CAPITOLO VIII GRUPPI DI LIE E VARIETÀ OMOGENEE 1. Gruppi di Lie: nozioni fondamentali Un gruppo di Lie 1 è un gruppo dotato di una struttura di varietà differenziabile2 reale tale che le operazioni di gruppo (prodotto e inverso) siano differenziabili. Se K indica R o C, sono gruppi di Lie: (1) Kn in modo naturale; (2) i gruppi lineari GL(n, K) = {A ∈ M n×n (K) : det A 6= 0} con la struttura 2 indotta dalla loro immersione come aperti densi in Kn ; (3) i gruppi classici di matrici sono naturalmente immersi come sottovarietà chiuse di un GL(n, K), in particolare: (i) i gruppi lineari speciali SL(n, K), delle matrici tali che det A = 1; (ii) i gruppi ortogonali O(n) ⊂ GL(n, R), delle matrici tali che A tA = I, e SO(n) = O(n) ∩ SL(n, R); (iii) i gruppi unitari U (n) ⊂ GL(n, C), delle matrici tali che AA∗ = I, e SU (n) = U (n) ∩ SL(n, C); (iv) i gruppi pseudo-ortogonali O(p, q) ⊂ GL(p + q, R), delle matrici tali che AIp,q tA = Ip,q , dove Ip 0 Ip,q = , 0 −Iq e le loro varianti SO(p, q), U (p, q), SU (p, q); (v) i gruppi di matrici triangolari superiori Tn (K) ⊂ GL(n, K), delle matrici tali che aij = 0 se i > j. Tra quelli indicati, i gruppi GL(n, C), SL(n, C), Tn (C) (e nessuno degli altri) hanno una struttura di gruppo complesso, in quanto sono varietà complesse. Altri gruppi di Lie non hanno immersioni altrettanto naturali in spazi euclidei, per esempio: (1) Spin(n), n ≥ 7, il rivestimento universale3 di SO(n) (a due fogli); (2) il rivestimento universale di SL(2, R) (a infiniti fogli); (3) i gruppi proiettivi P GL(n, K) = GL(n, K)/K∗ . 1 Per tutto quanto non dimostrato, si rinvia a S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces. 2 Con differenziabile si intende C ∞ . 3 In dimensioni basse (n ≤ 6) i gruppi Spin sono isomorfi a gruppi di matrici, e dunque immergibili in modo naturale: Spin(3) ∼ = SU (2), Spin(4) ∼ = SU (2) × SU (2), Spin(5) ∼ = Sp(2), ∼ Spin(6) = SU (4). Per n = 2, il rivestimento universale di SO(2) ∼ = T è isomorfo a R, con infiniti fogli. Typeset by AMS-TEX 1 2 CAPITOLO VIII I gruppi di Lie sono gruppi topologici localmente compatti, e possiedono dunque misure di Haar destre e misure di Haar sinistre. Sia G un gruppo di Lie. Indichiamo con Tg G lo spazio tangente a G nell’elemento g. Per h ∈ G, le traslazioni sinistre `h e destre rh sono differenziabili e i loro differenziali (d`h )g : Tg G → Thg G, (drh )g : Tg G → Tgh−1 G in h sono invertibili per ogni h ∈ G. Un campo vettoriale X su G si dice invariante a sinistra4 se per ogni g, h ∈ G, (d`h )g Xh = Xhg . Un campo vettoriale X su G induce un operatore differenziale su G. Data f di classe C 1 su G, poniamo (1.1) Xf (g) = (df )g (Xg ) . Il campo X è invariante a sinistra se e solo se (1.2) X(f ◦ `h ) = (Xf ) ◦ `h , ∀h ∈ G . I campi vettoriali invarianti a sinistra formano un’algebra di Lie rispetto alle operazioni di somma, prodotto per scalari e al commutatore [X, Y ] = XY − Y X . Tale algebra di Lie si chiama l’algebra di Lie di G, indicata con Lie(G) o con g. Un campo vettoriale X è in g se e solo se, per ogni g ∈ G, Xg = d`g (Xe ) . Quindi ogni campo vettoriale invariante a sinistra è univocamente determinato dal suo valore nell’identità. Ne consegue che dim g = dim G. Diamo senza dimostrazione alcuni risultati di carattere generale. Teorema 1.1. Data un’algebra di Lie astratta g di dimensione finita, esiste uno e un solo gruppo di Lie G, connesso e semplicemente connesso, tale che Lie(G) = g. Ogni altro gruppo di Lie connesso, la cui algebra di Lie sia isomorfa a g, è isomorfo al quoziente di G modulo un sottogruppo discreto centrale. Dato un campo vettoriale X ∈ g, il problema di Cauchy (1.3) · γ(t) = Xγ(t) γ(0) = e , dove e è l’identità di G, ammette una e una sola soluzione γX : R → G. Dato t0 ∈ R, anche γX (t0 )−1 γX (t + t0 ) risolve (1.3). Da ciò si deduce la proprietà moltiplicativa di γ: (1.4) 4 Considerazioni γX (t + t0 ) = γX (t)γX (t0 ) . analoghe valgono per i campi vettoriali invarianti a destra. VARIETÀ OMOGENEE 3 L’immagine di γ in G è dunque un sottogruppo di G, non necessariamente chiuso5 . Una funzione C ∞ γ da R a G soddisfacente la (1.4) si chiama gruppo a un parametro. La corrispondenza X 7→ γX è una corrispondenza biunivoca tra elementi di g e gruppi a un parametro. L’applicazione esponenziale exp : g → G data da exp X = γX (1) è un diffeomorfismo locale, il cui differenziale nell’origine (d exp)0 : g → Te G è (d exp)0 (X) = Xe . Inoltre, per X ∈ g, γX (t) = exp(tX) e la funzione Xf nella (1.1) è