NEW MEXICO, DA O’KEEFFE A CHAPPELL
IL DOPO RATZINGER BICI DELINQUENTI
THE DOORS, UN LIBRO PRIMI INCONTRI ROCK
SABATO 7 SETTEMBRE 2013 ANNO 16 N.35
LA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2013
PROVA A SCROLLARSI DI DOSSO L'ETERNA
FAMA DI CITTÀ CRIMINALE. TORNANO IN VITA
QUARTIERI STORICI, APRONO NUOVI MUSEI,
LA NOTTE SI ILLUMINA DI MUSICA E DI GENTE
SAPORE
DI MARSIGLIA
(2)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
MARSIGLIA
2013, L’EUROPA
DELLA CULTURA
GRAND TOUR
di LUCIANO DEL SETTE
MARSIGLIA
●●●Il simbolo più evidente della
volontà di cambiare, quello sotto
gli occhi di tutti, a cominciare
dagli occhi dei turisti, è l’enorme
parallelepipedo del Mucem, il
Musée des Civilisations de
l’Europe et de la Méditerranée.
Realizzato dall’architetto Rudy
Ricciotti, insieme al Centre de
conservation e des ressources
firmato da Corinne Vezzoni
occupa una superficie di
ventiseimila metri quadri. La
griglia nera che in parte lo
avvolge, le immense vetrate che
ne delimitano gli spazi, il mare su
cui affaccia, la spianata J4 che lo
circonda, concorrono a rafforzare
il suo ruolo di scenografia
spettacolare di Marsiglia 2013
Capitale Europea della Cultura.
Ma il Mucem, fisicamente parte
dell’area del Vieux Port, è solo una
fra le realizzazioni compiute o in
fase di completamento all’interno
delle tre Zac, le Zones
d’Aménagement Concertées
(Zone di sviluppo concertate). Le
Zac stanno cambiando il volto del
centro della città, con il recupero
di strutture già esistenti e la
costruzione di nuove; la
riqualificazione di arterie e zone
nevralgiche. Il tutto, 418 gli ettari
urbani interessati, è stato avviato
nel 1996, grazie ai finanziamenti
del progetto Euroméditerranée
erogati dall’Unione Europea a
dodici Paesi del Mediterraneo, e a
quelli di gruppi e istituzioni
privati. La Zac Uno, Cité de la
Mediterranée, tra Vieux Port e
Arenc, comprende, oltre al
Mucem e al restaurato Fort San
Jean, cui è collegato da una
passerella, il Boulevard du Litoral,
cioè l’esplanade de la Major, la
nuova stazione marittima, le
Terrazze del porto, i Dock,
l’Euromed-Center, il Silo, i 1500
nuovi alloggi del Parc Habité. La
Due, Joliette, tra il porto e il centro
Le foto che illustrano il servizio
su Marsiglia sono di Roberta Vozza
Dando le spalle a Parigi,
la capitale della Provenza
si racconta con il Vecchio Porto,
i vicoli del Panier, il liberty
della Canebière, la vita «bobo»
di Cours Julien. Protagonista
assoluto il grande melting pot
della sua popolazione
Allons enfants,
il giorno è arrivato
di Marsiglia, sarà il quartiere degli
affari, con uffici ricavati dalla
ristrutturazione di edifici d’epoca
e la realizzazione di strutture ex
novo. La Tre, Saint-Charles-Porte
d’Aix, ha il suo cuore nelle vecchie
manifatture di tabacco, a Belle de
Mai, in dirittura d’arrivo per
diventare un centro culturale di
120mila metri quadri, articolato
su tre poli: il primo raggruppa gli
archivi municipali, i fondi del
Museo di Marsiglia, un centro
internazionale di restauro di
opere d’arte; il secondo ospita
studi televisivi, dove si gira anche
la soap opera di nascita
marsigliese amata da tutta la
Francia, Plus belle la vie, in onda
su France 3; infine, il polo dello
spettacolo, gestito
dall’associazione Système Friche
Théâtre e pensato per i
professionisti del settore. Tutto
questo, Mucem e Fort Saint Jean,
a parte, sfugge o si mostra
appena, senza suscitare
particolare interesse in chi,
francese o straniero, approda a
Marsiglia cuore culturale
d’Europa per un anno. Ulteriore
«ombra» la gettano il cartellone
degli spettacoli, delle
performances, delle mostre, che
continuerà a sgranare titoli e
nomi fino a gennaio 2014; le
installazioni, gli eventi di un
giorno o di una notte, i concerti,
che si susseguono in un cantiere
di avvenimenti rivolti a tutte le
tasche e a tutte le fasce di
pubblico.
L’ufficio del turismo, sulla
Canebière, registra affollamento
perenne. Ma intorno a tutto
questo c’è una città con due
millenni e mezzo di vita alle
spalle, le radici affondate nelle
civiltà greca e romana, porto di
commerci, da sempre approdo di
razze e di credo religiosi diversi.
Ma intorno a tutto questo, c’è una
città offuscata da un marchio di
criminalità e malavita, che si
ripropone nelle cronache quasi
fosse una maledizione impossibile
da esorcizzare. Ma intorno a tutto
questo c’è una città che, fuori dal
suo ruolo temporaneo, manda
nuovi segnali, a volte non privi di
contraddizioni; mette a rischio o
trasforma troppo di fretta una
parte del suo passato; esibisce un
volto da Giano bifronte quando,
appena alle spalle di un’infilata di
palazzi della borghesia
ottocentesca, rivela una topografia
sociale di vie e di case abitate da
un popolo fatto di clochard, i
barboni, di extracomunitari
costretti all’arte di arrangiarsi, di
negozi e bar poveri. È la Marsiglia
che l’estraneo, francese o
straniero, vive, vede, sfiora
comunque lungo i suoi percorsi. È
la Marsiglia che nessun
cambiamento riuscirà davvero a
mutare. I passi del suo cammino,
da secoli, si muovono su un filo
sospeso. Restare in equilibrio è
esercizio reso difficilissimo dalla
necessità di scrollarsi di dosso una
brutta fama e dal contrappeso di
un’anima comunque impossibile
da rinnegare. Spesso, Marsiglia
viene paragonata a Napoli. Sono,
però, paragoni superficiali: i panni
stesi al vento tra le facciate di due
case, lo spirito meridionale della
gente, i rifiuti (dramma
microscopico rispetto alla capitale
campana) ammassati intorno ai
cassonetti, la trascuratezza che
aleggia. Marsiglia somiglia a
Napoli ben più nel profondo. Al
pari di Napoli, il sogno della
rinascita di Marsiglia cozza contro
una realtà che definire complessa
non basta, le fiammate di
speranza nascono e si spengono,
le generazioni di domani cercano
di guardare lontano trattenute da
ancore incagliate in mezzo agli
scogli della distanza non solo
fisica con Parigi e altre mecche
dell’Europa giovane. Marsiglia, sia
detto fuori dal benché minimo
disprezzo, anzi, è una città
slabbrata fuori e dentro, come
Napoli. Ed è proprio questo
aggettivo a definirne il fascino e la
forza attrattiva, la complessità dei
suoi codici di vita, il disordine dei
fatti e delle idee in continuo
fermento.
Tra il Mucem e il Port Vieux
Nuovo e antico, oggi e, forse,
domani. Su questi sentieri occorre
andare, seppure guardando dal
finestrino privilegiato del
passeggero estemporaneo.
Partenza obbligata dal Mucem.
Del suo indubbio effetto
spettacolare si è già detto. Vale la
pena annotare che una delle due
esposizioni permanenti, La galerie
de la Mediterranée, dedicata ai
quattro elementi unificanti della
Civiltà Mediterranea (invenzione
dell’agricoltura, nascita dei
monoteismi, cittadinanza e diritti
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
SCEGLIERE IL TRENO
●●●Il sito voyages-sncf.com è distributore on line della compagnia
nazionale ferroviaria francese Sncf, per l’acquisto di biglietti su
destinazioni francesi ed europee. L’offerta comprende i treni circolanti
in Francia (TGV, iDTGV, Intercités) e i treni internazionali (TGV
Italia-Francia, TGV, Thalys, Eurostar, Elipsos, TGV Lyria, TGV
Spagna-Francia, CityNightLine, Italo), che consentono di viaggiare ad alta
velocità in tutta Europa. Nella sezione «Calendario prezzi» è possibile
individuare, con tre mesi di anticipo rispetto alla data di partenza, i
giorni in cui acquistare i propri biglietti usufruendo di tariffe vantaggiose.
SEGUE A PAGINA 4
CRIMINALITÀ E PICCOLA DELINQUENZA
Non solo gialli e serie tv, benvenuti
nel laboratorio delle strade violente
di ANNA MARIA MERLO
PARIGI
●●●Sono stati i parigini a
battezzare La Marsigliese «Il canto di
guerra dell’esercito del Reno» (scritto
a Strasburgo da Rouget de Lisle dopo
la dichiarazione di guerra del re di
Francia all’Austria e diventato
ufficialmente l’inno nazionale per
decisione della Convenzione nel
1795) perché cantato da rivoluzionari
della città del sud saliti nella capitale
nelle giornate delle Tuileries del
1792. Un omaggio che illustra una
lunga storia di amore-odio tra la
capitale e la seconda città di Francia,
spesso soffocata sotto i cliché che
oscillano tra gli affreschi letterari di
Marcel Pagnol e il Marsiglia bashing
che imperversa nei media,
denunciato ancora in questi giorni
dai politici locali, che non vogliono
far rinchiudere l’immagine della città
nel solo perimetro delle
preoccupanti statistiche della
delinquenza. L’immagine della città
Durante la stagione estiva, ad esempio, il costo di un’andata in seconda
classe sulla linea Milano-Torino-Chambéry-Lione-Parigi partiva da 29
euro. Nella sezione «Offerte», il sito propone viaggi a diversi livelli di
budget, con particolare attenzione alle formule di maggior convenienza
economica. Voyages-sncf.com è accessibile anche tramite smartphone e
relative applicazioni. Rispetto all’aereo, i tempi di un viaggio in treno, il
mezzo scelto da chi scrive, sono senza dubbio più lunghi. Ma
presentano alcuni vantaggi quali le partenze senza levatacce, l’arrivo nel
centro delle città o nelle immediate vicinanze, le valigie senza problemi
di peso al check-in, il finestrino da cui guardare i paesaggi. Una scelta
che richiama gli spostamenti ‘slow’ e che invita subito a rilassarsi. l.d.s.
politiche dell’essere donna e
uomo nell’area mediterranea.
Manichini, manifesti, capi di
abbigliamento, ex voto,
campionari di anticoncezionali, si
alternano a spazi come quello in
cui è possibile ascoltare il
«dizionario» mondiale degli insulti
rivolti alle donne e agli
omosessuali. Dal Mucem, il
panorama del Vieux Port inchioda
lo sguardo. Gli alberi nudi delle
barche scompongono l’azzurro del
mare e la sagoma del forte gemello
di Saint Jean, Saint Nicolas. Notre
Dame de la Garde, chiesa per
eccellenza di Marsiglia, si prende
una piccola porzione di cielo sulle
colline rocciose e calve. Lungo il
Quai du Port e il Quai de Rive
Neuve, a destra e a sinistra
guardando l’imboccatura del
porto, vent’anni fa, con il buio, ti
sconsigliavano caldamente di
avventurarti. Questioni di marinai
e malviventi, di traffici di puttane e
di altre cose nascoste da molte
oscurità. Adesso, il Quai du Port è
tanto inoffensivo quanto
omologato. I ristoranti, le
brasseries, i fast food appena più
eleganti della norma, sgranano
uno dopo l’altro insegne e
ombrelloni, menu del giorno e
tavolini. I turisti si affastellano,
studiano i prezzi, esitano,
decidono, si sventolano con una
mappa per trovare sollievo al
caldo; si accalcano per comprare
souvenir alcolici alla Maison du
pastis, i Santons (le statuette di
Natale di cui la città è inventrice), il
sapone famoso in tutto il mondo e
i suoi derivati. E allora vale provare
una camminata sull’altro Quai.
Le cose vanno meglio.
L’atmosfera un po’ dimessa, i bar
meno glamour e le rosticcerie alla
buona, la presenza di molti
marsigliesi suggeriscono che da
questa parte del porto si è meno
convinti di un cambiamento così
radicale. In fondo al cortile di case
sbrecciate aprono i loro battenti
piccoli teatri off con annessa
caffetteria. Puoi farci sosta per
mangiare a pranzo in cambio di
un conto sotto i dieci euro, o per
una cena più spettacolo. Samir,
animatore del minuscolo Théâtre
Tati, filosofeggia «Quelli dell’altro
quai spennano i turisti che lo
vogliono. Io do loro da mangiare
per far vivere. prima di tutto, il
mio teatro. E sono contento così».
dell’uomo, esplorazioni oltre il
mondo conosciuto) sembra aver
sofferto di una certa fretta
nell’allestimento per arrivare
puntuali al 2013. Il percorso è
confuso, la qualità dei pezzi lascia
non di rado a desiderare; i
cartellini esplicativi senza
protezione sono, a pochi mesi
dall’apertura, semi cancellati dal
contatto con mani e fondoschiena
del pubblico. Assai più attraente
Le temps des loisirs, in parte
allestita dentro il Forte San Jean,
che racconta arti e tradizioni del
Mediterraneo in tema di teatri
delle marionette, circo, feste,
danze e musiche popolari,
seguendo tre percorsi tematici: le
età della vita, le feste del
calendario, l’invenzione del
divertimento. Decisamente di
richiamo le mostre temporanee,
molte delle quali si esauriranno
soltanto a fine autunno e a inizio
2014. Due sono da segnalare in
particolare: Le Noir et le Bleu, un
rêve méditerranée, dedicato al
concetto di civiltà, alla sua
evoluzione in chiaroscuro a partire
dal diciottesimo secolo e al sogno
dell’esotismo attraverso le opere di
pittori e scrittori. Au bazar du
genre, féminin/masculin en
Méditerranée indaga le
trasformazioni sociali, culturali,
continua ad oscillare tra gli estremi.
Ha successo da anni la serie
televisiva Plus belle la vie, girato a
Marsiglia e diffuso su France 3, che
veicola con tutti i cliché della città
del sud, generosa e umana. Si va
dalla melanconia dei gialli di
Jean-Claude Izzo alla durezza di
Putains de pauvres!, di Maurice
Gouiran, un altro giallista marsigliese
che mette in scena la sua città.
Solo tre ore e un quarto separano
Parigi da Marsiglia in Tgv, ma la
capitale si sente mille miglia lontana
dalla seconda città di Francia. Al di là
delle tradizionali rivalità che si
esprimono soprattutto negli scontri
che accompagnano le partite
Psg-Om Marseille, Parigi preferisce
voltare le spalle a Marsiglia, per
evitare di essere messa di fronte a
una sgradevole evidenza: tutti i
problemi nazionali si presentano
ingigantiti nella città del sud, temuta
come un laboratorio negativo che
potrebbe prefigurare un futuro poco
piacevole in mancanza di una
reazione politica adeguata. E a
Marsiglia è più difficile nascondere i
problemi che a Parigi, avverte il
sociologo Jean Viard: «A Marsiglia
non c’è un centro bianco e una
periferia di colore come a Parigi». Il
tasso di disoccupazione è il doppio
della media nazionale, la polizia
afferma che il traffico di droga è il
primo datore di lavoro della città, più
di un quarto degli abitanti vive sotto
la soglia della povertà, nei quartieri
nord, i più popolari, il tasso di
assenteismo nelle scuole medie è del
25%. Dall’inizio dell’anno ci sono
stati 14 omicidi nelle strade della
città. L’anno scorso ce n’erano stati
24. Il primo ministro, Jean-Marc
Ayraut, accompagnato da ben sei
ministri, si è recato a Marsiglia il 20
agosto, per promettere risposte alla
crisi, con interventi a favore di casa,
scuola, occupazione.
La scorsa primavera, con l’avvio
delle celebrazioni dell’anno di
Marsiglia capitale della cultura
europea e la sequenza di
inaugurazioni, dalla Villa
Méditerranée al Mucem, dalla
ristrutturazione del Fort Saint-Jean ai
numerosi interventi urbani destinati
a mostrare un nuovo volto della
città, un primo passo è già stato fatto
per trasformare il volto di una città
governata da 18 anni da Jean-Claude
Gaudin, senatore-sindaco Ump, a
cui si contrappone un’opposizione
socialista impelagata negli scandali
locali.
(3)
GERENZA
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In copertina un murales
a Marsiglia nel quartiere
del Panier.
Foto di Roberta Vozza
(4)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
MARSIGLIA
2013, L’EUROPA
DELLA CULTURA
SEGUE DA PAGINA 3
Prima i Greci e poi i bordelli
Victor Hugo definì Marsiglia «una
città senza monumenti». Salendo
dal Quai du Port verso il Panier, ti
accorgi passo dopo passo che è
proprio così. Con l’eccezione della
cinquecentesca Maison Diamantée
(Casa dei Diamanti), nome che
deriva dalle bugnature della sua
facciata, e del coevo Hotel de Cabre
(il Palazzo di Giustizia) all’angolo di
Rue Bonnetterie con la Grand’Rue,
gli altri edifici contano pochi secoli
di storia: meno di tre il Padiglione
Daviel e l’Hotel Dieu nelle forme
architettoniche arrivate a noi,
quattro l’Hotel de Ville. Eppure fu
qui che alcuni marinai greci
fondarono nel 600 a.C. Focea, in
omaggio alla città da cui
provenivano. Scelsero come luogo
di insediamento l’area di una baia
che chiamarono Lacydon, dove
avviarono le loro attività. La baia
era dominata da tre modeste alture,
battezzate assai dopo butte Saint
Laurent, butte des Moulins e butte
des Carmes. Sulle buttes Saint
Laurent e des Moulins sorsero un
tempio dedicato ad Apollo Pizio e
ad Artemide, l’attuale Place de
Lenche era l’agorà; nel VI secolo
a.C., tre metri più in basso rispetto
al livello della Grand’Rue di oggi,
correva l’arteria commerciale della
città. Le alture accolsero le
abitazioni di una Focea in continua
espansione. Poche briciole di quel
passato, e del successivo dominio
romano, sono tornate alla luce. Il
resto è sepolto per sempre sotto gli
strati di interventi urbani condotti
senza alcun rispetto della memoria.
David Crackanthorpe, nel suo
Marsiglia. Ritratto di una città,
afferma: «I marsigliesi hanno
sempre ricostruito sulle rovine
demolite del passato, conservando
poco e spesso incuranti del
prestigio architettonico e della
storia, come se la loro vitalità fosse
troppo grande per aver bisogno di
antecedenti». In quella che poi
divenne la Città Vecchia vissero a
stretto contatto ricchi e poveri fino
alla seconda metà del ’600. Data ad
allora la prima radicale
demolizione, voluta da Luigi XIV.
Furono abbattute le mura e creata,
ad est, la nuova Marsiglia, con vie e
viali disegnati seguendo l’ordine di
un progetto. Borghesi e patrizi vi si
trasferirono, i plebei rimasero a
vivere sempre peggio sulle buttes.
In pieno Secondo Impero, un altro
colpo di scure arrivò dall’apertura
di un collegamento (Rue Imperiale,
poi Rue de la République) tra il
porto e gli edifici dei nuovi dock.
Una fetta della butte des Carmes,
nel quartiere battezzato Panier e
negli immediati dintorni, venne
mutilata, e centinaia di abitazioni
rase al suolo, provocando l’esodo
forzato di oltre sedicimila persone.
L’etimologia del nome Panier
rimane incerta: la presenza di una
locanda in Rue du Panier, una
statua della Madonna con in mano
un paniere in cui la gente buttava
una moneta, l’insegna di un
bordello dove si lasciava il denaro
dentro un cesto all’esterno prima
della prestazione. Quel che è sicuro,
per restare ai bordelli, è che il
Panier, a metà dell’800,
rappresentava uno dei punti di
riferimento consolidati della
prostituzione sulla costa
mediterranea. E insieme il quartiere
della città con il maggior numero di
chiese. Affaristi, politici e
benpensanti tentarono a più
riprese di demolirlo, ma per una
ragione o per l’altra, i nefasti
progetti rimasero nel cassetto. Ci
pensarono Wermacht e SS il 23
gennaio del 1943. Il Panier era
considerato un covo di partigiani,
di ebrei e di spie, reso inaccessibile
dall’intrico e dall’oscurità delle vie;
la sua popolazione multietnica e
proletaria costituiva un vero e
proprio affronto alla purezza della
razza ariana. Il bilancio del
bombardamento dei quartieri
vecchi, durato 17 giorni, si chiuse
con seimila arresti, seicento
deportazioni senza ritorno,
quarantamila sfollati e
quattordicimila ettari di rovine
nelle vicinanze del porto. Quel che
restava del Panier, compreso lo
splendido complesso secentesco
della Vieille Charité, fu per decenni
lasciato a se stesso. Alla storia del
Panier e dell’immigrazione italiana
e corsa, fatta di uomini e donne che
lavoravano al limite estremo della
fatica, appartiene anche la mafia di
Marsiglia, che negli anni ’20 elesse
le buttes a suo nucleo strategico e
operativo. Paul Carbone, classe
1894, figlio di analfabeti, arrivò
dalla Corsica su una nave di
contrabbandieri ed entrò nel clan a
passi rapidissimi. François Spirito,
classe 1900, scese al porto da
Napoli insieme ai genitori,
costruendosi in una manciata di
anni un’invidiabile carriera
criminale. Ma il titolo di re della
malavita locale spetta a Gaetan
Zampa, nato in una via del Panier
nel 1933, da una famiglia di origine
napoletana. La sua maturazione
professionale avvenne a Parigi;
Marsiglia, dal 1964, fu teatro
d’azione che lo vide boss di vie
nevralgiche per la riscossione delle
tangenti, il traffico di droga, la
prostituzione. Morì nel 1984,
suicida in carcere, mentre
In quella
che poi divenne
la Città Vecchia
vissero a stretto
contatto di gomito
ricchi e poveri,
almeno fino
alla seconda metà
del XVII secolo
attendeva il processo cui non era
riuscito a sfuggire. Solo in anni
recenti si è compiuta, e in parte è
ancora in corso, la riqualificazione
del Panier e della Charité. Divide in
due la Montée des Accoules, così
chiamata per la piccola chiesa del
1100, demolita nel 1794 e poi
ricostruita, un mancorrente cui si
aggrappano frotte sempre più fitte
di stranieri. Il quartiere è
incantevole, la sua storia la
raccontano cartelli ben collocati, la
maggior parte delle case ha
recuperato dignità grazie ai restauri
e ai colori pastello delle
intonacature, le targhe delle vie
richiamano mestieri e persone del
luogo, la topografia intricata spinge
a svoltare ogni angolo nel timore di
lasciarsi sfuggire qualcosa. Ma l’aria
sta cambiando. Ed è aria di un
eccesso di sfruttamento turistico,
che rischia di portare il Panier a fare
la fine di Trastevere. I locali con
déhors nei punti strategici, le
gelaterie fuori luogo esteticamente,
le boutiques e i negozi di souvenir,
stanno oscurando le gallerie d’arte
e gli atelier aperti quando il Panier
era lontano dall’essere di moda.
