Analogie tra filosofia della fisica, semantica e filosofia della matematica Dagli isomorfismi a ontologie di strutture? 1 Struttura e finalità del seminario • Il seminario è diviso in cinque parti • Nelle prime tre sono sinteticamente illustrate: la problematica del hole argument la caratterizzazione degli enti matematici data da Dedekind ed Hilbert le tesi dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica di Quine • Quarta e quinta parte espongono le analogie nelle questioni esposte e nelle soluzioni adottate, intendendo indagare un eventuale schema argomentativo comune in quelle soluzioni e fornire spunti per una eventuale riflessione critica comune su di esse 2 I. La problematica del hole argument • Siamo qui nell’ambito della filosofia e dei fondamenti della fisica • La problematica del hole argument è situata nel contesto della teoria della relatività generale 3 I. La problematica del hole argument • Tale problematica riguarda la natura dello spaziotempo e dei suoi elementi, i punti-evento • E’ dunque nell’ambito dell’ontologia collegata alla teoria della relatività generale 4 I. La problematica del hole argument • Vi è tuttora dibattito in filosofia e fondamenti della fisica circa la natura e l’ontologia dello spaziotempo 5 I. La problematica del hole argument 6 I. La problematica del hole argument • Il hole argument è una problematica che si presenta già ad Einstein negli anni dell’elaborazione della teoria della relatività generale, in relazione all’invarianza che egli voleva fosse attuata in tale sua teoria: la covarianza generale, cioè l’invarianza per diffeomorfismi, o per trasformazione diffeomorfa delle coordinate della varietà (manifold) che viene utilizzata per rappresentare lo spaziotempo 7 I. La problematica del hole argument • Il problema consiste nel fatto che si vengono ad avere, almeno a prima vista, diverse situazioni fisiche (in corrispondenza con le varie trasformazioni diffeomorfe) compatibili con la teoria, la quale quindi: non dà una descrizione univoca della realtà fisica che si propone di descrivere diventa, come mostra la costruzione del hole argument, necessariamente indeterministica (“indeterminismo radicale”) 8 I. La problematica del hole argument • Per questo, in un primo momento, Einstein rinuncia, nella formulazione della sua teoria della gravitazione universale, alla covarianza generale, adottando nella formulazione pubblicata nel 1913 insieme a Marcel Grossmann, una restrizione che pone una limitazione ai sistemi di coordinate ammessi, introducendo – citando dallo storico e filosofo della scienza Don Howard – il concetto di “adapted coordinate system” 9 I. La problematica del hole argument • Ma, come sappiamo, poi Einstein, nel 1915, sceglie la formulazione generalmente covariante della teoria della relatività generale, cioè invariante per diffeomorfismi qualsiasi, per qualunque trasformazione diffeomorfa di coordinate 10 I. La problematica del hole argument • Ciò lo mette in contrasto con quanto da lui stesso elaborato un paio di anni prima, il hole argument appunto, o, nella sua lingua, lochbetrachtung C’è dunque, da parte di Einstein, contestualmente all’adozione della formulazione generalmente covariante della teoria relativistica della gravitazione universale, la rinuncia al “Principio di Eindeutigkeit” (univocità) – per dirla con quanto evidenziato dal già citato Don Howard – e c’è l’accettazione dell’ “indeterminismo radicale”? 11 I. La problematica del hole argument • No. C’è un’altra cosa. C’è l’assunzione che un’intera classe di situazioni spaziotemporali isomorfe (che si ottengono una dall’altra per trasformazione diffeomorfa dei loro elementi, o delle coordinate, e ridefinendo sulla varietà il tensore metrico, il campo metrico) costituisca lo stesso spaziotempo, la stessa situazione fisica spaziotemporale E c’è, parallelamente, l’assunzione che un punto spaziotemporale – un elemento dello spaziotempo – sia lo stesso punto quando si trova nelle stesse relazioni metriche con tutti gli altri; che questo sia ciò che ne fissa il criterio di identità, non una presunta sua collocazione nello spaziotempo colta da una coordinatizzazione della varietà 12 I. La problematica del hole argument • Ciò viene da Einstein stabilito con il suo point-coincidence argument, che costituisce la sua soluzione alla problematica rappresentata dal hole argument (lochbetrachtung) per la teoria della relatività generale nella forma generalmente covariante • In esso Einstein sostiene che ciò che è fisicamente reale a livello spaziotemporale è costituito dai punti d’intersezione (pointcoincidences) delle linee di universo dei punti materiali • Questo insieme di oggetti è per Einstein, dunque: ciò che è fisicamente reale ciò che è osservabile (verificabile) ciò che è (fisicamente) invariante; rispetto alla stessa classe di trasformazioni di coordinate che costituisce il gruppo