data da (1.5) Xf (g) = d f g exp(tX) . dt |t=0 In generale, exp non è né iniettiva né suriettiva. Dato g ∈ G, l’applicazione X 7→ g exp X è localmente invertibile nell’origine, e la sua inversa definisce una carta locale ϕg in g. Teorema 1.2. L’atlante {ϕg } definisce una struttura analitica su G. Le operazioni di gruppo e l’applicazione esponenziale sono analitiche. Lo stesso vale per le inverse delle funzioni X 7→ (exp X)g. Concludiamo questo paragrafo con alcune proprietà dei campi vettoriali invarianti a sinistra. Supponiamo sempre che G sia unimodulare. Lemma 1.3. Siano ϕ, ψ ∈ Cc∞ (G), e sia X ∈ g. Allora X(ϕ ∗ ψ) = ϕ ∗ (Xψ) , Z Z Xϕ(g)ψ(g) dg = − ϕ(g)Xψ(g) dg . (1.6) (1.7) G G Dimostrazione. La (1.6) si ottiene derivando per t = 0 l’identità Z ϕ ∗ ψ g exp(tX) = ϕ(h)ψ h−1 g exp(tX) dh . G Passando alla (1.7), per l’invarianza della misura di Haar per traslazioni destre si ha Z Z ϕ (g exp(tX) ψ (g exp(tX) dg = ϕ(g)ψ(g) dg . G Derivando in t per t = 0, si ottiene la conclusione. 5 Si R2 /Z 2 G consideri per esempio la proiezione di una retta con coefficiente angolare irrazionale su = T2 . 4 CAPITOLO VIII 2. Omomorfismi e sottogruppi di Lie Continuiamo a presentare senza dimostrazione proprietà generali dei gruppi di Lie. Teorema 2.1. Sia ψ un omomorfismo di un gruppo di Lie G in un gruppo di Lie G0 . Il suo differenziale 6 dψ applica campi vettoriali invarianti a sinistra su G in campi vettoriali invarianti a sinistra su G0 , inducendo cosı̀ un omomorfismo di algebre di Lie da g a g0 . Viceversa, siano g, g0 due algebre di Lie e siano G il gruppo connesso e semplicemente connesso con Lie(G) = g, G0 un qualunque gruppo di Lie con Lie(G0 ) = g0 . Ogni omomorfismo di g in g0 è allora il differenziale di un unico omomorfismo di G in G0 . Gli omomorfismi di gruppi di Lie sono analitici. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Sia poi h una sottoalgebra di Lie di g, e indichiamo con H0 il gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso con algebra di Lie h. Indichiamo inoltre con expG e expH0 le applicazioni esponenziali dei due gruppi. Proposizione 2.2. L’applicazione ψ : expH0 X 7→ expG X, inizialmente definita su un intorno sufficientemente piccolo di eH0 , si prolunga analiticamente a un omomorfismo regolare 7 di H0 in G. L’immagine H = ψ(H0 ) in G è dunque un sottogruppo di G, algebricamente isomorfo a H0 /D, dove D è un sottogruppo discreto centrale di H0 . Inoltre H eredita, attraverso la ψ, una struttura di sottovarietà di G. Si chiama sottogruppo di Lie di G un sottogruppo la cui componente connessa dell’identità sia descrivibile come sopra8 . Se H è un sottogruppo di Lie di G, il suo spazio tangente nell’identità è dunque una sottoalgebra di Lie di g e expG (X) ∈ H per ogni X ∈ h. Teorema 2.3. L’applicazione H 7→ Lie(H) stabilisce una corrispondenza biunivoca tra i sottogruppi di Lie connessi di G e le sottoalgebre di Lie di g. Se H è un sottogruppo di Lie connesso, H è normale se e solo se h = Lie(H) è un ideale 9 in g. C’e’ un semplice punto di incontro tra la nozione di sottogruppo di Lie e quella, puramente topologica, di sottogruppo chiuso. Teorema 2.4. Ogni sottogruppo chiuso di G è una sottovarietà immersa, e dunque un sottogruppo di Lie. Se H è un sottogruppo chiuso di G e G/H è lo spazio quoziente con la struttura di varietà indotta, l’applicazione (g, g 0 H) 7→ gg 0 H da G × G/H a G/H è analitica. In particolare, se H è normale e chiuso, G/H è un gruppo di Lie e la sua algebra di Lie è isomorfa a g/h. 6 Nella categoria dei gruppi di Lie gli omomorfismi sono differenziabili per ipotesi. applicazione differenziabile. 8 Si confronti la definizione di sottogruppo di Lie con quella di gruppo a un parametro. I sottogruppi di Lie connessi di dimensione 1 sono le immagini in G dei sottogruppi a un parametro, o anche, le classi di equivalenza dei gruppi a un parametro modulo cambiamenti lineari della variabile. 