21601-2013 - Procura Generale della Cassazione

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PROCURA GENERALE
della Corte di cassazione
______________
Ricorso n. 21601/2013 R.G.
Il sostituto Procuratore generale, con riferimento ai ricorsi per regolamento preventivo di
giurisdizione proposti da Valeria OLIVIERI ed Alfredo BAJO, nella causa di risarcimento per
danno erariale n. 72363/2013 innanzi alla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Lazio
OSSERVA
1. Premessa.
L’ANAS s.p.a. (di seguito anche ANAS), con aggiudicazione definitiva del 2005, affidò al
contraente generale COMERI s.p.a. (di seguito anche COMERI) la realizzazione di un tratto
dell’opera stradale E90.
Alla data di emissione del nono stato di avanzamento, avendo il contraente generale iscritto n. 46
riserve di importo complessivo superiore al 10% dell’importo contrattuale, fu istituita la
commissione prevista dall’art. 31-bis della legge n. 109/1994.
Tale commissione, acquisite le relazioni riservate del direttore dei lavori e della commissione di
collaudo, inoltrò alle parti la propria proposta a tacitazione delle riserve e, in data 3 maggio 2010,
l’ANAS ed il contraente generale addivennero ad un accordo bonario con riconoscimento di
molte e rilevanti riserve (per € 47.456.654).
Il P.G. contabile, ritenuto che si fosse verificato un danno erariale pari ad € 38.500.687 (in
quote percentuali variabili) a causa di gravi erroneità di calcolo delle riserve sia in sede di
presentazione da parte di COMERI, sia in sede di ammissione, propose giudizio contabile nei
confronti:
 del contraente generale (ritenendolo responsabile del danno nella misura del 40%);
 del responsabile unico del procedimento ing. Biagio MARRA (ritenendolo responsabile del
danno nella misura del 3%);
 dei tre componenti della commissione prevista dall’art. 31-bis della legge n. 109/1994, avv.
Luca PULETTI, ing. Vincenzo MARZÌ e prof. Marco LACCHINI (ritenendoli responsabili
del danno ciascuno nella misura del 3%);
 del direttore dei lavori ing. Antonio BEVILACQUA (ritenendolo responsabile del danno
nella misura del 6%);
 dei membri della commissione di collaudo ing. Norberto ACHILLE e dott.ssa Valeria
1
OLIVIERI (ritenendolo responsabile del danno nella misura del 3%);
 dei membri dell’Unità Riserve dell’ANAS nelle persone del coordinatore avv. Gian Claudio
PICARDI (ritenendolo responsabile del danno nella misura del 3%) e degli altri componenti
avv. Maria Carolina RINALDI, ing. Roberto BECALI ed ing. Maurizio FALETTI DI
VILLAFETTO (ritenendoli responsabili ciascuno nella misura del 3%);
 del dirigente del servizio tecnico-amministrativo dell’ANAS dott. Mauro SANTANGELI
(ritenendolo responsabile del danno nella misura del 5%);
 dei seguenti responsabili dei vari servizi e direzioni competenti e precisamente: del direttore
centrale Nuove costruzioni, ing. Alfredo BAJO, del direttore centrale amministrazione e
finanza, dott. Giancarlo PICIARELLI, del condirettore generale legale e patrimonio, dott.
Leopoldo CONFORTI, del condirettore generale tecnico, ing. Gavino CORATZA, del
condirettore generale amministrazione finanza e commerciale dott. Stefano GRANATI
(ritenendoli responsabili del danno ciascuno nella misura del 2%);
 del Presidente dell’ANAS Pietro CIUCCI (ritenendolo responsabile del danno nella misura
del 7%).
Hanno proposto, con distinti atti, ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione,
OLIVIERI Valeria (componente la commissione di collaudo) e BAJO Alfredo (direttore
centrale Nuove costruzioni) deducendo che la controversia appartiene alla giurisdizione
ordinaria.
2. L’evoluzione giurisprudenziale e normativa: quadro generale.
Il tema della giurisdizione in materia di responsabilità degli amministratori di società pubbliche
partecipate va esaminato a partire dalla fondamentale sentenza delle Sezioni unite n. 26806 del
2009, secondo cui:
“Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da
una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei
dipendenti (nella specie, consistenti nell'avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di
favorire determinate imprese nell'aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non
essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società,
né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno
direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della
Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando l'azione di responsabilità
trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o
comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i
propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in
comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della
partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed
implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio.
(Nell'affermare l'anzidetto principio, le S.U. hanno altresì precisato che in quest'ultimo caso
l'azione erariale concorre con l'azione civile prevista dagli artt. 2395 e 2476, sesto comma cod.
civ.)”.
A tali principi la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni (si vedano, ad
esempio, Sez. un. n.n. 20075/2013, 10299/2013, 7374/2013, 20940/2011, 20941/2011, 14957/2011,
14655/2011, 16286/2010, 8429/2010, 4309/2010 e 519/2010).
2
La stessa sentenza n. 26806 del 2009, nel richiamare, ai fini del riparto di giurisdizione, i principi
generali e le linee portanti del sistema di responsabilità degli organi societari, fece salva la
previsione di “norme esplicite” che prevedano la giurisdizione del giudice contabile, nonché “ la
specificità di singole società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui
generis, come nel caso della Rai”.
In tale prospettiva vanno ricordate le decisioni delle Sezioni Unite che hanno affermato la
giurisdizione della Corte dei conti:
 in tema di risarcimento del danno cagionato alla Rai Radio televisione Italiana s.p.a., da
componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti di tale società e degli enti
pubblici azionisti, in relazione alla nomina del direttore generale e al trattamento economico
dello stesso e degli ex direttori generali (ordinanza n. 27092 del 2009. Una diversa qualifica
della RAI in senso privatistico è stata invece alla base di due ordinanze gemelle delle
Sezioni Unite n. 28329 e n. 28330 del 2011, che hanno dichiarato la giurisdizione del
giudice ordinario in relazione all’impugnativa del bando con cui la RAI aveva indetto una
selezione riservata a giornalisti professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future
esigenze, con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in qualità di redattore
ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali);
 in tema di risarcimento del danno cagionato all’ENAV s.p.a. da alcuni dipendenti in
relazione a numerosi anticipi di missione non dovuti, in quanto versati dalla società in virtù
di fogli di missione contraffatti (ordinanza n. 5032 del 2010);
 in tema di risarcimento del danno cagionato alla Casinò Municipale di Campione d'Italia
s.p.a. conseguente a condotte tenute nello svolgimento del compito di direttore generale
(ordinanza n. 8429 del 2010).
Nel corso della definitiva affermazione e stabilizzazione di tale impostazione c.d. “pancivilistica” secondo cui, in tema di responsabilità di amministratori e dipendenti di società partecipate, la
giurisdizione ordinaria costituisce la regola e quella contabile l’eccezione, in presenza di particolari
tipi societari aventi caratteri di specialità rispetto al modello ordinario delineato dal codice civile –
il legislatore è intervenuto in diverse occasioni con una serie di disposizioni che prevedono per tutte
le società partecipate speciali forme di vigilanza e controllo, nonché di integrazione contabile con
quella dell’ente partecipante e di omologazione nel risparmio di spesa.
In primo luogo, vanno ricordati:
 l’art. 18 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha previsto l’obbligo per le società a partecipazione
pubblica totale o di controllo di adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il
reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi,
anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità, qualificando tali
soggetti, al comma 2-bis come “ amministrazioni” tenute ad adeguare le proprie politiche di
personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di
contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e
per consulenze;
 l’art. 9 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni, nella legge 30 luglio
2010, n. 122 che reca norme in tema di riduzione per la spesa per il personale, prevedendo al
comma 28 una che “il mancato rispetto dei limiti di cui al presente comma costituisce
illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”;
 l’art. 14 dello stesso D.L. n. 78 del 2010, che al comma 7, nel sostituire l'art. 1, comma 557,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha ampliato il concetto di spese di personale,
includendovi anche “quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all'articolo 110 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati,
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senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente
denominati partecipati o comunque facenti capo all'ente”;
 l’art. 3-bis del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, L. 14 settembre 2011, n. 148, inserito dall'art. 25, comma 1, lett. a), del D.L. 24
gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, e succ.
mod. ed int., che ai commi 5/6, ha previsto l’assoggettamento delle società affidatarie in
house al patto di stabilità interno, nonché l’obbligo di acquisto di beni e servizi secondo le
disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni e
di adottare, con propri provvedimenti, “criteri e modalità per il reclutamento del personale e
per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché delle disposizioni che stabiliscono a
carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli
oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze
anche degli amministratori” (la Corte costituzionale, con sentenza 20 marzo 2013, n. 46, ha
dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma);
 l’art. 2 del D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, L. 6 luglio 2012, n. 94, il quale prevede la sottoposizione delle amministrazioni
pubbliche ad un piano di razionalizzazione della spesa pubblica includendo tra esse anche le
società a totale partecipazione pubblica diretta e indiretta e le società non quotate controllate
da soggetti pubblici.
Un intervento ancor più incisivo è stato attuato con l’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 135, e succ. mod. ed int.
(entrato in vigore, ai sensi dell’art. 25, il 7 luglio 2012, cioè il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
La norma ai commi 1/3 (poi oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale con l’ordinanza 23
luglio 2013, n. 229) recava norme in tema di scioglimento od alienazione delle società controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo n. 165 del 2001, che avessero conseguito nell'anno 2011 un fatturato da
prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero
fatturato.
Il successivo comma 3-sexies, parimenti oggetto della predetta pronuncia di incostituzionalità,
prevedeva la realizzazione di appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle predette
società, mentre i commi 4 e 5 dell’art. 4 d.l. D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., rispetto ai quali la
Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, introducono specifiche
previsioni sulla composizione dei consigli di amministrazione.
I commi 9, 10 e 11, rispetto ai quali la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità
costituzionale, introducono specifiche previsioni in tema di assunzioni e trattamento stipendiale dei
dipendenti, mentre i successivi commi 12/13 disciplinano la verifica della amministrazioni vigilanti
sul rispetto dei vincoli di cui ai commi 9/11, con espressa previsione di un’ipotesi di responsabilità
contabile per gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo n. 165 del 2001, così disponendo:
“ 12. Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di
violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a
titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati.
13. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle società quotate ed alle loro controllate. Le medesime
disposizioni non si applicano alle società per azioni a totale partecipazione pubblica autorizzate a prestare il servizio di
gestione collettiva del risparmio. L'amministrazione interessata di cui al comma 1 continua ad avvalersi degli organismi
di cui agli articoli 1, 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 114. Le disposizioni del
4
presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale
partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe
espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali.
Va, poi, ricordato l’art. 6 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., che, nel disciplinare il “rafforzamento
della funzione statistica e del monitoraggio dei conti pubblici” ha precisato che per controllo – in
tema di rapporti tra amministrazioni pubbliche – “si deve intendere la capacità di
determinare la politica generale o il programma di una unità istituzionale, se necessario
scegliendo gli amministratori o i dirigenti”.
