LA VOCE
DEL POPOLO
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A la recherche de la beauté perdue
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63 • Mercoledì, 31 ott
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
in questi giorni in cui tutte le divinità meteorologiche
sembrano fare i capricci, mi ritrovo a sospirare sulle pagine
internet dei Teatri di Zagabria e Spalato. Scorro i programmi d’opera, dei concerti, di balletto. Sotto quest’ultima voce
il menu offerto dai due enti teatrali è semplicemente magnifico. In cartellone figurano tutti i grandi titoli del balletto
bianco, del repertorio romantico, virtuosistico, dei classici
del novecento, fino agli autori contemporanei.
Il confronto con l’offerta del corpo di ballo di Fiume – il
quale ormai da parecchi anni ha ripiegato esclusivamente
sul genere moderno - è inevitabile. E sconfortante. Da qui
i miei sospir e gemiti ricordando il periodo d’oro degli anni
’90 del balletto fiumano.
Ah, l’allestimento sublime di “Giselle”! Oh, il variopinto e festoso “Don Chisciotte”! Deh, la deliziosa “Silfide”!
Ed, eziandio, il superbo e veramente favoloso allestimento fiumano del “Lago dei cigni”, con il quale la compagine
toccò l’apice, distinguendosi come migliore corpo di ballo
in tutta l’ex Jugoslavia! Nota bene, lo disse Vesna Butorac,
artista di fama internazionale; e lo affermò Orlowski, per
lunghi anni direttore del balletto di Vienna. Quelle sì che
erano imprese. Il teatro era sempre stracolmo e il pubblico si spellava le mani. Sempre a proposito del “Lago dei cigni”, ricordo, per la cronaca, che l’Orchestra dello “Zajc”
lo suonò sotto la direzione di Šutej e che quindi, sempre con
lo stesso titolo, accompagnò il Balletto di Boston e Nureyev
in tournèe per l’Italia. L’incontentabile e pignolo Tartaro
ebbe a dire che l’orchestra fiumana era quella che fra tutte
meglio accompagnava la sua danza, in quanto a flessibilità
e prontezza.
Qualcuno potrà osservare che la sottoscritta sia una fissata del balletto ottocentesco, di spettacoli “melensi” per
niente “sociološki e politički osviješteni“, né „društveno
angažirani“. (Vadano a spiegarlo a quelli che fanno la fila
per un biglietto per “Giselle”, et similia). Eppure, l’uomo
ha bisogno della bellezza per vivere. Ha bisogno di librarsi
in regioni che trascendano la “crisi-dramma-lotta di classeintossicazione ideologica- nevrosi-fobia”, e via di questo
passo ecc. La Bellezza, come valore assoluto, è consolatoria, ci fa più felici e ci rende più bella la vita. Nel succitato
genere di danza c’è l’uomo e il racconto dei sentimenti, c’è
la vita, la fantasia, il sogno e la grazia. E come giustamente dice Sgarbi (ma non solo lui), “l’arte è contemporanea”;
cioè tutta quella creatività artistica che parla dell’essere
umano, che è viva e quindi feconda – risalisse pure a venti
secoli fa –, è attuale, è contemporanea e quindi moderna.
In barba ad un certo modernismo iconoclasta e talebano.
tura che fu oggetto del suo studio e della quale scrisse: “tutta la creazione è una sinfonia di gioia e di giubilo”.
Quello che però ci interessa in quest’occasione, è il suo
genio musicale.
Ildegarda di Bingen è la prima donna musicista della storia e ci ha lasciato 155 canti gregoriani raccolti nella
“Symphonia armonie celestium revelationum”. Le sue musiche non sono semplici canti. “La sinfonia delle vedove” e
l’“Ordo virtutum”, contengono addirittura, in nuce, gli elementi dei Misteri, cioè gli spettacoli drammatici di carattere agiografico che di lì a poco avrebbero costituito il fulcro
delle Sacre Rappresentazioni medioevali.
Come in altri campi anche qui la badessa di Bingen mostra la sua libertà ed originalità. Scritti per integrare la Liturgia delle ore, spesso composti su testi propri, i canti sono
-------------------------------------------------di mole maggiore rispetto a quelli canonici e portano l’imBenedetto XVI durante la Messa di apertura del Sinodo pronta della sua forte personalità. Sotto l’impeto del fuoco
dei Vescovi sulla Nuova evangelizzazione, ha proclamato la spirituale che la pervadeva, le melodie celestiali di Ildegarmonaca benedettina e mistica Ildegarda di Bingen (1098da, le estatiche infiorature salgono, scendono come in una
1179) Dottore della Chiesa. È la quarta donna dottore della danza con grande libertà espressiva, e sembrano lievitare
Chiesa Universale dopo Teresa d’Avila, Caterina da Siena e nei loro elaborati movimenti melismatici.
Teresa di Lisieux.
Questi canti di somma qualità artistica e di fortissima
Massima intelligenza femminile del Duecento, la bades- espressività sono rimbalzati da un secolo all’altro fino ad
sa Ildegarda, ritenuta una delle poche donne che occupioggi; tant’è vero che nel 1994 Richard Souther ispirato dalno a buon diritto un posto nella filosofia occidentale prima le composizioni di Ildegarda incise l’album – che si ritrovò
dell’età contemporanea, fu personaggio di straordinaria
in cima alle hit parade – “Vision: the music of Hildegard
poliedricità: pittrice, musicista, cosmologa, poetessa, dram- von Bingen”. L’autore operò una fusione tra i canti gregomaturga, naturalista, filosofa, predicatrice, profetessa, con- riani del Duecento con effetti elettronici e una strumentasigliera di pontefici e imperatori, tra i quali Federico il Bar- zione moderna. Il disco vinse il premio Billboard come mibarossa. “Sibilla del Reno”, “autentica maestra di teologia gliore album classico/crossover dell’anno.
A riprova di quando il linguaggio è veramente unie profonda studiosa delle scienze naturali e della musica”,
donna visionaria che andò ben oltre le convenzioni del suo versale e il genio della spiritualità attraversa le barriere
del tempo.
tempo, Ildegarda, (ben degna del suo nome che significa
Immancabilmente Vostra
„coraggiosa in battaglia“) fu pervasa dall’amore per la na-
2 musica
Mercoledì, 31 ottobre 2012
L’INTERVISTA Incontro con il musicista Damijan Grbac che ci racconta la sua esp
I giovani musicisti fiumani in fuga ve
di Marin Rogić
FIUME - Fiume è nota per
la sua temperie multiculturale la
quale delinea non solo i rapporti
“umani“ - il capoluogo quarnerino
è diventato un esempio per le altre
città del paese -, ma che si esprime
pure a livello artistico-espressivo,
e, nello specifico, negli ambienti
musicali. Da decenni Fiume viene
considerata la città per eccellenza
del ‘rock’ e del ‘punk’, due generi musicali all’interno dei quali si
sono formate delle band che, nel
corso degli anni,sono riuscite a
scalare le classifiche nazionali ed
a segnare la musica croata in maniera permanente.
Dai primi anni 2000 a questa
parte, sta crescendo una nuova generazione di musicisti che si stanno affacciando alla musica jazz,
genere musicale inesistente, o
quasi, nel capoluogo del Quarnero fino agli anni ‘90. Ora, il jazz,
troppo spesso veniva, e tutt’oggi viene considerato, musica elitaria; musica noiosa, difficile da
comprendere e per questo, molto
spesso rifiutata da un’ampia fetta
di pubblico, quel pubblico che di
solito detta il mercato e le classifiche di vendita dei dischi.
Direzione Italia
ed Austria
GRAZIELLA TATALOVIĆ
Purtroppo, come per molti altri campi, Fiume e la Croazia non
offrono scuole o accademie adeguate dove poter studiare questo
“nuovo” genere musicale nato nei
primi anni del XX secolo nelle comunità afroamericane del sud degli Stati Uniti. Ecco perché ormai
da diversi anni non pochi giovani musicisti fiumani decidono di
oltrepassare il confine per cercare all’estero il proprio ‘el dorado’,
cioè un luogo di studio che permetta loro di istruirsi ed ‘abbracciare’ la musica di Davis Miles,
John Coltrane, Duke Ellington e
di altri grandi maestri di questo genere.
