san giorgio - Vincenzo Mercante

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Vincenzo Mercante
SAN GIORGIO
Inviato da Vincenzo Mercante
sabato 22 febbraio 2014
MERCANTE VINCENZO
SAN GIORGIOCulto e leggendeCapitolo 1
L'ARCHEOLOGIA E IL CULTO DI SAN GIORGIO
Il martirologio romano del 2001 (Editio typica) il 23 aprile facendo menzione di S. Giorgio afferma che il suo culto era
diffuso fin dai tempi antichi in tutte le chiese da Oriente ad Occidente, specialmente nella città di Lidda (conosciuta anche
come Georgiopolis fino al XIII secolo, oggi Lod a 15 km da Tel-Aviv), nella cui cattedrale era stato sepolto il suo corpo
dopo il martirio.Dopo l'editto di tolleranza di Costantino, ma soprattutto quando con l'imperatore Teodosio il cristianesimo
divenne la religione ufficiale dell'Impero, si sviluppò grandemente il monachesimo e si moltiplicarono incredibilmente i
pellegrinaggi.I pellegrini sbarcati nel porto di Giaffa, imboccavano la strada per Gerusalemme facendo sosta a Lidda per
visitare la tomba del santo, e fra questi nel 530 troviamo il diacono Teodosio che ne lasciò memoria nei suoi scritti.Intanto
la Palestina veniva travolta da una serie d'invasioni straniere. Nel 614 Kosroe II di Persia vinse i bizantini, occupando la
Palestina e Gerusalemme. Durante la conquista e il saccheggio venne trafugata e portata in Persia a Ctesifonte la Vera
Croce (la croce di Gesù Cristo) del Santo Sepolcro e le chiese di Costantino ed Elena vennero danneggiate dalle
fiamme. Ma nel 628, la città santa, grazie all’intervento del pio imperatore Eraclio, fu riconquistata e liberata. Lo stesso
Eraclio, inoltre, ottenne dai Persiani la restituzione della Santa Croce, e il 21 marzo del 630 il Sacro Legno fu di nuovo
eretto nella Chiesa del Santo Sepolcro e si riprese a celebrare, il 14 settembre seguente, la festa della Esaltazione. Seguì
la conquista araba: nel 637 il califfo Omar entrò in Gerusalemme mettendo fine al dominio bizantino. Gerusalemme,
considerata sacra anche dai musulmani, dipendeva direttamente dal califfo. Sotto il dominio arabo (fino al 10° sec.) la P.
godette di prosperità; le diverse dinastie di califfi (Omayyadi, Abbasidi) si mostrarono tolleranti verso ebrei e cristiani e
continuarono i pellegrinaggi ai Luoghi santi. Nel 10° sec. cominciò per la P. un lungo periodo di guerre e di sconvolgimenti:
furono dapprima i Fatimidi che, installatisi nell’Africa settentrionale e in Egitto, mossero alla sua conquista: dal 969 il
Paese rimase sotto il loro dominio, e il califfo al-Hakim mise in atto una feroce persecuzione che portò alla distruzione
della chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme (1009). Molto intolleranti furono pure i turchi Selgiuchidi, che nel 1076
s’impadronirono stabilmente del Paese. Le violenze da essi perpetrate provocarono grande sdegno in Europa e furono
non ultima causa delle crociate, che ebbero la P. come principale terreno d’azione. In seguito alla conclusione vittoriosa
della prima crociata (1099: conquista di Gerusalemme), si costituì il regno latino di Gerusalemme che ripropose in P. gli
schemi occidentali dell’organizzazione feudale. Nel 1174 il Saladino si proclamò sultano indipendente di Egitto e dichiarò la
guerra santa ai cristiani: il regno latino fu progressivamente ridotto d’estensione e, dopo la riconquista di Gerusalemme
(1189), cadde (1291) l’ultima roccaforte, S. Giovanni d’Acri. La P. restò sotto il dominio dei sultani mamelucchi d’Egitto fino
alla conquista turca del 1517; dopo di allora, mentre in Egitto i mamelucchi, pur sottoposti alla sovranità di Istanbul,
mantennero un notevole grado di autonomia, Siria, Libano e P. furono pienamente integrate nell’ambito
dell’amministrazione ottomana. Questa si mostrò tollerante nei confronti delle numerose minoranze religiose presenti
nell’area siro-palestinese: ebrei, cristiani delle diverse confessioni, drusi e musulmani non sunniti godettero
complessivamente di un’ampia libertà di culto. Nel contesto di secolari vicende si collocano importanti testimonianze.
Nell'anno 570 l'anonimo pellegrino di Piacenza scrive che nelle vicinanze di Diospoli (Lidda) si trova una colonna con
infitta una croce di ferro su cui venne flagellato il Signore, e coloro che sono tormentati da spiriti demoniaci vi vengono
posti sopra e sono guariti per intercessione di S. Giorgio.Il sacerdote Arculfo visitando la Palestina nel 688 colse subito la
contraddizione insita nell'affermazione dell'anonimo piacentino e lasciò scritto sulla colonna era stato flagellato S. Giorgio
essendo su di essa dipinta l'immagine del Santo, che opera molte guarigioni.Il pellegrino Epifanio nell'840 afferma che,
nella festa del Santo, la colonna emanava sangue per tre ore. Alla colonna S. Giorgio venne legato con le catene e in
oriente in varie chiese a lui intitolate si poteva vedere una catena attaccata al muro alla cui estremità era inserito un
collare, che veniva messo attorno al collo dei malati di mente per propiziarne la guarigione. Nel 1514 il mercante Barone
Morosini ebbe la fortuna di toccarne una nella chiesa di Lidda, una seconda nei pressi di Betlemme e la terza nella
chiesa dei Copti ortodossi a Geusalemme.“A chi soffriva di schizofrenia veniva infilato il collare e poi lo si lasciava solo
durante tutta la notte; misteriosamente S. Giorgio toccava il demente liberandolo dal male oppure mediante sogni
prescriveva le medicine adatte alla guarigione.Era invalsa anche l'usanza di portare i bambini malati nelle chiese del
Santo: i genitori promettevano di non tagliare loro i capelli per due-tre anni, poi una volta guariti tagliano loro i capelli e
offrono al Santo tanto denaro quanto pesano i capelli tagliati”.Bellarmino Bagatti nello scritto Antichi villaggi cristiani della
Giudea e del Neghev,Gerusalemme 1983, nei suoi scavi archeologici afferma di aver trovato numerosi luoghi di culto
dedicati a S. Giorgio e nomina: Efraim, Jfna, Deir el-Balh, il monte Nebo, Ezra, Madaba, due grotte di culto nei pressi di
Acri, Gerasa, Nahita, Sama... insomma il culto del Santo era popolarissimo nelle terre d'Oriente.Con l'andar del tempo S.