All’inizio della Montée des
Accoules, la birra Cagole ha aperto
un suo punto vendita: bottiglie e
lattine, accanto a un’infinità di
gadget tra bicchieri, vassoi,
grembiuli, scatole di latta, targhe,
che hanno per soggetto il dipinto di
una bruna e provocante cagole
(ragazza dal comportamento per
così dire spigliato), fasciata in un
abitino succinto, sopra di lei la
scritta «La bière du cabanon. A
boire bien glacée». Frutto di un’idea
di marketing ironica e divertente,
che gioca con i ricordi dei vecchi
bar portuali, la birra sta riscuotendo
un notevole successo. Guarda caso
da parte dei turisti e non dei
marsigliesi, che continuano a
preferirle la bionda e corsa Pietra.
Altro segnale allarmante è la
speculazione edilizia. Per esempio
la conversione in stabile
residenziale, avviata da un’impresa
privata, di uno dei due antichi
mulini, superstiti dei quattordici
che erano in funzione nella Place
des Moulins. Uno degli angoli più
belli del Panier. In Place de Lenche,
ex agorà, è una fatica passare fra i
tavolini dei ristoranti che l’hanno
letteralmente sepolta.
Perduta Canebière
Si scende dal Panier per risalire la
Canebière, arteria nata dagli
interventi di Luigi XIV sulle macerie
di un centro di fabbricazione e
commercio della canapa. La sua
progressiva importanza portò via
via ad allungarne il tracciato, fino a
superare il chilometro di lunghezza.
Dal 700 ai primi decenni del 900, la
Canebière, dove nel 1860 aveva
aperto la Borsa, fu il cuore del
commercio marittimo; il regno dei
negozi eleganti, dei caffè alla moda,
dei ristoranti e degli hotel d’élite.
L’avvento dell’aereo spense in una
manciata di anni le ciminiere delle
navi, e avviò un declino
inarrestabile. La Canebière divenne
triste, sordida, pericolosa dopo il
tramonto; l’abbandono trasformò
in fantasmi le statue ornamentali
sulle facciate dei palazzi. Le
riqualificazioni avviate a partire
dagli anni ’60 del secolo scorso,
hanno prodotto risultati stridenti
come i tre edifici di diciotto piani
che incombono sul Jardin des
Vestiges di Cours Belsunce. Annota
Crackanthorpe: «Un tentativo di
pulizia, investimento e recupero è
ancora in fase iniziale, ed è già
chiaro... che non potrà essere che la
diffusione di un affarismo popolare
più cospicuo e più sgradevole...».
Per contro, non pochi palazzi sono
stati restaurati, la pavimentazione
della strada rifatta, un po’ovunque
ci sono cantieri aperti. Quanto ai
negozi d’epoca, i pochi
sopravvissuti puntano tutto sui
turisti. Gli altri esibiscono i marchi
globalizzati dello shopping, salvo
quello dedicato alle glorie
calcistiche dell’Olympique
Marseille. Rivivere per un attimo la
Canebière sfarzosa e scomparsa è
impresa possibile, che si compie al
numero civico 53. L’Hotel du
Louvre et de la Paix, 250 stanze, due
ristoranti e due saloni, è adesso
sede dei grandi magazzini di
abbigliamento C&A. A sinistra e in
fondo al primo ambiente, dietro
una porta a spinta, si aprono i due
saloni dell’hotel. Gli adesivi incollati
agli specchi barocchi, gli
appendiabiti, i mucchi di scatoloni,
divengono invisibili di fronte allo
spettacolo di lampadari, mobili,
scaffalature, divani, poltrone, soffitti
intarsiati, pavimenti in legno,
tappezzerie e damaschi, che si
polverizzano giorno dopo giorno.
Facile il richiamo all’hotel di
Shining. Difficile spiegarsi perché la
proprietà dei C&A lasci morire
lentamente queste meraviglie, e
nessuna pubblica autorità
intervenga. Resta da raccontare il
popolo di migranti che, della
Canebière, è divenuto un tratto
distintivo dopo la fine della guerra
di Algeria. Al rimpatrio dei coloni
seguì una prima ondata di
immigrazione nordafricana, cui si è
aggiunta e continua ad aggiungersi
gente dall’Africa, dall’Asia, dalle
Americhe, dall’Est Europa. Sono
loro i «veri» abitanti delle vie alle
spalle, prima fra tutte Rue des
Capucins con il mercato e i negozi
che vendono infinite varietà di riso,
di spezie per carni e verdure, di
scatolame, saponi da Aleppo, riviste
rosa d’Oriente. Saladin è segnalato
sui depliant dell’Ufficio Turistico,
ma al padrone non sembra
importare granché. Lui serve tutti
SCAFFALI IN LIBRERIA
David Crackanthorpe,
prima e dopo il viaggio
IL LIBRO: David Crackanthorpe,
«Marsiglia. Ritratto di una città»
(edizioni Odoya, pp. 275, 18 euro).
Crackanthorpe ha vissuto lungamente
a Marsiglia, innamorandosene senza
riserve. Il libro racconta la città
partendo dalle origini, per poi
compiere un cammino che tocca la
crescita e lo sviluppo, i commerci, i
cambiamenti urbani, la società e la
politica, le arti, la cultura,
l’immigrazione, la criminalità. Non ci
troverete gli indirizzi e gli itinerari di una guida turistica e, invece,
come da sottotitolo, il ritratto di un luogo che va capito nella
molteplicità dei suoi contenuti. Leggerlo prima di partire aiuta a
mettersi nei panni di Marsiglia. Rileggerlo, una volta tornati a casa,
mette la giusta dose di nostalgia. l.d.s.
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
PER LA MUSICA TUTTI AL LOLLIPOP
Le foto che illustrano il servizio
su Marsiglia sono di Roberta Vozza.
Sotto, a destra, Raf Vallone
e Andrea Ferreol
in «Rétour à Marseille» di René Allio
●●●Lollipop, 2 Boulevard Thurner, all’angolo con Rue del Bergers,
quartiere Cours Julien, è il punto di riferimento musicale della città. Oltre a
spaziare, con CD e vinili, tra i generi più diversi, funziona da caffè -bar e
spazio culturale. Nel reparto dedicato agli artisti marsigliesi, seguendo i
consigli di Paul, potrete far vostri album da noi introvabili. Voci femminili in
ascesa sono Les Poulettes, cinque complici che suonano acustico,
compongono, fanno divertire con il loro sguardo di donne puntato sulla
società. Ultimo disco Coup de lune. Le Belladonna 9ch, duo in attività dal
1989, partendo dal funk rock sono arrivate a coniare un genere che hanno
BAEDEKER MARSIGLIESE
La miglior bouilleabaisse
e la giusta dose di pastis
●●●MUOVERSI: due sono le
linee di metropolitana, tram e
bus in superficie. Il costo del
biglietto è di 1, 50 euro, ma
cala acquistando carnet e
tessere giornaliere.
CITY PASS: tessera valida 24
o 48 ore, al costo di 22 e 29
euro, che dà diritto a circolare
su tutti i mezzi pubblici;
all’ingresso gratuito o scontato
nei musei, a sconti nei negozi
convenzionati. Si acquista
presso l’Ufficio del Turismo,
11 La Canebière.
Molto ben fatto è poi il sito
marseille-tourisme.com. Sito
del turismo francese in Italia
franceguide.com
MARSIGLIA GAY: Gaymap è
una mappa gratuita della città
corredata da indirizzi di bar,
ristoranti, alberghi, saune,
negozi, spiagge gayfriendly,
marseillegaymap.fr
DORMIRE: infinite le
possibilità tra hotel e B&B. Sul
sito del Turismo c’è
un’apposita sezione di ricerca.
Una doppia al Mama Shelter
(rue de La Loubière 64,
mamashelter.com), prima
colazione inclusa, costa 69
euro. Rapporto qualità/prezzo
ottimo, va prenotato però con
largo anticipo.
MANGIARE: da evitare sono
tutti i ristoranti e le brasseries
del Quai du port, luogo
molto turistico e anche i locali
nelle zone di maggior richiamo.
Lo stesso il Panier, ormai,
non è esente da trappole. Gli
indirizzi forniti qui di seguito,
sperimentati di persona, si
riferiscono soprattutto alla
zona di Cours Julien, facilmente
raggiungibile in metro. Prezzi
tra i 18 e 25 euro a testa con
una birra o un mezzo litro di
vino della casa. Eccoli.
Adonis du Liban, 12 rue
des Trois Rois, 04/91480014,
cucina libanese di ottimo
livello, titolari simpaticissimi;
Lan Thai, 13 rue Vian,
04/91372230, cucina thai
eccellente, solo contanti;
Le corto, 24 place Notre
Dame du Mont, 04/91531950,
lecorto.com., menu di mare e
di terra, alcune portate
arrivano dentro barattoli di
vetro caldi; Les Trois Rois, 24
rue des Trois Rois,
04/91534484, raccomandato
per la felice unione tra piatti
francesi e ricette orientali; O’
Pakistan, 11 rue des Trois Rois,
04/91488710, opakistan.fr,
piatti dall’India e dal Pakistan
preparati con materie prime
freschissime; Les mots des
thés, 92 Cours Julien,
04/91586820, solo a pranzo, il
posto giusto per un pasto
veloce, proposte raffinate a
prezzi onesti; Café Theatre
Tatie, 19 Quai de Rive Neuve,
in un cortiletto, menu
semplice, da consumare anche
la sera assistendo a uno
spettacolo; L’Evêché, 5 rue de
l’Evêché, 04/91905611, vecchio
ristorante del Panier,
bouilleabaisse a meno di 30
euro a testa, prezzo che
garantisce pesce fresco e
sapienza di preparazione.
BERE: ovunque troverete
tavoli per sorseggiare dal vino
al pastis, dal rum al cocktail. In
Cours Julien: Id Fixe, La
rhumerie, Café Vian, La butte
rouge, Au vin sur zinc. Il bar de
la plaine, 57 place Jean Jaurès, è
il ritrovo dei tifosi dell’OM. Al
bar del Mama Shelter, oltre 30
varietà di Pastis, alcune
introvabili in Italia. l.d.s
allo stesso modo, il turista non
merita la precedenza e neppure la
fatica di un sorriso ruffiano.
La gente di Cours Ju
Dove sono i giovani; dove si
incontrano, creano, parlano di un
domani difficile anche a Marsiglia?
La risposta è Cours Ju, consueta
abbreviazione alla francese di Cours
Julien. Sulla Plaine, la parte alta
della città, in Place Jean Jaurès, i
crociati piantavano i loro
accampamenti prima di partire
verso Gerusalemme. Al Bar de la
plaine piantano ogni giorno le
tende i tifosi dell’OM. Cours Ju,
cinque minuti scarsi di cammino
da Jaurès, fu costruito nel 1785 e gli
venne assegnato il nome di Cours
de Citoyens. Quartiere BoBo,
Borghese e Bohémien, esponente di
punta di quel fenomeno urbano
chiamato gentrification che attira
nuovi residenti da altri quartieri
delle città, la porzione più animata
e rappresentativa di Julien ha
l’aspetto di una piazza, con cipressi
e altre specie arboree. Dal tavolo di
uno dei tanti locali, lo sguardo
scorre sui clienti: coppie
dall’abbigliamento e dalle letture
gauchistes, ragazzi e ragazze
pettinati rasta come le cameriere in
servizio, turisti alternativi, pallide
marsigliesi e statuari giamaicani in
tenere effusioni, studenti che
mettono in discussione musica e
politica, signore ben pettinate e
infervorate nelle chiacchiere
davanti a una tazza di tè. Poi lo
sguardo si allarga. Al centro della
piazza/corso, seduti sui gradini
intorno agli specchi d’acqua,
clochard, punk a bestia, migranti, si
danno quotidiano appuntamento.
Appena più in là, passeggiano
famiglie precedute da una
carrozzina, le donne velate
dell’Islam tornano a casa con il
carico della spesa, imperversano
bambini che corrono dietro un
Il quartiere BoBo,
Borghese
e Bohémien,
è l’esponente
di punta
di quel fenomeno
urbano chiamato
gentrification
che attira nuovi
residenti. Giovani,
clochard, migranti
e punkabbestia
chiamato ‘techno guinguette’, rimando alle balere di paese. Disco appena
uscito, Le bal des loups garous. Poi ci sono le formidabili gemelle Isaya, flok
bluegrass venato di country e rock. Fatica recentissima, Dead or Alive.
Rock duro, garage, electroblues, hip pop elencano, ad esempio, i giovani
Sauvage (Dissonant Nation), i Cowboys (From outerspace), i Rescue
Rangers (Manitoba). In occasione di Marsiglia 2013, undici artisti hanno
dato vita ai tre volumi della compilation Focea Rocks. Raffinato il lavoro di
Frédéric Nevchehirlian, che in Le soleil brille pour tout le monde? ha
musicato 14 poesie inedite di Prevert, dal taglio sociale e politico. Da
consultare il sito del Calif (Club Action des Labels Indipendants Français),
calif.fr, dedicato alla musica indipendente francese. l. d. s.
pallone, volano le clave dei
giocolieri e le gigantesche bolle di
sapone soffiate da un signore dietro
libero compenso da parte del
pubblico, i dj provano le loro
apparecchiature per una notte di
note, scoppiano liti verbali e
qualche volta fisiche. È un cocktail
dai molti ingredienti, Cours Ju. Gli
conferiscono colori i murales delle
rues Trois Rois, Trois Mages,
Fontanges, Vian, Bussy l’indien,
Trois frères Barthelemy.
Aggiungono sapori i ristoranti di
cucine autentiche da Libano, India,
Thailandia, Giappone, Caribe,
Africa, Corsica. Non è coincidenza
che, a questo cocktail, abbia
aggiunto il suo ingrediente burlesco
e goliardico il designer Philippe
Starck, complici i tre fratelli Trigano
e Cyril Aouizerate, con l’Hotel
Mama Shelter, in Rue de La
Loubière 64. Il soggetto della
passatoia della hall è una sardina,
alla reception gli addetti indossano
una t-shirt e una salopette; lo
spazio del ristorante inneggia al
cibo e al divertimento: scritte
ovunque, sopra il bancone una
cinquantina di salvagenti - ochetta,
l’angolo per i concerti live allestito
con una schiera di chitarre e
percussioni, il calciobalilla rosa per
otto giocatori. In terrazza un bar
dedicato al Pastis e un’enorme
scacchiera dentro una vasca, dove
sfidarsi tenendo i piedi a bagno;
nelle stanze, sulla parete di fronte al
letto di lenzuola e coperte bianche,
un Mac multifunzioni. I prezzi
battono la concorrenza. Cours Ju, a
fine giornata, quando la luce
prepara il suo congedo, è il posto
ideale per ripensare Marsiglia alla
vigilia della partenza. Forse hai
capito poco di lei, forse, anzi di
certo, non hai capito quasi nulla. La
penna di Jean Claude Izzo serve a
consolarti, quando, in Aglio, menta
e basilico scrive: «Da qualsiasi luogo
tu arrivi, a Marsiglia sei a casa tua.
Nelle strade incontri visi familiari,
odori familiari. Marsiglia è
familiare. Fin dal primo sguardo».
Su Marsiglia hai sempre ragione tu,
malinconico Jean Claude.
SUL GRANDE SCHERMO
Il métissage
che incanta
le cineprese
di SILVANA SILVESTRI
●●●Se c’è una città legata al cinema questa
è Marsiglia, con il treno dei Lumière che
arriva alla Ciotat a fecondare tutto il resto
che venne in seguito. La Marsiglia legata per
sempre a Borsalino, al clan dei marsigliesi,
alla French Connection è un ricordo del
passato. Ormai si è fatto strada un cinema
che ha dovuto contrapporsi ai luoghi
comuni che hanno imperversato per anni e
anche alla censura politica che ne aveva
cancellato le istanze. Perfino À bout de
souffle inizia con un’azione da film
poliziesco: Michel (Belmondo) ruba un’auto
al Vieux Port e con quella viaggia verso
Parigi. Ma agli occhi di alcuni registi
marsigliesi il porto era il luogo del lavoro
operaio dei portuali e così è stato per Paul
Carpita cineasta politico, figlio lui stesso di
portuali, che raccontava negli anni ’50 i
legami della città con le ex colonie, le storie
di immigrazione. I suoi film avrebbero
subito rotto con le immagini stereotipate
create da Pagnol nella sua trilogia: Marius
(’31) diretto da Alexander Korda, Fanny (’32)
diretto da Marc Allégret, César (’36) il solo
episodio della saga diretta da lui. Carpita fu
subito censurato con Le rendez-vous des
quai (’55) dove un giovane portuale deve
decidere se continuare il suo lavoro senza
prospettive sotto la protezione dei sindacati
oppure inoltrarsi verso scorciatoie dai
guadagni più facili. L’attacco diretto a
Pagnol è considerato Marseille sans le soleil
(’60) dove tutti i luoghi comuni contenuti in
Marius sono messi in ridicolo nella loro
volgarità, gli stessi veicolati da tutti i media.
Della vita degli immigrati racconta in Adieu
Jesus (’70), un tema affrontato già da Renoir
in Toni nel ’35, Marsiglia come approdo di
italiani e spagnoli alla disperata ricerca di
lavoro, di armeni come Henru Verneuil il cui
vero nome era Achod Malakian e che
racconta in 588 rue Paradis e Mayrig i suoi
ricordi di famiglia, come René Allio,
marsigliese, ricordava in L’heure exquise la
sua famiglia di emigrati piemontesi. René
Allio è l’altra faccia dei «marsigliesi» i suoi
film sono contemporanei ai grandi film di
genere e arrivano nei nostri cineclub come
raffinati film d’autore con i suoi personaggi
in fuga in una città segnata dal malessere
(La vieille dame indigne, ’65) nelle periferie
dove si incontrano Raf Vallone e Andréa
Ferréol (Rétour à Marseille).
(5)
Più recentemente il regista marsigliese per
eccellenza, anzi «di quartiere» come si
definisce, è Robert Guédiguian – anche le
sue sono origini armene e operaie – e
nell’Estaque, il quartiere operaio, ha
raggruppato la sua fedele troupe di
collaboratori capeggiati da Ariane Ascaride e
Jean-Pierre Darrousin per le sue storie dallo
stile speciale, fatto di humour e istanze
politiche, dove si intrecciano problemi di
disoccupazione, droga, amore, razzismo,
emigrazione (Marius et Jeannette, La ville est
tranquille…). Contemporaneamente, alla
fine degli anni ’90 la città è percorsa quattro
volte dalla serie di film Taxxi blockbuster
prodotto da Luc Besson con Sami Naceri
fattorino di pizzeria con il sogno di diventare
pilota automobilistico alla guida spericolata
della sua Peugeot 406, auto pubblica
protagonista di svariate avventure. Mentre
Jean Comolli realizza la più grande serie di
documentari sullo stato della città (Marseille
contre Marseille del ’96, Rêves de France à
Marseille, del 2002).
OLYMPIQUE MARSEILLE
Quel desiderio
di rivincita
nelle acrobazie
di un pallone
di FLAVIANO DE LUCA
●●●Allleeeezzz l’Ommm! Il grido ti
accompagna al bar del Vieux Port,
sul telefonino degli adolescenti
lungo la Canebière, nei gruppi di
ragazzi che si danno la voce al
Panier e, naturalmente, sulle curve
del Vélodrome, la grossa conchiglia
aperta, lo stadio che è il teatro delle
imprese della formazione cittadina,
l’Olympique Marseille, per tutti
semplicemente OM, una squadra di
calcio dai colori biancoazzurri che
sembra incarnare lo spirito della
città di mare e il suo desiderio di
rivincita per un destino difficile, di
povertà ed esclusione. Come ha
brillantemente spiegato
l’antropologo Bromberger, «questa
forte coscienza di un’identità
schernita si unisce a una tradizione
di dissenso e di opposizione
frondista al potere centrale, in cui
affonda le radici un sentimento di
irriducibile specificità». La passione
per il club cresce nel
cosmopolitismo, nella cultura locale,
in un forte sentimento comunitario
e si respira un po’ dovunque tra
pagine di giornali, tavoli di caffè,
radio commerciali, pescatori
amatoriali. Droit au but recita il
motto cucito sulle loro maglie (dritti
alla mèta) insieme al logo della
società, reminiscenza degli inizi del
club, nato nel 1899 come una
polisportiva, col rugby nel cuore ma
presto scalzato dal pallone rotondo
dei Phocéens,come sono
soprannominati i calciatori,
rievocando i greci focesi, fondatori
nel VI secolo a.C. del nucleo
originario di Massalia, importante
scalo marittimo. Prima e unica
squadra francese a vincere la Coppa
dei Campioni (nel 1993 a Monaco
battendo in finale il Milan con un
gol di Boli), l’OM ha una bacheca
ricca di trofei: nove titoli di
campione di Francia (il primo nel
1937, l’ultimo nel 2010), dieci coppe
di Francia, tre coppe di Lega. Il
periodo più prospero, ma anche il
più controverso, coincide con
l'arrivo alla presidenza di Bernard
Tapie, discusso personaggio, che
nella sua vita, oltre che presidente
della squadra, è stato imprenditore,
politico, attore e conduttore
televisivo. Tapie prende in mano la
squadra nel 1986, acquista grandi
giocatori fra cui Chris Waddle, Enzo
Francescoli (idolo del marsigliese
Zidane, il cui primo figlio si chiama
Enzo in suo onore), Didier
Deschamps e Eric Cantona. La
squadra disputa due finali di Coppa
dei Campioni, una persa, a Bari nel
1991 contro la Stella Rossa di
Belgrado, l’altra, vinta contro il
Milan. Sotto la presidenza di Tapie,
con allenatori come Beckenbauer,
Gili e Goethals, l'OM vince titoli di
campione di Francia a ripetizione.