Due sono le destinazioni privilegiate: il
Lande-
skonservatorium Klagenfurt, Conservatorio musicale di Klagenfurt in
Austria, e il Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste, due istituzioni
che rappresentano l’eccellenza accademica musicale a livello europeo.
Per farci raccontare uno dei diverse casi di “musicisti espatriati” abbiamo incontrato il contrabbassista
Damijan Grbac, classe ’79, che attualmente frequenta il quinto anno
del Conservatorio Tartini. Il musicista fiumano viene considerato, sia da
parte della critica che da tanti sujoi
colleghi, uno dei migliori, se non il
miglior contrabbassista della nuova
generazione in Croazia. Vanta collaborazioni con Henry Radanovic, Elvis Stanić, Denis Razumović, Charlie Jurkovic, Spartaco Črnjarić,
l’americano Joe Kaplowitz e
molti altri. Tra i suoi mentori ricordiamo Primož
Grašič, Mario Mavrin,
Emil Spanyi e Boško
Petrović. Fondatore
del quintetto “Ondina i vali” con Tonči
Grabušić attualmente suona nel “Joe
Kaplowitz Quartet”.
- Come è cominciato il tuo
rapporto con la
musica?
”È una lunga storia iniziata
tanti anni fa. Mio
padre, Smiljan
Grbac, è musicista, e fin da
piccolo mi portava in giro per
i suoi concerti
che sono state
le mie prime
‘lezioni’ di
musica. Tutto mi affascinava: i ritmi, l’ambiente, l’energia che si creava attorno ai musicisti. Così ho incominciato a suonare il clarinetto e
con il passare del tempo, ho preso
in mano il basso, del quale mi sono
innamorato. E’ stato amore a prima
vista. Otto anni fa mi hanno invitato a suonare in una jazz band che era
composta tra gli altri da Spartaco Crnjaric e Denis Razumović. Qui per la
prima volta ho preso in mano il contrabbasso. In un primo momento credevo che fosse tutto un gioco, ma poi
con il passare dei concerti, ho incominciato ad avvicinarmi sempre di
più alla musica jazz e al nuovo strumento musicale”.
- Come mai il contrabasso? È
uno strumento molto importante in un complesso jazz, ma poco
scelto dai giovani musicisti.
”Dopo i primi incontri con
Razumović e Crnjaric ho
deciso di imparare e conoscere di più dello stile jazz, di entrare più a
fondo per capire i tempi, le battute, la ritmica, ecc.., cosí mi sono
iscritto per diverse
volte al “Jazz kamp
Kranj” che si tiene
ogni anno in Slovenia. Lì ho capito quali
enormi possibilità offra
il contrabbasso e quale magnifico strumento
sia. Poi, rappresentava
anche una scelta naturale visto che mio papà
era bassista, io sono nato
musicalmente come bassista ed il contrabbasso
è solo il prolungamento
delle mie esperienze musicali”.
- Passiamo al tema
centrale del nostro incontro. Come è cominciata la
tua avventura triestina?
”Mentre ero al “Jazz kamp
Kranj” ho sentito parlare per
la prima volta del “Tartini”. Visto che in Croazia non esistevano scuole che si dedicassero all’insegnamento del jazz e siccome in
me cresceva sempre più l’interesse per questo stile musicale, ho deciso di oltrepassare il
confine e di provare a superare l’esame d’ammissione. Trieste mi sembrava la
scelta più logica, era più
vicina a casa, e quindi
una volta entrato, non
avrei avuto scuse per
non farcerla. Quella scelta ha cambiato la mia vita e mi ha
portato a diventare
il musicistache sono
oggi”.
- Il “Tartini” è
uno dei conservatori più importanti a livello nazionale in Italia.
Cosa hai dovuto affrontare per essere
ammesso?
”Diciamo
che questa
parte è stata
la più difficile. Ho
dovuto fare i salti mortali soltanto
per reperire tutti i documenti necessari per la domanda d’iscrizione. Ho
passato svariati mesi a raccogliere e
sistemare tutta la parte burocratica.
Una volta risolta, ho inoltrato la domanda e mi sono presentato al provino di ammissione che comprendeva svariati test, dalla pratica alla teoria, oltre alla prova di lingua italiana. C’era in me un po’ di emozione e
tensione prima del provino musicale, ma poi, quando abbiamo cominciato a suonare è andato tutto bene e
per fortuna oggi posso essere qui a
raccontare la mia esperienza. La particolarità del conservatorio triestino
è quella di favorire la parte pratica
rispetto a quella teorica; in altri conservatori, se non conosci bene la teoria musicale, non ti prendono in considerazione. Al “Tartini” invece no,
guardano al talento puro e su quello
si basa la loro scelta finale. Diciamo
però che una buona preparazione teorica ci deve essere”.
- Per chi volesse andare a studiare a Trieste, quali sono le tue
considerazioni sul “Tartini” come
luogo di insegnamento?
”Io posso dire solo il meglio. È un
luogo unico, dove la musica si respira nell’aria. Il programma jazz segue
anche le basi degli altri stili musicali,
dal classico al moderno. I professori,
nonostante siano musicisti di livello
internazionale, sono molto cordiali e
disponibili. Ti fanno sentire uno di
loro, un musicista vero. Per me che
ero straniero e non conoscevo bene
la lingua italiana, vi era la possibilità di seguire per i primi tempi i corsi in lingua inglese, e questo è veramente un’opportunità unica, perché
lascia il tempo necessario per imparare la lingua. Poi, basta dire che tra
i professori ci sono Giovanni Maier,
uno dei musicisti più apprezzati nel
panorama jazz italiano, Glauco Venier, il miglior pianista jazz italiano,
il saxofonista tedesco Klaus Gesing,
considerato uno dei migliori nel suo
campo a livello europeo, il contrabbassista Marc Abrams, il compositore Stefano Bellon e molti altri.
Credo che per chiunque voglia intraprendere la carriera di musicista,
indipendentemente dallo stile scelto,
il “Tartini” rappresenti l’eccellenza
educativa. Si trova a pochi passi da
Fiume, quindi non ci sono scuse per
non provarci”.
- Quali sono, se ci sono, i musicisti a cui ti ispiri?
”Ray Brown e Paul Chambers,
per il contrabbasso. Un altro che
considero un genio della musica jazz
è il batterista fiumano, il migliore in
Croazia, Tonči Grabušić. Quando
ero più piccolo, lo guardavo suonare con Elvis Stanić e mi chiedevo se
mai avrei avuto la possibilità di conoscerlo. Oggi ho l’immenso onore e
piacere di poter suonare con entrambi e di poterli chiamare colleghi, e
questa è una cosa che, nonostante io
sia ‘nuovo’ sulla scena jazz, mi rende
musica 3
Mercoledì, 31 ottobre 2012
erienza accademica oltre confine
rso Trieste e Klagenfurt
Damijan Grbac e Tonči Grabušić
estremamente orgoglioso. Con Tonči
Grabušić collaboro praticamente ad
ogni progetto”.
- A proposito di progetti. Ho
letto che stai preparando un cd
all’interno del quale ci saranno musiche tradizionali istriane e
quarnerine reinterpretate in chiave il jazz. È corretto?
”Sì, abbiamo appena finito di inciderlo e dovrebbe uscire agli inizi
di novembre. Le canzoni tradizionali istriane sono specifiche per la scala musicale non temperata, che rende
i motivi unici. Descrivono paesaggi
della regione del Carso, le fatiche
MONDO JAZZ
contadine nei campi, il bellissimo
mare e la gioia di vivere. Tali canti vengono eseguiti prevalentemente
da due cantanti in terze e questi ritmi e queste musiche prendono forme
‘nuove’ nel jazz. Ho scelto dei brani che rappresentino a pieno il territorio di provenienza, dando spazio a
suoni di strumenti popolari come il
mih (una specie di piva) ed altri strumenti a fiato, come le sopele (piffero) o roženice, dvoinice (flauti doppi), cindra (tamburo a due corde). Al
progetto hanno partecipato musicisti eccelsi; oltre a me ci sono Tonči
Grabušić, l’istriano Dario Marušić e
il saxofonista Klaus Gesing. Giusto
in questi giorni stiamo perfezionando il tutto in vista dell’uscita”.
