“Amnesty International: Diritti Umani per tutte le Donne”.

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IL TEMA
“Amnesty International: Diritti Umani per tutte le Donne”.
Sia in tempo di pace che in tempo di guerra, le donne subiscono atrocità semplicemente per il fatto di essere
donne. A milioni vengono picchiate, aggredite, stuprate, mutilate, assassinate, in qualche modo private del
diritto all’esistenza stessa. La violenza sulle donne è uno scandalo per i diritti umani. In molte società questo
problema si scontra con la mancanza di interesse, il silenzio e l’apatia dei governi.
Amnesty International chiede ai governi, alle organizzazioni e ai privati cittadini di impegnarsi pubblicamente
per rendere i diritti umani una realtà per tutte le donne.
Le opere artistiche in gara dovranno approfondire il tema della violenza sulle donne nel suo stretto legame
con la violazione dei principi sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
La violenza domestica
La violenza contro le donne all’interno delle relazioni intime, comunemente detta violenza domestica, può
essere definita come ogni atto o condotta da parte di un individuo che una donna reputi essere o essere
stato a lei legato da relazione intima che comporti morte, danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza
della donna. Ciò indipendentemente dal sesso di tale individuo e dall’esistenza o meno di un legame
coniugale.
La violenza contro le donne nelle relazioni intime non è confinata ad un particolare sistema politico o
economico, ma è comune a ogni società e cultura.
Amnesty International diffonde a livello mondiale il messaggio secondo cui la violenza contro le donne nelle
relazioni intime costituisce una grave violazione dei diritti umani rispetto alla quale gli Stati hanno dei precisi
obblighi di intervento.
Le mutilazioni genitali femminili
Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intende un insieme di pratiche rituali tradizionali presenti in molte
comunità africane e asiatiche, connesse a riti d’iniziazione femminile e d’integrazione sociale, attraverso cui
si effettua l’asportazione totale o parziale dei genitali femminili.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno sarebbero circa due milioni le ragazze e
bambine costrette a subirne le pesanti conseguenze, mentre si stima a 135 milioni il numero totale di donne
e bambine mutilate nel mondo.
Tali pratiche, difese dalla comunità d’origine in nome della tradizione e spesso, per paura dello stigma
sociale e dell’emarginazione, dalle stesse donne che le subiscono, rappresentano un gravissimo pericolo per
l’integrità fisica e psicologica della donna: sono causa di emorragie, infezioni, traumi e, talvolta, di morte,
poiché aumentano la probabilità di complicazioni durante il parto.
Oggi le mutilazioni genitali femminili sono osteggiate da gruppi e associazioni di attivisti in tutto il mondo in
quanto considerate una grave forma di violenza, oltre che un brutale strumento di controllo della sessualità
femminile, che permette il perpetuarsi della condizione discriminatoria che molte donne vivono all’interno
delle loro comunità.
Le MGF rappresentano un’esplicita violazione dei diritti umani delle donne, così come sono stati formulati nei
vari trattati internazionali, cui gli Stati responsabili sono chiamati ad adeguare le loro legislazioni interne.
Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e
Senegal) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si
sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne
specializzate nel praticare l’operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di
reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle
donne è normalmente condannata alla povertà e all’esclusione.
Scuole sicure: un diritto per tutte le bambine
La chiave per illuminare il futuro delle donne è la possibilità di scelta: le donne devono essere libere di
scegliere la strada giusta per loro stesse, un percorso che sia libero dalla violenza e che permetta loro di
avanzare e realizzare le proprie potenzialità. L’istruzione è un passo cruciale in questo percorso. È un diritto
umano e quindi un diritto di ogni bambina.
Benché siano trascorsi ormai quasi 60 anni da quando i diritti umani furono consacrati nella Dichiarazione
universale del 1948, a tutt’oggi in molte parti del mondo le bambine continuano a trovarsi di fronte a una
serie di barriere per l’accesso all’istruzione.
Vengono aggredite mentre si recano a scuola, picchiate all’interno degli ambienti scolastici e molestate dai
compagni di classe; molte sono minacciate di aggressioni sessuali da parte di altri studenti, costrette a fare
sesso dagli insegnanti e in alcuni casi stuprate nelle stanze del personale scolastico. Nei paesi travolti da
conflitti, rischiano di subire aggressioni da parte dei gruppi armati; gli abusi sessuali sono un grave problema
per le ragazze che vivono nei campi profughi e per sfollati.
