L`Oriente ci ha sfidati sulla preghiera L`Oriente ci

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L’Oriente ci ha sfidati sulla preghiera
a cura di Daniele Poretti
Fedele in preghiera nel centro buddhista-zen di Hwa Gye Sa (Seoul)
Molte domande e riflessioni sono nate dal nostro viaggio in Corea del Sud, dove i
Missionari della Consolata, che da anni si occupano di dialogo interreligioso, ci hanno
ospitato e guidato in un cammino affascinante di conoscenza delle altre religioni,
presentandoci anche le loro esperienze di dialogo con esse. Eravamo sei membri
dell'Associazione Impegnarsi Serve, spinti ad andare per capire che cosa è in concreto il
Dialogo Interreligioso e portare qui da noi l'esperienza ormai più che decennale dei
Missionari della Consolata in Corea.
Un aspetto che ci ha decisamente colpito è stato il partecipare a varie forme di
meditazione nelle diverse tradizioni buddhiste presenti nel Paese: è venuto spontaneo
farci delle domande confrontando tali forme di meditazione con le nostre forme di
preghiera, quelle che viviamo nel cattolicesimo occidentale di oggi. È nato così il
colloquio che segue, che è una sintesi delle molte domande che ci siamo posti durante il
viaggio e di alcune delle risposte che p. Diego, superiore dei missionari della Consolata
in Corea, ci ha dato.
Daniele
Non sono così sicuro che sia corretto confrontare la nostra preghiera con la
meditazione buddhista: non è forse una nostra associazione arbitraria, mentre si tratta
di cose profondamente diverse?
Laura
Aiutiamoci con la tecnologia: su internet cosa si dice? Leggo: “La preghiera è una
delle pratiche comuni a tutte le religioni. Essa consiste nel rivolgersi alla dimensione del
sacro con la parola o con il pensiero; gli scopi della preghiera possono essere molteplici:
invocare, chiedere un aiuto, lodare, ringraziare, santificare, o esprimere devozione o
abbandono. La preghiera è solitamente considerata come il momento in cui l'uomo
“parla” al sacro, mentre la fase inversa è la meditazione, durante la quale è il sacro che
“parla” all'uomo”. (da Wikipedia)
D.
Sarà, ma non sono del tutto convinto: noi cristiani ci rivolgiamo a Dio, nella
visione buddhista chi parla all'uomo?
P. Diego
È vero, Buddha non è un
profeta, né un messia, né un dio. Se
chiedi a un monaco buddhista non ti
dirà che sta pregando, nel senso con
cui noi intendiamo questa parola. C'è
un aneddoto che racconta di un
missionario cristiano che, vedendo un
monaco buddhista in preghiera, gli
chiese:
– Chi stai pregando?
- Nessuno, rispose il monaco.
Chiese ancora il missionario:
– Per che cosa stai pregando?
- Per nulla, rispose il monaco.
E poi aggiunse:
- Comunque, guarda che qui non c’è
nessuno che sta pregando.
Fedeli in preghiera davanti alla statua del
Buddha nel tempio di Ch'o-gye-sa (Seoul)
D.
In realtà, però, per il popolo buddista, per la “gente comune”, il Buddha è
diventato come una divinità: lo pregano e gli chiedono favori, grazie, interventi nella
propria vita; c'è stata una divinizzazione del Buddha storico. Nel tempio vediamo gente
che prega, chiede... Probabilmente il popolo ha iniziato a rivolgersi naturalmente al
Buddha con l'atteggiamento che si usa verso una divinità, forse per il senso di dio insito
nella natura umana, anche se il Buddhismo non parla espressamente di un dio.
p. Diego
Sì, i monaci lo accettano
come espressione religiosa dei laici che,
non essendo monaci, cercano in questo
modo
il
loro
cammino
verso
l’illuminazione. Quando i monaci si
radunano nel tempio non è per pregare;
si radunano per cantare i sutra, per
rendere omaggio a Buddha, ma sono
tutti
esercizi
che
aiutano
la
concentrazione, il cammino che si sta
facendo verso l’illuminazione. Per il
Buddhismo Zen coreano il mistero,
l'illuminazione, il nirvana non si
raggiunge con parole e ragionamenti,
imparando, studiando o pensando. A
differenza di altre tradizioni buddiste,
che studiano gli scritti di Buddha, per il
Buddhismo Zen coreano è importante
solo la meditazione.
Fedeli all'esterno del tempio Buddhista di di
Ch'o-gye-sa (Seoul), davanti alle
raffigurazioni del percorso
dell'illuminazione del Buddha.
D.
Anche da noi molte persone cercano la pace del cuore attraverso lo zen, lo yoga:
se raggiungono quello status di benessere sono convinti di stare pregando. Direi che la
differenza sottile ma sostanziale consiste nel fatto che la nostra preghiera è una
relazione personale con Qualcuno che non vedi, ma che sai che è lì e ti vuole bene.
