LA VOCE DEL POPOLO il pentagramma ce vo /la .hr dit w.e ww musica An no VIII • n. A la recherche de la beauté perdue 012 2 e obr 63 • Mercoledì, 31 ott di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, in questi giorni in cui tutte le divinità meteorologiche sembrano fare i capricci, mi ritrovo a sospirare sulle pagine internet dei Teatri di Zagabria e Spalato. Scorro i programmi d’opera, dei concerti, di balletto. Sotto quest’ultima voce il menu offerto dai due enti teatrali è semplicemente magnifico. In cartellone figurano tutti i grandi titoli del balletto bianco, del repertorio romantico, virtuosistico, dei classici del novecento, fino agli autori contemporanei. Il confronto con l’offerta del corpo di ballo di Fiume – il quale ormai da parecchi anni ha ripiegato esclusivamente sul genere moderno - è inevitabile. E sconfortante. Da qui i miei sospir e gemiti ricordando il periodo d’oro degli anni ’90 del balletto fiumano. Ah, l’allestimento sublime di “Giselle”! Oh, il variopinto e festoso “Don Chisciotte”! Deh, la deliziosa “Silfide”! Ed, eziandio, il superbo e veramente favoloso allestimento fiumano del “Lago dei cigni”, con il quale la compagine toccò l’apice, distinguendosi come migliore corpo di ballo in tutta l’ex Jugoslavia! Nota bene, lo disse Vesna Butorac, artista di fama internazionale; e lo affermò Orlowski, per lunghi anni direttore del balletto di Vienna. Quelle sì che erano imprese. Il teatro era sempre stracolmo e il pubblico si spellava le mani. Sempre a proposito del “Lago dei cigni”, ricordo, per la cronaca, che l’Orchestra dello “Zajc” lo suonò sotto la direzione di Šutej e che quindi, sempre con lo stesso titolo, accompagnò il Balletto di Boston e Nureyev in tournèe per l’Italia. L’incontentabile e pignolo Tartaro ebbe a dire che l’orchestra fiumana era quella che fra tutte meglio accompagnava la sua danza, in quanto a flessibilità e prontezza. Qualcuno potrà osservare che la sottoscritta sia una fissata del balletto ottocentesco, di spettacoli “melensi” per niente “sociološki e politički osviješteni“, né „društveno angažirani“. (Vadano a spiegarlo a quelli che fanno la fila per un biglietto per “Giselle”, et similia). Eppure, l’uomo ha bisogno della bellezza per vivere. Ha bisogno di librarsi in regioni che trascendano la “crisi-dramma-lotta di classeintossicazione ideologica- nevrosi-fobia”, e via di questo passo ecc. La Bellezza, come valore assoluto, è consolatoria, ci fa più felici e ci rende più bella la vita. Nel succitato genere di danza c’è l’uomo e il racconto dei sentimenti, c’è la vita, la fantasia, il sogno e la grazia. E come giustamente dice Sgarbi (ma non solo lui), “l’arte è contemporanea”; cioè tutta quella creatività artistica che parla dell’essere umano, che è viva e quindi feconda – risalisse pure a venti secoli fa –, è attuale, è contemporanea e quindi moderna. In barba ad un certo modernismo iconoclasta e talebano. tura che fu oggetto del suo studio e della quale scrisse: “tutta la creazione è una sinfonia di gioia e di giubilo”. Quello che però ci interessa in quest’occasione, è il suo genio musicale. Ildegarda di Bingen è la prima donna musicista della storia e ci ha lasciato 155 canti gregoriani raccolti nella “Symphonia armonie celestium revelationum”. Le sue musiche non sono semplici canti. “La sinfonia delle vedove” e l’“Ordo virtutum”, contengono addirittura, in nuce, gli elementi dei Misteri, cioè gli spettacoli drammatici di carattere agiografico che di lì a poco avrebbero costituito il fulcro delle Sacre Rappresentazioni medioevali. Come in altri campi anche qui la badessa di Bingen mostra la sua libertà ed originalità. Scritti per integrare la Liturgia delle ore, spesso composti su testi propri, i canti sono -------------------------------------------------di mole maggiore rispetto a quelli canonici e portano l’imBenedetto XVI durante la Messa di apertura del Sinodo pronta della sua forte personalità. Sotto l’impeto del fuoco dei Vescovi sulla Nuova evangelizzazione, ha proclamato la spirituale che la pervadeva, le melodie celestiali di Ildegarmonaca benedettina e mistica Ildegarda di Bingen (1098da, le estatiche infiorature salgono, scendono come in una 1179) Dottore della Chiesa. È la quarta donna dottore della danza con grande libertà espressiva, e sembrano lievitare Chiesa Universale dopo Teresa d’Avila, Caterina da Siena e nei loro elaborati movimenti melismatici. Teresa di Lisieux. Questi canti di somma qualità artistica e di fortissima Massima intelligenza femminile del Duecento, la bades- espressività sono rimbalzati da un secolo all’altro fino ad sa Ildegarda, ritenuta una delle poche donne che occupioggi; tant’è vero che nel 1994 Richard Souther ispirato dalno a buon diritto un posto nella filosofia occidentale prima le composizioni di Ildegarda incise l’album – che si ritrovò dell’età contemporanea, fu personaggio di straordinaria in cima alle hit parade – “Vision: the music of Hildegard poliedricità: pittrice, musicista, cosmologa, poetessa, dram- von Bingen”. L’autore operò una fusione tra i canti gregomaturga, naturalista, filosofa, predicatrice, profetessa, con- riani del Duecento con effetti elettronici e una strumentasigliera di pontefici e imperatori, tra i quali Federico il Bar- zione moderna. Il disco vinse il premio Billboard come mibarossa. “Sibilla del Reno”, “autentica maestra di teologia gliore album classico/crossover dell’anno. A riprova di quando il linguaggio è veramente unie profonda studiosa delle scienze naturali e della musica”, donna visionaria che andò ben oltre le convenzioni del suo versale e il genio della spiritualità attraversa le barriere del tempo. tempo, Ildegarda, (ben degna del suo nome che significa Immancabilmente Vostra „coraggiosa in battaglia“) fu pervasa dall’amore per la na- 2 musica Mercoledì, 31 ottobre 2012 L’INTERVISTA Incontro con il musicista Damijan Grbac che ci racconta la sua esp I giovani musicisti fiumani in fuga ve di Marin Rogić FIUME - Fiume è nota per la sua temperie multiculturale la quale delinea non solo i rapporti “umani“ - il capoluogo quarnerino è diventato un esempio per le altre città del paese -, ma che si esprime pure a livello artistico-espressivo, e, nello specifico, negli ambienti musicali. Da decenni Fiume viene considerata la città per eccellenza del ‘rock’ e del ‘punk’, due generi musicali all’interno dei quali si sono formate delle band che, nel corso degli anni,sono riuscite a scalare le classifiche nazionali ed a segnare la musica croata in maniera permanente. Dai primi anni 2000 a questa parte, sta crescendo una nuova generazione di musicisti che si stanno affacciando alla musica jazz, genere musicale inesistente, o quasi, nel capoluogo del Quarnero fino agli anni ‘90. Ora, il jazz, troppo spesso veniva, e tutt’oggi viene considerato, musica elitaria; musica noiosa, difficile da comprendere e per questo, molto spesso rifiutata da un’ampia fetta di pubblico, quel pubblico che di solito detta il mercato e le classifiche di vendita dei dischi. Direzione Italia ed Austria GRAZIELLA TATALOVIĆ Purtroppo, come per molti altri campi, Fiume e la Croazia non offrono scuole o accademie adeguate dove poter studiare questo “nuovo” genere musicale nato nei primi anni del XX secolo nelle comunità afroamericane del sud degli Stati Uniti. Ecco perché ormai da diversi anni non pochi giovani musicisti fiumani decidono di oltrepassare il confine per cercare all’estero il proprio ‘el dorado’, cioè un luogo di studio che permetta loro di istruirsi