Presentazione a: Equilibrio riflessivo, neocostituzionalismo e

Presentazione a: Equilibrio riflessivo,
neocostituzionalismo e positivismo giuridico
di Giorgio Maniaci e Susanna Pozzolo
La parte monografica del terzo numero di Diritto e Questioni Pubbliche è dedicata alla pubblicazione degli “Atti del I Seminario dei giovani ricercatori di Filosofia del diritto”, svoltosi presso l’Università di Palermo il 12/4/20021.
Nell’ambito del seminario sono stati presentati e discussi i lavori di due giovani
studiosi di filosofia e teoria del diritto: il volume di Susanna Pozzolo dal titolo
Neocostituzionalismo e positivismo giuridico2 e la tesi di dottorato di Giorgio
Maniaci, dal titolo Il ruolo dell’equilibrio riflessivo nel ragionamento giudiziale3. In tal senso desideriamo ringraziare l’Università di Palermo, il Dipartimento
di studi su Diritto, Politica e Società “Gaetano Mosca”, senza il cui sostegno il
seminario non avrebbe potuto aver luogo, nonché gli organizzatori (Giorgio Maniaci, Giorgio Pino e Aldo Schiavello), i relatori e tutti i partecipanti al seminario per l’insostituibile apporto alla discussione. Due, dunque, e parzialmente indipendenti l’uno dall’altro, i temi oggetto di discussione in questo fascicolo. Da
un lato, la fecondità e l’adeguatezza delle recenti dottrine ‘neocostituzionalistiche’, nonché il rapporto esistente con le differenti concezioni del giuspositivismo,
dall’altro l’approfondimento della nozione di ‘equilibrio riflessivo’ e del ruolo che
esso può o deve svolgere nel ragionamento giudiziale.
Con riguardo alla prima tematica il volume Neocostituzionalismo e positivismo giuridico offre una ricostruzione e una lettura di un certo approccio al diritto (in senso ampio) che negli ultimi anni sembra diffondersi senza ostacoli tra i
giuristi, soprattutto continentali. In particolare, la tesi di Pozzolo è che il neocostituzionalismo può essere, in breve, ricostruito come un approccio antigiuspositivista, che aspira ad abbandonare una metodologia interpretativa, ma anche, più in generale, una metodologia di accostamento al diritto, ritenuta “legalista” e rigida, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione costituzionale. E
tuttavia, sostiene Pozzolo, una volta che il neocostituzionalismo sia sottoposto a
prova, si dimostra alquanto debole per gli scopi che si propone e non rappresenta
un sostituto del metodo giuspositivista.
Tra i contributi qui raccolti, il lavoro di Mario Perini adotta una prospettiva
fortemente critica verso il libro discusso nel seminario e abbraccia l’approccio neocostituzionalista, ripercorrendo parte dell’ampia letteratura che sotto tale nomi1
Al I seminario ha già fatto seguito il II Seminario dei giovani ricercatori di Filosofia del diritto,
tenutosi il 16 maggio 2003 a Milano, presso l’Istituto di Filosofia e sociologia del diritto, i cui Atti
sono di prossima pubblicazione in “Diritto e Questioni Pubbliche”.
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Giappichelli, Torino, 2001.
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La dissertazione di dottorato che è stata oggetto di discussione nel seminario e che si pubblica
(parzialmente) in questo numero è la medesima da me presentata a conclusione del corso di dottorato in “Filosofia analitica e teoria generale del diritto”, Università Statale di Milano, XIV ciclo,
salvo alcune modifiche, poche delle quali rilevanti. La modifica più importante riguarda il titolo
originario che era “Il ruolo dell’equilibrio riflessivo nel ragionamento giuridico”.