Ed ancora, significativa è la modifica delle disposizioni in tema di enti locali da parte del D.L. 10
ottobre 2012, n. 174, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 dicembre
2012, n. 213, che, all’art. 3, al fine di rafforzare i controlli in materia di enti locali, ha:
sostituito l'articolo 147 del TUEL con gli articoli 147/147-quater, i quali hanno intensificato i
controlli sulle società partecipate non quotate, prevedendo (art. 147-quater) la preventiva
definizione da parte dell'amministrazione degli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società
partecipata, il monitoraggio periodico sull'andamento delle società non quotate partecipate da
parte dell’ente locale con la rilevazione dei risultati complessivi della gestione dell'ente locale e
delle aziende non quotate partecipate mediante bilancio consolidato, secondo la competenza
economica.;
modificato il TUEL:
 aggiungendo l’art. 148-bis (“1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali ai sensi dell'articolo
1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n.266, per la verifica del rispetto
degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto
in materia di indebitamento dall'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della
sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare,
anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. 2. Ai fini della verifica
prevista dal comma 1, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertano altresì
che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società
controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività locale e di
servizi strumentali all'ente”);
 inserendo nell'articolo 243, dopo il comma 3, il comma 3-bis (“ I contratti di servizio,
stipulati dagli enti locali con le società controllate, con esclusione di quelle quotate in borsa,
devono contenere apposite clausole volte a prevedere, ove si verifichino condizioni di
deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di personale delle società medesime, anche
in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del
2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008”);
 inserendo, dopo l'articolo 243, l’art. 243-bis che, al comma 5 prevede che “il consiglio
dell'ente locale, entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data di esecutività della
delibera di cui al comma 1, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della
durata massima di dieci anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di
revisione economico-finanziario”, ed al comma 8, lett. f) prevede che “al fine di assicurare il
prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, l'ente (…)
è tenuto ad effettuare una rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiettivi
di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione dei costi di tutti i servizi
erogati dall'ente e della situazione di tutti gli organismi e delle società partecipati e dei
relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell'ente”.
Di rilievo, poi, sono le norme della legge 6 novembre 2012, n. 190 (recante “ Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”) che
all’articolo 1, comma 34, prevede l’applicabilità delle disposizioni dei commi da 15 a 33 (in tema di
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trasparenza amministrativa per le pubbliche amministrazioni anche alle società partecipate dalle
amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile,
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione
europea.
L’applicazione di tali disposizioni trova conferma negli articoli 11 e 22 del D.Lgs. 14 marzo 2013,
n. 33 (recante “ Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”).
Di rilievo, infine, il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, recante “disposizioni urgenti per il perseguimento
di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni”, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 30 ottobre 2013, n. 125, il quale all’art. 2, prevede l’obbligo
per le società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, di
comunicare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al
Ministero dell'economia e delle finanze, il costo annuo del personale comunque utilizzato ed all’art.
3-bis, inserito dalla legge di conversione, la revisione con riduzione del prezzo dei contratti di
servizio:
“Le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al fine di assicurare il
contenimento della spesa, degli oneri a carico del bilancio consolidato e il migliore svolgimento delle funzioni
amministrative, possono provvedere alla revisione con riduzione del prezzo dei contratti di servizio stipulati con le
società, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle
stesse controllate, e con gli enti direttamente o indirettamente controllati, con conseguente riduzione degli oneri
contrattuali a carico della pubblica amministrazione.
In tale ipotesi le società e gli enti controllati procedono, entro i successivi novanta giorni, alla rinegoziazione dei
contratti aziendali relativi al personale impiegato nell'attività contrattualmente affidata, finalizzata alla correlata
riduzione degli istituti di salario accessorio e dei relativi costi”.
La giurisprudenza, dopo aver ignorato a lungo i segnali evolutivi provenienti da tale articolato
quadro normativo, ne ha negato l’incidenza ai fini della giurisdizione nelle cause di responsabilità
nei confronti di amministratori e dipendenti delle società partecipate.
La prima decisione in tal senso è rappresentata dalla sentenza 25 novembre 2013, n. 26283, con cui
le Sezioni Unite hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti “sull'azione di responsabilità
esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far
valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una
società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente
esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per
statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri
uffici” (fattispecie relativa a società interamente partecipata dal Comune di Civitavecchia,
denominata ETM - Etruria Trasporti e Mobilità s.p.a.).
La giurisdizione contabile sull'azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali per danni
da essi cagionati al patrimonio di una società “in house”, è stata confermata dalle ordinanze n.
26936 del 2 dicembre 2013, n. 27489 del 10 dicembre 2013 e n. 27993 del 16 dicembre 2013 (tutte
relative alla società AMA istituita dal comune di Roma per la gestione del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti urbani ed interamente partecipata dallo stesso), sia pure con la precisazione che
tale qualifica deve sussistere all’epoca della condotta (e, quindi, nella fattispecie escludendola
sulla base delle disposizioni statutarie “ratione temporis” applicabili) il che comporta,
evidentemente, la necessità di interpretare le clausole degli statuti vigenti all’epoca della
condotta, attività spesso non agevole.
Come accennato, la sentenza n. 26283 del 2013 ha limitato alle sole società in house il superamento
dei principi affermati a partire da Cass. Sez. Un., n. 26806/2009 cit., ritenendoli ancora attuali
6
quanto alle altre ipotesi di società partecipate, atteso che la normativa sopravvenuta ha “carattere
spesso frammentario”, ed è “frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere una valenza
sistematica, che vada oltre il dettato della singola disposizione, onde parrebbe quanto mai
azzardato il voler trarre da essa argomenti di ordine generale, tali da incidere sui principi giuridici
su cui è basata la citata giurisprudenza di questa corte in materia, o anche solo indici dell'esistenza
di principi in tutto o in parte diversi da quelli”, osservando, in via generale, che “ la disciplina
speciale dettata per le cosiddette società pubbliche - come anche la più attenta dottrina non ha
mancato di rilevare - non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sè
stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con
ampio ambito di applicazione”.
Rilevato che la dottrina cui fa riferimento la sentenza risale al gennaio 2012, sembra opportuno
partire dalle ragioni su cui la sentenza fonda tale giudizio di “incompiutezza” del sistema di recente
emersione.
Afferma la sentenza:
Ciò dicasi, in particolare, per l'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle
amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento
nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal
Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, (convertito con modificazioni dalla L. 6
luglio 2012, n. 94), inclusione ovviamente ispirata dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo
indiretti della spesa pubblica, ma che non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni effetto
come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma si riferisce;
e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d.
patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal
fine imposti dall'art. 147-quater del testo unico sugli enti locali (articolo introdotto dal D.L. 10
ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213).
Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con
modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di
compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a
partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. che s'è visto essere coerente con l'inquadramento generale di tali enti, per tutto il resto, nel novero
delle società azionarie soggette alla disciplina privatistica - ed, anzi, il comma 13 del medesimo art.
4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si
applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di
società di capitali". Il che dimostra con evidenza come non possa essere in alcun modo attribuita
una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale disposizione
eccezionale, neppure alla previsione del precedente comma 12, per la quale gli amministratori ed i
dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi
precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù
dei contrati stipulati".
Nella stessa prospettiva, Cass., Sez. Unite, Ord., 7 gennaio 2014, n. 71 ha affermato la giurisdizione
del giudice ordinario sulla domanda della Procura Regionale della sezione giurisdizionale della
Corte dei Conti per il Lazio per i danni arrecati alla s.p.a. Ferrovie dello Stato, per "indebite
elargizioni" a titolo di trattamento di risoluzione del rapporto di lavoro da parte di suoi
amministratori, rilevando che le novelle legislative invocate dal P.G. a sostegno delle conclusioni
nel senso della giurisdizione contabile erano “non ancora efficaci alla data cui si riferiscono i danni
di cui i ricorrenti devono rispondere”. Ha, quindi, confermato quanto più volte affermato dalle
Sezioni Unite in ordine alla giurisdizione "sull'azione di risarcimento del danno subito da una
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società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite dei dipendenti", della quale può
conoscere il solo giudice ordinario, "in quanto l'autonomia patrimoniale di essa esclude ogni
rapporto di servizio tra agente ed ente pubblico danneggiato e impedisce di configurare come
erariali le perdite che restano esclusivamente della società, che è regolata nel caso come ogni altro
soggetto sovrapersonale di diritto privato".
La giurisprudenza successiva ha confermato tale impostazione.
In particolare, è stata negata la giurisdizione contabile in relazione alle azioni di responsabilità:
 nei confronti di dirigenti della Autostrade del Brennero s.p.a., non essendo tale società retta
da una qualche disciplina legale che la collochi su di un piano significativamente diverso da
quello di altre società a partecipazione pubblica cui siano stati affidati in concessione
pubblici servizi, né presentando la stessa le caratteristiche della società in house [Cass., Sez.
Un., n. 3201 del 2014, che precisa: “non si ravvisa, in particolare, una previsione statutaria
che escluda il concorso dell'azionariato privato (essendo anzi pacifico che una quota del
capitale sociale è di fatto in mano a soci privati), né l'obbligo di esplicare la propria attività
prevalentemente in favore degli enti pubblici ad essa partecipanti, e neppure è documentata
la sottoposizione degli organi amministrativi della società a quella forma di rapporto
gerarchico, rispetto agli enti pubblici partecipanti, che configura il requisito del cosiddetto
controllo analogo"];
 nei confronti del direttore generale del Consorzio A.C.S.A. CE/3 s.p.a., avente ad oggetto
sociale il servizio pubblico locale di nettezza urbana, in quanto “il perseguimento di finalità
pubbliche da parte della società per azioni non è da solo sufficiente a configurare la
sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti”, né “possono assumere rilevanza
decisiva le nozioni di pubblica amministrazione (dettate ad altri fini) contenute nel Codice
del processo amministrativo e nel Testo unico sul pubblico impiego e neppure quella di
organismo di diritto pubblico" ed infine perché non ricorrevano le condizioni per qualificare
la società “in house” (Cass., Sez. Un., n. 5491 del 2014).
Nonostante la recente evoluzione in tema di società “in house” sia emblematica di significative
aperture rispetto all’orientamento affermatosi nel 2009, si ritiene possibile una ulteriore espansione
degli spazi di configurabilità della giurisdizione contabile, sotto tre distinti (ma convergenti) profili:
 la verifica di ulteriori eccezioni all’impostazione “pancivilistica”;
 la rivisitazione della questione della esistenza di un rapporto di servizio in capo agli
amministratori delle società partecipate;
 l’attribuzione della qualifica di norma interpretativa all’art. 4, comma 12, del D.L. 6 luglio
2012, n. 95.
3. La verifica di ulteriori eccezioni all’impostazione “pancivilistica”: considerazioni generali.
I. La linea delle Sezioni Unite, a partire dalla nota sentenza n. 26806 del 2009, è quella di
considerare, in tema di responsabilità di amministratori e dipendenti di società partecipate, la
giurisdizione ordinaria come la regola (impostazione “pancivilistica”) e quella contabile
l’eccezione, in presenza di particolari tipi societari aventi caratteri di specialità rispetto al modello
delineato dal codice civile.
Tale impostazione che, per le società “legali” implica la ricerca degli indici di assimilabilità agli
enti pubblici, è evidente nelle decisioni che hanno affermato la giurisdizione contabile in
controversie per danno erariale coinvolgenti amministratori e dipendenti di società partecipate
aventi uno statuto giuridico speciale (in tema di RAI s.p.a., Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di
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ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010; in tema di Casinò Municipale di Campione d'Italia s.p.a., Sez.
Un., n. 8429/2010).
In tali decisioni l’assimilazione della società ad una amministrazione pubblica, nonostante la veste
formale di società per azioni, è stata effettuata sulla base di una pluralità di parametri e
precisamente:
1. la partecipazione totalitaria da parte di enti pubblici (in tema di RAI s.p.a., Sez. Un., n.