- Cosa vuol dire per te la musica?
”Sembrerà banale, ma per me
la musica è il mio stile di vita.
Il 90% del mio tempo lo dedico
alla musica. Adesso sta diventando un lavoro, quindi incide ancora
di più sulla mia quotidianità. La
maggior parte del tempo libero lo
passo a perfezionarmi ed a suonare; è il mio hobby, quindi direi
che è una parte fondamentale della mia vita”.
Il compositore tradizionale e il musicista dell’accattivante genere afro-americano a confronto
La forma di vita del jazzista
Una riflessione ampia e strutturata meriterebbe un tema che qui possiamo solo tratteggiare, ossia la forma di vita del jazzista
rispetto a quella del compositore contemporaneo tradizionale. Quest’ultimo tende
normalmente a elaborare una proprio voce
espressiva, se non un proprio stile riconoscibile, costruendo un rapporto fortemente
solidale tra catalogo delle opere ed identità.
Ci si prende talora la “libertà” di comporre
“in stile di”, secondo autori diversi ed epoche lontane; si ricorre talaltra al pastiche
stilistico ma solo per ribadire il proprio superiore magistero; si può infine compiere
eclatanti atti di liberazione da questi vincoli dell’identità autoriale, affidandosi a meri
collage di materiali altrui o oggetti sonori
“trovati”, ossia campionati, ecc.: sta di fatto che in un modo o nell’altro, in una versione positiva o negativa, la riduzione della forma di vita del compositore classico
a una polarizzazione identitaria univoca è
quasi un fatto istituzionalizzato, una prassi
della gestione dei valori di riconoscimento artistico.
Per contro, nel jazz si assistono a fenomeni diversi, a partire naturalmente dalla
tradizione popolare e dal forte senso di collettività che anima la produzione musicale
in vivo. Il soggetto collettivo è richiamato
sia nel senso di un’eredità compositiva (i
traditionals, gli standards), sia in ragione di
quella creatività condivisa, in sede concertistica, che dissemina e rivivifica continuamente la prima.
La comunità della musica classica è distributiva di ruoli prefissati, mentre quella
jazzistica è piuttosto integrativa (somma di
apporti) e sostitutiva (leader a turno). La paternità autoriale tra compositore ed esecutore è fortemente istituzionalizzata nel primo caso, mentre è incerta e condivisa nel
secondo. Le collaborazioni nel jazz fissano
l’ascrizione nominale di un’edizione discografica a un singolo jazzman, ma in realtà
ciò risponde a un ciclo di prestazioni scambievoli e di semplice turnazione di responsabilità “maggiori”. Se nel jazz non mancano certo figure accentratrici, difficilmente
queste hanno radicalmente rifiutato di entrare localmente in un gruppo altrui, per sostenere progetti guidati da un altro leader.
Un caso interessante sono state le associazioni tra grosse personalità del jazz di
fine assi Sessanta e primo anni Settanta,
che superavano l’idea di gruppo o di orchestra per divenire apertamente degli ambienti creativi ad autorialità diffusa. Ricerca e improvvisazione radicale favorivano
naturalmente questa versione integrativa
ed eterarchica, equanime dei diversi contributi. I sodalizi sono pari al continuo farsi
e disfarsi di “famiglie” collaborative, imparentate nei modi più difformi.
Soprattutto, nella forma di vita del jazzista emerge la coincidenza di “progetto” e
nome “occasionale” di un gruppo. Le formazioni sono insomma tutt’uno con l’idea
di poter prendere una distanza dall’identità stilistica già negoziata con gli ascoltatori. Il gruppo consente la moltiplicazione e
sperimentazione di altri composti timbrici,
di altri metodi compositivi o improvvisativi,
persino di altri generi e “gusti” musicali.
Nasce così un paesaggio instabile di formazioni, a cui sono legati progetti discografici che ritornano anche a distanze cospicue di tempo: un’instabilità che può apparire disorientante e legare i risultati raggiunti a una sensazione di episodicità.
Qualcuno potrebbe persino pensare che
è proprio per paura di un catalogo immediatamente esplicito e consequenziale di
composizioni e produzioni discografiche
che si ricorre alla moltiplicazione di identità fittive sotto nomi più o meno improbabi-
li. Le formazioni sarebbero allora il modo
per disseminare tracce identitarie senza la
necessità di una coerenza superiore oppure il metodo per mascherare la ripetizione,
l’ancoraggio a una serie di brani “fortunati”: ecco allora la possibilità di incidere, rieseguire, ritornare sugli stessi pezzi cambiando la “chimia” dei musicisti di volta in
volta assoldati. La forma di vita viene così
legata alla “variazione”, alla ripresa, a una
creatività diffusa e disseminata. Più polarità identitarie costituiscono un sistema gravitazionale che finisce per qualificare una
forma di vita permeata di alterità almeno
quanto questa è pronta a metabolizzare il
proprio intorno.
Nelle confluenze tra musica contemporanea e ambito jazz/rock non è un caso che
ancor prima di stilemi si siano tentate delle
esportazioni/importazioni di forme di vita.
Pensiamo, da una parte, ad Anthony Braxton, che ha ostentato il suo catalogo ordinato con la rubricazione delle sue Compositions; dall’altra, al gruppo Musica Elettronica Viva che, sul finire degli anni Sessanta, ha sostanziato in ambito colto una
sperimentazione allargata e non più confinata alla produzione “autoriale” individuale.
Forse rispetto a questa traduzione di forme di vita tra ambiti musicali diversi resta
in gioco una posta ermeneutica tanto importante quanto quella che riguarda la trasmigrazione di forme, tant’è che anche il futuro
della musica attuale vi è implicato.
Pierluigi Basso Fossali
4
mus
Mercoledì, 31 ottobre 2012
L’INDAGINE Uno studio del Consiglio nazionale spagnolo per la ricerca ha analizzato
Musica pop? Urlatrice, martellan
di Helena Labus Bačić
L
a musica pop degli ultimi cinquant’anni è diventata sempre più rumorosa e al contempo più povera di armonie e timbri.
A sostenerlo è lo studio, pubblicato
nel mese di luglio, di un gruppo di
scienziati del Consiglio nazionale
spagnolo per la ricerca /Spanish National Research Council (Joan Serrà, Álvaro Corral, Marián Boguná,
Martín Haro e Josep Ll.Arcos) che
hanno analizzato l’evoluzione della
musica contemporanea occidentale.
Hanno preso in esame 464.411 canzoni di tutti i generi musicali pop nel
periodo tra il 1955 e il 2010.
Per effettuare lo studio hanno utilizzato un set complesso di algoritmi mediante i quali hanno analizzato tre parametri: la complessità delle
armonie, la varietà dei timbri e l’intensità del volume. I risultati dello
studio hanno dimostrato che, effettivamente, la musica è diventata progressivamente più rumorosa, nonché più semplice e insipida.
Ma prima di entrare nei dettagli dello studio, è necessario chiarire l’oggetto del quale si occupa.
La canzoni popolari contemporanee
hanno una struttura semplice che
consiste in prevalenza in una melodia eseguita da una voce oppure da
uno strumento, e da accordi di accompagnamento. Il ritmo è un’altra componente essenziale, che però
non è stata presa in considerazione
dallo studio in questione.
Involuzione
preoccupante
Sostanzialmente, l’analisi ha dimostrato che, a partire dagli Anni
‘50, c’è stata una progressiva riduzione della varietà di accordi in una
determinata canzone, come pure un
impoverimento nel numero di combinazioni tra gli accordi. In altre parole, nonostante i brani pop siano di
per sé armonicamente più limitati
rispetto a una sinfonia classica, nei
decenni precedenti le combinazioni
di accordi erano tuttavia più fantasiose, se confrontate con ciò che si
può sentire oggigiorno.