Tapie, ai tempi, nel 1989, era riuscito
anche a strappare il sì a Maradona e
a preparare un sontuoso contratto
annullato per la retromarcia del
Napoli. Poi lo scandalo
Valenciennes, una combine
denunciata da un calciatore in
occasione di un incontro decisivo
per l’assegnazione del titolo, con
squalifica e retrocessione nel ’94 in
seconda divisione. La dura risalita
culmina nella vittoria del titolo del
2010, dopo diciotto anni
d’astinenza. Oggi è la squadra dei
cannonieri Gignac e Ayew, stretta
nella morsa degli squadroni
miliardari, Psg e Monaco, in Ligue 1.
(6)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
NELLA TERRA DEI PUEBLO E DEI NAVAJO
di Manuela De Leonardis
SANTA FE
●●●La luce e i colori saturi di un
paesaggio che emana una sacralità
remota sono forse gli elementi più
immediati della grande attrazione
per il New Mexico che, a partire
dalla prima metà del secolo scorso,
hanno subìto generazioni di artisti e
fotografi. Nella terra dei pueblo e
dei navajo le nuvole sembrano
meno inafferrabili e i tramonti sono
segni grafici che si perdono
nell’orizzonte, piccanti come la
salsa di peperoncini verdi, anima
della cucina locale.
L’intima connessione con la
natura è particolarmente evidente
nel lavoro di Georgia O’Keeffe,
icona del modernismo americano,
come sottolinea anche John
Loengard nei suoi scatti realizzati
per Life nel ’66-’67 e raccolti nel
libro Image and Imagination (2006).
Immagini che delineano la figura di
un’anziana signora alle prese con le
abitudini quotidiane nelle sue
dimore di Abiquiu e Ghost Ranch,
tra lunghe camminate, la cura dei
cani e del giardino, la collezione di
pietre e di sonagli dei Crotalus.
Loengard fotografa anche le mani
dell’artista vicino ad un osso
pelvico (stesso soggetto del dipinto
Pelvis with the Moon, 1943), ma
questa immagine non potrà mai
competere con la foto delle stesse
mani che accarezzano un teschio
equino, su cui si era soffermato lo
sguardo innamorato di Alfred
Stieglitz oltre trent’anni prima.
Parecchi altri fotografi hanno
ritratto O’Keeffe in New Mexico, tra
loro Philippe Halsman nel ’48,
Yousuf Karsh nel ’56, Tony Vaccaro
e Todd Webb nei primissimi anni
Sessanta: Webb inquadra l’artista
con il grembiule mentre gira lo
stufato nella pentola.
Sicuramente però le foto di Laura
Gilpin, in cui vediamo l’artista nel
suo studio nel ’53, rivelano una più
profonda empatia, come è evidente
in quelle di Paul Strand, che si sono
alternate nel tempo, specchio di un
lungo rapporto di stima e amicizia.
La prima volta che Georgia O’Keeffe
mette piede in New Mexico è
New Mexico, le linee
sinuose del deserto
Il fascino di un paesaggio dall’aura sacrale,
le luci sature, le residenze cult e i personaggi
che l’hanno abitato. Da O’Keeffe a Walter Chappell
proprio con Rebecca, la moglie di
Strand, nell’estate 1929: entrambe
vivono un momento di profonda
crisi matrimoniale. Un viaggio
rivelatorio che segna una svolta
che, nel caso di O’Keeffe, è anche
artistica.
Dopo lunghi soggiorni periodici,
nel 1945 l’artista acquista a Abiquiu
l’antica casa coloniale di adobe in
rovina, di cui segue personalmente
i lavori di restauro (oggi è di
proprietà del Georgia O’Keeffe
Museum di Santa Fe ed è visitabile
su appuntamento) e nel 1949, tre
anni dopo la morte di Stieglitz, si
trasferisce definitivamente nel New
Mexico.
Analogamente, Laura Gilpin
sceglie Santa Fe come città elettiva
e, a partire dagli anni Trenta,
persegue l’obiettivo di
documentare la vita dei nativi
americani tra Arizona e New
Mexico, come è testimoniato, in
particolare, nel volume The
Enduring Navaho (1968). Il suo
racconto visivo (preziose stampe al
platino e alla gelatina ai sali
d’argento) si sofferma sulle
tradizioni, ma anche sulla
contemporaneità con le numerose
battaglie per il riconoscimento dei
diritti di cui è significativo il ritratto
di Annie Wauneka, prima donna
eletta nel Tribal Council a Window
Rock. Tra gli scatti di Gilpin c’è
anche il volume moderno, e allo
stesso tempo antico, della chiesa di
San Francesco d’Assisi a Ranchos
de Taos, l’architettura di adobe più
fotografata del paese, che ancora
oggi mantiene intatto il fascino
originale. Anche Ansel Adams la
fotografa durante i suoi soggiorni a
Taos nell’estate del ’30, ’31 e ’32:
anche nel suo caso questa terra del
profondo sud è una linfa vitale per
superare un momento di impasse
nella sua carriera e nella vita
privata, segnato dalla fine
dell’amicizia e della collaborazione
con Stieglitz.
A una manciata di chilometri di
distanza, esattamente nel Pueblo di
Taos, George Alpert - fondatore
della Soho Foundation e direttore
negli anni Settanta della Soho
Photo Gallery di New York - realizza
un intero lavoro in bianco e nero,
pubblicato in Taos Pueblo (1983) in
cui traduce le vibrazioni di
spiritualità del luogo, il più antico
insediamento di nativi americani
Pueblo, tuttora abitato e dal 1992
riconosciuto dall’Unesco
patrimonio dell’umanità.
Quanto alle fotografie di Ansel
Adams scattate a Chimayo, Laguna
Pueblo, Pueblo di San Idelfonso,
Taos e in altri luoghi sono
pubblicate nel volume Paul Strand.
Southwest (2004) di Rebecca
Busselle e Trudy Wilner Stack. Non
troppo distante da qui, poi, è stata
scattata una delle sue fotografie più
celebri, Moonrise, Hernandez, New
Mexico (1941): sembra che lo stesso
autore ne abbia realizzato
personalmente oltre 1300 stampe.
Come Adams, la stessa Georgia
O’Keeffe e numerose altre celebrità
tra cui D. H. Lawrence e Martha
Graham, anche Edward Weston è
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
(7)
Da sinistra Laura Gilpin, «Type a chongo» (da «Enduring Navaho» 1968);
Walter Chappell, «Mother and Son», 1962; Edward Weston, «Nude - New
Mexico», 1937; a destra, pag. 7, l’artista Judy Tuwaletstiwa (fotografata
da Manuela De Leonardis) e, sotto, l’opera «Plutonium_onehandful»
(2012)
INTERVISTA ■ PARLA L’ARTISTA E SCRITTRICE JUDY TUWALETSTIWA
Un quadro rituale
per celebrare i fasti
della Madre terra
M. D. L.
GALISTEO (NEW MEXICO)
stato ospite a Los Gallos,
l’eccentrica residenza in adobe fatta
costruire a Taos dalla scrittrice e
mecenate Mable Dodge Luhan
(autrice anche di Winter in Taos,
1935) insieme al suo terzo marito
Tony Luhan.
Il 29 dicembre 1937 il fotografo
californiano scatta una serie di nudi
in cui la sinuosità e la morbidezza
della pelle della sua modella e musa
(nonchè futura seconda moglie),
Charis Wilson, sono in netto
contrasto con la porosità della
superficie modellata con argilla e
paglia. Il New Mexico non è stato
che una tappa del lunghissimo
viaggio nel west (i due percorsero
quasi diciassettemila chilometri in
187 giorni) che Weston si concesse
con il cospicuo Guggenheim
Fellowship, per la prima volta
assegnato ad un fotografo.
Più tardi, nel 1969, Dennis
Hopper giunto a Taos per girare
Easy Rider si innamora della stessa
residenza, tanto da acquistarla
l’anno successivo dalla nipote della
scrittrice.
Proprio nel solarium il regista,
attore, artista e grande collezionista
di Pop Art tra i più dannati di
Hollywood sposa il 31 ottobre 1970
Michelle Phillips, la cantante dei
Mamas and Papas, che chiede il
divorzio otto giorni dopo. A Taos,
comunque, Hopper vivrà per alcuni
anni, scattando anche una serie di
fotografie (recentemente esposte da
Gagosian a New York) con
un’instamatic che portava a
stampare in un drugstore.
In questo curioso filo conduttore
che avvicina e unisce i vari
personaggi finora citati c’è anche
Walter Chappell - last but not least che tra i suoi ritratti delle star del
cinema annovera anche Dennis
Hopper, fotografato nel ’69. Ma più
noti dei ritratti sono i suoi
controversi nudi. A questo
personaggio fuori dagli schemi, che
subito dopo la guerra frequenta a
San Francisco il circolo dei fotografi
che include Minor White, Edward
Weston, Imogen Cunningham e
Ansel Adams, per trasferirsi dopo
qualche anno a Rochester per
studiare con White, la Fondazione
Fotografia di Modena dedica,
nell’ambito del Festivalfilosofia, in
anteprima mondiale la più grande
retrospettiva Walter Chappell.
Eternal Impermanence (13
settembre – 2 febbraio 2014). Nella
visione di Chappell la natura è
analizzata attraverso la meditazione
e la spiritualità.
Soprattutto quella del New
Mexico, dove vive in diversi
momenti della sua vita incluso
l’ultimo paragrafo quando, a partire
dal 1987 e fino alla morte (2000) si
trasferisce a El Rito, a poca distanza
da Abiquiu, dove continua fino
all’ultimo a fotografare e tenere
workshop. «Per me - affermava - il
grande espediente è la visione
attraverso la macchina fotografica:
l’uso sensibile dei miei occhi sotto
la visione più alta di una
comprensione e l’intuizione basata
sulla conoscenza di un rapporto
con la realtà».
●●●Alti alberi di cottonwood, i
pioppi neri americani, circondano
lo studio di Judy Tuwaletstiwa (Los
Angeles, 1941). La casa è qualche
metro più avanti: una lunga L di
adobe con grandi finestre che
lasciano entrare la natura
silenziosa. All’interno adornano le
pareti e il caminetto una serie di
kachina dolls scolpite nel legno e
dipinte in vari colori, patrimonio
culturale degli hopi. Dal 1993, per
dodici anni, l’artista ha vissuto con
il suo secondo marito nella casa di
Phillip, nel villaggio di Kykotsmovi,
nella riserva hopi in Arizona
nordorientale. Forse ciò che
accomuna l’orizzonte sconfinato
dei due luoghi è proprio la
sensazione di vivere il paesaggio
come un respiro profondo,
assorbendo l’intensità della luce
che attraversa la storia. Benché disti
solo 33 minuti da Santa Fe, Galisteo
è un luogo isolato che, allo stesso
tempo, ha avuto e ha tuttora una
comunità elettiva di artisti, attori e
scrittori tra cui Agnes Martin,
Nancy Holt, Lucy R. Lippard,
Bernard Pomerance, Bruce
Neuman e Suzanne Rothenburg.
Alcuni elementi della terra che la
circonda (legno, sabbia incorporata
nel colore), insieme a piume, fili,
tela grezza fanno parte del lavoro
astratto di Judy Tuwaletstiwa, a cui
si è aggiunto recentemente il vetro.
Parallelamente le sue doti narrative
di scrittrice si fondono con le
immagini in Frog Dreaming, un
libro per bambini che verrà
pubblicato con un nom de plume
(quello della zia Fern Green) e che
la porta indietro nel tempo alle
magnifiche storie di un mondo che
non c’è più, lo stesso che
raccontava la nonna Rose Green.
Nel frattempo le mani di Judy
aprono Mapping Water (Radius
Book 2007), un libro d’arte
concepito come un viaggio tra i
ricordi: «Siamo sconosciuti l’uno
all’altro. Forse il mio viaggio
illumina il tuo», scrive nelle pagine
iniziali. E aggiunge, sfogliando il
libro: «Il primo capitolo è sulle
memorie culturali. Comincio con il
rintracciare la definizione della
parola genesi - una parola
meravigliosa - all’interno di culture
differenti. È interessare analizzare
etimologicamente le variazioni di
questa stessa parola: gene, genio,
genocidio, germinazione… fino al
sanscrito dove significa ’generato
dai vermi’».
●Sei laureata in letteratura
medievale. Qual è la connessione
tra la tua formazione e il lavoro
di artista visiva?
Provenendo da una famiglia ebrea
in cui c’era una forte componente
politica, dovevo necessariamente
avere la capacità di difendermi
verbalmente. O parlavo o morivo,
non c’erano altre possibilità. La
parola è sempre stata importante,
però se si cresce all’interno di una
famiglia in cui le parole sono
manipolate dall’ideologia, si hanno
due messaggi paralleli. Ho imparato
quanto sia importante esprimersi
con proprietà di linguaggio e, allo
stesso tempo, quanto la parola
possa cambiare di significato.
Questo è il motivo per cui quando
sono andata all’università studiare
la lingua inglese è stata una porta
d’accesso per me. Studiando la
lingua medievale, poi, ho scoperto
che è molto cinematografica.
Leggendo Chaucer, soprattutto
nella versione originale, è come se
ci fosse una macchina da ripresa
che si avvicina e poi si sposta sulla
scena. Malgrado fossimo stati molto
poveri, in famiglia una delle cose
che abbiamo sempre fatto è stato
andare a teatro e al cinema per
vedere film stranieri. Questa è stata
la parte più nutriente della mia
crescita. E quando ho iniziato a
studiare la letteratura inglese
medievale è stato come se le storie
diventassero reali, ma in un modo
diverso. Anche aver avuto un
grande professore come Alain
Renoir, figlio di Jean e nipote di
Auguste, ha avuto la sua rilevanza.
È stato lui a stimolare la parte di me
che è diventata artista, tirando fuori
la parte visuale dai grandi poemi
come Sir Gawain e il Cavaliere
Verde e da altri, appena successivi
alla tradizione orale. La tradizione
orale, infatti, è molto diversa da
quella scritta. Il medioevo era molto
fluido e ricco in ambito letterario,
senza considerare la bellezza della
sinuosità della lingua sulla
superficie della pagina, che è come
nella tessitura in cui trama e ordito
si alternano. La prima cosa che ho
«Ho trascorso
più di dieci anni
nella riserva hopi.
Poter vedere
distanze
di cento miglia
ha semplificato
tutto... Da allora,
ho usato soltanto
bianco, nero, rosso
e colori neutri»
fatto, quando sono diventata
artista, è stato proprio imparare la
tessitura; a quei tempi ero in Scozia
dove ho frequentato corsi serali
all’università e lì, all’improvviso, ho
capito - attraverso il lavoro delle
mie mani - che il mondo
cominciava ad avere senso come la
struttura di un tessuto.
●Qual è stato l’insegnamento dei
tuoi genitori, Evelyn Greenberg e
Alvin Abram Averbuck, ebrei attivi
nel partito comunista?
Come molti altri comunisti
americani hanno lasciato il partito
dopo la repressione sovietica della
Rivoluzione Ungherese del 1956,
ma fino ad allora sono stati molto
idealisti. Io e mio fratello siamo
cresciuti nel clima multiculturale
nell’East Los Angeles dove c’erano
alcune famiglie ebree, ma anche
tanti messicani, neri e molti
giapponesi, che hanno dovuto
rimettere in ordine le loro vite dopo
aver vissuto, durante la seconda
guerra mondiale, nei campi di
rilocazione. Mia madre e mio
padre, in quanto ebrei, da una parte
avevano una valigia piena di paure
e dall’altra una piena di sogni, in
mezzo c’era il desiderio che i loro
figli studiassero. Attraverso le nostre
vite abbiamo realizzato i loro sogni.
Il mio lavoro è stato proprio quello
di mettere insieme quelle due
valigie.
●I musei d’arte sono stati il tuo
insegnamento, illuminante in
particolare una mostra di Van
Gogh…
Quando ho visto la mostra di Van
Gogh a San Francisco, nel 1970,
avevo già tre dei miei quattro figli,
un matrimonio molto difficile e non
avevo la minima idea di fare
l’artista. Quando mi sono fermata
davanti al Campo di grano con corvi
ho cominciato a piangere. Non
sapevo cosa mi stesse succedendo,
semplicemente non ho fatto altro
che continuare a piangere per tutta
la strada fino a casa. Anni dopo ho
letto quello che ha scritto Vincent
in una lettera a suo fratello Theo:
sperava che nel vedere i suoi quadri
la gente aprisse le cateratte dei loro
cuori. Ha totalmente aperto le mie!
Arrivata a casa dovevo fare
qualcosa: ho preso un pezzo di
cartoncino e con la matita ho
disegnato un albero in maniera
espressionista. Non è che fosse un
bel disegno, ma è stato l’inizio.
●Un’altra esperienza
fondamentale è stata l’incontro
con Phillip a Choco Canyon. Con
lui hai vissuto a lungo nella
Terza Mesa... Quanto entra
quest’esperienza nel tuo lavoro?
Profondamente! Prima di vivere
con gli hopi lavoravo in maniera
narrativa. L’esperienza di poter
vedere nel deserto distanze di
cento miglia ha semplificato tutto.
Dal 1993 per vent’anni ho usato
soltanto bianco, nero, rosso e
colori neutri. Vivere presso gli hopi,
immersa in quel paesaggio
semplificato e con le canzoni
kachina, è stata un’esperienza
profonda. Anche se non sono in
grado di capire le parole delle
canzoni il loro suono va
direttamente al cosmo e al cuore, è
come un «om»: un suono che
arriva dalla terra. Per gli hopi
conscio e inconscio non sono
separati. Il paesaggio è molto duro,
chiede tutto. Sopravvissuti per oltre
mille anni coltivando, hanno una
profonda conoscenza della loro
terra. Nelle loro canzoni, nelle
cerimonie e nelle storie parlano
alla terra e questa gli risponde.
Però dopo più di dieci anni
trascorsi nella loro riserva, ho
capito che ero rimasta sempre
un’altra. Avevo degli amici
affettuosi, ma non ero parte di un
clan e la società hopi è organizzata
in clan. Ero accettata come la
moglie di Phillip. Ad un certo
punto ho sentito che dovevo
rientrare nel mondo della cultura
occidentale.
(8)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
TEOLOGIA E POLITICA
L’EPOCA
INSICURA
Quel mistero
del male
dopo Ratzinger
di RAFFAELE K. SALINARI
●●●Per l’Occidente cristiano e il
suo Evo, il Tempo della Fine non è
la Fine del Tempo ma solo l’inizio
del Tempo Nuovo, quello della
Salvezza per chi ha sempre creduto
al messaggio del Cristo e della sua
Chiesa; per questo l’istituzione
ecclesiale deve qui ed ora
riappropriarsi in toto della sua
missione escatologica, rendendosi
testimonianza vivente di questa
rivelazione, pena non solo la sua
inutilità come veicolo della
Salvezza ma, sommo abominio,
divenire essa stessa il corpo
dell’Anticristo, veicolarne il
Mysterium iniquitatis, il mistero del
male, assumendone le forme
progressivamente secolarizzate.
In questo difficile chiasma tra
essere-nel-mondo per il mondo ed
essere-nel-mondo per testimoniare
una Salvezza che di fatto lo
trascende, in questa vera e propria
aporia, vive l’autentica teologia
politica: non la semplice influenza
esercitata sulle forme della politica
mondana dalle idee religiose, bensì
l’orientamento e la destinazione
politica consustanziale alla vita
della religione. È in questa
prospettiva apocalittica, come
vedremo analizzando il testo della
profetica Seconda lettera ai
Tessalonicesi di San Paolo, che si
confrontano l’Anticristo ed il
misterioso «potere che lo frena», il
katechon, che però dovrà togliersi
di mezzo al momento opportuno,
quando il Salvatore spazzerà via
l’Avversario col soffio della sua
bocca.
Corpo bipartito della Chiesa
Molto si è congetturato sulla natura
di questo «potere che frena» ma,
per alcuni, sino dall’inizio della
cristianità, esso convive ed opera
all’interno stesso della Chiesa
insieme al potere dell’Anticristo,
come ci riferisce l’antico teologo
Ticonio nel suo Commento
all’Apocalisse risalente al IV secolo,
nel quale sostiene la teoria del
«corpo bipartito della Chiesa»: la
compresenza di una sua parte
fusca ed una sua parte decora,
come si definisce la sposa nel
Cantico dei cantici (1,4). Secondo
Ticonio esiterebbe allora una
Chiesa nera (fusca) che appartiene
all’Anticristo ed una bella (decora)
schierata con il Salvatore. Questa
tesi, centrale per comprendere le
motivazioni teologico politiche
delle dimissioni di Papa Benedetto
XVI, era stata assunta dal giovane
teologo Ratzinger.
Meditando la sua scelta su
questo concetto centrale, al quale
egli dedica una riflessione già nel
lontano 1956 - dunque ben prima
della sua ascesa al Soglio di Pietro Papa Benedetto XVI ha compiuto il
suo «gesto esemplare», come lo
definisce Giorgio Agamben ne Il
mistero del male, Benedetto XVI e la
fine dei tempi, (Laterza pp. 67, euro
7). Il testo, composto da due
riflessioni - una lectio magistralis
ed un breve saggio - che trattano lo
stesso argomento, vuole situare la
Le dimissioni di Benedetto XVI
«raccontate» da Agamben,
guardando alla globalizzazione
e il tempo apodittico di Cacciari
nel suo «Il potere che frena»
decisione papale nel «contesto
teologico ed ecclesiologico che le è
propria», arrivando, tuttavia, a
trarne le conseguenze «per la
situazione politica delle
democrazie in cui viviamo».
Le motivazioni di Benedetto XVI,
la sua analisi della situazione
odierna della Chiesa rispetto alle
«cose ultime», il suo avvertire che
all’interno della Istituzione le forze
dell’Avversario, la Chiesa fusca,
sembra aver preso il sopravvento
su quella del bene (decora), hanno
spinto il pontefice all’azione
radicale delle dimissioni per
ricordare, come dice Agamben:
«Che non è possibile che la Chiesa
sopravviva se rimanda alla fine dei
tempi la soluzione del conflitto che
ne dilania il ’corpo bipartito’. Come
il problema della legittimità, così
anche il problema di ciò che è
giusto non può essere eliminato
dalla vita storica della Chiesa, ma
deve ispirare ogni istante la
consapevolezza delle sue decisioni
nel mondo. Se si finge di ignorare,
come spesso ha fatto la Chiesa, la
realtà del corpo bipartito, la Chiesa
fusca finisce col prevalere su quella
decora e il dramma escatologico
perde ogni senso».