27092/2009; in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010; in tema di Casinò Municipale
di Campione d’Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
2. la costituzione previa autorizzazione ministeriale (in tema di Casinò Municipale di
Campione d’Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
3. la designazione “ex lege” della società quale concessionaria di un servizio pubblico
essenziale (in tema di servizio pubblico radiotelevisivo, Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di
ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
4. la sottoposizione a penetranti poteri di vigilanza o da parte di un'apposita commissione
parlamentare, espressione dello Stato-comunità (sempre in tema di RAI, Sez. Un., n.
27092/2009) o da parte dei Ministeri competenti (in tema di Casinò Municipale di
Campione d’Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
5. la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti, in quanto ente che fruisce in via
ordinaria di contributi pubblici (in tema di RAI, Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di ENAV
s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
6. la sottoposizione alle norme sulla contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (in
tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010), o la soggezione alla certificazione di bilancio
(in tema di Casinò Municipale di Campione d’Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
7. l’obbligo di osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento di appalti, in
quanto organismo di diritto pubblico, ai sensi della normativa comunitaria in materia (in
tema di RAI, Sez. Un., n. 27092/2009);
8. la copertura dei costi del servizio con somme provenienti da imposte di scopo (quale il
canone di abbonamento, gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di
trasmissioni radiofoniche e televisive, riscosso e versato alla Rai dall'Agenzia delle Entrate,
Sez. Un., n. 27092/2009) o comunque lo svolgimento di numerose attività sociali con oneri
“ex lege” totalmente a carico dello Stato (in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
9. la speciale destinazione dei proventi dell’attività, anche in deroga alle ordinarie regole di
distribuzione degli utili, ai fini dell’utilizzo di finalità di interesse generale, il che giustifica
l’affidamento in concessione di attività di regola vietata quale esercizio di giuochi d'azzardo
(in tema di Casinò Municipale di Campione d’Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010).
Gli elementi presi a riferimento sono indubbiamente eterogenei, riguardando sia la fase costitutiva
della società, sia quella definitoria degli assetti partecipativi, sia quella gestionale, nei vari profili
del reperimento delle risorse e della allocazione degli utili, sia, infine, quella della vigilanza e
controllo, nonché aspetti puramente definitori dell’attività svolta (quali la natura di servizio
pubblico essenziale o quella di organismo di diritto pubblico nelle procedure di evidenza pubblica).
E’, quindi, necessario uno sforzo interpretativo ulteriore per verificare se tra tali elementi possano
individuarsi quelli effettivamente ed inequivocabilmente sintomatici della natura meramente
formale della veste societaria e della equiparazione della società ad una pubblica amministrazione.
Non soccorrono in tale ricerca le due ordinanze gemelle delle Sezioni Unite del 22 dicembre 2011
(n. 28329 e n. 28330) che hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario in relazione
all’impugnativa del bando con cui la RAI aveva indetto una selezione riservata a giornalisti
professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future esigenze, con contratti di lavoro subordinato
a tempo determinato in qualità di redattore ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali.
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Le fattispecie oggetto di tali ordinanze riguardavano, infatti, controversie in materia di lavoro ed in
tale contesto fu operata la qualifica della RAI in senso privatistico, peraltro senza esaminare in
modo specifico la pluralità degli elementi utilizzati da Sez. Un., n. 27092/2009 per l’attribuzione
della natura di ente pubblico ai fini dell’affermazione della giurisdizione contabile.
Va, però, precisato che tra gli elementi individuati dalle tre sentenze relative a società aventi statuto
giuridico speciale, non tutti sembrano essere sintomatici della natura di ente pubblico.
Tale considerazione vale, innanzitutto, per la qualifica di organismo di diritto pubblico.
Come precisato da Sez. Un., n. 3692/2012, richiamando Sez. Un. n. 14655/2011, tale qualifica “non
è di ostacolo alla giurisdizione del giudice ordinario per danni inferti direttamente al patrimonio
della società per azioni, (…) perché si tratta di istituti che operano su piani differenti e quindi
rispondono a diversi principi normativi ed a diverse finalità. Segnatamente il primo attiene alla
disciplina di derivazione comunitaria in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza
pubblica di appalti e quindi di scelta da parte della società del contraente privato, mentre la
seconda alla responsabilità amministrativa-risarcitoria dell'amministratore o del dipendente nei
confronti della società”.
Parimenti, non sembrano essere sintomatici della natura di ente pubblico anche i seguenti
elementi:
1. costituzione previa autorizzazione ministeriale, in quanto l’autorizzazione non è elemento
idoneo a mutare da privata a pubblica la natura dell’attività svolta;
2. designazione “ex lege” della società quale concessionaria di un servizio pubblico essenziale,
in quanto anche società con partecipazione pubblica non totalitaria e non soggette a statuto
giuridico speciale possono svolgere servizi pubblici essenziali (si pensi al servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani svolto da società mista) e tale circostanza non è mai
stata ritenuta dalla giurisprudenza determinante ai fini della devoluzione della controversia
alla giurisdizione contabile.
In definitiva, ai fini dell’assimilazione dalla RAI s.p.a. ENAV s.p.a. e Casinò Municipale di
Campione d’Italia s.p.a. ad una pubblica amministrazione, oltre alla partecipazione totalitaria della
società da parte di enti pubblici, appaiono determinanti gli altri elementi individuati dalla
giurisprudenza e precisamente:
a) la sottoposizione a penetranti poteri di vigilanza da parte di una pubblica amministrazione
con poteri di indirizzo della gestione;
b) la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti;
c) la sottoposizione alle norme sulla contabilità generale dello Stato in materia di bilancio;
d) la copertura dei costi del servizio con somme provenienti da imposte di scopo o comunque
lo svolgimento di primarie attività sociali con oneri “ex lege” totalmente a carico dello Stato
o di altri enti pubblici;
e) la presenza di vincoli normativi alla destinazione dei proventi dell’attività, anche in deroga
alle ordinarie regole di distribuzione degli utili, ai fini dell’utilizzo di finalità di interesse
generale.
In tutti questi casi – a ben vedere - è il regime di “governance” della società, per quanto riguarda
l’amministrazione, i controlli e la distribuzione degli utili, che subisce significative deroghe rispetto
a quello previsto in via ordinaria dal codice civile, per assumere caratteristiche prossime, anche se
non identiche, a quello degli enti pubblici che giustificano, secondo un approccio di tipo
“sostanzialista”, una qualifica che superi la veste formale societaria.
Il criterio della ricerca degli indici di assimilabilità agli enti pubblici è alla base, evidentemente,
anche delle decisioni che hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di
responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte diretta a far valere la
responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio delle società "in
house"; a tali società, infatti, è stata attribuita natura speciale in considerazione della mancanza di
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alterità soggettiva e di potere decisionale rispetto all’ente pubblico partecipante, ed hanno assunto
funzione di indici di assimilabilità all’ente pubblico i tre parametri (natura esclusivamente pubblica
dei soci, esercizio dell'attività in prevalenza a favore dei soci stessi e sottoposizione ad un controllo
corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici) individuati dalla
giurisprudenza comunitaria come qualificanti tale tipo societario, operazione che soddisfa il
requisito della “interpositio legislatoris”, considerato che “ l'interpretazione del diritto comunitario
adottata dalla Corte di giustizia, ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia
pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il
valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme
comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga
omnes nell'ambito della Comunità” (Cass. civ., Sez. 5, n. 22577 del 2012).
La soluzione di fondare il riparto di giurisdizione sulla ricerca degli indici di assimilabilità agli enti
pubblici sembra, del resto, essere accolta dalla prevalente dottrina, sia pure con alcune critiche.
Si osserva, che “il mero nome può non essere decisivo, ma, per stabilire se ciò che abbiamo dinanzi
è davvero una società, occorre essenzialmente guardare al modo in cui l'ente è costruito, come è
disciplinata la sua organizzazione, quali i rapporti esistenti al suo interno tra i diversi organi che vi
operano: in una parola, a quella che con una parola entrata ormai di moda si suole chiamare la sua
"governance". Con l’ulteriore precisazione che
“neppure l'eventuale divergenza causale di una società affidataria di servizi pubblici rispetto allo scopo
lucrativo tipico della società di capitali basta a far concludere che, essendo stato nondimeno adoperato a quel
fine lo strumento societario, la natura giuridica e le regole strutturali e di governance dell'ente divengano
diverse da quelle proprie di una società disciplinata dal codice civile. Proprio perché all'interno della figura
giuridica della società ormai possono convivere anche scopi che non sono lucrativi, onde la configurazione
societaria tende a diventare neutra rispetto al possibile scopo, il solo fatto che una determinata società sia
costruita per uno scopo diverso da quello lucrativo probabilmente non basta ad affermare che non si
tratta di una vera società.
Nel medesimo ordine d'idee mi pare si dovrebbe altresì ricordare un'ulteriore norma del codice civile, della
quale invece spesso ci si dimentica, contenuta nell'art. 2461 (2451 nella formulazione originaria), la quale,
sia pure nei limiti di compatibilità con le leggi speciali, rende applicabile la disciplina generale dello stesso
codice civile anche alle società di interesse nazionale, benché sia evidente che l'interesse nazionale è un
fatto che può incidere sull'elemento causale della società sino a svuotarne o a piegarne significativamente il
semplice scopo di lucro, in vista di uno scopo di interesse nazionale che è altra cosa”.
II. Il criterio della ricerca degli indici di assimilabilità agli enti pubblici può essere utilizzato per
verificare se vi siano ulteriori ipotesi in cui la particolare disciplina legale determina la natura
meramente formale della veste societaria rivestita, a fronte di quella sostanziale di ente pubblico.
Tale metodo è coerente con il principio della necessaria “interpositio” del legislatore costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della individuazione delle
attribuzioni della Corte dei Conti (da ultimo, cfr. sentenza n. 355 del 2010 ed ivi rif.) – in quanto
nella disciplina sostanziale rimessa al legislatore rientrano le apposite qualificazioni legislative e le
puntuali specificazioni riferite non soltanto all'oggetto della controversia, ma anche ai soggetti
responsabili (sent. n. 641 del 1987).
Tuttavia, come già emerso dall’analisi della giurisprudenza che ha fatto applicazione del criterio,
appare evidente la difficoltà di individuare indici sufficientemente certi e predeterminati in base ai
quali stabilire quando disposizioni di carattere speciale relative ad una società a partecipazione
pubblica attribuiscano ad essa una “chiara impronta pubblicistica”.
In via generale, fatte salve specifiche società oggetto di disciplina normativa “ad hoc”, tale
operazione ermeneutica può riguardare quattro situazioni problematiche di carattere generale.
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II.a) Le società strumentali.
E’ pacifico che la disciplina di cui all’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 – salve le diverse opzioni
circa le ricadute di sistema - si riferisce alle società strumentali (cfr. Corte costituzionale, ordinanza
23 luglio 2013, n. 229) cioè a quelle società che producono beni o servizi strumentali alle pubbliche
amministrazioni.
Il riconoscimento di tale figura, come è noto, è stato fatto dalla Corte costituzionale in diverse
occasioni (sentenze n.n. 363 del 2003, 29 del 2006, 326 del 2008 e 148 del 2009).
In particolare, va richiamata la sentenza 1 agosto 2008, n. 326 che, nel dichiarare la infondatezza
della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (recante, in particolare, al comma
1, la previsione che “ al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di
assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente
pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la
produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con
esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza
apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni
aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti
dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza,
devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni
a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono
partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale”) affermò
“Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività
d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni
di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta
in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi
è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza. Le disposizioni
impugnate mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività
amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può
godere in quanto pubblica amministrazione. Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli
enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative,
rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza”.