Gli studiosi hanno inoltre scoperto che i timbri, ovvero le “textures“ prodotte da diversi strumenti che suonano la medesima nota,
sono diventati più omogenei con il
passare del tempo. Ciò non vuol dire
che i musicisti usino meno strumenti o che questi siano diversi da quelli
usati alcuni decenni fa. Vuol dire,
invece, che fin dal 1955, il pop tende a impiegare una “palette” coloristica sempre più ristretta ed uniformata.
Infine, è stato pure confermato che l’ultimo parametro, ovvero
l’intensità del volume, sia aumentata nel processo di registrazione dei brani pop. Infatti, i produttori, al fine di attirare l’attenzione
degli ascoltatori delle stazioni radio, hanno gradatamente aumentato il livello del volume delle registrazioni a scapito della qualità del
suono e della ricchezza delle variazioni dinamiche.
”Ma è sempre
la stessa canzone?”
Ma veniamo allo studio.
Nell’introduzione, i ricercatori ricordano che molte delle regole
strutturali che sono alla base del
discorso musicale sono ancora da
individuarsi, per cui la loro evoluzione storica rimane per ora sconosciuta. “Qui scopriamo un certo numero di schemi caratterizzati dall’uso generico di parametri
musicali di base quali l’armonia,
il timbro e l’intensità del volume
nella musica pop occidentale. Molti di questi schemi si sono mantenuti stabili per più di cinquant’anni, ma questo studio ha dimostrato
gli importanti cambiamenti relativi alla contrazione del disegno armonico, al livellamenti della gamma timbrica ed a un aumento del
livello del volume. Ciò suggerisce
che la nostra percezione del nuovo
sia legata ai cambiamenti delle caratteristiche di cui sopra e che molto probabilmente una vecchia melodia potrebbe apparire perfettamente
contemporanea se accompagnata da
progressioni armoniche comuni, con
una modifica alla strumentazione e
un aumento del volume“.
”Ma non è sempre la stessa canzone? - si chiedono gli studiosi
all’inizio della loro analisi -. Questa domanda – continuano – ce la
potremmo porre durante l’ascolto di
qualsiasi stazione radio in qualsiasi
Paese occidentale. Come è il caso
con la lingua, pure la musica è un
mezzo di espressione umano composto da elementi organizzati in un
determinato modo. Quindi, la musica pop contemporanea ha un sistema di schemi e regole di cui molti
sarebbero ereditati dalla tradizione
classica. Tuttavia, essendo la musica un mezzo artistico incomparabile nell’esprimere le emozioni, essa
deve includere una certa varietà in
modo da agire, da un lato, sul piano emozionale e della memoria del
fruitore, e dall’altro di offrirgli un
qualcosa di nuovo ed appagante. E’
probabile che sia questo il motivo
per cui la suddetta certa varietà venga applicata e mantenuta in maniera
permanente.
Un database
di 1.000.000
di brani
Allo scopo di rispondere in maniera oggettiva ed empirica alla domanda se sia possibile individuare le
differenze tra la musica “vecchia“ e
quella contemporanea, gli studiosi
spagnoli hanno preso in esame una
“base di dati di un milione di canzoni“, ovvero il “million song dataset“, della quale sono state analizzate (con incluso l’anno di pubblicazione) 464.411 canzoni dal 1955
fino al 2010; il che corrisponde approssimativamente a 1.200 giorni
di musica.
I brani inclusi nella base di dati
appartengono a vari generi di pop,
per cui includono il rock, pop, hip
hop, heavy metal e la musica elettronica. La base di dati fornisce
per ciascuna canzone la sua struttura armonica, il livello del volume e il timbro. Per livello del volume qui si intende quello intrinseco della registrazione, non quello
che viene gradato dall’ascoltatore.
La struttura armonica comprende
gli accordi, la melodia e l’arrangiamento tonale, mentre il timbro
si riferisce alla “nouance del suono“, alla “texture“ e alla qualità del
suono.
Quest’ultimo paramento è essenzialmente legato ai tipi di strumenti
usati, alle tecniche di registrazione e
all’interpretazione. Tutti e tre gli elementi sono compresi entro la battuta, che è l’unità musicale di base, soprattutto nella musica pop occidentale.
pop viene effettivamente usato un
numero di accordi limitato e che le
combinazioni di accordi fondamentali sono diventate sempre più povere e scontate.
Per quanto riguarda il timbro, è
stato notato che, a partire dal 1965,
la palette dei colori si restringe adottando contemporaneamente sonorità
coloristiche più “alla moda” e convenzionali. Certi timbri diventano
Impoverimento
più frequenti in determinati periodi,
armonico e timbrico mentre in altri si preferiscono colori
diversi. Comunque lo studio conferPer poter individuare gli sche- ma una graduale omogeneizzazione
mi nel discorso musicale, gli studio- del timbro.
si hanno dovuto in primo luogo creare un sistema di codici con i quali La guerra del rumore
Il livello del volume, è stato conpoter quantificare le variazioni nella struttura armonica delle canzoni. fermato, è pure aumentato, e negli
Questo metodo ha dimostrato che i ultimi anni sulla scena pop internamoduli più frequenti corrispondeva- zionale è in corso una vera e propria
no ad accordi più comuni e gradevo- “guerra del rumore” in cui produttoli, mentre i codici che non appariva- ri e musicisti fanno a gara nella regino nell’analisi erano quelli che si ri- strazione di canzoni a volume semferivano a combinazioni armoniche pre più alto, allo scopo di catturare
più ricercate e dissonanti. L’analisi l’attenzione dei potenziali ascoltatoha inoltre dimostrato che nei brani ri delle stazioni radio. Quindi, l’au-
sica
Mercoledì, 31 ottobre 2012
5
o l’evoluzione della musica contemporanea occidentale. Gli esiti sono sconfortanti
nte e povera, parola di esperto
L’importanza dell’ispirazione
FIUME - Secondo Albert Petrović, a capo della redazione musicale di Radio Fiume, “la musica pop è certamente
diventata più rumorosa, soprattutto come risultato di tecniche di registrazione più avanzate. Non è più rumorosa solo
in confronto a canzoni di venti o trent’anni fa, ma anche a
paragone di brani di solo una decina di anni fa. – commenta
Petrović -. Per quanto riguarda le melodie e le armonie, fatto
sta che ci sono sempre state canzoni più semplici da questo
punto di vista. Spesso, quando ascolto la musica degli Anni
‘80, per esempio, molte cose mi suonano scadenti e piuttosto povere. Ci sono, però, anche canzoni vecchie di 25 o 30
anni che hanno conservato la loro freschezza e sembrano fatte oggi. Le canzoni dei ‘Beatles’, la mia band preferita, sono
state riproposte in tutte le salse e da innumerevoli cantanti e
gruppi; il che vuol dire che si tratta di pagine senza tempo e
perciò sempre attuali.
Non direi che la musica in generale sia diventata più povera. Credo, invece, che ci siano persone più o meno ispirate.
Per quanto riguarda l’affermazione che tutte le canzoni siano
uguali, ritengo che per colui che nel corso della vita ha ascoltato tanta musica ogni nuova canzone gli suoni familiare”,
conclude Albert Petrović.
Albert Petrović
Decadenza e commercializzazione
POLA - “Credo che oggigiorno
la musica sia orientata sempre più
sul ritmo. È, inoltre, sconfortante
il fatto che la musica sia diventata
una merce e come tale rispecchia
il nostro tempo, sempre più povero di valori autentici” è l’opinione di Bruno Krajcar, il cantautore istriano in forza pure a Radio
Pola.
”La musica pop odierna non è
soltanto più povera di armonie, ma
vi si sono infiltrate pure le parolacce
e le bestemmie, cosa che è diventata ormai un’abitudine. Siamo, quin-
di, testimoni di una totale decadenza. Nonostante ciò, per fortuna, esistono ancora molti musicisti, soprattutto nel jazz e nella musica pop di
qualità, che fanno canzoni ricche di
armonie e melodie, di sfumature e di
contenuti. Questa musica è, purtroppo, considerata elitaria, anche se in
effetti, si tratta di musica che tempo fa apparteneva alla musica pop”,
spiega Krajcar.