di invarianza per le soluzioni (matematiche) delle equazioni che esprimono le leggi della teoria 13 I. La problematica del hole argument 14 I. La problematica del hole argument 15 I. La problematica del hole argument 16 I. La problematica del hole argument 17 I. La problematica del hole argument La problematica del hole argument è stata riproposta in tempi più recenti come sfida, nell’ambito del realismo scientifico, alla posizione sostanzialista riguardo allo spaziotempo dai filosofi della scienza John Earman e John Norton, dando vita ad un ampio dibattito sulla natura dello spaziotempo 18 I. La problematica del hole argument La soluzione riguardo alla questione dell’ontologia dello spaziotempo costituita dal realismo strutturale è nell’attuale dibattito 19 I. La problematica del hole argument quella più accreditata e ritenuta maggiormente conforme alla relatività generale 20 Un breve inciso di Wüthrich che introduce alla seconda parte • Christian Wüthrich, che, come si può notare già dal titolo stesso del suo articolo qui riportato, è critico nei confronti del realismo strutturale spaziotemporale, e in questo suo articolo propone un’argomentazione che costituisce una difficoltà per quella posizione, cita in esso un’argomentazione che egli definisce pienamente analoga alla sua, condotta contro lo strutturalismo in filosofia della matematica da Jukka Keränen 21 Un breve inciso di Wüthrich che introduce alla seconda parte 22 Un breve inciso di Wüthrich che introduce alla seconda parte 23 Un breve inciso di Wüthrich che introduce alla seconda parte • Vi sono attualmente matematici che si stanno occupando della differenza tra il dire che due strutture sono isomorfe e il dire che sono la stessa e si stanno occupando della relazione fra isomorfismo e identità • Questa indagine, ad esempio, si trova all’interno della nuova corrente fondazionale denominata “Univalent Foundations” sostenuta dal matematico russo Vladimir Voevodsky 24 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert 25 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert 26 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert 27 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert 28 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert D.Hilbert, dal Carteggio con Frege, Lettera del 29 dicembre 1899 «Certamente si comprende da sé che ogni teoria è solo un telaio, uno schema di concetti unitamente alle loro mutue relazioni necessarie, e che gli enti fondamentali possono venir pensati in modo arbitrario. … In altre parole: ogni teoria può essere sempre applicata a infiniti sistemi di enti fondamentali. Anzi occorre soltanto applicare una trasformazione biunivoca e convenire che gli assiomi per gli enti trasformati debbano essere uguali a quelli che valgono per i loro corrispondenti.» 29 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert • L’esigenza di Dedekind ed Hilbert, dopo la crisi dell’intuizione nel pensiero matematico a seguito della vicenda delle geometrie non euclidee, è dare una caratterizzazione degli oggetti della matematica che non dipenda più dall’intuizione della specifica individualità di essi • Così commenta Cassirer in Sostanza e funzione: «la struttura relazionale come tale e non la natura assoluta degli elementi forma il vero oggetto delle indagini matematiche» e alla pagina seguente: «La natura degli oggetti geometrici primitivi viene determinata esclusivamente dalle condizioni a cui essi obbediscono […] Il punto e la retta significano per noi nient’altro che figure le quali si trovano con altre simili in rapporti che sono definiti mediante certi gruppi di assiomi» [corsivo mio] • Ed ancora in Sostanza e funzione: «La determinazione dell’individualità degli elementi non sta quindi all’inizio bensì alla fine dell’evoluzione concettuale; …» [corsivo nell’originale] 30 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert In Introduction to Mathematical Philosophy di Russell (1919) troviamo la descrizione di questa concezione dei numeri naturali come infinite differenti interpretazioni degli assiomi di Peano per l’aritmetica, con diverse esemplificazioni 31 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert 32 II.a. La caratterizzazione degli enti matematici alla Dedekind e alla Hilbert • In generale abbiamo quella che viene oggi chiamata una struttura di Peano: (M, s, 0) dove M è un insieme, s è un’applicazione da M in M che ci dà il successore e 0 è un elemento di M corrispondente allo 0 degli assiomi di Peano • Come, si costruiscono, in generale, altre strutture di Peano (a partire da una data), quali ad esempio i diversi esempi forniti da Russell? E’ sufficiente prendere un insieme X qualunque che sia in corrispondenza biunivoca con M; l’esistenza di tale corrispondenza biunivoca (sia f) garantisce l’esistenza di una relazione funzionale s' da X in X indotta dalla corrispondenza biunivoca