Responsabilità medica e malpractice: in bilico tra esigenze di

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Responsabilità medica e malpractice: in bilico tra esigenze di riforma e pregiudizio
Sono tante le segnalazioni di malasanità che balzano con cadenza quasi quotidiana agli onori della cronaca. A tale
fenomeno, emerso in parte anche per il rilievo dato agli eventi dalla letteratura scientifica e dai mezzi di informazione, è
conseguito il ricorso sempre più esasperato, da parte degli operatori sanitari, alla c.d. “medicina difensiva”, ossia la
tendenza dei medici a modificare il loro comportamento professionale al fine di scongiurare procedimenti giudiziari per
malpractice. Non vi è dubbio alcuno che la medicina difensiva mina la qualità dell'assistenza sanitaria. Non solo perché
ricerche diagnostiche non necessarie rappresentano un costo evitabile per il sistema, ma soprattutto perché il
pedissequo attenersi del professionista apprensivo alle linee guida definite impedisce in molti casi di esperire
serenamente il trattamento adeguato secondo l'arte medica, optando per un sistema teso alla sola sicurezza giudiziaria,
con potenziali gravi danni per la salute del paziente, in primis. Abuso di denunce Pochi giorni fa il ministro della Salute
Beatrice Lorenzin ha denunciato pubblicamente un fenomeno che ha definito di “abuso” di denunce per casi di
malasanità in Italia e questo a fronte di un numero esiguo di condanne rispetto invece al numero di denunce stesse. Il
ministro ha poi concluso il suo intervento puntando il dito sulla categoria forense, “responsabile” a suo dire, di
comportamenti a dir poco inverosimili, oltre che deontologicamente scorretti, come quello di andare a cercare i pazienti
nelle corsie degli ospedali anche dopo dieci anni dal fatto. Prevedibili sia il tam tam mediatico che ne è scaturito sia le
reazioni da parte dei principali organismi rappresentativi della categoria forense. Tema molto caldo, quindi, quella della
proposta di modificare, all'interno della Legge di Stabilità, la disciplina in materia di errori sanitari. La prima proposta
avrebbe a oggetto l'inversione dell'onere della prova: sarà il paziente a dover dimostrare l'errore del medico e non più il
medico a dimostrare di aver agito correttamente. È da precisare che molti studi legali, soprattutto quelli specializzati nel
settore, prima di avviare un giudizio per responsabilità medica, fanno sì che venga predisposta una perizia medico legale
tesa alla individuazione del nesso eziologico. Pertanto l'onere della prova è, di fatto, già oggi invertito.Altro punto toccato
dalla riforma riguarderebbe la riduzione della prescrizione dagli attuali 10 anni a 5 anni. Anche questo punto richiede una
precisazione. La riduzione proposta è infatti relativa solo ed esclusivamente al rapporto esistente tra medico e paziente,
ma non si estenderebbe, invece, al rapporto tra il paziente e la struttura ospedaliera per la quale il medico lavora. Già
oggi gli studi specializzati, tra cui quello dello scrivente, non sono quasi mai soliti citare il medico direttamente, bensì
sono soliti rivalersi sulla struttura ospedaliera, per cui la tutela del paziente resterebbe comunque sempre a dieci anni.
Posto che il nostro rimane un sistema sanitario ottimo, così come la categoria dei medici che lo rappresenta e che
appare davvero poco credibile e più riconducibile ad un romanzo di Grisham che non alla realtà, la figura dell'avvocato
pronto ad accaparrarsi una pratica tra le corsie ospedaliere, ritengo doveroso sottolineare che il numero di denunce per
malasanità in Italia è in linea con quello del resto dei paesi del Mediterraneo: siamo superati, addirittura, come numero di
denunce, dalla Germania mentre, solo i paesi del Nord Europa, che hanno un sistema di welfare particolarmente
costoso, ne hanno un numero inferiore. Pertanto, venendo al merito della questione e alle dichiarazioni del ministro
Lorenzin, desidero precisare che è mia opinione professionale che non sussista, oggi, un problema, né tanto meno un
abuso di denunce in ambito civile, bensì ritengo ne esista uno, ben più serio, in ambito penale, dove infatti l'80% dei casi
si conclude in una nulla di fatto perché archiviato dal Pm a cui è affidato il compito di condurre le indagini e disporre
eventualmente il rinvio a giudizio dell'indagato, e non anche alle azioni in sede civile che, se ben strutturate, portano al
risarcimento nella maggior parte dei casi. Venendo ora agli aspetti più squisitamente tecnici della questione,
intraprendere un giudizio per responsabilità medica pone al cittadino una serie di scelte piuttosto delicate e il percorso è
tutt'altro che semplice. Abuso di denunce Responsabilità medica: a chi rivolgersi? In primo luogo: a chi rivolgersi.