Giorgio venne rappresentato vestito da guerriero ritto in piedi con una lancia a forma di croce nella mano destra, mentre
la sinistra teneva uno scudo poggiato a terra. Lo stesso pellegrino Arculfo racconta che “un cavallo inferocito per i
maltrattamenti sbatté il proprio padrone contro la famosa colonna; pure un nobile, ottenuta una grazia, aveva promesso
di donare il suo cavallo al Santo, ma non mantenne la promessa. Allora il cavallo puntò i piedi per terra e non fu possibile
smuoverlo finché il cavaliere non si decise a mantenere la promessa” (San Giorgio e il Mediterraneo, a cura di Guglielmo
de' Giovanni Centelles, Città del Vaticano 204, pp. 35-36).In Europa e più precisamente nella Spagna pirenaica i re di
Navarra, Léon, Asturie e Castiglia, incessantemente sostenuti dai potenti abati di Cluny e vettovagliati dai papi, dal
secolo IX in poi stavano lottando accanitamente per ricacciare gli arabi dalla penisola iberica e in testa ai loro eserciti
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erano soliti porre le insegne e le reliquie di S. Jacopo di Compostela, “visto più combattente a fianco dei cristiani nell'atto
di sbaragliare gli infedeli, tanto che passa alla storia con il nome di matamoros, uccisore dei mori”.In Oriente erano
venerati quattro santi guerrieri: Demetrio, Leonzio, Teodoro, Giogio raffigurato su di un cavallo bianco mentre sta
conficcando la lancia nel corpo di un uomo con le gambe incatenate e le mani legate, simbolo della vittoria sul nemico
oppressore dei cristiani.L'Apocalisse al capitolo sesto ci presenta quattro cavalli: “il primo è di coloro bianco e colui che vi
stava sopra aveva un arco e gli donata una corona e partì vincitore per riportare nuove vittorie”. Il simbolo è chiarissimo:
rappresenta Cristo vincitore del mondo.Da questo contesto leggendario prese l'avvio la leggenda di S. Giogio cavaliere
che trionfa su uomini e mostri del male. Ma c'è ancora un particolare. Pellegrini e soldati in partenza per la Terra santa
dal porto di Brindisi salivano prima al conosciutissimo santuario di S. Michele Arcangelo fra le colline del Gargano. Oltre
a purificarsi con riti penitenziali ingerendo l'acqua che sgorgava prodigiosamente dal soffitto umido della grotta,
sostavano a lungo davanti alla statua dell'Arcangelo con le ali distese, armato, mentre nella mano destra porta la spada
e la sinistra tesa verso un aggrovigliato dragone dai lineamenti terrificanti schiacciato dal piede sinistro alla gola e dal
destro nel mezzo del corpo. In altre raffigurazioni il principe delle milizie celesti a cavallo imbraccia una lancia con cui
infilza un mostro che prende varie forme: la più comune è un dragone, ma compare pure il serpente, il pipistrello, un
animale che ha il suo covo nelle profondità della terra, un coccodrillo che esce di notte da stagni puzzolenti per divorare la
preda. Il dragone invece vive in fondo al mare o alle terra, nel deserto, in grotte paurose sempre vigile per assaltare
qualche malcapitato. Le prerogative dei due santi in parte si sovrapposero dal momento il compito di S. Michele venne
trasferito in S. Giorgio arricchito di nuovi particolari Il simbolismo è di una chiarezza eclatante: rappresenta le forze del
male contro cui il cristiano deve lottare. Sia nei testi del profeta Daniele che nell'Apocalisse di Giovanni appare sempre
sconfitto, non senza aver però provocato immensi danni.Al tempo delle crociate il Santo appare seduto su di un cavallo
bianco armato di un lunga lancia, con il torace ora coperto da una corazza ora dal mantello crociato, pronto ad
intervenire in battaglia in aiuto dei guerrieri combattenti contro i musulmani. Secondo la leggenda intervenne la prima
volta nel 1089 nei pressi di Antiochia in un momento di estrema difficoltà dei crociati decisi a riconquistare Gerusalemme.
