1 La teoria del Big Bang Il termine "Big Bang" è forse il più noto e richiamato negli ultimi anni allorché si parla, anche in termini non proprio scientifici, dell’origine dell’Universo. Gli scienziati, più addentro alla materia, si affrettano a dire che non si deve immaginare come una esplosione, ma come uno stato iniziale dello spazio e del tempo, quindi una singolarità. Ma forse può interessare di più come gli studiosi sono arrivati a questa teoria che, a tutti gli effetti, è oggi considerata il modello standard dell’origine dell’Universo. Due fondamentali scoperte avvenute, forse per caso, nel corso del XX° secolo hanno fatto scaturire la teoria. La prima è dovuta a Hubble che scoprì che le galassie più lontane rinviavano una luce che si spostava verso il rosso e questo in modo proporzionale alla loro distanza. C’era solo un modo per spiegare questo fenomeno cosmico. L’effetto Doppler: un corpo che si allontana, se emette onde sonore, viene percepito da un osservatore fermo come suono che diventa più grave; il contrario quando si avvicina. Il fenomeno era ben noto nella fisica dei corpi in movimento. Per le galassie lo spostamento verso il rosso della luce che riceviamo è la prova del loro allontanamento che provoca di fatto la riduzione della frequenza percepita e quindi lo spostamento verso il rosso. Questo spostamento, accuratamente misurato, grazie a potenti spettroscopi, ha anche detto che più le galassie sono lontane più è grande l’effetto. C’è una diretta proporzionalità: tutti i dati ricavati dalle misure riportati su un grafico con i valori della distanza sulle ascisse e dello spostamento verso il rosso della luce ricevuta sulle ordinate, si dispongono con una notevole approssimazione lungo una retta. Lo spostamento deve essere tradotto in velocità di allontanamento applicando la legge di Doppler. In definitiva l’Universo si espande in modo pressoché uniforme in tutte le direzioni. Per vedere come le galassie si allontanano l’una dall’altra in modo proporzionale alla distanza è utile, come suggerito da molti divulgatori, disegnare delle macchie su un palloncino gonfiabile; quando immettiamo aria nel pallone la superficie sferica cresce secondo la formula 4 e le macchie si allontanano progressivamente in modo proporzionale alla loro reciproca distanza. Il ragionamento degli scienziati è stato conseguente: se si allontanano in modo progressivo al passare del tempo, tornando a ritroso nel tempo, questi ammassi galattici si avvicineranno fino a ridursi ad un solo punto. (sempre nell’ipotesi di un universo distribuito in modo uniforme). Inoltre, conoscendo la velocità di allontanamento si può stimare quanto tempo è trascorso dal momento iniziale. Questo tempo è stimato, attualmente, in circa 13,7 miliardi di anni. In quel momento iniziale tutta la materia si trovava concentrata in uno spazio minimo. Questo minimo (singolarità) viene considerato una conseguenza delle equazioni di Einstein sulla relatività generale e conferma le ipotesi di quei ricercatori ( De Sitter e Friedmann) che smentendo lo stesso Einstein, che aveva immaginato un universo stazionario, avevano trovato soluzioni compatibili con l’espansione. Applicando le leggi della termodinamica, della gravitazione universale e della meccanica quantistica si trova che questa singolarità presentava temperature non presenti nell’universo osservabile, stimabili intorno a 100 miliardi di gradi Kelvin (temperatura assoluta). Cosa può verificarsi in tali condizioni estreme? Steven Weinberg premio Nobel per la fisica ce lo racconta seppure nella logica indeterminatezza delle conoscenze del momento in modo molto suggestivo nel suo saggio “I primi tre minuti”. Il racconto è come un film diviso in fotogrammi: in base a considerazioni speculative per ogni fotogramma è stimata la temperatura in grado di produrre dal gas primordiale le prime particelle subatomiche e l’energia radiante. La temperatura decresce in modo esponenziale. In ciascun fotogramma avviene una trasformazione irreversibile della materia primaria e compaiono man mano le particelle subatomiche che oggi osserviamo. Il tutto in tre minuti. La temperatura passa da 100 miliardi di gradi Kelvin a 300 milioni di gradi Kelvin. Dopo i primi tre minuti l’universo continua ad espandersi ma, per circa settecentomila anni, non succede niente di eclatante. L’altra scoperta è avvenuta nel 1964 quando due ricercatori Arno Penzias e Robert Wilson, nel tentativo di misurare i deboli segnali provenienti dallo spazio emessi da sorgenti naturali, trovarono un segnale di fondo incomprensibile; la storia di questa scoperta è singolare e degna della trama di un libro giallo. In molti hanno ricordato le peripezie e le continue sorprese dei due ricercatori; in particolare Alan Guth nel suo “The inflationary Universe” ha ricordato in modo dettagliato tutte le fasi che hanno portato a convincersi che il rumore di fondo che veniva registrato dall’antenna speciale puntata nello spazio, altro non