Presentazione a: Equilibrio riflessivo,
neocostituzionalismo e positivismo giuridico
nativo può essere raccolta. Il contributo di Perini è diretto a sostenere la tesi neocostituzionalista del “mutamento genetico” del diritto dello stato costituzionale rispetto a quello dello stato di diritto; esso, quindi, vede come una conseguenza di
questa trasformazione anche la modifica del metodo usato dalla scienza del diritto
per comprenderlo, indagarlo, interpretarlo. In verità, già Norberto Bobbio, scrivendo a Nicola Matteucci (cfr. C. Margiotta, Bobbio e Matteucci su costituzionalismo e positivismo giuridico. Con una lettera di Norberto Bobbio a Nicola Matteucci, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, 2, 2000, pp. 387-425),
aveva avuto modo di sottolineare come gran parte di questo tipo di critiche non si
dimostra in grado di scindere i vari tipi di giuspositivismo e finisce per trasformarsi
in un discorso di politica del diritto perdendo descrittività. Il contributo di Perini
mostra ancora una volta come diverga l’approccio storico-costituzionalistico da
quello teorico generale e, altresì, come si caratterizzino diversamente gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni sollevate nell’ambito di tali discorsi. Esso, comunque, offre una visione panoramica sui principali temi di questo dibattito; il tutto
certamente dalla prospettiva di un neocostituzionalista.
Il saggio di Aldo Schiavello è anch’esso critico nei confronti del libro, ma per
tutt’altre ragioni. L’attenzione dell’autore si è focalizzata sul ‘positivismo giuridico’, l’altro termine fondamentale del libro discusso. In particolare, Schiavello ritrova l’uso di un positivismo, si potrebbe dire, troppo semplificato rispetto al gran
numero di versioni oggi disponibili sul mercato letterario, una nozione che, quindi, tende a celare o a non mostrare chiaramente tutta una serie di difficoltà che i
suoi stessi difensori hanno posto in evidenza. Sollecita particolare riflessione
quanto segnalato in relazione alla “scientificità” del metodo giuspositivista, anche
perché questo è uno dei punti cardini del confronto fra neocostituzionalismo e positivismo giuridico.
Il saggio di Susanna Pozzolo si sofferma su alcuni punti, i più interessanti, che
sono stati oggetto di critiche nel corso del dibattito palermitano. In particolare
l’autrice cerca di segnalare la diffusione del termine ‘neocostituzionalismo’ e la sua
ambiguità, riaffermando alcune critiche, a suo parere, tuttora centrali e decisive. Infine, Pozzolo considera, nella sua replica, alcuni aspetti delle osservazioni fatte da
Schiavello, tentando di difendere il modello giuspositivistico adottato nel volume.
L’insieme dei tre contributi offre, in definitiva, una panoramica preziosa, per
quanto certamente parziale4, sui problemi emersi in relazione ai rapporti fra neocostituzionalismo e positivismo giuridico, sia nel seminario di Palermo sia, più
genericamente, nelle pagine della letteratura in argomento.
La seconda tematica oggetto di discussione in questo fascicolo concerne il ruolo dell’equilibrio riflessivo nel ragionamento giudiziale, tema che rappresenta il
nucleo centrale della dissertazione di dottorato di Giorgio Maniaci. In tal senso bisogna premettere che, al fine di rendere più agevole la comprensione del dibattito
medesimo, la direzione editoriale, con il consenso dell’autore, ha deciso di pubblicare, in calce alla parte monografica, ampi stralci della tesi di dottorato, in par4
Un aspetto che non è stato discusso, ma che poteva trovare un suo spazio legittimo, è quello relativo ai diritti fondamentali, alla loro natura e giustificazione. Segnalando la diversa prospettiva assunta da T. Mazzarese rispetto al lavoro di Pozzolo, per quest’ultimo tema si rinvia al suo Neocostituzionalismo e tutela (sovra)nazionale dei diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2002.
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ticolare i capitoli e i paragrafi indispensabili5 ai fini della comprensione dei saggi
critici di Velluzzi e di Itzcovich, nonché delle repliche dell’autore ai saggi medesimi. Fermo restando che la tesi di dottorato è un work in progress, che diventerà,
ma ancora non è, una monografia6.
Ciò premesso, va detto che da tempo, nel panorama della letteratura filosofica,
si è diffuso l’uso del concetto di ‘equilibrio riflessivo’. Introdotto nel dibattito epistemologico in tema di giustificazione di giudizi e asserti di carattere teorico da
Nelson Goodman7 e nel campo della giustificazione di principi e valori da John
Rawls8, la nozione – vaga e spesso sfuggente – di ‘equilibrio riflessivo’ è stata sovente utilizzata al fine di dare linfa vitale alle correnti ‘antifondazionaliste’ e ‘antirealiste’ in tema di giustificazione pratica e teorica. In tal senso, vista l’ampia discussione e controversia cui, nell’ambito dell’etica e della metaetica, l’equilibrio
riflessivo ha dato origine come criterio di giustificazione di norme e giudizi di valore, è possibile (e forse verosimile), oltre che auspicabile, che la nozione di equilibrio riflessivo abbia una rapida diffusione nell’ambito della filosofia e della teoria del diritto, se non anche nella dottrina civilistica e costituzionalistica, sebbene
nell’ambito del ragionamento giudiziale (e giuridico) essa sia, ovvero sia stata fino a poco tempo fa, raramente utilizzata o discussa.