Gli infedeli occupanti i luoghi santi incarnavano il male assoluto, il diavolo, raffigurato come bestia mostruosa. Già la
mitologia pagana aveva tramandato che l'eroe Perseo, recatosi in Etiopia, era stato informato che un orribile mostro,
incarnante uno spirito del male, divorava persone e animali. Estratta a sorte anche Andromeda, la figlia del re, stava per
essere data in pasto al mostro, ma Perseo appena la vide legata ad una roccia, in attesa di una orribile fine, se ne
innamorò perdutamente salvandole la vita.In Egitto la figura di Giorgio venne abbinata al dio Horus, “purificatore del Nilo,
cavaliere dalla testa di falco, in uniforme romana intento a trafiggere un coccodrillo tra le zampe del cavallo”.Da qui
potrebbero aver preso spunto i racconti del nobile ed intrepido cavaliere Giorgio che salva una fanciulla di stirpe regale
da un pericolo mortale. Correva fra le genti d'Oriente la leggenda che il gran re d'Israele Salomone fosse apparso su di
un cavallo bianco intento a lottare contro i dèmoni. Nel sud della Francia era vivissima la rappresentazione di Maria
Maddalena, che giunta assieme alle altre due Marie su di una barca nella Camargue, aveva scelto di vivere in solitudine
in una grotta frequentata da tempi immemorabili dal terribile drago Tarascone (o Tarasque). La Maddalena desiderava
chiudersi in meditazione in quel luogo e si rivolse allora all'arcangelo affinchè liberasse la grotta dal terribile drago, cosa
che egli fece senza riserve. La leggenda è simile a quella della Tarasque di Tarascona che vede però coinvolta Santa
Marta. La Tarasque è in questo caso un mostro mezzo animale e mezzo pesce e viveva nei boschi accanto al Rodano. Il
bosco dove si nascondeva si chiamava Nerluc, il sacro bosco nero. Allora intervenne la Santa e grazie alla sua
gentilezza e santità rese mansueto il mostro: gli legò quindi al collo la sua cintura e lo consegnò al popolo che però lo uccise
senza pietà. Santa Marta col drago al guinzaglio è raffigurata in molti luoghi sacri come all'Abazia di Sant'Antonio di
Ranverso, a Torino.Se per Maria e Marta si tratta di leggende, furono storicamente i crociati a traferire in Occidente il
culto di S. Giorgio, mentre i Normanni lo impiantarono soprattutto in Sicilia e Calabria tra popolazioni afflitte da un'infinità
di guai. Su questo terreno imbevuto di santi si staglia la figura del dotto domenicano Jacopo da Varazze (o Varagine,
Voragine, 1229 circa-1298), formidabile predicatore, arcivescovo di Genova, rimasto famoso per la Legenda Aurea, una
raccolta di vite di santi secondo il calendario liturgico.Il 23 aprile si faceva memoria di S. Giorgio cavaliere che lotta
contro un dragone dagli occhi di fuoco per liberare una fanciulla. La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, e
probabilmente, fu influenzata da una falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore cristiano Costantino, trovata a
Costantinopoli, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del nemico del genere umano.La
fantasia popolare ricamò sopra tutto ciò, e il racconto, passando per l'Egitto, dove San Giorgio ebbe dedicate molte chiese
e monasteri, divenne una leggenda affascinante, spesso ripresa nell'iconografia in oriente ed occidente.San Giorgio non
è l'unico personaggio che uccide un drago; anche ad altri le leggende riconoscono simili imprese, come ad esempio in
Italia san Mercuriale, protovescovo e patrono di Forlì, spesso raffigurato nell'atto di rinchiudere appunto un drago in un
pozzo. È facile anche confondere san Giorgio, soprattutto nelle icone greche, con san Demetrio: le differenze tra i due
santi sono, sempre per quanto riguarda l'iconografia greca, il colore del cavallo (Giorgio lo ha bianco, Demetrio nero) e il
bersaglio del cavaliere (Giorgio uccide un drago, Demetrio un moro). Anche san Teodoro martire d'Amasea
nell'iconografia è rappresentato a cavallo o a piedi in atto di uccidere un drago o un serpente.Jacopo da Varazze diede
però al combattimento uno specifico significato, cioè l'obbligo del cristiano ad estirpare i vizi interiori, mentre nel mondo
cavalleresco prevalse l'idea del cavaliere di Cristo che si impegna sia nella protezione dei deboli (bambini e donne) sia
nella difesa della fede cristiana contro i nemici interni al cristianesimo (eretici ed ebrei) brandendo poi la spada contro gli
infedeli viventi creature di satana.Correvano i tempi della cavalleria, del Dio lo vuole, del privilegio del Paradiso per chi
cadesse in battaglia in terra di Palestina, delle benedizioni ed indulgenze papali, dell'esaltazione di chi moriva martire per
la riconquista della Spagna in Occidente, delle terre palestinesi in Oriente. Chi seppe tradurre in elegante latino gli ideali
del cavaliere crociato fu S. Bernardo di Chiaravalle con il conosciutissimo scritto De laude novae militiae ad Milites
Templi, (La lode della nuova milizia per i Soldati del Tempio).Ma significativo è pure l'armamentario del cavaliere Giorgio.
Il cavallo è da sempre immagine di spirito bellicoso e fierezza “e il suo alto nitrito incute spavento nella battaglia”, anche se
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“il cavallo non giova per la vittoria e con tutta la sua forza non può salvare, perchè solo al Signore appartiene la gloria”.