La sentenza delle Sezioni Unite 25 novembre 2013, n. 26283 afferma:
“le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. 7
agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti
dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano
dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. - che s'è visto essere coerente con l'inquadramento
generale di tali enti, per tutto il resto, nel novero delle società azionarie soggette alla disciplina privatistica ed, anzi, il comma 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente
stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina
del codice civile in materia di società di capitali". Il che dimostra con evidenza come non possa essere in
alcun modo attribuita una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale
disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente comma 12, per la quale gli amministratori
ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti,
"rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contrati stipulati".
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Seguendo tale impostazione, si dovrebbe concludere che per le società strumentali la responsabilità
contabile si configura soltanto nelle ipotesi espressamente previste dal comma 12, cioè nel caso di
violazione delle limitazioni alle assunzioni ed al trattamento economico dei dipendenti delle società
partecipate previste dai precedenti commi 9, 10 e 11.
Questa soluzione non convince.
In primo luogo, tali violazioni non costituiscono un illecito avente un carattere di specialità rispetto
ad altre condotte omologhe, comunque appartenenti al medesimo “genus” della “mala gestio”,
quali, ad esempio, l’affidamento illecito di incarichi di consulenza, acquisti del tutto inutili o
dannosi per l’ente, o l’erogazione di trattamenti retributivi o di fine rapporto non dovuti.
Qualora si confermasse l’orientamento affermatosi a partire dalla nota sentenza n. 26806 del 2009,
si dovrebbe ammettere la incongrua soluzione che, per fatti appartenenti al medesimo “genus” e che
pacificamente provocano un danno al patrimonio della società partecipata, sono esercitabili, a tutela
della parte pubblica, due azioni tra loro del tutto distinte e precisamente: l’azione contabile, per le
condotte costituenti violazione dei commi 9/11 dell'art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 e l’azione
sociale di responsabilità prevista dal codice civile per le altre, delle quali, a chiare lettere, fu
affermata l’incompatibilità con la predetta sentenza n. 26806/2009.
D’altra parte, anche prescindendo dall’applicazione dell’art. 4, comma 12, la giurisdizione contabile
in tutte le ipotesi di responsabilità degli amministratori e dipendenti delle società strumentali, è
stata sostenuta in dottrina con la considerazione che dalle citate pronunce della Corte costituzionale
relative alle società pubbliche a carattere strumentale si evince che esse “ a differenza delle altre,
erogano, alle sole amministrazioni partecipanti e/o affidanti, tutti quei beni e servizi erogati da
società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente di
riferimento, attività dunque rivolte alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come accade
per i pubblici servizi“.
Si comprende, quindi, perché le società pubbliche a carattere strumentale “ non solo possono, ma
debbono sottostare, proprio per impedire alterazioni o distorsioni della concorrenza, al regime
dell'attività amministrativa differenziato rispetto alle società di mercato. Sicché, disvelando le stesse
la loro natura sostanziale di ente pubblico, il pm contabile potrebbe promuovere l'azione di
responsabilità ipotizzando anche un danno arrecato direttamente al patrimonio della società (che
quindi in realtà è da configurarsi come danno ad un patrimonio pubblico) e non solamente
all'ente pubblico titolare delle quote sociali. Salvo restando il principio che tale azione convive
pienamente, senza intervenire impedimenti che non siano il perdurante interesse ad agire, con le
parallele azioni di responsabilità che fossero promosse anche contemporaneamente davanti
all'autorità giudiziaria ordinaria all'ente del codice civile“.
II.b) Gli amministratori nominati a norma dell’art. 2449 c.c.
L’inquadramento da parte delle Sezioni Unite delle disposizioni dell’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n.
95 che dettano regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei
consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, all’interno
della logica da cui è già ispirato l’art. 2449 c.c., e la considerazione che la Corte costituzionale ha
qualificato l’art. 4 cit. “norma di finanza pubblica” (ordinanza 23 luglio 2013, n. 229) induce ad un
ripensamento circa la appartenenza alla giurisdizione contabile delle azioni nei confronti degli
amministratori nominati in base alle previsioni del comma 1 dell’art. 2449 c.c. (secondo cui “Se lo
Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato
del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di
amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla
partecipazione al capitale sociale”, mentre il comma 2 prevede: “Gli amministratori e i sindaci o i
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componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del primo comma possono essere
revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati”).
Si osserva in dottrina:
A) La disposizione richiamata, secondo un'interpretazione rimasta minoritaria, conterrebbe una norma di
diritto pubblico che, in virtù di interessi pubblici connessi all'attività di impresa, disciplinerebbe una
eccezionale dipendenza pubblicistica sugli amministratori al fine di generare un influsso costante sull'attività
dell'organo gestorio della società per azioni. La nomina da parte del socio pubblico degli amministratori di
società partecipate ai sensi del codice civile, conseguentemente, sarebbe da ricondurre nel novero dei
provvedimenti amministrativi e il rapporto amministratore - ente pubblico azionista dovrebbe ritenersi
regolato e ispirato ai principi che reggono l'attività amministrativa di interesse generale.
B) La sussistenza di un interesse pubblico nella società è, tuttavia, negata dai fautori della tesi privatistica,
tra cui la giurisprudenza ordinaria e parte di quella amministrativa, che, dunque, escludono la configurazione
stessa di una dipendenza pubblicistica dell'amministratore nei confronti dell'ente nominante.
In base a questa seconda tesi, nella disposizione del codice civile, in sostanza, si riscontrerebbe soltanto la
possibilità di attribuire, per via statutaria, un privilegio all'ente pubblico in virtù della sua
partecipazione societaria. Tale privilegio si concreta nell'attribuzione di un potere privato, che viene
sottratto all'assemblea dei soci al quale spetta ordinariamente. Si tratterebbe, dunque, unicamente, di un caso,
normativamente previsto, di sostituzione di un soggetto ad un altro nello svolgimento di un'attività di
relazione con i terzi, in virtù del quale l'imputazione giuridica dell'atto rimane in capo alla società, ma la
titolarità del relativo potere viene traslata dall'organo assembleare ad un soggetto diverso, il socio pubblico.
Analogamente il rapporto che si instaura a seguito dell'atto di nomina e di revoca degli amministratori
è riconducibile ad un rapporto di diritto privato, all'interno del quale la posizione degli amministratori di
nomina pubblica non differisce da quella degli amministratori nominati secondo le forme ordinarie. Sia
nell'ipotesi di nomina pubblica, sia nel caso di nomina da parte dell'assemblea, infatti, sebbene diverso sia il
soggetto che esercita il potere, analogo è il tipo di atto che viene compiuto e analoghi sono gli effetti
giuridici che esso produce.
La previsione di cui all'art. 2449 c.c., in sostanza, non divergerebbe da quella di cui all'art. 2468 c.c. in
materia di società a responsabilità limitata, in cui il legislatore fa salva la possibilità che l'atto costitutivo
preveda l'attribuzione a singoli soci "di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la
distribuzione degli utili".
La qualifica dell’art. 2449 c.c. come norma di diritto pubblico è stata ripresa in dottrina
all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite del 2009 con le seguenti considerazioni:
“ (…) la sentenza non tiene conto degli sviluppi recenti dell'ordinamento in tema di rapporti tra l'ente
pubblico e gli amministratori di nomina pubblica in seno alle società partecipate. Ai sensi dell'art. 2449,
secondo comma, cod. civ., sussiste per tutti gli amministratori l'obbligo di perseguire l'interesse sociale; non
di meno, per gli amministratori di nomina pubblica sussiste, altresì, l'obbligo, siccome sottoposti ai poteri di
indirizzo e vigilanza dell'ente pubblico, di perseguire gli obiettivi loro impartiti al fine di orientare l'attività
sociale verso i fini pubblici e di assicurare un corretto uso delle risorse pubbliche investite. Risulta, pertanto,
assai difficile, in presenza di un rapporto fiduciario di tal natura tra l'ente pubblico e l'amministratore,
negare l'esistenza di una relazione organizzatoria idonea a configurare un rapporto di servizio. Di
conseguenza, pare assai problematico negare in radice un giudizio di responsabilità amministrativa degli
amministratori e dei dipendenti ogniqualvolta dal comportamento dei medesimi scaturisca un danno al
patrimonio sociale che ridondi quale perdita finanziaria per l'ente pubblico”.
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II.c) Le società a totale partecipazione pubblica.
L’art. 2 del D.L. 7 maggio 2012, n. 52, considera espressamente le società a totale partecipazione
pubblica come “amministrazioni pubbliche”:
“ 1. Nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica ed ai fini di coordinamento della finanza
pubblica, di perequazione delle risorse finanziarie e di riduzione della spesa corrente della pubblica
amministrazione, garantendo altresì la tutela della concorrenza attraverso la trasparenza ed economicità delle
relative procedure, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle
finanze e del Ministro per i rapporti con il Parlamento delegato per il programma di Governo, può nominare
un Commissario straordinario, al quale spetta il compito di definire il livello di spesa per acquisti di beni e
servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario svolge anche compiti di
supervisione, monitoraggio e coordinamento dell'attività di approvvigionamento di beni e servizi da
parte delle pubbliche amministrazioni, anche in considerazione dei processi di razionalizzazione in atto,
nonché, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività di ottimizzazione, in collaborazione
con l'Agenzia del demanio, dell'utilizzazione degli immobili di proprietà pubblica, anche al fine di ridurre i
canoni e i costi di gestione delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario collabora altresì con il Ministro
delegato per il programma di governo per l'attività di revisione della spesa delle pubbliche amministrazioni.
2. Tra le amministrazioni pubbliche sono incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti,
organismi, uffici, agenzie o soggetti pubblici comunque denominati e gli enti locali, nonché le società a
totale partecipazione pubblica diretta e indiretta e le società non quotate controllate da soggetti pubblici
nonché, limitatamente alla spesa sanitaria, le amministrazioni regionali commissariate per la redazione e
l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario. Alle società a totale partecipazione pubblica e alle
loro controllate che gestiscono servizi di interesse generale su tutto il territorio nazionale la disciplina del
presente decreto si applica solo qualora abbiano registrato perdite negli ultimi tre esercizi. Ciascuna
amministrazione può individuare, tra il personale in servizio, un responsabile per l'attività di
razionalizzazione della spesa pubblica di cui al presente decreto; l'incarico è svolto senza corresponsione di
indennità o compensi aggiuntivi”.
La sentenza delle Sezioni Unite 25 novembre 2013, n. 26283 afferma che l'inclusione delle società a
partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di
supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata
al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2,
(convertito con modificazioni dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), è ispirata dall'esigenza di evitare
aggravamenti anche solo indiretti della spesa pubblica, ma non consente certo sol per questo di
qualificare ad ogni effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma
si riferisce.
Resta, quindi, confermato – seguendo tale impostazione - il principio che il danno di cui si pretende
il ristoro è da ritenersi riferito al patrimonio sociale, cioè ad un patrimonio che, non potendosi
quello della società confondere con quello dei soci, appartiene alla società medesima, che non
diviene essa stessa un ente pubblico solo per il fatto di essere partecipata da un ente pubblico, anche
se totalitaria (principio affermato da ultimo da Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10299 e 25 maggio
2013, n. 7374).
Tuttavia, occorre considerare quanto segue.