“Sono d’accordo che la musica
sia diventata più povera. Anch’io
compongo musica e credo di fare
cose di qualità, ricche di armonie,
melodie e di sostanza. Il problema
sta, purtroppo, nel fatto che i mass
media tendono a promuovere, in
maniera anche aggressiva, determinati cantanti o musicisti che fanno
musica pop di qualità scadente; magari anche tramite scandali o reality-show. Si tratta di cantanti-meteore la cui musica è in fondo soltanto
merce di consumo. Mi pare che oggigiorno non sia il pubblico a consacrare un cantante o una certa musica, ma i redattori delle stazioni radio e i mass media”, conclude Bruno Krajcar.
Bruno Krajcar
Contenuti sempre più esili
FIUME - Olja Dešić, musicista,
compositore, arrangiatore, produttore
fiumano, si è trovato d’accordo con
i risultati della ricerca spagnola. Ha,
però, voluto innanzitutto sottolineare
che, nonostante lo stato in cui si trova la musica pop contemporanea, ci
sono comunque molti cantanti e musicisti che creano musica di qualità,
piena di dinamica e armonie.
“Per quanto riguarda la ‘guerra
del rumore’, questa è in corso ormai
da un pezzo – puntualizza Dešić -.
Infatti, il processo di produzione di
un brano è essenziale: la registrazione, il missaggio e il mastering.
Nell’ambito di questo processo, un
brano viene ‘pompato’ fino al volume desiderato. Oggigiorno si è giunti a livelli di vero e proprio rumore.
Il contenuto nell’ambito della
produzione pop è sempre più esile,
per così dire, il che è la diretta conseguenza del modo frenetico e consumista nel quale viviamo. Non abbiamo il tempo necessario di ‘ascoltare’
una canzone in maniera concentrata
e con la dovuta comprensione. Per
tale ragione, i produttori cercano di
catturare l’attenzione degli ascoltatori ricorrendo all’aumento del livello del volume dei brani. In generale,
non lavoro così, anche se posso farlo, ma non sono d’accordo con questa pratica“, sottolinea Dešić.
Le stazioni radio, come pure gli
esperti di marketing – rileva Dešić
–, non vogliono mandare in onda
canzoni più ‘delicate’ e caratterizzate da una gamma dinamica più ricca
perché desiderano mantenere desta
la ‘tensione’ di un certo programma radiofonico. Quindi, per le radio
non esiste più una canzone ‘silenziosa’. Questa sopravvive soltanto nel
jazz e nella musica classica. Ci sono,
però, dei produttori a livello mondiale, e sono i migliori nel proprio
lavoro, che si appellano ai loro colleghi cercando di ‘frenare’ la ‘guerra
del rumore’. Molti credono, erroneamente, che la canzone registrata con
il livello del volume al limite sarà
automaticamente un successo. Certo
che questo è un ragionamento sbagliato e non può funzionare a lungo
termine.
“Noi musicisti dipendiamo dalle stazioni radio e, personalmente,
qualche volta sono stato costretto a
Olja Dešić
registrare canzoni con un livello di
volume alto, ma nel fare ciò sono
stato sempre guidato dal buon gusto.
Infatti, ci sono dei limiti che mi sono
imposto e che non supererò mai”,
conclude Olja Dešić.
L’erosione della melodia e la scomposizione della forma
mento del livello del volume non è
soltanto il risultato dello sviluppo
della tecnologia, ma può essere pure
la conseguenza – come detto sopra –
di una precisa e consapevole scelta
da parte di produttori e musicisti.
Nonostante i risultati piuttosto
sconfortanti ai quali è giunta la ricerca spagnola, è necessario sottolineare che, ovviamente, non tutta la
musica pop contemporanea sia automaticamente povera di melodie, armonie, dinamica e timbri. Esistono,
infatti, numerosi autori e gruppi musicali che non rientrano nella categoria di “musica da consumo”, ma
sono, magari, relegati a trasmissioni
specializzate e vengono inseriti raramente nel programma radiofonico.
Autori di musica più “accattivante”,
per non dire banale, trovano più facilmente il loro spazio nelle stazioni radio, favorendo in tal modo un
ascolto disimpegnato e superficiale,
interrotto spesso da messaggi pubblicitari che, oggigiorno, sono diventati più importanti della musica
stessa.
FIUME - A proposito dello studio degli esperti spagnoli abbiamo
interpellato pure la musicologa fiumana Diana Grgurić, specializzata
nello studio del fenomeno della musica pop.
“I risultati ai quali è giunta la ricerca non mi sorprendono e credo
che si tratti di un processo logico.
Siamo testimoni di una progressiva scomposizione della forma, che
nella musica vuole dire ‘melodia’
– osserva la studiosa -. Si sta verificando un’erosione della melodia,
come pure un’erosione della cultura
dell’ascolto. Non sarei, però, d’accordo sull’impoverimento del timbro. Direi, piuttosto, che al contrario, la digitalizzazione della musica abbia portato ad un arricchimento del timbro. Per essere sincera, non
trovo così allarmante questa semplificazione della musica, in quanto
credo che la società si sta muovendo verso un mondo digitalizzato che
sviluppa nuove possibilità.
D’altro canto, siamo testimoni di
una ‘cultura-LIKE’ (il ‘mi piace’ che
viene usato largamente nella rete sociale Facebook, un altro fenomeno
tipico del nostro tempo, nda) che è
molto più pericolosa, dal momento
che comporta un’assoluta semplificazione del gusto personale e fa parte di un processo globale, presente
in tutte le sfere della vita, di ‘rincretinimento’ delle persone. Non sono,
di regola, propensa a usare questo
termine, in quanto credo che sia mio
compito spiegare i fenomeni e pertanto rimanere oggettiva al massimo, cercando di non esprimere giudizi. Si tratta di un termine troppo
‘pesante’ con il quale si squalificano
automaticamente tutti coloro impegnati in varie sfere di attività.
Tornando alla musica pop, credo
che sia necessario osservare e analizzare la musica pop utilizzando parametri del tutto diversi da quelli dei
quali ci serviamo per studiare la musica classica. Si tratta, infatti, di due
generi di musica diversi che devono essere osservati distintamente in
quanto poggiano su parametri differenti.
I giovani di oggi sono soprattutto inclini al ‘consumo’ di questo tipo
di musica perché non possiedono
una gerarchia di valori, non hanno
un punto di riferimento fisso, un ancoraggio culturale dal quale partire
alla scoperta di valori nuovi. Le generazioni più vecchie avevano come
base e come punto di riferimento la
musica classica, e da lì erano liberi di costruire un proprio sistema di
valori. Oggigiorno i valori non ci
sono più e i giovani si trovano ad
‘inghiottire’ acriticamente qualsiasi
cosa. Il profitto è tutto, esso modella il nostro mondo e noi dobbiamo
prenderne atto.
È questa la tragedia del nostro
tempo. Stiamo vivendo nell’era
delle contraddizioni. Infatti, mai
prima d’ora è stato più facile ottenere informazioni, mentre al contempo l’uomo si impegna a semplificare il sapere al massimo. Si tratta
di un processo di riduzione, in corso in tutte le sfere della vita umana
e così anche nella musica. A seconda del nostro punto di vista, pos-
Diana Grgurić
siamo osservare questo fenomeno
come un fatto negativo o positivo.
Il filosofo francese Jean Baudrillard
ha definito la nostra come una ‘realtà integrale’ nella quale non possiamo più distinguere il mondo reale
da quello virtuale. Baudrillard parla pure della cosiddetta ‘intelligenza del male’ che ci ha reso incapaci
di distinguere fra il bene e il male e
che ha cancellato i ‘punti fissi’, creando un mondo basato esclusivamente sul profitto”.
