I 9 PROCESSI COGNITIVI: ASPETTI GENERALI 1 I processi cognitivi: aspetti generali Obiettivi generali del capitolo: 1. Descrivere le caratteristiche fondamentali dell’approccio cognitivo in psicologia. 2. Operare una distinzione tra l’approccio al funzionamento dei processi cognitivi «dall’alto in basso» e quello «dal basso in alto». 3. Distinguere tra elaborazione parallela e consecutiva dell’informazione. 4. Identificare alcuni dei metodi usati per spiegare i processi cognitivi. Che cosa sono i processi cognitivi? Gli esseri umani (così come altri animali) funzionano a vari livelli. Al livello più basso esistono dei sistemi all’interno del cervello che controllano il funzionamento fisiologico. Il controllo dei bisogni primari, come la necessità di cibo e acqua, di aria pura e di sonno è parte delle funzioni inferiori del cervello. I processi cognitivi, invece, sono connessi con quelle funzioni che hanno il loro sistema di controllo nei centri superiori della corteccia cerebrale. In un certo senso, è lo sviluppo di una più complessa funzione corticale che si sovrappone e completa le funzioni inferiori del cervello, a distinguere gli esseri umani dagli animali. La cognizione tende a riferirsi ai processi consci piuttosto che a quelli inconsci, nonostante ci sia una certa sovrapposizione, e alle risposte volontarie piuttosto 10 PROCESSI COGNITIVI che a quelle involontarie. Gli aspetti specifici della cognizione trattati in questo libro includono l’attenzione selettiva, la percezione, la memoria, il linguaggio e il pensiero. Riferimenti storici È importante conoscere le premesse storiche allo studio sulla cognizione. Hearnshaw (1987) sostiene che la psicologia cognitiva è tanto uno dei più antichi quanto uno dei più recenti rami della psicologia. Wundt e l’introspezione Nel 1879 William Wundt aprì il primo laboratorio di psicologia a Lipsia. Era sua convinzione che gli studenti di psicologia dovessero studiare l’esperienza conscia. Il metodo scelto fu l’introspezione. Osservatori appositamente addestrati prestavano grande attenzione alle loro sensazioni e le riportavano nel modo più obiettivo possibile quando venivano sottoposti a degli stimoli sperimentali. Il programma di Wundt continuò regolarmente per 50 anni. Grande importanza veniva attribuita all’accurato addestramento degli osservatori, al controllo delle loro osservazioni e alla replicazione (ovvero la ripetizione degli esperimenti). Anche Ebbinghaus, il cui lavoro verrà descritto più dettagliatamente nel Capitolo 4, contribuì ai primi studi sulla cognizione. Egli mise alla prova la sua capacità di memorizzare sillabe prive di senso in una grande varietà di circostanze. Usò sillabe senza senso nel tentativo di garantire un’uguale assenza di significato a tutto il materiale che doveva essere ricordato. Era fin da allora evidente che le differenze di significatività influenzavano la facilità (o la difficoltà) che i soggetti incontravano nella rievocazione. William James, tuttavia, preferì un approccio meno formale allo studio della mente umana, e della memoria in particolare. Era più interessato ai problemi della vita quotidiana che alla memorizzazione di sillabe prive di senso. Egli operò una distinzione tra processo mnemonico e struttura di memoria. La sua ipotesi che ci fossero due differenti tipi di memoria influenzò la costruzione dei modelli di gran parte della ricerca successiva. Comportamentismo I primi comportamentisti, guidati da Watson e Thorndike, affermarono che il metodo dell’introspezione non era scientifico. La sfera della consapevolezza era I PROCESSI COGNITIVI: ASPETTI GENERALI 11 troppo vaga per essere studiata scientificamente. L’attenzione si spostò dunque sul comportamento osservabile. Per esempio, relativamente alla problematica così centrale come quella dell’apprendimento, quest’ultimo apparve