Considerato come “il mulo privo di intelligenza, la sua fierezza è piegata con morso e briglie”.Nei profeti il cavallo appare di
continuo al servizio di Dio, soprattutto in Zaccaria (Zc 1, 8s; 6, 1-8;). In 2Mac 3, 25 cinque splendidi uomini appaiono dal
cielo su cavalli dalle briglie d'oro ed iniziano a lottare contro i nemici di Dio guidando gli ebrei.Nell'Apocalisse appaiono 4
cavalli di vari colori con vari terribili incarichi, forse eccetto il primo tutto bianco il cui cavalieri combatte contro
l'ingiustizia.Nel Medioevo anche il papa cavalcava in certe circostanze un cavallo bianco bardato di rosso e oro “a
simboleggiare la sua lotta contro il peccato”.La lancia ha assunto nel corso dei secoli una smisurata importanza in quanto
riferita alla lancia che colpì il costato di Cristo in croce. “La Lancia Sacra è oggi custodita nella Schatzkammer dell’Hofburg
di Vienna, con il numero di inventario XIII 19. Quella che si presenta ai visitatori è la parte superiore di una lancia alata di
50,7 cm. L’asta, originariamente in legno, è andata perduta. Sulla lama è applicata una sezione a forma ovale, lunga 24
cm e larga nel punto massimo 1,5 cm, in cui è inserito un sottile pezzo di ferro (la cd. spina) ornamentale, mancante
della parte inferiore. La spina è, secondo la tradizione, un chiodo della croce di Cristo e, anche se la leggenda stessa è
stata più volte criticata, segni di alcune ageminature a forma di croce sulla parte inferiore della lama potrebbero indicare
l’inserimento di particelle di chiodi.La lama è rotta. Ma doveva esserlo già prima dell’anno 1000, perché nella copia fatta
realizzare da Ottone III ed ora a Cracovia, è stata inserita anche una riproduzione della spina. Il punto di rottura è stato
rivestito da una triplice fasciatura, in ferro, poi argento e infine oro. Sulla banda d’argento si legge la seguente iscrizione
latina, fatta incidere da Enrico IV tra il 1084 e il 1105:
« CLAVVUS + HEINRICVS D(EI) GR(ATI)A TERCIVS ROMANO(RUM) IMPERATOR AVG(USTUS) HOC ARGENTUM
IVSSIT FABRICARI AD CONFIRMATIONE(M) CLAVI LANCEE SANCTI MAVRICII + SANCTVS MAVRICIVS »
La banda d’oro, invece, realizzata per conto di Carlo IV, ha la seguente iscrizione:
« +LANCEA ET CLAVUS DOMINI La lancia sacra venne dunque presto identificata, in ambiente cristiano e romano, come
la lancia del legionario che trafisse il corpo di Cristo per accertarsi della morte. Non è però questa l’unica lancia sacra che
venne assimilata a quella di Longino.Le cronache della Prima crociata ci parlano infatti di una "lancia sacra di Antiochia":
già l’apostolo Giuda Taddeo dal Golgota avrebbe portato con sé in Armenia la lancia di Longino, che avrebbe lasciato nel
monastero di Geghard (40 chilometri a sud ovest di Yerevan) da lui fondato (ma in realtà del IV secolo). Nel 1250 il
monastero prese infatti il nome di Geghardavank ("Monastero della Sacra Lancia"), ed ancora oggi si chiama così.Anche
san Luigi IX, che durante le Crociate portò con sé molte reliquie, identificò una di queste con la lancia di Longino. E
ancora, nel 1492 il sultano Bajazeth regalò a papa Innocenzo VIII parte di una Lancia che qualificò espressamente come
lancia di Longino, conquistata, si disse, a Costantinopoli nel 1453.Quest’ultima venne identificata con la parte inferiore
della reliquia di Luigi IX. Se questa “lancia papale” è oggi ancora custodita a San Pietro in Vaticano, la lancia di San Luigi,
conservata nella Sainte-Chapelle, andò distrutta durante la Rivoluzione francese”.Capitolo 2
IL DRAGO
La leggenda della lotta con il mostro è uno dei temi agiografici più noti nella devozione popolare a S. Giorgio e
costituisce l'ispirazione primaria per le arti figurative. Nata in Oriente nel secolo XI e, secondo le affermazioni dei cronisti
della I crociata, più precisamente nel 1098 quando tre santi guerrieri Giorgio, Demetrio e Mercurio vennero in visibile
soccorso ai crociati nell'occupazione di Antiochia mentre alle loro spalle stava per sopraggiungere un agguerrito esercito
turco.L'episodio venne raccolto e diffuso da Jacopo da Varazze nella Legenda aurea e da Jacopo Stefaneschi nella
Narratio de dracone ed de daemone con uno schema attraversò l'intera Europa.Originario della Cappadocia, il tribuno
Giorgio giunse un giorno a Silena, città della Libia, terrorizzata da un enorme drago che, nascosto in una palude,
avvelenava con il suo fiato tutti coloro che osavano avvicinarsi. Per placarne il furore omicida, ogni giorni gli venivano
offerte in pasto due pecore, poi, data la mancanza di ovini, una pecora e una persona estratta a sorte senza eccezione
alcuna. Caduta la scelta sopra l'unica giovane figlia del re, nonostante i suoi pianti, il suo rifiuto e le suppliche, i notabili
non ammisero eccezioni e l'avviarono verso le fauci spalancate del drago. Ma proprio in quel momento passa S. Giorgio
a cavallo armato di lancia appuntita e, commosso dalla bellezza straordinaria della ragazza, affronta il mostro ferendolo
mortalmente, poi lo lega con le corde della principessa, lo trascina in città, lo uccide esigendo però in cambio la
conversione alla fede cristiana della famiglia reale assieme ai sudditi. Dopo aver assistito al battesimo di 20.000 uomini
senza contare le donne e i bambini, Giorgio istruisce il re su quattro punti: aver cura delle chiese, rispettare i sacerdoti,
ascoltare la recita dell'officio divino, essere generoso con i poveri. Quindi, rifiutata ogni donazione, risale sul suo cavallo
bianco alla ricerca di altri luoghi o persone da risanare.Il nucleo del suddetto racconto si ritrova pure nella Leggenda di S.
Teodoro soldato e martire veneratissimo in Oriente. Giovane di bellissimo aspetto, cavalcando con dignità un bianco
cavallo, incrocia un drago-demone il cui sibilo fa tremare uomini e bestie forzatamente attirate nelle sue ingorde fauci.
