Cole Porter (Too Darn Hot) ma con l'aggiunta di beat, sample in quantità, si potrebbe gridare a «lesa maestà». Ma il giochino del remix trattato da specialisti del genere (qui Irac, Kaskade, Bassnectar, Carnage e Vicotr Niglio), non è affatto da buttare. Ora tocca alle signore della musica, c'è anche Nina Simone in un oscuro e intrigante trattamento su Don't Let me Be Misunderstood e la divina Sarah (Vaughan) shakerata in Please Mr Brown. Ma l'oscar va a una geniale versione di I've Got You Under My Skin, della carnale Dinah Washington. (s.cr.) CEDRIC BURNSIDE PROJECT HEAR ME WHEN I SAY (Cd Baby) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Altro disco a suo nome, altra perla. Trenton Ayers diviene il sodale d'elezione alla sei corde. Dopodiché, immenso Cedric. Dodici brani dove l'Hill-Country blues 2.1 risplende totalmente. Non bastasse, il nostro, oramai di casa a New Orleans, sugge linfa da questa città. Ed è una bellezza sentirlo sperimentare nuovi suoni. Le perle: Wash My Hands, We Did It. Da avere. E se incontrasse Trombone Shorty al Tipitina's? Scintille! (g.di.) EDITH A.U.F.N. EDITH A.U.F.N. (Seahorse/Audioglobe) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Edith A.U.F.N. (acronimo di Edith aveva un fondo nichilista) è un quintetto abruzzese alle prese con un'opera prima ben confezionata e molto promettente, grazie anche alla consapevolezza e sintonia acquisite nel corso dei numerosi live in giro per la penisola. Un omaggio al post rock intriso di pop - connotato da atmosfere avvolgenti impreziosite da buone capacità di scrittura. (v.d.s.) DEAN MARTIN SINGS ITALIAN FAVORITES (Jackpot) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Memore e fiero delle proprie origini tricolori, mister Crocetti in pieno rat pack incide Italian Love Songs (1961) a nome Dino, con 12 melodie, soprattutto napoletane, quasi sempre cantante in inglese, di rado nell’originale (con esiti spesso buffissimi di slang italonewyorkese). Dean Martin, del resto, tra il 1947 e il 1962, registra altre 17 «italian favorites», oggi qui riunite in un cd storicamente importantissimo, che palesa l’interesse diffuso fra i grandi crooner verso un repertorio eterogeneo, dalle tarantelle agli urlatori, che sa americanizzare al punto giusto tra kitsch, mambo, jazz, modernità e hollywoodianesimo. (g.mic.) IN USCITA A SETTEMBRE AMERICANA JAZZ POP ROCK La cavalcata del piccolo Boss Piano piano, dolce Nikki Iles Ombre inglesi su Chicago Tre dischi, tre modi per intendere la «americana», quel fritto misto di invenzione e tradizione elettrica che fa sognare molti, e infastidisce (o annoia) altrettanti. Difficile trovare mediazioni. Prendete ad esempio American Ride (Blue Rose/Ird) di Willie Nile: non c'è un solo pezzo fuori posto, compresa una nobile cover da Jim Carroll. Chitarre tirate a lustro, una band complice, ballate strappacuore e rock'n'roll come se stesse arrivando la fine del mondo, per il «piccolo Springsteeen» (che forse scrive anche meglio del Boss). Se però il genere non vi convince, non vi convincerà neanche questo. Volete trovare un seguito all'«americana» dei ringhiosi ZZ Top? Allora ecco 7 Cities (Telarc/Egea) di Moreland & Arbuckle: molto dello spirito dei barbuti texani s'è travasato qui con naturalezza. Barbe comprese. Grande l'armonica di Dustin Arbuckle. Latitudini più indie rock, e un percorso «americano» ma che sta, fisicamente, tra Inghilterra e Nuova Zelanda? Allora il disco per voi è Time Stays, We Go (Pitch Beast), pregiata ditta The Veils, qui alla quarta e riuscita prova. Soddisfatti o rimborsati. (Guido Festinese) La Basho Records è una nuova jazz label londinese, votata a produrre jazz moderno nel solco delle tradizioni boppistiche, praticamente sconosciuta in Italia. Alcune recenti uscite sono poi improntate all’arte del piano jazz trio a cominciare da Hush della cinquantenne ma giovanilissima Nikki Iles assieme agli americani Rufus Reid e Jeff Williams in una bella carrellata di sei jazz standard e tre original alternati. Anche lo svizzero Christoph Stiefel in Live! con l’Inner Language Trio (Thomas Lähans e Lionel Friedli) obbedisce a una sorta di nuovo mainstream, affidando però le linee tematiche alla propria vena compositiva in nove pezzi talvolta introspettivi. Infine il progetto metà britannico metà statunitense per l’album The Impossible Gentlemen con Gwilym Simcock (piano), Mike Walker (chitarra) e i