10 PRIMO PIANO Venerdì 20 Marzo 2015 È in atto la liquidazione clientelare di esercizi commerciali e abitazioni di Roma Capitale Da affittopoli nasce svendopoli Gli inquilini favoriti si trasformano in acquirenti con lo sconto DI CESARE MAFFI D a settimane il duplice e connesso scandalo di affittopoli & svendopoli procede in Roma. Si ha notizia di tutto, in tema di patrimonio immobiliare di Roma Capitale: morosi alle stelle, occupanti privi di qualsiasi titolo, inquilini ignoti, conduttori (viceversa) ben noti e trattati con i guanti, acquirenti protetti perché amici e amici di amici. È una giungla di favoritismi di ogni specie e natura, il tutto a detrimento del patrimonio pubblico e a ludibrio dei veri bisognosi. Un aspetto che di solito si tace, ma che invece ha un rilievo notevole, riguarda i canoni di amicizia nel settore commerciale. Intendiamoci: l’omaggiare a poche decine di euro mensile un appartamento a chi nemmeno ne avrebbe né bisogno né titolo è vergognoso; ma ancora più biso- Alessandra Cattoi, assessore al patrimonio del Comune di Roma gna dolersi se è un negozio a essere locato a un canone del tutto fuori mercato. È infatti chiaro quel che succede in questi casi. Un commerciante, per qualche amicizia ammanicata nell’ente locale, per qualche protezione diretta o indiretta, per parentela, per clientela, per legame politico, perfino per dimenticanza (che sia colpa o leggerezza, non importa) da parte dell’ufficio preposto, paga una cifra assurdamente bassa. Il suo concorrente, a pochi metri di distanza, paga due, tre, ma perfino dieci volte e più di quello che lui sborsa. È chiaro che si deter- mina una pesante distorsione della concorrenza. Fenomeni simili sono avvenuti e avvengono in maniera ben più diffusa di quanto non si possa normalmente ritenere. Anni addietro si scoprì che un ampio bar del centrocentro di Roma pagava cifre insignificanti rispetto agli esborsi dei locali vicini, in quanto antico inquilino di un’istituzione di assistenza e beneficenza passata alla regione Lazio. Non potendo negare l’evidenza, il titolare si difendeva asserendo che in tal modo dava lavoro a tot dipendenti, che altrimenti avrebbe in parte licenziato, se avesse dovuto pagare il canone di mercato. Il ricatto del posto di lavoro giustificava, ai suoi occhi, il palese favoritismo pubblico, coprendo col silenzio la circostanza, non proprio secondaria, che i suoi concorrenti dovevano vedersela con ben altri ca- noni: lui era favorito, immotivatamente. Quante simili distorsioni del normale mercato accadono in Roma per opera di enti pubblici? Da notare che, per tramutare affittopoli in svendopoli e aggravare lo scandalo, può capitare (è capitato e capiterà di nuovo) che simili immobili vengano alienati agli attuali conduttori. In tal modo il negoziante che per anni ha fruito di affitti risibili diventerà proprietario dello stesso immobile nel quale ha finora operato: proprietario, beninteso, con un esborso lontano dai valori correnti. Ovviamente lo stesso commerciante rivendica per sé, com’è naturale, l’applicazione delle ordinarie norme del mercato, quando agisce come operatore nel proprio comparto. Certo, si guarderà bene dal vendere a prezzi di favore. © Riproduzione riservata L’OGGETTO DELLA SUA PITTURA È LA FORMA ARMONICA ANCHE QUANDO RAFFIGURA EPISODI DRAMMATICI Reggio Emilia celebra, con una bella mostra, la scienza (oltre che l’arte) di Piero della Francesca, primo codificatore della tecnica della prospettiva DI GIANFRANCO MORRA U na scoperta sconvolgente, una originalissima innovazione, una rivoluzione epocale. Il suo nome è «prospettiva». Il suo luogo: Italia centrale. Il suo tempo: XV secolo. Il suo regno: la pittura. Qualcosa c’era anche prima, ma erano solo accenni. La natura ha tre dimensioni, che ogni arte ha cercato in qualche modo di rappresentare. Giotto e Masaccio avevano già anticipata quella prospettiva, che solo con la riscoperta dell’uomo, compiuta dal rinascimento italiano, i pittori svolgeranno sino in fondo. Ciò avvenne in una civiltà profondamente mutata: non più monolitica (Chiesa e Impero), ma pluralistica; non più permeata dalla tensione a fuggire dal mondo, ma da una religione che trova Dio nella natura e nell’uomo; non più