Cerca di fermarlo una piissima donna di nome Eusebia gettandosi tra le zampe del cavallo, ma l'intrepido Teodosio,
elevata una supplice preghiera all'onnipotenza divina, estrae la spada e si lancia contro il mostro troncandogli con un sol
colpo la testa irta di corni. Esterrefatti gli abitanti della zona si convertono al Dio del cavaliere, appiccando poi il fuoco ad
un grande falò sul quale scaraventano le divinità in legno e metallo precedentemente adorate.A quale retroterra si rifanno
questi racconti? . Nella mitologia pagana si favoleggiava di vari eroi, come Ercole, che avevano liberato l'umanità da
mostri spaventosi. Ma già nel IV secolo circolavano sia un'immagine di Costantino il Grande con il capo munito del nimbo
crucigero o dall'elmo sormontato dalla croce in atto di calpestare il serpente sia emissioni monetali auree dei suoi
successori aventi sul verso gli imperatori cristiani a piedi o a cavallo calpestanti il dragone e sul recto uno scudo con la
raffigurazione di un cavaliere che saetta il drago. In questo mostro lo storico Eusebio di Cesarea espressamente incarna
la trafittura del paganesimo o l'olimpo degli dei pagani, mentre altri vi vedono l'infernale persecutore Diocleziano
destinato alla dannazione eternaMa la fonte emblematica rimane il dragone dell'Apocalisse chiamato diavolo e satana,
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che nella lotta con l'arcangelo Michele viene sconfitto e scagliato sulla terra, dove continua sino alla fine dei tempi la sua
opera di opposizione contro Dio e di seduzione contro i credenti.Ancora nell'Apocalisse appare un segno grandioso nel
cielo: una donna vestita di sole grida per le doglie del parto e le angosce nel dare alla luce. Ed ecco un dragone dal
colore del fuoco con sette teste e dieci corna e sette diademi sulle teste si pose davanti alla donna che stava per dare
alla luce per divorare il figlio appena fosse nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a pascere tutte le nazioni con
scettro di ferro e subito fu rapito verso Dio e verso il suo trono, mentre la donna fuggì nel deserto. Si tratta dello stesso
drago vinto da S. Michele, il cui culto era in altissima considerazione nel santuario di S. Michele al Gargano ad opera dei
Normanni vincitori dei musulmani nella conquista della Sicilia portata a termine nella battaglia di Cerami del 1063; nel
mezzo del combattimento l'arcangelo era intervenuto di persona facendo grande strage degli infedeli.Il normanno
Boemondo di Taranto, partito per I crociata, quando arrivò in Oriente, venne a conoscenza di S. Giorgio soldato di Cristo e
lo incarnò in un modello iconografico del tutto simile all'arcangelo Michele, per cui avvenne la sovrapposizione dei due
guerrieri impegnati nella lotta contro il mostro infernale, identificato nelle armate musulmane.Dopo l'anno mille avvenne
in Europa un rifiorire graduale dei commerci, dell'agricoltura, dell'edilizia, insomma un rifiorire della vita resa possibile da
un forte incremento demografico. Ma solo il primogenito ereditava il patrimonio paterno per cui i figli cadetti erano avviati
alle scuole militari, disciplinate da interventi significativi dell'autorità ecclesiastica. Il soldato a piedi, a somiglianza del
milite Giorgio, doveva finalizzare il valore e il coraggio a servizio della fede cristiana, a difesa della Chiesa e per
combattere ogni umana ingiustizia perpetrata contro i deboli e gli inermi.Il cavaliere con la solenne cerimonia
dell'investitura, prendendo ad esempio il cavaliere Giorgio, offriva la propria esistenza per il compimento di nobili imprese
contro i nemici del cristianesimo. In tal modo avveniva la santificazione della violenza in guerra, la sacralizzazione del
proprio ruolo nella società, l'accesso sicuro alla gloria del Paradiso. In tale contesto nascevano i vari ordini cavallereschi
per la conquista e la difesa dei luoghi della Terra Santa, purificati dalle benedizioni papali con annesse indulgenze e
quindi sempre pronti alle battaglie al grido: Dio lo vuole. Alla testa degli eserciti cristiani brillavano alte le insegne
dell'arcangelo Michele e del megalomartire S. Giorgio.
Simbologia
Il drago è l’animale leggendario che ha caratteristiche appartenenti al serpente, al leone, al coccodrillo. Nonostante la sua
origine fantastica, è profondamente radicato nella psiche collettiva, e per questa ragione compare di frequente nei sogni
dell’uomo moderno e civilizzato. Protagonista di fiabe e racconti diffusi in tutte le culture fin dall’antichità, rappresenta le
forze oscure e demoniache da combattere e da vincere.In Cina Infine, elemento importante per il nostro approccio:
diversamente da quanto accadeva nell'occidente medievale, in cui rappresentava l'incarnazione del male e delle forze
maligne, al contrario, in Cina, il drago è una creature benefica e di buon augurio. Annunciava la pioggia e distribuiva
fertilità. Aveva il potere della metamorfosi, il dono di rendersi, a piacimento, visibile o invisibile, e le sue apparizioni in cielo
- sempre folgoranti - erano accolte come presagi di messi abbondanti, garanzie di future ricchezze. Si riteneva che i
draghi potessero nascondersi e annidarsi ovunque, nei cieli, in acqua, sulla terra e sottoterra.
D'altronde, negli ultimi secoli, il drago venne anche associato al potere imperiale: divenne “l’animale emblematico
dell'imperatore", detto "Figlio del Cielo", ma anche "Volto di Drago". In questo caso il nostro animale soprannaturale
simboleggiava la funzione, che spettava all'imperatore, di assicurare i ritmi stagionali e lo scorrere armonioso della vita.