ed ‘abbracciare’ la musica di Davis Miles, John Coltrane, Duke Ellington e di altri grandi maestri di questo genere. Due sono le destinazioni privilegiate: il Lande- skonservatorium Klagenfurt, Conservatorio musicale di Klagenfurt in Austria, e il Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste, due istituzioni che rappresentano l’eccellenza accademica musicale a livello europeo. Per farci raccontare uno dei diverse casi di “musicisti espatriati” abbiamo incontrato il contrabbassista Damijan Grbac, classe ’79, che attualmente frequenta il quinto anno del Conservatorio Tartini. Il musicista fiumano viene considerato, sia da parte della critica che da tanti sujoi colleghi, uno dei migliori, se non il miglior contrabbassista della nuova generazione in Croazia. Vanta collaborazioni con Henry Radanovic, Elvis Stanić, Denis Razumović, Charlie Jurkovic, Spartaco Črnjarić, l’americano Joe Kaplowitz e molti altri. Tra i suoi mentori ricordiamo Primož Grašič, Mario Mavrin, Emil Spanyi e Boško Petrović. Fondatore del quintetto “Ondina i vali” con Tonči Grabušić attualmente suona nel “Joe Kaplowitz Quartet”. - Come è cominciato il tuo rapporto con la musica? ”È una lunga storia iniziata tanti anni fa. Mio padre, Smiljan Grbac, è musicista, e fin da piccolo mi portava in giro per i suoi concerti che sono state le mie prime ‘lezioni’ di musica. Tutto mi affascinava: i ritmi, l’ambiente, l’energia che si creava attorno ai musicisti. Così ho incominciato a suonare il clarinetto e con il passare del tempo, ho preso in mano il basso, del quale mi sono innamorato. E’ stato amore a prima vista. Otto anni fa mi hanno invitato a suonare in una jazz band che era composta tra gli altri da Spartaco Crnjaric e Denis Razumović. Qui per la prima volta ho preso in mano il contrabbasso. In un primo momento credevo che fosse tutto un gioco, ma poi con il passare dei concerti, ho incominciato ad avvicinarmi sempre di più alla musica jazz e al nuovo strumento musicale”. - Come mai il contrabasso? È uno strumento molto importante in un complesso jazz, ma poco scelto dai giovani musicisti. ”Dopo i primi incontri con Razumović e Crnjaric ho deciso di imparare e conoscere di più dello stile jazz, di entrare più a fondo per capire i tempi, le battute, la ritmica, ecc.., cosí mi sono iscritto per diverse volte al “Jazz kamp Kranj” che si tiene ogni anno in Slovenia. Lì ho capito quali enormi possibilità offra il contrabbasso e quale magnifico strumento sia. Poi, rappresentava anche una scelta naturale visto che mio papà era bassista, io sono nato musicalmente come bassista ed il contrabbasso è solo il prolungamento delle mie esperienze musicali”. - Passiamo al tema centrale del nostro incontro. Come è cominciata la tua avventura triestina? ”Mentre ero al “Jazz kamp Kranj” ho sentito parlare per la prima volta del “Tartini”. Visto che in Croazia non esistevano scuole che si dedicassero all’insegnamento del jazz e siccome in me cresceva sempre più l’interesse per questo stile musicale, ho deciso di oltrepassare il confine e di provare a superare l’esame d’ammissione. Trieste mi sembrava la scelta più logica, era più vicina a casa, e quindi una volta entrato, non avrei avuto scuse per non farcerla. Quella scelta ha cambiato la mia vita e mi ha portato a diventare il musicistache sono oggi”. - Il “Tartini” è uno dei conservatori più importanti a livello nazionale in Italia. Cosa hai dovuto affrontare per essere ammesso? ”Diciamo che questa parte è stata la più difficile. Ho dovuto fare i salti mortali soltanto per reperire tutti i documenti necessari per la domanda d’iscrizione. Ho passato svariati mesi a raccogliere e sistemare tutta la parte burocratica. Una volta risolta, ho inoltrato la domanda e mi sono presentato al provino di ammissione che comprendeva svariati test, dalla pratica alla teoria, oltre alla prova di lingua italiana. C’era in me un po’ di emozione e tensione prima del provino musicale, ma poi, quando abbiamo cominciato a suonare è andato tutto bene e per fortuna oggi posso essere qui a raccontare la mia esperienza. La particolarità del conservatorio triestino è quella di favorire la parte pratica rispetto a quella teorica; in altri conservatori, se non conosci bene la teoria musicale, non ti prendono in considerazione. Al “Tartini” invece no, guardano al talento puro e su quello si basa la loro scelta finale. Diciamo però che una buona preparazione teorica ci deve essere”. - Per chi volesse andare a studiare a Trieste, quali sono le tue considerazioni sul “Tartini” come luogo di insegnamento? ”Io posso dire solo il meglio. È un luogo unico, dove la musica si respira nell’aria. Il programma jazz segue anche le basi degli altri stili musicali, dal classico al moderno. I professori, nonostante siano musicisti di livello internazionale, sono molto cordiali e disponibili. Ti fanno sentire uno di loro, un musicista vero. Per me che ero straniero e non conoscevo bene la lingua italiana, vi era la possibilità di seguire per i primi tempi i corsi in lingua inglese, e questo è veramente un’opportunità unica, perché lascia il tempo necessario per imparare la lingua. Poi, basta dire che tra i professori ci sono Giovanni Maier, uno dei musicisti più apprezzati nel panorama jazz italiano, Glauco Venier, il miglior pianista jazz italiano, il saxofonista tedesco Klaus Gesing, considerato uno dei migliori nel suo campo a livello europeo, il contrabbassista Marc Abrams, il compositore Stefano Bellon e molti altri. Credo che per chiunque voglia intraprendere la carriera di musicista, indipendentemente dallo stile scelto, il “Tartini” rappresenti l’eccellenza educativa. Si trova a pochi passi da Fiume, quindi non ci sono scuse per non provarci”. - Quali sono, se ci sono, i musicisti a cui ti ispiri? ”Ray Brown e Paul Chambers, per il contrabbasso. Un altro che considero un genio della musica jazz è il batterista fiumano, il migliore in Croazia, Tonči Grabušić. Quando ero più piccolo, lo guardavo suonare con Elvis Stanić e mi chiedevo se mai avrei avuto la possibilità di conoscerlo. Oggi ho l’immenso onore e piacere di poter suonare con entrambi e di poterli chiamare colleghi, e questa è una cosa che, nonostante io sia ‘nuovo’ sulla scena jazz, mi rende musica 3 Mercoledì, 31 ottobre 2012 erienza accademica oltre confine rso Trieste e Klagenfurt Damijan Grbac e Tonči Grabušić estremamente orgoglioso. Con Tonči Grabušić collaboro praticamente ad ogni progetto”. - A proposito di progetti. Ho letto che stai preparando un cd all’interno del quale ci saranno musiche tradizionali istriane e quarnerine reinterpretate in chiave il jazz. È corretto? ”Sì, abbiamo appena finito di inciderlo e dovrebbe uscire agli inizi di novembre. Le canzoni tradizionali istriane sono specifiche per la scala musicale non temperata, che rende i motivi unici. Descrivono paesaggi della regione del Carso, le fatiche MONDO JAZZ contadine nei campi, il bellissimo mare e la gioia di vivere. Tali canti vengono eseguiti prevalentemente da due cantanti in terze e questi ritmi e queste musiche prendono forme ‘nuove’ nel jazz. Ho scelto dei brani che rappresentino a pieno il territorio di provenienza, dando spazio a suoni di strumenti popolari come il mih (una specie di piva) ed altri strumenti a fiato, come le sopele (piffero) o roženice, dvoinice (flauti doppi), cindra (tamburo a due corde). Al progetto hanno partecipato musicisti eccelsi; oltre a me ci sono Tonči Grabušić, l’istriano Dario Marušić e il saxofonista Klaus Gesing. Giusto