notissimi Steve Swallow (basso) e Adam Nussbaum (batteria) non è solo un trio allargato, ma soprattutto il tentativo di conferire ulteriore dignità a una fusion profonda e raffinata. (Guido Michelone) Sembra strano che Chicago abbia dato i natali a un gruppo come gli Smith Westerns che, anche a dispetto del nome scelto, guardano decisamente all'Inghilterra, a quel sano pop rock melodico che dai Beatles in poi ha mietuto fan di tutte le generazioni. Questo per dire che Soft Will (Mom+Pop/ Self) ha un sound le cui radici sono fortemente inserite dalle parti della Manica. Grazioso. Da quelle parti arrivano invece i Kodaline, formazione irlandese all'esordio con In a Perfect World (Rca). Che i ragazzi cerchino di colmare il buco lasciato dai Coldplay è evidente, ma di un disco così banale se ne poteva fare decisamente a meno. Canzoni alla ricerca del ritornello cool & catchy che in definitiva lasciano un senso di vuoto agghiacciante. In quanto a pop rock provano a dire di nuovo la loro gli scozzesi Glasvegas. Dopo un secondo album deludente si ripresentano con Later... When the TV Turns to Static (Wow/Bmg), un lavoro decisamente più azzeccato. Echi di gruppi anni Ottanta come Tears for Fears (Youngblood) e atmosfere generalmente cupe (il che non guasta). Ben tornati. (Roberto Peciola) ENZO PIETROPAOLI QUARTET YATRA VOL. 2 (Via Veneto Jazz) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Basta l'attacco trasognato e insinuante di Lontano nell'anima a dare la misura del valore di questa nuova opera del contrabbassista e compositore di origini liguri: una ballad che potrebbe essere uscita dal canzoniere migliore di Rava. La tromba tersa di Fulvio Sigurtà, la batteria tutta ricami di Alessandro Paternesi al servizio della musica. E anche quando Pietropaoli si diverte a citare (pop, classica ecc.) è un piccolo, fresco capolavoro di equilibrio. (g.fe.) WHITE LIES BIG TV (Fiction/Coop Music) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Non abbiamo mai ritenuto i White Lies un grandissimo gruppo, ma il loro esordio, To Lose My Life era un dischetto decisamente intrigante (meno il successivo Ritual). Purtroppo però, a un certo punto, i nodi vengono al pettine, ed è difficile scioglierli senza farsi del male. Big Tv è insignificante e ricalca ancora una volta i suoni Eighties (stavolta più sintetici che mai), in una serie di brani raccogliticci, che non sanno né di carne né di pesce. (r.pe.) ALAN WILSON THE BLIND OWL (Severn Records) ❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il «Gufo Cieco» del titolo era il soprannome di Alan Wilson, leader dei Canned Heat, forse il miglior gruppo blues bianco americano. Gli anni tra il 1967 e il ’69, prima della sua misteriosa morte (antologizzati in questo doppio cd), sono i più creativi. Anni in cui le composizioni, la voce, la chitarra, l’armonica di Wilson contribuiscono a rendere lo stile psichedelico, con una ricerca sonora che lega rock, blues, jump, boogie e molto altro. (g.mic.) A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ Junip Hai paura del buio? La band, che fa capo a José Gonzalez, spazia tra psichedelia e folktronica. Segrate (Mi) LUNEDI' 9 SETTEMBRE Il progetto di Manuel Agnelli, dopo la prima a Torino, sbarca nella capitale. Sul palco, oltre agli Afterhours, si alterneranno Il Teatro degli Orrori, Niccolò Fabi, Dargen D'Amico, Enrico Gabrielli, Rodrigo D'Erasmo e altri musicisti della scena indie italiana. Roma VENERDI' 13 SETTEMBRE (AUDITORIUM (MAGNOLIA) Crocodiles L'indie pop rock della band di San Diego, California. Segrate (Mi) MARTEDI' 10 SETTEMBRE (MAGNOLIA) PARCO DELLA MUSICA) Torino MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (BLAH MiTo BLAH) Al via la settima edizione del Festival Internazionale della Musica che si svolge tra Milano e Torino e raccoglie artisti di varia estrazione. Per questa settimana segnaliamo a Milano: lo shoegaze dei canadesi Braids (stasera, Teatro Out Off), il vocalist afroamericano Dean Bowman con il suo 5tet (domani, Piccolo Teatro Studio Expo), Franco D'Andrea Sextet con ospiti Dave Douglas e Han Bennink (il 10, Teatro Manzoni), Luis Bacalov in quartetto (l'11, Teatro Nuovo), Kyle Hall dj set, Koreless e Mmoths live (il 12, Fabbrica del Vapore Cattedrale), Gregory Porter Quintet (il 14, Blue Note); a Torino: Dente, Daniele Appino e Nada (stasera, Teatro Colosseo), al grande pianista, compositore e didatta meranese