stessa tale che s(m1, m2) sse s'( f(m1), f(m2)) nonché l’esistenza di un elemento 0', che svolge il ruolo di primo elemento rispetto alla relazione funzionale indotta s' 33 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici P.Benacerraf, “What numbers could not be”, 1965 34 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici P.Benacerraf, “What numbers could not be”, 1965 35 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici • Benacerraf inizia il suo articolo “What numbers could not be” con la citazione di un passo di Richard Martin in cui quest’ultimo confronta l’atteggiamento del matematico, che è interessato soltanto alla struttura matematica e non alle caratteristiche interne, alla natura individuale («inner character») ed allo status ontologico («ontological status») dei suoi oggetti, con l’atteggiamento del filosofo che invece si pone tali domande, non soddisfatto dal fatto che gli venga detto meramente che certe non meglio specificate entità presentano una certa struttura o un’altra • e B. torna, al punto cruciale del suo lavoro, immediatamente prima della ‘Conclusione’, su quella citazione, per argomentare che il filosofo è in errore nel porsi quelle domande 36 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici • Benacerraf nega, intanto, che, come nella concezione fregeana, i numeri siano insiemi, sulla base dell’argomentazione che non c’è un resoconto di essi in termini di insiemi che possa essere stabilito ad esclusione di tutti gli altri e possa quindi risolvere la questione di quali insiemi i numeri realmente siano, questione che si pone necessariamente in quanto, se i numeri sono insiemi, devono essere particolari insiemi, essendo ogni insieme un qualche particolare insieme (Benacerraf ha mostrato precedentemente che d’altra parte non può essere neanche che resoconti in termini di insiemi diversi possano coesistere contemporaneamente) • ma questa è solo una parte della sua argomentazione, e non quella essenziale. Estendendo questa prima conclusione, infatti, egli intende negare proprio che i numeri siano oggetti tout court, di qualsiasi tipo: è sulla base di questo che può giudicare erronea la domanda (la domanda stessa e non una particolare risposta) del filosofo su che oggetti siano i numeri • Egli procede come segue: 37 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici • Richiamando che ogni sistema di oggetti che formi una progressione ricorsiva (come gli esempi visti di Russell) è adeguato nel soddisfare le leggi in forma assiomatica dell’aritmetica (assiomi di Peano), nota che, perciò, ciò che importa non è una condizione sugli oggetti, ma sulla relazione in base alla quale essi formano tale progressione o, in altri termini, ciò che importa non è l’individualità di ciascun elemento, ma la struttura che essi congiuntamente presentano • È soltanto la struttura nel suo complesso che compie il lavoro; l’oggetto, singolarmente, non compie nulla 38 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici • Per questo motivo non ci può essere più ragione nell’identificare un singolo numero con un oggetto anziché con un altro; non ha senso, perché non è lì il punto di cosa significa svolgere il lavoro del numero • e dall’insensatezza di porre la questione per ogni singolo numero – sostiene Benacerraf – deriva l’insensatezza di porsi la questione per (l’insieme di) tutti i numeri, cioè l’insensatezza della domanda di che oggetti sono i numeri 39 II.b. La caratterizzazione di tipo strutturale degli enti matematici • D’altra parte – continua Benacerraf – le proprietà che potrebbero selezionare, come numero, un oggetto anziché un altro potrebbero essere solo le proprietà che non derivano dalle relazioni che i numeri hanno in virtù dell’essere sistemati in una progressione (che soddisfi gli assiomi di Peano) • Ma tali proprietà non hanno alcuna importanza ai fini aritmetici • Quindi, se per caratterizzare i numeri come oggetti noi usiamo proprietà che non hanno alcuna importanza ai fini aritmetici, ciò significa che i numeri non sono oggetti • E così si è arrivati appunto alla concezione dei numeri come posti in una struttura, anziché come specifici oggetti individuali 40 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 41 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 42 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 43 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 44 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 45 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 46 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica 47 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica Dalla traduzione italiana: «W. V. O. Quine e Nelson Goodman, in modi differenti, hanno entrambi sviluppato una posizione che implica un rifiuto esplicito del principio di Eindeutigkeit. Quine con le sue dottrine dell’imperscrutabilità del