in questi giorni stiamo perfezionando il tutto in vista dell’uscita”. - Cosa vuol dire per te la musica? ”Sembrerà banale, ma per me la musica è il mio stile di vita. Il 90% del mio tempo lo dedico alla musica. Adesso sta diventando un lavoro, quindi incide ancora di più sulla mia quotidianità. La maggior parte del tempo libero lo passo a perfezionarmi ed a suonare; è il mio hobby, quindi direi che è una parte fondamentale della mia vita”. Il compositore tradizionale e il musicista dell’accattivante genere afro-americano a confronto La forma di vita del jazzista Una riflessione ampia e strutturata meriterebbe un tema che qui possiamo solo tratteggiare, ossia la forma di vita del jazzista rispetto a quella del compositore contemporaneo tradizionale. Quest’ultimo tende normalmente a elaborare una proprio voce espressiva, se non un proprio stile riconoscibile, costruendo un rapporto fortemente solidale tra catalogo delle opere ed identità. Ci si prende talora la “libertà” di comporre “in stile di”, secondo autori diversi ed epoche lontane; si ricorre talaltra al pastiche stilistico ma solo per ribadire il proprio superiore magistero; si può infine compiere eclatanti atti di liberazione da questi vincoli dell’identità autoriale, affidandosi a meri collage di materiali altrui o oggetti sonori “trovati”, ossia campionati, ecc.: sta di fatto che in un modo o nell’altro, in una versione positiva o negativa, la riduzione della forma di vita del compositore classico a una polarizzazione identitaria univoca è quasi un fatto istituzionalizzato, una prassi della gestione dei valori di riconoscimento artistico. Per contro, nel jazz si assistono a fenomeni diversi, a partire naturalmente dalla tradizione popolare e dal forte senso di collettività che anima la produzione musicale in vivo. Il soggetto collettivo è richiamato sia nel senso di un’eredità compositiva (i traditionals, gli standards), sia in ragione di quella creatività condivisa, in sede concertistica, che dissemina e rivivifica continuamente la prima. La comunità della musica classica è distributiva di ruoli prefissati, mentre quella jazzistica è piuttosto integrativa (somma di apporti) e sostitutiva (leader a turno). La paternità autoriale tra compositore ed esecutore è fortemente istituzionalizzata nel primo caso, mentre è incerta e condivisa nel secondo. Le collaborazioni nel jazz fissano l’ascrizione nominale di un’edizione discografica a un singolo jazzman, ma in realtà ciò risponde a un ciclo di prestazioni scambievoli e di semplice turnazione di responsabilità “maggiori”. Se nel jazz non mancano certo figure accentratrici, difficilmente queste hanno radicalmente rifiutato di entrare localmente in un gruppo altrui, per sostenere progetti guidati da un altro leader. Un caso interessante sono state le associazioni tra grosse personalità del jazz di fine assi Sessanta e primo anni Settanta, che superavano l’idea di gruppo o di orchestra per divenire apertamente degli ambienti creativi ad autorialità diffusa. Ricerca e improvvisazione radicale favorivano naturalmente questa versione integrativa ed eterarchica, equanime dei diversi contributi. I sodalizi sono pari al continuo farsi e disfarsi di “famiglie” collaborative, imparentate nei modi più difformi. Soprattutto, nella forma di vita del jazzista emerge la coincidenza di “progetto” e nome “occasionale” di un gruppo. Le formazioni sono insomma tutt’uno con l’idea di poter prendere una distanza dall’identità stilistica già negoziata con gli ascoltatori. Il gruppo consente la moltiplicazione e sperimentazione di altri composti timbrici, di altri metodi compositivi o improvvisativi, persino di altri generi e “gusti” musicali. Nasce così un paesaggio instabile di formazioni, a cui sono legati progetti discografici che ritornano anche a distanze cospicue di tempo: un’instabilità che può apparire disorientante e legare i risultati raggiunti a una sensazione di episodicità. Qualcuno potrebbe persino pensare che è proprio per paura di un catalogo immediatamente esplicito e consequenziale di composizioni e produzioni discografiche che si ricorre alla moltiplicazione di identità fittive sotto nomi più o meno improbabi- li. Le formazioni sarebbero allora il modo per disseminare tracce identitarie senza la necessità di una coerenza superiore oppure il metodo per mascherare la ripetizione, l’ancoraggio a una serie di brani “fortunati”: ecco allora la possibilità di incidere, rieseguire, ritornare sugli stessi pezzi cambiando la “chimia” dei musicisti di volta in volta assoldati. La forma di vita viene così legata alla “variazione”, alla ripresa, a una creatività diffusa e disseminata. Più polarità identitarie costituiscono un sistema gravitazionale che finisce per qualificare una forma di vita permeata di alterità almeno quanto questa è pronta a metabolizzare il proprio intorno. Nelle confluenze tra musica contemporanea e ambito jazz/rock non è un caso che ancor prima di stilemi si siano tentate delle esportazioni/importazioni di forme di vita. Pensiamo, da una parte, ad Anthony Braxton, che ha ostentato il suo catalogo ordinato con la rubricazione delle sue Compositions; dall’altra, al gruppo Musica Elettronica Viva che, sul finire degli anni Sessanta, ha sostanziato in ambito colto una sperimentazione allargata e non più confinata alla produzione “autoriale” individuale. Forse rispetto a questa traduzione di forme di vita tra ambiti musicali diversi resta in gioco una posta ermeneutica tanto importante quanto quella che riguarda la trasmigrazione di forme, tant’è che anche il futuro della musica attuale vi è implicato. Pierluigi Basso Fossali 4 mus Mercoledì, 31 ottobre 2012 L’INDAGINE Uno studio del Consiglio nazionale spagnolo per la ricerca ha analizzato Musica pop? Urlatrice, martellan di Helena Labus Bačić L a musica pop degli ultimi cinquant’anni è diventata sempre più rumorosa e al contempo più povera di armonie e timbri. A sostenerlo è lo studio, pubblicato nel mese di luglio, di un gruppo di scienziati del Consiglio nazionale spagnolo per la ricerca /Spanish National Research Council (Joan Serrà, Álvaro Corral, Marián Boguná, Martín Haro e Josep Ll.Arcos) che hanno analizzato l’evoluzione della musica contemporanea occidentale. Hanno preso in esame 464.411 canzoni di tutti i generi musicali pop nel periodo tra il 1955 e il 2010. Per effettuare lo studio hanno utilizzato un set complesso di algoritmi mediante i quali hanno analizzato tre parametri: la complessità delle armonie, la varietà dei timbri e l’intensità del volume. I risultati dello studio hanno dimostrato che, effettivamente, la musica è diventata progressivamente più rumorosa, nonché più semplice e insipida. Ma prima di entrare nei dettagli dello studio, è necessario chiarire l’oggetto del quale si occupa. La canzoni popolari contemporanee hanno una struttura semplice che consiste in prevalenza in una melodia eseguita da una voce oppure da uno strumento, e da accordi di accompagnamento. Il ritmo è un’altra componente essenziale, che però non è stata presa in considerazione dallo studio in questione. Involuzione preoccupante Sostanzialmente, l’analisi ha dimostrato che, a partire dagli Anni ‘50, c’è stata una progressiva riduzione della varietà di accordi in una determinata canzone, come pure un impoverimento nel numero di combinazioni tra gli accordi. In altre parole, nonostante i brani pop siano di per sé armonicamente più limitati rispetto a una sinfonia classica, nei decenni precedenti le combinazioni di accordi