Occupandomi esclusivamente di responsabilità medica e malasanità posso affermare, senza timore di smentita, che,
trattandosi di una materia particolarmente tecnica, è sempre opportuno rivolgersi a professionisti specializzati nel
settore.In secondo luogo: quale percorso intraprendere. Il cittadino ha davanti a sé due alternative: 1) la via penalistica,
tesa ad ottenere la condanna del soggetto responsabile per le ipotesi di reato ad esso ascrivibili e, in caso di costituzione
di parte civile, il risarcimento del danno subito;2) la via civilistica, tesa ad ottenere esclusivamente il risarcimento dei
danni subiti in via diretta dal soggetto leso o dai suoi eredi, nell'ipotesi di decesso. Responsabilità medica: a chi
rivolgersi? Mette conto rilevare, come già sopra menzionato, che ai procedimenti penali per malpractice segue un
numero bassissimo di condanne ed un altresì cospicuo numero di archiviazioni, posto che seppur il privato ha facoltà di
denunciare il fatto di reato, è compito del Pm condurre le indagini e disporre eventualmente il rinvio a giudizio
dell'indagato o l'archiviazione.Il gran numero di archiviazioni consegue spesso ad una consulenza tecnica favorevole
all'indagato. Se pure, infatti, è possibile dimostrare che si è verificato un errore, non altrettanto lo è provare che la
malpractice sia stata la causa di un decesso per dolo o colpa grave dell'indagato.Anche da questo deriva il maggior
numero di condanne in sede civile piuttosto che in sede penale, poiché in sede civile il grado di colpa richiesto al
responsabile è la colpa lieve. Inoltre in sede civile il danneggiato dovrà dimostrare, sulla base del criterio del “più
probabile che non” che l'azione o l'omissione del medico abbiano cagionato l'evento in termini di probabilità, mentre, in
sede penale, per aversi la condanna del medico sarà necessario dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” che il danno
al paziente sia stato la conseguenza dell'azione o dell'omissione del medico imputato.Ciò detto, indipendentemente dal
percorso che il privato decide di intraprendere, al fine di provare la correlazione causale tra la condotta omissiva o
commissiva del sanitario e il danno subito dal paziente, è necessario il preventivo parere di un medico legale o di uno
specialista. In difetto di tale qualificato parere si correrebbe il rischio di intraprendere azioni temerarie, con conseguenze
negative per il cittadino, che non vedrebbe riconosciuti i propri diritti, e per il sistema giudiziario, che subirebbe un inutile
carico oltre quello già esistente.A differenza di quanto sostenuto dal ministro Lorenzin, il lavoro degli avvocati
specializzati nel campo della responsabilità medica è orientato a operare una rigorosa selezione dei procedimenti per
malpractice, proprio attraverso il filtro della preventiva valutazione del caso da parte di medici specializzati.A mero titolo
esemplificativo, il mio studio riceve in media 15 nuove richieste di assistenza al giorno, ma la percentuale di pratiche
effettivamente prese in carico, a seguito del parere reso dai medici della cui consulenza mi avvalgo, è inferiore al 10%.A
ciò si aggiunga che, essendo ormai molto diffuso il sistema del “pay per result”, ossia del pagamento delle competenze
legali solo in caso di esito positivo della vertenza(nel rispetto delle norme deontologiche forensi), gli avvocati non
trarrebbero alcun giovamento dal promuovere giudizi infondati ab origine
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