dorotea de spirito - Mondadori Ragazzi

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Nessuna conv. colore -
140x215 mm - cartonato fresato
DOROTEA DE SPIRITO
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www.mondichrysalide.it
© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Prima edizione ottobre 2012
Stampato presso Mondadori Printing S.p.A.
Stabilimento N.S.M., Cles (TN)
Printed in Italy
ISBN 978-88-04-62199-7
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Prologo
U
na stella cadente sfreccia leggera dividendo esattamente a metà il cielo.
La scia luminosa sfiora il blu intenso, lacerandolo. Buio
da una parte, luce dall’altra.
— Ce l’hai un desiderio? — chiede lui, disteso al mio
fianco sul prato umido.
Annuisco.
In inglese si chiamano shooting stars, stelle come
proiettili luminosi a cui gli esseri umani affidano i propri sogni.
La stella­-proiettile è scomparsa, il cielo è tornato buio.
Sento le sue dita sottili sfiorare le mie, accarezzarle
con delicatezza.
Mi giro appena e guardo il suo profilo perfetto brillare
alla luce soffusa del cielo notturno. Luce e buio.
Percorro i contorni del volto che conosco a memoria,
rallento sugli zigomi, sulle labbra a bocciolo, sugli occhi grandi e scuri ma capaci di brillare anche in assenza di luce, sull’anello sottile e argenteo, incastonato sul
sopracciglio. Luce e Buio.
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Guglielmo.
Ripeto il suo nome nella mia mente.
Lo ripeto come se fosse un dono, un desiderio già esaudito di una stella cadente che ha dimenticato di cadere e
ancora brilla nel cielo, viva e lucente.
“Immobilità” penso in silenzio.
Si può chiedere questo a una stella cadente che sfreccia veloce e corre verso l’infinito?
Desidero che questo momento duri per sempre.
Che nulla cambi mai.
Per sempre ora.
Per sempre adesso.
E per sempre noi.
— Posso sapere che desiderio hai espresso, angio‑
letto?
Anche se siamo immersi in un buio totale riesco a sentire il ghiaccio nero delle sue iridi nelle mie.
Il piercing incastonato sul sopracciglio brilla, catturando una luce che non c’è e restituendola come un piccolo regalo d’argento.
— Ovvio che no — rispondo divertita. — Altrimenti
non si avvera.
Il piercing brilla più intensamente.
Un soffio di vento spira su di noi, facendo danzare le
fronde del salice piangente poco distante.
— Dimmelo, dai — sussurra lui con un sorriso magnetico. — Ti prometto che lo farò avverare. Ti fidi più
di una stella o di un demone?
— Della stella.
Rido.
— Di te… — ammetto abbassando gli occhi sulle mie
mani, per nascondere un filo di imbarazzo.
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P ro l o g o
Ride e la sua risata è un suono familiare e ammaliante allo stesso tempo.
L’angelo senza ali che si fida del demone, riderei anch’io
se me lo raccontassero.
Se me lo raccontassero e non fosse la nostra storia.
Lui mi blocca i polsi e avvicina il viso al mio orecchio.
— Cos’hai desiderato?
Silenzio
— Vichi?
Ancora silenzio.
— Vichi…
— Che non cambi nulla — dico piano. Senza volerlo
le parole scivolano fuori, verso il basso, si posano a terra come attratte dalla forza di gravità, dall’amara realtà. Quanta tristezza, a volte, anche un desiderio può
contenere…
Lui lascia andare i miei polsi e mi cinge le spalle.
— È un desiderio stupido e infantile, lo so.
— No, io non credo — dice Guglielmo senza sciogliere
l’abbraccio e con un tono allo stesso tempo dolce e canzonatorio. — È una promessa.
Il vento freddo soffia più intensamente, avvolgendoci, mentre i rami tutt’intorno si muovono come impazziti, le foglie che sussultano e tremano.
In cielo, all’improvviso, non brilla più neanche una
luce.
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Un’altra estate muore
L
a pioggia di stelle cadenti se ne va nel giro di poche notti, lasciando lo spazio scuro del cielo alle afflizioni e alle speranze dei giorni che accompagnano la
fine di un mese amato e odiato come agosto, la fine della stagione estiva.