Da ciò si comprende, dunque, quanto sia importante non solo valutare come
questo modello di giustificazione possa essere applicato all’argomentazione giudiziale, ma anche scongiurare il pericolo che il concetto di equilibrio riflessivo, al
pari di altri concetti – fra gli altri, quello di circolo ermeneutico – possa essere utilizzato in futuro da parte dei giuristi in assenza di una rigorosa definizione che lo
sottragga all’eccessiva indeterminatezza che lo contraddistingue, cioè al fine di
evocare mete paradisiache e imprecisate – tipo che i principi costituzionali compongano un sistema in equilibrio riflessivo, dove ogni elemento si armonizza con
gli altri – piuttosto che per discutere problemi e proporre soluzioni.
Per tali ragioni nella tesi di dottorato che qui parzialmente si pubblica, Maniaci
cerca di realizzare (almeno) due finalità principali. La prima è quella di offrire una
(ri)definizione di un concetto, quello di ‘equilibrio riflessivo’, piuttosto sfuggente e
difficile, inteso come criterio di giustificazione di asserzioni di carattere normativo
ovvero di preferenze di carattere valutativo. La seconda finalità è stata quella di rispondere ad una domanda: se l’equilibrio riflessivo possa rappresentare un modello
adeguato, sia descrittivo che prescrittivo, del ragionamento giudiziale, in particolare
della giustificazione esterna della premessa maggiore del sillogismo giudiziale.
In tal senso, alla presentazione e all’approfondimento di alcune delle tesi, le
più importanti, sostenute nella dissertazione di dottorato è dedicato il saggio introduttivo di Maniaci dal titolo Equilibrio riflessivo e discorso razionale
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Si pubblicano in questo fascicolo l’introduzione, i § 1 e 1.1 del cap. I e il § 4. del Cap. II della
Prima Parte; il Cap. I, i § 1., 2., 2.1, 2.2, 2.3, 2.4 del Cap. II, il § 2. e parte del § 3. del Cap. IV della Seconda Parte; e infine le conclusioni, la bibliografia e l’indice.
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Si tratta di G. Maniaci, Equilibrio riflessivo e discorso razionale nell’argomentazione giudiziale, di prossima pubblicazione nel 2004.
7
Vedi N. Goodman, Fact, Fiction and Forecast, Bobbs-Merrill, Indianapolis, 1965, pagg. 66-67.
8
J. Rawls, A Theory of Justice, Harvard University Press, 1971, § 4 e 9, nonché l’introduzione e
il § 1. e 1.1 del Cap. I della 1° Parte della tesi di dottorato citata.
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nell’argomentazione giudiziale. Con esso l’autore mira, in sintesi, ad offrire una
possibile chiave di lettura dell’iter argomentativo condotto nella tesi. In particolare Maniaci rileva che argomentare in merito alla nozione di equilibrio riflessivo e
al suo ruolo nel ragionamento giudiziale lo ha portato ad occuparsi di una terza
questione, in qualche modo pregiudiziale alle precedenti: cioè comprendere quale
sia o debba essere il ruolo della razionalità nell’argomentazione giudiziale. Questione il cui approfondimento, nonostante non facesse parte delle finalità iniziali o
principali della tesi, è divenuto parte integrante della medesima dissertazione.