9 Un ideale in un’algebra di Lie g è un sottospazio h tale che [g, h] ⊂ h. 7 Come VARIETÀ OMOGENEE 5 3. Spazi omogenei di gruppi di Lie, operatori differenziali invarianti e struttura analitica La nozione di operatore differenziale lineare su una varietà M può essere data in due modi. Usando carte locali, si può dire che un tale operatore è un operatore lineare D : C ∞ (M ) → C ∞ (M ) che, in una qualunque sistema di coordinate locali, si esprima come operatore differenziale con coefficienti C ∞ . In modo equivalente, si può anche dire che un operatore differenziale è un operatore lineare D : C ∞ (M ) → C ∞ (M ) che conserva i supporti, cioè supp (Df ) ⊂ supp f , ∀ f ∈ C ∞ (M ) . Gli operatori differenziali10 su M formano un’algebra associativa per composizione. Consideriamo ora un’azione differenziabile ψ : G × M → M di G su una varietà differenziabile M . Dicendo che M è uno spazio omogeneo di un gruppo di Lie G, intenderemo sempre che M è una varietà e che l’azione di G su M è differenziabile. Siccome lo stabilizzatore H = Gx0 di un dato punto x0 ∈ M è chiuso, esso è un sottogruppo di Lie, G/H è una varietà differenziabile e l’applicazione gH 7→ g·x0 da G/H a M è differenziabile e biiettiva. Ciò implica che essa è un diffeomorfismo. A sua volta, ciò implica che M ha una struttura analitica che rende l’azione analitica. Inoltre dim M = dim G − dim H . Diremo che un operatore differenziale D su M è G-invariante se Dτg f = τg Df per ogni f ∈ C ∞ (M ) e ogni g ∈ G, dove τg f (x) = f (g −1 · x). Indichiamo con D(M ) l’algebra di tali operatori. Supporremo d’ora in poi che H sia compatto, e lo denoteremo con K. Supporremo anche che M = G/K, senza perdere con questo in generalità. Per funzioni definite su G/K, τg f (hK) = f (g −1 hK) . Lemma 3.1. Un operatore differenziale D ∈ D(G/K) applica funzioni analitiche in funzioni analitiche. Dimostrazione. Dato x̄ ∈ G/K, sia ϕ : U → Ω ⊂ Rn una carta locale analitica in x̄ con ϕ(x̄) = 0. Esistono allora coefficienti aα (t) su Ω tali che X (Df ) ◦ ϕ−1 (t) = aα (t)∂ α (f ◦ ϕ−1 )(t) . α Sia σ : U → S un sollevamento analitico di U in G. Per la (3.1), posto g = σ(x), X Df (x) = aα (0)∂ α (τg−1 f ) ◦ ϕ−1 (0) . α Se f è analitica, τ g −1 f dipende analiticamente da g e dunque da x. Questo risultato vale in particolare nel caso K = {e}, cioè per operatori differenziali su G invarianti a sinistra. Consideriamo una base {X1 , . . . , Xn } dell’algebra di Lie g di G e poniamo n X ∆= Xj2 . j=1 10 D’ora in poi è sottinteso che gli operatori differenziali si intendono lineari. 6 CAPITOLO VIII Lemma 3.2. L’operatore ∆ è invariante per traslazioni sinistre ed ellittico. Posto dom (∆) = Cc∞ (G), la chiusura è autoaggiunta e negativa. Dimostrazione. L’invarianza di ∆ è ovvia. Usando exp−1 : Ue → g come carta locale definita in un intorno dell’identità, e introdotte coordinate lineari (t1 , . . . , tn ) su g adattate alla base {X1 , . . . , Xn }, si ha, per definizione ∂(f ◦ exp) (0) . (Xj f ) ◦ exp(0) = ∂tj Quindi n X ∂(f ◦ exp) ∂(f ◦ exp) (Xj f ) ◦ exp(t) = (t) + (t) , ajk (t) ∂tj ∂tk (3.1) k=1 con ajk (0) = 0 per ogni j, k, per cui n X ∂ 2 (f ◦ exp) (∆f ) ◦ exp(0) = (0) + termini di ordine inferiore . ∂t2j j,k=1 Questo dimostra l’ellitticità di ∆ in e, e negli altri punti segue per invarianza. Per la (1.7), ogni Xj è antisimmetrico, e quindi ∆ è simmetrico. Inoltre n n X X 2 hXj f, f i = − kXj f k22 ≤ 0 , h∆f, f i = j=1 j=1 per cui ∆ è negativo. Un criterio per verificare che la chiusura di ∆ è autoaggiunta consiste nel verificare che ∆−I ha immagine densa11 . Sia dunque f ∈ L2 (G) ortogonale all’immagine di ∆−I. Questo implica che ∆f = f nel senso delle distribuzioni. Per l’ellitticità di ∆, questo implica a sua volta che f è C 2 (addirittura analitica) e l’uguaglianza vale puntualmente. Se ϕ ∈ Cc2 (G), u = ϕ ∗ f è di classe C 2 e ∆(ϕ ∗ f ) = ϕ ∗ ∆f = ϕ ∗ f . Approssimando opportunamente f ∗ con funzioni di classe C 2 a supporto compatto (per es. applicando a f ∗ troncamenti C 2 su compatti che invadono G) si conclude che ∆(f ∗ ∗ f ) = f ∗ ∗ f . Ma f ∗ ∗ f è di tipo positivo, e dunque max <e(f ∗ ∗ f ) = f ∗ ∗ f (e) = kf k22 . Questo è compatibile con la condizione ∆ <e(f ∗ ∗ f ) (e) = kf k22 ≥ 0 solo se f = 0. Sia {et∆ }t>0 il semigruppo di contrazioni su L2 (G) generato da ∆. Diamo a questo punto senza dimostrazione il seguente teorema12 . Teorema 3.3 (E. Nelson). Per t > 0, et∆ f = f ∗ pt , con pt ∈ L1 (G), positiva e analitica. Inoltre {pt } è un’identità approssimata per t → 0. Dimostriamo invece come da questa proprietà segue che le funzioni analitiche sono dense negli spazi funzionali che ci interessano maggiormente. 11 Vedi M. Reed, B. Simon, Methods of Modern Mathematical Physics. I. Functional Analysis, p. 313. 