Le giornate corrono più in fretta, le sere si allungano e tra i raggi di sole bollenti un’altra estate muore, arroventando la pietra delle strade per gli ultimi fuggenti pomeriggi.
Un’estate così diversa da quella dell’anno scorso, così
diversa da ogni altro periodo della mia vita, che se raccontassi a uno sconosciuto quello che è successo mi prenderebbe per pazza.
Tutto intorno a me sembra essere cambiato, e forse
è proprio questo folle girone infernale che è diventata –
letteralmente – la mia vita a farmi desiderare un barlume di calma e di immobilità.
Fisso la mia piccola città, scolpita nella pietra e in un
segreto, intenta ad addormentarsi.
Le piazze piccole e colme di fontane, i grovigli di vie
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U n ’a ltra estate muore
strette e tortuose, le mura altissime che la incorniciano
e i leoni di pietra che la custodiscono.
Socchiudo gli occhi, come se bastasse a vedere ciò che
è impossibile vedere: gli angeli che la proteggono.
Il segreto che come una sottile ragnatela d’argento la
avvolge e la rende al contempo tanto più forte e tanto
più fragile.
L’invisibile che ci rende diversi, nascosto sotto le strade, dentro le case antiche.
E sotto la pelle.
Le ali.
L’unica caratteristica capace di dimostrare a tutti che
non è solo una mera credenza, un’antica leggenda scolorita dal tempo.
Esiste un patto che da millenni continua a coinvolgere questa piccola, fiera città.
Un patto remoto che divide due mondi e li tiene distanti.
Angeli e demoni.
Ma sarebbe meglio dire esisteva, perché in questo momento un angelo, seppur senza ali, si sta prendendo il disturbo di farsi una passeggiata con un demone!
Percorriamo le ultime vie sotto lo sguardo ignaro dei
miei concittadini.
È passato quasi un anno da quando Guglielmo e la sua
ristretta famiglia, ovvero sua zia Nora, sono arrivati in
città. La gente ha appena iniziato ad abituarsi alla loro
presenza, non aggrotta più la fronte, si limita a tirare le
labbra in un sorriso incerto. E questo è il massimo che
uno straniero possa sperare di ottenere. La mia città ha
un passato oscuro fatto di necropoli, sacerdoti e misteri.
Custodisce gelosamente i propri segreti e ancor oggi diffida di chi non conosce.
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Guglielmo mi lascia sotto casa, aspetta che sia entrata e riparte veloce a cavallo del suo destriero metallico.
Fisso la scia luminosa che la moto si lascia dietro finché non si trasforma in una scintilla lontana.
Guardo il cielo scuro e le stelle, puntini fissi e immobili, almeno per stasera.
Luce e buio.
Stelle cadenti e cieli infiniti.
Stelle cadenti e desideri impossibili.
Per sempre noi.
Ancora un desiderio che suona irrealizzabile.
Ancora un desiderio pronunciato affidandosi a qualcosa: l’anno scorso era il sole, quest’anno sono le stelle.
Cercando conforto e forza in un qualcosa di lontano e
affascinante: un raggio di sole, una stella cadente.
Ma come si può desiderare l’eternità?
E con quale folle, sconsiderato ardire desiderare la nostra eternità?
Siamo indistruttibili quanto un minuscolo cristallo
di neve al sole.
Siamo stabili quanto fuoco e benzina che entrano in
contatto.
Il vento freddo si incanala nelle strade vuote, sussurra verità lontane e dolorose e sale a portarle fino alla mia finestra.
Un giorno questo dissennato e imperfetto equilibrio finirà, sembra dirmi.
I due mondi cozzeranno, esploderanno come hanno
già fatto in passato.
Un passato che tornerà e ci trascinerà a fondo, lo so.
Un giorno torneranno a riprenderselo, come già hanno tentato di fare.
Un giorno che posso solo sperare sia il più lontano
possibile.
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Oltre il confine
I
l demone in piedi accanto a me ride mostrando i denti affilati, la corona di spine che le cinge il volto brilla nell’aria fresca che io non riesco più a percepire.