Tre, dunque, le conclusioni dell’iter argomentativo proposto nel saggio. La
prima è che le due questioni relative alla (ri)definizione della nozione di equilibrio
riflessivo e all’individuazione del ruolo che esso può o deve svolgere nel ragionamento giudiziale non possono essere adeguatamente risolte senza affrontare e
approfondire la terza questione – cioè se la giustificazione della premessa maggiore del sillogismo giudiziale debba essere ‘razionalmente giustificata’. In secondo
luogo, dopo aver chiarito le ragioni che stanno alla base della sua ridefinizione del
concetto di ‘equilibrio riflessivo’ l’autore spiega quale sia il modello di giustificazione giudiziale ispirato al raggiungimento di un equilibrio riflessivo (ampliato) e
per quali ragioni esso risulta inadeguato sia come modello descrittivo che come
modello normativo delle pratiche argomentative esistenti presso la giurisprudenza,
anche delle Corti Supreme, degli Stati Costituzionali occidentali.
In terzo luogo, Maniaci sottolinea che, sebbene un criterio di giustificazione esigente come l’equilibrio riflessivo (ampliato) risulta ‘praticabile’ solo in condizioni
economiche e temporali ideali o ottimali, ciò non vuol dire che l’argomentazione
giudiziale, in particolare la giustificazione (c.d. esterna) della norma che rappresenta
la premessa maggiore del sillogismo giudiziale, non debba essere ‘razionalmente
giustificata’ ovvero, il che è lo stesso, ‘oggettivamente’ fondata. Al contrario,
l’autore mostra, in ultima analisi, cosa debba intendersi per ‘giustificazione razionale condotta in condizioni limitate’ e quali sono le condizioni in presenza delle
quali le attuali comunità di giudici (e giuristi) possono, e devono, elaborare giustificazioni razionali.
Scopo del contributo di Vito Velluzzi è, invece, analizzare criticamente
l’impianto generale della tesi di dottorato, e del saggio introduttivo, di Maniaci.
Volendo sintetizzare le critiche avanzate da Velluzzi possiamo dire che, secondo
l’autore, gli argomenti avanzati nel saggio e nella dissertazione di dottorato presentano due tipologie di difetti, strettamente connessi gli uni agli altri: difetti strutturali e difetti concettuali. Difetti che hanno prodotto (almeno) due risultati negativi. L’idea di Velluzzi (da ultimo ribadita in conclusione) è, in breve, che la nozione
di equilibrio riflessivo (ampliato e ristretto) offerta resta, nonostante le buone intenzioni e gli sforzi anche notevoli dell’autore, indeterminata e poco rigorosa.
Da un lato, tale assenza di rigore ha determinato non solo un’incertezza in merito al ruolo che l’equilibrio riflessivo può svolgere nel ragionamento giudiziale
ma anche l’inefficacia, l’inutilizzabilità, dello strumento concepito. Dall’altro lato,
causa di tali nefaste conseguenze sarebbe stata la mancata chiarificazione di alcuni
elementi essenziali della definizione (i c.d. difetti concettuali), mancata chiarificazione, a sua volta, parzialmente addebitabile al fatto di aver approfondito troppo
temi complessi (ad esempio il ‘fondazionalismo’, ecc.) e superflui rispetto alle finalità dichiarate della tesi (i c.d. difetti strutturali) e troppo poco i temi fondamen10
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tali (ad esempio la nozione di ‘precomprensione ermeneutica’ e di ‘principio del
diritto’, nonché la distinzione tra ‘principi metodologici dell’interpretazione’ e
‘principi dell’interpretazione’ tout-court).
Mentre Velluzzi ha presentato e discusso l’impianto generale della tesi di dottorato di Maniaci, il contributo di Itzcovich ha come scopo quello di analizzare
criticamente alcune nozioni specifiche, strettamente connesse alla nozione di ‘equilibrio riflessivo’ e di ‘argomentazione razionale’. Si tratta della classificazione
elaborata da Maniaci, nella medesima dissertazione, di tre forme di bilanciamento
tra principi, il ‘bilanciamento ad hoc’, il bilanciamento ‘ragionevolmente definitorio’ e il bilanciamento ‘categoriale o definitorio’ tout-court. In particolare, Itzcovich critica la definizione di bilanciamento ad hoc effettuata da Maniaci (§ 2.), sostenendo che essa non realizza nessuno degli scopi principali che Maniaci voleva
raggiungere. Da un lato, infatti, le “ambiguità sottese nel modo in cui i teorici americani costruiscono la distinzione” tra ‘ad hoc balancing’ e ‘definitional balancing’ non sono – secondo Itzcovich – superate, dall’altro lato, tale definizione di
bilanciamento ad hoc non coglie il “nucleo essenziale delle differenti definizioni e
tipologie di bilanciamento ad hoc” diffuse nella cultura giuridica americana.
