Scatole e simboli grammaticali ispirate a Maria Montessori

Scatole e simboli grammaticali ispirate a
Maria Montessori.
Il materiale Montessori per lo studio della lingua è pensato per bambini che già la parlano. Inoltre è per
lo più pensato per il lavoro individuale.
Noi lavoriamo con adulti che non sanno la lingua, che spesso non hanno avuto la possibilità di
frequentare delle scuole. E lavoriamo con il gruppo.
Queste considerazioni spingono a trasformare il materiale per l'uso di gruppo.
Per avvicinarsi alle strutture linguistiche (grammaticali e sintattiche) si segue un processo parallelo di
analisi logica e analisi grammaticale, che si avvale dei simboli grammaticali, del materiale di
analisi logica.
Abbiamo inoltre introdotto le scatole dei simboli, ispirate alle scatole grammaticali e a quella
classificazione di tipo insiemistico a cui Montessori si rifece intorno al '13, quando abbinò dei simboli
alle 9 parti del discorso.
Possiamo pensare alle parole come alle ossa che compongono lo scheletro del corpo umano - ossa che
nulla fa stare insieme. Per stare insieme, per sostenere il corpo vivo eccetera, queste parole hanno
bisogno di rapportarsi fra loro secondo legami semplici (grammatica) e complessi (sintassi).
I simboli grammaticali.
Maria Montessori pensò di identificare le parti del discorso associando a ognuna un'immagine e un
colore. Abbiamo quindi nove simboli, solitamente divisi in tre grandi gruppi: la famiglia del nome
(nome, aggettivo, articolo); la famiglia del verbo (verbo, avverbio e pronome); i tre aiutanti
(preposizione, congiunzione, interiezione):
il nome
il verbo
l'articolo
il pronome
l'aggettivo
l'avverbio
la preposizione
la congiunzione
l'interiezione
Se con sole 21 lettere (chiave alfabetica) si possono scrivere migliaia di parole, con pochissime funzioni
(le 9 parti del discorso) si da senso a milioni di frasi.
E' importante associare queste parti a dei simboli perché il simbolo si "attacca" alla mente e rende più
facile, soprattutto a chi non ha scolarizzazione, comprendere la struttura della frase.
Il verbo
La prima parte del discorso, la più importante, è il verbo. Questa di solito è la prima parte che viene
introdotta a scuola, subito dopo l'apprendimento attivo dell'alfabeto e delle prime cento, duecento
parole attraverso i cartelloni tematici e le attività laboratoriali.
Prima ancora di introdurre il simbolo, si introduce, senza spiegarne il senso il colore: il rosso. In pratica,
significa che fin dall'inizio della scuola ogni qual volta si scrive un verbo lo si scrive in rosso. Se
qualcuno chiede perché, si può semplicemente dire che è il verbo, la parola più importante e poi si vedrà
perché.
Introduciamo il verbo per primo
a) perché è il sole
del discorso, il centro attorno a cui ruotano tutti gli altri elementi;
b) perché si presta molto bene alla comprensione grazie a giochi di mimo;
c) perché il verbo è la frase.
Presentiamo quindi il verbo come un grande sole, e lo mettiamo al centro di una parete bianca della
stanza, parete che per noi è il libro di testo, il libro che costruiamo lentamente insieme agli studenti.
Insieme al verbo presentiamo le prime due grandi domande, che sono le domande fondamentali
dell'analisi logica, ma al contempo le domande fondamentali delle storie, della narrazione, che è il
perno attorno al quale si costruisce la vita della scuola:
Chi? Che cosa?
Chi? Che cosa?
Questo sole e queste due domande ci consentono di costruire le prime frasi in modo corretto, per lo più
prese dalla vita della classe:
Mohamed beve il caffè
Nixon apre la porta
Sekou e Omar non bevono il the
Alena ama il sole
o, ancor meglio, da scritti degli studenti stessi:
Youssef sogna la libertà
Io voglio la casa
Io voglio lingua italiana
io sogno una ragazza italiana
e così via.
Ovviamente vengono presentate anche in forma di domanda:
chi fa questa azione? che cosa fa?
Tutte queste frasi vengono sezionate e ricomposte sulla parete, mettendo i verbi sotto il cerchio rosso, i
nomi o i pronomi sotto il chi, che cosa? del soggetto e così via.