6 musica
Mercoledì, 31 ottobre 2012
DONNE IN MUSICA Nobildonne sassoni, borghesi austriache, italiane e francesi arricchir
Il ’700 fu percorso dal fremito del
di Clio Rostand
L
a presenza femminile nel
corso della storia della musica attraverso i secoli si è
rivelatao’, nel campo della composizione– per tutta una serie di
ragioni legate principalmenmte a
fattori di ordine culturale ed economico -sporadica e timida; nonostante l’operare di musiciste dalla
personalità forte ed ispirata, a cominciare da Ildegarda di Bingen
nel ‘200, Maddalena Casulana,
Francesca Caccini, attive ed ammiratissime nel tardo Rinascimento e primo barocco italiano, alle
principesse tedesche del ‘700, fino
a Clara Schumann, Fanny Mendelsohn nell’Ottocento e via via
fino ai giorni nostri.
Cade nell’occhio la stretta e
ben nota relazione che intercorre
tra il momento sociale-economico-culturale e l’occasione di accedere ad un’educazione musicale
soddisfacente, e quindi di esternare
ed esprimere le potenzialità creative. Musiciste di vaglia, ma anche
scrittrici, pittrici animatrici della
vita artistica ecc. provennero soprattutto, dalle file dell’aristocrazia, degli ambienti artistici e della
borghesia. Coltissime e talentuose,
nel Settecento, furono le principesse prussiane e di Sassonia, oltre a
donne di estrazione borghese austriache, francesi, italiane;
E se in queste pagine abbiamo
già trattato delle musiciste italiane
del Rinascimento in quest’occasione diamo seguito a questa galleria di musiciste con le compositrici
sassoni, austriache e la francese; il
cui operato è sicuramente meritevole di maggiore diffusione ed apprezzamento.
Elettrice
di Sassonia
e accademica
Personaggio musicale di rilievo fu Maria Antonia Walpurgis (18 luglio 1724 - Dresda, 23
aprile 1780) principessa tedesca fu musicista, compositrice e
Maria Antonia Walpurgis
amante delle lettere. Figlia dell’elettore Karl Albert di Baviera (ultimo
imperatore Carlo VII) e dell’Arciduchessa Maria Amalia d’Austria, ricevette i suoi primi insegnamenti musicali a Monaco da Giovanni Ferrandini e Giovanni Porta.
Dopo il suo matrimonio nel 1747
con Federico Cristiano, ultimo elettore di Sassonia, riuscì a continuare i
suoi studi a Dresda con Nicola Porpora e Johann Adolf Hasse.
Si distinse anche come pittrice e scrittrice in Francia e in Italia.
Dal 1747 era divenuta un membro
dell’Accademia Arcadica a Roma, e
pubblicò i suoi lavori come ETPA,
acronimo di Ermelinda Talea Pastorella Arcada.
Con la guerra dei sette anni e la
morte dell’elettore nel 1763 la vita
Elisabeth Claude Jacquet de la Guerre
culturale presso la corte di Dresda declinò. Il suo vivace scambio di lettere
con Federico il Grande di Prussia dal
1763 al 1779 testimonia il suo senso
di personale ed artistico isolamento.
Maria Antonia Walpurgis è una
figura interessante per la sua duplice
veste di, da un lato, patrona sia di pittori come ad esempio Raphael Mengs,
di compositori quali Hasse, Porpora e
J.G. Naumann, e di cantanti come Regina Lingotti e Gertrud Mara, la quale debuttò nell’opera di Maria Antonia
Talestri nel 1767, ma anche, dall’altro
lato, come partecipante nel mondo
dell’arte essa stessa. Si esibiva a corte
sia come cantante sia come suonatrice di clavicembalo: Charles Burney fu
vivamente preso dal suo canto.
Interpretò i ruoli principali delle sue opere rappresentate a corte:
“Il trionfo della fedeltà”, eseguito
nell’estate del 1754 a Dresda, e “Talestri, regina delle amazzoni”, rappresentato il 6 Febbraio 1760 a Nymphenburg, delle quali curò la stesura
di musica e libretti.
Questi furono pubblicati da Breitkopf ed eseguiti presso altre capitali europee ed tradotti in molte lingue. I suoi testi sono chiaramente
modellati su Metastasio (che fece le
modifiche al TrionfoR, e la sua musica su Hasse, di cui ha potuto avere una mano nella composizione del
“Trionfio della fedeltà”; verosimilmente può essere stata aiutata nella
stesura di Talestri da Ferrandini (in
certe fonti citato appunto come autore della musica).
La partitura del Trionfo include un
suo ritratto, fatto da Giuseppe Canale
sul titolo della pagina.
Molte altre composizioni in manoscritti conservati a Dresda portano il suo nome, ma non possono
essere considerate di suo pugno: in
molti casi il suo nome indica solo la
proprietà. Fra le composizioni a lei
attribuite, vi sono diverse tipologie,
fra cui arie, una pastorale, intermezzi, meditazioni e mottetti. Suo è il
testo de “La conversazionedi Sant’
Agostino”, come quello di molte
cantate di Hasse; molti suoi poemi
furono musicati da parecchi musicisti, fra cui si possono annoverare
Hasse, Naumann, G. Ferrandini e
Gennaro Manna.
Anna Amalia di Sassonia
”Dell’origine e delle regole della
musica” di Antonio Eximeno, Roma
1774, era dedicato a lei, e pure esso
include un suo ritratto; esiste un manoscritto tematico che cataloga la
sua libreria (compilato fra il 1750 e il
1790) che si trova ora a Monaco nella
Bayerische Staatsbibliothek.
Guglielmina
di Bayreuth mecenate
delle arti
Una personalità fondamentale per la vita culturale del suo tempo fu Friederike Sophie Wilhelmine (1709-1758), principessa di Prussia, figlia di Federico Guglielmo I di
Prussia e sorella di Federico il Grande e di Anna Amalia.
Nel 1731 contrasse matrimonio
con Federico, Margravio di Brandeburgo-Bayreuth. Gli edifici barocchi e i parchi costruiti durante il
suo regno costituiscono gran parte dell’aspetto attuale della città di
Bayreuth, in Germania, compreso il
grande teatro di Bayreuth che attirerà Wagner un secolo dopo. Bayreuth
sotto la sua reggenza divenne uno dei
centri intellettuali del Sacro Romano
Impero, Wilhelmine si circondò di
artisti ed il prestigio della sua corte
si arricchì delle visite occasionali di
Voltaire e di Federico il Grande. Wilhelmina condivise l’infanzia infelice
di suo fratello, Federico il Grande, di
cui rimase amica e confidente tutta
la vita. Il matrimonio con il Margravio di Brandeburgo-Bayreuth fu accettato da Wilhelmina soltanto sotto
le minacce di suo padre.
Compositrice di talento, scrisse
un’opera, “Argenore”, eseguita nel
1740 per il compleanno del marito ed
alcuni brani di musica da camera. La
maggior parte delle sue composizioni
sono purtroppo andate perdute.
Elisabeth Claude
Jacquet de la Guerre
bambina prodigio
alla corte di Re Sole
La compositrice francese Elisabeth-Claude Jacquet de la Guerre
venne celebrata fin dalla più giovane età come una virtuosa di clavi-
cembalo, celebre per le sue improvvisazioni. Fu presto notata da Luigi XIV, il Re Sole, di cui godette la
protezione ed al quale dedicò tutte le
sue composizioni. Il Re la chiamava “la sua piccola meraviglia”. Introdotta così a corte,la sua prima educazione fu strettamente legata alla
supervisione di Madame de Montespan, l’amante del Re. Elisabetta discendeva da una famiglia di costruttori di clavicembalo e musicisti; nel
1684 sposò l’organista parigino Marin de la Guerre. Il loro unico figlio,
bambino prodigio come sua madre,
morì all’età di dieci anni. Marin de la
Guerre morì nel 1704 e, successivamente, Elisabeth rimase attiva come
esecutrice fino al 1717. Al momento
della sua morte, nel 1729, era ancora
ricordata e stimata come importante
figura pubblica.