Nella preghiera c'è il senso della presenza del sacro e il desiderio di entrare in contatto
con la divinità, non è solo introspezione ma ricerca di un incontro, oltre se stessi.
L.
Però questi monaci, che vivono nei templi, nei periodi di intenso esercizio zen
fanno tantissime ore di meditazione ogni giorno: 50 minuti di meditazione seduta e 10
minuti di cammino, poi di nuovo altri 50 minuti e 10 minuti, e così via. Abbiamo
sperimentato che non è per nulla facile! Sicuramente rappresenta un arricchimento
spirituale per loro.
Statue dei tre Buddha nella main hall di Hwa Gye Sa
p. Diego
È cammino come mezzo per “comprendere” la verità. La base dello Zen è:
non pensieri, non immagini, non idee; tu stai seduto e... provate a eliminare idee e
immagini dalla vostra mente... l'esercizio di concentrazione è più difficile di quello che
sembri. Si tratta di produrre un “vuoto” interiore che favorisce l’illuminazione; è
perdere coscienza che io sono io, rompere la coscienza dell'io, adesso e qui, realizzando
la propria “natura di Buddha”. In Corea i monaci usano molto una tecnica che si chiama
ko-an, ossia la ripetizione continua, al ritmo lento del respiro, di una parola o una breve
frase. Quella tradizionale è “chi sono io? non lo so”. Personalmente molte volte cerco di
entrare nella preghiera così, è una tecnica che mi aiuta ad entrare in relazione con
Gesù. Dico “Signore Gesù abbi pietà di me” seguendo la respirazione, per liberare il
cuore dai problemi immediati, dalle preoccupazioni. L'io si svuota. Dopo un po' diventa
più facile entrare in una relazione personale con Dio, per perdermi nel mare dell’amore
di Dio.
D.
Le parole non sempre sono necessarie, il dialogo è fatto anche di silenzi. Quando
ci si pone di fronte all'infinito è inevitabile provare inadeguatezza, stupore: il silenzio
che ne scaturisce è contemplazione del mistero ed è anch'esso una forma di dialogo.
L.
Questa è una forma “alta” di preghiera! A me sembra che più spesso per noi il
pregare sia la ricerca di una risposta in situazioni di bisogno, di affanno o di incertezza,
che sia la richiesta di aiuto da parte di Dio nelle situazioni più varie della nostra vita,
rispondendo ad una ricerca di conforto e di vicinanza in momenti di difficoltà.
Bell-pavilion a Hwa Gye Sa
D.
Certo anche questa è preghiera, anzi è forse la forma “primaria”. Credo che sia
comune all'“uomo” in quanto tale, nelle diverse esperienze religiose, anche le più
antiche. Penso ai riti di tantissime tradizioni che accompagnano i momenti di passaggio
della vita (nascita, pubertà, matrimonio, morte) o le situazioni di malattia, calamità,
guerre. Ripenso anche al kut, il rito della sciamana a cui abbiamo assistito: è un altro
modo di cercare il contatto e l'aiuto della divinità in situazioni di difficoltà.
L.
Forse è giusto considerare che la preghiera “pura”, quella che non trova la sua
origine nella richiesta di aiuto, sia una forma più evoluta. Però c'è un rischio, almeno dal
mio punto di vista: quello che diventi un monologo e non un dialogo, che sia meditazione
sufficiente a se stessa, senza più la necessità di un interlocutore cui rivolgersi.
p. Diego
Questo è il punto, è ciò che caratterizza il Buddhismo rispetto al
Cristianesimo. Noi sappiamo che da soli non possiamo liberarci dalla forza del peccato,
ma abbiamo bisogno della forza e della grazia di Dio che ci porta tramite Gesù alla
comunione profonda e definitiva con lui, che chiamiamo vita eterna. Nel Buddhismo sei
tu e tu solo che fai il cammino, con l'aiuto di un maestro che ti indica la direzione, ma il
cammino lo fai tu. Nel Cristianesimo, diversamente dal Buddhismo, nessuno si può
salvare da solo. È questo il punto che rende il Buddhismo particolarmente attrattivo per
l'uomo moderno: la grande tentazione di non dipendere da Dio ma essere autosufficiente
e fonte della propria vita e della propria gioia.
D.
Anche nel Buddhismo Won la meditazione è
essenziale per purificare il cuore e prendere
coscienza del cammino spirituale che ciascuno sta
facendo, per pensare alla “natura buddhica” di
ciascuno di noi, chiamare Buddha, cantarne il
nome, seguirne la strada. Ogni giorno ci sono due
momenti importanti di meditazione, uno al
mattino ed un altro alla sera. Ricordo la
meditazione serale a cui abbiamo partecipato:
tutti in cerchio, in posizione zen, ripetendo una
formula che suona come “amuamitabu” guidati da
un monaco e da una monaca che si alternavano
nello scandire il tempo e nel dare il ritmo alla
“preghiera”. La sensazione era più musicale, di
maggior coinvolgimento emotivo.