erano tuttavia più fantasiose, se confrontate con ciò che si può sentire oggigiorno. Gli studiosi hanno inoltre scoperto che i timbri, ovvero le “textures“ prodotte da diversi strumenti che suonano la medesima nota, sono diventati più omogenei con il passare del tempo. Ciò non vuol dire che i musicisti usino meno strumenti o che questi siano diversi da quelli usati alcuni decenni fa. Vuol dire, invece, che fin dal 1955, il pop tende a impiegare una “palette” coloristica sempre più ristretta ed uniformata. Infine, è stato pure confermato che l’ultimo parametro, ovvero l’intensità del volume, sia aumentata nel processo di registrazione dei brani pop. Infatti, i produttori, al fine di attirare l’attenzione degli ascoltatori delle stazioni radio, hanno gradatamente aumentato il livello del volume delle registrazioni a scapito della qualità del suono e della ricchezza delle variazioni dinamiche. ”Ma è sempre la stessa canzone?” Ma veniamo allo studio. Nell’introduzione, i ricercatori ricordano che molte delle regole strutturali che sono alla base del discorso musicale sono ancora da individuarsi, per cui la loro evoluzione storica rimane per ora sconosciuta. “Qui scopriamo un certo numero di schemi caratterizzati dall’uso generico di parametri musicali di base quali l’armonia, il timbro e l’intensità del volume nella musica pop occidentale. Molti di questi schemi si sono mantenuti stabili per più di cinquant’anni, ma questo studio ha dimostrato gli importanti cambiamenti relativi alla contrazione del disegno armonico, al livellamenti della gamma timbrica ed a un aumento del livello del volume. Ciò suggerisce che la nostra percezione del nuovo sia legata ai cambiamenti delle caratteristiche di cui sopra e che molto probabilmente una vecchia melodia potrebbe apparire perfettamente contemporanea se accompagnata da progressioni armoniche comuni, con una modifica alla strumentazione e un aumento del volume“. ”Ma non è sempre la stessa canzone? - si chiedono gli studiosi all’inizio della loro analisi -. Questa domanda – continuano – ce la potremmo porre durante l’ascolto di qualsiasi stazione radio in qualsiasi Paese occidentale. Come è il caso con la lingua, pure la musica è un mezzo di espressione umano composto da elementi organizzati in un determinato modo. Quindi, la musica pop contemporanea ha un sistema di schemi e regole di cui molti sarebbero ereditati dalla tradizione classica. Tuttavia, essendo la musica un mezzo artistico incomparabile nell’esprimere le emozioni, essa deve includere una certa varietà in modo da agire, da un lato, sul piano emozionale e della memoria del fruitore, e dall’altro di offrirgli un qualcosa di nuovo ed appagante. E’ probabile che sia questo il motivo per cui la suddetta certa varietà venga applicata e mantenuta in maniera permanente. Un database di 1.000.000 di brani Allo scopo di rispondere in maniera oggettiva ed empirica alla domanda se sia possibile individuare le differenze tra la musica “vecchia“ e quella contemporanea, gli studiosi spagnoli hanno preso in esame una “base di dati di un milione di canzoni“, ovvero il “million song dataset“, della quale sono state analizzate (con incluso l’anno di pubblicazione) 464.411 canzoni dal 1955 fino al 2010; il che corrisponde approssimativamente a 1.200 giorni di musica. I brani inclusi nella base di dati appartengono a vari generi di pop, per cui includono il rock, pop, hip hop, heavy metal e la musica elettronica. La base di dati fornisce per ciascuna canzone la sua struttura armonica, il livello del volume e il timbro. Per livello del volume qui si intende quello intrinseco della registrazione, non quello che viene gradato dall’ascoltatore. La struttura armonica comprende gli accordi, la melodia e l’arrangiamento tonale, mentre il timbro si riferisce alla “nouance del suono“, alla “texture“ e alla qualità del suono. Quest’ultimo paramento è essenzialmente legato ai tipi di strumenti usati, alle tecniche di registrazione e all’interpretazione. Tutti e tre gli elementi sono compresi entro la battuta, che è l’unità musicale di base, soprattutto nella musica pop occidentale. pop viene effettivamente usato un numero di accordi limitato e che le combinazioni di accordi fondamentali sono diventate sempre più povere e scontate. Per quanto riguarda il timbro, è stato notato che, a partire dal 1965, la palette dei colori si restringe adottando contemporaneamente sonorità coloristiche più “alla moda” e convenzionali. Certi timbri diventano Impoverimento più frequenti in determinati periodi, armonico e timbrico mentre in altri si preferiscono colori diversi. Comunque lo studio conferPer poter individuare gli sche- ma una graduale omogeneizzazione mi nel discorso musicale, gli studio- del timbro. si hanno dovuto in primo luogo creare un sistema di codici con i quali La guerra del rumore Il livello del volume, è stato conpoter quantificare le variazioni nella struttura armonica delle canzoni. fermato, è pure aumentato, e negli Questo metodo ha dimostrato che i ultimi anni sulla scena pop internamoduli più frequenti corrispondeva- zionale è in corso una vera e propria no ad accordi più comuni e gradevo- “guerra del rumore” in cui produttoli, mentre i codici che non appariva- ri e musicisti fanno a gara nella regino nell’analisi erano quelli che si ri- strazione di canzoni a volume semferivano a combinazioni armoniche pre più alto, allo scopo di catturare più ricercate e dissonanti. L’analisi l’attenzione dei potenziali ascoltatoha inoltre dimostrato che nei brani ri delle stazioni radio. Quindi, l’au- sica Mercoledì, 31 ottobre 2012 5 o l’evoluzione della musica contemporanea occidentale. Gli esiti sono sconfortanti nte e povera, parola di esperto L’importanza dell’ispirazione FIUME - Secondo Albert Petrović, a capo della redazione musicale di Radio Fiume, “la musica pop è certamente diventata più rumorosa, soprattutto come risultato di tecniche di registrazione più avanzate. Non è più rumorosa solo in confronto a canzoni di venti o trent’anni fa, ma anche a paragone di brani di solo una decina di anni fa. – commenta Petrović -. Per quanto riguarda le melodie e le armonie, fatto sta che ci sono sempre state canzoni più semplici da questo punto di vista. Spesso, quando ascolto la musica degli Anni ‘80, per esempio, molte cose mi suonano scadenti e piuttosto povere. Ci sono, però, anche canzoni vecchie di 25 o 30 anni che hanno conservato la loro freschezza e sembrano fatte oggi. Le canzoni dei ‘Beatles’, la mia band preferita, sono state riproposte in tutte le salse e da innumerevoli cantanti e gruppi; il che vuol dire che si tratta di pagine senza tempo e perciò sempre attuali. Non direi che la musica in generale sia diventata più povera. Credo, invece, che ci siano persone più o meno ispirate. Per quanto riguarda l’affermazione che tutte le canzoni siano uguali, ritengo che per colui che nel corso della vita ha ascoltato tanta musica ogni nuova canzone gli suoni familiare”, conclude Albert Petrović. Albert Petrović Decadenza e commercializzazione POLA - “Credo che oggigiorno la musica sia orientata sempre più sul ritmo. È, inoltre, sconfortante il fatto che la musica sia diventata una merce e come tale rispecchia il nostro tempo, sempre più povero di valori autentici” è l’opinione di Bruno Krajcar, il cantautore istriano in forza pure a Radio Pola. ”La musica pop odierna non è soltanto più povera di armonie, ma vi si sono infiltrate pure le parolacce e le bestemmie, cosa che è diventata ormai