DOSSIER: LE MANI CHE CURANO
di Christiane Gelitz
Quando siamo costretti in ospedale, ci sentiamo a terra. E alla rinomata Clinica
Universitaria di Stoccolma le cose non stanno diversamente. “Quando sono
arrivato al pronto soccorso ho dovuto sottopormi a un sacco di analisi e di esami
radiografici. Qui si diventa un numero su un pezzo di carta”, riferisce un paziente
che partecipa a uno studio pilota con altri 25 volontari.
L'obiettivo dei ricercatori guidati da Maria Arman era migliorare lo stato
emotivo dei pazienti. Il nuovo arrivato poteva scegliere tra due alternative: un
massaggio delicato di durata da 20 a 60 minuti con movimenti circolari, a scelta
sulle mani, ai piedi, alla schiena o su tutto il corpo; oppure un trattamento in cui
l'infermiera per 45 minuti appoggiava le mani con una leggera pressione su
diverse parti del corpo, come i piedi, il cuore e la fronte. Quasi sempre i volontari
riferivano di avere provato una sensazione di “affinità esistenziale”, conforto,
relax o sicurezza. “Il contatto ci fa ritornare persone”, ha dichiarato il paziente
citato all'inizio.
Un breve contatto fisico allontana l'insicurezza profonda, soprattutto nelle
persone con scarsa autostima, ha riferito nel 2014 il gruppo diretto da Sander
Koole, psicologo sociale all'Università di Amsterdam. Se, durante un
questionario, qualcuno posava distrattamente la mano per circa un secondo sulla
spalla dei volontari, questi provavano ansie esistenziali meno intense e si
sentivano più legati ai colleghi. Tuttavia l'effetto si manifestava solo nei soggetti
con problemi di autostima.
E’ possibile alleviare le paure acute con altrettanta facilità. Se, nel corso di un
esperimento, tenevano la mano del marito, le mogli reagivano con più calma
all'annuncio di un elettroshock; l'attivazione di alcune regioni cerebrali che
reagiscono al pericolo era infatti meno intensa. Persino la mano di un estraneo
riusciva a calmarle. L'effetto dipende, fra l'altro, da un messaggero chimico
liberato durante il contatto piacevole, l'ossitocina: l'”ormone dell'abbraccio”, o
“del legame”, che rinforza la fiducia e la cooperazione all'interno di un gruppo e
attenua lo stress.
Sensori di tenerezze
Il rilascio di ossitocina non è tuttavia l'unica reazione dell'organismo, come
spiega in una rassegna panoramica Tiffany Field, psicologa al Touch Research
Institute dell'Università di Miami. Field studia sin dalla metà degli anni ‘80 gli
effetti del contatto fisico, in particolare nei neonati, ed è convinta che i massaggi
riducano il livello di cortisolo, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca,
tutte risposte fisiche allo stress.
Le radici di questo effetto risiedono nei vantaggi evolutivi di uno stretto rapporto
sociale. Lo pensano ricercatori come Naomi Eisenberger, dell'Università della
California a Los Angeles. Se i legami sociali sono minacciati, interviene lo stesso
sistema di allarme neuronale e fisiologico attivato dal pericolo fisico: un tempo la
rete sociale era altrettanto decisiva per la sopravvivenza. La sensazione di
appartenenza, trasmessa dal contatto piacevole, attiva invece meccanismi
neuronali che alleviano le reazioni allo stress.
Se nessuno ci rassicura, lo facciamo da soli, come ha dimostrato nei 2014 Martin
Grunwald, dell'Università di Lipsia, che ha registrato l'elettroencefalogramma
(EEG) di dieci volontari mentre trasmetteva suoni interferenti durante un test
della memoria. Se i soggetti si toccavano inconsciamente l'orecchio, il naso, la
bocca o le guance, allora variava la loro attività cerebrale: aumentavano le lente
onde theta e le veloci onde beta. Ma ciò non accadeva quando il ricercatore aveva
imposto loro di non toccarsi la faccia. Come spiega Grunvald, “accarezzarsi
compensa alcuni disturbi dell'elaborazione d'informazione e le nostre instabilità
emotive”.