Cerco di allontanarmi strisciando sul pavimento di
pietra imbrattato di sangue, però lei mi tiene ferma con
una gamba e sogghigna di nuovo.
Tento di scivolare sull’altro lato, ma sento una freccia
trapassarmi una costola, il dolore mi toglie il respiro e il
sangue di questa ferita si mischia a quello di tutte le altre.
Giro la testa e vedo la piccola piazza scura della mia
fiera e combattiva cittadina brillare di tuniche bianche
e spade d’argento di angeli in combattimento.
Tutta la mia famiglia è lì, tutti i miei amici a lottare
per me che qui, schiacciata a terra, non ho nemmeno la
forza di alzarmi…
— … o le ali per volare via — mormora Eva, aprendo con la punta ferrosa di un dardo una profonda lacerazione sulla mia schiena.
— È così che doveva finire fin dall’inizio, ma tu già lo
sapevi, vero Vittoria?
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La cosa atroce è che ha ragione: da qualche parte nella
mia testa era già scritto tutto, prima dello scorso anno,
prima di incontrare Guglielmo, prima di scoprire che lui
era un demone, di sapere che angeli e demoni non avrebbero mai dovuto nemmeno sfiorarsi. Prima di scatenare tutto questo.
Il rosso del sangue, il bianco delle vesti degli angeli che
stanno coraggiosamente combattendo e il nero dei demoni che li sovrasta si mescolano nei miei occhi.
Sento Lorenzo gridare.
Lo vedo cadere come un bellissimo fiore reciso, ormai privo di vita.
Ginevra gli corre incontro urlando, però non fa in tempo a raggiungerlo che la colpiscono alle spalle e cade anche lei, al suo fianco.
Paride atterra due figure nere e cerca di volare rapido
verso di loro e verso di me, ma anche le sue ali si imbrattano di sangue per l’ultima volta.
Chiudo gli occhi, il ferro piantato nel mio corpo è una
carezza, la speranza che anch’io non me andrò da questa
piazza e seguirò le persone che amo.
— Non provarci, Vittoria. Non ho ancora finito.
Eva allarga le ali nerissime nascondendo alla mia vista appannata ogni cosa tranne la sua figura.
— C’è un’ultima cosa che devi vedere — sibila, e brandendo una spada si getta verso una figura che stava cercando di prenderla alle spalle.
Le ali scure del giovane demone contro cui Eva si è
lanciata per un secondo mi confondono, poi capisco e
cerco di strapparmi via il ferro che mi trattiene a terra.
Eva affonda la spada nel fianco di Guglielmo con glaciale velocità, lo afferra e si volta di nuovo verso di me,
avvicinando la lama alla sua gola.
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— Addio, Guglielmo — sussurra nel suo orecchio.
Poi mi guarda e affonda la lama nel suo collo candido.
— E addio, Vittoria.
Apro gli occhi immersa nel buio della mia camera, annaspando in cerca di aria.
Era solo un incubo, era solo un incubo, ripeto ossessivamente nella mia testa, cercando di convincere il mio
cuore a rallentare la corsa impazzita dei suoi battiti.
Solo un incubo.
Ma le scene orribili che ho ancora davanti agli occhi
non accennano a dissolversi. Rimango immobile nel buio
per lunghissimi minuti.
Il cuore non smette di rimbombarmi nelle orecchie.
Provo ancora a calmarmi ma non ci riesco fino in fondo, sembrava tutto così reale.
Prendo il cellulare dal comodino e con mano incerta
scrivo a Lorenzo, sperando possa leggere il messaggio al
più presto.
Sei tornato in città? Dobbiamo parlare di
quello che è successo, non possiamo più
rimandare.
Riformulo le stesse frasi almeno tre volte e poi mi
convinco a inviarlo, quindi cerco di tornare a dormire e
spero di immergermi in un sonno pesante e soprattutto senza sogni.
Ma mille pensieri iniziano a tormentarmi nel buio.
Non possiamo più fingere che non sia mai accaduto
nulla. Abbiamo evitato di parlarne, ci siamo divisi, siamo
rimasti lontani per tutta l’estate, ma questo non basta ad
allontanare anche il pericolo, non basta a salvarci.