più come una questione di modificazioni in un comportamento osservabile che come qualcosa di «interno» che accadeva nella mente. Così Thorndike (1898) condusse degli esperimenti rinchiudendo dei gatti in puzzle-box (piccole gabbie costruite con assicelle di legno, di circa 50 cm2 e 30 cm di altezza). I gatti erano affamati e fuori dalla gabbia veniva collocato, in modo chiaramente visibile, un pezzo di pesce. Un meccanismo di corde, carrucole e chiavistelli permetteva di aprire la gabbia: i gatti grattavano e si agitavano finché per caso facevano scattare il meccanismo per aprire la porta. In media ci volevano circa cinque minuti, le prime volte, ma dopo dieci o venti tentativi i gatti riuscivano ad uscire in 5 secondi al massimo. Questo dimostrò sperimentalmente l’apprendimento per prove ed errori. Thorndike e altri comportamentisti, come Watson e più tardi Skinner, erano interessati principalmente all’associazione tra lo stimolo (la situazione in cui veniva a trovarsi il gatto) e la risposta (i tentativi, errati ed esatti, e la fuga dalla gabbia). Il principale contributo dei comportamentisti si può riassumere in: – Accurata definizione dei concetti. Essi furono molto precisi nel definire i concetti su cui lavoravano. L’apprendimento per prove ed errori fu differenziato molto bene dall’apprendimento intuitivo (di cui ne è un esempio il racconto di Köhler dello scimpanzè Sultan, descritto più avanti). – Controllo sperimentale delle variabili. Venne prestata molta attenzione al controllo sperimentale esatto delle variabili sotto esame. Anche negli esperimenti piuttosto rudimentali di Thorndike il controllo delle variabili presenti veniva eseguito con molta cura (i particolari del meccanismo di apertura, la fame degli animali e il cibo sistemato fuori dalla gabbia). Gli esperimenti successivi di Skinner con i ratti nelle gabbie furono controllati in maniera ancora più minuziosa. Vennero definiti dei programmi di rinforzamento che controllavano accuratamente il modo in cui i bocconi di cibo venivano somministrati agli animali come rinforzamento quando premevano una leva posta all’interno della gabbietta. Psicologia della Gestalt Gli psicologi della Gestalt posero l’accento sulla capacità innata degli esseri umani di organizzare un certo tipo di materiale in modo che esso assuma un buon significato. Una melodia, per esempio, è qualcosa di più che il semplice insieme 12 PROCESSI COGNITIVI delle sue note musicali. La sua Gestalt è il modello sonoro che essa crea nel suo insieme. Questi psicologi si dichiararono contrari all’analisi dell’esperienza nelle sue singole componenti perché ritenevano che la totalità, l’insieme fosse maggiore della somma delle sue parti. Sottolinearono anche l’importanza dell’intuizione (insight), il modo cioè in cui le varie parti di un problema, che appaiono a prima vista slegate tra loro, possono unirsi all’improvviso per formare uno sistema coerente e significativo. Si ritornerà su questo argomento nel Capitolo 3 a proposito della percezione e nel Capitolo 5 a proposito del pensiero. La nascita della psicologia cognitiva I fattori che contribuirono alla nascita della psicologia cognitiva tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sono facilmente individuabili: 1. L’approccio comportamentista, specialmente negli Stati Uniti, sembrava inadeguato a spiegare il comportamento umano complesso. La teoria comportamentista dell’apprendimento, un approccio basato su stimolo/risposta e rinforzamento, riusciva sempre meno a fornire spiegazioni soddisfacenti. 