Su questa definizione di Chiesa
come protagonista del «dramma
escatologico», Agamben traccia una
vera e propria filologia, una
interpretazione autentica del
termine «dramma», ricordandoci
che: «Il Mysterium iniquitatis della
seconda lettera ai Tessalonicesi
non è un arcano sovratemporale, il
cui unico senso è di porre fine alla
storia e all’economia della salvezza:
è un dramma storico (mysterion in
greco significa ‘azione
drammatica’), che è in corso per
così dire in ogni istante e in cui
incessantemente si giocano le sorti
dell’umanità, la salvezza o la rovina
degli uomini».
Iniquità e perdizione
E così Ratzinger ha voluto riportare
all’attenzione della riflessione
politico teologica della Chiesa e del
suo Evo il Mysterium iniquitatis, il
«mistero del male» come
componente essenziale della
rivelazione cristiana e, con esso, il
tema e la natura della Chiesa come
kathecon, l’enigmatico «potere che
trattiene» il Tempo della Fine,
quando l’Anticristo sarà
definitivamente sconfitto dal
ritorno del Salvatore.
Dice dunque Paolo nella Seconda
lettera ai Tessalonicesi (2, 1-12), già
ampiamente commentata da Carl
Schmitt come base della relazione
tra teologia e politica nella
fondazione e nella superiorità dello
Jus Publicum Europaeum: «Ora vi
preghiamo, fratelli, a proposito
della parusia del Signore nostro
Gesù Cristo e della nostra riunione
in Lui, che non vi facciate subito
turbare né stoltamente spaventare,
né da ispirazioni, né da parole, né
da lettera fatta passare per nostra,
come fosse imminente il giorno del
Signore. Che nessuno vi inganni in
nessun modo! Infatti, prima dovrà
venire l’apostasia (discessio) e
l’apocalisse dell’uomo dell’anomia
(homo iniquitatis), il figlio della
apoleia, (filius perditionis)
l’Avversario (qui adversatur), colui
che si innalza sopra ogni essere che
viene detto Dio e come Dio è
venerato, fino ad insediarsi nel
tempio di Dio e a mostrare se
stesso come Dio. Non ricordate che
quando ero ancora con voi vi
dicevo queste cose? E ora
conoscete ciò che trattiene (to
katechon) la sua apocalisse, che
avverrà a suo tempo. Già, infatti, il
mistero dell’iniquità è in atto; ma
chi trattiene (ho katechon)
trattenga, precisamente fino a
quando non venga tolto di mezzo.
Allora sarà l’Apocalisse dell’Anomos
(Iniquus), che il Signore Gesù
distruggerà con il soffio delle sua
bocca; annienterà all’apparire della
sua parusia l’Anomos la cui parusia
appare invece secondo l’essere in
atto di Satana in ogni potenza e
segni e falsi prodigi e con tutti gli
inganni dell’ingiustizia per coloro
che si perdono perché non hanno
accolto l’amore della verità per la
loro salvezza. E per questo Dio
invierà loro la potenza
dell’inganno, affinché credano alla
menzogna e siano così giudicati
tutti quelli che non ebbero fede
nella verità, ma acconsentono
all’iniquità».
Il Tempo della Fine
Questa verità escatologico profetica
è dunque l’essenza del messaggio
cristiano e lo scopo stesso della
Chiesa che, senza la sua
permanente relazione con il
Tempo della Fine si perde nel
tempo profano in cui prevalgono le
cure secolari e trionfa l’anomia,
intesa non come semplice assenza
delle regole, ma del prevalere di
regole totalmente immanenti al
secolo, desacralizzate, dettate e
gestite dall’Avversario: un quadro
drammaticamente attuale che
prefigura lo smarrirsi irreversibile
della rivelazione cristiana, della
verità della Salvezza eterna come
legge suprema dalla cui Autorità
trascendente derivano tutte le altre.
La perdita dell’orizzonte
escatologico dunque, sostiene
Agamben, ha motivato le
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
Grande, particolare del Giudizio universale (inferno)
di Coppo di Marcovaldo nel Battistero di san Giovanni,
Firenze; Luca Signorelli, dettaglio di «Predica
e morte dell’Anticristo» e, sotto, due particolari della
dannazione, Orvieto, Cappella san Brizio; piccole, Arazzi
dell'Apocalisse: Il tino trabocca di sangue di artista
sconosciuto nel Castello Angers; L' Arcangelo Gabriele della
chiesa parrocchiale di Sagama, 1492, attribuito al Maestro
di Castelsardo, nel Museo d'Art de Catalunya, Barcellona
L’istituzione
ecclesiale deve
riappropriarsi
della sua missione
salvifica,
altrimenti finisce
per nutrire
essa stessa il corpo
dell’Anticristo
dimissioni di Benedetto XVI che,
con questo gesto: «Ha riportato alla
luce il mistero escatologico in tutta
la sua forza dirompente; ma solo in
questo modo la Chiesa, che si è
smarrita nel tempo, potrà ritrovare
la giusta relazione con la fine dei
tempi. Vi sono, nella Chiesa, due
elementi inconciliabili e, tuttavia,
strettamente intrecciati: l’economia
e l’escatologia, l’elemento
mondano-temporale e quello che
si mantiene in relazione con la fine
del tempo e del mondo. Quando
l’elemento escatologico si eclissa
nell’ombra, l’economia mondana
diventa propriamente infinita, cioè
interminabile e senza scopo. Il
paradosso della Chiesa è che essa,
dal punto di vita escatologico, deve
rinunciare al mondo, ma non può
farlo perché, dal punto di vista
dell’economia, essa è del mondo, e
non può rinunciare a questo senza
rinunciare a se stessa. Ma proprio
qui si situa la crisi decisiva: perché
il coraggio - questo ci sembra il
senso ultimo del messaggio di
Benedetto XVI - non è che la
capacità di mantenersi in relazione
con la propria fine». Ecco che,
allora, questo orizzonte teologico
politico investe in essenza il ruolo
della Chiesa come parte, o
addirittura fondamento, qui ed ora,
di quel misterioso potere
catecontico che frenerebbe il pieno
manifestarsi dell’Anticristo, sino a
che, toltosi di mezzo, il Signore
avvenga e lo spazzi via
definitivamente compiendo il
Tempo della Fine, il Giudizio
Universale, separando per l’eternità
i salvati dai persi.
Ma, se questo tempo è già in
atto, l’urgenza posta alla Chiesa dal
Mysterium iniquitatis che ogni
momento spinge l’Anticristo a
prendere potere sul mondo, deve
trasformarsi in atti concreti e
radicali subito. La presenza nel
«tempo di mezzo» tra il primo
avvento e il definitivo non può
essere vista e vissuta come
semplice attesa dell’approdo finale,
ma come ispirazione escatologica
delle scelte quotidiane che
l’Istituzione deve attuare ogni
momento per rimanere in
relazione adesso con la rivelazione
del messaggio cristiano e mettersi
così dalla parte dei salvati nel
Giorno del Tempo della Fine, cioè
ogni giorno.
Il gesto di Benedetto XVI, così
conclude Agamben, sarebbe
espressione della volontà di
riaffermare questo difficile
equilibrio della Chiesa tra mondo e
escaton, la sua «capacità di agire
nell’intervallo tra la prima e la
seconda venuta, cioè nel tempo
storico che stiamo vivendo», poiché
una società può funzionare,
sostiene l’autore, solo se la giustizia
(che nella Chiesa corrisponde
all’escatologia) non resta una mera
idea ma riesce a trovare
espressione politica in una forza
capace di «controbilanciare il
progressivo appiattimento su un
unico piano tecnico economico» di
quei principi di legittimità e
legalità, Aauctoritas e Potestsas potere temporale e potere
spirituale - che rappresentano il
patrimonio più prezioso della
cultura europea.
Il «potere che frena»
Queste stesse riflessioni, partendo
dalla natura del «potere che frena»
per arrivare ad una analisi sub
specie teologico politica della realtà
del mondo globalizzato, sono
anche oggetto del libro di Massimo
Cacciari Il potere che frena
(Adelphi, pp. 211, euro 13), che
sviluppa la stessa problematica del
rapporto tra seculum e tempo
apocalittico, arrivando ad
abbracciare il problema
contingente del «governo della
globalizzazione» visto come
politicamente impossibile proprio
per la mancanza di una Auctoritas
di ascendenza cristiana, cioè
trascendente: l’escaton che informi
di sé la Potestas delle leggi
mondane: «Da parte sua, neppure
la sovranità politica potrà ‘reggere’
se destituita da qualsiasi effettuale
rimando al principio di autorità»,
sostiene Cacciari.
Il suo saggio parte dall’analisi
della Seconda lettera ai
Tessalonicesi di San Paolo, per
esaminare le varie forme o nature
che, via via nel tempo e nelle
diverse situazioni storiche, sono
state attribuite al katechon. Si parte
da quelle più accreditate, l’Impero
romano o, appunto la Chiesa
stessa, per arrivare a delineare il
percorso storico che porta all’oggi,
all’attuale regno dell’anomia, il
momento apocalittico in cui si
manifesterebbe appieno il regno
dell’Avversario, ed ogni potere
catecontico del «sapere, ricordare,
prevedere» si esaurisce poiché,
secondo la profezia paolina, deve
farsi da parte.
E così, conclude Cacciari
nell’ultimo capitolo del saggio,
L’età di Epimeteo, che ben disegna
il cambio di fase dall’epoca
prometeica in cui l’umanità
sembrava muoversi in una
prospettiva di «bene comune», a
quella epimeteica dominata dal
particulare: «Muta il senso della
saggezza politica. Quella del
katechon ‘classico’ studiava, sì, il
possibile, ma non rinunciava a
speculare sull’ottimo. La sua forma
era, sì, intessuta di temperanza e
mesotes, e tuttavia mai riducibile a
techne, poiché ribadiva in ogni
aspetto la propria provenienza
‘dall’alto’. Per poter contenere, il
katechon pensava necessaria una
sophia capace di rappresentare il
‘bene comune’, e il Comune non
potrà mai risultare dalla somma
degli interessi particolari».
Ecco che, allora: «Il dissolversi
della forma catecontica si origina
dal suo stesso interno, viene da
noi, come si è visto. Inizia con la
critica dell’idea di impero,
prosegue con quella di ogni ‘dio
mortale’, corrode infine,
logicamente filosoficamente la
realtà dello Stato, lo
desostanzializza, lo spoglia di ogni
Auctoritas, ne denuncia la natura
di finzione ideologica, dimostra
l’impossibilità di superare il piano
assolutamente orizzontale della
reta di conflitti e degli interessi».
L’età di Epimeteo
Qui ritorna l’interpretazione di Carl
Schmitt nel suo Nomos della terra,
in cui il giurista tedesco mette in
guardia dai guasti della
globalizzazione ben prima che essa
avvenisse con la pervasività
fenomenica che oggi ben
conosciamo.
Oggi, senza territorializzazione
del potere, senza quella justissima
tellus incarnata da stati o istituzioni
realmente sovranazionali e
condivisi, e senza una Chiesa
realmente testimoniante la
Salvezza, perché scossa sino alle
(9)
fondamenta dal Mysterium
iniquitatis che sembra scaturire dal
suo stesso corpo, quale legittimità
hanno i poteri che dicono di voler
governare la globalizzazione? O
meglio, è ancora in oggetto questo
problema, oppure le dinamiche
prevalenti hanno totalmente
affermato uno stato di piena
anomia, intesa non come anarchia,
ma come una serie di norme
particolari e indipendenti che
rispondono solo all’edonismo dei
singoli o all’accumulazione del
profitto «finché dura»? La risposta
di Cacciari è coerente con le sue
premesse apocalittiche: «Il pensiero
conservatore ritiene che questo
passaggio segni la vittoria del chaos
e dell’anomia come chaos. Ma non
è affatto così. Quello dell’anomia,
come già si è detto, è un sistema; è
anzi il sistema –mondo. In esso è
impensabile un ordine
‘territorializzato’ come quello
sempre presupposto dal katechon.
È impensabile una fonte del potere
che ne trascenda il funzionamento
immanente, un’idea da cui il suo
esercizio dipenda e a cui esso si
richiami».
Qui dunque viene a definirsi il
concetto di anomia della
globalizzazione come: «Un tempo
‘libero’ da determinatezze spaziali,
in cui l’individuo non tollera di
essere ‘rappresentato’ se non
dall’impersonale delle norme che
sembrano alla base del
funzionamento e del successo di
quelle potenze da cui egli
riconoscere dipendere la propria
vita».
L’Evo dell’insecuritas
Ecco che, infine, la parabola
teologica incrocia quella
biopolitica, creando un unicum in
cui il potere che decide sulla vita e
la morte della «nuda vita» sembra
divenire la Weltanschauung stessa
dell’individuo globalizzato. A
questo punto un Potere Sovrano,
che volesse realmente governare
The Globe, dovrebbe riassumere
ancora in sé le categorie
dell’Auctoritas e della Potestas per
fermare l’anomia del
sistema-mondo; ma per Cacciari
questo non è più possibile.
«Qui emerge ‘l’apocalittica’
aporia. Non può darsi Nomos del
Mondo, esistono solo queste leggi
determinate. E, oltre ad esse,
esistono forze, potenze decisive,
che operano sul piano globale e
producono in base alle norme
interne al proprio funzionamento».
Che fare allora, quale prospettiva si
apre in questa situazione? Le
conclusioni sono da una parte
analitiche e dall’altra apocalittiche,
epimeteiche appunto. In sostanza
il filosofo veneziano annuncia
l’apertura di un periodo dalla
durata non prevedibile, uno spazio
di «permanente crisi», di
insecuritas, in cui da una crisi si
passerà all’altra senza soluzione di
continuità; crisi più o meno
governate e gestite parzialmente da
élites globali che però non possono
tendere al controllo complessivo
delle cose proprio per quella
mancanza di Auctoritas che essi
stessi hanno progressivamente
distrutto con la loro discessio, la
loro apostasia.
E così: «Quello di Epimeteo sarà
piuttosto l’Evo dell’insecuritas e
delle crisi permanenti:
teologicamente esso può
rappresentare l’ultimo spasmo del
tempo prima della Decisione;
politicamente la sua durata è
imprevedibile”. Siamo allora nel
pieno di una «crisi del politico»
poiché in questa situazione: «Ogni
forma politica finisce
necessariamente col tendere a
divenire funzione di quelle stesse
potenze fisiologicamente
insofferenti del suo primato».
Ricostruire l’Evo
La chiusura del saggio riecheggia le
profezie abissali di Carl Schmitt e la
sua richiesta di ripristinare i
Grossraum, i «grandi spazi»
geopolitici che, forse, seppur in
conflitto tra di loro, in un futuro
non prevedibile potrebbero
assicurare una certo equilibrio alla
fase attuale, anche se uniti soltanto
dalla comune apostasia verso l’Evo
cristiano. E dunque, «Prometeo si è
ritirato» o è tornare ad essere
incatenato alla sua roccia, costretto
a guardare il fratello Epimeteo
scoperchiare sempre nuovi vasi di
Pandora.
Quella di Cacciari è, in definitiva,
una sfida radicale al pensiero
paleo-prometeico della sinistra,
ancora incapace di cogliere lo
spirito dei tempi e di conseguenza
adattare le sue forme di pensare il
politico per agire in questa
situazione desacralizzata. Se la sua
analisi, a nostro parere
estremamente suggestiva e
feconda, fosse assunta nelle
premesse, ma non
necessariamente nelle conclusioni,
l’orizzonte segnerebbe la
ricostruzione di un nuovo Evo, ma
questa volta sulla base simbolico
fattuale di un nuovo escaton: la
sacertà immanente a ogni forma di
esistenza. Certo un lavoro da nuovi
Titani.
(10)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
BIKERS & ANTROPOLOGIA
Nel riquadro al centro la copertina
del libro di Cesare Lombroso
NOVECENTO
Delinquenti
SINISTRA ITALIANA
Quando
lo sport
era il nemico
pubblico
su due ruote
Nei primi anni del secolo scorso, secondo le tesi
del criminologo Cesare Lombroso, il «biciclo»
aveva assunto una straordinaria importanza
sia come causa che come strumento del crimine
di PASQUALE COCCIA
Ciclisti, dunque delinquenti.
Sentenziava così, all'alba del
Novecento Cesare Lombroso e
per gli appassionati della biciletta
non vi era appello. Il biciclo, come
lo chiamava l'autore del famoso
trattato L'uomo delinquente, sul
finire dell'Ottocento e i primi anni
del Novecento tentava i più arditi,
i più spericolati, quelli che
volevano a tutti i costi provare
l'emozione del nuovo, del resto
salire sulla «macchina» e pedalare
a spron battuto consentiva di dare
velocità al corpo e vivere nuove
emozioni. Dunque, sosteneva il
Lombroso che il massimo della
tendenza criminosa si registrava
tra coloro che avevano una fascia
di età tra i 15 e i 25 anni, quelli
esageratamente agili, perciò
concludeva senza ombra di
dubbio: «Nessuno dei nuovi
congegni ha assunto la
straordinaria importanza del
biciclo sia come causa che come
strumento del crimine».
Parte da lontano Cesare
Lombroso e nel suo libro I delitti
vecchi e nuovi, pubblicato nel
1902, a sostegno delle sue tesi
riferisce il caso di due fratelli di
Torino, entrambi adolescenti,
definiti «precoci in amore e
nell'uso del vino, divenuti ladri
per causa del biciclo». Nell'analisi
tra il modello dei vecchi e nuovi
criminali, che la società
dell'industria alimentava come
sottoprodotto, il caso di uno
studente ginnasiale di 16 anni, il
quale «avendo precoce sensualità,
e passione precoce pel giuoco e
sport, affittava una bicicletta e
non la restituiva al noleggiatore,
finendo in carcere».
Più chiaro il caso di un giovane
di 22 anni, il quale «aveva i
caratteri di un delinquente nato,
cranio idrocefalo, occhio strabico,
avendo preso un colpo al capo a
seguito di una caduta ed essendo
dedito ai piaceri più ignobili fin
dall'età di 10 anni, aveva rubato
un bicilo nel negozio in cui
lavorava come commesso». A
parziale giustifica dell'efferato
furto, il Lombroso scriveva:
«Bisogna però notare che la
madre era isterica e pazza morale;
lo zio paterno epilettico e suicida;
egli ebbe turbe isterico-epilettiche
da giovanissimo, il che spiega la
doppia personalità, l'altruismo
eccessivo da un lato e l'eccessivo
egoismo dall'altro, doppia bilancia
che traboccò nel delitto per causa
della vanità morbosa, acuita
evidentemente dalla moda del
biciclo».
Non poteva mancare il
riferimento al genere femminile,
associato senza mezzi termini alla
bicicletta come causa di tutti i
mali. «Se uno si pretendeva di
trovare nelle donne il movente di
ogni delitto virile, si potrebbe con
minore esagerazione oggi dire:
cercate il biciclo!», sosteneva
Cesare Lombroso. A conclusione
di una serie di casi clinici correlati
alla bicicletta, Lombroso
attribuisce alle due ruote anche
l'origine di casi di pazzia, che il
noto criminologo definiva
clinicamente «ebefrenia biciclica»
tale era il filo rosso che legava il
pericoloso mezzo a due ruote ai
casi di follia. Il caso clou è quello
di un ragazzo di 13 anni «figlio di
operai, soffre l'ossessione di
possedere una fisarmonica, poi lo
prende la smania irrefrenabile dei
bicicli, e tutto il giorno, essendo la
famiglia povera, medita i mezzi
per rubarli, senza essere scoperto,
sicché i parenti si allarmano come
di pazzia gravissima e criminale».
Della bicicletta all'inizio del
secolo scorso, facevano uso i ladri
per allontanarsi il più
velocemente possibile dal luogo
del misfatto, ma Lombroso non
esitava a considerarla quale
origine delle tentazioni
delinquenziali. La sua attenzione
si soffermò sui ladri di biciclette,
fenomeno assai in voga fin dai
primi anni del Novecento, infatti
una banda di giovinastri, aveva
sottratto ai legittimi proprietari
«settanta o ottanta bicicli in pochi
mesi», e non esitò a tratteggiare
l'identikit dei ladri di biciclette,
vere e prorie categorie sociali
ritenute borderline: «Sono
giovanissimi, agilissimi,
appassionati ciclisti e della
cosiddetta buona società,
specialmente militari ed ex
militari, meccanici, artisti o
studenti con scarsezza del tipo
fisiognomico criminale».
Le tesi di Lombroso ebbero un
certo effetto sull'opinione
pubblica, che non poteva non
associare la bicicletta ai fenomeni
di delinquenza, considerazioni
delle quali si avvantaggiarono non
poco coloro che all'interno del
partito socialista si erano
dichiarati apertamente
antisportivi. La pratica ciclistica,
poteva avere secondo il Lombroso
anche un effetto terapeutico,
perciò lo consigliava per le cure di
«giovani epilettici, discoli, indocili,
bizzarri, esauribili e frenostenici».
Il ciclismo moderato poteva
giovare alle malattie mentali che
affliggevano quei giovinastri presi
dalla frenesia del nuovo «il
ciclismo regolato può avere utili
applicazioni in certe nevropatie e
specialmente nelle forme
depressive: lo spleen e
l'ipocondria; nella cura delle
paresi, delle amiotrofie, della
paralisi infantile, paralisi isterica,
dell'esaurimento nervoso
generale, della sciatica, della tabe
dorsale».
Inoltre, avvertiva il criminologo
«come effetto generale
immediato, si ottiene dal ciclismo
l'esaltazione di tutte le funzioni
della sensibilità, della
circolazione, della forza
muscolare, che mette a capo ad
una certa eccitazione dell'attività
del cervello. Se il ciclismo
moderato produce un'eccitazione
cerebrale leggera, così che dopo
una breve passeggiata,
l'intelligenza è più libera e il
lavoro mentale è più facile, il
ciclismo smodato, invece,
determinando un'eccitazione più
forte e più lunga, può mettere
capo a varie malattie del cervello».
di P.C.
Se in Europa un certo dinamismo
sportivo aveva coinvolto le
organizzazioni politiche vicine al
movimento operaio, soprattutto nei
paesi del nord e del centro
dell'Europa, in Italia in particolare
tra i giovani delle organizzazioni
politiche e sindacali di sinistra, nei
confronti dello sport permaneva
una forte ostilità in tutto il primo
decennio del Novecento. Il partito
socialista, impegnato anche in
parlamento in dure battaglie per
migliorare le condizioni di vita degli
operai, trascurò totalmente la
questione sport, indiscutibile punto
di attrazione dei giovani,
demandando il dibattito e le
iniziative alla federazione giovanile
socialista, che sul tema anziché
rappresentare il nuovo, aprendo
una breccia a favore dello sport,
manifestò un acceso antisportismo,
ancor più radicale di quello
espresso dai dirigenti del partito.