Molto presto alla domanda del complemento oggetto aggiungiamo la prima importante domanda del
complemento indiretto, cioè dove?, perché la maggior parte dei verbi che gli studenti portano a scuola
sono verbi intransitivi di movimento, ed è sempre bene costruire il lavoro sulla base di quel che viene
portato in classe.
Chi? Che cosa?
Chi? Che cosa?
Dove?
Mohamed
vive
sul treno
Al cartello della domanda dove? attacchiamo il simbolo della preposizione, che è bellissimo perché
somiglia a un ponticello, se lo mettiamo così,
o a una barchetta se lo mettiamo al contrario -
Youssef corre alla stazione
Mohamed vive sul treno
Mahammud viene a scuola
Possiamo a questo punto usare una prima volta le scatole dei simboli come verifica divertente e
anche per introdurre questo materiale con un argomento già noto: il verbo.
La scatole altro non sono che scatole da stivali e da scarpe rivestite secondo i colori dei simboli
montessoriani.
Mettere le parole nelle scatole significa classificare in modo visivo, fisico, alzandosi dalla sedia, infilando
le parole in un contenitore. Il gesto che aiuta in questa classificazione è il tagliare, usare o vedere usare
la forbice: separare le parole che compongono la frase.
Quindi facciamo l'operazione inversa a quella fatta fino ad ora, che era sommare: le lettere, che formano
una parola; le parole, che formano la frase.
Ci si ritrova in cerchio, seduti. Al centro, per terra, si mettono
- la scatola del verbo, rossa, con eventualmente attaccato il cerchio del verbo, sporgente rispetto al
bordo;
- una scatola grigia. La scatola di quello che non sappiamo cos'è. Ovviamente nessun simbolo.
Si mostrano agli studenti alcune strisce su cui sono state scritte frasi già note, come quelle che abbiamo
visto prima, con poche aggiunte:
Alì canta la canzone francese
Kadi prepara il caffè
Suleman taglia la torta di Margherita
Omar arriva tardi
Nixon vuole la maglia gialla
e così via.
Le leggiamo, ci passiamo le strisce di mano in mano finché tutti non le leggono bene e ne hanno
compreso il senso. Questa è una parte importante, a noi piace molto e ci piace anche molto questa cosa
di passarsi la striscia, come anche i foglietti al mattino, quando rileggiamo frasi della lezione precedente
pescandole a turno da un cestino, perché sviluppa molto l'autocorrezione.
A questo punto tagliamo la frase (isoliamo il verbo, il nome con l'articolo insieme, l'aggettivo). Si
distribuiscono questi pezzi di cartone agli studenti, come fossero carte da gioco, e si chiede loro:
a) di mettere nella scatola rossa i verbi
b) di mettere nella scatola grigia quel che non è verbo ma non può stare nella scatola nera.
E' un lavoro che viene fatto rapidamente, se la parte precedente si è davvero radicata.
Quando tutti hanno finito le loro carte, per prima cosa si guarda cosa c'è dentro la scatola rossa. Uno
studente prende la scatola sulle gambe, inizia a tirare fuori i pezzi di carta e ci si confronta con gli altri,
per verificare insieme ed eventualmente correggere.
Lo stesso si fa con la scatola grigia, per controllare che non vi siano verbi.
La famiglia del nome
Parallelamente al verbo, per contrasto, introduciamo il nome.
Maria Montessori pensava al nome come a un triangolo nero o, addirittura, a una piramide nera - con la
base molto larga, ben ferma sulla terra - capace di resistere all'usura del tempo. Laddove il verbo si
muove continuamente, come un sole o una sfera, il nome sta. Che sia concreto, astratto, comune o di
persona, il nome non cambia stato.
Come trasmettiamo il nome?
Di solito cerchiamo di avvicinarlo con dei giochi: giochi sul nome di persona, per esempio,
introducendo l'idea centrale che ognuno di noi ha un nome, e che ogni cosa a questo mondo è il nome.
Un'altro gioco molto importate è quello di iniziare a dare un nome a tutte le cose che abbiamo
intorno, seguendo un po'quello che ha scritto una volta Elias Canetti:
Dare un nome alle cose è la grande e seria consolazione concessa agli uomini.
E' un gioco che riesce bene tanto più l'ambiente è ricco di oggetti, di cose belle.