Franco D’Andrea è dedicato un importante spazio, oltre alla performance del 10 a Milano, nel capoluogo piemontese per domani sono previsti un incontro pomeridiano Roma GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (BLACKOUT) Padova VENERDI' 13 SETTEMBRE (LOOOP) Marina di Ravenna (Ra) SABATO 14 SETTEMBRE (HANA-BI) Built to Spill Da quasi due decadi fanno parte del mondo «alternative» made in Usa. Segrate (Mi) GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (MAGNOLIA) Roma VENERDI' 13 SETTEMBRE (BLACKOUT) Capital Cities Una data per il duo di Safe and Sound, uno dei brani più suonati dell'estate 2013. Milano MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (MAGAZZINI GENERALI) Paramore Una data per la pop rock band statunitense. Bologna MARTEDI' 10 SETTEMBRE (ESTRAGON) (D’Andrea, Luca Bragalini e Luciano Viotto), un doppio concerto per solo-piano e vari organici con Han Bennink, Daniele D’Agaro, Mauro Ottolini, Dave Douglas, Andrea Ayassot, Aldo Mella, Zeno De Rossi. (Teatro Regio, ore 11, 17, e 21); Duetti per due violini di Luciano Berio (il 10, Conservatorio Giuseppe Verdi, ore 17), Quintetto Architorti (il 10, Teatro Astra), il fisarmonicista Simone Zanchini in solo (l'11, Officine Caos), Il fantasma dell'opera con F. Magnelli, G. Maroccolo, M. Zamboni e F. Ner (il 13, Cinema Massimo), Irio De Paula & Massimo Faraò Quintet (il 14, Teatro Agnelli), Yann Tiersen con Lionel Laquerrière e Thomas Poli (il 14, Teatro Colosseo). Per il programma completo: mitosettembremusica.it. Milano e Torino DA SABATO 7 A SABATO 14 SETTEMBRE (VARIE SEDI) Jazzit Fest Ultime due giornate per la prima edizione dell’innovativa rassegna. I recital iniziano dal pomeriggio e vanno avanti fino a tardi; tra gli altri il cartellone propone Quartetto Ibrido Hot X, Nicola Mingo New Bop 4tet, Walter Beltrami, Kekko Fornarelli/ Roberto Cherillo, Pasquale Innarella 4tet, Eugenio Macchia Trio, Giorgio Distante Rav, Amato Jazz Trio, Renzo Ruggieri solo, Rosario Di Rosa & Contemporary Kitchen, Eskimo Jazz Band diretta da Fabio Morgera, Roy Panebiando Soulside. Collescipoli (Tr) SABATO 7 E DOMENICA 8 SETTEMBRE (VARIE SEDI) Talos Festival La manifestazione pugliese sotto, direzione artistica di Pino Minafra, prosegue l’anteprima con il fisarmonicista Giorgio Albanese, l’orchestra MusicaInGioco-MomArt, la Fanfara del Comando Scuole dell’Aeronautica Militare, la Banda del Conservatorio Nino Rota di Monopoli, la Big Band del Conservatorio Duni di Matera, guidata da Giacomo Desiante. Il festival prevede i recital del duo Gianni Coscia/Gianluigi Trovesi, Moni Ovadia, Javier Girotto/ Luciano Biondini, MinAfric Orchestra con i Faraualla, Vincenzo Deluci e Novum Gaudium, il duo Gabriele Mirabassi/Roberto Taufic, Kocani Orkestar, oltre a svariati eventi collaterali. Ruvo di Puglia (Ba) DA DOMENICA 8 A SABATO 14 SETTEMBRE (VARIE SEDI) Parco della Musica In attesa del festival dedicato al Brasile (a partire dal 15), la struttura capitolina propone Laura Lala e Sade Mangiaricina (presentano il cd ...Anche le briciole hanno un sapore in quartetto con l’orchestra d’archi Bim), Natalio Mangalavite e Martin Bruhn-Radio Trio per la rassegna «Jammin’ 2013». Roma MERCOLEDI' 11 E GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA) 65daysofstatic Wild Light (SuperBall/ Universal) Antiplastic Not for Sale (Elastica) Arctic Monkeys AM (Domino/Self) Au Revoir Simone Move in Spectrums (Moshi Moshi/Coop Music) Julianna Barwick Nephente (Dead Oceans/Goodfellas) Willis Earl Beal Nobody Knows (Xl/ Self) Burning House Walking into a Burning House (Naïve/Self) Caged Animals The Land of Giants (Lucky Number/Coop Music) Califone Stitches (Dead Oceans/ Goodfellas) Neko Case The Worse Things Get, The Harder I Fight... (Anti-Epitaph/Self) Cloud Control Dream Cave (PiasInfectious/Self) Julian Cope Revolutionary Suicide (Head Heritage/Goodfellas) Crystal Stilts Nature Noir (Sacred Bones/Goodfellas) Giorgia Del Mese Di cosa parliamo (Radici Music/Egea) Delorean Apar (True Panther/Self) Factory Floor & Also with You (Dfa/ Coop Music) Maria Forte Carne (Autoprod.) Umberto Maria Giardini Ognuno di noi è un po' anticristo ep (Woodworm/ Audioglobe) Girls in Hawaii Everest (Naïve/Self) God Is an Astronaut Origins (Revive) Goldfrapp Tales of Us (Mute/Self) Gov't Mule Shout! (Edel) Green Like July Build a Fire (La Tempesta International) Larry Gus Years not Living (Pias-Coop/ Self) Roy