La gioventù di inizio secolo,
preferiva la partita di calcio al
comizio e la lettura della Gazzetta
dello Sport a L'Avanti!, alla sezione
locale del partito la società di
ginnastica, una situazione che
rendeva impotenti le organizzazioni
di sinistra, che non avevano
compreso il ruolo di aggregazione
che svolgeva lo sport e di fascino
che esercitava sui giovani. Il
dibattito sul che fare, si infervora
sugli organi di informazione di
sinistra L'Avanguardia, L'Avanti!, La
Riscossa, La Lotta, La Giustizia, in
vista del congresso nazionale dei
giovanili socialisti del 1910 che si
tenne a Firenze. Per i giovani
socialisti di San Giovanni Valdarno
non bisognava occuparsi di sport
«essendo cosa assolutamente
inutile e disastrosa alla vita politica»
mentre quelli del circolo di
Boggibonsi ritenevano che lo sport
fosse «rovinatore di organismi». Ad
avere le idee chiare sull'utilità dello
sport è Ernesto Baldo delegato di
Canelli: «Serve a far arricchire le
case produttrici di biciclette; è il
nuovo e unico divertimento per i
vagabondi; rovina molti giovani».
Non mancano tesi a sostegno dello
sport, grazie ai buoni risultati
ottenuti da alcune organizzazioni
giovanili socialiste, che erano
riuscite ad avvicinare alla politica
molti giovani grazie, come sostiene
Giacomo Azzi di Milano che
riteneva si potessero «assorbire
alcune mansioni dello sport, come
hanno fatto i giovani socialisti in
Germania e in Belgio», a stretto giro
rispondeva il rappresentante del
circolo giovanile socialista di San
Quirico che intravedeva il pericolo
che «le nostre sezioni si
trasformassero in tante palestre». A
Ravenna, invece, il congresso
deliberava di «disciplinare
l'esercizio dello sport e più
propriamente della bicicletta».
L'antisportismo si propaga
particolarmente tra il 1907 e il 1910
perché in quegli anni nascono le
grandi classiche, Milano-Sanremo
(1907) e il Giro d'Italia (1909), punto
di attrazione di giovani e operai,
suscitando non poca apprensione
tra i dirigenti dell'organizzazione
giovanile di sinistra, che non
esitarono a definire i ciclisti che
gareggiavano «velocipedastri piegati
su criminosi manubri a corna di
bufalo».
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
PAGINE ■ UN TESTO CHE DISVELA GIOIE E TORMENTI DI UNA BAND
John Densmore,
non aprite
quelle Porte
di JOHN DENSMORE*
È mattina presto e ho appena
lasciato l’automobile nel
parcheggio del tribunale, dove ho
pagato la solita tariffa di diciassette
dollari. Un costo che scende
benevolmente a sei dollari dopo le
undici del mattino, ma chi è che va
in tribunale dopo le undici? Non
che io non possa permettermi tale
tariffa. Posso permettermela. Ma
che dire delle persone sventurate
che dominano l’edificio al mattino,
con le loro sfortune relative a
immigrazione, multe e crimini
minori? «Freghiamo i poveretti per
l’ennesima volta», deve essere il
motto di questo posto. Mentre mi
avvicino alle pesanti porte
d’ingresso del minaccioso tribunale
di Los Angeles, sono più che
consapevole del fatto che si tratti di
un ambiente ben diverso da quelli
in cui sono solito suonare. Rispetto
ai locali fumosi in cui ho passato la
mia giovinezza solitaria, è
decisamente antisettico.
Da ragazzino speravo che una
ragazza mi notasse dietro la mia
scintillante batteria, ma in questo
momento non dispongo della mia
coperta di Linus musicale. Sono
solo mentre faccio il mio ingresso in
questo tribunale, armato della mia
determinazione a sistemare ciò che
credo sia sbagliato. Mi fermo un
istante mentre attraverso il metal
detector di recente installazione,
all’ingresso. Vengo perquisito dagli
addetti alla sicurezza mentre poso
lo sguardo sul lungo corridoio di
marmo dall’intensa illuminazione al
neon che si snoda verso la mia
nuova cella: intendo l’aula di
tribunale Division #36. Immagino
che, per alcune settimane, sarò qui
tutti i giorni. (Non tutta l’estate,
come in realtà andrà a finire). Sono
afflitto da riflessioni su come la mia
«integrità» mi ha condotto a questa
orrenda corte di giustizia. Finirò
davvero per avere un minimo di
giustizia? Cosa sto cercando di
dimostrare? Sto macchiandomi di
sabotaggio nei confronti dei miei
vecchi compagni? Sono riflessioni
che non mi fermeranno, per
esempio il fatto che forse dovrei
essere meno possessivo riguardo
alla titolarità del nostro nome. Non
mi appartiene. Appartiene a tutti.
Siamo tutti coinvolti in questa cosa.
È sbagliato che una persona sola
cerchi di fermare tutto? Sono un
guastafeste?
La verità è che un patto prezioso
vergato molto tempo fa dal nostro
frontman, Jim, stabilisce in maniera
chiara che, se mai la situazione si
fosse fatta strana, uno di noi
avrebbe potuto e dovuto fare
qualcosa. Be’, si è fatta strana e io
sto facendo qualcosa. Ma ora che
ho scoperto gli altarini, mi trovo nel
posto più strano in cui sia mai
stato. Dentro l’aula giudiziaria, le
persone parlano a bassa voce,
chiamandosi «signore» e «vostro
Il batterista dei Doors racconta le sue battaglie
legali contro gli ex compagni per non svendere
l’eredità artistica e morale del gruppo. Quando
il rock finisce in tribunale. Un estratto dal libro
onore», e contemporaneamente e
volutamente pugnalano chiunque
sia loro d’intralcio… al collo, alla
schiena, ai fianchi, davanti, ai
piedi… dappertutto. Indossano il
miglior abito Armani della
domenica, ma si comportano come
se si trovassero in un bordello e
non in una chiesa. Cosa diavolo ci
faccio qui? Non avevo idea che,
quando Jim suggerì che
dividessimo tutto in quattro, si
fosse trattato di una decisione
storica che non era e non sarebbe
mai stata messa in atto da nessuna
altra band. La sua idea non era
semplicemente stata magnanima,
perché quella solidarietà si
dimostrò inoppugnabile. Nessuno
avrebbe incrinato quella fortezza.
Mi conforta la convinzione di non
aver sabotato Jim. Anzi, riflettendo
a distanza di tanti anni sulla
reazione violenta di Jim
all’incidente della Buick, quando
Ray, Robby e io per poco non
vendemmo Light My Fire per uno
spot televisivo, provo vergogna. Al
tempo, quando lo sfogo rabbioso di
passione di Jim contro la nostra
decisione di vendere una canzone a
un’agenzia pubblicitaria mi rimase
impresso nella mente, per sempre,
il gene dell’avidità scorreva nelle
mie vene.
Per trent’anni siamo stati un
gruppo musicale con uno degli
accordi a quattro più unici di
sempre: non si sarebbe potuto
stipulare alcun contratto senza
l’okay di tutti. E ora siamo nemici
in armi al quarto piano del
tribunale, nel centro di Los Angeles.
Nel libro Il codice dell’anima:
carattere, vocazione, destino, James
Hillman (candidato al Pulitzer,
psicologo junghiano e autore di
bestseller) dichiara che gli individui
hanno già dentro di sé il potenziale
per sviluppare tutte le loro
possibilità esclusive, proprio come
una ghianda detiene in sé il
progetto di una quercia. Credo che
Jim e il leggendario Cavallo Pazzo
(il condottiero nativo americano
degli Oglala Lakota) avessero
vocazioni simili, ovvero il mistero
invisibile al centro di ogni vita che
risponde alla domanda
fondamentale: «Cos’è che davvero,
intimamente, devo fare?». Malgrado
tutte le avversità della sorte orribile
che toccò a questi due uomini,
vissero fino in fondo le immagini
significative che avevano dentro di
sé fin dal principio. Odio tutte
quelle false dicerie sulla morte di
Morrison, ma c’è un motivo per
cui, come nel caso di Cavallo Pazzo,
(11)
l’ubicazione dei resti di Jim è
tuttora fonte di mistero. Sono certo
che il cimitero parigino di
Père-Lachaise sia il suo «felice
territorio di caccia» perché ha
scambiato Il Grande Spirito con lo
spirito nella bottiglia, ma lo spirito
di Jim resta così forte che i fan lo
vogliono in vita. (...)
Io stesso ripenso al periodo dolce
e innocente in cui eravamo una
garage band, prima che il nostro
«grande sogno» ci proiettasse sul
palcoscenico globale. Ma c’è
davvero poco di sacro in questa
corte, zeppa di persone che si
scambiano segreti a bassa voce.
Sono abituato a fan vocianti,
inebriati che ci chiedono a gran
voce la loro canzone preferita.
Come si è arrivati a questo punto?
Mentre attendo di mettere piede
nell’aula giudiziaria, viaggio a
ritroso nel tempo, fino agli inizi…
Era il 1965. Ray Manzarek e Jim
Morrison si erano conosciuti ed
erano subito diventati amici
frequentando la scuola di cinema
dell’Ucla, nel bellissimo Westwood
Village di Los Angeles. Al tempo, la
gente stava iniziando a sviluppare
interesse per la filosofia orientale e,
dunque, il mio buon amico Robby
Krieger e io decidemmo di
partecipare a un seminario sulla
meditazione trascendentale a cui
partecipò anche Ray, che non
avevo ancora incontrato. Avevo
un’ossessione per la musica e avevo
iniziato a prendere lezioni di piano
a otto anni, inoltre avevo suonato la
batteria nella banda delle scuole
superiori, nella banda da ballo e
nell’orchestra. Andai a Tijuana,
dove mi feci fare un documento di
identità falso per poter suonare nei
bar… un professionista in erba.
All’incontro sulla meditazione
trascendentale, Ray si presentò e mi
invitò a casa dei suoi genitori a
Manhattan Beach per fare una jam.
Ero pronto, felice di seguire
qualsiasi suggerimento pur di
intensificare l’eccitazione che fare
musica mi trasmetteva. Gli elogi di
altri musicisti erano come il
balsamo del dermatologo per la
mia acne. L’incontro nel garage di
Ray ebbe sfumature negative e
positive. Da un lato, c’era lo scarso
livello musicale dei due fratelli di
Ray… ma quel tizio che se n’era
restato in un angolo del garage mi
affascinava. Si chiamava Jim
Morrison, sembrava una versione
moderna di una scultura greca e si
muoveva pure come una statua
greca. In altre parole, non si
muoveva affatto.
*(C) 2013 John Densmore, estratto
da «The Doors. Lo spirito di
un'epoca e l'eredità di Jim
Morrison» (John Densmore, Arcana,
euro 22, pp. 335)
Un’immagine recente di Densmore (foto
Jeff Sarpa), sopra con la prima batteria
(Densmore), al centro Jim Morrison (Paul
Ferrara) e ancora Densmore (Paul Ferrara)
(12)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
ROCK
STORIE ■ QUANDO LA COPPIA «SCOPPIA». GLI OTTO SODALIZI PIÙ IMPORTANTI DELLA MUSICA
Il primo incontro
non si scorda mai
di GUIDO MARIANI
C’è stato un tempo in cui anche i miti del rock erano adolescenti con più sogni che
convinzioni, fino a quando l’incontro giusto ha cambiato le loro vite. La storia delle
grandi band è anche una storia di profonde amicizie o grandi amori, di legami personali
nati per caso e diventati un percorso di vita basato su una comune visione artistica o un
desiderio di gloria. Molte leggende del pop e del rock sono legate a un primo incontro, a
una scintilla che ha unito due anime destinate a diventare gemelle: amici diventati
artisti, artisti diventati star. In alcuni casi l’unione si è dimostrata inossidabile, in altri il
successo, il destino, il tempo hanno corroso il legame. Ma la musica è rimasta.
JOHN LENNON & PAUL MCCARTNEY
Il mondo come lo conosciamo sarebbe
oggi molto diverso se nel pomeriggio del
6 luglio 1957 un quindicenne di
Liverpool chiamato Paul McCartney non
avesse partecipato a una festa nel
giardino della parrocchia del quartiere di
Woolton, in occasione della fiera
tradizionale della Rose Queen che
prevedeva una sfilata, uno show dei cani
della polizia, un rinfresco e alcune
esibizioni musicali, tra cui quella di un
gruppo di musica skiffle chiamato
Quarrymen. Leader della formazione era
John Lennon, un sedicenne che cantava
e suonava la chitarra. I Quarrymen si
esibirono prima sul retro di un furgone
accompagnando la sfilata, poi allestirono
i loro strumenti per un’esibizione serale
in programma presso la parrocchia. Fu
qui che il bassista dei Quarrymen, Ivan
Vaughan, presentò al cantante il suo
compagno di scuola Paul. «Ero uno
scolaretto un po’ grassoccio e nel
momento in cui mi mise il braccio sulla
spalla capii che era un po’ ubriaco»
ricorderà McCartney. Secondo il suo
racconto, John mostrava già dei chiari
segni di un grande talento: «Era bravo.
Pensai ‘Si presenta bene, canta bene ed è
un ottimo lead singer’. Si distingueva da
tutti gli altri membri della band». Dopo
essersi presentati i due imbracciarono gli
strumenti, McCartney mostrò a Lennon
come accordare la chitarra e poi si mise
a cantare Twenty Flight Rock di Eddie
Cochran e Be Bop a Lula di Gene
Vincent. Proseguirono insieme
strimpellando alcuni ritornelli delle
canzoni di Little Richard. A quanto
ricorda Paul andarono anche a suonare
un pianoforte su cui lui accennò le note
della scatenata A Whole Lot of Shakin' di
Jerry Lee Lewis. Alla fine della serata i
membri del gruppo con Paul andarono
al pub dove entrarono mentendo sulla
loro età e facendosi servire delle birre.
Qualche settimana dopo Lennon
caldeggiò l’entrata di Paul nei
Quarrymen. «Da quel giorno - ha
ricordato McCartney - passammo i
nostri anni da teenager come amici
inseparabili».
BONO VOX & THE EDGE
Il rock e la bibbia. È difficile pensare a un legame più saldo se
le premesse sono queste. La storia degli U2 inizia in una
scuola superiore di Dublino, la Mount Temple High School.
Un giorno, nel settembre del 1976, sulla bacheca della scuola
apparve un annuncio scritto a penna: «Batterista sta cercando
musicisti per iniziare una rock band». Più sotto una firma,
Larry Mullen Jr., e un numero di telefono. Larry ai tempi era
un ragazzino di 14 anni con una buona formazione musicale,
ma scarsa esperienza e al suo richiamo risposero alcuni suoi
coetanei che di musica ne sapevano molto meno. Larry
convocò tutti a casa sua e nella sua cucina si presentarono sei
ragazzi tra cui due suoi amici, Peter Martin e Ivan McCormick
e altri alunni della scuola, David Evans e suo fratello Dick,
Adam Clayton e Paul Hewson che si faceva chiamare Bono
Vox. In poche settimane da quella riunione improvvisata
nacque un progetto musicale chiamato i Feedback, Peter
Martin, Ivan McCormick si fecero da parte così come, per
motivi di studio, Dick Evans. I Feedback divennero gli Hype,
gli Hype divennero gli U2. In quella cucina era nato un
legame artistico e umano che dura anche oggi. Bono Vox
iniziò a conoscere gli altri e troverà la sua anima artistica
gemella in David, ragazzo meno istrionico di lui, a cui
affibbierà un nome che gli rimarrà attaccato per sempre, The
Edge. Paul Hewson era un adolescente incontenibile noto per
voler essere sempre al centro dell’attenzione. Faceva parte di
un gruppo di ragazzi che nella scuola si dava una certa
importanza, si facevano chiamare The Lypton Village e
amavano darsi dei soprannomi. Quello di Paul era stato per
un certo periodo lo scioglilingua demenziale
«Steinhegvanhuysenolegbangbangbangbang», ma poi un
membro dell’improvvisata compagnia decise che andava
meglio Bono Vox, dall’insegna di un negozio di apparecchi
acustici di Dublino. Fu così che Bono si sentì in dovere
bollare con un nomignolo anche il suo nuovo amico e lo
definì The Edge traducibile come «limite», ma anche come
«spigolo». Un nome scelto per l’aspetto affilato del volto del
ragazzo, ma poi rivelatosi perfetto per descrivere la sua
personalità acuta e determinata. L’amicizia tra i due non si
limitava al rock, Bono e The Edge con Larry rinsaldarono il
loro legame anche partecipando nei primi anni della loro
amicizia a un gruppo di preghiera e di studi biblici chiamato
Shalom. A un certo punto si trovarono di fronte al dilemma se
la loro fede potesse conciliarsi con il rock. Stava scoppiando
la rivoluzione del punk, i ragazzi erano stati folgorati dai
Ramones, visti dal vivo a Dublino nel settembre del ’77.
Insieme capirono alla fine che, senza rinunciare alla fede, il
rock era la loro vita se fossero stati in grado di trovare una
loro voce. Fecero questa scelta insieme senza più guardarsi
indietro.
Da adolescenti e sognatori a icone pop. Amicizie, legami e amori
destinati a segnare epoche, mode e stili. Una festa in parrocchia
per i Beatles, il treno dei Rolling Stones, gli U2 e la bibbia
LOU REED & JOHN CALE
Il giovane Lou Reed era un
ragazzo appassionato di musica
che aveva già maturato alle scuole
superiori le sue prime esperienze
in alcuni gruppetti. Dopo il liceo si
iscrisse all’Università di Syracuse,
dove frequentò la facoltà di arte.
Uscito dal College, nel 1964, venne
reclutato da una casa discografica
di Long Island, la Pickwick
International, una sorta di piccola
industria della canzone che
sfornava singoli a ripetizione. Una
fabbrica di one hit-wonder che
incassava sugli stili musicali di
moda. Reed veniva pagato 25
dollari a settimana per scrivere
canzoni rock e pop che spesso
uscivano sotto nomi di fantasia di
gruppi che di fatto non esistevano.
Terry Phillips, uno dei proprietari
della Pickwick, a un party incontrò
John Cale, proveniente dal Galles e
approdato negli Stati Uniti per
studiare musica classica con una
borsa di studio. Decise di
reclutarlo e fargli incidere con Lou
Reed un brano che quest’ultimo
aveva scritto e che prometteva di
diventare una potenziale hit. La
canzone si chiamava The Ostrich e
fu pubblicata sotto il nome The
Primitives, band che vedeva per la
prima volta insieme Reed e Cale.
«Ai tempi - ricorderà Lou - si
lavorava rinchiusi in quattro in
una stanza a scrivere canzoni. Ci
dicevano: “Abbiamo bisogno di 10
canzoni nello stile California, 10
nello stile Detroit”. Andavamo poi
nello studio e incidevamo tre o
quattro album velocemente
perché alla fine ci sapevamo fare.
Non lavoravamo bene.
Lavoravamo in fretta». Lou, che ai
tempi viveva ancora nella casa di
famiglia a Freeport, decise di
trasferirsi a casa del nuovo amico
nel cuore di Manhattan. I loro
interessi divennero la musica e
l’eroina. «Non avevamo un soldo.
Mangiavamo solo cereali e
vendevamo il sangue. Abbiamo
anche posato per dei tabloid
scandalistici da 15 centesimi che
pubblicavano storie fasulle. La mia
foto venne usata come quella di
un killer che aveva ucciso 14
bambini, aveva registrato le loro
urla su un nastro che ascoltava
nella sua fattoria del Kansas. La
foto di John divenne quella di un
tizio che aveva ucciso l’amante
perché lei voleva mettersi con la
sorella e lui non voleva che la
sorella frequentasse delle
lesbiche». Ma nella loro vita erano
destinati a ben altro. Nel 1965
fondarono i Velvet Underground
con due laureati di Syracuse,
Donald «Sterling» Morrison e
Angus Maclise (poi rimpiazzato da
Maureen Tucker). Rievocherà
Reed: «Iniziammo a suonare in
una tremenda coffee house che ci
pagava 5 dollari a testa a sera e ci
cacciò dopo una settimana e
mezza perché la gente odiava la
nostra musica». Dietro l’angolo
c’era una persona destinata a
cambiare le loro vite. Incontrarono
infatti Andy Warhol che fece di
loro la band di punta della scena
artistica newyorkese.
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
BLACKWING 602, LA REGINA DELLE MATITE
MICK JAGGER & KEITH RICHARDS
Si sono amati, si sono odiati, hanno scritto
pagine memorabili di rock e di vita
spericolata e superati i settant’anni,
suonano ancora insieme con lo spirito di
due ragazzini. La mattina del 17 ottobre
1961 il diciottenne Mick Jagger arrivò sul
binario 2 della stazione del paese di
Dartford, nel Kent, per raggiungere la
London School of Economics di cui era
studente. Poco dopo arrivò nello stesso
posto un altro ragazzo suo coetaneo, Keith
Richards. Era diretto al Sidcup Art College
e portava con sé la sua chitarra elettrica
Höfner. Jagger aveva sotto braccio alcuni
dei suoi amatissimi vinili di blues. Uno
aveva i dischi, l’altro uno strumento, i due
si notarono, si squadrarono e si
riconobbero. Avevano infatti entrambi
frequentato anni prima la stessa scuola, la
Wentworth Primary School. Iniziarono
così a parlare di musica e a capire che
avevano le stesse idee. Fu un colpo di
fulmine artistico. Richards divenne da
subito il chitarrista del gruppo di cui
Jagger era allora il frontman, i Little Boy
Blue and the Blue Boys. Della acerba band
esiste anche un pugno di registrazioni tra
cui una versione di La Bamba in cui Jagger
inciampa sullo spagnolo. Ma i Blue Boys
erano destinati a una vita breve. Mick e
Keith incontrarono Brian Jones e Ian
Stewart, e il 12 luglio 1962 al Marquee club
di Londra si tenne il primo concerto dei
Rolling Stones. Il duo di amici fraterni si
troverà negli anni anche un soprannome.
Nel dicembre 1968 durante una vacanza
in barca in Brasile con le rispettive
fidanzate, Marianne Faithfull e Anita
Pallenberg, incontrarono un’anziana
coppia inglese che chiese loro chi fossero.