Elisabeth scrisse e pubblicò opere
in quasi ogni forma musicale praticata in Francia al suo tempo, e fu determinante nell’introdurre il nuovo stile
di musica italiana in Francia. Fu una
delle prime donne a comporre in una
così ampia varietà di generi e ad essere pienamente onorata per i risultati
conseguiti in un campo generalmente riservato agli uomini. Uno dei suoi
primi lavori fu l’opera in cinque atti
Céphale et Procri, primo lavoro di una
donna ad essere rappresentato presso
l’Opera di Parigi. Le sue prime sonate
a tre oltre che per strumento solo, apparse intorno il 1695, furono tra le prime di questo nuovo genere ad essere
composte in Francia. Ugualmente fu
una precorritrice della nuova cantata
francese. I suoi due libri di cantate bibliche, pubblicate da Ballard nel 1708
e 1711, si distinguono per il soggetto insolito e per lo stile italiano. Altre
opere, oggi perdute, includono anche
un balletto, Les jeux à l’honneur de
la Victoire, del 1691, e un Te Deum,
scritto per celebrare la guarigione di
Luigi XV dal vaiolo nel 1721.
Jacquet de la Guerre aveva pubblicato una serie di pezzi per clavicembalo già nel 1687. Fu una dei
pochi compositori francesi per clavicembalo a pubblicare una raccolta
nel XVII secolo, e la sola che abbia
pubblicato raccolte sia nel XVII che
XVIII secolo. Queste opere sono caratterizzate dalla presenza di un mo-
musica 7
Mercoledì, 31 ottobre 2012
rono il panorama della musica del Settecento con una produzione degna di essere ricordata
l genio musicale femminile
Moriva a Vienna duecento anni fa
Marianna von Martines,
compositrice ammirata dai grandi
Marianna von Martines (1744-1812) è stata la compositrice austriaca più prolifica della seconda metà del Settecento. Nacque in una
famiglia dell’alta borghesia. Il padre era maestro di cerimonie presso
l’ambasciata papale a Vienna, e ciò le consentì di entrare in contatto
con le figure musicali più illustri del suo tempo come Mozart, Haydn
e Beethoven.
Sebbene non si possa certo parlare di pari opportunità tra i sessi in
ambito musicale, il talento di Martines, la sua abilità, e la sua classe
(era indipendente e faceva parte della nobiltà minore) contribuirono
al suo status di membro della èlite viennese, sia come frequentatrice
di salotti che come rispettata esecutrice e compositrice. Nonostante siano state pubblicate solo poche delle sue oltre duecento opere
mentre era in vita, le opere superstiti rivelano una mano ambiziosa e
ben istruita. Da masse sinfoniche di grandi proporzioni e mottetti per
coro e orchestra a singole arie su testi italiani, Martines produsse musica di alta qualità che non era ammirata solo dai suoi contemporanei
viennesi, ma anche da figure di primo piano in Italia e Germania.
PORPORA E HAYDN I MAESTRI Pietro Metastasio, poeta di
corte a Vienna e residente nella sua stessa casa, rimase colpito dal talento musicale di lei ancora bambina. Fu Metastasio ad organizzare
per lei per lezioni di canto lirico con il compositore Niccolò Porpora
e lezioni di clavicembalo con il giovane Joseph Haydn, un altro inquilino di casa Martinez e, in seguito, lezioni di composizione con il
compositore di corte Giuseppe Bonno ed informalmente con Johann
Adolph Hasse. Ancora ventenne Marianna scrisse grandi opere sacre
per coro e orchestra e le sue tre sonate per tastiera. Il suo capolavoro, il mottetto “Dixit Dominus”, venne composto nel 1774 in risposta alla Filarmonica di Bologna che l’anno prima l’aveva eletta tra i
membri della propria Accademia, prima donna a ricevere tale onorificenza. Nell’aprile del 1773 Martines stessa ne aveva fatto audace
richiesta al grande musicista Padre Giovanni Battista Martini, inviandogli la partitura di una grande opera per coro, solisti e orchestra.
AMICA DI MOZART Nel frattempo Martinez a Vienna era diventata una figura di spicco nella vita musicale della città. Ogni sabato la sua casa era aperta agli ospiti che amavano ascoltare ed eseguire musica, e lei stessa eseguiva la propria. Haydn e Mozart erano
a volte tra gli ospiti, e forse eseguivano con la stessa padrona di casa
le sue sonate per pianoforte a quattro mani. Chiaramente Martines
aveva acquisito un’eccellente reputazione come compositrice per tastiera, prima sul clavicembalo e in seguito al pianoforte. Due delle
sue sonate erano stato pubblicate nel 1765 in un’antologia di musica
per clavicembalo.
Il suo stile rivela l’influenza del suo maestro, Haydn, e comprende il rococò con la sua struttura omofonica, stile già datato dal 1760,
e l’ “Empfindsamer Stil” della metà del XVIII secolo.
Martines scrisse la sua ultima composizione, una cantata da solista “Orgoglioso fumicello”, nel 1796. Un decennio più tardi, fondò una scuola di canto professionale. Continuò a far parte della vita
musicale viennese, ed apparve in pubblico l’ultima volta il 27 marzo
1808 in una performance della “Creazione” di Haydn. Morì il 13 dicembre 1812.
Guglielmina di Bayreuth
vimento introduttivo, in aggiunta ai
tempi tipici della suite, esempio di
preludio non misurato. Questo tipo
di scrittura si trova nelle opere di alcuni altri compositori francesi del secolo XVII, come Louis Couperin, e
anche nelle suite per tastiera di compositori successivi come Handel.
Pubblicò inoltre una raccolta
doppia di sonate per violino e suite per tastiera nel 1707, confermando se stessa come figura importante nella produzione emergente di sonate per violino in Francia. Nel dedicarsi alla sonata, di importazione
italiana, stava mostrando il lato più
innovativo della sua personalità creativa. L’abbondante ornamentazione seguiva la grande tradizione dei
clavicembalisti francesi. Scrisse anche un volume di Cantate su tradizionali temi mitologici.
Elisabeth Jacquet de la Guerre
oggi è ricordata sia come dotata clavicembalista che come compositrice.
Nella sua stessa epoca raggiunse una
reputazione internazionale come compositore e, caso unico per una donna a
quei tempi, pubblicò le sue opere nei
vari generi: opera, cantate, sonate per
violino e basso continuo, suite per clavicembalo. La sua reputazione viaggiò anche al di fuori della Francia. “La
Meraviglia del nostro secolo”, secon-
do un recensore anonimo in Le Mercure galant (dicembre 1678).
Uno dei primi più ampi resoconti della sua vita è quella di Evrard
Titon du Tillet (1677-1762), che riunì su un Monte Parnaso i maggiori compositori francesi, e Jacquet de
La Guerre fu l’unica donna a meritarne l’inclusione.
Nell’anno della sua morte venne
coniata una medaglia dove figura il
suo ritratto con, sul retro, la scritta “Ai
grandi musicisti, io ho conteso il primato”. E’ questa medaglia che compare sotto forma di incisione nel “Le parnasse Français” di Titon du Tillet.
La favolosa biblioteca
di Anna Amalia
di Prussia
Anna Amalia di Prussia (17231787), sorella più giovane di Federico
il Grande e figlia di Federico I di Prussia, potè dedicarsi alla musica solo
dopo la morte del rigido e violento padre, che proibì ai figli di esercitare la
musica nonostante le doti dimostrate.
Quando Federico II salì al potere, rivelandosi un despota illuminato protettore delle arti e coltivatore
della musica, Anna Amalia potè dedicarsi nuovamente alla pratica musicale, in una corte dove approda-
vano i migliori musicisti dell’epoca
(Gottlieb, Agricola, Quantz, C.P.E.
Bach).
Una tragica vicenda personale (l’amore per un giovane ufficiale dell’esercito, che Federico imprigionò per dieci anni) portò alla sua
reclusione nell’Abbazia di Quedlinburg, dove Anna Amalia si rifugiò
nella musica fino alla sua morte.
Compose musica da camera, Lieder, un oratorio, corali per organo.