12 Vedi E. Nelson, Analytic vectors, Ann. Math. 70 (1959), pp. 572-615, sez. 8. VARIETÀ OMOGENEE 7 Corollario 3.4. Le funzioni analitiche sono dense in ciascuno dei seguenti spazi: Lp (G) (1 ≤ p < ∞) , C0 (G) , Lp (G; K) (1 ≤ p < ∞) , C0 (G; K) , L (K; G; K) (1 ≤ p < ∞) , C0 (K; G; K) . p Dimostrazione. E’ sufficiente dimostrare che se f ∈ Cc (G), allora f ∗ pt e pt ∗ f sono analitiche per ogni t > 0. Questo infatti dimostra direttamente la densità delle funzioni analitiche in Lp (G), C0 (G), Lp (G; K), C0 (G; K). Se f ∈ Lp (K; G; K) o C0 (K; G; K), le funzioni Z ] (f ∗ pt ) (g) = f ∗ pt (gk) dk K sono pure analitiche e convergono a f . Inoltre esse sono bi-K-invarianti. Sia U un intorno dell’origine in g tale che exp sia un diffeomorfismo su U . Sia 2 poi U0 ⊂ U un intorno simmetrico dell’origine tale che exp(U ) ⊂ U . Esiste allora una funzione analitica η : U0 × U0 → U tale che exp X exp Y = exp η(X, Y ) per X, Y ∈ U0 . Fissiamo t > 0 e g0 ∈ G. Sia V ⊂ U0 tale che pt exp(η(−Y, X))g0 sia sviluppabile in serie di potenze in X e Y convergente su V × V . Allora, indicando con X α i monomi in X in un dato sistema di coordinate lineari su g, X pt exp(η(−Y, X))g0 = aα (Y )X α , α dove le funzioni aα sono analitiche, e la serie converge uniformemente sui compatti di V × V . Supponiamo inizialmente che supp f ⊂ exp(V ). Fissato g0 ∈ G, Z f ∗ pt (exp X g0 ) = f (exp Y )pt exp(−Y ) exp X g0 d(exp Y ) ZV = f (exp Y )pt exp(η(−Y, X))g0 d(exp Y ) V Z X α = X aα (Y )f (exp Y ) d(exp Y ) . α V Per f con supporto compatto arbitrario, per ogni h ∈ supp f fissiamo un intorno dell’identità Vh ⊂ U0 tale che pt exp(η(−Y, X)) h−1 g0 sia sviluppabile in serie di potenze in X e Y convergente su Vh × Vh . Siano h1 , . . . , hm tali che {hj exp(Vhj )}j≤m sia un ricoprimento di supp f . Tramite una partizione continua dell’unità, si può scomporre f come m X fj (h) , f (h) = j=1 con supp fj ⊂ hj exp(Vhj ). Allora Z fj ∗ pt (exp X g0 ) = fj (hj exp Y )pt exp(−Y ) exp X h−1 j g0 d(exp Y ) , Vhj e si procede come sopra. 8 CAPITOLO VIII 4. Struttura dell’algebra D(G/K) Consideriamo un automorfismo interno g 7→ hgh−1 di G. Per il Teorema 2.1, esso induce un automorfismo di g, indicato con Ad(h). Si usa anche la notazione abbreviata Ad(h)X = X h . Concretamente, il gruppo a un parametro generato da Ad(h)X è il coniugato, attraverso l’automorfismo interno, del gruppo a un parametro generato da X, cioè exp sAd(h)X = h exp(sX)h−1 . Per la (1.5), Ad(h)Xf (g) = d f (gh exp(sX)h−1 ) = X(Rh−1 f )(gh) = Rh X(Rh−1 f )(g) . ds |s=0 Abbiamo dunque l’identità Ad(h)X = Rh XRh−1 . (4.1) Analogamente, per D ∈ D(G), poniamo Ad(h)D = Rh DRh−1 , notando che Ad(h)(D1 D2 ) = Ad(h)D1 Ad(h)D2 . Indichiamo con DK (G) la sottoalgebra di D(G) DK (G) = {D : Ad(k)D = D , ∀ k ∈ K} . Lemma 4.1. Un operatore D ∈ DK (G) applica C ∞ (G; K) in sé e induce dunque un operatore D̃ ∈ D(G/K) dato da Λ∗ (D̃f ) = D(Λ∗ f ) . (4.2) Dimostrazione. Se f ∈ C ∞ (G; K), Df (gk) = Rk (Df )(g) = D(Rk f )(g) = Df (g) . Il resto è ovvio. Vogliamo ora discutere iniettività e suriettività dell’applicazione D 7→ D̃ da DK (G) a D(G/K). Per far questo consideriamo l’azione Ad di K su g. Questa è una rappresentazione13 di K, in quanto Ad(kk 0 ) = Ad(k)Ad(k 0 ). La dimostrazione del Teorema 1.1 del Capitolo V si adatta facilmente a dimostrare l’esistenza su g di un prodotto scalare Ad(K)-invariante. Indichiamo con p il complemento ortogonale di k in g rispetto a un tale prodotto scalare fissato14 . Abbiamo dunque la decomposizione ortogonale g=k⊕p . 13 Su uno spazio vettoriale reale. L’azione Ad di tutto G su g si chiama rappresentazione aggiunta di G. 14 Il sottospazio p dipende dalla scelta del prodotto scalare Ad(K)-invariante, che in generale non è unico. VARIETÀ OMOGENEE 9 Siccome k è un sottospazio Ad(K)-invariante, anche p lo è. In generale, p non è una sottoalgebra. Risulta del tutto naturale, una volta fissato il prodotto scalare su g, identificare p con lo spazio tangente a G/K nel punto x0 = eK. Si noti infatti che l’applicazione (4.3) X 7−→ (exp X) · x0 , X∈p è un diffeomorfismo di un intorno dell’origine in p su un intorno di x0 e dunque la sua inversa ψx0 è una carta locale in x0 . Si noti anche che, posto ψx0 (x) = X, ψx0 (k · x) = ψx0 k(exp X) · x0 (4.4) = ψx0 exp Ad(k)X k · x0 = Ad(k) ψx0 (x) , per ogni k ∈ K. Cioè Ad(k) descrive in queste coordinate locali l’azione di k su un intorno di x0 . Allo stesso modo si vede facilmente che, rispetto all’identificazione di p con Tx0 (G/K), Ad(k) corrisponde al differenziale in x0 dell’azione di k su G/K. Considerazioni analoghe valgono, in un generico punto x0 = g · x0 ∈ G/K, per l’inversa ψx0 dell’applicazione X 7−→ g(exp X) · x0 , X∈p. In questo caso, per ogni k ∈ K, in luogo della (4.4) si ha ψx0 (gkg −1 · x) = Ad(k) ψx0 (x) . Si prenda ora