L'Imperatore era garante dell'ordine e della prosperità dell'universo.Al collo dei draghi era spesso rappresentata una perla
appesa, che ricordava il fulgore e la perfezione delle parole dell'imperatore, la precisione del suo pensiero e
l'assennatezza degli ordini del sovrano. "Non si discute la perla del drago" soleva ripetere lo stesso Mao Zedong!Così, in
Cina, nonostante il suo aspetto fantastico, il drago non ha mai assunto quelle caratteristiche paurose e bellicose che gli
conferirono i nostri artisti, opponendolo a San Giorgio o a San Michele, per esempio. A1 contrario, in Cina lo vediamo
spesso bonario, che gioca con un compagno a rincorrere una perla infiammata, il "rubino magico", una specie di pallina
irta di una voluta, che si diceva producesse lampi e tuoni.Padroni della Pioggia, manifestazioni delle forze celesti, si
credeva che i draghi lasciassero i propri rifugi terrestri (come l'alligatore!) o le profondità degli oceani, in aprile, per salire
in cielo e da lì far cadere la pioggia tra i lampi e il fragore del tuono. Così annunciavano il risveglio della natura e delle sue
energie. Poi, all'equinozio d'autunno, ridiscendevano sulla terra, sotto terra e negli abissi oscuri dei mari
Nell'iconografia cristiana il drago rappresenta Satana, il diavolo, spesso rappresentato sconfitto da santi e cavalieri.
Rabano Mauro: «il drago è il diavolo, è Satana, e draghi sono i suoi adepti». Isidoro di Siviglia: «è il piú grande di tutti gli
animali; è una bestia sotterranea ed aerea che ama lasciare le caverne in cui si nasconde per volare nell’aria; la sua
forza risiede non nella bocca o nei denti ma nella coda con cui può stritolare il suo avversario per eccellenza,
l’elefante».Rufillo vescovo di Forlimpopoli e San Mercuriale vescovo di Forlì (V° secolo) furono impegnati con la bestia
malvagia.Tra Forlimpopoli e Forlì si annidava un drago che col fiato ammorbava l'aria e provocava la morte delle
persone. I vescovi Ruffillo e Mercuriale si recarono alla tana del drago gli strinsero attorno alla gola le loro stole e lo
gettarono in un profondo pozzo, chiudendone l'imboccatura con un memoriale San Bernardino Tolentino, vescovo di
Lodi, uccise il drago Tarantasio del lago Gerundo. Lo scheletro fu conservato nella chiesa di S. Cristoforo a Lodi fino al
1700 e una costola nel Santuario Nativitá della Beata Vergine di Sombreno. San Petroc abate (VI° secolo) in
Cornovaglia ammansì un drago e ordinò per lui un medicamento ad un occhio. San Bernardo uccise il drago Pen. Dal
nome del drago: le Alpi PennineSan Marone martire salvò la figlia del re di Urbisaglia da un drago sarebbe emerso dal
mare per mangiarsela alla foce del Chienti. San Leucio di Brindisi vescovo in Atessa avrebbe ucciso un drago che
terrorizzava la popolazione e donato a loro la costola. San Donato di Arezzo vescovo e martire (362) ha ucciso un drago
devatatore. Sant' Armagilo abate in Bretagna (VI° secolo) sconfisse un drago portandolo sul Monte Saint-Armel ed
intimandogli di gettarsi nel fiume sottostante.Sant' Ipazio di Gangra vescovo e martire (345 ca.) uccise un drago
dall’ingresso del tesoro dell’imperatore Costanzo II figlio di Costantino il Grande. Questi vari richiami dicono che sorse e si
sviluppò una straordinaria produzione iconografia che ne fa l'eroe di ogni tempo e di tante nazioni, dalle persecuzioni del
IV secolo alla nascita della cavalleria, dalle crociate alla lotta contro l'Islam in Spagna e nei Balcani fino alla battaglia di
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Vincenzo Mercante
Vienna. Da Lydda il suo influsso raggiunse le terre iberiche con la reconquista, attraversò il Mediterraneo fino alla battaglia
di Lepanto, diede gloria alla corte d'Inghilterra, era il protettore dei principi catalano-aragonesi-castigliani e fu onorato in
Grecia, nel Caucaso, in Armenia. Nei combattimenti contro i mori d'Andalusia compare un cavaliere con cappa bianca
recante croce vermiglia, combatte tra le truppe cristiane, quindi si leva l'elmo, scaglia la sua lancia al cielo e
scompare.Lo stesso sostegno viene dato all'esercito normanno nella vittoriosa battaglia di Troina presso il fiume Cerami
nel 1063 per la totale conquista della Sicilia musulmana.Particolarmente adottato dai cavalieri normanni il suo culto trovò
larga diffusione nell'Italia Meridionale essendo il santo più attestato in termini numerici (da Capua a Trani a Monreale
tanto per fare qualche esempio)Dovunque brandisce la spada o lancia contro il male, impersonato in entità demoniache,
da schiere di nemici, dalle eresie medievali o dalle energie negative del cosmo, e reso iconograficamente da un serpente
o da altro animale mostruoso. In tal senso la sua figura viene accostata e sovente identificata con l'arcangelo S. Michele
attivo nell'Apocalisse e in tanti racconti apocrifi.