1) la norma si inserisce in un sistema normativo che prevede per tutte le società partecipate
speciali forme di vigilanza e controllo, nonché di integrazione contabile con quella dell’ente
partecipante e di omologazione nelle esigenze di risparmio della spesa, che si giustificano
proprio per la specificità riconosciuta alle società partecipate rispetto a quelle
ordinariamente previste dal codice civile. In tale prospettiva, l’art. 2 del D.L. 7 maggio
2012, n. 52 ha una portata definitoria di carattere generale e non si limita ad individuare i
15
soggetti cui si riferiscono le disposizioni in tema di razionalizzazione della spesa pubblica si
cui all’art. 2 del d.l. 7 maggio 2012, n. 52.
2) Già in passato l’assimilazione ad una amministrazione pubblica, nonostante la veste formale
di società per azioni, è stata effettuata per società partecipate in via totalitaria da enti
pubblici [in tema di RAI s.p.a., Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n.
5032/2010; in tema di Casinò Municipale di Campione d'Italia s.p.a., Sez. Un., n.
8429/2010; Ord., 24-11-2009, n. 24672 che ha affermato la giurisdizione contabile in un
giudizio di responsabilità nei confronti di alcuni dipendenti della Cotral spa - Azienda
regionale di Trasporto - a totale partecipazione pubblica; Ord., 09-05-2011, n. 10063, cit.,
che ha affermato la giurisdizione contabile in un giudizio di responsabilità nei confronti di
un membro del consiglio di amministrazione e presidente del collegio sindacale della Trieste
Expo Challenge 2008, “società consortile per azioni costituita da enti pubblici, con capitale
interamente pubblico (Provincia di Trieste, Comune di Trieste, Camera di Commercio di
Trieste), per perseguire finalità proprie di tali enti pubblici (promozione candidatura della
città di Trieste quale sede per l'Expo 2007 (poi 2008)”].
3) Va, infine, sottolineata la diversa valenza di tale definizione rispetto a quella di organismo
di diritto pubblico.
Quest’ultima, infatti, si applica alle società partecipate non tanto per caratterizzarne la
gestione in termini derogatori rispetto al codice civile, quanto, piuttosto, per attuare la regola
dell’evidenza pubblica anche in relazione all’attività di tali soggetti, in funzione
evidentemente espansiva della garanzia di trasparenza e di tutela della concorrenza e del
mercato. Ed è coerente con tale impostazione la conclusione che la qualifica quale
organismo di diritto pubblico di una società partecipata, anche in via totalitaria, non è di
ostacolo alla giurisdizione del giudice ordinario per danni inferti direttamente al patrimonio
della società per azioni (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 3692 del 09/03/2012 ed Ordinanza n.
8511 del 29/05/2012, entrambe riferite a Poste Italiane S.p.A.).
Al contrario, la definizione di amministrazione pubblica prevista dall’art. 2 del D.L. 7
maggio 2012, n. 52, cit., è strettamente connessa ad un aspetto gestionale centrale della
società, quale è quello del concorso alla razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e
servizi ed è, quindi, diretta conseguenza dello speciale regime di “governance” che
caratterizza l’ente.
II.d) Le altre società a partecipazione pubblica.
Il dato comune che si ricava dall’articolato quadro normativo di recente emersione è che le società
partecipate sono state, a vario titolo, ma costantemente, prese in considerazione dalla manovre di
razionalizzazione della spesa pubblica e di rafforzamento della trasparenza amministrativa.
Orbene, anche accedendo alla soluzione delle Sezioni Unite di negare a tali norme valenza nel
complesso ricognitiva della specificità delle società partecipate e procedendo ad un esame (non
unitario ma) parcellizzato di esse, possono individuarsi come rilevanti, quantomeno a partire dalla
loro entrata in vigore, due elementi normativi che incidono in modo stringente sulla specificità
della“governance” di tali società:
 l’introduzione di norme in tema di controllo e coordinamento delle relative previsioni di
bilancio con quelle dell’ente pubblico partecipante;
 l’obbligatoria revisione dei contratti di servizio.
Previsioni, queste, che, per le rilevanti deroghe al principio di autonomia privatistica (sia
contrattuale, che gestionale) si giustificano solo ritenendo che il legislatore abbia implicitamente
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riconosciuto la specialità di tali società e la loro equiparazione funzionale agli enti pubblici ad esse
partecipanti.
Sul primo versante, il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, L. 7 dicembre 2012, n. 213, all’art. 3, al fine di rafforzare i controlli in materia di enti
locali, ha sostituito l'articolo 147 del TUEL con gli articoli 147/147-quater.
In particolare, l’art. 147-quater di nuova introduzione disciplina i controlli sulle società partecipate
non quotate, prevedendo:
“1. L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società
non quotate, partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente
locale, che ne sono responsabili.
2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1 del presente articolo, l'amministrazione definisce
preventivamente, in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la
società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo
finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale
e organizzativa della società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui
vincoli di finanza pubblica.
3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico
sull'andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati
e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari
rilevanti per il bilancio dell'ente.
4. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate sono
rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli enti locali con popolazione superiore a 100.000
abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai
sensi dell'articolo 2359 del codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al
presente articolo si intendono le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati”.
L’art. 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, cit., ha poi introdotto significative modifiche al TUEL.
In particolare, sono stati aggiunti:
 l’art. 148-bis (“1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci
preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali ai sensi dell'articolo 1, commi 166 e seguenti,
della legge 23 dicembre 2005, n.266, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto
di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119,
sesto comma, della Costituzione, della sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità,
suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. 2. Ai
fini della verifica prevista dal comma 1, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
accertano altresì che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in
società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività locale e di
servizi strumentali all'ente”);
 nell'articolo 243, dopo il comma 3, il comma 3-bis (“ I contratti di servizio, stipulati dagli enti
locali con le società controllate, con esclusione di quelle quotate in borsa, devono contenere
apposite clausole volte a prevedere, ove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la
riduzione delle spese di personale delle società medesime, anche in applicazione di quanto
previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008”);
 dopo l'articolo 243, l’art. 243-bis che, al comma 5 prevede che “il consiglio dell'ente locale, entro il
termine perentorio di 60 giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un
piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni, compreso quello
in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario”, ed al comma 8, lett. f)
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prevede che “al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo
di durata del piano, l'ente (…) è tenuto ad effettuare una rigorosa revisione della spesa con
indicazione di precisi obiettivi di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione
dei costi di tutti i servizi erogati dall'ente e della situazione di tutti gli organismi e delle società
partecipati e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell'ente”.
Rispetto a tale articolato quadro normativo, la sentenza 25 novembre 2013, n. 26283 prende in
esame il solo nuovo articolo 147-quater T.U.E.L. per affermare che anche tale disposizione è dettata
dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa pubblica, ma non consente
certo sol per questo di qualificare ad ogni effetto come enti pubblici le società a partecipazione
pubblica cui si riferisce.
Va ricordato che, l’elemento del controllo, quale fattore sintomatico della assimilazione degli
interessi tra ente pubblico e soggetto controllato, è enunciato anche dall’art. 6 del D.L. 6 luglio
2012, n. 95, cit., che, in tema di “rafforzamento della funzione statistica e del monitoraggio dei
conti pubblici”, dispone:
“1. Le disposizioni di cui ai commi 587, 588 e 589 dall'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006
(Legge Finanziaria 2007), costituiscono principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai
fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea e si applicano anche
alle Fondazioni, Associazioni, Aziende speciali, Agenzie, Enti strumentali, Organismi e altre unità
istituzionali non costituite in forma di società o consorzio, controllati da amministrazioni pubbliche statali,
regionali e locali indicate nell'elenco ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009,
n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica), e successive modifiche e integrazioni. Per controllo si
deve intendere la capacità di determinare la politica generale o il programma di una unità
istituzionale, se necessario scegliendo gli amministratori o i dirigenti.
Viene, quindi, ad essere enunciata una nozione di controllo di carattere dinamico, strettamente
connessa alla “governance” dell’ente controllato, attraverso la diretta incidenza sulla sua politica e
sui programmi, mediante la scelta degli amministratori o dirigenti.
Per quanto riguarda il secondo profilo, il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, recante “disposizioni
urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni”,
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 30 ottobre 2013, n. 125, prevede
all’art. 3-bis, inserito dalla legge di conversione, la revisione con riduzione del prezzo dei contratti
di servizio:
Le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al fine di
assicurare il contenimento della spesa, degli oneri a carico del bilancio consolidato e il migliore svolgimento
delle funzioni amministrative, possono provvedere alla revisione con riduzione del prezzo dei contratti di
servizio stipulati con le società, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati
regolamentati e delle società dalle stesse controllate, e con gli enti direttamente o indirettamente controllati,
con conseguente riduzione degli oneri contrattuali a carico della pubblica amministrazione.
In tale ipotesi le società e gli enti controllati procedono, entro i successivi novanta giorni, alla rinegoziazione
dei contratti aziendali relativi al personale impiegato nell'attività contrattualmente affidata, finalizzata alla
correlata riduzione degli istituti di salario accessorio e dei relativi costi.
La sentenza 25 novembre 2013, n. 26283 non prende in esame tale disposizione che, invece, appare
sintomatica della ridotta autonomia della società partecipata e della stretta compenetrazione – se
non vera e propria subordinazione - della sua attività gestionale rispetto a quella dell’ente pubblico
partecipante.
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Resta aperta la questione, considerando la natura innovativa e non interpretativa di tali norme, ma la
loro incidenza sulla effettiva trasformazione del regime di “governance” delle società partecipate, di
determinare il momento a partire dal quale tale fenomeno può dirsi compiuto (sembra che lo
stesso sia da individuare nell’entrata in vigore del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 e che, quindi, la
giurisdizione contabile riguardi gli illeciti commessi a partire dall’11 ottobre 2012).
4. Il recupero del rapporto di servizio.
I. La difficoltà di individuare indici sufficientemente certi e predeterminati in base ai quali stabilire
quando disposizioni di carattere speciale relative ad una società a partecipazione pubblica
attribuiscano ad essa una “chiara impronta pubblicistica” può trovare risposta nel recupero
dell’orientamento affermatosi prima delle Sezioni Unite del 2009, secondo cui “l'affidamento da
parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio
pubblico, integra una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto medesimo
nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica, conseguentemente,
l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, non rilevando, in
contrario, né la natura privatistica dello stesso, né la natura privatistica dello strumento
contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto” (Sez. Un., Sentenza n. 3899 del
2004, con riferimento alla responsabilità degli amministratori di società cui era stata affidata la
gestione del servizio relativo agli impianti e all'esercizio dei mercati annonari all'ingrosso di
Milano; Sez. Un., Sentenza n. 20886 del 2006, in relazione all’affidamento dei lavori di
realizzazione di una discarica per rifiuti solidi, affidati dal comune di Milano alla Azienda
municipalizzata per i Servizi ambientali).