riferimento e con la relatività ontologica (cfr. ad esempio Quine, 1968), …» [nota n. 12 a pag. 257] 48 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • In apertura di “Ontological Relativity” ed alla base di tutta l’elaborazione teorica di esso troviamo l’affermazione di Quine che il significato è fondamentalmente («primarily») una proprietà del comportamento e deve essere studiato nello stesso spirito empirico che anima la scienza naturale • Il riferimento a questa forte e pregnante concezione di Quine, che riguarda non solo il significato – come egli stesso nota, sempre in “Ontological Relativity” – , ma più in generale il linguaggio, ed anche la mente, costituisce per questo seminario un collegamento significativo al tema del ciclo di cui esso fa parte, sul rapporto tra scienze della natura e scienze umane 49 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • E alla base della teorizzazione quiniana di “Ontological Relativity” troviamo anche l’affermazione che il linguaggio, al cui interno sono primariamente i significati, è un’attività sociale («social art») e non ci può essere un linguaggio privato richiamo al rifiuto wittgensteiniano di un tale linguaggio privato citazione del passo di John Dewey in cui egli afferma: «Soliloquy is the product and reflex of converse with others» 50 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • Quando si assume questa concezione comportamentista del significato, secondo Quine, si abbandona quello che lui chiama il mito del museo, proprio della semantica acritica; museo nel quale avremmo i significati come gli oggetti esibiti (ma lo stesso vale per i riferimenti) e le parole come etichette • e si abbandona anche ogni assicurazione di determinatezza • Secondo il naturalismo quiniano e la concezione comportamentista del significato, l’avere o meno lo stesso significato non ha altro senso di quello che si può stabilire empiricamente sulla base delle disposizioni dei parlanti 51 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • Il punto è allora che, nell’individuazione dell’interpretazione semantica di un linguaggio, o schema di riferimento (l’assegnazione di determinati riferimenti ai termini del linguaggio), sulla base dell’evidenza empirica concernente il comportamento verbale dei parlanti, si hanno sempre diverse alternative possibili in quanto un cambio (permutazione) degli oggetti che costituiscono il riferimento, unito ad «aggiustamenti compensativi» in quello che Quine definisce l’apparato di individuazione (1), produce comunque un accordo con l’evidenza empirica (1) L’apparato di individuazione è definito da Quine come l’insieme interconnesso di particelle e costruzioni grammaticali, comprendenti terminazioni plurali, pronomi, numerali, l’ ‘è’ dell’identità, in particolare nei suoi usi («adaptations») con ‘lo stesso’ e con ‘un altro’. Apparato nel quale la quantificazione logica diventa di importanza centrale quando al linguaggio venga imposta una regimentazione logico-formale 52 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • Solo relativamente ad un linguaggio di sfondo («background language») ha senso per Quine il concetto di riferimento. In assoluto non ha senso, esattamente tanto quanto non ha senso la nozione di velocità assoluta (ma soltanto quella di velocità rispetto a un sistema di riferimento) • Quindi abbiamo «a relational theory of what the objects of theories are», analoga alla dottrina relazionale dello spazio («relational doctrine of space») 53 III. Le tesi quiniane dell’inscrutabilità del riferimento e della relatività ontologica • «The point is […] that things are indistinguishable except by their properties», quindi eccetto che rispetto a (leggasi per Quine relativamente a) un linguaggio, una teoria di sfondo, pena il regresso all’infinito, o la circolarità • E poco oltre Quine afferma: «What makes ontological questions meaningless when taken absolutely is not universality, but circularity» [corsivo mio] • E qui mi viene in mente un collegamento col passo in cui Hilbert, nella sua polemica epistolare con Frege, difende la sua impostazione dalle pesanti critiche di quest’ultimo affermando che se si tenta di dare delle definizioni di cosa sono gli oggetti di cui tratta la matematica nella loro individualità «tutto degenera in un giocare a rimpiattino» 54 IV. Analogie • Le questioni centrali nelle tre problematiche esposte sopra possono essere sintetizzate come segue: cos’è il punto-evento, cioè l’elemento dello spaziotempo, nel senso di cos’è che identifica un punto evento come lo stesso attraverso i diversi modelli diffeomorfi cos’è il numero, l’elemento della serie dei numeri naturali (stando all’aritmetica) cos’è il riferimento, l’elemento nella interpretazione semantica del linguaggio 55 IV. Analogie • E le risposte che abbiamo visto direi che si possono sintetizzare così: per Einstein (e poi per il realismo