D ∈ D(G/K). Per la sua invarianza, D è univocamente determinato dal funzionale lineare λD (f ) = Df (x0 ). Infatti, se x = g −1 · x0 , Df (x) = τg (Df )(x0 ) = D(τg f )(x0 ) = λD (τg f ) . Nelle coordinate locali (t1 , . . . ts ) indotte dall’applicazione (4.3), riferite a una fissata base ortonormale di p, λD (f ) = PD (∂t )(f ◦ ψx−1 )(0) , 0 per un opportuno polinomio PD . Teorema 4.2. La corrispondenza che associa all’operatore D ∈ D(G/K) il polinomio PD su p è lineare e biiettiva a valori nello spazio dei polinomi Ad(K)invarianti su p. Inoltre PD1 D2 = PD1 PD2 + polinomi di grado inferiore a deg D1 + deg D2 . Dimostrazione. Sia {X1 , . . . , Xs } la base ortonormale fissata di p. Per semplicità di notazioni, indichiamo con X la colonna t(X1 , . . . , Xs ), in modo che, se t indica la riga (t1 , . . . , ts ), allora tX = t1 X1 + · · · + ts Xs . Sia Ak la matrice ortogonale tale 10 CAPITOLO VIII def che Ad(k)X = t(Ad(k)X1 , . . . , Ad(k)Xs ) sia uguale ad Ak X. Quindi Ad(k)(tX) = (tAk )X. In queste notazioni, λD (f ) = PD (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) |t=0 . Poiché D(τk f )(x0 ) = Df (x0 ) per ogni k ∈ K, si ha λD (f ) = PD (∂t ) f (k −1 exp(tX) · x0 ) |t=0 = PD (∂t ) f exp(Ad(k)−1 (tX)) · x0 | t=0 −1 = PD (∂t ) f exp((tAk )X) · x0 |t=0 . t −1 0 Il cambiamento di variabile t0 = tA−1 k induce la trasformazione ∂t = ∂t Ak = ∂t0 Ak . Quindi si ha anche λD (f ) = PD (∂t0 Ak ) f exp(t0 X) · x0 | 0 . t =0 Per l’arbitrarietà di f , PD (∂t ) = PD (∂t Ak ). Riportandosi alla variabile tX ∈ p, PD (tX) = PD (tAk X) = PD Ad(k)(tX) , cioè PD è Ad(K)-invariante. Viceversa, dato un polinomio Ad(K)-invariante P su p, si definisca D come . (4.5) Df (g · x0 ) = P (∂t ) f g exp(tX) · x0 | t=0 Per verificare che questa è una buona definizione, supponiamo che g · x0 = g 0 · x0 , cioè g 0 = gk con k ∈ K. Sostituendo dunque g con gk a secondo membro della (4.5), si ha P (∂t ) f gk exp(tX) · x0 |t=0 = P (∂t ) f g exp Ad(k)(tX) · x0 |t=0 = P (∂t ) f g exp((tAk )X) · x0 |t=0 0 = P (∂t0 A−1 k ) f g exp(t X) · x0 |t0 =0 = P (∂t0 ) f g exp(t0 X) · x0 | 0 t =0 A questo punto D è chiaramente G-invariante e PD = P . Si osservi poi che, posto mj = deg PDj , X aα (t)∂tα f (exp(tX) · x0 ) , D2 f exp(tX) · x0 = PD2 (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) + |α|<m2 dove i coefficienti aα si annullano per t = 0. Quindi D1 D2 f (x0 ) = PD1 (∂t )PD2 (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) |t=0 X + PD1 (∂t ) aα (t)∂tα f (exp(tX) · x0 ) |α|<m2 |t=0 . VARIETÀ OMOGENEE 11 Corollario 4.3. L’algebra D(G/K) è finitamente generata. Dimostrazione. Mostriamo per prima cosa che l’algebra PK dei polinomi Ad(K)invarianti su p. Nell’algebra P di tutti i polinomi su p si consideri l’ideale I generato dalla sottoalgebra P0K dei polinomi in PK privi di termine di grado 0. Per il Teorema della base di Hilbert, I è finitamente generato. Inoltre esso ammette un sistema finito di generatori omogenei e in P0K . Infatti, se Q1 , . . . , Qs ∈ I generano I, basta rappreP ) sentare ciascun Qj nella forma Qj = ` Pj` Rj` con Pj` ∈ P e Rj` ∈ PK . L’insieme delle componenti omogenee degli Rj` cosı̀ ottenuti genera I. ) Sia dunque {B1 , . . . , Bm } ⊂ PK un tale sistema di generatori, con Bi omogeneo di grado di > 0. Mostriamo allora che ogni P ∈ PK è un polinomio neiP Bi . Possiamo m limitarci a polinomi P omogenei di grado d > 0. Essendo P ∈ I, P = i=1 Si Bi per opportuni polinomi Si ∈ P. Per motivi di omogeneità, la stessa identità continua a valere se di Si si considera solo la componente omogenea di grado d − di . Per la Ad(K)-invarianza di P e dei Bi , P = m X Si ◦ Ad(k) Bi = i=1 m Z X i=1 Si ◦ Ad(k) dk Bi = K m X Si] Bi , i=1 dove ora Si] è in PK e omogeneo di grado d − di < d. La conclusione segue per induzione. Passando a D(G/K), sia Di tale che PDi = Bi . E’ sufficiente procedere per induzione sull’ordine dell’operatore D ∈ D(G/K). Per operatori di ordine 0 non c’è nulla da dire. Preso un operatore D di ordine P αm d > 0, si esprima il corrispondente polinomio PD come PD = α cα B1α1 · · · Bm . P α1 αm Posto D0 = α cα D1 · · · Dm , PD0 = PD + polinomi di grado inferiore a d , per il Teorema 4.2. Quindi D − D0 ha ordine minore di d e ad esso si può applicare l’ipotesi induttiva. Sulla base del Teorema 4.2, si può formulare lo sviluppo di Taylor in x0 di una funzione K-invariante su G/K in termini di operatori G-invarianti. Sia f una funzione analitica su un intorno di x0 in G/K, e sia F = f ◦ ψx−1 . 