Alcune bambine sono particolarmente a rischio di subire violenza a causa della loro identità: l’orientamento
sessuale, lo status di immigrate, così come l’appartenenza a una determinata casta o gruppo etnico,
possono incrementare i rischi di abusi e violenze. Viene loro negata l’istruzione, se le loro famiglie non
hanno abbastanza soldi per pagare le tasse scolastiche imposte da molti governi.
La violenza fa sì che molte bambine siano escluse dalla scuola o che non possano partecipare a pieno alla
vita scolastica. Ciò non provoca solo paura, sofferenza e scarsa autostima, ma favorisce la contrazione di
infezioni a trasmissione sessuale, gravidanze indesiderate e depressione. Il problema è aggravato dal fatto
che le ragazze spesso scelgono di non denunciare gli abusi, che continuano a essere considerati un tabù in
molte società, anche per paura di ritorsioni. Così, gli autori della violenza sessuale restano impuniti.
La violenza sulle donne nei conflitti armati
Nella maggior parte delle guerre odierne, il numero delle vittime civili supera di gran lunga quello dei
combattenti armati. Tra le vittime civili, le donne e le bambine sono oggetto di forme specifiche di abuso che,
oltre a violazioni di diritti umani, uccisioni e torture, consistono in violenza sessuale e stupro.
La recentissima Risoluzione 1820 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata all’unanimità nel
giugno scorso, ha condannato lo stupro in quanto vera e propria arma di guerra, affermando che fermare la
violenza sessuale nelle zone di conflitto è un mezzo importante per mantenere la pace e la sicurezza a
livello internazionale.
Si stima che in Bosnia 20.000 donne siano state violentate e in Ruanda, durante in genocidio del 1994,
furono commessi tra i 250.000 e i 500.00 stupri. Lo stesso clima di militarizzazione rafforza gli stereotipi
maschili e incoraggia le aggressioni contro le donne e le ragazze, lasciando spesso impuniti i colpevoli. Se
da un lato le caratteristiche tradizionalmente associate alle donne vengono svalutate, dall’altro le stesse
bambine e ragazze vengono trattate alla stregua dei compagni quando devono essere reclutate nelle forze
militari e paramilitari. Si calcola infatti che circa il 30-40% dei bambini soldato siano bambine utilizzate come
schiave sessuali dei propri comandanti oltre che come combattenti.
La violenza sessuale è spesso associata a forme di stigmatizzazione, isolamento sociale e discriminazione
che, oltre a giustificare l’impunità degli aggressori, impedisce alle bambine soldato di accedere ai programmi
di smobilitazione e reintegrazione post-conflitto.
Come stabilito dalla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza ONU su donne, pace e sicurezza, è
necessario che ogni stato garantisca maggiore protezione e un’equa partecipazione attiva ai processi
decisionali per donne e bambine, oltre alla certezza della pena per i crimini commessi contro di loro. Le
donne costituiscono, infatti, la spina dorsale di ogni comunità e il loro coinvolgimento è indispensabile per la
ricostruzione di società dilaniate dalla guerra. Per assicurare una pace duratura, deve essere permesso alle
donne di prendere pienamente parte a tutte le fasi del processo di pace.
Fermiamo la tratta di esseri umani!
Secondo il Protocollo addizionale di Palermo alla Convenzione ONU contro la tratta di esseri umani del
dicembre 2000, per tratta si intende: il reclutamento, il trasferimento e l’accoglienza delle persone –
mediante minaccia o impiego di forza e altre forme di coercizione, rapimento, inganno o abuso di potere –
per finalità di sfruttamento delle stesse.
Lo sfruttamento comprende la prostituzione, le diverse modalità di abuso sessuale, il lavoro forzato, la
schiavitù, l’asservimento e il prelievo di organi.
Secondo Amnesty tutte queste forme di sfruttamento, e in particolare la prostituzione forzata, costituiscono
una grave violazione dei diritti umani, non solo per il comportamento in sé, ma anche per le ulteriori
violazioni che la tratta comporta, quali tortura, maltrattamenti, privazione della libertà, diniego di accesso alla
giustizia o di tutela della salute.
Porre la questione della tratta nella prospettiva dei diritti umani – secondo Amnesty International – consente
inoltre di sostenere le donne vittime di tale forma di violenza anche nel momento in cui, una volta che siano
riuscite a sottrarsi alla tratta, si devono confrontare con gli attori statali e con il sistema di giustizia penale.
L’articolo 6 della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle
donne e gli articoli 34 e 35 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, infatti, obbligano gli Stati non solo
a proteggere le donne e i bambini dalla tratta, ma anche a prevenire e perseguire questi abusi, nonché a
garantire una effettiva riparazione delle violazioni subite.
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