strutturale spaziotemporale), un posto nella struttura metrica per Benacerraf (preceduto da Dedekind), un posto nella struttura delle progressioni ricorsive per Quine, un posto nella struttura dell’interpretazione semantica, o schema di riferimento del linguaggio; nella rete delle relazioni deduttive fra gli elementi linguistici 56 IV. Analogie • Le concezioni dalle quali si sviluppano queste risposte direi che sono costituite rispettivamente da: la ricerca della covarianza generale da parte di Einstein per la sua teoria della gravitazione universale la caratterizzazione puramente formale delle teorie matematiche a seguito della crisi dell’evidenza intuitiva determinata dalla vicenda delle geometrie non euclidee l’empirismo di Quine verso il linguaggio («naturalistic view of language») e la sua concezione comportamentista del significato («behavioral view of meaning»); e aggiungerei la posizione per cui «There is no place for a prior philosophy» 57 IV. Analogie • C’è, nelle tre questioni esaminate, un meccanismo fondamentale che agisce in modo analogo nei tre diversi contesti. Le strutture isomorfe (e/o equivalenti) sono sempre create attraverso un procedimento in cui la trasformazione è un passaggio, però non è tutto, ma solo uno di due momenti. Abbiamo sempre una trasformazione del dominio della struttura isomorfa + una ridefinizione delle relazioni fra gli elementi di tale dominio, rappresentate, nei tre ambiti, rispettivamente da: diffeomorfismo + drag along (trasformazione, contestuale alla trasformazioni sui punti della varietà spaziotemporale, del campo del tensore metrico) isomorfismo (nella struttura di Peano) + relazione funzionale indotta permutazione nei riferimenti dell’interpretazione semantica + «aggiustamenti compensativi» nell’apparato di individuazione 58 IV. Analogie • Questo meccanismo – mi pare si possa notare – è reso possibile dal livello crescente di astrazione che si è venuto ad attuare nel pensiero matematico e logico con la nozione matematica di varietà (o manifold), in cui la metrica (il campo metrico stabilito dal tensore metrico) è matematicamente in qualche modo “libera”, svincolata da un legame necessario con lo spazio a cui è riferita, astratta con la nozione di modello utilizzata da Beltrami nella sua dimostrazione della coerenza della geometria non euclidea (che può essere considerato l’atto fondativo della teoria dei modelli) 59 V. Spunti di riflessione critica comune • Gli spunti di riflessone critica a partire da quanto ho fino ad ora elaborato nell’esplorazione delle analogie fra le questioni considerate di questi tre differenti ambiti • sono spunti indirizzati, in sostanza, alla riflessione critica sull’adeguatezza e validità della posizione strutturalista , • che direi si può descrivere come un percorso dagli isomorfismi alle ontologie di strutture, o comunque, in modo più attenuato, secondo certe forme di strutturalismo “moderato”, di ontologie strutturaliste, caratterizzate dal fatto che gli elementi che si trovano in tali strutture, i relata, non hanno alcuna proprietà intrinseca, alcuna proprietà che non dipenda dalla struttura, dalla rete di relazioni (non sono niente in se stessi) 60 V. Spunti di riflessione critica comune • Ebbene, questi spunti sono una riflessione soprattutto su quel percorso (hanno direi un carattere metodologico), e sicuramente sono maggiormente improntati all’ambito di cui mi sto occupando maggiormente fra i tre considerati, quello della filosofia della fisica, e in particolare dello spaziotempo nel contesto della relatività generale • Mi pare che siano da tenere presenti nelle considerazioni ontologiche due idee che sono state elaborate, rispettivamente, dal fisico teorico italiano Massimo Pauri e dal filosofo della scienza statunitense Lawrence Sklar 61 V. Spunti di riflessione critica comune • Pauri nel suo saggio “Realismo” strutturale dello spaziotempo (2006) parla di ontologia ridotta adottata nell’impresa scientifica ed afferma che se «la riflessione filosofica non può non tener conto dei risultati dell’indagine scientifica, anzi lo deve» [corsivo dell’autore], lo deve però fare «senza ignorare le limitazioni metodiche della fondazione della descrizione fisica del mondo» • Sklar ha elaborato il principio di MIMO (Metaphysics In, Metaphysics Out) secondo cui nel trarre conseguenze metafisiche dalle teorie scientifiche occorre avere molta cautela in quanto presupposizioni filosofiche possono essere state utilizzate nella costruzione della teoria stessa. 62 V. Spunti di riflessione critica comune • Scrive infatti Sklar, dopo aver ricordato che è stato sostenuto che la teoria della relatività generale abbia risolto la questione della natura dello spazio: «But in looking at what physics tells us about philosophical questions, we must always be careful to ask if philosophical presuppositions have been built into the theory itself» 63