In secondo luogo Itzcovich, dopo avere criticato la distinzione fra ‘bilanciamento
definitorio’ e ‘bilanciamento ragionevolmente definitorio’ (§ 3.), sostenendo, tra le
altre cose, che quest’ultima ha ben poca utilità, essendo soprattutto incapace di introdurre una via mediana (‘in senso debole’) fra particolarismo e oggettivismo, propone
un diverso modo di intendere la distinzione tra ‘ad hoc balancing’ e ‘definitional balancing’ (§ 4.), una differente ricostruzione che avrebbe il pregio di essere più vicina
agli usi giurisprudenziali, oltre che alle definizioni diffuse presso la dottrina nordamericana, e di evitare il riferimento alla nozione di ‘procedura argomentativa razionale’.
In conclusione (§ 4. e 5.), l’autore effettua alcune osservazioni in merito all’utilità,
rectius all’inutilità, dell’ideale dell’argomentazione razionale e delle dottrine
dell’interpretazione fondate su quest’ideale.
Nella replica alle critiche di Velluzzi Maniaci sostiene (§ 2) che la sua tesi di
dottorato non presenta difetti ‘strutturali’, almeno se diamo al termine il significato comunemente attribuitogli. In secondo luogo, egli sottolinea (§ 3) che la nozione di equilibrio riflessivo (ampliato e ristretto) non è né confusa né poco rigorosa,
cioè non possiede i difetti concettuali individuati da Velluzzi. Ciò in quanto o si
tratta di difetti concettuali che non esistono (§ 3.1 sui principi del diritto) oppure
di temi che sarebbe stato interessante approfondire, ma la cui assenza non incide
in modo rilevante sulla nozione di equilibrio riflessivo e sul ruolo da lui svolto nel
ragionamento giudiziale (§ 3.2 sulla nozione di ‘precomprensione ermeneutica’ e
3.3 sui ‘principi dell’interpretazione’).
In conclusione (§ 4), Maniaci argomenta che, se alla fine la nozione di equilibrio riflessivo viene giudicata per lo più inidonea (salvo alcune funzioni residuali)
a fungere da modello descrittivo e normativo dell’argomentazione giudiziale, ciò
non è dipeso, come sembra suggerire Velluzzi, dal fatto che essa è poco determinata o rigorosa, ma dal fatto che lo è fin troppo.
La replica di Maniaci al saggio di Itzcovich si articola, in sintesi, in tre punti.
In primo luogo, le critiche di Itzcovich (§ 1.) trovano la loro ragion d’essere in un
parziale fraintendimento delle tesi sostenute da Maniaci in materia di bilanciamento tra principi. Il fraintendimento più importante concerne il fatto Itzcovich
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ritiene che il bilanciamento ad hoc, così come definito da Maniaci, si identifichi
tout-court con il bilanciamento razionalmente non giustificato. Ciò non corrisponde, secondo Maniaci, alla realtà. In secondo luogo – continua Maniaci – non solo
quasi tutte le critiche (tranne una) avanzate da Itzcovich avverso la sua definizione di bilanciamento ad hoc, definitorio e ragionevolmente definitorio non colgono
nel segno (§ 2.), ma la ridefinizione proposta da Itzcovich delle nozioni di ‘bilanciamento ad hoc’ e ‘definitorio’ riproporrebbe in sé tutta l’ambiguità e la confusione delle definizioni diffuse nella letteratura nordamericana.
Infine, alla base delle argomentazioni (e delle critiche) avanzate da Itzcovich
(§ 3.), vi sarebbero, secondo Maniaci, due assunzioni di fondo in tema di bilanciamento tra principi e argomentazione razionale non condivisibili. La prima secondo la quale non vi è alcuna relazione concettuale tra un’argomentazione razionale e un ‘ad hoc balancing’. La seconda in base alla quale la controllabilità
razionale delle decisioni giudiziali, da parte della comunità di giudici, interpreti e
cittadini in generale, non rappresenterebbe un valore che vale la pena di essere
perseguito ovvero che la controllabilità di tali deliberazioni sia un valore, ma che
l’ideale dell’argomentazione razionale non rappresenta un mezzo idoneo al raggiungimento di tale obiettivo.
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