Capitolo 3
LA PASSIO DI SAN GIORGIO
Regna incertezza sul luogo della sua decapitazione. Per molti venne decapitato nel 303 probabilmente sotto Daciano,
imperatore dei persiani, mentre per altri durante la persecuzione di Diocleziano, poi il silenzio avvolgerà le vicende del
martire fino al 530 quando il diacono Teodosio Peringeneta non parlerà della sua tomba a Lydda, oggi Lod). Erano i tempi
del grande imperatore Giustiniano (527-565) e l'agiografia stava portando alla ribalta figure significative del passato.Per
la vita di S. Giorgio oggi è possibile accedere a ben 28 redazioni diverse tutte anonime che si rifanno però ad un nucleo
rimasto sostanzialmente immutato, che venne però ampliandosi con l'andar dei secoli.La biografia inizia celebrando la
nobiltà di nascita, la carica di tribuno sotto Diocleziano, che emette un editto che impone a tutti di abiurare dal
cristianesimo pena la condanna a morte. Ma il tribuno si professa cristiano, distribuisce i suoi averi ai poveri, non cede di
fronte agli insulti e alle minacce, allora viene colpito dalla punta di una lancia, legato alla ruota della tortura, scaraventato
in un pozzo profondo di calce viva, costretto ad indossare calzari con chiodi di ferro, battuto con fruste di nerbi di bue. Si
fa poi avanti il consigliere imperiale Magenzio (Massenzio o Massimiano) e gli chiede di dare una prova convincente
dell'esistenza di Gesù Cristo, e Giorgio risuscita un morto, il quale subito afferma di essere vissuto da pagano e
condannato perciò al fuoco dell'inferno. Quindi richiama in vita anche un bue e il suo padrone Glicerio per riconoscenza si
converte e si fa battezzare.Segue l'abbattimento degli idoli e la moltiplicazione delle torture fino alla decapitazione con
relativa morte e risurrezione. La conversione del pagano Magenzio e la guarigione miracolosa del figlio paralitico, cieco,
sordo e muto di una vedova, spinge l'imperatore a richiamare Giorgio sfidandolo a dimostrare che il suo Dio è più
potente di Apollo. La statua di Apollo si trasforma in un demonio dall'aspetto ripugnante e confessa di essere il seduttore
di tutti i pagani e subito viene precipitato dal Santo nell'abisso infernale assieme a tutti gli altri idoli del tempio. Dopo tale
prodigio viene immerso nella pece bollente, ma un angelo spegne il fuoco e allora l'imperatrice Alessandra si converte al
cristianesimo, ma viene condannata a morte mentre la rugiada scendendo visibilmente dal cielo sotto forma di nube la
battezza.Sfidato dal giovane imperatore Decio risuscita una moltitudine di persone dalle loro tombe e una confessa di
aver posto tutta la fiducia in Apollo e per questo è stata condannata a continui tormenti in un antro avvolto dall'oscurità e
adesso vuole il battesimo per non ritornare in mezzo alle sofferenze.Giorgio si raccoglie e dapprima comanda alle sedie
di produrre frutti maturi e poi fa sgorgare dalla terra una fontana di acqua fresca e, richiamate in vita 3535 persone morte
prive del battesimo, amministrato il sacramento le vede volare al cielo. Di fronte a tale prodigio Decio si rode di rabbia e
con gesti imperiosi ordina la decapitazione del tribuno, proprio mentre dal cielo si fa sentire una voce angelica che canta:
“Vieni, benedetto guerriero, a te sono aperte le porte del cielo”. Ma subito dopo da un cielo rovente proviene un fuoco che
fa incenerire i sacerdoti pagani distruggendo il loro tempio e e travolgendo lo stesso governatore re di aver fatto
decapitare il profeta, titolo datogli dall'agiografia islamica.Pasicrate, il fedelissimo servitore di Giorgio, redige la cronaca
della passio e la sottoscrive con giuramento mentre tutto il popolo in lacrime fa professione della vera fede. Le torture
sembrano durate sette anni, notando che il 7 dice lunghezza non calcolabile,per cui alcuni testi parlano che Giorgio fu
risuscitato sette volte. Quale finalità si propone una narrazione farcita di elementi romanzati e del tutto metastorici? . Si
evince subito la funzione antipagana del racconto, ma anche l'uso del meraviglioso per attirare l'attenzione della gente e
rendere popolare il culto del Santo, presentato come difensore affascinante della fede, avallato da prodigiosi miracoli.
Aperta è la discussione sulle reliquie di cui varie nazioni vantano il possesso.Nel Medioevo la venerazione delle reliquie
aveva assunto un'importanza incredibile al punto che “più di un santo ebbe a moltiplicarsi in tutto o in parte per soddisfare
le richieste di cappelle nobiliari, conventi e santuari. Furono ben 30 i corpi attribuiti a S. Giorgio (Graf A., Miti, leggende e
superstizioni del Medioevo, Milano 2002, pp. 315n.).Una è conservata nella cappella reale di Barcellona, a Valenza un
reliquiario contiene un osso della mano destra; il braccio sinistro nel XV secolo è segnalato a Venezia nel monastero
intitolato al megalomartire nel quale sono custodite pure la testa e una mano del santo.Gli scrittori copti sostengono che i
resti del suo corpo vennero trasferiti in Egitto e posti nella chiesa a lui dedicata nella Cairo vecchia. A Nicosia è
conservato il ferro della lancia con la quale aveva ucciso il drago. A Betlemme si veneravano la catena taumaturgica alla
quale fu legato e pure la roccia con sopra impresse le impronte del cavallo.A Lydda sulla pietra sulla quale venne
decapitato venivano posti i malati di mente e di nervi e poi i bambini epilettici. A Roma nella chiesa del Velabro venne
traslato il cranio del Santo ad opera di papa Zaccaria.Al di là della loro autenticità queste presenti reliquie rappresentano il
segno tangibile dell'esistenza e del culto del martire.In quanto simbolo vincente del male Giorgio riprende figure eroiche
dell'antichità classica come Ercole e Perseo. Nel lago di Lerna viveva un grosso drago con nove teste di cui una
immortale: soffiando miasmi pestilenziali e divorando uomini e greggi rendeva inabitabile la zona. Ercole l'affrontò
impugnando la spada. Ma con grande stupore vide che a ogni testa tagliata ne ricrescevano immediatamente due. Allora
ricorse al fuoco: con tronchi infuocati bruciò tutte le teste del drago. Ne rimaneva una, quella immortale: la tagliò netta con
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un colpo di spada e la seppellì sotto un macigno.La più impegnativa fatica per Ercole consistette nell'entrare nel regno
dei morti per catturare Cerbero, un mostro metà cane e metà drago, con tre teste. Arrivato nel mondo sotterraneo, l'eroe si
fece ricevere da Ades, il dio degli inferi, il quale gli diede il permesso di portare con sè Cerbero purchè riuscisse a
domarlo senza armi. Ercole incatenò il mostro e lo portò a Tirinto, dopo di che la ricondusse di nuovo nell'inferno. La lunga
storia di Ercole finisce nell'Olimpo, dove egli visse con gli immortali.La storia di Andromeda è molto più commovente.