0 Allora F è analitica e Ad(K)-invariante su un intorno di 0 in g. Nelle coordinate t introdotte nella dimostrazione del Teorema 4.2, abbiamo lo sviluppo di Taylor ∞ X X 1 α α ∂ F (0)t = Pj (t) , F (t) = α! n j=0 α∈N con Pj (t) = 1 α α |α|=j α! ∂ F (0)t P polinomio omogeneo di grado j. Se k ∈ K, ∞ X F (t) = F Ad(k)t = Pj Ad(k)t . j=0 Per l’unicità dello sviluppo di Taylor, Pj Ad(k)t = Pj (t), per cui ogni Pj è Ad(K)-invariante. 12 CAPITOLO VIII Sullo spazio dei polinomi a valori complessi su p introduciamo il prodotto scalare di Fischer hP, Qi = Q̄(∂)P (0) . I sottospazi Pj dei polinomi omogenei di grado j sono a due a due ortogonali. Per ogni j si prenda una base ortonormale {Qj1 , . . . , Qjdj } del sottospazio di Pj costituito dai polinomi Ad(K)-invarianti. Ogni termine Pj dello sviluppo di Taylor di F si sviluppa nella data base come Pj = dj X aj` Qj` , `=1 con aj` = hPj , Qj` i = Q̄j` (∂)Pj (0) = Q̄j` (∂)F (0) . Quindi F (t) = dj ∞ X X Q̄j` (∂)F (0)Qj` (t) . j=0 `=1 In termini di f , si ha allora il seguente enunciato. Corollario 4.4. Sia D`j ∈ D(G/K) l’operatore tale che PDj = Q̄j` . Se f è analitica ` in x0 e K-invariante, allora (4.6) f (x) = dj ∞ X X D`j f (x0 )Qj` ψx0 (x) . j=0 `=1 5. Coppie di Gelfand Data una funzione f integrabile su uno spazio omogeneo M del gruppo G, e una funzione u ∈ L1 (G), definiamo la funzione u ? f su M come Z (5.1) u ? f (x) = u(h)f (h−1 · x) dh . G Si verifica facilmente che Λ∗ (u ? f ) = u ∗ (Λ∗ f ) . (5.2) Molte proprietà della convoluzione su G si trasferiscono in altrettante proprietà di ?, tra cui (u ∗ v) ? f = u ? (v ? f ) , ku ? f kp ≤ kuk1 kf kp , ecc. Se D ∈ D(M ) e f ∈ Cc∞ (M ), Z Z (5.3) D(u ? f )(x) = D u(h)τh f (x) dx = u(h)τh Df (x) dx = u ? (Df )(x) . G G VARIETÀ OMOGENEE 13 Lemma 5.1. Se (G, K) è una coppia di Gelfand, l’algebra D(G/K) è commutativa. Dimostrazione. Siano f, g ∈ Cc∞ (G/K) K-invarianti, di modo che Λ∗ f, Λ∗ g ∈ Cc∞ (K; G; K). Per la (5.2), Λ∗ (Λ∗ f ) ? g = (Λ∗ f ) ∗ (Λ∗ g) = (Λ∗ g) ∗ (Λ∗ f ) = Λ∗ (Λ∗ g) ? f , per cui (Λ∗ f ) ? g = (Λ∗ g) ? f . Se D1 , D2 ∈ D(G/K), anche D1 f, D2 g sono K-invarianti e dunque D1 D2 (Λ∗ f ) ? g = D1 (Λ∗ f ) ? D2 g = D1 Λ∗ (D2 g) ? f = Λ∗ (D2 g) ? D1 f = Λ∗ (D1 f ) ? D2 g = D2 Λ∗ (D1 f ) ? g = D2 Λ∗ (D1 f ) ? g = D2 (Λ∗ g) ? D1 f = D2 D1 (Λ∗ g) ? f = D2 D1 (Λ∗ f ) ? g . Data u ∈ Cc∞ (G), sia Z ] u (h) = u(khk 0 ) dk dk 0 . K×K Allora, se g è come sopra, D1 D2 (u] ? g)(x0 ) = u] ? (D1 D2 g)(x0 ) Z Z u(khk 0 )(D1 D2 g)(h−1 · x0 ) dk dk 0 dh ZG ZK×K u(h)(D1 D2 g)(k 0 h−1 k · x0 ) dk dk 0 dh G K×K = u ? (D1 D2 g)(x0 ) , e analogamente per il prodotto D2 D1 . Quindi u ? (D1 D2 g)(x0 ) = u ? (D2 D1 g)(x0 ) . Mettendo un’identità approssimata C ∞ a supporto compatto al posto di u e passando al limite, si ottiene l’identità R D1 D2 g(x0 ) = D2 D1 g(x0 ). Sia ora g ∈ Cc∞ (G/K). Se g̃(x) = K g(k −1 · x) dk, Z Z D1 D2 g̃(x0 ) = (D1 D2 τk g)(x0 ) dk = τk (D1 D2 g)(x0 ) dk = D1 D2 g(x0 ) . K K Quindi D1 D2 g(x0 ) = D2 D1 g(x0 ) per ogni g ∈ Cc∞ (G/K). Sostituendo poi g con τh g e usando la G-invarianza di D1 e D2 , si ottiene l’uguaglianza per ogni x. In conclusione D1 D2 = D2 D1 . Vediamo ora come le funzioni sferiche su G/K si caratterizzino come autofunzioni simultanee di tutti gli operatori in D(G/K). 14 CAPITOLO VIII Teorema 5.2. Sia ϕ una funzione continua non identicamente nulla su G/K, e sia Φ = Λ∗ ϕ. Le seguenti condizioni sono equivalenti: (i) Φ soddisfa l’equazione funzionale Z Φ(gkg 0 ) dk = Φ(g)Φ(g 0 ) ; (5.4) K (ii) ϕ è C ∞ , K-invariante, ϕ(x0 ) = 1 e per ogni D ∈ D(G/K) esiste λD ∈ C tale che Dϕ = λD ϕ. Le funzioni sferiche sono analitiche. Dimostrazione. Supponiamo che Φ = Λ∗ ϕ soddisfi la (5.4). Da essa segue facilmente l’identità Φ(gk)Φ(g 0 ) = Φ(g)Φ(kg 0 ) = Φ(g)Φ(g 0 ) , per k ∈ K. Siccome Φ non è identicamente nulla, esiste g0 tale che Φ(g0 ) 6= 0. Ponendo prima g = g0 e poi g 0 = g0 si ottiene che Φ(gk) = Φ(kg) = Φ(g) per ogni g ∈ G, k ∈ K, e dunque Φ è bi-K-invariante. Ponendo g = g0 , g 0 = e nella (5.4) si ottiene poi che Φ(e) = 1. R Mostriamo ora che Φ è C ∞ . Data f ∈ Cc∞ (G), sia f ] (g) = K (gk) dk. Allora anche f ] e Φ ∗ f ] sono C ∞ . Ma Z −1 Φ(g) Φ(h Z Z Φ(gkh−1 )f (h) dk dh )f (h) dh = G ZG ZK = G Φ(gh−1 )f (hk) dk dh K ] = Φ ∗ f (g) . R Basta allora scegliere f tale che G Φ(h−1 )f (h) dh 6= 0 per concludere che Φ è C ∞ . Quindi ϕ è K-invariante su G/K e C ∞ . Si noti che la (5.4) equivale alla condizione Z (5.5) ϕ(gk · x) dk = ϕ(g · x0 )ϕ(x) , K per g ∈ G e x ∈ G/K. Applicando D ∈ D(G/K) al primo membro (nella variabile x), si ottiene D Z K τk −1 −1 g Z ϕ dk (x) = τk −1 −1 g Z Dϕ(gk · x) dk , Dϕ(x) dk = K K mentre applicando D al secondo membro si ottiene ϕ(g · x0 )Dϕ(x). Ponendo allora x = x0 e uguagliando le due espressioni, si ha Dϕ(g · x0 ) = ϕ(g · x0 )Dϕ(x0 ) . Posto λD = Dϕ(x0 ), si ha Dϕ(x) = λD ϕ(x) in ogni x ∈ G/K. Viceversa, supponiamo che ϕ soddisfi la (ii). Introdotte coordinate (t1 , . . . , tn ) Pn su p come nel §4, si consideri l’operatore DP , dove P (t) = 1 t2j è in PK . DP VARIETÀ OMOGENEE 15 è dunque ellittico e le sue autofunzioni sono analitiche. Essendo esso anche Kinvariante, segue che ϕ è analitica. Fissato g ∈ G, si consideri la funzione Z (5.6) Z ϕ(gk · x) dk = ϕg (x) = K τ (gk)−1 ϕ(x) dk . K Essa è analitica e K-invariante. Per il Corollario 4.4, essa ammette lo sviluppo di Taylor dj ∞ X X ϕg (x) = D`j ϕg (0)Qj` ψx0 (x) , j=0 `=1 per x in un intorno di x0 . Se D ∈ D(G/K), λD = Dϕ(x0 ), per cui Dϕg = D Z −1 τ (gk) Z ϕ dk = K τ (gk)−1 Dϕ dk = λD ϕg = Dϕ(x0 )ϕg . K Ma ϕg (x0 ) = ϕ(g · x0 ), per cui ϕg (x) = ϕ(g · x0 ) dj ∞ X X D`j ϕ(x0 )Qj` ψx0 (x) = ϕ(g · x0 )ϕ(x) . j=0 `=1 Vale dunque la (5.5) per x in un intorno di x0 . Per l’unicità del prolungamento analitico, l’uguaglianza vale per ogni x. Infine, come si è già detto, la (5.5) è equivalente alla (5.4). Sullo spazio C ∞ (G/K) = E(G/K) consideriamo la topologia in cui un sistema fondamentale di intorni dell’origine è dato dagli insiemi U0 (C, n, ε) = {f : kf kC n (C) < ε} , al variare di C tra i compatti di G/K, n ∈ N, ε > 0. La norma in C n (C) può essere definita, attraverso una opportuna partizione dell’unità, in termini di derivate in coordinate locali fino all’ordine n. Equivalentemente, si può rimontare su G e utilizzare campi vettoriali invarianti a sinistra e loro composizioni di grado minore o uguale a n. Corollario 5.3. Dato D ∈ D(G/K), sia λD (ϕ) = Dϕ(x0 ) l’autovalore di ϕ relativo a D. Allora la funzione λD è continua su ∆K . La topologia di Gelfand su ∆K coincide con la topologia indotta da E(G/K). Dimostrazione. Data Φ0 = Λ∗ ϕ0 ∈ ∆K , si fissi un intorno compatto V dell’identità in G tale che <e Φ0 > 21 su V . Dato ε > 0, l’insieme U = {Φ ∈ ∆K : |Φ(x) − Φ0 (x)| < ε ∀ x ∈ V } è un intorno di Φ0 nella topologia di Gelfand. Se ε < 41 , <e Φ > 14 su V per ogni Φ ∈ U . Si fissi f = Λ∗ ψ ∈ Cc∞ (K; G; K) una funzione non negativa, con integrale uguale a 1 e con supporto contenuto in un intorno simmetrico V 0 dell’identità tale che 2 V 0 ⊂ V . Per ogni Φ ∈ U , <e(f ∗ Φ) > 41 su V 0 . Ma per la (4) del §6, Capitolo VII, f ∗ Φ = (f ∗ Φ)(e)Φ = cΦ Φ, con |cΦ | > 41 . 16 CAPITOLO VIII Riportandosi a G/K, dalla commutatività della convoluzione segue che, posto Φ = Λ∗ ϕ, −1 ϕ = c−1 Φ f ? ϕ = cΦ Φ ? ψ . Allora, se D ∈ D(G/K), −1 ∗ Dϕ = c−1 Φ Φ ? Dψ = cΦ Λ (Dψ) ? ϕ , e pertanto λD (ϕ) − λD (ϕ0 ) < 4kDψk1 ε . Questo dimostra la prima affermazione. Per quanto riguarda il confronto tra le due topologie, siccome la topologia di Gelfand coincide con la topologia compatto-aperto, essa è sicuramente meno fino della topologia indotta da E(G/K). Si prenda allora un intorno Uϕ0 (C, n, ε) = {ϕ ∈ ∆K : kϕ − ϕ0 kC n (C) < ε} nella topologia indotta da E(G/K). Dia DP ∈ D(G/K) l’operatore ellittico introdotto nella dimostrazione del Teorema 5.2. Se il compatto C è contenuto in un aperto coordinato A relativamente compatto di G/K, e A0 è un altro aperto con C ⊂ A0 ⊂⊂ A, possiamo passare a coordinate locali e utilizzare il Teorema di immersione di Sobolev e il Teorema di regolarità per operatori ellittici. Se d = dim G/K e 2m > n + d2 , si ha il seguente controllo in termini di norme di Sobolev: (5.7) kf kC n (C) ≤ Cn kf kH 2m (A0 ) ≤ Cm kDPm f kL2 (A) . Introducendo partizioni dell’unità, questa disuguaglianza si estende a qualunque compatto C, con gli stessi esponenti, ma con costanti dipendenti da C. Quindi kϕ − ϕ0 kC n (C) ≤ Cm kDPm ϕ − DPm ϕ0 kL2 (A) = Cm λDP (ϕ)m ϕ − λDP (ϕ0 )m ϕ0 L2 (A) m ≤ Cm λDP (ϕ0 ) kϕ − ϕ0 kL2 (A) + λDP (ϕ)m − λDP (ϕ0 )m kϕkL2 (A) m 1 ≤ Cm |A| 2 λDP (ϕ0 ) kϕ − ϕ0 kC(Ā) + λDP (ϕ)m − λDP (ϕ0 )m . Utilizzando la prima parte della dimostrazione, si conclude allora che {ϕ : kϕ − ϕ0 kC(Ā) < δ} ⊂ Uϕ0 (C, n, ε) se δ è sufficientemente piccolo. Usando la densità delle funzioni analitiche, mostriamo che il Lemma 5.1 ammette un inverso, quando G è connesso. Teorema 5.4. Sia K un sottogruppo compatto di G, con G/K connesso. Se D(G/K) è commutativa, (G, K) è una coppia di Gelfand. La dimostrazione è