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Dobbiamo essere pronti a combattere.
Qualche ora dopo, il sole inizia a filtrare attraverso le
persiane e il mio cellulare a squillare con insistenza; la
testa mi pesa una tonnellata e impiego qualche minuto
a capire che quel suono non è la sveglia.
Lorenzo deve avermi preso proprio alla lettera, penso mentre riesco finalmente a rispondere e a placare la
dannata suoneria.
— Vichi, sono io.
Il cervello, stanco e provato dalla notte insonne appena trascorsa, impiega svariati secondi a capire che quella non è la voce di Lorenzo.
— Ginni? Sei tu?
La mia amica ride e inizia a parlare velocemente, a raccontarmi della sua settimana, dei test che ha sostenuto
e degli eccellenti risultati che ha ottenuto.
La sua voce è serena e questo mi tranquillizza, riesce
quasi a farmi comparire un sorriso sul volto mentre mi
massaggio le tempie dolenti e cerco di svegliarmi del tutto.
Solo quando percepisco in fondo a una frase la combinazione di parole “restare a Londra” il cervello si risveglia di botto e faccio uno scatto in avanti.
— Che cosa?
— Ho detto, che sto pensando di restare a Londra.
— Ma sei impazzita? — urlo talmente forte che a Ginevra potrebbe essere scoppiato un timpano. Sono letteralmente aggrappata al telefono con le unghie, l’ansia e
il nervosismo si riversano Oltremanica attraverso il piccolo dispositivo mobile.
— Non sono impazzita, Vittoria, mi hanno proposto
di continuare gli studi qui anche per il prossimo semestre, sono stata una delle migliori del corso e il college
mi ha addirittura offerto una borsa di studio, una came14
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ra qui nel campus. l’Imperial College è uno dei migliori
di Londra, è una grossa opportunità per me…
Stupida Londra, con le sue insegne al neon e l’aria trendy della metropoli internazionale.
— E poi mi sono fatta una marea di amici qui!
E stupidi inglesi.
Ginevra è la mia migliore amica e qualche mese fa è
scappata a Londra dopo essersi lasciata con Lorenzo, il
mio migliore amico. Stavano insieme da due anni, un
angelo e un’umana, un legame proibito nella nostra comunità, una storia clandestina. Erano coraggiosi, i miei
amici, pronti a sfidare gli sguardi di disapprovazione della
gente, la pressione della famiglia e della città intera, per
il loro amore. Ma evidentemente anche il più puro degli amori, alla fine, si arrende di fronte a mille difficoltà.
E questo forse dovrebbe servirmi da lezione. Certo, poi,
Lorenzo ha dato il colpo di grazia uscendo con Lavinia…
Ero convinta che il peggio fosse passato e che con l’avvicinarsi dell’autunno e la riapertura delle scuole Ginni sarebbe tornata.
Mi manca.
Mi manca terribilmente da quel pomeriggio in cui l’ho
dovuta salutare, aggrappandomi alla certezza che nel giro
di poche settimane sarebbe tornata, con il suo buonsenso e i suoi preziosi consigli.
Ma non avevo messo in conto Londra, con il suo fascino.
— E non ti manca la tua vecchia vita nemmeno un
po’? La tua vecchia, piccola città?
E la tua vecchia, sciocca amica…
Ginevra si lascia sfuggire una piccola, serena risata.
— Mi manchi tu, angioletto, mi manchi tantissimo.
Ma per ora mi prendo un po’ di tempo, voglio valutare
anche questa possibilità.
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Annuisco piano tra me e me.
Ripenso al recentissimo incubo, così simile per certi
aspetti a quello che è accaduto il giorno della sua partenza e che lei ignora completamente. Ginevra non sa
della mia aggressione, di Eva: il demone saltato fuori
dal centro della Terra, o dai miei peggiori incubi, che
ha quasi fatto la pelle a me e Guglielmo nel vecchio
palazzo di piazza della Morte. Non sa che Lorenzo e
Paride sono intervenuti ed è solo grazie a loro se oggi
siamo vivi. È già strano dover essere grata a Paride, che
prima di quel giorno si divertiva a perseguitarmi come
un maniaco psicopatico, ma è ancora più strano che la
mia migliore amica non sappia nulla di quello che è
successo.