Nella prima di tali decisioni si precisò che, fermo il carattere pubblico del servizio ed anche
escludendo che la società interessata “agisse come longa manus del Comune e quindi in una
situazione di compenetrazione organica (…):
 non può certamente negarsi che tra la suddetta società e l'ente territoriale si fosse stabilito un
rapporto di servizio, ravvisabile ogni qual volta sì instauri una relazione (non organica ma)
funzionale caratterizzata dall'inserimento del soggetto esterno nell'iter procedimentale dell'ente
pubblico come compartecipe dell'attività a fini pubblici di quest'ultimo. Rapporto di servizio che, per
costante giurisprudenza, implica l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia
di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando in contrario la natura privatistica
dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto
in questione (ex plurimis, Cass. ord., 22 gennaio 2002 n. 715);
 è appena il caso di aggiungere che non rileva in questa sede la problematica (…) in tema di danno
subito in via diretta ed immediata dalla [società] ed in via mediata ed indiretta dal Comune solo in
sede di ripartizione degli utili, trattandosi di questione non di giurisdizione ma di merito, estranea al
presente giudizio, volto esclusivamente a determinare, nel caso di specie, i limiti esterni della
giurisdizione contabile (e non l'esercizio di tale giurisdizione, cui appartiene l'accertamento in
concreto dell'esistenza o meno di un danno erariale risarcibile)”.
La sentenza delle Sezioni unite n. 26806 del 2009 ritenne le affermazioni contenute nella sentenza
n. 3899/2004 non del tutto univoche “ perché si ha cura di specificare, per un verso, che l'elemento
determinante della decisione era costituito, in quel caso, dal rapporto di servizio intercorrente tra
la società privata ed il comune (piuttosto che dal rapporto partecipativo e dal conseguente
investimento di risorse finanziarie pubbliche nel patrimonio della società privata) e, per altro
verso, che la questione se il danno subito dal comune partecipante alla società fosse diretto, o
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meramente riflesso, rispetto a quello arrecato al patrimonio sociale, costituiva un profilo estraneo
al giudizio sui limiti della giurisdizione”.
In particolare, osservarono le Sezioni unite:
a) “non sembra si possa prescindere dalla distinzione tra la posizione della società partecipata, cui
eventualmente fa capo il rapporto di servizio instaurato con la pubblica amministrazione, e quella
personale degli amministratori (nonché dei sindaci o degli organi di controllo della stessa società): i
quali, ovviamente, non s'identificano con la società, sicché nulla consente di riferire loro, sic et
simpliciter, il rapporto di servizio di cui la società medesima sia parte. Nel caso in cui l'azione sia
proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società, non solo, come detto, non è
configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e l'amministratore (o
componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso
dall'atto di mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno
erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente
pubblico che della suindicata società sia socio;
b) l'esattezza di tale conclusione trova conferma anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un
soddisfacente coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi
giudice contabile e l'esercizio delle surriferite azioni di responsabilità (sociale e dei creditori
sociali) contemplate dal codice civile. L'azione del procuratore contabile ha presupposti e
caratteristiche completamente diverse dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali
contemplate dal codice civile: basta dire che l'una è obbligatoria, le altre discrezionali; l'una ha
finalità essenzialmente sanzionatoria (onde non implica necessariamente il ristoro completo del
pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso
controllo del vigilante), le altre hanno scopo ripristinatorio; l'una richiede il dolo o la colpa grave, e
solo in determinati casi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; per
le altre è sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli
eredi. D'altronde, almeno in tutti i casi nei quali vi siano anche soci privati la cui partecipazione è
suscettibile di subire danno per effetto del comportamento illegittimo degli organi sociali, sarebbe
impossibile escludere l'esperibilità degli ordinari strumenti di tutela approntati dal codice civile a
beneficio della società (e dei soci privati, nonché eventualmente dei creditori). E però, se si
ipotizzasse il possibile concorso tra l'azione del procuratore contabile e l'azione sociale di
responsabilità contemplata dal codice civile, occorrerebbe poter individuare il modo di disciplinare
tale concorso, stante la descritta diversità delle rispettive caratteristiche delle differenti azioni.
L'assenza del benché minino abbozzo di coordinamento normativo in proposito suona palese
conferma della non configurabilità, in simili situazioni, di un'azione diversa da quelle previste dal
codice civile, che sia destinata a ricadere nella giurisdizione del giudice contabile”.
Tale orientamento è stato costante dopo il 2009, con l’unica eccezione di Sez. Unite, Ord. n. 10063
del 2011, che ha affermato la giurisdizione contabile in un giudizio di responsabilità nei confronti di
un membro del consiglio di amministrazione e presidente del collegio sindacale della Trieste Expo
Challenge 2008 società consortile per azioni avente ad oggetto la promozione della candidatura
della città di Trieste quale sede per l'Expo 2007 (poi 2008), nonché di altri membri del collegio
sindacale ed altri consiglieri di amministrazione di detta società, al pagamento in favore della
Provincia di Trieste, del Comune di Trieste e della Camera di Commercio di Trieste, di una somma
pari al compenso che negli anni 2003 e 2004 era stato indebitamente percepito dal presidente del
collegio sindacale il quale versava in situazione di incompatibilità rispetto a tale carica.
La decisione rilevò che
“per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento - o almeno di un grave indebolimento - della
giurisdizione della corte contabile in punto di responsabilità, occorre privilegiare un approccio più
sostanzialistico, sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identificava l'elemento fondante
della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica dell'agente, un criterio oggettivo
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che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
Pertanto, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver
riguardo al rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione tenendo conto che per tale può
intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un
soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece
un'attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione o
contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica
(Sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; 31 gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006, n.
22513; 5 giugno 2000, n. 400; Sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611, ed altre conformi).
L'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di
un servizio pubblico integra quindi una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto
medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica, conseguentemente,
l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla
natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed
attuato il rapporto (Sez. un. 27 settembre 2006, n. 20886; 1 aprile 2008, n. 8409; 1 marzo 2006, n. 4511; 19
febbraio 2004, 2004, n. 3351), anche se l'estraneo venga investito solo di fatto dello svolgimento di una data
attività in favore della pubblica amministrazione (Sez. un. 9 settembre 2008, n. 22652) ed anche se difetti
una gestione del danaro secondo moduli contabili di tipo pubblico o secondo procedure di rendicontazione
proprie della giurisdizione contabile in senso stretto (Sez. un. 12 ottobre 2004, n. 20132). Lo stesso dicasi per
l'accertamento della responsabilità erariale conseguente all'illecito o indebito utilizzo, da parte di una società
privata, di finanziamenti pubblici (Sez. un. 5 giugno 2008, n. 14825, e Sez. un., n. 4511/06); o per la
responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica,
quando la concessione investe il privato dell'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la
qualifica di organo indiretto dell'amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest'ultima
(Sez. un., n. 4112/07, cit.).
Nella medesima ottica, a partire dal 2003, le sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto spettare alla Corte
dei conti, dopo l'entrata in vigore dalla L. n. 20 del 1994, art. 1, u.c. la giurisdizione sulle controversie
aventi ad oggetto la responsabilità di privati funzionari di enti pubblici economici (quali, ad esempio, i
consorzi per la gestione di opere) anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell'ordinaria attività
imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell'espletamento di funzioni pubbliche o
comunque di poteri pubblicistici (Sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667). Si è sottolineato che si esercita
attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche
quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie
dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la
conseguenza - si è precisato - che, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione
della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica
amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta
produttiva del danno (Sez. un., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1 marzo 2006, n. 4511;
Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367)”.
Ad entrambi gli argomenti contrari alla configurabilità di un rapporto di servizio può darsi
adeguata risposta.
II. Il superamento del primo argomento: configurabilità di un rapporto di servizio.
a. Va ricordata la nozione ampia di rapporto di servizio, che è, come noto, configurabile anche
quando il soggetto, benché estraneo alla pubblica amministrazione, venga investito, anche di fatto,
dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della pubblica
amministrazione, con inserimento nell'organizzazione della medesima, e con particolari vincoli ed
21
obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell'attività stessa alle esigenze generali cui è
preordinata.
b. L’intera disciplina di recente emersione ha sancito definitivamente il principio di assimilazione
tra società a totale o parziale partecipazione dell’ente pubblico ed ente stesso, secondo uno schema
tipico della c.d. coamministrazione, ravvisabile quando più soggetti, sia pure distinti, operano in
modo coordinato per l’espletamento della medesima funzione o servizio (per analoga impostazione
dei rapporti tra enti in tema di coamministrazione, si rinvia alla disciplina della tutela degli interessi
finanziari UE ed alla enunciazione del principio di assimilazione da parte dell’art. 325 del Trattato
UE). In proposito, vanno ricordate le ordinanze delle Sezioni Unite n. 20701 e n. 26935 del 2013
secondo cui:
•
•
sussiste la giurisdizione della Corte dei conti sulla domanda della procura contabile per la
restituzione alla Commissione europea delle somme erogate in via diretta, ed illecitamente
percepite, giacché l'azione di risarcimento dei danni erariali e la possibilità per le amministrazioni
interessate di promuovere le ordinarie azioni civilistiche di responsabilità restano - anche quando
investano i medesimi fatti materiali - reciprocamente indipendenti, integrando le eventuali
interferenze tra i giudizi una questione di proponibilità dell'azione di responsabilità innanzi al
giudice contabile e non di giurisdizione;
in caso di azione di responsabilità erariale promossa per la restituzione alla Commissione europea
dei contributi comunitari erogati in via diretta, l'alveo della giurisdizione del giudice contabile non è
limitato, ai sensi dell'art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, al solo danno arrecato allo Stato o ad
altro ente pubblico nazionale, ma si estende all'intero importo finanziato, attesa l'estensione
dell'ambito dell'azione di responsabilità operata dall'art. 1, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n.
20, di cui non è consentita una discriminazione applicativa in funzione del carattere sovranazionale
dell'amministrazione tutelata ovvero della natura del contributo erogato, dovendosi anzi - in
applicazione del principio di assimilazione, in forza del quale gli interessi finanziari europei
sono assimilati a quelli nazionali - assicurare, per la tutela dei medesimi beni giuridici, le stesse
misure previste dal diritto interno.
c. Lo strumento tipico che regolamenta l’attività di coamministrazione e che lega l’ente pubblico
alla società partecipata è rappresentato dal contratto di servizio, la cui centralità è stata confermata
dall’art. 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, che nell'articolo 243, dopo il comma 3, ha aggiunto il
comma 3-bis (“ I contratti di servizio, stipulati dagli enti locali con le società controllate, con
esclusione di quelle quotate in borsa, devono contenere apposite clausole volte a prevedere, ove si
verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di personale delle società
medesime, anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decretolegge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008”) e dal D.L. 31
agosto 2013, n. 101 che, all’art. 3-bis, inserito dalla legge di conversione, ha previsto la revisione
con riduzione del prezzo dei contratti di servizio.
d. Se è vero che il contratto di servizio si instaura tra la società partecipata e l’ente pubblico,
occorre però considerare che l’attuazione ed esecuzione di tale contratto è rimessa a soggetti
(amministratori, dirigenti e dipendenti) in rapporto organico con la società stessa.
La valorizzazione del rapporto organico, quale elemento che fonda la responsabilità contabile di
amministratori di società, costante nella giurisprudenza di questa Corte nell’ipotesi di
appropriazione e/o distrazione di contributi pubblici (ex multis, Sezioni unite, n. 295 del 2013: “
L'amministratore di una società privata destinataria di fondi pubblici, del quale si prospetti una
condotta di dolosa appropriazione dei finanziamenti, è soggetto alla responsabilità per danno
22
erariale e alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la società beneficiaria dell'erogazione
concorre alla realizzazione del programma della P.A., instaurando con questa un rapporto di
servizio, sicchè la responsabilità amministrativa attinge anche coloro che intrattengano con la
società un rapporto organico”; conforme Sezioni unite, n. 3310 del 2014).
e. Combinando il principio di assimilazione tra interessi dell’ente di controllo e quelli dell’ente
partecipato, con quello secondo cui tra quest’ultimo, gli amministratori e i dipendenti si instaura un
rapporto organico, si perviene alla conclusione che tale rapporto è funzionale al perseguimento ed
alla realizzazione di interessi comuni ad entrambi i soggetti e la cui attuazione trova fonte e
regolamentazione proprio nel contratto di servizio.