Monaca del Buddhismo Won
L.
È vero, ma sotto un altro aspetto il Buddhismo Won è ancora più “etereo” del
Buddhismo tradizionale, quasi asettico: qui non c'è più neanche la rappresentazione di
Buddha, non ci sono le statue, c'è solo il simbolo del cerchio perfetto. Non c'è più il
Buddha, sostituito dalla verità trovata dal Buddha e rappresentata dal cerchio, che
racchiude ogni verità di tutte le religioni, è l'unità e la perfezione del tutto. Nel simbolo
del cerchio perfetto sono idealmente comprese tutte le religioni e tutte le immagini di
dio, c'è il pensiero che tutte le religioni si incontrano in qualche modo in quel cerchio
finale che tutto racchiude.
D.
È un po' il pensiero che il monaco ci ha espresso
simbolicamente: se si fa passare un raggio di luce
attraverso un prisma, il raggio si divide in un
arcobaleno di colori diversi, ma la luce è sempre solo
una. Ogni religione ha il suo colore nell'arcobaleno,
ma nel fondo c'è un'unità dell'umanità e delle
religioni. Certo, è un’affermazione che, per noi
cristiani, andrebbe molto “affinata”.
Cerchio perfetto simbolo del Buddhismo Won a Iksan
L.
Un punto di vista ancora diverso lo abbiamo visto nel Cheong-do-kyo , la
“Religione della via del Cielo”: qui Dio non esiste in qualche luogo trascendente,
separato dall’uomo. Tutti, poveri e ricchi, servi e signori, sono fondamentalmente uguali
perché il Cielo è dentro ognuno di noi.
D.
Il Dio presente in ogni cuore è un concetto che implica un profondo rispetto per
tutti, poiché Dio è presente anche nel cuore degli altri. Quando i fedeli si salutano tra
loro dicono “rendo lode al Dio che è in te e ti saluto”.
L.
Mi viene in mente che anche per il Cristianesimo ogni uomo è fatto ad immagine
di Dio: questo per noi dovrebbe comportare non solo rispetto ma amore per gli altri,
immagine di Dio.
Campana per chiamare alla preghiera nel centro di Buddhismo Won a Iksan (simbolo presente
anche nel Buddhismo Zen)
p. Diego
Anche nel Cheong-do-kyo esiste la “preghiera” : prima di cominciare ogni
tipo di lavoro si fa un momento di silenzio per introdursi al lavoro; all'inizio di ogni
attività ci si rivolge al dio che abita nel proprio cuore per rendergli omaggio. È un far
sapere a dio nel proprio cuore che si sta cominciando un lavoro e poi ringraziare dio per
il lavoro svolto. La preghiera comincia con l'invocazione affinché la forza vitale di Dio
dentro di noi venga attivata e si prega continuamente per non dimenticare mai questa
forza universale e per imparare ad usarla per il bene del mondo.
L.
Anche prima di ogni atto ufficiale si recita l'invocazione e si porta acqua pura.
Ciascuno porta Dio nel suo cuore per cui la preghiera è “eccomi qua a tua disposizione”,
“per te faccio questo e quello”. La ripetizione continua della formula dà energia e
chiarezza su cosa fare, ma questo fluisce naturalmente, senza chiedere altro.
D.
Tutto l'opposto di quanto abbiamo visto nel rito della sciamana, il kut. In questo
rito lo scopo è proprio quello di attirare, propiziare la fortuna, gli spiriti buoni, e
allontanare il male. D'altra parte lo sciamanesimo, tuttora presente e vivo in Corea,
come abbiamo potuto vedere, rappresenta lo strato più profondo ed antico del cuore
religioso dei coreani.
La sciamana Sun-deok Choung davanti alle raffigurazioni degli spiriti nella sua casa a Seoul
p. Diego
Nella visione dello
sciamanesimo esistono numerosi dei,
tra cui esiste anche un dio assoluto, o
forse meglio un “dio-capo” degli altri
dei, e sono presenti innumerevoli
spiriti: tutto questo mondo di dei e
spiriti è in rapporto diretto con la vita
dell’uomo. Fondamentale è quindi il
ruolo dello sciamano, mediatore tra il
mondo degli umani e quello degli spiriti.
Lo sciamano deve intervenire in
particolare quando per qualche motivo
si rompe l’armonia tra mondo degli
spiriti e gli uomini.
D.
Il rito a cui abbiamo partecipato
era un kut funebre, quello fatto per gli
spiriti morti di morte violenta: si
trattava della vedova di un morto
suicida che voleva riappacificarsi con gli
spiriti, in particolare, credo, con lo
spirito del marito.