era che l’eco del big bang. 2 L’Universo inflazionario Il rumore di fondo si manifesta come la radiazione di un corpo nero, secondo le leggi della termodinamica alla temperatura di 2,7 gradi Kelvin. Questa radiazione è uniformemente distribuita, ed in qualsiasi direzione viene puntata l’antenna non muta assolutamente. Questa estrema uniformità crea qualche problema al modello del big bang; l’universo primordiale ha distribuito la temperatura in tutte le direzioni come se tutta la materia nel corso dell’espansione fosse stata a distanza tale da consentire lo scambio, secondo i principi della termodinamica; ma questo si scontra con il limite dell’orizzonte degli eventi per cui, due particelle, a distanza tale da non poter comunicare per i limiti della velocità della luce, non avrebbero avuto modo di scambiare informazioni. Un altro problema che gli studiosi hanno avvertito è la mancanza di simmetria della forza elettrodebole: mentre il campo elettrico ha poli separati positivo e negativo, il campo magnetico non presenta monopoli (poli con un solo segno) visibili nell’attuale universo conosciuto. Nel 1981 Alan Guth presentò la teoria dell’Universo inflazionario secondo la quale l’universo si sarebbe espanso, nei primi istanti, in modo inflazionario di un fattore di 1030 fino a circa 1050 e questo spiegherebbe l’uniformità della radiazione di fondo e la assenza in termini pratici, dei monopoli magnetici. Spiegherebbe anche la notevole uniformità della distribuzione di materia e della geometria dello spazio tempo. Nel 1992 il satellite della NASA COBE misurò lo spettro della radiazione di fondo cosmica per la prima volta: i risultati sembrerebbero confermare in modo drastico la teoria dell’universo inflazionario di Alan Guth che, da dieci anni, era in attesa di qualche conferma. Ma non tutti gli scienziati e ricercatori sono d’accordo. Tra questi spicca Roger Penrose che nel suo saggio enciclopedico “La strada che porta alla realtà” avanza dubbi sulle motivazioni di fondo della teoria. Egli presenta in sintesi la Figura 1 per rappresentare la visione dell’universo inflazionario, considerato un modello standard, inserendo alcune notazioni sulla espansione convenzionale di Tolman e il tempo in cui si stima il cosiddetto decoupling (il momento in cui da pura radiazione si passa alla creazione della materia) per affermare che la descrizione è da ritenersi molto speculativa fino a circa un 1/10 e certamente fino a 10-30 secondi. decoupling Log R ora Espansione Convenzionale Di Tolman Rottura Della simmetria elettrodebole inflazione Tempo in secondi 10-43 10-35 10-12 1013 1018 Figura 1 una storia dell'universo in forma di grafico logaritmico (da Roger Penrose: La strada che porta alla realtà) 3 La teoria delle stringhe E’ stato ricordato più volte che il famoso scienziato Feymann, considerato un padre della meccanica quantistica soleva dire "Anyone who says that they understand Quantum Mechanics does not understand Quantum Mechanic” cioè chi l’ha veramente capita è solo chi si è reso conto di non averla capita appieno. Un Socrate dei nostri tempi: il vero saggio è colui che sa di non sapere! Ma per quanti si sono avventurati nella teoria delle stringhe o delle superstringhe sembra che il peggio debba ancora venire. Seguire, con serena convinzione, le varie formulazioni che hanno portato alla teoria delle stringhe e metabolizzare ogni concetto e supposizione che, di volta in volta, viene presentato è cosa ardua non solo per i non addetti ai lavori ma anche, stando a quanto dichiarato, per gli estensori stessi della teoria. Leonard Susskind , considerato a ragione uno degli interpreti più brillanti della teoria, nel suo saggio “La guerra dei buchi neri” confessa: “Ho sempre pensato che se una cosa è davvero ben capita , deve essere possibile spiegarla in termini non tecnici. Ma la necessità delle sei dimensioni supplementari in teoria delle stringhe continua ad eludere ogni tentativo di spiegazione semplice, anche dopo più di trentacinque anni…”. Lo scoglio delle dieci dimensioni 3 spaziali più il tempo e le sei supplementari che ricorda Susskind, necessarie a rendere coerenti in termini matematici la teoria delle stringhe, non è certo l’unico. Nel suo saggio, Susskind è particolarmente abile nel condurre il lettore per mano a partire da considerazioni semplici ed intuitive, fino ai concetti più ostici come quello delle dimensioni spaziali nascoste. L’ambizione dichiarata dai fisici e matematici che ci stanno lavorando da molti anni è quella di arrivare ad una teoria unificata che possa mettere d’accordo la relatività di Einstein , le singolarità, la meccanica quantistica e le osservazioni sulla composizione della materia. Impossibile sintetizzare in qualche pagina anche solo l’essenza della teoria. Occorre almeno leggere quanto hanno scritto eminenti scienziati in centinaia di pagine: tra questi personalmente mi sembra giusto ricordare oltre a Susskind, Brian Greene nel suo “ L’Universo elegante” .