2. Chomsky, nei suoi studi sull’apprendimento del linguaggio, rifiutò le spiegazioni comportamentiste al riguardo. La struttura del linguaggio era troppo complessa per essere spiegata in termini di semplici connessioni stimolorisposta. Il suo assunto secondo il quale gli esseri umani hanno una capacità innata di padroneggiare il linguaggio si scontrava con la convinzione comportamentista della «tabula rasa» (il concetto introdotto per la prima volta da John Locke nel XVIII secolo, in base al quale la mente umana alla nascita era del tutto priva di capacità di azione e tutti i comportamenti umani venivano via via appresi dall’ambiente). 3. L’approccio costruttivista di Piaget allo sviluppo del bambino, che si concentrava sulla creazione di concetti, stava provocando una specie di rivoluzione nell’istruzione elementare degli anni Cinquanta e Sessanta. Secondo tale approccio, quelli che Piaget definiva schemi si formavano, nello sviluppo infantile, come risultato di quello che il bambino elaborava attivamente dall’esperienza. Questi schemi rappresentavano i mattoni fondamentali dell’intelligenza. Un più ampio resoconto delle ricerche di Piaget è contenuto in Petter (1971). 4. L’avvento dei calcolatori elettronici incoraggiò un approccio all’elaborazione delle informazioni nelle scienze della comunicazione e nell’informatica che interessò molti psicologi. 5. Purtroppo, anche le esigenze della tecnologia militare fornirono un ulteriore impulso allo sviluppo di quest’area. Gran parte del lavoro svolto sull’attenzione I PROCESSI COGNITIVI: ASPETTI GENERALI 13 e sulla vigilanza, descritto nel Capitolo 2, è il risultato delle esigenze operative sorte durante la Seconda Guerra Mondiale. Per esempio, le ricerche di Mackworth sulla durata dell’attenzione scaturirono dalla necessità che gli operatori radar e altri militari avevano di mantenersi vigili per lunghi periodi di tempo. Alcuni metodi usati dagli psicologi cognitivisti Costruzione di modelli È prassi comune per gli psicologi cognitivisti tentare di costruire un modello di come il cervello potrebbe operare in una particolare serie di circostanze. Questo modello è una ipotesi complessa, suscettibile di verifica per mezzo di esperimenti. Ne è un esempio il modello di confronto delle forme per spiegare il riconoscimento di strutture. Questo modello ipotizza che quando vediamo un viso, per poterlo riconoscere dobbiamo mentalmente confrontarlo con le «forme» di tutti i visi immagazzinate nella nostra memoria finché non ci imbattiamo in una che combacia perfettamente. Il modello descrive teoricamente un processo che potrebbe aver luogo nel cervello e che può essere verificato sperimentalmente. In questo caso il modello non si rivelò molto soddisfacente, come vedremo nel Capitolo 3. Tra i vantaggi di questo approccio, la costruzione di modelli permise ai ricercatori di riuscire ad avvicinarsi in maniera significativa ai processi cerebrali. Invece di affermare, come avevano fatto i comportamentisti, che tali processi interni erano inaccessibili all’investigazione, gli psicologi cognitivisti cercarono di formulare delle ipotesi riguardo a quello che poteva accadere nel cervello, ipotesi che poi potevano essere verificate (o giudicate inverosimili) con ricerche empiriche. Tra gli svantaggi, vi era il grande ruolo giocato dalla creatività e dalla fantasia dei ricercatori. Le ipotesi da verificare erano il risultato delle speculazioni su quello che poteva succedere nella mente umana. Se queste erano sbagliate, molto tempo e molte risorse potevano andare perdute. Tuttavia, se una congettura era esatta si poteva giungere a importanti intuizioni. L’analogia dell’«elaborazione umana delle informazioni» Questo approccio allo studio dei processi cognitivi è diventato e sta diventando sempre più diffuso tra gli psicologi. Due componenti sono importanti: 1. I processi mentali sono visti come un flusso di informazioni che attraversa vari stadi e fasi e può essere rappresentato su un diagramma di flusso. Questo 14 PROCESSI COGNITIVI comprende sia il flusso di informazioni all’interno della mente di una persona che il flusso di informazioni tra l’individuo e l’ambiente. 