Studiò sotto la guida di Kirnberger,
allievo di J.S. Bach, da cui apprese l’arte del contrappunto. Suonava il clavicembalo, il flauto, il violino. Dedicò la sua vita alla musica,
e mentre imperversava lo stile galante lei era una ardente estimatrice
di autori considerati “superati” quali Palestrina, Bach, Haendel, Telemann. Collezionò più di 600 volumi in una grandiosa biblioteca che
ha preservato la gloriosa epoca barocca europea fino ai nostri giorni
e che ha permesso, grazie alla sua
lungimiranza, che molte importanti
opere non andassero perdute.
Per quanto riguarda le sue composizioni solo una piccola parte
sono giunte fino a noi: mai soddisfatta dei suoi lavori, vittima di una
pesante autocritica, ne distrusse la
maggior parte.
8 musica
Mercoledì, 31 ottobre 2012
VOCI STORICHE Ettore Bastianini, uno dei massimi baritoni del ’900
Una splendida voce
prematuramente
stroncata
E
ttore Bastianini nacque il
24 settembre 1922 a Siena
nella contrada della Pantera, e morì a Sirmione sul lago
di Garda il 25 gennaio 1967. Era
figlio di padre ignoto e sua madre
era tutto quello che lui aveva di più
importante al mondo.
La sua voce era molto bella
naturalmente e iniziò subito dopo
la guerra una breve carrieracome
basso che però stentava a decollare, ma poi, convinto dal suomaestro Luciano Bettarini, studiò per
sei mesi da baritono nel 1951 a 29
anni. Era però molto povero e non
poteva permettersi le lezioni, ma
il suo maestro gli fece le lezioni a
credito convinto che lo avrebbe ripagato, come infatti fece in seguito
quando divenne ricco. Era talmente povero che si doveva fare la barba per una settimana con la stessa
lametta! Ci volle poco però perchè arrivasse il debutto come baritono nella sua Siena nel gennaio
Nei panni del Marchese di Posa del 1952 e poi nel dicembre dello
Aforismi
Amiamo la musica, sosteL’anima domanda, la musiniamola con tutte le nostre for- ca risponde.
ze e con la nostra intelligenza
e certamente vivremo un’esiL’ascolto, compimento delstenza migliore, più umana e la creazione musicale
decisamente più creativa
La musica ci fa sentire roChi educa alla musica pre- mantici...
para un artista ad affrontare il
pubblico; chi educa con la muLa musica, come ogni altro
sica prepara un uomo ad af- linguaggio del cuore, non osfrontare la vita.
serva nessuna regola, se non
quella di seguire il battito delle
Fare musica fa sicuramente proprie emozioni.
bene alla salute: al pari di qualsiasi altra attività
La musica crea l’amicizia,
fisica, la pratica di uno stru- l’amicizia crea la musica
mento musicale aiuta a tenere
allenati i muscoli,
La musica è Dio che sorride
favorisce una corretta respi- all’uomo.
razione e richiede un forte coordinamento
La Musica e il Canto non
fra il cervello e le parti del producono nel Cuore quello
corpo interessate all’esecuzio- che non vi e’ già presente.
ne dei brani musicali.
La musica è il collegamento
I cigni cantano prima di mo- con lo sviluppo di un popolo
rire. Certi cantanti farebbero
bene a morire prima di cantare
La musica è il genere di arte
perfetto. La musica non può
I gesti dicono poco; le paro- mai rivelare il suo segreto più
le un pò di più; la musica tut- nascosto.
to.
La musica è l’arte per un
Il suono è un’esperienza mondo migliore.
avvolgente, e riempie un’inteLa musica e la poesia esprira presenza con la sua intensità e capacità di ‘tenere’ il suo mono la bellezza estetica in
recettore. Riduce la distanza diversi modi, spesso ne tragdell’oggetto, e dal punto di vi- gono effetto artistico merasta dello sviluppo è vicino alle viglioso, perché da quando è
esperienze del ‘prendere’ e del nata l’arte su questo pianeta,
toccare. Il potere che la Musica la musica e la poesia sono una
ha di prendere e immergere ha coppia di gemelle innate. Una
spesso come risultato un am- bella poesia non solo è eccelbiguo stato di coscienza in cui lente nell’esprimere i pensieri
la discriminazione tra dentro e e i sentimenti del poeta, ma è
anche musicalmente bella nei
fuori diventa imprecisa.
termini di sillabe, ritmi e rime;
Il valzer non è solo una for- la musica, a sua volta, è infatti
ma musicale tra le più allegre un poema musicato in melodie
e gioiose ma è anche oltremo- che sono le note che provendo rilassante. Mentre cammini, gono dall’anima dell’autore.
segui col pensiero un ritmo terLa musica e la sua bellezza
nario e sentirai l’eco della gioia
è l’armonia uscita dal caos.
nei tuoi passi
stesso anno al Comunale di Firenze nella “Dama di picche” di Ciaikovskij. Nel 1953 esordì poi a Torino nello “Chenier” e poi quello
stesso dicembre era già al Metropolitan di New York in “Traviata”
dove ricevette una vera ovazione
alla fine della sua aria. La sua voce
era così bella che venne paragonata al bronzo e al velluto poichè era
potente e solida, ma morbida allo
stesso tempo.
Sfolgorante carriera
Si avviò quindi ad una folgorante carriera e nel 1955 era alla
Scala di Milano nella leggendaria produzione di Visconti di “Traviata” con Maria Callas e Giulini sul podio. Cantò poi, nella sua
pur breve carriera di poco più di
10 anni, in ben 20 opere diverse
alla Scala come baritono principale. Diventò quindi il baritono principale dei massimi teatri del mondo: la Scala, Vienna e New York
oltre a frequenti apparizioni a Covent Garden a Londra, Salisburgo, Chicago. Poi proprio quando,
nel 1962, sembrava avesse trovato in una giovane ragazza chiamata Manuela la donna della sua
vita, la terribile diagnosi fattagli a
Chicago:cancro alla gola.Non disse niente a nessuno e si tenne per
sè il terribile segreto, considerato
anche che la sua cara madre era
appena morta ed era solo.
Disse alla sua fidanzata che
non potevano continuare il loro
rapporto senza dare alcuna spiegazione. Continuò la sua carriera, ma
doveva sottoporsi alle radiazioni poichè aveva rinunciato ad una
operazione chirurgica, la quale se
poteva forse salvarlo, gli avrebbe
d’altra parte tolto la sua principale ragione di vita: il canto lirico.
Naturalmente la sua voce non era
più quella di prima, ma nessuno
sapeva perchè; e alla fine accadde
l’inevitabile.
Drammatico declino
Il 10 aprile 1962 venne fischiato alla Scala in “Rigoletto”. La
sua voce non rispondeva più. Seguì un penoso declino che venne
interrotto solo dalla gioia di veder vincere la sua contrada della
Pantera nel Palio di Siena proprio
nell’anno in cui lui ne era diventato il Presidente. Poi tornò il dolore e i grandi teatri, uno dopo l’altro chiusero il contratto con lui, e
il destino volle che l’ultima scena
in cui lui cantò nel 1965 nei tre
grandi teatri di New York, Milano
e Vienna, sia stata proprio quella
Grande Rigoletto alla Scala
della morte del Marchese di Posa
nel Don Carlo di Verdi, il nobilissimo ruolo che lui aveva sempre
cantato così bene... Il pubblico, la
critica, i suoi stessi colleghi e tutto il mondo della lirica si interrogarono sulla misteriosa decadenza di questo cantante di poco più
di 40 anni. Con stupore e dolore si
apprese la notizia della sua malattia quando ormai era in punto di
morte. Venne a mancare a Sirmione il 25 gennaio 1967 a 44 anni.
Due giorni dopo,a Siena, al funerale era presente tutta la città. Gli
furono tributati gli onori di Capitano in carica della contrada della
Pantera. Quando il corte funebre
passò davanti ad una delle aperture su Piazza del Campo, la bara
venne girata verso la Torre del
Mangia per un ultimo saluto mentre la campana del Palazzo Comunale suonava a morto.
Scanzonato Figaro
Anno VIII / n. 63 del 31 ottobre 2012
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Kovačić
Collaboratori: Marin Rogić ed Helena Labus Bačić
Foto: Zlatko Majnarić