Un momento del kut:
le due sciamane che lo hanno celebrato e la rappresentazione simbolica del defunto
L.
Il kut ha un qualcosa di molto teatrale; con ripetuti cambi di abiti la sciamana
“impersona” ruoli diversi, dialogando ora con uno ora con un altro spirito. Il tutto con
l'accompagnamento di musiche rumorose ed incessanti: tamburi, cembali, trombette.
Vanno avanti per ore, dicono anche per giorni. Certo è lontanissimo dalla nostra
sensibilità.
D.
Sì, siamo per così dire all'estremo
opposto
rispetto
alla
silenziosa
introspezione buddhista: là era tutto
silenzio o lenta musica ritmica, immobilità
della
persona
nella
posizione
di
meditazione, ricerca dell'annullamento
interiore; qui è rumore, danza sfrenata,
colloqui e discussioni gridate con gli spiriti,
tutto estremamente esteriore, visibile,
rappresentato. È curioso constatare che le
due anime, per così dire, convivono nei
coreani di oggi, seppure in varia misura da
individuo a individuo.
La sciamana durante il kut
L.
Questo è vero in particolare per il rito del kut. D'altra parte la sciamana che
abbiamo incontrato ha una vita molto ascetica: ogni mattina e ogni sera fa il rito
dell'offerta dell'acqua pura (le abluzioni rituali) e prega gli spiriti. Raccontava che con
la preghiera si creano come dei fili invisibili tra lo spirito e la sciamano: questi fili sono
importantissimi ed è la preghiera che li mantiene: se la sciamano non pregasse quei fili
si indebolirebbero e lei potrebbe anche morire. È una persona particolarmente sensitiva
che è capace di raccogliere e lasciarsi prendere dall'energia del cosmo che prende
possesso di lei, le fa vedere in modo particolarmente chiaro, attraverso il “terzo
occhio”, e le fa avere delle visioni. Tramite questa energia la sciamano riesce a vedere e
controllare gli altri spiriti.
D.
La sciamana compie riti e porge offerte agli spiriti, ma è sicura che l'offerta che
più lo spirito gradisce è un cuore purificato, un cuore disponibile. E questa è la
preghiera che le fa più paura: affidarsi completamente allo spirito e lasciarsi guidare da
lui, essere strumento nelle sue mani.
L.
E il Confucianesimo?
Abbiamo constatato che il
Confucianesimo permea nel
profondo tutta la società
coreana, abbiamo visto il
tempio in cui, due volte
all’anno,
si
offre
solennemente un sacrificio
a Confucio. C'è la preghiera
nel Confucianesimo?
Tempio confuciano a Song-Kyoung-Gwang (Seoul)
p. Diego
In realtà non è chiaro neppure se il Confucianesimo sia in senso stretto una
religione oppure no, dipende molto dalle singole tradizioni; tendo a pensare che di base
sia una filosofia di struttura sociale e familiare che però presenta certi aspetti religiosi.
Confucio parla del Cielo e della sua Via : c'è un ordine del Cielo che chiede agli uomini
sulla terra di adeguarsi; è volontà del Cielo, ma non di un dio personale, è una specie di
naturale “ordine morale” del mondo. Tra gli aspetti religiosi c'è il sacrificio agli
antenati, il je-sa . È un rito che ogni famiglia compie nella data di morte degli antenati.
Penso che si possa definire una forma di preghiera: si crede che lo spirito degli antenati
influisca sulla vita e la storia dei vivi. Qui entra in gioco anche la paura degli spiriti, che
richiama lo sciamanesimo di base. Vedete come tutte le cose si intrecciano e si
uniscono.
L.
Effettivamente è un susseguirsi di legami, intrecci, rimandi…
Anche se c'è un po' il rischio di fare confusione, l'esperienza di contatto con le varie
religioni coreane lascia tanti spunti di riflessione, da elaborare ed approfondire.
È proprio vero quanto ci hanno detto: uno dei primissimi frutti del dialogo interreligioso
è un maggior apprezzamento della propria religione e un sentirsi sfidati a viverla meglio.
Per quanto riguarda la preghiera, il frutto immediato nato da questa esperienza è il
desiderio di recuperare una maggior ricchezza e profondità nella vita spirituale. Se è
vero
che
oggi,
in
occidente,
siamo
portati
a
trascurare
la
dimensione
meditativo/contemplativa e la ricerca interiore, è pur vero che dopo questa esperienza,
breve ma fortemente partecipata, il desiderio è quello di provare a recuperare questa
dimensione della nostra fede spesso dimenticata.
Statua nel giardino della casa dei missionari della Consolata di Okkil, centro per il dialogo
(per tutti rappresenta l'accoglienza, per noi è evidente il richiamo alla Madonna)
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