basata sul seguente lemma. Indichiamo con Dr , Qr una rinumerazione degli operatori, e rispettivi polinomi, nella (4.6). Lemma 5.5. Sia f una funzione analitica in un intorno di x0 e K-invariante su G/K e, per x = g · x0 , sia Z F (x, y) = f (gk · y) dk . K VARIETÀ OMOGENEE 17 Allora F è K-invariante in ciascuna variabile e, per x, y in un intorno di x0 , F (x, y) = X Dr Ds f (x0 )Qr ψx0 (x) Qs ψx0 (y) . r,s Dimostrazione. La K-invarianza di F è evidente. Se U è un intorno di x0 su cui f è analitica, sia V intorno bi-K-invariante di e in G tale che V 2 x0 ⊂ U . Per g ∈ V , la funzione Z Fg (y) = F (g · x0 , y) = τ(gk)−1 f (y) dk K è analitica in V · x0 e K-invariante. Inoltre, Z Ds Fg (x0 ) = τ(gk)−1 (Ds f )(x0 ) dk = Ds f (g · x0 ) , K essendo Ds f K-invariante. Pertanto, posto x = g · x0 ∈ V · x0 , F (x, y) = Fg (y) = = ∞ X Ds f (x)Qs ψx0 (y) s=0 ∞ X Dr Ds f (x0 ) Qr ψx0 (x) Qs ψx0 (y) . r,s=0 Dimostrazione del Teorema 5.4. Data f ∈ C0 (G/K) K-invariante e analitica, la funzione F (x, y) è analitica su G/K ×G/K. Se D(G/K) è commutativa, dal Lemma 5.5 segue che F (x, y) = F (y, x) per x, y in un intorno di x0 , e dunque dappertutto, essenso G/K connesso. Siano ora u = Λ∗ ϕ, v = Λ∗ ψ ∈ L1 (K; G; K). Allora Z Z ∗ u ∗ v(g)Λ f (g) dg = u(h)v(h−1 g)Λ∗ f (g) dh G ZG×G Z = u(h)v(k −1 h−1 g)Λ∗ f (g) dk dh ZG×G ZK = u(h)v(g)Λ∗ f (hkg) dk dh ZG×G K = ϕ(y)ψ(x)F (y, x) dy dx . G/K×G/K Poiché questa espressione è simmetrica in ϕ e ψ, usando la densità delle funzioni analitiche in C0 (K; G; K) (Corollario 3.4), si conclude che ϕ ∗ ψ = ψ ∗ ϕ. 6. Immersioni dello spettro di Gelfand in Rn Combinando i Corollari 4.3 e 4.4 con il Teorema 5.2 otteniamo il seguente enunciato. 18 CAPITOLO VIII Lemma 6.1. Sia (G, K) una coppia di Gelfand e sia G/K connesso. Le funzioni sferiche su G/K sono univocamente determinate dai loro autovalori rispetto a un qualunque sistema finito di generatori di D(G/K). Indichiamo dunque con D = {D1 , . . . , Dr } un sistema finito di generatori di D(G/K). Se G/K è connesso, l’applicazione ρD : ϕ 7−→ λD1 (ϕ), . . . , λDr (ϕ) dallo spettro di Gelfand ∆K di L1 (K; G; K) in Cr è iniettiva. Indichiamo con ΣD l’immagine di ρD , con la topologia indotta da Cr . Teorema 6.215 . ΣD è chiuso in Cr . Se G/K è connesso, l’applicazione ρD stabilisce un omeomorfismo tra ∆K e ΣD . Dimostrazione. Il Corollario 5.3 mostra che ρD è continua. Per le altre parti dell’enunciato, dimostriamo preliminarmente che, se G/K è connesso, la topologia di Gelfand su ∆K soddisfa il primo assioma di numerabilità. Sia V un intorno aperto, connesso, relativamente compatto dell’idenS simmetrico, n tità in G. Allora G0 = n≥1 V è un sottogruppo aperto e connesso di G. Quindi il complementare di G0 in G è pure aperto, essendo l’unione delle altre classi laterali di G0 . Si conclude che G0 è la componente connessa dell’identità in G. Consideriamo allora l’azione di G0 su G/K. Dato x ∈ G/K, l’applicazione G0 3 g 7→ g · x è localmente suriettiva nell’intorno dell’identità, perché coincide localmente con l’azione di G. Quindi le orbite dell’azione di G0 su G/K sono aperte. Siccome G/K è connesso, l’azione deve esssere transitiva. Quindi [ G/K = G0 · x0 = V n · x0 . n≥1 Quindi, per ogni funzione sferica ϕ0 , gli insiemi Un = {ϕ : kϕ−ϕ0 kC(V n ·x0 ) < n1 } costituiscono un sistema fondamentale di intorni di ϕ0 nella topologia di Gelfand. Dimostriamo dunque che, se {ζn } è una successione di punti di ΣD convergente −1 a ζ ∈ Cr , allora le funzioni sferiche ϕn = ρD (ζn ) convergono a una funzione sferica ϕ tale che ρD (ϕ) = ζ. Cosı̀ facendo dimostriamo contemporaneamente che ρ−1 D è continua e che ΣD è chiuso. Sia DP l’operatore ellittico già usato più volte. Esiste un polinomio Q tale che Dp = Q(D1 , . . . , Dr ). Per ogni n e m, DPm (ϕn ) = Q(ζn )m ϕn . Siccome gli ζn sono limitati, segue dalla (5.7) che le norme C 1 delle ϕn sono equilimitate su ogni compatto. Sia allora {ζnk } una sottosuccessione di {ζn }. Per il Teorema di Ascoli-Arzelà, esiste una ulteriore sottosuccessione {ζnkj } tale che {ϕnkj } converge uniformemente sui compatti di G/K. Se ϕ è la funzione limite, Φ = Λ∗ ϕ soddisfa la (5.4), è limitata e Φ(e) = 1. Pertanto, ϕ è sferica e ρD (ϕ) = ζ. Per l’iniettività di ρD , la funzione limite non dipende dalla scelta della sottosuccessione {ζnk }, e dunque ϕ = limn ϕn uniformemente sui compatti. 15 Questo teorema è dovuto a F. Ferrari Ruffino, The topology of the spectrum for Gelfand pairs on Lie groups, Boll. UMI (2007), 569-580.