2. I processi mentali possono essere meglio compresi se si confrontano con il funzionamento di un calcolatore che elabora le informazioni e le sue tre componenti: dati, memoria e programma. L’approccio dell’elaborazione delle informazioni «può essere visto come un tentativo di comprendere il software di un calcolatore molto complesso» (Evans, 1983). Un esempio potrà chiarire questa affermazione. Supponiamo di voler imbucare una lettera. Potrebbero esserci parecchie fasi differenti in questa semplice operazione: 1. Verificare che la lettera sia pronta (l’indirizzo e il francobollo siano corretti). 2. Trovare la strada per una cassetta delle lettere. 3. Accertarsi che la cassetta delle lettere sia pronta a ricevere la lettera (ad esempio, che ci sia presto una raccolta). 4. Imbucare la lettera. Durante ognuna di queste fasi ci sarà una raccolta di dati dall’ambiente, un recupero di ulteriori dati nella memoria e un programma (una serie di istruzioni). Per esempio, relativamente alla fase 1, la vista fornisce informazioni pertinenti all’indirizzo e al francobollo, e magari ulteriori dati se viene consultata l’agenda degli indirizzi; la memoria fornisce informazioni riguardanti la correttezza dell’indirizzo e del francobollo da usare, mentre il programma suggerisce una serie di fasi per verificare se la lettera è pronta per essere spedita. Le altre fasi possono essere suddivise in modo analogo. I vantaggi e gli svantaggi di questo approccio, che si fonda sull’elaborazione delle informazioni, possono essere così riassunti: 1. Ogni fase può essere manipolata sperimentalmente e si possono fare osservazioni dirette, specialmente sui tempi impiegati per ogni fase. 2. Uno svantaggio può essere quello di guardare ogni piccolo pezzo del processo in se stesso, senza fare riferimento al resto del processo né alla persona che è protagonista. Anche l’analogia con il calcolatore presenta notevoli limiti che discuteremo più a fondo nel Capitolo 5 di questo libro. La validità ecologica dei metodi di studio I risultati ottenuti nelle ricerche sperimentali devono dimostrarsi validi anche nel «mondo reale». Molte ricerche sulla memoria, per esempio, sono state I PROCESSI COGNITIVI: ASPETTI GENERALI 15 condotte in laboratorio, dove i partecipanti dovevano memorizzare parole non collegate tra loro o sillabe prive di senso. Questo non è un tipo di compito della memoria che ci troviamo ad affrontare nella vita di tutti i giorni. Al contrario, Bartlett nella sua ricerca descritta nel Capitolo 4 si concentrò su materiale dotato di significato e su situazioni naturali. Una ricerca che voglia avere validità ecologica cerca di riprodurre il più accuratamente possibile quello che accade fuori dal laboratorio. Questo si riferisce sia al materiale usato (il racconto di Bartlett da ricordare è molto più vicino alla realtà delle sillabe senza senso di Ebbinghaus), che alle persone coinvolte e al contesto. Le ricerche sulle dichiarazioni dei testimoni oculari, sulla disattenzione o sull’abilità di insegnanti a ricordare i nomi e i visi degli studenti delle loro classi sono probabilmente più valide, dal punto di vista ecologico, di ricerche condotte in laboratorio riguardanti l’abilità di ricordare parole isolate. Tuttavia, non è così facile raggiungere un buon controllo delle variabili in questo tipo di sperimentazioni. Forse la direzione futura è quella di una combinazione di ricerche ecologicamente valide con ricerche condotte in laboratorio. In questo libro abbiamo cercato di esaminare entrambi i tipi di ricerche. La scienza cognitiva Vale la pena di accennare brevemente alla scienza cognitiva, una disciplina oggi in pieno sviluppo che si rifà all’elaborazione cognitiva delle informazioni. Attualmente, Brown (1990) ha suggerito che essa sembra prendere una delle tre forme seguenti: 1. Disciplina completamente nuova con un suo proprio e originale campo d’indagine (sistemi intelligenti, sia naturali che artificiali), metodi propri e una sua terminologia. Essa sostiene che gli stati mentali possono essere riprodotti e studiati usando i calcolatori. 