L`Italia e la riforma di Umberto Vattani

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L’Italia e la riforma
Umberto Vattani
Il positivo esito del negoziato per la risoluzione 1546 sull’Iraq,
pur nella fluidità della situazione, permette alcune prime considerazioni sul recupero di ruolo delle Nazioni Unite, sulla riforma in discussione e sulla posizione del nostro paese rispetto agli sviluppi del sistema multilaterale.
Su un piano politico generale, esce confermata la convinzione
italiana: se le Nazioni Unite non possono operare se non sulla
base di un convinto impegno degli Stati nella gestione delle crisi internazionali, è vero anche il contrario. Consolidare processi di pacificazione e stabilizzazione – in particolare in un paese
del peso specifico e della complessità dell’Iraq – richiede un insieme di capacità e risorse che possono essere combinate solo
attraverso le istituzioni multilaterali. A queste istituzioni, d’altra parte, non può essere attribuita una funzione di puro supporto: coerentemente – per quanto riguarda l’ONU – alla Carta di
San Francisco, va loro riconosciuto un ruolo anche nella gestione politica delle crisi, che consenta di allargare l’area di consenso attraverso una più ampia legittimazione internazionale.
Lezioni irachene. Esce quindi rafforzata, dalla travagliata vi-
cenda irachena, l’impostazione di fondo italiana a sostegno del
multilateralismo efficace, piuttosto che di un multipolarismo
basato su centri di potere contrapposti. Multilateralismo efficace significa ritenere che la centralità delle Nazioni Unite vada sostenuta e resa credibile da un solido rapporto transatlantico, fondato fra l’altro su una partnership strategica UE-NATO.
Emerge infatti con chiarezza che, di fronte a crisi complesse,
le Nazioni Unite possono esprimere al meglio le loro potenzialità quando operino in sinergia con coalizioni di Stati o organizzazioni regionali. La dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-ONU nella gestione delle crisi, sottoscritta nel settembre scorso a iniziativa dell’allora presidenza italiana dell’UE –
dichiarazione cui si stanno dando seguiti concreti – muoveva
da questa realistica considerazione.
In questa prospettiva si colloca anche il favore con cui l’Italia
guarda a un progressivo maggior coinvolgimento della NATO in
Iraq, per cercare di accrescere, anche nel settore della sicurezza, la “multilateralizzazione” della gestione del processo di
stabilizzazione del paese.
Tutto ciò coincide, tuttavia, con una fase molto delicata e non priva di rischi per gli
interessi italiani al Palazzo di Vetro. Avviato dal segretario generale, è in corso un
ampio dibattito sulla riforma dell’Organizzazione, con particolare attenzione al settore del mantenimento della pace e della sicurezza. Kofi Annan ha affidato infatti a un
gruppo di eminenti personalità il compito di presentare raccomandazioni (nel dicembre prossimo) sia sulle politiche e i fondamenti normativi delle Nazioni Unite, sia
sulle possibili riforme delle strutture dell’Organizzazione, fra le quali figura il Consiglio di Sicurezza.
Le riforme di Kofi Annan. Dai primi mesi di lavoro del panel, risulta che non esi-
stono le condizioni per una vera e propria “rifondazione” delle Nazioni Unite o per
radicali modifiche allo Statuto. Al contrario, il dibattito si è concentrato su una serie
di proposte concrete, volte a rafforzare la capacità delle Nazioni Unite di fronteggiare, con tempestività ed efficacia, situazioni di crisi – che spesso le hanno trovate impreparate in passato.
Gli stessi sviluppi della crisi irachena contengono alcune importanti lezioni per le
ipotesi di riforma delle Nazioni Unite. Va anzitutto registrato che il negoziato che ha
portato all’adozione della risoluzione 1546 ha avuto un carattere particolarmente
aperto. Sono stati coinvolti una serie di paesi, anche al di fuori del Consiglio di Sicurezza. L’Italia, che in questi due anni non fa parte dei membri a rotazione (non permanenti) del Consiglio, ha contribuito attivamente a fare in modo che questo complesso esercizio politico avesse successo. La necessità di un funzionamento più trasparente e inclusivo del Consiglio di Sicurezza è un aspetto su cui insistiamo da tempo, nella convinzione che sia la condizione per determinare un più largo riconoscimento delle decisioni adottate e una maggiore efficacia nella loro attuazione.
Va inoltre sottolineato il successo ottenuto dalle Nazioni Unite, in un contesto assai
difficile e caratterizzato da forti pressioni, quale honest broker per la formazione di un
governo ad interim che appare sufficientemente rappresentativo della complessità etnica del paese. È un compito destinato a continuare nelle tappe successive della stabilizzazione politica dell’Iraq, e che solo le Nazioni Unite possono svolgere con la necessaria autorevolezza e imparzialità; un ruolo che non richiede ingenti investimenti
di risorse, ma che può produrre ritorni politici consistenti. È nostro interesse creare
le condizioni per un rafforzamento di questa dimensione dell’attività dell’ONU: le Nazioni Unite come catalizzatore di processi di stabilizzazione dopo i conflitti.
Riteniamo, invece, che eventuali riforme delle strutture dell’ONU vadano affrontate
con grande cautela, per gli interessi fondamentali che sono in gioco. Ciò è vero in
particolare per la riforma del Consiglio di Sicurezza, nodo su cui sono già state avanzate proposte particolarmente “divisive” e conflittuali.