Harper Man and Myth (Bella Union/Coop Music) His Electro Blue Voice Ruthless Sperm (Sub Pop/Audioglobe) Hookworms Pearl Mystic (Domino/ Self) Jacuzzi Boys s/t (Hardly Art/ Audioglobe) Julie's Haircut Asram Equinox (Woodworm/Audioglobe) Katatonia Dethroned and Uncrowned (Kscope/Audioglobe) Mark Lanegan Imitations (Heavenly/ Coop Music) Jonny Lang Fight for My Soul (Edel) Lanterns on the Lake Until the Colours Run (Bella Union/Coop Music) Momo Said Spirit (Tam Tam Studio/ Audioglobe) Nightmares on Wax Feelin' Good (Warp/Self) Nine Inch Nails Hesitation Marks (Polydor/Universal) No Age An Object (Sub Pop/ Audioglobe) Obits Bed & Bugs (Sub Pop/ Audioglobe) Okkervill River The Sylver Gymnasium (Ato/Coop Music) Out Cold Invasion of Love (Pias-Coop/ Self) Pink Martini Get Happy! (Naïve/Self) PINS Girls Like Us (Bella Union/Coop Music) Robert Pollard Honey Locust Honky Tonk (Fire/Goodfellas) Porcelain Raft Permanent Signal (Secretly Canadian/Goodfellas) Satellites 02 (Cooking Vinyl/Self) Sebadoh Defend Yourself (Domino/ Self) Rev Rev Rev s/t (Autopr./The Orchard) The Rides Can't Get Enough (Edel) Summer Camp s/t (Moshi Moshi/ Coop Music) Superchunk I Hate Music (Merge/ Goodfellas) Emiliana Torrini Tookah (Rough Trade/Self) Travis Where You Stand (Red Telephone Box) Ulver Messe (Kscope/Audioglobe) Volcano Choir Repave (Jagjaguwar/ Goodfellas) Yo'true Wild Rice (Rogues/Audioglobe) Watain The Wild Hunt (Century Media/Universal) Willard Grant Conspiracy Ghost Republic (Loose/Goodfellas) Wresteldabearonce Late for Nothing (Century Media/Universal) Zola Jesus/JG Thirwell/Mivos Q Versions (Sacred Bones/Goodfellas) 18.00 Lezioni magistrali Salvatore Natoli Amore e amicizia Piazza Grande Carpi 10.00 La lezione dei Classici Sossio Giametta Il mondo come volontà e come rappresentazione di Schopenhauer Piazza XX settembre 10.00-22.00 Specchio delle mie brame Laboratorio di self-love A cura di: Idee in circolo, Insieme a noi, Social Point, Tric e Trac e con D. Sarti e Teatro dei Venti Cortile Santa Chiara 11.30 La lezione dei Classici Giovanni Reale Simposio di Platone Piazza Grande 15.00 Lezioni magistrali Roberto Esposito Il ritorno delle emozioni Piazza XX settembre 15.00-20.00 Attrazioni fatali Legami invisibili che danno forma all’universo Laboratorio di esperimenti A cura di: UniMoRe, Biblioteca Delfini, Associazione inco.scienza Palazzo Santa Margherita Biblioteca Delfini 16.00 L’Abbazia Benedettina di San Pietro Visite guidate A cura di: FAI - Fondo Ambiente Italiano Delegazione di Modena Abbazia di San Pietro 16.30 Lezioni magistrali Remo Bodei Attrazioni fatali Piazza Grande 18.00 Lezioni magistrali Michel Maffesoli Homo eroticus Piazza Grande Ω 19.30; 20.30 Music Town Canzoni da appuntamento A cura di: Assessorato allo Sviluppo economico e Centro Musica del Comune di Modena Centro storico 20.30 Alberto Morsiani Paesaggi mobili Desiderio e paura nel road movie A seguire: L’occhio il cuore il motore Una rassegna di road movies tra le auto del MEF A cura di: A. Morsiani 21.15; 23.00 Strada a doppia corsia di M. Hellman (Usa 1971, 101’) Just like a woman di R. Bouchareb (Gb/Francia/Usa 2012, 84’, prima visione) A cura di: Associazione Circuito Cinema MEF - Museo Casa Enzo Ferrari 21.00 Don Giovanni Trionfante (Mozart / Kierkegaard) A cura di: Euphonia Vincitore di: Prime Visioni Produzione: FCRMO e ERT Regia: P. V. Montanari Con: Orchestra Euphonia e Progetto Danza Direttore: G. Paganelli Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” 21.00 Ermanno Cavazzoni Il tormento della gelosia Lettura da Il serpente di Luigi Malerba Palazzo Santa Margherita - Chiostro 21.00 Associazione Culturale STED O.D.I. Otello Desdemona Iago Di: T. Contartese Con: T. Contartese, M. Marzaioli, M. Pietrangelo TeTe - Teatro Tempio 21.30 Lezioni magistrali Massimo Gramellini La biblioteca di Eros Piazza Grande 22.30 Love Lennon and Roll Commentano: E. Gentile, M. Pierini, A. Taormina A cura di: Galleria Civica di Modena Palazzo Santa Margherita - Chiostro 22.30 Sam Paglia La seduzione: vengo a prenderti stasera Concerto A cura di: Sun Agostino Ex Ospedale Sant’Agostino Cortile Berengario 24.00 The BeaTops Beatles acoustic covers A cura di: Galleria Civica di Modena Palazzo Santa Margherita - Chiostro 19.30; 20.00 Riccardo Buscarini/Tir Danza Modena HOme Casa è il tuo cuore Performance di danza urbana Realizzazione: Tir Danza Modena Piazza Mazzini 10.00 