Possiamo farlo scrivendo inizialmente le parole che gli studenti già conoscono, e chiedendo loro di
mettere il cartellino sull'oggetto corrispondente, e poi via via dando nome insieme a loro a tutto quello
che abbiamo intorno. Presto verranno fuori nomi di cose o di persone che non ci sono, e allora
possiamo decidere di mettere in un posto i nomi di quel che non abbiamo intorno in quel momento,
ma che esiste, e che è ben presente nella nostra mente. Questo ci avvicina al nome astratto, ma
soprattutto all'idea Montessori, molto bella, secondo la quale il poter dare nome è strettamente legato
alla morte, al ricordo, cioè al poter parlare di quel che non possiamo toccare, avere sotto gli occhi. E' un
lavoro quindi che va mantenuto il più possibile su un piano di scoperta, anche poetica, senza timore
delle emozioni e dei sentimenti che genera.
I nomi possono essere poi classificati - questa della classificazione è una cosa importante sempre,
perché sostiene e aiuta la memorizzazione e anche la strutturazione del pensiero. E così come lo
facciamo con il nome, lo faremo poi anche con i verbi, riunendo magari tutti i verbi di movimento,
oppure i verbi che hanno a che fare con il mangiare...
A seguire, ci posso aiutare ancora le scatole dei simboli.
Aggiungiamo alla scatola rossa e alla scatola grigia, la scatola nera del nome. Procediamo poi nello stesso
modo già usato per il solo verbo, dando come indicazione per il nome di mettere nella scatola nera i
nomi di tutte le cose che si possono toccare.
Si controlla innanzitutto il verbo, che è il più chiaro, e poi, se tutto procede bene, si passa alla scatola del
nome.
Un altro studente prende la scatola sulle ginocchia e inizia il lavoro di correzione con il gruppo.
Quando la scatola contiene solo nomi, si dice che le parole della scatola nera si chiamano nomi e che
tutto ha un nome: le persone, le cose. E che se i verbi si muovono, rotolano come una palla, i nomi
sono fermi, non cambiano mai: quando nasci, i genitori ti danno un nome e quello ti rimane per
sempre.
Ecco perché noi mettiamo sui nomi i triangoli, che hanno una base grande.
Una volta esaurito questo lavoro, una verifica possibile la si può fare con dei simboli piccoli, tagliati
prima dalla maestra, in cartoncino leggero, che verranno sistemati su frasi prese dalla vita della scuola o
dai primi scritti degli studenti (attenzione alle ambiguità della lingua).
Successivamente si introducono nuove classificazioni del nome, e lo si fa suddividendo la scatola del
nome in quattro parti: singolare/plurale, maschile/femminile, e introducendo una nuova scatola, la
scatola dell'articolo - piccola parolina che sta sempre con il nome e che noi identifichiamo con u
piccolo triangolo azzurro:
Lentamente ci avviciniamo a quella che M. chiamava famiglia del nome, composta da
nome+articolo+aggettivo.
L'articolo è come un neonato - senza la mamma, senza il nome, non può stare.
La mamma, invece, può stare anche senza il bambino.
Dove c'è un articolo c'è un nome.
Mamma e bambino vanno sempre d'accordo: se la mamma è femminile, anche il bambino è femminile;
se la mamma è plurale, anche il bambino è plurale, e così via. S'introduce così il concetto di
concordanza, anche se non espresso, che sarà poi utile anche al momento dell'aggettivo, e lo si mostra
fisicamente suddividendo l'interno delle due scatole in quattro parti: maschile, femminile, singolare,
plurale.
Si riprendono le parole della scatola del nome e si tagliano gli articoli. Di nuovo in cerchio si
distribuiscono e si chiede di metterli nel giusto scomparto.
Quando il lavoro è finito, si controlla per prima cosa l'articolo e si desume dagli esempi, facendo tutti
insieme un accurato lavoro di classificazione, confronto e osservazione, lo schema generale, che si
riporta su lavagna.
La stessa classificazione faremo poi con il nome, suddividendo la scatola in quattro parti.
Si arriva adesso all'aggettivo, bambino grandicello, che di solito sta con la mamma ma a volte se ne va
per conto, magari accanto al verbo. L'aggettivo è semplice da fare dal punto di vista del genere e del
numero, perché sono cose che si sono già viste con nome e articolo.