In definitiva, gli amministratori e i dipendenti della società partecipata devono orientare l'attività
sociale verso i fini pubblici e dare attuazione al contratto di servizio.
f. Occorre, quindi, distinguere tra il contratto di servizio che riguarda soltanto l’ente pubblico e la
società partecipata, ed il rapporto di servizio che riguarda tutti i soggetti operanti nella seconda ed
in una situazione di rapporto organico con essa e che insorge, “di rimbalzo”, essendo funzionale
all’attuazione ed esecuzione del contratto di servizio che lega i due enti.
IV. Il superamento del secondo argomento: il concorso tra l’azione contabile e quella
individuale del socio.
L’orientamento affermatosi nelle Sezioni Unite a partire dal 2009 trova conferma dell'esattezza
della conclusione cui perviene anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente
coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi giudice contabile e
l'esercizio delle surriferite azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal
codice civile.
Al riguardo, rilevato che diverse posizioni in dottrina ammettono la possibilità di concorso delle due
azioni, possono svolgersi tre ordini di considerazioni.
La prima è che il concorso tra azione civile ed azione contabile è generalmente ammesso [da
ultimo, cfr. Sez. Un., 7 gennaio 2014 n. 63: “l'esperibilità dell'azione di responsabilità
amministrativa da parte del Procuratore della Corte dei conti, anche dopo l'entrata in vigore
dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nei confronti dei dipendenti di un ente pubblico
economico (nella specie, l'Ente Poste privatizzato, con riguardo a fatti anteriori alla
trasformazione in società per azioni), non esclude la possibilità del datore di lavoro di promuovere
l'ordinaria azione civilistica di responsabilità, per violazione della disciplina contrattuale del
rapporto di lavoro privatistico, poiché la giurisdizione civile e quella contabile sono
reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo
fatto materiale, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di
esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”].
Va, poi, richiamato quanto affermato da Sez. Un., n. 3899 del 2004, secondo cui “non rileva in
questa sede la problematica (…) in tema di danno subito in via diretta ed immediata dalla [società]
ed in via mediata ed indiretta dal Comune solo in sede di ripartizione degli utili, trattandosi di
questione non di giurisdizione ma di merito, estranea al presente giudizio, volto esclusivamente a
determinare, nel caso di specie, i limiti esterni della giurisdizione contabile (e non l'esercizio di tale
giurisdizione, cui appartiene l'accertamento in concreto dell'esistenza o meno di un danno erariale
risarcibile)”.
Va, infine, rilevato che è lo stesso legislatore a confermare, implicitamente, la compatibilità delle
due azioni.
23
L’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135),
nella parte in cui, dopo aver dettato regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai
componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica
di cui al comma 1, prevede, al comma 12, che gli amministratori ed i dirigenti delle stesse, in caso
di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, "rispondono, a titolo di danno
erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contrati stipulati".
Orbene, le società di cui al comma 1 non sono soltanto quelle totalitarie, ma quelle “controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni per le quali tale comma, prima della
declaratoria di illegittimità costituzionale da parte di Ord. 23 luglio 2013, n. 229, prevedeva
alternativamente l’obbligo di scioglimento o di alienazione della partecipazione pubblica.
Sono incluse, quindi, anche le società a partecipazione maggioritaria.
Lo stesso art. 4, al comma 13, prevede poi che “per quanto non diversamente stabilito e salvo
deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di
capitali”.
Ciò significa che nelle società a partecipazione pubblica maggioritaria, per gli stessi fatti di “mala
gestio”, quale deve ritenersi l’assunzione di personale e l’erogazione di compensi in violazione
delle disposizioni di legge, il legislatore ammette (implicitamente) la possibilità di concorso tra
l’azione erariale da parte del socio pubblico (espressamente prevista) e quella ordinaria di
responsabilità da parte del socio privato (non espressamente esclusa e, quindi, implicitamente
consentita in base alla clausola di salvezza di cui al comma 13).
Trova, quindi, smentita, a livello normativo, l’affermazione delle Sezioni Unite del 2009 circa
l'impossibilità di realizzare, altrimenti (rispetto alla soluzione “pancivilistica” adottata), un
soddisfacente coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi giudice
contabile e l'esercizio delle surriferite azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali)
contemplate dal codice civile.
5. La natura interpretativa dell’art. 4, comma 12, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95.
Si è affermato che l’art. 4, comma 12, al pari dell’art. 2 del d.l. 7 maggio 2012, n. 52, hanno
carattere interpretativo (e non già innovativo) in quanto “ non fanno altro che ribadire e specificare
i canoni fondamentali, già fissati dalle norme generali (europee, costituzionali e ordinarie) prima
esaminate, e concretizzati da plurimi (e convincenti) arresti giurisprudenziali, in tema di
coordinamento e salvaguardia dell'integrità della finanza pubblica, complessivamente intesa,
nell'ottica del più generale rispetto dei vincoli imposti dalla UE: norme, in altri termini, che non
lasciano alcun residuo dubbio circa 1) la natura pubblica di determinati organismi, al di là della
forma giuridica o del nomen iuris per essi adottato; 2) ma, soprattutto, il carattere erariale dei
relativi danni, siccome inferti, in definitiva, al patrimonio pubblico” (Corte dei Conti, Sez. I
centrale Appello, n. 809/2012 ed altre conformi).
Le Sezioni Unite hanno, di contro, affermato la natura innovativa e speciale della norma, sia perché
si riferisce alle sole società strumentali, sia per la previsione dell’ultima parte del comma 13
(secondo cui “ le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere
speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso
che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la
disciplina del codice civile in materia di società di capitali”) la quale “ dimostra con evidenza come
non possa essere in alcun modo attribuita una valenza di ordine generale, che vada al di là della
specifica portata di tale disposizione eccezionale, alla previsione del precedente comma 12”.
La qualifica di norma interpretativa è preferibile per le seguenti ragioni.
24
In primo luogo, la tesi della natura innovativa e carattere eccezionale della norma implica che la
parte pubblica debba esercitare due azioni tra loro del tutto distinte: quella contabile, per le
condotte costituenti violazione dei commi 9/11 dell'art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 e quella
sociale di responsabilità prevista dal codice civile per gli altri fatti di “mala gestio” che provocano
un danno al patrimonio della società partecipata.
Tale soluzione appare incongrua, considerato che trattasi di condotte appartenenti al medesimo
“genus” e che, sovente, i fatti per i quali dovrebbe essere esercitata l’azione di responsabilità sono
di maggiore gravità (si pensi, per riprendere casi noti in giurisprudenza, all’affidamento illecito di
incarichi di consulenza, ad acquisti o creazione di società del tutto inutili o dannosi per l’ente, od
all’erogazione di trattamenti retributivi o di fine rapporto non dovuti e spropositati).
L’incongruenza viene meno se si ritiene che l’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 presuppone, ma
non determina una diversa natura delle società partecipate in via totalitaria o maggioritaria, con
conseguente natura interpretativa del comma 12 in tema di giurisdizione.
D’altra parte, la norma non risponde all’introduzione di un nuovo regime giuridico particolare per le
società cui si riferisce, ma introduce solo delle limitazioni alle assunzioni ed al trattamento
economico dei dipendenti. Essa si inserisce in un sistema normativo che prevede per tutte le società
partecipate speciali forme di vigilanza e controllo, nonché di integrazione contabile con quella
dell’ente partecipante e di omologazione nelle esigenze di risparmio della spesa, che si giustificano
proprio per la specificità riconosciuta alle società partecipate rispetto a quelle ordinariamente
previste dal codice civile.
Ciò trova conferma nell’ordinanza 23 luglio 2013, n. 229 con cui la Corte costituzionale ha
espressamente qualificato i recenti interventi normativi in tema di società con partecipazione
pubblica totalitaria o maggioritaria come di finanza pubblica.
In particolare:
- riguardo ai commi 4 e 5 dell'art. 4, (limitazioni ai consigli di amministrazione e disposizioni
affini) ha affermato che “le norme impugnate hanno (...) evidente attinenza con i profili
organizzativi degli enti locali, posto che esse coinvolgono le modalità con cui tali enti
perseguono, quand'anche nelle forme del diritto privato, le proprie finalità istituzionali.
Con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia, questa Corte ha già affermato che
«spetta al legislatore statale [...] disciplinare i profili organizzativi concernenti
l'ordinamento degli enti locali (art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.)»: pertanto, posto
che le società controllate sulle quali incide la normativa impugnata svolgono attività
strumentali alle finalità istituzionali delle amministrazioni degli enti locali, strettamente
connesse con le previsioni contenute nel testo unico degli enti locali, legittimamente su di
esse è intervenuto il legislatore statale (sentenza n. 159 del 2008)”;
- ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 e 12
dell'art. 4, in quanto “ disciplinano aspetti rilevanti del regime speciale che
contraddistingue le predette società pubbliche, inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti
ed al loro trattamento economico, nonché alle forme di responsabilità degli amministratori
e dirigenti. Esse - che peraltro perseguono evidentemente l'obiettivo del contenimento della
spesa in ordine ad un rilevante aggregato della stessa, qual è quello relativo al comparto del
personale, recando, pertanto, principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenza
n. 130 del 2012; sentenza n. 169 del 2007) - devono, dal punto di vista dell'oggetto,
ricondursi, sulla base degli argomenti svolti con riferimento ai commi 4 e 5, alla materia
dell' ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore statale”.
In questa prospettiva, l’art. 4, comma 12, ha l’effetto di risolvere le incertezze conseguenti
all’entrata in vigore dell’art. 16-bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, aggiunto dalla legge di
conversione 28 febbraio 2008, n. 31 ("Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati,
con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici,
25
inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e
dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute
esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario").
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26806/2009, pur rilevando che la norma non era “ratione
temporis” applicabile, riconobbero come tale norma lasciasse “chiaramente intendere che, in ordine
alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una
naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non si capirebbe,
altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per l'avvenire (e
limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al
50%), la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario”.
L’art. 16-bis conteneva, quindi, in sé, due statuizioni in punto di giurisdizione:
 una, esplicita, recante l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario per le
controversie in tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle “società
con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o
di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro
controllate”;
 l’altra, implicita, e di incerta perimetrazione, recante l’affermazione della giurisdizione
contabile nelle controversie in tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti
delle società partecipate diverse da quelle individuate dalla norma.
Veniva, quindi, implicitamente ammesso, attraverso la specifica enunciazione di una regola
contraria, che, con riferimento alle società partecipate, esisteva uno spazio appartenente alla
giurisdizione contabile, i cui confini sono stati chiariti dall’art. 4, comma 12, del D.L. 6 luglio 2012,
n. 95.
Tale soluzione non è smentita dalla previsione dell’ultima parte del comma 13, dell’art. 4, secondo
cui “ le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in
materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per
quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del
codice civile in materia di società di capitali”.
Infatti, l’applicabilità delle norme del codice civile ribadita dal comma 13, presuppone che ne
ricorrano le condizioni e non è automatica, né in sé riferibile alle azioni sociali di responsabilità.
6. Conclusioni.
In via principale, si ritiene che la controversia appartiene alla giurisdizione contabile essendo
configurabile un rapporto di servizio tra i ricorrenti ed il Ministero dell’economia e finanze
partecipante alla società (si rinvia al paragrafo 4).