Mick e Keith non vollero rivelare le loro
identità sfidando i due a riconoscerli. La
moglie chiese un aiutino e reclamò
insistentemente di darle un suggerimento,
ripetendo «Just give us a glimmer!». La
situazione divertì molto i due Stones
sorpresi da questa ritrovata anonimità.
Glimmer letteralmente vuol dire
«luccichio» e da quel momento i due
decisero di firmarsi nei dischi come i
Glimmer Twins. Da allora ci sono stati alti
e bassi, infiniti litigi e riconciliazioni, ma
gli Stones sono sempre sopravvissuti.
Richards è addirittura arrivato a denigrare
le dimensioni del pene di Mick nella sua
autobiografia Life. Jagger non l’ha presa
bene, ma quest’estate hanno festeggiato i
50 anni di carriera sul palco. E a Dartford
stanno preparando un monumento da
esporre sul binario 2 che ricordi per
sempre quell’incontro tra i due ragazzi
innamorati del blues.
di FRANCESCO ADINOLFI
Sta tutto in quell’anima di grafite, morbida, aspersa di cera. O magari in quella
ghiera dorata, compressa, da cui sbuca una gommina rosa per cancellare. Oppure è
quel nero a contrasto con l’oro. O forse è una perversa, affascinante combinazione
di «ingredienti» che rende la Blackwing 602 (foto) la regina delle matite. Per lei
impazzivano Vladimir Nabokov, John Steinbeck, Stephen Sondheim. Con lei
animava e disegnava Chuck Jones, il genio della serie animata Looney Tunes.
Invitato in tv dal presentatore Usa Charlie Rose, brandendo la Blackwing 602
(13)
sentenziò: «Una penna è piena di inchiostro, questa è piena di idee». La storia della
matita è triste e bizzarra. In produzione dal 1949, quando nel 1994 la Eberhard
Faber viene rilevata dalla Faber-Castell, in fabbrica si accorgono che il macchinario
che produceva la ghiera dorata era stato irrimediabilmente danneggiato. Si decise
dunque di bloccare la produzione e smaltire le scorte (durate fino al 1998). Nel
2010 la California Cedar Pencil Company ha rieditato la matita rinominandola
Palomino Blackwing; un anno dopo è seguita la Palomino Blackwing 602: ghiera
diversa, grafite più dura, colore esterno meno intenso. Insomma non più lo stesso
oggetto utilizzato anche Igor Stravinskij. Oggi una scatola da nove 602 originali
arriva a costare anche 250 dollari. E un blog interamente dedicato alla matita spiega
perché: http://blackwingpages.com/no-ordinary-pencil/
PAUL SIMON & ART GARFUNKEL
JACK & MEG WHITE
John Anthony Gillis era un aspirante musicista
con una piccola impresa di tappezzeria quando
una sera del 1994 andò a mangiarsi una bistecca
al bar Memphis Smoke di Royal Oak, poco fuori
Detroit. Qui incontrò la cameriera Meg White, si
conobbero e divennero ben presto una coppia.
Due anni dopo erano marito e moglie e fu
proprio John che decise di prendere il cognome
della moglie diventando Jack White. Meg non
era musicista, ma seguì la passione del marito e
iniziò ad accompagnarlo alla batteria, finché la
coppia decise di creare un duo musicale, i White
Stripes. Scelsero di mantenere le cose più
essenziali possibili: voce, batteria, chitarra.
Vollero inoltre di presentarsi al pubblico come
fratello e sorella e non come marito e moglie.
Un po’ per gioco un po’ per non sentirsi fare le
solite domande sulle coppie che suonano
insieme. Nel ’99 incisero il loro primo album
omonimo. «Quando vedi un duo e scopri che
sono fratello e sorella - spiegò Jack - pensi
subito che ci sia qualcosa da scoprire. Sei più
interessato alla musica, non alla relazione
personale tra i due». Il pubblico li credeva
ancora fratello e sorella quando i due decisero
di divorziare nel marzo del 2000. Dopo il
divorzio rimasero una coppia artistica e
conquistarono il grande successo. La loro
avventura musicale si è conclusa ufficialmente
nel 2011.
Tutto cominciò con Alice nel paese
delle meraviglie. Nel 1953 Paul
Simon e Arthur Garfunkel erano
due ragazzini che frequentavano
una scuola media a Forest Hills nel
quartiere del Queens a New York.
La scuola decise di allestire una
rappresentazione teatrale della
fiaba di Lewis Carroll con gli
studenti come attori. A Simon finì
la parte del Bianconiglio a Art la
parte dello Stregatto. I due si
conobbero così e fra loro nacque
subito una fratellanza artistica.
«Artie aveva la miglior voce del
quartiere - ricordò Paul Simon - ci
innamorammo del rock’n’roll
quando a New York c’era solo una
radio che lo trasmetteva».
«Passavamo i pomeriggi insieme a
cantare - rievocò Art Garfunkel - e
ci inventavamo degli show musicali
radiofonici che incidevamo su un
registratore a nastri». Nel 1957
iniziarono a fare musica in modo
professionale. Non scelsero il nome
Stregatto e Bianconiglio, ma quasi,
e pubblicarono un disco come
Tom & Jerry riuscendo, ancora da
studenti, a mandare il 45 giri Hey
Schoolgirl in classifica. Ma il vero
successo era ancora lontano. Nel
1964 approdarono alla Columbia
dove pubblicarono il loro primo
album come Simon & Garfunkel.
L’anno dopo il singolo The Sound
of Silence li consacrò alla fama
mondiale. La loro amicizia però
sembra aver avuto più bassi che
alti. Il duo si separò nel 1970 in
maniera poco amichevole tra
reciproche invidie e recriminazioni.
Si riunirono nel 1981 per uno
storico concerto al Central Park.
Nel 1990 furono ammessi nella Hall
of Fame del rock e riuscirono a
punzecchiarsi anche alla
cerimonia. «Arthur e io non siamo
d’accordo quasi su niente» scherzò
Simon. Nonostante tutto nel 2003
erano ancora in tour insieme. «Alla
fine siamo come fratelli nei nostri
gusti musicali e nel nostro sense of
humor» spiegò Garfunkel.
SID VICIOUS & JOHNNY ROTTEN
STEVIE NICKS & LINDSEY BUCKINGHAM
Chi ha detto che i grandi amori debbano
durare per sempre? Stevie Nicks e Lindsey
Buckingham sono stati probabilmente la
coppia di amanti-rocker più celebre al
mondo e la fine della loro relazione è stata
l’ispirazione artistica di uno dei dischi
fondamentali degli anni Settanta. I due si
incontrarono per la prima volta al liceo.
Era il 1966. Lindsey stava cantando a una
festa e Stevie lo vide, ne rimase colpita. Si
misero a cantare insieme. «Stava
suonando California Dreamin’ - ha
ricordato la cantante - e io mi misi a
cantare con lui. Gli dissi “io sono Stevie”.
“Io sono Lindsey” rispose. Eravamo
entrambi fidanzati all’epoca, ma mi
innamorai di lui. Mi aveva catturata».
«Due anni dopo, io iniziai a cantare in un
gruppo, lui mi chiamò e mi chiese se
volevo far parte di una rock band. Allora
suonavo folk, ma accettai. Nel giro di
poche settimane aprivamo gli show di
Jefferson Airplane e Janis Joplin». Ormai
erano diventati una coppia fissa e la loro
band si chiamava i Fritz, ma ebbe vita
breve. Nel 1973 arrivò però il loro primo
album come duo. Si intitolava
Buckingham Nicks e loro appaiono
romanticamente insieme sulla copertina
che li ritrae nudi. Due anni dopo
entrarono nei Fleetwood Mac, un gruppo
blues rock inglese che sembrava ormai sul
viale del tramonto e che aveva già nove
album alle spalle. Con Stevie e Lindsey la
band rinacque. L’album Fleetwood Mac
del ’75 vendette 5 milioni di copie negli
Stati Uniti e li consacrò come star assolute.
Ma il successo li travolse, tra Stevie e
Lindsey le cose iniziarono ad andare male.
Nel 1976 si lasciarono e l’amarezza della
loro separazione confluì nelle canzoni del
nuovo album dei Fleetwood Mac,
Rumours. La crisi personale fu la loro
fortuna artistica. Il disco venne pubblicato
nel febbraio del 1977 e da allora ha
venduto più di 40 milioni di copie nel
mondo. Stevie Nicks e Lindsey
Buckingham hanno continuato a suonare
insieme per anni. I Fleetwood Mac si sono
sciolti e riformati più volte e quest’anno
sono ancora in tour insieme. La relazione
amorosa si è interrotta, ma l’intesa no.
«Quel folle legame elettrizzante tra noi
non è mai morto, non morirà mai. Non
andrà mai via - ha spiegato in diverse
occasioni Stevie -. Lindsey è sposato, è
felice, ha tre figli. Ha trovato un posto
sicuro. Ma quello che siamo uno per l’altra
non cambierà mai. È finita, l’amore in
qualche modo è rimasto, ma non siamo
stati più insieme e non lo saremo più. E
questo è forse anche più romantico».
Simon Ritchie nacque nel maggio del 1957, figlio di Anne Beverley una
donna single che amava vivere da hippie. Per un certo periodo il ragazzo
visse a Ibiza, dove la madre viveva spacciando marijuana. Tornati in
Inghilterra, Anne iniziò a usare droghe pesanti e la famiglia dovette vivere
con l’assistenza dei servizi sociali. Dopo una serie infinita di lavoretti
della madre e di traslochi, il giovane Simon si trovò a Hackney, quartiere
nord-est di Londra, e venne iscritto a un liceo artistico statale. Lì conobbe
John Lydon. I due divennero inseparabili. Ritchie all’epoca era un fan
sfegatato del glam rock, seguiva David Bowie e i Roxy Music, adorava i T.
Rex ed era un maniaco della moda, amava vestirsi come i suoi idoli a
costo di sembrare goffo ed effeminato. Lui e Lydon decisero ben presto
che la scuola non era fatta per loro e la abbandonarono. Trascorrevano le
giornate in King’s Road fuori dal negozio più glam di Londra, Sex, la
boutique di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Le notti le
passavano in case occupate nell’area di Hampstead, strimpellando
musica per strada per racimolare qualche spicciolo. «Gli altri squatter ci
odiavano per come vestivamo - ricorderà John Lydon -. Decidemmo di
adeguarci e io gli tagliai i capelli a ciuffi, così a caso. L’idea era quella di
non avere nessuno stile particolare». Fu anche così che nacque il punk.
Lydon iniziò a chiamare Ritchie con lo stesso nome con cui aveva
chiamato un suo criceto, Sid Vicious. Nel 1975 Lydon era diventato parte
dei Sex Pistols, nati sotto l’egida di Malcolm McLaren, e anche a lui verrà
affibbiato un soprannome, Johnny Rotten, «il marcio», un appellativo
scelto dal chitarrista della band Steve Jones a quanto pare per i denti non
in perfetta salute del ragazzo. Sid andava a tutti i concerti dei Pistols ed
era ormai parte dello spettacolo, ballava come un pazzo, si dimenava,
saliva sul palco e si buttava addosso agli spettatori. Quando Glen
Matlock, il bassista, nel febbraio del ’77 lasciò il gruppo, Sid prese il suo
posto. Divenne l’immagine più riconoscibile della rivoluzione punk. Ma
era fuori controllo e la sua vita finì in tragedia due anni dopo, quando
uccise la fidanzata Nancy prima di togliersi la vita. Certi legami sono più
forti della follia e del sangue e John Lydon lo ricorderà sempre come il
ragazzo di cui fu amico per la pelle: «Tutti lo ricordano con il personaggio
che interpretava - ha detto - non come la persona reale che era».
(14)
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
RITMI
Hailé Selassié, il fuoco e la piazza
di Vernasca sono gli elementi del progetto
di Simone Trabucchi e Simone Bertuzzi
di SERENA VALIETTI
«Quando da ragazzino mia nonna
mi vedeva spettinato o vestito un
po' trasandato mi diceva “sistemati
che sembri un Negus!”», una parola
che per un'anziana signora di un
paesino aggrappato all'Appennino
piacentino identificava un
personaggio istrionico, bizzarro,
anche un po’ repellente. Di quel
termine radicato nel vocabolario
del posto, che significava
imperatore in etiope, non certo
reietto, era rimasto a galla solo un
significato attribuito, mentre il
contesto legato a quell'espressione
era andato totalmente a fondo.
Ottant'anni dopo quel termine
riaffiora e diventa la linea guida
dell'ultimo progetto di Simone
Trabucchi e Simone Bertuzzi, che
dal 2003 come Invernomuto
portano avanti un percorso
fortemente radicato tra sottoculture
e musica, che si allarga a
immaginari collettivi molto
differenti tra loro, analizzandone
simboli e codici. Simone, uno o
entrambi, è quel ragazzino
spettinato, un Negus nel suo non
essere riconosciuto della nonna in
funzione della sua alterità
sottoculturale, unito nella sua
diversità a quello che gli abitanti di
un piccolo centro italiano degli
anni Trenta percepivano l'esotismo
quasi caricaturale dell'Imperatore
di Etiopia, Hailé Selassié. Negus è il
titolo del progetto di Invernomuto,
che partendo da Vernasca indaga
questa figura, il cui fantoccio «è
stato bruciato in una festa nella
piazza del paese per celebrare un
soldato ferito rientrato dalla guerra
etiope - racconta il duo
Invernomuto -. Una storia
sopravvissuta solo oralmente, che
per noi meritava di essere
raccontata, fissata perché riporta
alla luce gli episodi rimossi di
un'Italia coloniale e da cui allargarsi
a Etiopia e Giamaica, coinvolgendo
anche il re del dub Lee “Scracth”
Perry. La versione live del progetto
Negus, Echo Chamber, sarà
presentata in anteprima il 13
settembre nella sezione VerniXage
INTERVISTA ■ IL 13 SETTEMBRE DAL VIVO AL MILANO FILM FESTIVAL
Reggae al rogo.
Il Negus secondo
Invernomuto
dedicata al rapporto tra cinema e
videoarte del Milano Film Festival,
dove i fotogrammi del lavoro di
Invernomuto saranno sonorizzati
dai due Simone in versione selecter,
che proporranno una colonna
sonora diffusa dal Prince Healer
sound system.
«Muovendosi tra sottoculture e
musica prima o poi è stato
inevitabile incontrare il reggae. Il
passo successivo è stato cominciare
a lavorare sul contesto, utilizzando
la musica come lente per studiare
un territorio spesso molto vicino a
noi: abbiamo fatto un lavoro che
partendo dal black metal norvegese
finiva a concentrarsi sul
ritrovamento di un fossile nel
piacentino (Whalesland, ndr).
Questo vale anche per il reggae: lo
shock è stato scoprire che il
fantoccio dell'icona del
rastafarianesimo era stato bruciato
nella piazza sotto casa, a quel
punto raccontare la storia è
diventato necessario; per farlo
abbiamo scelto un approccio
performativo e pensato a un rito di
purificazione della piazza, teatro
del rogo».
Il primo studio di Negus viene
In queste immagini alcuni momenti
della performance «Negus»
di Invernomuto, con Lee «Scratch» Perry
(anche qui accanto) nei panni di Hailé
Selassié (foto di Moira Ricci)
presentato nel 2011 al Padiglione
d'Arte Contemporanea di Ferrara,
dove Invernomuto realizza
un'installazione contenente gli
elementi base del progetto, Hailé
Selassié, il fuoco e la piazza di
Vernasca. «Da qui abbiamo
sviluppato la prima versione del
video, Negus-Duppy Conquerors, in
cui abbiamo allestito una
scenografia con un fuoco centrale,
un gigantesco sound system e
incluso anche il monumento ai
caduti. Mio fratello e alcuni amici
rappresentavano i guardiani, che
dovevano tenere lontani i fantasmi
(duppy in patois giamaicano, ndr)
assumendo la posa del leone in cui
si metteva durante i suoi set lo
storico producer Jah Shaka». Con
questo video Invernomuto è stato
nominato da Filipa Ramos e Elena
Filipovic tra i cinque finalisti del
Premio Furla di arte
contemporanea, il tema 2013 era
proprio il fuoco, Add Fire. «Fire! Fire!
Fire! continuerà a urlare anche Lee
“Scratch” Perry nella piazza di
Vernasca, mixando altre parole
rituali in una sorta di freestyle
facendo partire guizzi di fuoco
catartici, innocui rispetto alle
fiamme con cui bruciò il suo studio
di Kingston. Pur essendo un
personaggio molto controverso,
“The Upsetter” in questo caso ha
sposato subito il senso del progetto,
calandosi nel ruolo del maestro di
cerimonia del rito di purificazione
del posto dal rogo di decenni prima.
Quel fatto ha subito una rimozione
fortissima da parte degli abitanti di
Vernasca, che quasi non ricordano
più nulla, come al margine della
nostra storia nazionale è stata
lasciata la questione coloniale
etiope. Una rimozione parziale è
avvenuta anche in Africa: oggi
Selassié è amato da molti e si scorda
l'attentato fallimentare contro di lui
da parte degli studenti del paese
sull'onda del maggio francese».
Le distanze tra Vernasca e Addis
Abeba per gli Invernomuto si
accorciano ulteriormente grazie alla
piattaforma di crowdfunding
Indiegogo, con cui il duo ha raccolto
i fondi per portare Lee «Scratch»
Perry in Italia: «Tra i donatori c'era
anche il direttore del festival Novara
Jazz Corrado Beldì, che dopo un
viaggio in Etiopia era rimasto in
contatto con Alessandro Ruggeri
dell'Istituto italiano di Cultura della
capitale, dove siamo stati ospiti per
una breve residenza». Da Addis
Abeba ci siamo mossi lungo i
tracciati in cui il mito trasfigura la
storia di Selassié, venerato come il
Messia Nero dai rastafariani, a cui
decise di concedere un ampio
appezzamento in Etiopia perché
questi potessero ritornare alle
origini. «Abbiamo visitato la
comunità rasta di Shashamane, un
ghetto autoproclamato: un luogo
che da Kingston sembrava un
paradiso, si è rivelato un compound
di lamiere e baracche. Una
contraddizione pazzesca che ritorna
in una Giamaica ormai lontana da
quella di Marley, ma del gangsta
ragga di Vybz Kartel, che non smette
richiamare il mito del back to Zion;
il punto è che i giovani etiopi che lo
cantano a Zion ci stanno già, ma
vivono di merda comunque».
Nonostante tutto l'utopia ideale
resta più forte della realtà dei fatti.
«L'artificio è il motore per una più
ampia analisi della rampante e
quotidiana fiction che siede quieta
sotto la superficie della vita
contemporanea» scriveranno
Ramos e Filipovic riguardo al lavoro
di Invernomuto, nato «scavando
nella vicenda del Negus e
assemblando i materiali visivi
secondo una modalità tipica del
reggae, il versioning, che da
un'unica base genera differenti
versioni di una canzone». Base del
progetto è la piazza del rogo, spazio
di definizione di un'identità
collettiva, rinforzata dalla valenza
simbolica dei monumenti: «Da
quello ai Caduti di Vernasca, a
quelli di Addis Abeba dedicati a
Selassié, sottratti dagli invasori
come trofei». La rimozione dei
memoriali, l'esodo dei rasta e le
correnti sommerse della musica
confluiscono nel nucleo mobile di
Invernomuto, insieme alle ricerche
personali dei due: Simone Bertuzzi
con Palm Wine, un progetto nato
nel 2009 come evoluzione della sua
tesi sulle transculture del suono e
Simone Trabucchi attivo con
l'etichetta di ricerca Hundebiss e
l'alias Dracula Lewis. Due
esperienze che andando oltre l'arte
ne rientrano attraverso l'approccio
plurale e trasversale di
Invernomuto, «un'operazione in cui
gli immaginari legati a questi
mondi, uniti ad altri contesti,
vengono fatti collassare insieme e
codici dati per assodati si
scardinano, generando una
narrazione polifonica e in continua
mutazione e migrazione».
ALIAS
7 SETTEMBRE 2013
(15)
ULTRASUONATI DA
STEFANO CRIPPA
VIOLA DE SOTO
GIANLUCA DIANA
GUIDO FESTINESE
GUIDO MICHELONE
ROBERTO PECIOLA
NEW ORLEANS
Basin Street, label
per tradizione
Iperattività per una delle storiche
etichette di Nowlins, la Basin Street
Records. Si parte con Theresa
Andersson: svedese naturalizzata
statunitense di casa a New Orleans. La
one-woman band con Street Parade
incide il suo miglior disco. L'ottima
cantante e polistrumentista che qui si
avvale di una band effettiva, firma undici
brani autografi vicini al folk pop
scandinavo. Solo apparenza: ovunque
trovate metriche e ritmiche di Nola,
frammentate e riscostruite con tanto
gusto. Scopritele con Fiya's Gone e What
Comes Next. Spazio anche a Kermit
Ruffins, che pubblica We Partyin'
Traditional Style!, il quale chiaramente
non contiene nulla di nuovo. Di contro
se si vuole ascoltare l'anima musicale
tradizionale della città, lui è davvero il
miglior rappresentante contemporaneo,
vedasi Exactly Like You e Treme Second
Line. Finale con Davell Crawford e il
suo My Gift to You. Finalmente una
produzione in studio degna delle sue
performance live. Tradizione, jazz
pop e una maestria indiscussa al
pianoforte. Alla storia: Creole Man e
River. Bravo. (Gianluca Diana)
ON THE ROAD
David Byrne & St.
Vincent
L'incontro tra l'ex leader dei Talking
Heads e la talentuosa cantante e autrice
statunitense ha portato a un apprezzato
lavoro discografico, Love This Giants, e a
un nuovo ep dal titolo Brass Tactics.
Gardone Riviera (Bs) LUNEDI'
9 SETTEMBRE (ANFITEATRO VITTORIALE)
Padova MARTEDI' 10 SETTEMBRE (GRAN
TEATRO GEOX)
Roma MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE
(AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)
Firenze GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (TEATRO
VERDI)
Beach Fossils
Direttamente dalla scena noise pop di
New York.
Modena MARTEDI' 10 SETTEMBRE
(EX OSPEDALE SANT'AGOSTINO)
Roma MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (CIRCOLO
DEGLI ARTISTI)
Padova GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (CASTELLO
CARRARESE)
Evan Lurie
L'ex leader dei Lounge Lizards è oggi un
apprezzato compositore di colonne
sonore.