un’abitudine. Siamo, quin- di, testimoni di una totale decadenza. Nonostante ciò, per fortuna, esistono ancora molti musicisti, soprattutto nel jazz e nella musica pop di qualità, che fanno canzoni ricche di armonie e melodie, di sfumature e di contenuti. Questa musica è, purtroppo, considerata elitaria, anche se in effetti, si tratta di musica che tempo fa apparteneva alla musica pop”, spiega Krajcar. “Sono d’accordo che la musica sia diventata più povera. Anch’io compongo musica e credo di fare cose di qualità, ricche di armonie, melodie e di sostanza. Il problema sta, purtroppo, nel fatto che i mass media tendono a promuovere, in maniera anche aggressiva, determinati cantanti o musicisti che fanno musica pop di qualità scadente; magari anche tramite scandali o reality-show. Si tratta di cantanti-meteore la cui musica è in fondo soltanto merce di consumo. Mi pare che oggigiorno non sia il pubblico a consacrare un cantante o una certa musica, ma i redattori delle stazioni radio e i mass media”, conclude Bruno Krajcar. Bruno Krajcar Contenuti sempre più esili FIUME - Olja Dešić, musicista, compositore, arrangiatore, produttore fiumano, si è trovato d’accordo con i risultati della ricerca spagnola. Ha, però, voluto innanzitutto sottolineare che, nonostante lo stato in cui si trova la musica pop contemporanea, ci sono comunque molti cantanti e musicisti che creano musica di qualità, piena di dinamica e armonie. “Per quanto riguarda la ‘guerra del rumore’, questa è in corso ormai da un pezzo – puntualizza Dešić -. Infatti, il processo di produzione di un brano è essenziale: la registrazione, il missaggio e il mastering. Nell’ambito di questo processo, un brano viene ‘pompato’ fino al volume desiderato. Oggigiorno si è giunti a livelli di vero e proprio rumore. Il contenuto nell’ambito della produzione pop è sempre più esile, per così dire, il che è la diretta conseguenza del modo frenetico e consumista nel quale viviamo. Non abbiamo il tempo necessario di ‘ascoltare’ una canzone in maniera concentrata e con la dovuta comprensione. Per tale ragione, i produttori cercano di catturare l’attenzione degli ascoltatori ricorrendo all’aumento del livello del volume dei brani. In generale, non lavoro così, anche se posso farlo, ma non sono d’accordo con questa pratica“, sottolinea Dešić. Le stazioni radio, come pure gli esperti di marketing – rileva Dešić –, non vogliono mandare in onda canzoni più ‘delicate’ e caratterizzate da una gamma dinamica più ricca perché desiderano mantenere desta la ‘tensione’ di un certo programma radiofonico. Quindi, per le radio non esiste più una canzone ‘silenziosa’. Questa sopravvive soltanto nel jazz e nella musica classica. Ci sono, però, dei produttori a livello mondiale, e sono i migliori nel proprio lavoro, che si appellano ai loro colleghi cercando di ‘frenare’ la ‘guerra del rumore’. Molti credono, erroneamente, che la canzone registrata con il livello del volume al limite sarà automaticamente un successo. Certo che questo è un ragionamento sbagliato e non può funzionare a lungo termine. “Noi musicisti dipendiamo dalle stazioni radio e, personalmente, qualche volta sono stato costretto a Olja Dešić registrare canzoni con un livello di volume alto, ma nel fare ciò sono stato sempre guidato dal buon gusto. Infatti, ci sono dei limiti che mi sono imposto e che non supererò mai”, conclude Olja Dešić. L’erosione della melodia e la scomposizione della forma mento del livello del volume non è soltanto il risultato dello sviluppo della tecnologia, ma può essere pure la conseguenza – come detto sopra – di una precisa e consapevole scelta da parte di produttori e musicisti. Nonostante i risultati piuttosto sconfortanti ai quali è giunta la ricerca spagnola, è necessario sottolineare che, ovviamente, non tutta la musica pop contemporanea sia automaticamente povera di melodie, armonie, dinamica e timbri. Esistono, infatti, numerosi autori e gruppi musicali che non rientrano nella categoria di “musica da consumo”, ma sono, magari, relegati a trasmissioni specializzate e vengono inseriti raramente nel programma radiofonico. Autori di musica più “accattivante”, per non dire banale, trovano più facilmente il loro spazio nelle stazioni radio, favorendo in tal modo un ascolto disimpegnato e superficiale, interrotto spesso da messaggi pubblicitari che, oggigiorno, sono diventati più importanti della musica stessa. FIUME - A proposito dello studio degli esperti spagnoli abbiamo interpellato pure la musicologa fiumana Diana Grgurić, specializzata nello studio del fenomeno della musica pop. “I risultati ai quali è giunta la ricerca non mi sorprendono e credo che si tratti di un processo logico. Siamo testimoni di una progressiva scomposizione della forma, che nella musica vuole dire ‘melodia’ – osserva la studiosa -. Si sta verificando un’erosione della melodia, come pure un’erosione della cultura dell’ascolto. Non sarei, però, d’accordo sull’impoverimento del timbro. Direi, piuttosto, che al contrario, la digitalizzazione della musica abbia portato ad un arricchimento del timbro. Per essere sincera, non trovo così allarmante questa semplificazione della musica, in quanto credo che la società si sta muovendo verso un mondo digitalizzato che sviluppa nuove possibilità. D’altro canto, siamo testimoni di una ‘cultura-LIKE’ (il ‘mi piace’ che viene usato largamente nella rete sociale Facebook, un altro fenomeno tipico del nostro tempo, nda) che è molto più pericolosa, dal momento che comporta un’assoluta semplificazione del gusto personale e fa parte di un processo globale, presente in tutte le sfere della vita, di ‘rincretinimento’ delle persone. Non sono, di regola, propensa a usare questo termine, in quanto credo che sia mio compito spiegare i fenomeni e pertanto rimanere oggettiva al massimo, cercando di non esprimere giudizi. Si tratta di un termine troppo ‘pesante’ con il quale si squalificano automaticamente tutti coloro impegnati in varie sfere di attività. Tornando alla musica pop, credo che sia necessario osservare e analizzare la musica pop utilizzando parametri del tutto diversi da quelli dei quali ci serviamo per studiare la musica classica. Si tratta, infatti, di due generi di musica diversi che devono essere osservati distintamente in quanto poggiano su parametri differenti. I giovani di oggi sono soprattutto inclini al ‘consumo’ di questo tipo di musica perché non possiedono una gerarchia di valori, non hanno un punto di riferimento fisso, un ancoraggio culturale dal quale partire alla scoperta di valori nuovi. Le generazioni più vecchie avevano come base e come punto di riferimento la musica classica, e da lì erano liberi di costruire un proprio sistema di valori. Oggigiorno i valori non ci sono più e i giovani si trovano ad ‘inghiottire’ acriticamente qualsiasi cosa. Il profitto è tutto, esso modella il nostro mondo e noi dobbiamo prenderne atto. È questa la tragedia del nostro tempo. Stiamo vivendo nell’era delle contraddizioni. Infatti, mai prima d’ora è stato più facile ottenere informazioni, mentre al contempo l’uomo si impegna a semplificare il sapere al massimo. Si tratta di un processo di riduzione, in corso in tutte le sfere della vita umana e così anche nella musica. A seconda del nostro punto di vista, pos- Diana Grgurić siamo osservare questo fenomeno come un fatto negativo o positivo. Il filosofo francese Jean Baudrillard ha definito la nostra come una ‘realtà integrale’ nella quale non possiamo più distinguere il mondo reale da quello virtuale. Baudrillard parla pure della cosiddetta ‘intelligenza del male’ che ci ha reso incapaci di distinguere fra il bene e il male e che ha cancellato i ‘punti fissi’, creando un mondo basato esclusivamente sul profitto”. 