Non potermi confidare con lei mi fa star male. Ho rimandato e rimandato il momento in cui le avrei raccontato tutto, e per l’ennesima volta mi chiedo se ho il diritto di turbare il suo tranquillo sogno inglese.
— Tu invece?
La sua domanda mi fa quasi cadere giù dal letto e mi
desta dallo stato di semincoscienza in cui sono scivolata.
Fisso nello specchio che ho di fronte la ferita sottile
che si snoda lungo la mia clavicola, là dove gli artigli di
Eva hanno giocato con la mia pelle.
— Le solite cose, sai…
— Nessun sospetto su Guglielmo?
Almeno di questo Ginni è al corrente: la natura particolare del mio ragazzo.
— Assolutamente!
In realtà ho quasi la certezza che ogni mezzo passo
che lui o sua zia muovono in città sia più che monitorato. Paride ha ovviamente scoperto che Guglielmo è un
demone, ma ha promesso di mantenere il segreto e, fin16
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ché nessuno sa né di Eva né dell’aggressione, abbiamo
un minimo di vantaggio.
Mi schiarisco piano la voce e faccio un delicato tentativo.
— E Lorenzo, non vuoi sapere come sta?
— Lorenzo, già…
La voce della mia amica si fa più dura, distante.
All’improvviso è come se me li vedessi tutti in fila davanti agli occhi, i chilometri che ci dividono.
— Vorrei tanto, ma devo correre a lezione, sono in
ritardissimo!
— Lezione alle sette e trenta di sabato mattina, G?
— Sicuro, sono proprio strani questi inglesi! A presto, amica mia.
Mi ritrovo a fissare il cellulare muto.
Dannatissima Londra.
Sospiro e continuo a percorrere con la punta delle dita la
superficie della cicatrice. Il contatto mi arriccia la pelle,
ma non riesco a smettere.
Immagini come scintille mi danzano davanti agli
occhi, mescolandosi ai pensieri, disegni sbiaditi e con‑
torti.
Penso a Ginevra, agli occhi tristi e al sorriso che riusciva comunque ad avere quando ci siamo salutate.
Penso a Lorenzo, ai suoi occhi azzurri cerchiati di nero,
scuri di lividi che nessuna sofferenza fisica può provocare e nessuna medicina guarire.
Dal giorno della partenza di Ginevra e dello scontro si
è praticamente barricato in casa e non vuole vedere nessuno tranne Paride, che sembra diventato il suo migliore
amico e si è tramutato in un agnellino.
A un certo punto i genitori di Lorenzo hanno deciso
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che non poteva continuare così e lo hanno portato per
intere settimane al mare, cercando di farlo riprendere.
A quanto ne so, non si è ripreso affatto e in compenso il
suo allontanamento ci ha impedito di vederci e parlare
di quello che è accaduto, di pensare al da farsi.
Penso a Guglielmo.
Le scintille di dolore si mischiano alle scintille che il
suo pensiero crea, poi l’immagine dell’incubo sporca il
pensiero, allargandosi come una macchia di inchiostro
nero che non riesco a togliere.
Il display del telefono si illumina di nuovo.
Sono a casa, missione vacanza fallita e
terminata, passa quando vuoi.
Scaccio via i pensieri. Ho un amico in stato confusionale con cui parlare, delle decisioni da prendere, una
vita da mandare avanti cercando di limitare i danni il
più possibile.
Arrivo a casa di Lore in pochi minuti e mi accorgo di essere stata preceduta da Paride, intento in una specie di
sermone consolatorio-motivazionale.
Lore continua ad accusarsi per essere stato la causa
della partenza di Ginevra, Paride cerca di convincerlo
che non è stata colpa sua, che niente è perduto perché
lei comunque tornerà per l’inizio dell’anno scolastico e
avranno modo di chiarirsi.
Io fisso la scena, piuttosto surreale, dalla porta. Non
si sono neppure accorti della mia presenza.