La lezione dei Classici Eugenio Lecaldano Teoria dei sentimenti morali di Smith Piazzale Re Astolfo 11.30 La lezione dei Classici Virgilio Melchiorre Diario del seduttore di Kierkegaard Piazzale Re Astolfo 15.00 La lezione dei Classici Massimo Recalcati Seminari di Lacan Piazzale Re Astolfo 16.30 Lezioni magistrali Marco Santagata Donna Angelicata Angiole sposate: la sublimazione dell’adulterio nella poesia medievale Piazza Martiri 18.00 Lezioni magistrali Fernando Ferroni Stavros Katsanevas Il sentimento del Bosone Come le passioni attraversano la ricerca scientifica Conduce: M. Cattaneo Piazza Martiri Ω 21.30 Roberto Vecchioni Chiamalo ancora amore Narrazioni e canzoni Piazza Martiri sabato14 10.00 Lezioni magistrali Cristina Bianchetti Spazi di condivisione Una nuova città? Piazza XX settembre 10.00-24.00 Specchio delle mie brame Replica da ven 13 11.30 Lezioni magistrali Stefano Rodotà Diritto d’amore Piazza Grande 15.00 Lezioni magistrali Michela Marzano La fedeltà e altri segreti dell’amore Piazza XX settembre 15.00-18.00 Giulia Niccolai Amore illimitato Conduce: C. A. Sitta Laboratorio di poesia 15.00-20.00 Attrazioni fatali Replica da ven 13 16.00-18.00 Il segretario galante Come scrivere una lettera d’amore di sicuro successo Curatore: E. Bergonzini A cura di: Museo della Figurina Palazzo Santa Margherita Museo della Figurina 16.00 L’Abbazia Benedettina di San Pietro Visite guidate Replica da ven 13 16.30 Lezioni magistrali Marc Augé La solitudine degli amanti Piazza Grande In italiano per amori gagliardi 20.30 Lezioni magistrali Marco Vozza Fantasmi d’amore Piazza XX settembre 20.30; 22.30 L’occhio il cuore il motore Holy motors di L. Carax (Francia/Germania 2012, 110’, prima visione) La patente di A. Palazzi (Italia 2012, 86’, prima visione) A cura di: Associazione Circuito Cinema MEF - Museo Casa Enzo Ferrari 21.00 Patrizia Valduga Reading di poesie Palazzo Santa Margherita - Chiostro 21.00 Senza cuore Di: E. Bellei Regia: S. Vercelli Con: M. Siti e S. Vercelli Fisarmonica: A. Palumbo Sassofono: M. Visconti Prasca Visualizzazioni: M. Terzi e J. de Caire Taylor A cura di: Cgil Modena e Arci Modena Con: Centro stranieri e Casa contro la violenza alle donne di Modena Piazza Pomposa 21.00 Il banchetto di Eros Lettura teatrale dal Simposio di Platone Regia: G. Incerti Con: G. Incerti, M. Bertarini, P. Pagliani, L. D’Agruma Arpa: A. Mahè Ex Caserma Sant’Eufemia 21.00 Togetherness Menzione Speciale di Short on work Corti sul lavoro A cura di: Fondazione Marco Biagi Cinema Astra 21.00 Candelabrum Cerimonia dell’ardore Installazione: C. M. Morsiani, M. la Roi Danzatori: E. di Terlizzi, F. Manenti Produzione: IABLU srl Abbazia di San Pietro - Sagrato 22.00 Vinicio Capossela Ensemble Micrologus Bestiario d’amore Reading musicato da Li bestiaires d’amours di Richart de Fournival (sec. XIII) Piazza Grande 22.00 Billy Bogus La passione: wicked games Live set A cura di: Sun Agostino Ex Ospedale Sant’Agostino Cortile Berengario 22.30 Come ho vinto la guerra di R. Lester (UK, 1967, 109’) A cura di: Galleria Civica di Modena Palazzo Santa Margherita - Chiostro 23.30 Daniele Baldelli La passione: vampe sensuali Live set A cura di: Sun Agostino Ex Ospedale Sant’Agostino Cortile Berengario 24.00 Francesco Roccaforte Make love not war Dj-set A cura di: Galleria Civica di Modena Palazzo Santa Margherita - Chiostro domenica15 10.00 Lezioni magistrali Anne Dufourmantelle Psicosofia Tra desiderio e stordimento Piazza XX settembre Ω 10.00-13.00 Specchio delle mie brame Replica da ven 13 11.30 Lezioni magistrali Umberto Galimberti Possessione Lectio Rotary Piazza Grande 15.00 Lezioni magistrali Eva Illouz Perché l’amore fa male Piazza Grande Ω 15.00-20.00 Attrazioni fatali Replica da ven 13 16.00-18.00 Il segretario galante Replica da sab 14 16.00 L’Abbazia Benedettina di San Pietro Visite guidate Replica da ven 13 16.30 Lezioni magistrali Franco La Cecla Il campo maschile Piazza Grande 18.00 Lezioni magistrali Stefano Zamagni Ha l’amore uno spazio in economia? Piazza Grande 20.00 I Camillas Il congedo: se mi lasci non vale Concerto A cura di: Sun Agostino Ex Ospedale Sant’Agostino Cortile Berengario 21.00 Mogol Le parole per dirlo 50 anni di canzoni d’amore Conduce: R. Alperoli Piazza Grande 21.00 Viva Verdj Arie verdiane, improvvisazioni jazz, acquerelli, lettere e letture A cura di: Fondazione GMI - sede di Modena Chiesa di San Carlo 