Mantova SABATO 7 SETTTEMBRE (VIRGILIOFESTIVAL DELLA LETTERATURA)
Milano DOMENICA 8 SETTEMBRE (COX 18)
Vasto (Ch) GIOVEDI' 12 SETTEMBRE
(TEATRO ROSSETTI)
Napoli VENERDI' 13 SETTEMBRE (RIOT
STUDIO)
AA. VV.
VERVE REMIXED: THE FIRST LADIES (Verve/
Universal)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Certo, a sentire la voce di Ella
filtrata «swingare» sulle note di Cole
Porter (Too Darn Hot) ma con l'aggiunta
di beat, sample in quantità, si potrebbe
gridare a «lesa maestà». Ma il giochino
del remix trattato da specialisti del
genere (qui Irac, Kaskade, Bassnectar,
Carnage e Vicotr Niglio), non è affatto
da buttare. Ora tocca alle signore della
musica, c'è anche Nina Simone in un
oscuro e intrigante trattamento su
Don't Let me Be Misunderstood e la divina
Sarah (Vaughan) shakerata in Please Mr
Brown. Ma l'oscar va a una geniale
versione di I've Got You Under My Skin,
della carnale Dinah Washington. (s.cr.)
CEDRIC BURNSIDE PROJECT
HEAR ME WHEN I SAY (Cd Baby)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Altro disco a suo nome, altra
perla. Trenton Ayers diviene il sodale
d'elezione alla sei corde. Dopodiché,
immenso Cedric. Dodici brani dove
l'Hill-Country blues 2.1 risplende
totalmente. Non bastasse, il nostro,
oramai di casa a New Orleans, sugge
linfa da questa città. Ed è una bellezza
sentirlo sperimentare nuovi suoni. Le
perle: Wash My Hands, We Did It. Da
avere. E se incontrasse Trombone
Shorty al Tipitina's? Scintille! (g.di.)
EDITH A.U.F.N.
EDITH A.U.F.N. (Seahorse/Audioglobe)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Edith A.U.F.N. (acronimo di
Edith aveva un fondo nichilista) è un
quintetto abruzzese alle prese con
un'opera prima ben confezionata e
molto promettente, grazie anche alla
consapevolezza e sintonia acquisite nel
corso dei numerosi live in giro per la
penisola. Un omaggio al post rock intriso di pop - connotato da atmosfere
avvolgenti impreziosite da buone
capacità di scrittura. (v.d.s.)
DEAN MARTIN
SINGS ITALIAN FAVORITES (Jackpot)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Memore e fiero delle proprie
origini tricolori, mister Crocetti in
pieno rat pack incide Italian Love Songs
(1961) a nome Dino, con 12 melodie,
soprattutto napoletane, quasi sempre
cantante in inglese, di rado nell’originale
(con esiti spesso buffissimi di slang
italonewyorkese). Dean Martin, del
resto, tra il 1947 e il 1962, registra altre
17 «italian favorites», oggi qui riunite in
un cd storicamente importantissimo,
che palesa l’interesse diffuso fra i grandi
crooner verso un repertorio
eterogeneo, dalle tarantelle agli urlatori,
che sa americanizzare al punto giusto
tra kitsch, mambo, jazz, modernità e
hollywoodianesimo. (g.mic.)
IN USCITA A SETTEMBRE
AMERICANA
JAZZ
POP ROCK
La cavalcata
del piccolo Boss
Piano piano,
dolce Nikki Iles
Ombre inglesi
su Chicago
Tre dischi, tre modi per intendere la
«americana», quel fritto misto di
invenzione e tradizione elettrica che fa
sognare molti, e infastidisce (o annoia)
altrettanti. Difficile trovare mediazioni.
Prendete ad esempio American Ride (Blue
Rose/Ird) di Willie Nile: non c'è un solo
pezzo fuori posto, compresa una nobile
cover da Jim Carroll. Chitarre tirate a
lustro, una band complice, ballate
strappacuore e rock'n'roll come se stesse
arrivando la fine del mondo, per il
«piccolo Springsteeen» (che forse scrive
anche meglio del Boss). Se però il genere
non vi convince, non vi convincerà
neanche questo. Volete trovare un
seguito all'«americana» dei ringhiosi ZZ
Top? Allora ecco 7 Cities (Telarc/Egea) di
Moreland & Arbuckle: molto dello
spirito dei barbuti texani s'è travasato qui
con naturalezza. Barbe comprese.
Grande l'armonica di Dustin Arbuckle.
Latitudini più indie rock, e un percorso
«americano» ma che sta, fisicamente, tra
Inghilterra e Nuova Zelanda? Allora il
disco per voi è Time Stays, We Go (Pitch
Beast), pregiata ditta The Veils, qui alla
quarta e riuscita prova. Soddisfatti o
rimborsati. (Guido Festinese)
La Basho Records è una nuova jazz
label londinese, votata a produrre jazz
moderno nel solco delle tradizioni
boppistiche, praticamente sconosciuta
in Italia. Alcune recenti uscite sono poi
improntate all’arte del piano jazz trio a
cominciare da Hush della cinquantenne
ma giovanilissima Nikki Iles assieme
agli americani Rufus Reid e Jeff
Williams in una bella carrellata di sei
jazz standard e tre original alternati.
Anche lo svizzero Christoph Stiefel
in Live! con l’Inner Language Trio
(Thomas Lähans e Lionel Friedli)
obbedisce a una sorta di nuovo
mainstream, affidando però le linee
tematiche alla propria vena
compositiva in nove pezzi talvolta
introspettivi. Infine il progetto metà
britannico metà statunitense per
l’album The Impossible Gentlemen con
Gwilym Simcock (piano), Mike
Walker (chitarra) e i notissimi Steve
Swallow (basso) e Adam
Nussbaum (batteria) non è solo un
trio allargato, ma soprattutto il
tentativo di conferire ulteriore dignità
a una fusion profonda e raffinata.
(Guido Michelone)
Sembra strano che Chicago abbia dato i
natali a un gruppo come gli Smith
Westerns che, anche a dispetto del
nome scelto, guardano decisamente
all'Inghilterra, a quel sano pop rock
melodico che dai Beatles in poi ha
mietuto fan di tutte le generazioni.
Questo per dire che Soft Will (Mom+Pop/
Self) ha un sound le cui radici sono
fortemente inserite dalle parti della
Manica. Grazioso. Da quelle parti
arrivano invece i Kodaline, formazione
irlandese all'esordio con In a Perfect World
(Rca). Che i ragazzi cerchino di colmare il
buco lasciato dai Coldplay è evidente, ma
di un disco così banale se ne poteva fare
decisamente a meno. Canzoni alla ricerca
del ritornello cool & catchy che in
definitiva lasciano un senso di vuoto
agghiacciante. In quanto a pop rock
provano a dire di nuovo la loro gli
scozzesi Glasvegas. Dopo un secondo
album deludente si ripresentano con
Later... When the TV Turns to Static
(Wow/Bmg), un lavoro decisamente più
azzeccato. Echi di gruppi anni Ottanta
come Tears for Fears (Youngblood) e
atmosfere generalmente cupe (il che non
guasta). Ben tornati. (Roberto Peciola)
ENZO PIETROPAOLI QUARTET
YATRA VOL. 2 (Via Veneto Jazz)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Basta l'attacco trasognato e
insinuante di Lontano nell'anima a dare la
misura del valore di questa nuova opera
del contrabbassista e compositore di
origini liguri: una ballad che potrebbe
essere uscita dal canzoniere migliore di
Rava. La tromba tersa di Fulvio Sigurtà,
la batteria tutta ricami di Alessandro
Paternesi al servizio della musica. E
anche quando Pietropaoli si diverte a
citare (pop, classica ecc.) è un piccolo,
fresco capolavoro di equilibrio. (g.fe.)
WHITE LIES
BIG TV (Fiction/Coop Music)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Non abbiamo mai ritenuto i
White Lies un grandissimo gruppo, ma
il loro esordio, To Lose My Life era un
dischetto decisamente intrigante (meno
il successivo Ritual). Purtroppo però, a
un certo punto, i nodi vengono al
pettine, ed è difficile scioglierli senza
farsi del male. Big Tv è insignificante e
ricalca ancora una volta i suoni Eighties
(stavolta più sintetici che mai), in una
serie di brani raccogliticci, che non
sanno né di carne né di pesce. (r.pe.)
ALAN WILSON
THE BLIND OWL (Severn Records)
❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il «Gufo Cieco» del titolo era il
soprannome di Alan Wilson, leader dei
Canned Heat, forse il miglior gruppo
blues bianco americano. Gli anni tra il
1967 e il ’69, prima della sua misteriosa
morte (antologizzati in questo doppio
cd), sono i più creativi. Anni in cui le
composizioni, la voce, la chitarra,
l’armonica di Wilson contribuiscono a
rendere lo stile psichedelico, con una
ricerca sonora che lega rock, blues,
jump, boogie e molto altro. (g.mic.)
A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ
Junip
Hai paura del buio?
La band, che fa capo a José Gonzalez,
spazia tra psichedelia e folktronica.
Segrate (Mi) LUNEDI' 9 SETTEMBRE
Il progetto di Manuel Agnelli, dopo la
prima a Torino, sbarca nella capitale.
Sul palco, oltre agli Afterhours, si
alterneranno Il Teatro degli Orrori,
Niccolò Fabi, Dargen D'Amico, Enrico
Gabrielli, Rodrigo D'Erasmo e altri
musicisti della scena indie italiana.
Roma VENERDI' 13 SETTEMBRE (AUDITORIUM
(MAGNOLIA)
Crocodiles
L'indie pop rock della band di San
Diego, California.
Segrate (Mi) MARTEDI' 10 SETTEMBRE
(MAGNOLIA)
PARCO DELLA MUSICA)
Torino MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE (BLAH
MiTo
BLAH)
Al via la settima edizione del Festival
Internazionale della Musica che si
svolge tra Milano e Torino e raccoglie
artisti di varia estrazione. Per questa
settimana segnaliamo a Milano: lo
shoegaze dei canadesi Braids (stasera,
Teatro Out Off), il vocalist
afroamericano Dean Bowman con il
suo 5tet (domani, Piccolo Teatro
Studio Expo), Franco D'Andrea Sextet
con ospiti Dave Douglas e Han Bennink
(il 10, Teatro Manzoni), Luis Bacalov in
quartetto (l'11, Teatro Nuovo), Kyle
Hall dj set, Koreless e Mmoths live (il
12, Fabbrica del Vapore Cattedrale),
Gregory Porter Quintet (il 14, Blue
Note); a Torino: Dente, Daniele
Appino e Nada (stasera, Teatro
Colosseo), al grande pianista,
compositore e didatta meranese
Franco D’Andrea è dedicato un
importante spazio, oltre alla
performance del 10 a Milano, nel
capoluogo piemontese per domani
sono previsti un incontro pomeridiano
Roma GIOVEDI' 12 SETTEMBRE (BLACKOUT)
Padova VENERDI' 13 SETTEMBRE (LOOOP)
Marina di Ravenna (Ra) SABATO
14 SETTEMBRE (HANA-BI)
Built to Spill
Da quasi due decadi fanno parte del
mondo «alternative» made in Usa.
Segrate (Mi) GIOVEDI' 12 SETTEMBRE
(MAGNOLIA)
Roma VENERDI' 13 SETTEMBRE (BLACKOUT)
Capital Cities
Una data per il duo di Safe and Sound,
uno dei brani più suonati dell'estate
2013.
Milano MERCOLEDI' 11 SETTEMBRE
(MAGAZZINI GENERALI)
Paramore
Una data per la pop rock band
statunitense.
Bologna MARTEDI' 10 SETTEMBRE
(ESTRAGON)
(D’Andrea, Luca Bragalini e Luciano
Viotto), un doppio concerto per
solo-piano e vari organici con Han
Bennink, Daniele D’Agaro, Mauro
Ottolini, Dave Douglas, Andrea
Ayassot, Aldo Mella, Zeno De Rossi.
(Teatro Regio, ore 11, 17, e 21); Duetti
per due violini di Luciano Berio (il 10,
Conservatorio Giuseppe Verdi, ore
17), Quintetto Architorti (il 10, Teatro
Astra), il fisarmonicista Simone
Zanchini in solo (l'11, Officine Caos), Il
fantasma dell'opera con F. Magnelli, G.
Maroccolo, M. Zamboni e F. Ner (il 13,
Cinema Massimo), Irio De Paula &
Massimo Faraò Quintet (il 14, Teatro
Agnelli), Yann Tiersen con Lionel
Laquerrière e Thomas Poli (il 14,
Teatro Colosseo). Per il programma
completo: mitosettembremusica.it.
Milano e Torino DA SABATO 7
A SABATO 14 SETTEMBRE (VARIE SEDI)
Jazzit Fest
Ultime due giornate per la prima
edizione dell’innovativa rassegna. I
recital iniziano dal pomeriggio e vanno
avanti fino a tardi; tra gli altri il
cartellone propone Quartetto Ibrido
Hot X, Nicola Mingo New Bop 4tet,
Walter Beltrami, Kekko Fornarelli/
Roberto Cherillo, Pasquale Innarella
4tet, Eugenio Macchia Trio, Giorgio
Distante Rav, Amato Jazz Trio, Renzo
Ruggieri solo, Rosario Di Rosa &
Contemporary Kitchen, Eskimo Jazz
Band diretta da Fabio Morgera, Roy
Panebiando Soulside.
Collescipoli (Tr) SABATO 7
E DOMENICA 8 SETTEMBRE (VARIE SEDI)
Talos Festival
La manifestazione pugliese sotto,
direzione artistica di Pino Minafra,
prosegue l’anteprima con il
fisarmonicista Giorgio Albanese,
l’orchestra MusicaInGioco-MomArt, la
Fanfara del Comando Scuole
dell’Aeronautica Militare, la Banda del
Conservatorio Nino Rota di Monopoli,
la Big Band del Conservatorio Duni di
Matera, guidata da Giacomo Desiante. Il
festival prevede i recital del duo Gianni
Coscia/Gianluigi Trovesi, Moni Ovadia,
Javier Girotto/ Luciano Biondini,
MinAfric Orchestra con i Faraualla,
Vincenzo Deluci e Novum Gaudium, il
duo Gabriele Mirabassi/Roberto Taufic,
Kocani Orkestar, oltre a svariati eventi
collaterali.
Ruvo di Puglia (Ba) DA DOMENICA 8
A SABATO 14 SETTEMBRE (VARIE SEDI)
Parco della Musica
In attesa del festival dedicato al Brasile
(a partire dal 15), la struttura capitolina
propone Laura Lala e Sade Mangiaricina
(presentano il cd ...Anche le briciole
hanno un sapore in quartetto con
l’orchestra d’archi Bim), Natalio
Mangalavite e Martin Bruhn-Radio Trio
per la rassegna «Jammin’ 2013».
Roma MERCOLEDI' 11 E GIOVEDI' 12
SETTEMBRE (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)
65daysofstatic Wild Light (SuperBall/
Universal)
Antiplastic Not for Sale (Elastica)
Arctic Monkeys AM (Domino/Self)
Au Revoir Simone Move in Spectrums
(Moshi Moshi/Coop Music)
Julianna Barwick Nephente (Dead
Oceans/Goodfellas)
Willis Earl Beal Nobody Knows (Xl/
Self)
Burning House Walking into a Burning
House (Naïve/Self)
Caged Animals The Land of Giants
(Lucky Number/Coop Music)
Califone Stitches (Dead Oceans/
Goodfellas)
Neko Case The Worse Things Get, The
Harder I Fight... (Anti-Epitaph/Self)
Cloud Control Dream Cave (PiasInfectious/Self)
Julian Cope Revolutionary Suicide (Head
Heritage/Goodfellas)
Crystal Stilts Nature Noir (Sacred
Bones/Goodfellas)
Giorgia Del Mese Di cosa parliamo
(Radici Music/Egea)
Delorean Apar (True Panther/Self)
Factory Floor & Also with You (Dfa/
Coop Music)
Maria Forte Carne (Autoprod.)
Umberto Maria Giardini Ognuno di
noi è un po' anticristo ep (Woodworm/
Audioglobe)
Girls in Hawaii Everest (Naïve/Self)
God Is an Astronaut Origins (Revive)
Goldfrapp Tales of Us (Mute/Self)
Gov't Mule Shout! (Edel)
Green Like July Build a Fire
(La Tempesta International)
Larry Gus Years not Living (Pias-Coop/
Self)
Roy Harper Man and Myth (Bella
Union/Coop Music)
His Electro Blue Voice Ruthless
Sperm (Sub Pop/Audioglobe)
Hookworms Pearl Mystic (Domino/
Self)
Jacuzzi Boys s/t (Hardly Art/
Audioglobe)
Julie's Haircut Asram Equinox
(Woodworm/Audioglobe)
Katatonia Dethroned and Uncrowned
(Kscope/Audioglobe)
Mark Lanegan Imitations (Heavenly/
Coop Music)
Jonny Lang Fight for My Soul (Edel)
Lanterns on the Lake Until the
Colours Run (Bella Union/Coop Music)
Momo Said Spirit (Tam Tam Studio/
Audioglobe)
Nightmares on Wax Feelin' Good
(Warp/Self)
Nine Inch Nails Hesitation Marks
(Polydor/Universal)
No Age An Object (Sub Pop/
Audioglobe)
Obits Bed & Bugs (Sub Pop/
Audioglobe)
Okkervill River The Sylver Gymnasium
(Ato/Coop Music)
Out Cold Invasion of Love (Pias-Coop/
Self)
Pink Martini Get Happy! (Naïve/Self)
PINS Girls Like Us (Bella Union/Coop
Music)
Robert Pollard Honey Locust Honky
Tonk (Fire/Goodfellas)
Porcelain Raft Permanent Signal
(Secretly Canadian/Goodfellas)
Satellites 02 (Cooking Vinyl/Self)
Sebadoh Defend Yourself (Domino/
Self)
Rev Rev Rev s/t (Autopr./The
Orchard)
The Rides Can't Get Enough (Edel)
Summer Camp s/t (Moshi Moshi/
Coop Music)
Superchunk I Hate Music (Merge/
Goodfellas)
Emiliana Torrini Tookah (Rough
Trade/Self)
Travis Where You Stand (Red
Telephone Box)
Ulver Messe (Kscope/Audioglobe)
Volcano Choir Repave (Jagjaguwar/
Goodfellas)
Yo'true Wild Rice (Rogues/Audioglobe)
Watain The Wild Hunt (Century
Media/Universal)
Willard Grant Conspiracy Ghost
Republic (Loose/Goodfellas)
Wresteldabearonce Late for Nothing
(Century Media/Universal)
Zola Jesus/JG Thirwell/Mivos Q
Versions (Sacred Bones/Goodfellas)
18.00 Lezioni magistrali
Salvatore Natoli
Amore e amicizia
Piazza Grande
Carpi
10.00 La lezione dei Classici
Sossio Giametta
Il mondo come volontà e come
rappresentazione di Schopenhauer
Piazza XX settembre
10.00-22.00
Specchio delle mie brame
Laboratorio di self-love
A cura di: Idee in circolo, Insieme
a noi, Social Point, Tric e Trac
e con D. Sarti e Teatro dei Venti
Cortile Santa Chiara
11.30 La lezione dei Classici
Giovanni Reale
Simposio di Platone
Piazza Grande
15.00 Lezioni magistrali
Roberto Esposito
Il ritorno delle emozioni
Piazza XX settembre
15.00-20.00
Attrazioni fatali
Legami invisibili
che danno forma all’universo
Laboratorio di esperimenti
A cura di: UniMoRe, Biblioteca Delfini,
Associazione inco.scienza
Palazzo Santa Margherita
Biblioteca Delfini
16.00
L’Abbazia Benedettina di San Pietro
Visite guidate
A cura di: FAI - Fondo Ambiente Italiano
Delegazione di Modena
Abbazia di San Pietro
16.30 Lezioni magistrali
Remo Bodei
Attrazioni fatali
Piazza Grande
18.00 Lezioni magistrali
Michel Maffesoli
Homo eroticus
Piazza Grande Ω
19.30; 20.30
Music Town
Canzoni da appuntamento
A cura di: Assessorato allo Sviluppo
economico e Centro Musica
del Comune di Modena
Centro storico
20.30
Alberto Morsiani
Paesaggi mobili
Desiderio e paura nel road movie
A seguire:
L’occhio il cuore il motore
Una rassegna di road movies
tra le auto del MEF
A cura di: A. Morsiani
21.15; 23.00
Strada a doppia corsia
di M. Hellman (Usa 1971, 101’)
Just like a woman
di R. Bouchareb (Gb/Francia/Usa 2012,
84’, prima visione)
A cura di: Associazione Circuito Cinema
MEF - Museo Casa Enzo Ferrari
21.00
Don Giovanni Trionfante
(Mozart / Kierkegaard)
A cura di: Euphonia
Vincitore di: Prime Visioni
Produzione: FCRMO e ERT
Regia: P. V. Montanari
Con: Orchestra Euphonia
e Progetto Danza
Direttore: G. Paganelli
Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”
21.00
Ermanno Cavazzoni
Il tormento della gelosia
Lettura da Il serpente di Luigi Malerba
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
21.00
Associazione Culturale STED
O.D.I. Otello Desdemona Iago
Di: T. Contartese
Con: T. Contartese, M. Marzaioli,
M. Pietrangelo
TeTe - Teatro Tempio
21.30 Lezioni magistrali
Massimo Gramellini
La biblioteca di Eros
Piazza Grande
22.30
Love Lennon and Roll
Commentano: E. Gentile,
M. Pierini, A. Taormina
A cura di: Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
22.30
Sam Paglia
La seduzione: vengo a prenderti stasera
Concerto
A cura di: Sun Agostino
Ex Ospedale Sant’Agostino
Cortile Berengario
24.00
The BeaTops
Beatles acoustic covers
A cura di: Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
19.30; 20.00
Riccardo Buscarini/Tir Danza Modena
HOme
Casa è il tuo cuore
Performance di danza urbana
Realizzazione: Tir Danza Modena
Piazza Mazzini
10.00 La lezione dei Classici
Eugenio Lecaldano
Teoria dei sentimenti morali
di Smith
Piazzale Re Astolfo
11.30 La lezione dei Classici
Virgilio Melchiorre
Diario del seduttore di Kierkegaard
Piazzale Re Astolfo
15.00 La lezione dei Classici
Massimo Recalcati
Seminari di Lacan
Piazzale Re Astolfo
16.30 Lezioni magistrali
Marco Santagata
Donna Angelicata
Angiole sposate: la sublimazione
dell’adulterio nella poesia medievale
Piazza Martiri
18.00 Lezioni magistrali
Fernando Ferroni
Stavros Katsanevas
Il sentimento del Bosone
Come le passioni attraversano
la ricerca scientifica
Conduce: M. Cattaneo
Piazza Martiri Ω
21.30
Roberto Vecchioni
Chiamalo ancora amore
Narrazioni e canzoni
Piazza Martiri
sabato14
10.00 Lezioni magistrali
Cristina Bianchetti
Spazi di condivisione
Una nuova città?