Va ricordato, ai fini della configurabilità di tale rapporto è necessaria e sufficiente una relazione con
la pubblica amministrazione, caratterizzata per il tratto di investire un soggetto, altrimenti estraneo
all'amministrazione, del compito di porre in essere in sua vece un'attività, senza che rilevi né la
natura giuridica dell'atto di investitura, provvedimento, convenzione o contratto, ne' quella del
soggetto che la riceve, altra persona giuridica o fisica, privata o pubblica.
L’esistenza di un rapporto di servizio trova conforto nella natura interpretativa e non innovativa (si
rinvia al paragrafo 5) dell’art. 4, comma 12, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 e dell’art. 2 del d.l. 7
maggio 2012, n. 52 (la società in questione è a partecipazione totalitaria).
26
In via subordinata, si ritiene che la controversia appartiene alla giurisdizione contabile in quanto la
disciplina della società ANAS presenta plurimi indici di assimilabilità agli enti pubblici (si rinvia
per considerazioni generali al paragrafo 3).
L’ANAS è stato oggetto di una doppia fase di privatizzazione dell'originaria azienda di Stato,
intervenuta per effetto del D.Lgs. n. 143 del 1994 (trasformazione in ente pubblico economico) e
del D.L. n. 138 del 2002, convertito nella L. n. 178 del 2002, che all'art. 7, ha ulteriormente l’ente in
s.p.a. con partecipazione totalitaria dello Stato, tramite il Ministero dell'economia e finanze.
A seguito della trasformazione da ente pubblico economico in società per azioni, l’ANAS s.p.a.
svolge, in regime di concessione, assentita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa,
per quanto attiene agli aspetti finanziari, con il Ministero dell'economia e finanze, i compiti di cui
alle lettere da a) a g), nonché l), dell'articolo 2 del decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143 e
precisamente:
a) gestire le strade e le autostrade di proprietà dello Stato nonché alla loro manutenzione ordinaria e
straordinaria;
b) realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade
statali e della relativa segnaletica;
c) costruire nuove strade statali e nuove autostrade, sia direttamente che in concessione;
d) vigilare sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la
gestione delle autostrade il cui esercizio sia stato dato in concessione;
e) curare l'acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e l'incremento dei beni
mobili ed immobili destinati al servizio delle strade e delle autostrade statali;
f) attuare le leggi ed i regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade e delle autostrade
statali, nonché la tutela del traffico e della segnaletica; adottare i provvedimenti ritenuti necessari ai
fini della sicurezza del traffico sulle strade ed autostrade medesime; esercitare, per le strade ed
autostrade ad esso affidate, i diritti ed i poteri attribuiti all'ente proprietario;
g) effettuare e partecipare a studi, ricerche e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e
circolazione;
l) espletare, mediante il proprio personale, i compiti di cui al comma 3 dell'art. 12 del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e dell'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 16
dicembre 1992, n. 495 (attività di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di
circolazione stradale e la tutela e il controllo sull'uso delle strade).
Inoltre, secondo l’art. 7, comma 2, del D.L. n. 138 del 2002 “ L'ANAS s.p.a. approva i progetti di
cui al decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143. L'ANAS s.p.a. approva i progetti dei lavori
oggetto di concessione anche ai fini di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 26
febbraio 1994, n. 143, e ad essa compete l'emanazione di tutti gli atti del procedimento
espropriativo ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001,
n. 327”.
Lo stesso articolo 7:
 disciplina il contenuto necessario della convenzione di concessione tra il Ministero e
l'ANAS s.p.a., comprensivo delle “modalità di esercizio da parte del concedente dei poteri di
vigilanza e di indirizzo sull'attività del concessionario;
 prevede che sia tale concessione, sia lo statuto di ANAS s.p.a. siano approvati, anche per le
successive modifiche ed aggiornamenti, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, di intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, per quanto attiene agli
aspetti finanziari;
 conferma per ANAS Spa la sottoposizione al controllo della Corte dei conti, con le modalità
previste dall'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259;
 conferma, altresì, la possibilità di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.
27
Inoltre, l’organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è modulata al fine di
assicurare un penetrante controllo sull’attività dell’ANA s.p.a. In particolare, il D.P.R. 3 dicembre
2008, n. 211, applicabile “ratione temporis”, all’art. 5, comma 6, lettere d) ed e), demanda alla
Direzione generale per le infrastrutture stradali, rispettivamente “la predisposizione convenzione e/o
contratto di programma con ANAS S.p.A. e relativo monitoraggio degli interventi infrastrutturali” e
lo svolgimento delle “attività di indirizzo, vigilanza e controllo tecnico-operativo sull'ANAS e sui
gestori delle infrastrutture viarie appartenenti alla rete nazionale”, mentre all’art. 9, comma 2, lett.
e), prevede tra le competenze dei Provveditorati interregionali per le opere pubbliche il “supporto
all'attività di vigilanza sull'ANAS e sui gestori delle infrastrutture autostradali”.
Con riferimento a tale quadro normativo si è affermato (Cons. Stato, sez. IV, n.n. 1233e 5904 del
2011) che, nonostante la doppia fase di privatizzazione, “permangono in capo anche al nuovo
soggetto societario, soltanto organizzato e gestito in forma privatistica, sia le stesse connotazioni
pubblicistiche del pregresso ente pubblico economico, sia gli stessi diritti e poteri pubblicistici
propri dell'ente proprietario dei beni trasferiti - il cui regime resta espressamente regolato dagli
articoli 823 ed 829 c.c. - sia la sottoposizione, quale sostanziale soggetto pubblico, al controllo
della Corte dei Conti, sia la facoltà di avvalersi del patrocinio erariale per le liti attive e passive
(cfr., sulla natura sostanziale della nuova s.p.a., anche Cons. Stato, sez. IV, n. 1003 del 2006, che
riconosce ad ANAS la qualità di"organo indiretto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti").
Infatti, dalla lettura delle disposizioni in questione emerge che entrambi i legislatori hanno seguito
la comune intenzione, non nuova nel regolamento delle c.d. privatizzazioni di strutture pubbliche,
di scindere la proprietà dei beni dalla loro gestione, così che soltanto quest'ultima resti affidata al
nuovo soggetto societario, con la conseguenza che l'intervenuta "trasformazione" non incide
minimamente sulla natura demaniale e/o patrimoniale indisponibile dei beni (…) che rimangono,
dunque, in mano pubblica (…)”.
Il regime giuridico sopra delineato e la qualifica di organo indiretto del Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti concorrono ad attribuire all’ANAS s.p.a. una natura analoga, se non
assimilabile, a quella delle società “in house”.
Ed infatti, l’ANAS s.p.a.:
 è stata costituita “ex lege” per l'esercizio di un pubblico servizio, consistente nella gestione
di beni pubblici quali le strade e le autostrade di proprietà dello Stato, nonché nella loro
manutenzione ordinaria e straordinaria, e nella realizzazione del progressivo miglioramento
ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali;
 è partecipata esclusivamente dallo Stato, nei confronti del quale esplica la propria attività
prevalente, se non esclusiva (tanto da essere qualificata quale “ organo indiretto del
Ministero delle Infrastrutture e Trasporti" da Cons. Stato, sez. IV, n. 1003 del 2006). La
possibilità di cessione delle partecipazioni non è prevista dalla legge istitutiva e dallo Statuto
ed è meramente eventuale, ma la garanzia della presenza totalitaria del socio pubblico è
ancor più forte rispetto alle società “in house” partecipate dagli enti locali; questi, infatti,
possono decidere di cedere la partecipazione e di modificare lo “status” della società con
propria delibera consiliare; al contrario, la partecipazione in ANAS s.p.a., essendo stata
prevista per legge in capo allo Stato, può essere da questo ceduta solo in forza di un atto
normativo avente la stessa natura;
 è assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dal Ministero sui propri
uffici (cfr. D.P.R. 3 dicembre 2008, n. 211, cit., applicabile “ratione temporis”);
 è sottoposta ad una “governance” particolare e specifica rispetto a quella prevista dal codice
civile, in quanto: a) lo statuto, sia nella versione iniziale, che nelle successive modifiche ed
aggiornamenti, viene approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
di intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, per quanto attiene agli aspetti
finanziari; b) è sottoposta al controllo della Corte dei conti con le modalità previste
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dall'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259 (secondo cui “il controllo previsto dall'art.
100 della Costituzione sulla gestione finanziaria degli enti pubblici ai quali
l'Amministrazione dello Stato o un'azienda autonoma statale contribuisca con apporto al
patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria,
è esercitato, anziché nei modi previsti dagli artt. 5 e 6, da un magistrato della Corte dei
conti, nominato dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di
amministrazione e di revisione”).
Va rilevato che detto controllo non solo è compatibile con la giurisdizione contabile affidata alla
Corte dei Conti (Sez. Giur. Reg. Puglia, sent. n. 4 del 01-02-1995) ma è ad essa strettamente
collegato e funzionale, apparendo incongruo che solo tale fase sia affidata alla Corte dei conti,
mentre quella della tutela giurisdizionale, pur essendo conseguente al controllo stesso, segua le
regole previste dal codice civile.
La conferma della particolare natura dell’ANAS s.p.a. viene poi dal fatto che la legge le riconosce
possibilità di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (non risulta analoga previsione in
materia di società “in house”).
Tali considerazioni non sono smentite dalla evoluzione normativa che ha riguardato l’art. 36 del
D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 15 luglio
2011, n. 111.
La norma, dopo aver istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l'Agenzia per le infrastrutture
stradali e autostradali, rimodulando le funzioni di ANAS s.p.a., ha previsto, al comma 9: “il nuovo
statuto di ANAS s.p.a. prevede i requisiti necessari per stabilire forme di controllo analogo del
Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla
società, al fine di assicurare la funzione di organo in house dell'amministrazione”.
Tale previsione, confermata dalle modifiche all’art. 36 da parte del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, è
stata eliminata dalla legge di conversione, con modificazioni, 9 agosto 2013, n. 98, per cui il comma
9 attualmente recita: “l'organo amministrativo provvede altresì alla riorganizzazione delle residue
risorse di Anas s.p.a. nonché alla predisposizione del nuovo statuto della società che, entro il 30
novembre 2013, è approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto
con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti “.
L’eliminazione dell’obbligo di prevedere nel nuovo statuto di ANAS s.p.a. i requisiti necessari per
stabilire forme di controllo analogo al fine di assicurare la funzione di organo in house
dell'amministrazione, non significa che a tale società non possa essere riconosciuta tale qualità e
che, quindi, in sede di approvazione del nuovo statuto l’organo amministrativo decida di inserire tali
requisiti.
In ogni caso, la soluzione proposta non è quella di qualificare l’ANAS s.p.a. quale organo in house
dell'amministrazione, ma di riconoscere che gli elementi caratterizzanti la disciplina della
società costituiscono chiari indici di assimilabilità agli enti pubblici secondo i principi –illustrati
nel paragrafo 3 - ricavabili dalle decisioni in tema di RAI s.p.a. (Sez. Un., n. 27092/2009), di
ENAV s.p.a. (Sez. Un., n. 5032/2010) e di Casinò Municipale di Campione d'Italia s.p.a. (Sez. Un.,
n. 8429/2010).
29
P.Q.M.
chiede alla Corte Suprema di Cassazione il rigetto dei ricorsi con l’affermazione della giurisdizione
del giudice contabile.
Roma, 10 aprile 2014
Il sostituto Procuratore generale
Pasquale Fimiani
30
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