E mi rendo conto all’improvviso di avere una notizia
bomba da sganciare: Ginni non sta affatto prendendo in
considerazione l’idea di tornare.
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Indietreggio e rimango immobile e invisibile dietro
lo stipite.
Guglielmo mi stringe piano le spalle.
Non l’ho sentito arrivare, ma il suo tocco è una medicina.
Una piccola dose di coraggio per affrontare amici in difficoltà e piccoli problemi, o demoni sanguinari ed enormi complicazioni.
— Cattive notizie, eh? Te lo leggo negli occhi. Meglio
aspettare a darle, se non sono certe.
Lancio la borsa sul letto di Lore, facendolo sobbalzare. Poi entriamo in camera e ci accomodiamo anche noi
sul letto.
— Bentornato, dolcezza. — Gli sorrido, ma il mio migliore amico è una specie di zombie in pigiama a righe.
La patina scura nei suoi occhi diminuisce appena, un
minuto ci è concesso, per infiltrarci nel suo dolore e costringerlo a dare un po’ di spazio anche a noi.
Cerco di assumere un’espressione rassicurante, ma mi
viene fuori una specie di smorfia.
E la scena dell’incubo torna a riempirmi la testa per
un istante, pochi flash di immagini spaventose che mi
tolgono il respiro.
Ma non posso farmi prendere dal panico proprio a‑
desso…
Guardo Guglielmo, che con un semplice sorriso mi restituisce la forza e la lucidità per andare avanti.
— Dobbiamo parlare, ragazzi. So che non è il momento migliore per affrontare il discorso, ma dobbiamo discutere di quello che è accaduto quel giorno e capire insieme cosa dobbiamo fare.
Paride annuisce con veemenza.
— Molto bene, hai ragione. Che cosa suggerisci?
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Non posso fare a meno di lanciargli un’occhiata accigliata.
— Veramente ho detto “capire insieme”, e comunque temo che non siamo nelle condizioni di fare molto.
Cerco di mantenere la calma e di non reagire al tono provocatorio di Paride, e all’improvviso la mia mente viene
sopraffatta dai fotogrammi vividissimi di quel giorno.
Dolore, paura, Paride che sa di Guglielmo, il pericolo
che possa dirlo a tutti.
Correre a perdifiato lungo la città.
E poi Eva.
Eva che sbuca fuori dall’inferno per venire a riprendersi Guglielmo.
La ferita comincia a pulsare e istintivamente sfioro la
cicatrice con la mano.
Paride si avvicina a Lorenzo e gli dà una piccola botta
sulla spalla, qualcosa di molto simile a un gesto di affetto. Lore alza gli occhi e per un istante sembra più sereno.
Mi sforzo di trovare le parole e proseguire.
— Se coinvolgiamo le autorità o informiamo qualcuno di quanto è accaduto, Guglielmo e Nora finiranno in
esilio permanente.
Stringo impercettibilmente la sua mano, quasi un riflesso incondizionato.
— E ovviamente questa è l’ultima cosa che vogliamo
— l’angelo biondo mi fa il verso, ma non lo dice con
cattiveria.
— Grazie, Paride.
— Quello che mi preoccupa davvero — Lorenzo riemerge dal suo mutismo e si passa una mano sugli occhi lividi — è che quella cosa possa tornare.
— Intendi Eva?
Annuisce debolmente.
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— E sono sicuro che stavolta si porterebbe i rinforzi,
tanto per andare sul sicuro. Non ti spaventa questo, Vichi? Siete il suo bersaglio, mi pare evidente.
Il mio amico ha un tono decisamente preoccupato.
L’incubo di stanotte lo smentisce: tutti potremmo essere il suo bersaglio.
— L’abbiamo già respinta una volta — faccio notare,
con più sicurezza di quella che in realtà sento di avere.
— E poi cosa potrebbe portarsi dietro? Un esercito di demoni? Mi sembra impossibile.
Cerco di persuadermi da sola che quello che ho sognato, uno scontro in campo aperto tra due schieramenti, non sia concretamente concepibile ai giorni nostri.
— È impossibile.
La voce sicura di Guglielmo interviene, creando un
contrasto evidente con le nostre, così colme di incertezze.