2. Disciplina che fornisce soltanto una serie completa di strumenti nuovi per studiare da una prospettiva diversa i processi cognitivi. Questi comprendono: a) Lo studio dell’intelligenza artificiale, una branca della scienza informatica che cerca di programmare calcolatori in grado di svolgere quel tipo di funzioni tradizionalmente attribuite solo agli esseri umani (il linguaggio, per esempio, o il problem solving). b) La neuroscienza, che si riferisce ai tentativi di trovare spiegazioni neurologiche ai processi mentali. Possono valere come esempi gli esperimenti di Hubel e Wiesel (1962) che usarono dei microelettrodi per cogliere gli impulsi 16 PROCESSI COGNITIVI dall’area visiva corticale di un gatto e scoprirono che particolari cellule dell’area visiva corticale rispondevano a linee con orientamenti specifici (si veda il Capitolo 3 per maggiori dettagli), o lo studio dei potenziali corticali evocati, segnali elettrici generati da neuroni proprio sotto un elettrodo collocato sul cuoio capelluto. Questo argomento verrà approfondito più avanti, nel Capitolo 2. 3. Eco-cognitivismo, un punto di vista che rifiuta l’idea che si possano studiare gli stati mentali indipendentemente dall’ambiente in cui avvengono: ovvero, le loro cause ed effetti nel mondo reale. È opportuno citare in questo capitolo introduttivo alcuni concetti che ritroveremo più avanti nel libro: in particolare, le distinzioni operate tra gli approcci dall’alto in basso e dal basso in alto e tra l’elaborazione consecutiva e parallela delle informazioni. Elaborazione dall’alto in basso o dal basso in alto L’elaborazione cognitiva dall’alto in basso inizia dal contesto all’interno del quale si verifica l’elaborazione, ovvero i bisogni dell’individuo e l’ambiente, e solo in seguito prende in considerazione le caratteristiche specifiche, caratteristiche dello stimolo che viene elaborato. Per esempio, un approccio dall’alto in basso di come i bambini imparano a leggere sostiene che essi prima cercano di anticipare dal contesto e da altri indizi generali quello che il testo probabilmente significa. Le ipotesi che essi formulano vengono poi valutate contro le prove disponibili, che comprendono tanto il contesto quanto le parole e infine le lettere che compongono le parole sulla pagina. L’elaborazione dal basso in alto inizia invece dagli stimoli e solo dopo che questi sono stati elaborati entrano in gioco altri fattori. Per prendere lo stesso esempio della lettura, in un modello dal basso in alto un bambino inizia analizzando le lettere e i suoni che esse rappresentano, poi le parole, il loro suono e il loro significato e solamente alla fine utilizza il contesto e il senso dell’insieme. Elaborazione consecutiva o parallela Nell’elaborazione consecutiva si assume che ogni fase della sequenza di elaborazione deve essere stata terminata prima che possa iniziare quella successiva. L’elaborazione parallela, per contro, implica che più di una fase di elabora- I PROCESSI COGNITIVI: ASPETTI GENERALI 17 zione possa avvenire in uno stesso momento. Per esempio, Allport e i suoi colleghi sostenevano che si può prestare attenzione a più di una sola cosa in un momento, purché venissero coinvolti sensi differenti (Allport et al., 1972). Questo implicherebbe un’elaborazione parallela. Broadbent, al contrario, sosteneva l’esistenza di un meccanismo di elaborazione a canale unico in cui un solo elemento alla volta poteva essere seguito. Questa è l’elaborazione consecutiva. Entrambi i modelli di Allport e di Broadbent saranno discussi nel Capitolo 2.