agricola e feudale, ma commerciale e comunale. E la pittura a due dimensioni della civiltà bizantina divenne tridimensionale. La prospettiva, anticipata in architettura dal Brunelleschi e definita da L. Battista Alberti nel trattato Sulla pittura (1435), troverà i suoi teorici e realizzatori in artisti della seconda metà del secolo, soprattutto in Piero della Francesca. Che viene ora ricordato a Reggio Emilia (Palazzo Magnani, v. Garibaldi, 29) con la mostra «Piero della Francesca: il disegno tra arte e scienza» (sino al 14 giugno, ore 10-19, lunedì chiusa). Dove il grande Maestro di Sansepolcro è il centro unificatore di molti artisti dell’epoca, come Ghiberti, De’ Roberti, Ghirlandaio, Dürer, Sangallo, Peruzzi, Michelangelo, che hanno praticato il disegno prospettico per fini architettonici e pittorici. In mostra non c’è molto della sublime pittura di Piero, anche se l’affresco staccato da Sansepolcro, «S. Ludovico di Tolosa» (1460), merita per sé solo una visita. Vi sono soprattutto i disegni (riuniti per la prima volta in Italia) e i libri scientifici. La prospettiva, infatti, parte dalla scienza geometrica, che ne definisce le leggi teoriche, in base alle quali viene realizzata nelle pitture, partendo dai disegni ed estendendosi alla grafica. Piero era imbevuto di cultura umanistica, che aveva appresa giovanissimo nel soggiorno fiorentino (1440) e approfondita alle corti di Rimini, Ferrara e Urbino. Di lui possediamo quattro trattati sulla matematica applicata, sui cinque solidi geometrici, sulla prospettiva in pittura e sulle opere di Archimede. Fu, quello di Piero, un insegnamento seguito da eminenti scienziati, fra i quali emerge il suo concittadino fra Luca Pacioli, che fu visitato da Dürer per avere notizie sulla prospettiva. E nel famoso quadro di Jacobo de’ Barbari (Capodimonte) a fianco del maestro Luca c’è uno studente biondo, nel quale non pochi hanno ravvisato proprio il grandissimo pittore tedesco (il quadro e il viaggio hanno San Ludovico di Tolosa di Piero della Francesca la stessa data, 1495). E la prospettiva non legava la scienza solo alla pittura, ma anche all’artigianato artistico. I famosi intagliatori di Lendinara, Lorenzo e Cristoforo Canozi, autori delle tarsie del Duomo di Modena, erano amici fraterni di Piero. Le figure di Piero, più che esseri corporei, sono idee platoniche, sublimate dal gioco di luce e colori, con una tecnica di impersonalità, che frena e mette in disparte le emozioni dell’artista (si pensi al «Battesimo di Cristo» di Londra o alla «Pala di Brera»). L’arte è tanto più grande, quanto meno è passionale: le fantasie del barocco e il soggettivismo romantico sono ancora lontani. Piero riscopre il platonismo e il pitagorismo, che permearono tutto il rinascimento, certo assai poco aristotelico. La natura è un ordine in grande (macrocosmo), così come l’uo- mo è un ordine in piccolo (microcosmo). La «divina proportione» e la «sezione aurea» di fra Luca non sono soltanto scoperte scientifiche, ma divengono cifre della bellezza e dell’armonia. L’oggetto della pittura è la forma, armonica e pacata, anche quando raffigura episodi drammatici (si pensi nella «Flagellazione» di Urbino all’indifferenza dei tre nobili spettatori dentro una avvincente prospettiva scenica). Ma la mostra di Reggio è originale anche nell’impianto. L’opera di Piero, De prospectiva pingendi (1485 circa), è come un filo di Arianna digitale, che guida il visitatore alla scoperta del mistero della prospettiva. Abbiamo di quest’opera sette esemplari, molti loro disegni sono visualizzati nella mostra anche in forma tridimensionale. Con straordinaria effi cacia visiva e didattica. Il connubio di pittura e digitale non potrebbe essere più interessante, soprattutto per gli studenti, che certo saranno stupefatti dalla app di navigazione, che consente una «visita» dell’archetipo pittorico della prospettiva, l’anonima «Città ideale» di Urbino. Ma non c’è il pericolo di trasformare una mostra in un videogioco? Non direi: le tecniche audiovisive sono richiami e strumenti didattici insostituibili, forniscono ad un pubblico vasto una chiave per penetrare dentro le opere d’arte. Non tutti, ma neppure pochi saranno quelli che la usano. © Riproduzione riservata