6 musica Mercoledì, 31 ottobre 2012 DONNE IN MUSICA Nobildonne sassoni, borghesi austriache, italiane e francesi arricchir Il ’700 fu percorso dal fremito del di Clio Rostand L a presenza femminile nel corso della storia della musica attraverso i secoli si è rivelatao’, nel campo della composizione– per tutta una serie di ragioni legate principalmenmte a fattori di ordine culturale ed economico -sporadica e timida; nonostante l’operare di musiciste dalla personalità forte ed ispirata, a cominciare da Ildegarda di Bingen nel ‘200, Maddalena Casulana, Francesca Caccini, attive ed ammiratissime nel tardo Rinascimento e primo barocco italiano, alle principesse tedesche del ‘700, fino a Clara Schumann, Fanny Mendelsohn nell’Ottocento e via via fino ai giorni nostri. Cade nell’occhio la stretta e ben nota relazione che intercorre tra il momento sociale-economico-culturale e l’occasione di accedere ad un’educazione musicale soddisfacente, e quindi di esternare ed esprimere le potenzialità creative. Musiciste di vaglia, ma anche scrittrici, pittrici animatrici della vita artistica ecc. provennero soprattutto, dalle file dell’aristocrazia, degli ambienti artistici e della borghesia. Coltissime e talentuose, nel Settecento, furono le principesse prussiane e di Sassonia, oltre a donne di estrazione borghese austriache, francesi, italiane; E se in queste pagine abbiamo già trattato delle musiciste italiane del Rinascimento in quest’occasione diamo seguito a questa galleria di musiciste con le compositrici sassoni, austriache e la francese; il cui operato è sicuramente meritevole di maggiore diffusione ed apprezzamento. Elettrice di Sassonia e accademica Personaggio musicale di rilievo fu Maria Antonia Walpurgis (18 luglio 1724 - Dresda, 23 aprile 1780) principessa tedesca fu musicista, compositrice e Maria Antonia Walpurgis amante delle lettere. Figlia dell’elettore Karl Albert di Baviera (ultimo imperatore Carlo VII) e dell’Arciduchessa Maria Amalia d’Austria, ricevette i suoi primi insegnamenti musicali a Monaco da Giovanni Ferrandini e Giovanni Porta. Dopo il suo matrimonio nel 1747 con Federico Cristiano, ultimo elettore di Sassonia, riuscì a continuare i suoi studi a Dresda con Nicola Porpora e Johann Adolf Hasse. Si distinse anche come pittrice e scrittrice in Francia e in Italia. Dal 1747 era divenuta un membro dell’Accademia Arcadica a Roma, e pubblicò i suoi lavori come ETPA, acronimo di Ermelinda Talea Pastorella Arcada. Con la guerra dei sette anni e la morte dell’elettore nel 1763 la vita Elisabeth Claude Jacquet de la Guerre culturale presso la corte di Dresda declinò. Il suo vivace scambio di lettere con Federico il Grande di Prussia dal 1763 al 1779 testimonia il suo senso di personale ed artistico isolamento. Maria Antonia Walpurgis è una figura interessante per la sua duplice veste di, da un lato, patrona sia di pittori come ad esempio Raphael Mengs, di compositori quali Hasse, Porpora e J.G. Naumann, e di cantanti come Regina Lingotti e Gertrud Mara, la quale debuttò nell’opera di Maria Antonia Talestri nel 1767, ma anche, dall’altro lato, come partecipante nel mondo dell’arte essa stessa. Si esibiva a corte sia come cantante sia come suonatrice di clavicembalo: Charles Burney fu vivamente preso dal suo canto. Interpretò i ruoli principali delle sue opere rappresentate a corte: “Il trionfo della fedeltà”, eseguito nell’estate del 1754 a Dresda, e “Talestri, regina delle amazzoni”, rappresentato il 6 Febbraio 1760 a Nymphenburg, delle quali curò la stesura di musica e libretti. Questi furono pubblicati da Breitkopf ed eseguiti presso altre capitali europee ed tradotti in molte lingue. I suoi testi sono chiaramente modellati su Metastasio (che fece le modifiche al TrionfoR, e la sua musica su Hasse, di cui ha potuto avere una mano nella composizione del “Trionfio della fedeltà”; verosimilmente può essere stata aiutata nella stesura di Talestri da Ferrandini (in certe fonti citato appunto come autore della musica). La partitura del Trionfo include un suo ritratto, fatto da Giuseppe Canale sul titolo della pagina. Molte altre composizioni in manoscritti conservati a Dresda portano il suo nome, ma non possono essere considerate di suo pugno: in molti casi il suo nome indica solo la proprietà. Fra le composizioni a lei attribuite, vi sono diverse tipologie, fra cui arie, una pastorale, intermezzi, meditazioni e mottetti. Suo è il testo de “La conversazionedi Sant’ Agostino”, come quello di molte cantate di Hasse; molti suoi poemi furono musicati da parecchi musicisti, fra cui si possono annoverare Hasse, Naumann, G. Ferrandini e Gennaro Manna. Anna Amalia di Sassonia ”Dell’origine e delle regole della musica” di Antonio Eximeno, Roma 1774, era dedicato a lei, e pure esso include un suo ritratto; esiste un manoscritto tematico che cataloga la sua libreria (compilato fra il 1750 e il 1790) che si trova ora a Monaco nella Bayerische Staatsbibliothek. Guglielmina di Bayreuth mecenate delle arti Una personalità fondamentale per la vita culturale del suo tempo fu Friederike Sophie Wilhelmine (1709-1758), principessa di Prussia, figlia di Federico Guglielmo I di Prussia e sorella di Federico il Grande e di Anna Amalia. Nel 1731 contrasse matrimonio con Federico, Margravio di Brandeburgo-Bayreuth. Gli edifici barocchi e i parchi costruiti durante il suo regno costituiscono gran parte dell’aspetto attuale della città di Bayreuth, in Germania, compreso il grande teatro di Bayreuth che attirerà Wagner un secolo dopo. Bayreuth sotto la sua reggenza divenne uno dei centri intellettuali del Sacro Romano Impero, Wilhelmine si circondò di artisti ed il prestigio della sua corte si arricchì delle visite occasionali di Voltaire e di Federico il Grande. Wilhelmina condivise l’infanzia infelice di suo fratello, Federico il Grande, di cui rimase amica e confidente tutta la vita. Il matrimonio con il Margravio di Brandeburgo-Bayreuth fu accettato da Wilhelmina soltanto sotto le minacce di suo padre. Compositrice di talento, scrisse un’opera, “Argenore”, eseguita nel 1740 per il compleanno del marito ed alcuni brani di musica da camera. La maggior parte delle sue composizioni sono purtroppo andate perdute. Elisabeth Claude Jacquet de la Guerre bambina prodigio alla corte di Re Sole La compositrice francese Elisabeth-Claude Jacquet de la Guerre venne celebrata fin dalla più giovane età come una virtuosa di clavi- cembalo, celebre per le sue improvvisazioni. Fu presto notata da Luigi XIV, il Re Sole, di cui godette la protezione ed al quale dedicò tutte le sue composizioni. Il Re la chiamava “la sua piccola meraviglia”. Introdotta così a corte,la sua prima educazione fu strettamente legata alla supervisione di Madame de Montespan, l’amante del Re. Elisabetta discendeva da una famiglia di costruttori di clavicembalo e musicisti; nel 1684 sposò l’organista parigino Marin de la Guerre. Il loro unico figlio, bambino prodigio come sua madre, morì all’età di dieci anni. Marin de la Guerre morì nel 1704 e, successivamente, Elisabeth rimase attiva come esecutrice fino al 1717. Al momento della sua morte, nel 1729, era ancora ricordata e stimata come importante figura pubblica. Elisabeth scrisse e pubblicò opere in quasi ogni forma musicale praticata in Francia al suo tempo, e fu determinante