I neurofisiologi hanno svelato già da qualche anno fa il modo in cui elaboriamo i
contatti piacevoli. Il tatto registrerebbe non soltanto le caratteristiche sensoriali
oggettive, ma anche la natura emotiva di un contatto. Per farlo la pelle sfrutta
cellule nervose specializzate nel tatto piacevole.
Sciogliere le paure
Quando urtiamo con violenza un piede o un gomito, massaggiamo d'istinto la
parte dolorante. Quando un bambino cade, i genitori lo accarezzano e soffiano
sulla “bua”. Per quale ragione? Quando si tratta semplicemente di procurare
sollievo, va bene qualsiasi parte del corpo. Tuttavia intervenire sulla parte
dolente aiuta davvero, come ha dimostrato un esperimento del 2014.
Ricercatori de University College a Londra hanno maltrattato la pelle di alcuni
volontari con un laser, e contemporaneamente toccato con delicatezza una zona
adiacente. Più i due stimoli erano vicini, meno doloroso era l'impulso laser.
Hanno così dedotto che lo sfioramento allevia la percezione del dolore in base
alla maggiore o minore distanza spaziale dello stimolo. La Gate Control Theory,
formulata già negli anni ‘60, sostiene che gli stimoli tattili inibiscono
l'elaborazione del dolore nel midollo spinale, una stazione intermedia nella via
verso il cervello. Secondo una teoria alternativa, il contatto piacevole aumenta il
livello di serotonina, e dunque lenisce il dolore.
Semplici tocchi piacevoli possono quindi alleviare dolori acuti. Ma si rivelano
utili anche nei disturbi cronici?
In questo caso, i risultati sono poco chiari. Un esperimento con un gruppo di
malati gravi ha ottenuto risultati modesti. I ricercatori di alcune università
svedesi e norvegesi hanno assegnato in modo casuale due protocolli
sperimentali a 44 pazienti, ricoverati in terapia intensiva per via di un intervento
al cuore, di una polmonite o di altre patologie. Il gruppo di controllo ha ricevuto a
mezzogiorno, per cinque giorni consecutivi, il trattamento standard, vale a dire
una fase di riposo di un'ora. Il gruppo sperimentale ha invece ricevuto il Tactile
Touch, ossia il tatto piacevole, per mezz'ora: dapprima sulle mani e sui piedi, poi
anche all'altezza dello stomaco e infine sulla testa, sul viso, sul petto e sulle
gambe. Il terapeuta accarezzava lentamente e con mano ferma e distesa il corpo,
avvolto ovunque da asciugamani, tranne nella parte trattata. I ricercatori
valutavano una serie di indicatori, come la frequenza cardiaca e l'efficacia del
trattamento terapeutico con i tranquillanti. Ma nei pazienti si è registrata
soltanto una chiara riduzione delle paure.
Altri studi sembravano dimostrare un effetto più ampio. Per esempio, alcuni
ricercatori sanitari britannici hanno analizzato i dati di 300 utenti di un centro di
medicina complementare, situato nel distretto dei laghi, nell'Inghilterra
nordoccidentale. Circa la metà di loro soffriva di disturbi psichici, e i restanti
erano affetti da problemi ortopedici oppure erano malati di tumore. I pazienti
sono stati toccati delicatamente (Gentle Touch) quattro volte per 40 minuti in
diverse parti doloranti del corpo. Alla fine hanno compilato un questionario sulle
loro condizioni di salute, prima di iniziare i trattamenti e dopo l'ultima seduta. In
una scala da O a 10 il loro livello di stress era diminuito in media di 4 punti, le
paure di circa 3 punti e il dolore intorno ai 2 punti. Un grande risultato, al meno
in apparenza. Non sappiamo però se in pazienti simili, ma non sottoposti al
Gentle Touch, i disturbi fossero rimasti invariati. Perchè questo tipo di controllo
non è stato messo in atto durante l'esperimento.
Risultati contraddittori
Nel caso dei massaggi, i risultati nella pratica clinica sembrano migliori. I
ricercatori guidati dalla psicologa statunitense Tiffany Field hanno dimostrato
effetti positivi sul corpo e sulla mente in diversi gruppi di pazienti. Per esempio spiega Field - rinforzano il sistema immunitario, stimolando la produzione delle
cellule natural killer, una classe di linfociti che uccide, fra l'altro, le cellule
tumorali. Un secondo gruppo di ricercatori ha riferito che sei massaggi distribuiti
in due settimane avevano alleviato il dolore e migliorato l'umore di pazienti
oncologici gravi.