21.00 Il banchetto di Eros Replica da sab 14 venerdì13 sabato14 10.00 Lezioni magistrali Elena Pulcini Prendersi cura: per amore o per dovere? Piazzale Re Astolfo 11.30 Lezioni magistrali Pier Paolo Portinaro Riconciliazione Dopo i giorni dell’odio, la riconciliazione Piazzale Re Astolfo 22.00 Roberto Gatto Quintet A love supreme Da Miles Davis a John Coltrane Batteria: R. Gatto Piano: R. Tarenzi Contrabbasso: L. Bulgarelli Tromba: D. Rubino Sassofono: M. Ionata Piazza Martiri 23.30 Angela Baraldi, Corrado Nuccini, Emanuele Reverberi Toxic love Riletture da Velvet Underground, Lou Reed, Nico A cura di: Cookies Kitchen&Bar, Mattatoio Culture Club Piazzale Re Astolfo Cortile di Levante 00.30 His Clancyness Lust for life: Iggy&Ziggy in Berlin Riletture di brani dal periodo berlinese del Duca bianco A cura di: Mattatoio Culture Club Circolo Culturale Mattatoio 00.30 Philippe Taverio Disc Jockey Automatic lover Dj-set A cura di: Cookies Kitchen&Bar Cookies Kitchen&Bar 01.30 Ferruccio/Cut Let’s spend the night together Dj-set A cura di: Mattatoio Culture Club Circolo Culturale Mattatoio domenica15 10.00 Lezioni magistrali Piero Coda Trinità Una grammatica dell’amore Piazzale Re Astolfo 11.30 Lezioni magistrali Roberta de Monticelli Rinnovamento del cuore Piazza Martiri 20.30 Emilio Rentocchini Del perfetto amore Reading poetico con accompagnamento musicale Fisarmonica: C. Ughetti A cura di: Biblioteca Comunale N. Cionini Biblioteca Comunale N. Cionini 21.30 Lezioni magistrali Philippe Daverio Amor sacro e Amor profano Piazza Garibaldi sabato14 10.00 Lezioni magistrali Gabriella Turnaturi Legami, relazioni e tradimenti Piazzale Avanzini 11.30 Lezioni magistrali Luc Ferry Matrimonio d’amore Piazza Garibaldi Ω 15.00 La lezione dei Classici Mario Galzigna Storia della sessualità di Foucault Piazzale Avanzini 16.30 Lezioni magistrali Massimo Cacciari Philo-sophia Piazza Garibaldi 18.00 Lezioni magistrali Remo Bodei L’amore come passione Piazza Garibaldi per amori gagliardi 20.30 Lezioni magistrali Maura Franchi Internet love Piazzale Avanzini 22.00 Alessandro D’Avenia Love Beginners Per un’educazione sentimentale Piazza Garibaldi Fagiolino ambasciatór d’amore Spettacolo di burattini A cura di: Compagnia di burattini della tradizione “Alessandro Barberini” Palazzo dei Musei [sab 17.30] L’elisir d’amore Vaporotti Di: Burattini della Commedia e Compagnia Lirica di Milano A cura di: Museo Civico d’Arte Piazza Sant’Agostino [sab 21.30] La Bottega del sarto Bramare non è voce del verbo amare Spettacolo di teatro-danza per bambini dai 4 anni Di e con: E. di Terlizzi, F. Manenti, D. Pignatti A cura di: Bàbu Teatro Danza con Artisti Associati Sosta Palmizi 2013 Palazzo Santa Margherita Biblioteca Delfini [dom 11.00 e 16.00] Messer Filippo e il drago Magalasso Spettacolo di burattini Di: Burattini dell’Ocarina Bianca Palazzo dei Musei [dom 17.30] carpiragazzi Il laboratorio dell’Aggiustacuori A cura di: Castello dei Ragazzi In collaborazione con: Libreria Radice-Labirinto Allestimenti: V. Vecchi Piazza Garibaldi [sab e dom 10.00-13.00 e 16.00-19.00] Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori Percorso di narrazioni dai 6 anni in su A cura di: Castello dei Ragazzi e Teatro dell’Orsa Palazzo dei Pio - Cortile d’Onore [sab e dom 16.00-19.00] Il guerriero racconta Installazione sonora A cura di: Castello dei Ragazzi e Teatro dell’Orsa Palazzo dei Pio - Sala del guerriero [sab e dom 16.00-19.00] 13-14-15settembre2013 ModenaCarpiSassuolo www.festivalfilosofia.it venerdì13 nonstopvenerdìsabatodomenica modena [Mostre e installazioni] Mano nella mano Reperti di un amore oltre la morte A cura di: Museo Civico Archeologico Etnologico, Soprintendenza BB.AA. E-R, Laboratorio di Antropologia Archeologica UniBo Palazzo dei Musei - Lapidario romano Dardi d’Amore Pittura e poesia nel Barocco emiliano A cura di: Museo Civico d’Arte, Galleria Estense, Biblioteca Estense Universitaria, BPER Palazzo dei Musei - Museo Civico d’Arte Ars amandi L’amore nell’arte di Luca Leonelli e nelle poesie di Arturo Schwarz Curatori: C.Barbieri e F. Morandi Palazzo dei Musei - Biblioteca Poletti Teste di legno e cuori di panna Burattini modenesi di ieri e di oggi A cura di: Museo Civico d’Arte Palazzo dei Musei Walter Chappell Eternal Impermanence Curatore: F. Maggia Modena e i suoi fotografi (1870 - 1945) Curatore: C. Dall’Olio Principianti Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Produzione: Fondazione Fotografia Ex Ospedale Sant’Agostino All you need is Love John Lennon artista, attore, performer Curatori: E. Gentile, M. Pierini e A. Taormina Produzione: Galleria Civica e Fondazione CRMO Con il sostegno di: Gruppo Hera Palazzo Santa Margherita L’amore è una cosa meravigliosa Gioie e dolori nelle illustrazioni del Museo della Figurina Curatore: M. G. Battistini con P. Basile e T. Gramolelli Produzione: Museo della Figurina e Fondazione CRMO Palazzo Santa Margherita Ama e fa ciò che vuoi L’agape nell’arte contemporanea A cura di: T. Cattelani, A. Lugli e I. Valent Con il sostegno di: Banca Interprovinciale Abbazia di San Pietro - Chiostro Cristina Roncati Le addolorate Curatore: G. Galli Abbazia di San Pietro - Chiesa Ericailcane, Bastardilla Street Heart A cura di: Galleria D406 Fedeli alla linea Con il sostegno di: Confindustria Modena - Gruppo Giovani Imprenditori PalaMolza Nicoletta Moncalieri Sfogliature Curatore: M. Bertoni Orto Botanico - Serra Ducale Rose rosse per te Simbologie amorose nel mondo vegetale Curatori: M. Mazzanti, E. Antonini, D. Dallai A cura di: Orto Botanico e Florarte Giardini Ducali - Orto Botanico festivalfilosofia sull’amare [Le Gallerie d’Arte per il festivalfilosofia] Vittorio Buratti Potenze generative A cura di: M. Cotto e M. Mango Galleria 42 contemporaneo Gilberto Giovagnoli Destrudo L’amore per la distruzione Galleria D406 Enrica Berselli Do the Mutation Simbiosi post-organiche Curatori: N. Gianelli, R. Tedeschini e J. Costanzini Galleria Emilia Ruvida S o t t o l ’A l t o P a t r o n a t o d e l P r e s i d e n t e d e l l a R e p u b b l i c a Consorzio per il festivalfilosofia Dellaclà Love Kills Curatore: L. S. Turrini Galleria Cayce’s Lab 14.00 Il mio ultimo pensiero è per voi Reading di: Barabba-log A cura di: Fondazione Ex-Campo Fossoli Ex-Campo Fossoli 15.00 Lezioni magistrali Luigi Zoja Centauri e stupratori Piazzale Re Astolfo 16.30 Lezioni magistrali Christoph Wulf Emozioni e rituali La cultura della passione Piazza Martiri Ω 18.00 Lezioni magistrali Zygmunt Bauman Aleksandra Kania Legami fragili Piazzale Re Astolfo In inglese Piazza Martiri Ω 19.15 Affacciati al balcone Serenate di strada A cura di: S. Gozzi e Teatro Comunale di Carpi Da Piazza Martiri a Piazza Garibaldi per amori gagliardi 20.30 Lezioni magistrali Franco La Cecla Congedi Piazzale Re Astolfo 21.00 Con cuore puro di L. Le Moli (Italia, 2012, 54’) A cura di: Biblioteca multimediale Arturo Loria Presenta: P. Marmiroli Auditorium A. Loria 22.00 Padre Nostro di C. Lo Giudice (Italia, 2008, 40’) A cura di: Biblioteca multimediale Arturo Loria Presenta: P. Marmiroli Auditorium A. Loria 15.00 La lezione dei Classici Remo Bodei Confessioni di Agostino Piazzale Re Astolfo 16.30 Lezioni magistrali Chiara Saraceno Forme di famiglia Tra norme e pratiche relazionali Piazza Martiri 18.00 Lezioni magistrali Silvia Vegetti Finzi La separazione degli affetti Piazza Martiri 19.15 Affacciati al balcone Serenate di strada Da Corso Cabassi a Corso Fanti Replica da sab 14 21.00 Stefano Benni Cinque racconti di amore folle Con: D. D’Acunto Piazza Martiri Sassuolo venerdì13 10.00 La lezione dei Classici Paolo Cristofolini Etica di Spinoza Piazzale Avanzini 11.30 La lezione dei Classici Enrico Berti Etica Nicomachea di Aristotele Piazzale Avanzini 15.00 Lezioni magistrali Laura Boella Empatia Fragilità, lati oscuri, potenzialità di una fondamentale capacità umana Piazzale Avanzini 16.30 Lezioni magistrali Paolo Santangelo Le passioni nella Cina tradizionale Piazza Garibaldi 18.00 Lezioni magistrali Manuel Cruz L’amore dei filosofi Piazza Garibaldi Ω domenica15 10.00 Lezioni magistrali Maria Bettetini Assoluto amore Piazzale Avanzini 11.30 Lezioni magistrali Vincenzo Paglia Agape Piazza Garibaldi 15.00 Lezioni magistrali Nicla Vassallo Sesso e genere Una corrispondenza incerta Piazzale Avanzini 16.30 Lezioni magistrali Umberto Curi Don Giovanni Dal nome proprio al nome comune Piazza Garibaldi 18.00 La lezione dei Classici Enzo Bianchi Il Cantico dei Cantici Piazza Garibaldi 21.00 Rita Marcotulli Sull’amore Concerto jazz su proiezioni di film Fisarmonica: L. Biondini Sassofoni: J. Girotto Regia immagini live: C. Spelti Teatro Carani modenaragazzi Mai sotto i cavoli! Trucchi e stratagemmi nella vita amorosa delle piante Laboratorio per bambini dai 6 anni Conducono: G. Barbieri e Gruppo Guide