Anche l'aggettivo può essere introdotto con dei giochi. Montessori usava i cartellini - comando:
portami un pennarello
il bambino porta un pennarello.
no, non volevo questo.
portami un pennarello giallo
Il bambino porta una penna gialla
ma no, non volevo questo...
portami un pennarello giallo e grosso
l'aggettivo serve quindi a precisa il nome,
Con l'aggettivo, che Montessori rappresenta con un triangolo blu,
finisce la famiglia del nome, solitamente rappresentata con una mamma che tiene in braccio un
bambino piccolo e per mano uno più grande:
Anche l'aggettivo può essere o rafforzato con il sistema delle scatole dei simboli, e come la scatola del
nome e dell'articolo viene suddivisa in 4 scomparti (genere, numero).
L'utilizzo delle tre scatole, più quella del verbo e quella grigia dove mettere ciò che non si conosce,
aiuta a fissare le concordanze.
A questo punto si può fare l'analisi grammaticale di una piccola storia già conosciuta:
Come al solito prima si legge e ci si accerta che proprio tutti la capiscano con l'aiuto di immagini
(cicogna, volpe, piatto, vaso, rane ecc), poi, scritta la storia su grandi fogli, la si dà per un lavoro a
piccoli gruppi, quattro cinque persone al massimo. Mettere i simboli (e non disegnarli) è importante: si
possono muovere, discutendo insieme fino a trovare una soluzione soddisfacente al piccolo gruppo.
Ovviamente non si darà il simbolo dell'avverbio. Si dà invece la preposizione seppur non ancora vista in
dettaglio, perché magari già emersa con i verbi di movimento.
La volpe invita la cicogna bianca.
Serve la minestra in un piatto.
(eccetera)
La volpe lecca la minestra calda.
La cicogna bagna la punta del becco lungo.
Ha ancora fame.
La volpe chiede: "La minestra è buona?"
La cicogna invita la volpe.
La cicogna serve rane in un vaso lungo e stretto.
La volpe non può mangiare.
La cicogna chiede: "Le rane sono buone?".
La volpe torna a casa.
Ha la pancia vuota.
La famiglia del verbo
è formata da
pronome
verbo
avverbio.
Importante:
I tre solitamente stanno assieme, ma accade che l'avverbio, un po' come l'aggettivo, se me vada per
conto suo, proprio come un figlio grandicello. L'avverbio può infatti rafforzare il significato
dell'aggettivo.
Possiamo anche dire che l'avverbio sta a metà fra le famiglie del nome e del verbo e gli aiutanti.
Come loro, infatti, ha un proprietà speciale: non cambia mai (la desinenza non muta, la parola non
subisce le leggi della concordanza della coniugazione).
Per presentare l'avverbio, i giochi mimati sono forse la cosa migliore e avvicinano al concetto dei
sinonimi, che lentamente spostano il significato.
Possono essere fatti a squadra e poi isolati per vederne il senso anche vicino ad altri verbi.
Camminare velocemente.
camminare come?
velocemente.
C'è un verbo che da solo dice camminare velocemente?
Correre.
Correre piano.
Correre piano e camminare velocemente sono uguali?
No, si..
Si possono ovviamente fare giochi di squadra con mimo, per catturare via via gli avverbi:
La cosa migliore è partire dai verbi di movimento:
Mohamed cammina velocemente
Suleman cammina piano
ma presto si possono introdurre anche altri verbi:
Alena canta benissimo
Nancy scrive piano piano
Questa è la prima parte del discorso non soggetta a trasformazione. La scatola, infatti, non ha
scomparti: l'avverbio non cambia mai. Può però a volte staccarsi dal verbo, che è il suo naturale
compagno, per andare accanto all'aggettivo. Anche in questo caso, però, è una parte indeclinabile, e
questo è un concetto che va estratto insieme agli studenti analizzando gli avverbi che via via finiscono
nella scatola, classificandoli e mettendoli a confronto.
Infine appartiene alla famiglia del verbo il pronome, che sicuramente è apparso in classe già decine e
decine di volte, ma che ancora non abbiamo affrontato in modo specifico.
Simbolicamente rappresentato da un triangolo viola (un misto di forma e colore della famiglia del nome
e del verbo), viene presentiamo come un vero e proprio usurpatore, un pirata, nelle scuole Montessori,
che prende il posto del nome - e lo si fa partendo da giochi come:
mettersi il simbolo del pronome addosso, distrarre un compagno col proprio nome scritto in nero e
sedersi al posto suo;
provare a spingere giù dalla sedia un compagno....