nell’introdurre il nuovo stile di musica italiana in Francia. Fu una delle prime donne a comporre in una così ampia varietà di generi e ad essere pienamente onorata per i risultati conseguiti in un campo generalmente riservato agli uomini. Uno dei suoi primi lavori fu l’opera in cinque atti Céphale et Procri, primo lavoro di una donna ad essere rappresentato presso l’Opera di Parigi. Le sue prime sonate a tre oltre che per strumento solo, apparse intorno il 1695, furono tra le prime di questo nuovo genere ad essere composte in Francia. Ugualmente fu una precorritrice della nuova cantata francese. I suoi due libri di cantate bibliche, pubblicate da Ballard nel 1708 e 1711, si distinguono per il soggetto insolito e per lo stile italiano. Altre opere, oggi perdute, includono anche un balletto, Les jeux à l’honneur de la Victoire, del 1691, e un Te Deum, scritto per celebrare la guarigione di Luigi XV dal vaiolo nel 1721. Jacquet de la Guerre aveva pubblicato una serie di pezzi per clavicembalo già nel 1687. Fu una dei pochi compositori francesi per clavicembalo a pubblicare una raccolta nel XVII secolo, e la sola che abbia pubblicato raccolte sia nel XVII che XVIII secolo. Queste opere sono caratterizzate dalla presenza di un mo- musica 7 Mercoledì, 31 ottobre 2012 rono il panorama della musica del Settecento con una produzione degna di essere ricordata l genio musicale femminile Moriva a Vienna duecento anni fa Marianna von Martines, compositrice ammirata dai grandi Marianna von Martines (1744-1812) è stata la compositrice austriaca più prolifica della seconda metà del Settecento. Nacque in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre era maestro di cerimonie presso l’ambasciata papale a Vienna, e ciò le consentì di entrare in contatto con le figure musicali più illustri del suo tempo come Mozart, Haydn e Beethoven. Sebbene non si possa certo parlare di pari opportunità tra i sessi in ambito musicale, il talento di Martines, la sua abilità, e la sua classe (era indipendente e faceva parte della nobiltà minore) contribuirono al suo status di membro della èlite viennese, sia come frequentatrice di salotti che come rispettata esecutrice e compositrice. Nonostante siano state pubblicate solo poche delle sue oltre duecento opere mentre era in vita, le opere superstiti rivelano una mano ambiziosa e ben istruita. Da masse sinfoniche di grandi proporzioni e mottetti per coro e orchestra a singole arie su testi italiani, Martines produsse musica di alta qualità che non era ammirata solo dai suoi contemporanei viennesi, ma anche da figure di primo piano in Italia e Germania. PORPORA E HAYDN I MAESTRI Pietro Metastasio, poeta di corte a Vienna e residente nella sua stessa casa, rimase colpito dal talento musicale di lei ancora bambina. Fu Metastasio ad organizzare per lei per lezioni di canto lirico con il compositore Niccolò Porpora e lezioni di clavicembalo con il giovane Joseph Haydn, un altro inquilino di casa Martinez e, in seguito, lezioni di composizione con il compositore di corte Giuseppe Bonno ed informalmente con Johann Adolph Hasse. Ancora ventenne Marianna scrisse grandi opere sacre per coro e orchestra e le sue tre sonate per tastiera. Il suo capolavoro, il mottetto “Dixit Dominus”, venne composto nel 1774 in risposta alla Filarmonica di Bologna che l’anno prima l’aveva eletta tra i membri della propria Accademia, prima donna a ricevere tale onorificenza. Nell’aprile del 1773 Martines stessa ne aveva fatto audace richiesta al grande musicista Padre Giovanni Battista Martini, inviandogli la partitura di una grande opera per coro, solisti e orchestra. AMICA DI MOZART Nel frattempo Martinez a Vienna era diventata una figura di spicco nella vita musicale della città. Ogni sabato la sua casa era aperta agli ospiti che amavano ascoltare ed eseguire musica, e lei stessa eseguiva la propria. Haydn e Mozart erano a volte tra gli ospiti, e forse eseguivano con la stessa padrona di casa le sue sonate per pianoforte a quattro mani. Chiaramente Martines aveva acquisito un’eccellente reputazione come compositrice per tastiera, prima sul clavicembalo e in seguito al pianoforte. Due delle sue sonate erano stato pubblicate nel 1765 in un’antologia di musica per clavicembalo. Il suo stile rivela l’influenza del suo maestro, Haydn, e comprende il rococò con la sua struttura omofonica, stile già datato dal 1760, e l’ “Empfindsamer Stil” della metà del XVIII secolo. Martines scrisse la sua ultima composizione, una cantata da solista “Orgoglioso fumicello”, nel 1796. Un decennio più tardi, fondò una scuola di canto professionale. Continuò a far parte della vita musicale viennese, ed apparve in pubblico l’ultima volta il 27 marzo 1808 in una performance della “Creazione” di Haydn. Morì il 13 dicembre 1812. Guglielmina di Bayreuth vimento introduttivo, in aggiunta ai tempi tipici della suite, esempio di preludio non misurato. Questo tipo di scrittura si trova nelle opere di alcuni altri compositori francesi del secolo XVII, come Louis Couperin, e anche nelle suite per tastiera di compositori successivi come Handel. Pubblicò inoltre una raccolta doppia di sonate per violino e suite per tastiera nel 1707, confermando se stessa come figura importante nella produzione emergente di sonate per violino in Francia. Nel dedicarsi alla sonata, di importazione italiana, stava mostrando il lato più innovativo della sua personalità creativa. L’abbondante ornamentazione seguiva la grande tradizione dei clavicembalisti francesi. Scrisse anche un volume di Cantate su tradizionali temi mitologici. Elisabeth Jacquet de la Guerre oggi è ricordata sia come dotata clavicembalista che come compositrice. Nella sua stessa epoca raggiunse una reputazione internazionale come compositore e, caso unico per una donna a quei tempi, pubblicò le sue opere nei vari generi: opera, cantate, sonate per violino e basso continuo, suite per clavicembalo. La sua reputazione viaggiò anche al di fuori della Francia. “La Meraviglia del nostro secolo”, secon- do un recensore anonimo in Le Mercure galant (dicembre 1678). Uno dei primi più ampi resoconti della sua vita è quella di Evrard Titon du Tillet (1677-1762), che riunì su un Monte Parnaso i maggiori compositori francesi, e Jacquet de La Guerre fu l’unica donna a meritarne l’inclusione. Nell’anno della sua morte venne coniata una medaglia dove figura il suo ritratto con, sul retro, la scritta “Ai grandi musicisti, io ho conteso il primato”. E’ questa medaglia che compare sotto forma di incisione nel “Le parnasse Français” di Titon du Tillet. La favolosa biblioteca di Anna Amalia di Prussia Anna Amalia di Prussia (17231787), sorella più giovane di Federico il Grande e figlia di Federico I di Prussia, potè dedicarsi alla musica solo dopo la morte del rigido e violento padre, che proibì ai figli di esercitare la musica nonostante le doti dimostrate. Quando Federico II salì al potere, rivelandosi un despota illuminato protettore delle arti e coltivatore della musica, Anna Amalia potè dedicarsi nuovamente alla pratica musicale, in una corte dove approda- vano i migliori musicisti dell’epoca (Gottlieb, Agricola, Quantz, C.P.E. Bach). Una tragica vicenda personale (l’amore per un giovane ufficiale dell’esercito, che Federico imprigionò per dieci anni) portò alla sua reclusione nell’Abbazia di Quedlinburg, dove Anna Amalia si rifugiò nella musica fino alla sua morte. Compose musica da camera, Lieder, un oratorio, corali per organo. Studiò sotto la guida di Kirnberger, allievo di J.S. Bach, da cui apprese l’arte del contrappunto. Suonava il clavicembalo, il flauto, il violino. Dedicò la sua vita alla musica, e mentre imperversava lo stile galante lei era una ardente estimatrice di autori considerati “superati” quali Palestrina, Bach, Haendel, Telemann. Collezionò più di 600 volumi in una grandiosa biblioteca che ha preservato la gloriosa epoca barocca europea fino ai nostri giorni e che ha permesso, grazie alla sua lungimiranza, che molte importanti opere non andassero perdute. Per quanto riguarda le sue composizioni solo una piccola parte sono giunte fino a noi: mai soddisfatta dei suoi lavori, vittima di una pesante autocritica, ne distrusse la maggior parte. 