Piazza XX settembre
10.00-24.00
Specchio delle mie brame
Replica da ven 13
11.30 Lezioni magistrali
Stefano Rodotà
Diritto d’amore
Piazza Grande
15.00 Lezioni magistrali
Michela Marzano
La fedeltà
e altri segreti dell’amore
Piazza XX settembre
15.00-18.00
Giulia Niccolai
Amore illimitato
Conduce: C. A. Sitta
Laboratorio di poesia
15.00-20.00
Attrazioni fatali
Replica da ven 13
16.00-18.00
Il segretario galante
Come scrivere una lettera d’amore
di sicuro successo
Curatore: E. Bergonzini
A cura di: Museo della Figurina
Palazzo Santa Margherita
Museo della Figurina
16.00
L’Abbazia Benedettina
di San Pietro
Visite guidate
Replica da ven 13
16.30 Lezioni magistrali
Marc Augé
La solitudine degli amanti
Piazza Grande
In italiano
per amori gagliardi
20.30 Lezioni magistrali
Marco Vozza
Fantasmi d’amore
Piazza XX settembre
20.30; 22.30
L’occhio il cuore il motore
Holy motors
di L. Carax (Francia/Germania 2012,
110’, prima visione)
La patente
di A. Palazzi (Italia 2012, 86’, prima
visione)
A cura di: Associazione Circuito
Cinema
MEF - Museo Casa Enzo Ferrari
21.00
Patrizia Valduga
Reading di poesie
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
21.00
Senza cuore
Di: E. Bellei
Regia: S. Vercelli
Con: M. Siti e S. Vercelli
Fisarmonica: A. Palumbo
Sassofono: M. Visconti Prasca
Visualizzazioni: M. Terzi e J. de Caire
Taylor
A cura di: Cgil Modena e Arci Modena
Con: Centro stranieri e Casa contro
la violenza alle donne di Modena
Piazza Pomposa
21.00
Il banchetto di Eros
Lettura teatrale dal Simposio di
Platone
Regia: G. Incerti
Con: G. Incerti, M. Bertarini,
P. Pagliani, L. D’Agruma
Arpa: A. Mahè
Ex Caserma Sant’Eufemia
21.00
Togetherness
Menzione Speciale di Short on work
Corti sul lavoro
A cura di: Fondazione Marco Biagi
Cinema Astra
21.00
Candelabrum
Cerimonia dell’ardore
Installazione: C. M. Morsiani,
M. la Roi
Danzatori: E. di Terlizzi, F. Manenti
Produzione: IABLU srl
Abbazia di San Pietro - Sagrato
22.00
Vinicio Capossela
Ensemble Micrologus
Bestiario d’amore
Reading musicato da Li bestiaires
d’amours
di Richart de Fournival (sec. XIII)
Piazza Grande
22.00
Billy Bogus
La passione: wicked games
Live set
A cura di: Sun Agostino
Ex Ospedale Sant’Agostino
Cortile Berengario
22.30
Come ho vinto la guerra
di R. Lester (UK, 1967, 109’)
A cura di: Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
23.30
Daniele Baldelli
La passione: vampe sensuali
Live set
A cura di: Sun Agostino
Ex Ospedale Sant’Agostino
Cortile Berengario
24.00
Francesco Roccaforte
Make love not war
Dj-set
A cura di: Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita - Chiostro
domenica15
10.00 Lezioni magistrali
Anne Dufourmantelle
Psicosofia
Tra desiderio e stordimento
Piazza XX settembre Ω
10.00-13.00
Specchio delle mie brame
Replica da ven 13
11.30 Lezioni magistrali
Umberto Galimberti
Possessione
Lectio Rotary
Piazza Grande
15.00 Lezioni magistrali
Eva Illouz
Perché l’amore fa male
Piazza Grande Ω
15.00-20.00
Attrazioni fatali
Replica da ven 13
16.00-18.00
Il segretario galante
Replica da sab 14
16.00
L’Abbazia Benedettina di San Pietro
Visite guidate
Replica da ven 13
16.30 Lezioni magistrali
Franco La Cecla
Il campo maschile
Piazza Grande
18.00 Lezioni magistrali
Stefano Zamagni
Ha l’amore uno spazio in economia?
Piazza Grande
20.00
I Camillas
Il congedo: se mi lasci non vale
Concerto
A cura di: Sun Agostino
Ex Ospedale Sant’Agostino
Cortile Berengario
21.00
Mogol
Le parole per dirlo
50 anni di canzoni d’amore
Conduce: R. Alperoli
Piazza Grande
21.00
Viva Verdj
Arie verdiane, improvvisazioni jazz,
acquerelli, lettere e letture
A cura di: Fondazione GMI - sede di
Modena
Chiesa di San Carlo
21.00
Il banchetto di Eros
Replica da sab 14
venerdì13
sabato14
10.00 Lezioni magistrali
Elena Pulcini
Prendersi cura:
per amore o per dovere?
Piazzale Re Astolfo
11.30 Lezioni magistrali
Pier Paolo Portinaro
Riconciliazione
Dopo i giorni dell’odio,
la riconciliazione
Piazzale Re Astolfo
22.00
Roberto Gatto Quintet
A love supreme
Da Miles Davis a John Coltrane
Batteria: R. Gatto
Piano: R. Tarenzi
Contrabbasso: L. Bulgarelli
Tromba: D. Rubino
Sassofono: M. Ionata
Piazza Martiri
23.30
Angela Baraldi, Corrado Nuccini,
Emanuele Reverberi
Toxic love
Riletture da Velvet Underground,
Lou Reed, Nico
A cura di: Cookies Kitchen&Bar,
Mattatoio Culture Club
Piazzale Re Astolfo
Cortile di Levante
00.30
His Clancyness
Lust for life: Iggy&Ziggy in Berlin
Riletture di brani dal periodo
berlinese del Duca bianco
A cura di: Mattatoio Culture Club
Circolo Culturale Mattatoio
00.30
Philippe Taverio Disc Jockey
Automatic lover
Dj-set
A cura di: Cookies Kitchen&Bar
Cookies Kitchen&Bar
01.30
Ferruccio/Cut
Let’s spend the night together
Dj-set
A cura di: Mattatoio Culture Club
Circolo Culturale Mattatoio
domenica15
10.00 Lezioni magistrali
Piero Coda
Trinità
Una grammatica dell’amore
Piazzale Re Astolfo
11.30 Lezioni magistrali
Roberta de Monticelli
Rinnovamento del cuore
Piazza Martiri
20.30
Emilio Rentocchini
Del perfetto amore
Reading poetico con
accompagnamento musicale
Fisarmonica: C. Ughetti
A cura di: Biblioteca Comunale
N. Cionini
Biblioteca Comunale N. Cionini
21.30 Lezioni magistrali
Philippe Daverio
Amor sacro e Amor profano
Piazza Garibaldi
sabato14
10.00 Lezioni magistrali
Gabriella Turnaturi
Legami, relazioni e tradimenti
Piazzale Avanzini
11.30 Lezioni magistrali
Luc Ferry
Matrimonio d’amore
Piazza Garibaldi Ω
15.00 La lezione dei Classici
Mario Galzigna
Storia della sessualità di Foucault
Piazzale Avanzini
16.30 Lezioni magistrali
Massimo Cacciari
Philo-sophia
Piazza Garibaldi
18.00 Lezioni magistrali
Remo Bodei
L’amore come passione
Piazza Garibaldi
per amori gagliardi
20.30 Lezioni magistrali
Maura Franchi
Internet love
Piazzale Avanzini
22.00
Alessandro D’Avenia
Love Beginners
Per un’educazione sentimentale
Piazza Garibaldi
Fagiolino ambasciatór d’amore
Spettacolo di burattini
A cura di: Compagnia di burattini
della tradizione “Alessandro Barberini”
Palazzo dei Musei
[sab 17.30]
L’elisir d’amore Vaporotti
Di: Burattini della Commedia
e Compagnia Lirica di Milano
A cura di: Museo Civico d’Arte
Piazza Sant’Agostino
[sab 21.30]
La Bottega del sarto
Bramare non è voce del verbo amare
Spettacolo di teatro-danza
per bambini dai 4 anni
Di e con: E. di Terlizzi,
F. Manenti, D. Pignatti
A cura di: Bàbu Teatro Danza
con Artisti Associati Sosta Palmizi 2013
Palazzo Santa Margherita
Biblioteca Delfini
[dom 11.00 e 16.00]
Messer Filippo e il drago Magalasso
Spettacolo di burattini
Di: Burattini dell’Ocarina Bianca
Palazzo dei Musei
[dom 17.30]
carpiragazzi
Il laboratorio dell’Aggiustacuori
A cura di: Castello dei Ragazzi
In collaborazione con:
Libreria Radice-Labirinto
Allestimenti: V. Vecchi
Piazza Garibaldi
[sab e dom 10.00-13.00 e 16.00-19.00]
Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori
Percorso di narrazioni dai 6 anni in su
A cura di: Castello dei Ragazzi
e Teatro dell’Orsa
Palazzo dei Pio - Cortile d’Onore
[sab e dom 16.00-19.00]
Il guerriero racconta
Installazione sonora
A cura di: Castello dei Ragazzi
e Teatro dell’Orsa
Palazzo dei Pio - Sala del guerriero
[sab e dom 16.00-19.00]
13-14-15settembre2013
ModenaCarpiSassuolo
www.festivalfilosofia.it
venerdì13
nonstopvenerdìsabatodomenica
modena
[Mostre e installazioni]
Mano nella mano
Reperti di un amore oltre la morte
A cura di: Museo Civico Archeologico
Etnologico, Soprintendenza BB.AA.
E-R, Laboratorio di Antropologia
Archeologica UniBo
Palazzo dei Musei - Lapidario romano
Dardi d’Amore
Pittura e poesia nel Barocco emiliano
A cura di: Museo Civico d’Arte,
Galleria Estense, Biblioteca Estense
Universitaria, BPER
Palazzo dei Musei - Museo Civico d’Arte
Ars amandi
L’amore nell’arte di Luca Leonelli
e nelle poesie di Arturo Schwarz
Curatori: C.Barbieri e F. Morandi
Palazzo dei Musei - Biblioteca Poletti
Teste di legno e cuori di panna
Burattini modenesi di ieri e di oggi
A cura di: Museo Civico d’Arte
Palazzo dei Musei
Walter Chappell
Eternal Impermanence
Curatore: F. Maggia
Modena e i suoi fotografi (1870 - 1945)
Curatore: C. Dall’Olio
Principianti
Di cosa parliamo
quando parliamo d’amore?
Produzione: Fondazione Fotografia
Ex Ospedale Sant’Agostino
All you need is Love
John Lennon artista, attore, performer
Curatori: E. Gentile, M. Pierini
e A. Taormina
Produzione: Galleria Civica
e Fondazione CRMO
Con il sostegno di: Gruppo Hera
Palazzo Santa Margherita
L’amore è una cosa meravigliosa
Gioie e dolori nelle illustrazioni
del Museo della Figurina
Curatore: M. G. Battistini
con P. Basile e T. Gramolelli
Produzione: Museo della Figurina
e Fondazione CRMO
Palazzo Santa Margherita
Ama e fa ciò che vuoi
L’agape nell’arte contemporanea
A cura di: T. Cattelani, A. Lugli
e I. Valent
Con il sostegno di: Banca
Interprovinciale
Abbazia di San Pietro - Chiostro
Cristina Roncati
Le addolorate
Curatore: G. Galli
Abbazia di San Pietro - Chiesa
Ericailcane, Bastardilla
Street Heart
A cura di: Galleria D406 Fedeli alla linea
Con il sostegno di: Confindustria
Modena - Gruppo Giovani
Imprenditori
PalaMolza
Nicoletta Moncalieri
Sfogliature
Curatore: M. Bertoni
Orto Botanico - Serra Ducale
Rose rosse per te
Simbologie amorose
nel mondo vegetale
Curatori: M. Mazzanti,
E. Antonini, D. Dallai
A cura di: Orto Botanico e Florarte
Giardini Ducali - Orto Botanico
festivalfilosofia
sull’amare
[Le Gallerie d’Arte
per il festivalfilosofia]
Vittorio Buratti
Potenze generative
A cura di: M. Cotto e M. Mango
Galleria 42 contemporaneo
Gilberto Giovagnoli
Destrudo
L’amore per la distruzione
Galleria D406
Enrica Berselli
Do the Mutation
Simbiosi post-organiche
Curatori: N. Gianelli, R. Tedeschini
e J. Costanzini
Galleria Emilia Ruvida
S o t t o l ’A l t o P a t r o n a t o d e l P r e s i d e n t e d e l l a R e p u b b l i c a
Consorzio per il festivalfilosofia
Dellaclà
Love Kills
Curatore: L. S. Turrini
Galleria Cayce’s Lab
14.00
Il mio ultimo pensiero è per voi
Reading di: Barabba-log
A cura di: Fondazione Ex-Campo
Fossoli
Ex-Campo Fossoli
15.00 Lezioni magistrali
Luigi Zoja
Centauri e stupratori
Piazzale Re Astolfo
16.30 Lezioni magistrali
Christoph Wulf
Emozioni e rituali
La cultura della passione
Piazza Martiri Ω
18.00 Lezioni magistrali
Zygmunt Bauman
Aleksandra Kania
Legami fragili
Piazzale Re Astolfo
In inglese
Piazza Martiri Ω
19.15
Affacciati al balcone
Serenate di strada
A cura di: S. Gozzi
e Teatro Comunale di Carpi
Da Piazza Martiri a Piazza Garibaldi
per amori gagliardi
20.30 Lezioni magistrali
Franco La Cecla
Congedi
Piazzale Re Astolfo
21.00
Con cuore puro
di L. Le Moli (Italia, 2012, 54’)
A cura di: Biblioteca multimediale
Arturo Loria
Presenta: P. Marmiroli
Auditorium A. Loria
22.00
Padre Nostro
di C. Lo Giudice (Italia, 2008, 40’)
A cura di: Biblioteca multimediale
Arturo Loria
Presenta: P. Marmiroli
Auditorium A. Loria
15.00 La lezione dei Classici
Remo Bodei
Confessioni di Agostino
Piazzale Re Astolfo
16.30 Lezioni magistrali
Chiara Saraceno
Forme di famiglia
Tra norme e pratiche relazionali
Piazza Martiri
18.00 Lezioni magistrali
Silvia Vegetti Finzi
La separazione degli affetti
Piazza Martiri
19.15
Affacciati al balcone
Serenate di strada
Da Corso Cabassi a Corso Fanti
Replica da sab 14
21.00
Stefano Benni
Cinque racconti di amore folle
Con: D. D’Acunto
Piazza Martiri
Sassuolo
venerdì13
10.00 La lezione dei Classici
Paolo Cristofolini
Etica di Spinoza
Piazzale Avanzini
11.30 La lezione dei Classici
Enrico Berti
Etica Nicomachea di Aristotele
Piazzale Avanzini
15.00 Lezioni magistrali
Laura Boella
Empatia
Fragilità, lati oscuri, potenzialità
di una fondamentale capacità
umana
Piazzale Avanzini
16.30 Lezioni magistrali
Paolo Santangelo
Le passioni nella Cina tradizionale
Piazza Garibaldi
18.00 Lezioni magistrali
Manuel Cruz
L’amore dei filosofi
Piazza Garibaldi Ω
domenica15
10.00 Lezioni magistrali
Maria Bettetini
Assoluto amore
Piazzale Avanzini
11.30 Lezioni magistrali
Vincenzo Paglia
Agape
Piazza Garibaldi
15.00 Lezioni magistrali
Nicla Vassallo
Sesso e genere
Una corrispondenza incerta
Piazzale Avanzini
16.30 Lezioni magistrali
Umberto Curi
Don Giovanni
Dal nome proprio al nome comune
Piazza Garibaldi
18.00 La lezione dei Classici
Enzo Bianchi
Il Cantico dei Cantici
Piazza Garibaldi
21.00
Rita Marcotulli
Sull’amore
Concerto jazz su proiezioni di film
Fisarmonica: L. Biondini
Sassofoni: J. Girotto
Regia immagini live: C. Spelti
Teatro Carani
modenaragazzi
Mai sotto i cavoli!
Trucchi e stratagemmi
nella vita amorosa delle piante
Laboratorio per bambini dai 6 anni
Conducono: G. Barbieri e Gruppo
Guide Orto Botanico
A cura di: Orto Botanico - UniMoRe
Giardini Ducali
[ven 17.00; sab 10.30 e 17.30;
dom 11.00, 16.00 e 18.00]
Baracca, burattini e… batticuore
A cura di: Dida laboratorio
didattico
Palazzo dei Musei - Dida
[sab, dom 10.00-19.00]
Piccole storie d’amore
Letture per bambini dai 3 ai 5 anni
A cura di: Castello dei Ragazzi
e i lettori volontari di Donare Voci
Palazzo dei Pio - Sala Estense
[sab e dom 16.00-19.00]
sassuoloragazzi
Intrecci amorosi
Laboratorio di lettura
e manipolazione visiva
A cura di: V. Facchini e Biblioteca
dei Ragazzi Leontine
Villa Giacobazzi
[ven 16.30-18.00;
sab e dom 10.00-11.30
e 16.30-18.00]
Giochi di Famiglia
Laboratorio per bambini
dai 3 mesi ai 12 anni
A cura di: Servizi educativi
per l’infanzia, Centro per le famiglie
e Centro di Educazione
Ambientale San Cristoforo
Piazzale della Rosa
[sab e dom 9.30-12.30
e 15.00-19.00]
Tutto l’amare possibile
Letture per adolescenti
Voce narrante: A. Canducci
A cura di: Biblioteca dei Ragazzi
Leontine e Cooperativa Equilibri
Villa Giacobazzi
[sab 15.00 e 17.00]
Pandemonium Teatro
La mucca e l’uccellino
Spettacolo per bambini
dai 3 agli 8 anni
Di: L. Ferrari
Con: L. Ferrari e G. Manzini
Villa Giacobazzi - Teatro del Boschetto
[dom 11.00 e 17.00]
Fatto con Amore
Laboratorio di fotografia
per ragazzi dagli 8 ai 13 anni
A cura di: Tik Farm Eventi
Villa Giacobazzi
[dom 15.30-16.30
e 17.00-18.00]
Bed stories
Mostra collettiva
Curatore: M. Serri
Studio Vetusta
Francesca e Roberta Vecchi
Amoresacro amoreprofano
Installazione
Il Posto
Stella, Giulia Barsuola
Farfalle e Gastriti
Curatore: G. Barsuola
Galleria Art Ekyp
Il segno della Croce
Mostra collettiva
Curatori: M. Nardini e U. Zampini
Galleria Mies
M. Carolina Arletti, Antonella Monzoni
T’amo da morire
Associazione Via Piave e Dintorni
Foyer ex Cinema Principe
[Libri e dintorni]
La bancarella dell’autore
I libri del protagonista di turno
A cura delle librerie: Aliante Social
Book, Feltrinelli, Nuova Tarantola
e San Paolo
Sedi e orari delle Lezioni Magistrali
Piccola fiera del libro filosofico
Mostra mercato di titoli nuovi,
rari e d’occasione
Palazzo Santa Margherita
[Progetti di strada]
Nozze di strada
Racconti, anelli, corredi
e torte nuziali in Via Carteria
Via Carteria
[Dirette]
RAI Radio3 Fahrenheit
Diretta live
Atrio Palazzo dei Musei
Sun Agostino
Tutti i giorni
Ex Ospedale Sant’Agostino
carpi
[Mostre e installazioni]
Mimmo Paladino
Xilografie 1983 - 2013
Curatori: E. Di Martino e M. Rossi
Produzione: Musei di Palazzo dei Pio
Palazzo dei Pio
Le stanze dell’Amore cieco
Curatore: T. Previdi con M. Rossi
Produzione: Musei di Palazzo dei Pio
Palazzo dei Pio
Corrispondenza d’amorosi sensi
Videoinstallazione
A cura di: Istituti culturali di Carpi
Piazza Martiri - Torre dell’Uccelliera
[Le Gallerie d’Arte
per il festivalfilosofia]
Michael Rotondi, Giulio Zanet
Loveless
Curatore: F. Pergreffi
Galleria Spazio Meme
Evelyn Daviddi
A cuore aperto
Curatore: M. Monachesi
Darkroom SilmarArtGallery
[Libri e dintorni]
Bancarelle di libri filosofici
Libreria La Fenice e Libreria Alcyone
Mondadori
Piazza Martiri e Piazzale Re Astolfo
sassuolo
[Mostre e installazioni]
Urban Survivors
Sopravvivere nelle baraccopoli
Produzione: Medici Senza Frontiere
Galleria Paggeriarte
Laura Serri
Lupus in Fabula
A cura di: Biblioteca dei Ragazzi Leontine
Villa Giacobazzi
Vittoria Facchini
Per filo e per segno
A cura di: Biblioteca dei Ragazzi Leontine
Villa Giacobazzi
[Le Gallerie d’Arte
per il festivalfilosofia]
Luigi Ottani, Katia Mattioli, Elisa Pincelli
Fatto con Amore
Videoinstallazione
Con Compagnia Teatrale 8mani
A cura di: Tik Farm Eventi
Villa Giacobazzi
[Libri e dintorni]
Bancarelle di libri filosofici
Libreria Incontri e Libreria Mondadori
Piazza Garibaldi
Bif
Sottrazioni
L’amore sotto torchio
Curatore: C. Ghioldi
Galleria Under House
Pietro Nicolaucich e Collettivo THC
Meta.Cardio.Grafia
L’organo e il simbolo
Curatrici: S. Cavalieri e E. Ferrari
Galleria THC
cucinafilosofica
Otto menu firmati da Tullio Gregory
razionsufficiente
Cestini per il pranzo con prodotti tipici a soli 4,50 euro
La portata dello Chef
Street food a 9,00 euro
dagli chef del Consorzio Modena a Tavola
Tutti gli appuntamenti sono ad accesso libero e gratuito
Per informazioni
Consorzio per il festivalfilosofia
Piazza Sant’Agostino 337, 41121 Modena
telefono 059 2033382 - [email protected]
finanziatori istituzionali
main sponsor
donatori
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Modena