Orto Botanico A cura di: Orto Botanico - UniMoRe Giardini Ducali [ven 17.00; sab 10.30 e 17.30; dom 11.00, 16.00 e 18.00] Baracca, burattini e… batticuore A cura di: Dida laboratorio didattico Palazzo dei Musei - Dida [sab, dom 10.00-19.00] Piccole storie d’amore Letture per bambini dai 3 ai 5 anni A cura di: Castello dei Ragazzi e i lettori volontari di Donare Voci Palazzo dei Pio - Sala Estense [sab e dom 16.00-19.00] sassuoloragazzi Intrecci amorosi Laboratorio di lettura e manipolazione visiva A cura di: V. Facchini e Biblioteca dei Ragazzi Leontine Villa Giacobazzi [ven 16.30-18.00; sab e dom 10.00-11.30 e 16.30-18.00] Giochi di Famiglia Laboratorio per bambini dai 3 mesi ai 12 anni A cura di: Servizi educativi per l’infanzia, Centro per le famiglie e Centro di Educazione Ambientale San Cristoforo Piazzale della Rosa [sab e dom 9.30-12.30 e 15.00-19.00] Tutto l’amare possibile Letture per adolescenti Voce narrante: A. Canducci A cura di: Biblioteca dei Ragazzi Leontine e Cooperativa Equilibri Villa Giacobazzi [sab 15.00 e 17.00] Pandemonium Teatro La mucca e l’uccellino Spettacolo per bambini dai 3 agli 8 anni Di: L. Ferrari Con: L. Ferrari e G. Manzini Villa Giacobazzi - Teatro del Boschetto [dom 11.00 e 17.00] Fatto con Amore Laboratorio di fotografia per ragazzi dagli 8 ai 13 anni A cura di: Tik Farm Eventi Villa Giacobazzi [dom 15.30-16.30 e 17.00-18.00] Bed stories Mostra collettiva Curatore: M. Serri Studio Vetusta Francesca e Roberta Vecchi Amoresacro amoreprofano Installazione Il Posto Stella, Giulia Barsuola Farfalle e Gastriti Curatore: G. Barsuola Galleria Art Ekyp Il segno della Croce Mostra collettiva Curatori: M. Nardini e U. Zampini Galleria Mies M. Carolina Arletti, Antonella Monzoni T’amo da morire Associazione Via Piave e Dintorni Foyer ex Cinema Principe [Libri e dintorni] La bancarella dell’autore I libri del protagonista di turno A cura delle librerie: Aliante Social Book, Feltrinelli, Nuova Tarantola e San Paolo Sedi e orari delle Lezioni Magistrali Piccola fiera del libro filosofico Mostra mercato di titoli nuovi, rari e d’occasione Palazzo Santa Margherita [Progetti di strada] Nozze di strada Racconti, anelli, corredi e torte nuziali in Via Carteria Via Carteria [Dirette] RAI Radio3 Fahrenheit Diretta live Atrio Palazzo dei Musei Sun Agostino Tutti i giorni Ex Ospedale Sant’Agostino carpi [Mostre e installazioni] Mimmo Paladino Xilografie 1983 - 2013 Curatori: E. Di Martino e M. Rossi Produzione: Musei di Palazzo dei Pio Palazzo dei Pio Le stanze dell’Amore cieco Curatore: T. Previdi con M. Rossi Produzione: Musei di Palazzo dei Pio Palazzo dei Pio Corrispondenza d’amorosi sensi Videoinstallazione A cura di: Istituti culturali di Carpi Piazza Martiri - Torre dell’Uccelliera [Le Gallerie d’Arte per il festivalfilosofia] Michael Rotondi, Giulio Zanet Loveless Curatore: F. Pergreffi Galleria Spazio Meme Evelyn Daviddi A cuore aperto Curatore: M. Monachesi Darkroom SilmarArtGallery [Libri e dintorni] Bancarelle di libri filosofici Libreria La Fenice e Libreria Alcyone Mondadori Piazza Martiri e Piazzale Re Astolfo sassuolo [Mostre e installazioni] Urban Survivors Sopravvivere nelle baraccopoli Produzione: Medici Senza Frontiere Galleria Paggeriarte Laura Serri Lupus in Fabula A cura di: Biblioteca dei Ragazzi Leontine Villa Giacobazzi Vittoria Facchini Per filo e per segno A cura di: Biblioteca dei Ragazzi Leontine Villa Giacobazzi [Le Gallerie d’Arte per il festivalfilosofia] Luigi Ottani, Katia Mattioli, Elisa Pincelli Fatto con Amore Videoinstallazione Con Compagnia Teatrale 8mani A cura di: Tik Farm Eventi Villa Giacobazzi [Libri e dintorni] Bancarelle di libri filosofici Libreria Incontri e Libreria Mondadori Piazza Garibaldi Bif Sottrazioni L’amore sotto torchio Curatore: C. Ghioldi Galleria Under House Pietro Nicolaucich e Collettivo THC Meta.Cardio.Grafia L’organo e il simbolo Curatrici: S. Cavalieri e E. Ferrari Galleria THC cucinafilosofica Otto menu firmati da Tullio Gregory razionsufficiente Cestini per il pranzo con prodotti tipici a soli 4,50 euro La portata dello Chef Street food a 9,00 euro dagli chef del Consorzio Modena a Tavola Tutti gli appuntamenti sono ad accesso libero e gratuito Per informazioni Consorzio per il festivalfilosofia Piazza Sant’Agostino 337, 41121 Modena telefono 059 2033382 - [email protected] finanziatori istituzionali main sponsor donatori www.avenida.it Modena