8 musica Mercoledì, 31 ottobre 2012 VOCI STORICHE Ettore Bastianini, uno dei massimi baritoni del ’900 Una splendida voce prematuramente stroncata E ttore Bastianini nacque il 24 settembre 1922 a Siena nella contrada della Pantera, e morì a Sirmione sul lago di Garda il 25 gennaio 1967. Era figlio di padre ignoto e sua madre era tutto quello che lui aveva di più importante al mondo. La sua voce era molto bella naturalmente e iniziò subito dopo la guerra una breve carrieracome basso che però stentava a decollare, ma poi, convinto dal suomaestro Luciano Bettarini, studiò per sei mesi da baritono nel 1951 a 29 anni. Era però molto povero e non poteva permettersi le lezioni, ma il suo maestro gli fece le lezioni a credito convinto che lo avrebbe ripagato, come infatti fece in seguito quando divenne ricco. Era talmente povero che si doveva fare la barba per una settimana con la stessa lametta! Ci volle poco però perchè arrivasse il debutto come baritono nella sua Siena nel gennaio Nei panni del Marchese di Posa del 1952 e poi nel dicembre dello Aforismi Amiamo la musica, sosteL’anima domanda, la musiniamola con tutte le nostre for- ca risponde. ze e con la nostra intelligenza e certamente vivremo un’esiL’ascolto, compimento delstenza migliore, più umana e la creazione musicale decisamente più creativa La musica ci fa sentire roChi educa alla musica pre- mantici... para un artista ad affrontare il pubblico; chi educa con la muLa musica, come ogni altro sica prepara un uomo ad af- linguaggio del cuore, non osfrontare la vita. serva nessuna regola, se non quella di seguire il battito delle Fare musica fa sicuramente proprie emozioni. bene alla salute: al pari di qualsiasi altra attività La musica crea l’amicizia, fisica, la pratica di uno stru- l’amicizia crea la musica mento musicale aiuta a tenere allenati i muscoli, La musica è Dio che sorride favorisce una corretta respi- all’uomo. razione e richiede un forte coordinamento La Musica e il Canto non fra il cervello e le parti del producono nel Cuore quello corpo interessate all’esecuzio- che non vi e’ già presente. ne dei brani musicali. La musica è il collegamento I cigni cantano prima di mo- con lo sviluppo di un popolo rire. Certi cantanti farebbero bene a morire prima di cantare La musica è il genere di arte perfetto. La musica non può I gesti dicono poco; le paro- mai rivelare il suo segreto più le un pò di più; la musica tut- nascosto. to. La musica è l’arte per un Il suono è un’esperienza mondo migliore. avvolgente, e riempie un’inteLa musica e la poesia esprira presenza con la sua intensità e capacità di ‘tenere’ il suo mono la bellezza estetica in recettore. Riduce la distanza diversi modi, spesso ne tragdell’oggetto, e dal punto di vi- gono effetto artistico merasta dello sviluppo è vicino alle viglioso, perché da quando è esperienze del ‘prendere’ e del nata l’arte su questo pianeta, toccare. Il potere che la Musica la musica e la poesia sono una ha di prendere e immergere ha coppia di gemelle innate. Una spesso come risultato un am- bella poesia non solo è eccelbiguo stato di coscienza in cui lente nell’esprimere i pensieri la discriminazione tra dentro e e i sentimenti del poeta, ma è anche musicalmente bella nei fuori diventa imprecisa. termini di sillabe, ritmi e rime; Il valzer non è solo una for- la musica, a sua volta, è infatti ma musicale tra le più allegre un poema musicato in melodie e gioiose ma è anche oltremo- che sono le note che provendo rilassante. Mentre cammini, gono dall’anima dell’autore. segui col pensiero un ritmo terLa musica e la sua bellezza nario e sentirai l’eco della gioia è l’armonia uscita dal caos. nei tuoi passi stesso anno al Comunale di Firenze nella “Dama di picche” di Ciaikovskij. Nel 1953 esordì poi a Torino nello “Chenier” e poi quello stesso dicembre era già al Metropolitan di New York in “Traviata” dove ricevette una vera ovazione alla fine della sua aria. La sua voce era così bella che venne paragonata al bronzo e al velluto poichè era potente e solida, ma morbida allo stesso tempo. Sfolgorante carriera Si avviò quindi ad una folgorante carriera e nel 1955 era alla Scala di Milano nella leggendaria produzione di Visconti di “Traviata” con Maria Callas e Giulini sul podio. Cantò poi, nella sua pur breve carriera di poco più di 10 anni, in ben 20 opere diverse alla Scala come baritono principale. Diventò quindi il baritono principale dei massimi teatri del mondo: la Scala, Vienna e New York oltre a frequenti apparizioni a Covent Garden a Londra, Salisburgo, Chicago. Poi proprio quando, nel 1962, sembrava avesse trovato in una giovane ragazza chiamata Manuela la donna della sua vita, la terribile diagnosi fattagli a Chicago:cancro alla gola.Non disse niente a nessuno e si tenne per sè il terribile segreto, considerato anche che la sua cara madre era appena morta ed era solo. Disse alla sua fidanzata che non potevano continuare il loro rapporto senza dare alcuna spiegazione. Continuò la sua carriera, ma doveva sottoporsi alle radiazioni poichè aveva rinunciato ad una operazione chirurgica, la quale se poteva forse salvarlo, gli avrebbe d’altra parte tolto la sua principale ragione di vita: il canto lirico. Naturalmente la sua voce non era più quella di prima, ma nessuno sapeva perchè; e alla fine accadde l’inevitabile. Drammatico declino Il 10 aprile 1962 venne fischiato alla Scala in “Rigoletto”. La sua voce non rispondeva più. Seguì un penoso declino che venne interrotto solo dalla gioia di veder vincere la sua contrada della Pantera nel Palio di Siena proprio nell’anno in cui lui ne era diventato il Presidente. Poi tornò il dolore e i grandi teatri, uno dopo l’altro chiusero il contratto con lui, e il destino volle che l’ultima scena in cui lui cantò nel 1965 nei tre grandi teatri di New York, Milano e Vienna, sia stata proprio quella Grande Rigoletto alla Scala della morte del Marchese di Posa nel Don Carlo di Verdi, il nobilissimo ruolo che lui aveva sempre cantato così bene... Il pubblico, la critica, i suoi stessi colleghi e tutto il mondo della lirica si interrogarono sulla misteriosa decadenza di questo cantante di poco più di 40 anni. Con stupore e dolore si apprese la notizia della sua malattia quando ormai era in punto di morte. Venne a mancare a Sirmione il 25 gennaio 1967 a 44 anni. Due giorni dopo,a Siena, al funerale era presente tutta la città. Gli furono tributati gli onori di Capitano in carica della contrada della Pantera. Quando il corte funebre passò davanti ad una delle aperture su Piazza del Campo, la bara venne girata verso la Torre del Mangia per un ultimo saluto mentre la campana del Palazzo Comunale suonava a morto. Scanzonato Figaro Anno VIII / n. 63 del 31 ottobre 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Marin Rogić ed Helena Labus Bačić Foto: Zlatko Majnarić