All’improvviso io, Lorenzo e Paride realizziamo quanto
poco sappiamo dell’intera faccenda, quanto ci sia sempre
stato tenuto nascosto dai nostri genitori e dalle autorità
e quanto questo sia problematico nella nostra situazione,
dato che autorità e genitori sono le ultime persone a cui
possiamo rivolgerci.
Guglielmo si schiarisce piano la voce e la abbassa
appena.
— Ne sapete proprio pochino, eh?
È dannatamente vero.
— Esiste un confine ben preciso che non solo è proibito valicare, ma che è anche difficile da oltrepassare, fisicamente, se così si può dire, per quelli… Be’, quelli
come me.
Abbassa per un secondo gli occhi scurissimi.
— Non parlo di un semplice, mero confine territoriale,
ma di qualcosa che non si può attraversare con disinvol21
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tura. Un demone non può semplicemente decidere di varcare il confine e andare a farsi un giro nell’aldiquà. Per
uscire dagli Inferi, deve avere una missione da portare a
termine, un compito da assolvere, e ha un tempo limitato per farlo, dopodiché viene richiamato, risucchiato
nelle tenebre. E se non ha completato la missione viene
punito fino a quando non arriva il momento in cui può
riscattarsi riprovandoci. La missione in genere consiste
nel riportare negli Inferi i demoni che hanno infranto le
regole o giustiziarli, in base alla colpa. Eva ci sta alle costole da quando ero piccolo. È riuscita a uccidere i miei
genitori. Poi per anni Nora e io siamo riusciti a confondere le nostre tracce. Ci ha riprovato adesso e le è andata male, è dovuta tornare indietro a mani vuote. Credo
che la prossima volta che la incontrerò sarà molto, molto più arrabbiata. Ma sarà sempre da sola, non può trovare degli alleati.
Lo fissiamo tutti, pendiamo dalle sue labbra.
Guglielmo non racconta a quali regole i suoi genitori
abbiano disubbidito per meritare la morte.
In realtà so che è stata Nora, la sorella minore di sua
madre, a infrangere le regole, innamorandosi di un umano. I genitori di Guglielmo l’hanno aiutata, organizzando la sua fuga insieme all’uomo, ma sono stati scoperti e giustiziati. Nora e il nipote, invece, sono riusciti
a fuggire.
— E come dicevo — continua Guglielmo — il confine non è così facile da valicare, anche dal punto di vista
fisico. Il passaggio è accompagnato dalla sensazione di
morire annegati, con i polmoni che si riempiono d’acqua.
Lorenzo si massaggia le tempie, incredulo.
— Amico, rallenta che non ti seguo più. Dove diavolo è questo confine?
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— E che cavolo c’entra l’acqua?! — gli fa eco Paride.
Guglielmo sospira e ci guarda.
— Il Bulicame, le sorgenti termali di acqua sulfurea. La
spaccatura nella Terra da cui provengono… è il confine.
Paride cammina avanti e indietro lungo la stanza.
Io stessa sto cercando di metabolizzare questa incredibile notizia.
— Ma che vuol dire che il confine sono le acque? −
mormora Lorenzo dopo un lunghissimo silenzio.
— Sì, che cavolo vuol dire? La gente ci fa il bagno lì…
ci vanno i bambini! — Paride fa fatica a mandare giù
l’informazione.
Guglielmo si stringe nelle spalle.
— Ho parlato di confine, ma in effetti forse è più corretto definirlo varco. — Sospira. — Vorrei potervi dire di
più, però io stesso non ne so molto, dovremmo parlarne
con Nora o fare delle ricerche. Ma vi siete mai chiesti
perché la comunità angelica si sia insediata proprio qui?
In questa città?
Tre volti fanno mestamente segno di no.
— Perché quell’acqua bollente, e la spaccatura da cui
proviene, portano direttamente all’Averno, o Inferno,
chiamatelo come volete…
Deglutisco. Lo abbiamo sempre avuto così vicino, ci
abbiamo praticamente costruito sopra una città, divisi
solo da uno strato di pietra e di acqua.