Insomma, deve passare l'idea che il pronome prende sempre il posto di un nome. Questa è una
definizione importante perché aiuterà più avanti a distinguere il pronome dall'aggettivo.
Si parte ovviamente dai pronomi soggetto:
Io.... mangio
tu ..... bevi
lui ..... corre
noi ..... guardiamo
voi ..... parlate
loro .... litigano.
Io è semplice, tu anche.
Per lei e loro facciamo dei piccoli dialoghi in classe: io e tu parliamo di lui e lei/lui - poi il lei diventa un
nuovo tu in un secondo dialogo e così via. Poi noi e voi parliamo di loro, eccetera - creando tre piccoli
gruppi, due che si parlano e un terzo, più lontano, che cerca di sentire, di ascoltare.
Anche con il pronome si procede per frasi da sezionare e quindi parole da classificare inserendole nella
scatola. Attenzione però che siano solo pronomi soggetto.
Importante: con le scatole è bene stare molto attenti alle ambiguità di alcune parole,
come questo, alle parole cioè che mutano funzione a seconda del posto che occupano
nella frase o a chi sono accanto!
Ancora su pronomi:
A un avanzato, si può proporre anche il pronome oggetto, il pronome come particella che si attacca al
verbo (verbi riflessivi). In questo caso i simboli sono di grande aiuto:
Io mi vesto.
Innanzitutto analizziamo questa frase con il sistema delle frecce:
Chi? Che cosa?
Chi? Che cosa?
io
vesto
Io secondo luogo, usiamo i simboli:
io
vesto me
per arrivare alla frase corretta
io mi
vesto
mi = me stesso = me
E' molto utile usare i simboli di cartone che si possono spostare sul foglio.
Non vestirti! = (Tu) non vestire te stesso =
(Tu) non vestire te.
Dopo l'analisi logica (non vestire sotto il verbo), te sotto il complemento, tu sotto il soggetto,
si procede con quella dei simboli, muovendoli fino ad ottenere:
non
vestirti.
Attenzione ai riflessivi apparenti, verbi cioè che non vogliono il complemento oggetto ma il
complemento di termine:
Io mi metto un vestito.
Io metto un vestito a me.
Chi? Che cosa?
Chi? Che cosa?
io
un vestito
metto
A chi? A che cosa?
a me
L'analisi grammaticale è invece questa:
io mi metto un vestito
Giunti a questo punto, si può fare l'analisi grammaticale di una storia. Se ci sono livelli diversi nella
classe, i fogli possono via via complicarsi e ogni gruppo può così avere pane per i propri denti.
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I 3 aiutanti
preposizione
congiunzione
interiezione (grande punto esclamativo)
E' difficile dire quanto introdurli. Vengono da sé, via via che i testi degli studenti diventano più
complicati e corretti.
Il simbolo della congiunzione è utile quasi da subito, perché aiuta a sottolineare la differenza fra la e e la
è, cioè appunto fra il verbo essere e la congiunzione. Aiuta poi a mostrare la successione delle frasi e
come certe parole le colleghino le une alle altre:
e, o, oppure, allora, dunque, perché, poi, ma, però, inoltre, appena, sebbene, nonostante che...
Le interiezioni compaiono raramente nei testi, ma possono essere divertenti da fare perché molto
comuni nella lingua parlata dagli italiani, e le persone straniere sono giustamente sensibili ai modi di
dire, alle parole ricorrenti che assumono funzione esclamativa pur essendo avverbi o altro:
Mah! Oh!, Bah!, Santo cielo! Mitico! Forza! Maledizione! Coraggio! Ciao! Vai al diavolo! Mamma mia!
I simboli si prestano molto bene all'analisi grammaticale anche su testo libero - poterli spostare sulla
pagina, cercare loro il posto giusto, per quel poco che abbiamo avuto modo di vedere funzionano molto
bene. Aiutano a verificare visivamente come alcune parole siano fisse (articolo, nome...), altre mutino a
seconda della funzione all'interno della frase (pronome e aggettivo, per esempio). Laddove non si può
utilizzare il sistema delle scatole, i simboli vanno benissimo.
Ma bisogna conoscere bene la grammatica: il testo libero mette fortemente alla prova.