Ricordiamo alcuni dati. L’Italia è il sesto paese contributore al bilancio delle Nazio-
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Umberto Vattani è
segretario generale
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del ministero degli
ni Unite. Negli ultimi vent’anni, è stata con continuità tra i
paesi che hanno contribuito maggiormente, e con il maggior
numero di soldati, alle operazioni di pace. Oggi, circa 9.000
soldati italiani sono impegnati in processi di pacificazione e
stabilizzazione in tre continenti diversi. L’Italia ospita a titolo
gratuito la FAO (Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura), il WFP (Programma alimentare mondiale) e l’IFAD (Fondo
internazionale per lo sviluppo agricolo). La base logistica che
l’Italia ha messo a disposizione delle Nazioni Unite a Brindisi
sta dando un contributo essenziale alle operazioni di peacekeeping, in particolare in Africa. Presso lo Staff College delle
Nazioni Unite, ospitato a Torino, vengono formati i funzionari
delle Nazioni Unite e gli ufficiali impegnati nelle operazioni di
pace. Numerosi altri organismi delle Nazioni Unite sono agevolati e assistiti nello svolgimento della loro attività.
Si tratta insomma di un impegno complessivo del nostro paese
che trova pochi riscontri negli altri Stati membri. E abbiamo
quindi un interesse diretto a che la riforma delle Nazioni Unite
produca un loro effettivo rafforzamento, e non un loro ulteriore
indebolimento, come risultato di nuove divisioni e contrasti.
Affari Esteri.
No a nuovi seggi permanenti nazionali. L’Italia non ritiene che l’istituzione di nuovi seggi permanenti nel Consiglio
di Sicurezza, destinati a essere occupati da singoli Stati nazionali, risponda agli interessi della comunità internazionale o
possa migliorare la funzionalità complessiva del Consiglio. In
un momento in cui puntiamo a rafforzare la capacità dell’ONU di
rispondere alle nuove sfide, e di affrontarle con efficacia, un aumento dei seggi permanenti andrebbe anzi nella direzione opposta: pregiudicherebbe l’efficienza, la prontezza decisionale e la credibilità del Consiglio. Per questo, vediamo con notevole
preoccupazione le campagne in corso per aumentare il numero dei seggi permanenti.
È vero che la composizione attuale del Consiglio trova una spiegazione nelle particolari circostanze storiche che hanno portato alla fondazione delle Nazioni Unite. Ma
se questo è vero, non sarebbe giustificabile, né accettabile, una nuova stratificazione gerarchica della comunità internazionale, con la definizione di posizioni privilegiate non soggette a quel momento essenziale di verifica che è costituito dal passaggio elettorale. L’allargamento, in altri termini, farebbe perdere credibilità al Consiglio di Sicurezza: la ferma opposizione che specifiche ambizioni nazionali incontrano nei diversi gruppi regionali, confermano queste nostre convinzioni.
In ultima analisi, con l’aumento dei seggi permanenti si determinerebbe una situazione in cui un numero ristretto di paesi (8? 10?) avrebbe il diritto esclusivo, per il
prossimo mezzo secolo o più, di decidere, in funzione dei propri interessi, quando sia
da considerare legittimo l’uso della forza nelle relazioni internazionali. E siccome
questa è la prospettiva, l’apertura di un confronto su proposte di allargamento dei
seggi permanenti, condizionerebbe negativamente – dobbiamo esserne consapevoli –
le possibilità di successo di una riforma di fondo dell’organizzazione: una riforma auspicata da tutti, che ha bisogno, per progredire, di un clima di consenso.
Non siamo, come è ovvio, contrari di per sé a ipotesi di riforma degli organismi delle Nazioni Unite, o a ipotesi diverse di allargamento del Consiglio; ma riteniamo che
tali ipotesi debbano puntare a unire e non a dividere, e a essere accettabili alla grande maggioranza degli Stati membri.
In questa prospettiva, è certamente auspicabile un riequilibrio della composizione
del Consiglio a favore dei paesi in via di sviluppo. È altrettanto importante agevolare la partecipazione in Consiglio dei paesi maggiormente in grado di contribuire al
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mantenimento della pace e della sicurezza, così da rafforzare l’efficacia dell’azione
collettiva. Si tratta di obiettivi che possono essere conseguiti operando sulla componente non permanente del Consiglio, attraverso formule che al tempo stesso rafforzino la responsabilizzazione dei membri nei confronti dei gruppi regionali di provenienza e del resto della membership delle Nazioni Unite.
Il peso delle realtà regionali andrebbe valorizzato, visto che gli organismi regionali
stanno assumendo una più definita fisionomia anche nella fase di elaborazione delle
decisioni del Consiglio, e non solo nella loro attuazione. È tempo quindi di cominciare a riflettere seriamente su come garantire una più organica rappresentanza degli interessi regionali in Consiglio di Sicurezza.
È questa un’analisi che vale in particolare per l’Unione Europea. L’attribuzione all’UE in quanto tale di un seggio in Consiglio di Sicurezza rimane un obiettivo fondamentale della politica estera italiana. Nell’attesa che ne maturino le condizioni, vanno concepite soluzioni che non vadano in senso opposto: che non ci allontanino, insomma, dalla coerenza dei principi della Politica estera di sicurezza comune, che non
svuotino di significato le regole che ci siamo dati con il nuovo Trattato dell’Unione,
e che non creino fra membri dell’Unione nuove, artificiose differenziazioni.
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