Tuttavia dimostrare che queste forme di terapia tattile abbiano un effetto, e
quale poi sia il trattamento più utile, non è affatto semplice. I campioni usati
negli esperimenti condotti fino a oggi sono troppo modesti, i risultati attesi e gli
interventi sono spesso incongruenti; inoltre lo stesso metodo non viene sempre
praticato in modo riproducibile. Non desta quindi sorpresa che i risultati siano
contraddittori. Manca, inoltre, un modello riconosciuto dei numerosi meccanismi
d'azione concepibili e della loro interazione: dai messaggeri lenitivi e dalla
semplice inibizione delle vie del dolore ai meccanismi di auto-guarigione, che
magari intervengono quando la terapia si dimostra inefficace.
La giusta dose
Un ruolo altrettanto versatile sembrano svolgerlo i rapidi contatti fisici, anche
nella medicina di routine. E’ pensabile che questi veloci contatti, oltre a essere
utili contro lo stress e le ansie, migliorino il rapporto con il personale sanitario e
rinforzino la fiducia nell'efficacia di un trattamento. Inoltre, aumentano la
compliance, vale a dire l'attitudine a seguire le indicazioni dei medici, come era
emerso da alcuni esperimenti già negli anni ottanta. Così, se il personale di
assistenza li esortava verbalmente o con un contatto fisico, i residenti in alcune
case per anziani mangiavano in modo più regolare, assumendo più proteine nei
cinque giorni successivi.
Chiunque eserciti il mestiere di medico o terapeuta potrebbe allora chiedersi
quale sia la giusta “dose” di questo rimedio multifunzionale. Si rischia forse di
esagerare? Il gruppo diretto da Enid Montague alla Northwestem University di
Chicago ha ripreso con un video 110 pazienti mentre consultavano un medico
per la prima volta. L'oggetto di studio era l'Echinacea, un rimedio contro il
raffreddore. In quelle visite, lunghe in media 200 secondi, capitava che non
fossero accolti nemmeno con una stretta di mano. In altri casi, i ricercatori
avevano preventivato fino a cinque contatti fisici: i medici davano una pacca
sulla spalla ai pazienti oppure appoggiavano loro una mano sul braccio. Di più è
meglio, supponevano inizialmente i ricercatori. Eppure i pazienti esprimevano
valutazioni più positive sui medici che li toccavano, ma a condizione che non
succedesse troppo spesso. Due contatti sociali durante una visita erano ideali,
hanno concluso gli autori di uno studio pubblicato nel 2013.
L'effetto desiderato dipendeva, però, da numerosi fattori. Per esempio il genere
sessuale, l'età, la modalità del tatto e naturalmente il rapporto tra le persone
coinvolte. Così Jonathan Levav, della Columbia University, e Jennifer Argo,
dell'Università dell'Alberta, hanno dimostrato che, quando una donna le toccava
in modo leggero e rassicurante sulle spalle, le persone si sentivano più sicure di
quando era un uomo a farlo. E come ha scoperto lo psicologo sociale Sander
Koole, dell'Università di Amsterdam, chi ha una forte autostima non ha bisogno
di contatti fisici per sentirsi legato al mondo circostante. Alcuni pazienti
percepiscono il contatto addirittura con fastidio. Come avverte lo stesso Koole, la
maggior parte di noi trova sgradevole essere toccato sul volto o sui fianchi, a
meno che il rapporto non sia molto stretto. Un breve contatto sulle spalle
sarebbe il meno problematico di tutti.
Ci si può attendere effetti positivi quando il contatto non infrange le regole
culturali, che definiscono chi può toccare chi, dove e come. In questo modo è
possibile spiegare i risultati non sempre uniformi delle terapie tattili: mentre
l'effetto fisiologico è simile nella maggior parte dei casi, le reazioni emotive sono
differenti, e per le ragioni più varie. Fino a quando questa interazione non sarà
decifrata, ai medici e ai terapeuti rimarrà solo una strada da percorrere: provare,
e chiedere al paziente che cosa lo fa stare bene.
Tratto da Mente e cervello, novembre 2015