— Come mai è così difficile da passare?
— In passato non era così, ci sono stati scontri sanguinosi tra angeli e demoni, finché non si è giunti a una
sorta di patto, che limita di fatto la fuoriuscita dei demoni. Vorrei sapervi dire altro, ma le mie conoscenze si fermano qui. Nora mi ha sempre dato risposte vaghe, non
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le piace parlare di questi argomenti e io ho sempre preferito non insistere.
Abbassa il viso con espressione dispiaciuta.
— È sempre molto più di quanto tre angeli del posto
sapessero — gli faccio notare con una punta di ironia e
imbarazzo.
— E comunque, è già una piccola conquista il fatto
che non dobbiamo temere l’attacco di un esercito di demoni furiosi.
— Quello che ho già visto in azione una volta a me
basta e avanza. Senza contare che ora Eva sarà ancora
più arrabbiata di prima. — Lorenzo mi guarda con occhi preoccupati.
— Le abbiamo dato del filo da torcere e almeno per un
po’ spero che potremo stare tranquilli. Il tempo di capirci
qualcosa di più, di pensare alla prossima mossa.
Lore si tira a sedere e mi si fa vicino.
— E nel frattempo non illuderti che ti lasceremo da
sola tanto facilmente.
Mi chiudo il portone di casa di Lorenzo dietro le spalle.
Guglielmo mi sfiora piano una mano con le dita e
poi le allontana, siamo in pieno centro e in questo momento ci manca solo qualche pericoloso pettegolezzo a
peggiorare la situazione. Se le unioni tra angeli e umani del posto sono proibite, figurarsi quella tra un angelo e un umano straniero! E se solo potessero immaginare la verità…
— Come va? — mi chiede.
Faccio un cenno con le spalle.
— Camminiamo un po’ prima di tornare a casa?
Annuisco appena.
Arriviamo in silenzio fino al duomo, la piazza è deser24
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O ltre i l confine
ta, le scale del palazzo papale silenziose nell’ombra. Mi
siedo e guardo la pietra grigia e bianca della piazza che
crea un piccolo reticolo davanti all’edificio. Da bambine
io e Ginevra a volte venivamo a giocare qui. Ci rincorrevamo su quel reticolo come personaggi di un videogioco.
— Sai, Ginni mi ha telefonato, sta pensando di restare in Inghilterra — borbotto.
Guglielmo annuisce.
— Forse in tutto questo tempo ho davvero finto che
non fosse cambiato nulla, che tutto si sarebbe risolto
come per magia, che la mia amica sarebbe tornata e tutto sarebbe stato di nuovo normale…
— Non è detto che alla fine rimanga là, Vichi.
Annuisco appena.
— Domani iniziamo con le ricerche? Informazioni
sul Bulicame, vecchie leggende o notizie più recenti su
questa città, sui demoni, tutto quello che può esserci
utile a combattere Eva quando tornerà a farsi viva… —
chiede Guglielmo, ombra scura che si allunga accanto a
me, contro il sole.
Pagliuzze di polvere dorate danzano nell’aria.
Un’anziana coppia attraversa il piazzale deserto. Noi
siamo in controluce e distanti, ma è come se attirassimo comunque la loro attenzione con la nostra sola presenza. Si voltano e ci guardano per un istante, poi proseguono, scambiandosi qualche parole sottovoce.
Mi irrigidisco.
Non c’è niente di male in due ragazzi che parlano.
Nulla di male anche se non fossero solo amici.
Ma evidentemente c’è qualcosa che può essere considerato sbagliato se la ragazza appartiene a una delle famiglie di angeli e il ragazzo è lo sconosciuto trasferitosi
da poco e proveniente da chi sa dove.
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— Non essere paranoica.
Mi poggia il viso sulla spalla, leggendo le mie preoccupazioni.
Dalla sua fronte parte un calore sottile, un raggio di
luce che scioglie la rigidità di tendini e muscoli e mi rilassa a poco a poco.
È come se pian piano, lembo dopo lembo, si stesse
squarciando il velo scuro che mi ha avvolto per tutta la
giornata.
Questo contatto lieve basta a lenire tutte le mie ferite.
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