Venne incatenata a una costa rocciosa per espiare le colpe della madre invidiosa e destinata ad essere divorata da un
mostro marino. Secondo la leggenda questo evento si verificò sulle coste del Mediterraneo, a Joppa (Giaffa), la moderna
Tel Aviv. Mentre Andromeda se ne stava incatenata alla rupe battuta dalle onde, pallida di terrore e in lacrime per la fine
imminente, l'eroe Perseo, fresco dell'impresa della decapitazione di Medusa la Gorgone, capitò da quelle parti. Il suo
cuore fu rapito alla vista di quella fragile bellezza in preda all'angoscia. In un primo momento scambiò Andromeda per una
statua di marmo. Ma il vento che le scompigliava i capelli e le calde lacrime che le scorrevano sulle guance gli rivelarono
la sua natura umana. Perseo le chiese come si chiamava e perché era incatenata lì. Andromeda, completamente diversa
dalla sua vanitosa madre, in un primo momento, per timidezza, neanche gli rispose; anche se l'attendeva una morte
orribile fra le fauci bavose del mostro, avrebbe preferito, per modestia, nascondere il viso tra le mani se non le avesse
avute incatenate a quella roccia.Perseo continuò a interrogarla. Alla fine, per timore che il suo silenzio potesse essere
interpretato come ammissione di colpevolezza, gli raccontò la sua storia, che interruppe improvvisamente, lanciando un
urlo di terrore alla vista del mostro che, avanzando fra le onde, muoveva verso di lei. Perseo si lanciò contro il mostro, lo
uccise con la sua spada, liberò l'estasiata Andromeda fra gli applausi degli astanti e la fece sua sposa. Come si nota già
esistevano racconti mitologici di eroi vincitori di mostri nemici del genere umano. Ma il Santo che debella il male richiama
la figura del Figlio di Dio che redime l'umanità dal sommo male.Per questo Giorgio fu eletto protettore di città e nazioni e la
venerazione popolare gli dedicò innumerevoli chiese, monasteri, e la sua figura venne riprodotta dai pittori in migliaia di
esemplari.Venezia ebbe un rapporto del tutto particolare con il Santo. I santi militari Teodoro e Giorgio furono i primi
protettori di Venezia: ne rendono testimonianza la colonna di S. Todaro in piazzetta S. Marco rivolta verso l'isola di S.
Giorgio.La popolarità accrebbe fortemente con la diffusione della leggenda del pescatore risalente agli inizi del XIV
secolo, dove si narra che tre giovani (Marco, Giorgio e Nicolò) dissolvano all'imboccatura del porto di Lido il maremoto dei
maligni che vogliono distruggere la città. Paris Bordon, Palma il Vecchio, Carpaccio, Mantegna, Cosmè Tura seguiti da
squadre di orefici e miniatori tramandarono le gesta del Santo, mentre anche sui palazzi non è raro il caso di osservare i
bassorilievi con l'uccione del mostro.La confraternita dei greci ortodossi veneziani contribuì moltissimo alla diffusione del
culto dell'intrepido cavaliere in lotta contro il maligno non solo al Nord ma pure in Calabria.Allora Giorgio venne onorato
dalla Sicilia al Nord Europa, in Etiopia ed in Russia (emblematiche sono le icone della scuola di Novgorod), fu scelto
come protettore di Genova, dell'Inghilterra, del Portogallo, della Catalogna, e tante altre città, come Roma, Barcellona,
Costantinopoli, nella Svizzera e in Germania e Francia.Le prime testimonianze figurative lo mostrano in piedi con la
spada, la corazza e lo stendardo crociato, mentre in battaglia e contro i mostri è sempre a cavallo. Nel XIII secolo la
statua è presente nel portale sud del transetto della cattedrale sulla torre della cattedrale di Friburgo. Nel XV secolo si
interessano del santo Donatello con la statua a Firenze e il dipinto del Mantegna alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Se Altichiero affresca la cappella di S. Giorgio nella chiesa del Santo a Padova, Vittor Carpaccio lavora alla Scuola degli
Schiavoni a Venezia. Pisanello si impegna nell'affresco con l'episodio dell'incontro tra il santo la principessa prima della
battaglia contro il drago sulle pareti della chiesa di Sant'Anastasia a Verona, mentre Paolo Uccello ne ritrae il
combattimento ora alla National Gallery di Londra.Spesso il santo compare poi in sacre conversazioni, fra cui quella
dipinta da Paolo Veronese per S. Giorgio Maggiore a Venezia oggi al Louvre. Ai nostri giorni Vasilij kandiskij riprende più
volte il soggetto.Protettore di armieri, arcieri, cavalieri, e persino dei contadini grazie ad un gioco di parole sulla forma
greca del suo nome. Anche malati di lebbra, di peste, malattie della pelle o veneree invocavano la sua intercessione.In
fondo poco importa dove il Santo sia nato e abbia sofferto il martirio, non importa se il dragone ucciso sia un animale
reale o un frutto della fantasia di uomini guerrieri, ciò che conviene sottolineare è la completa fiducia e devozione di
pellegrini e crociati in colui che era in grado di compiere prodigi nei momenti difficili personali, nella lotta contro il male e
nelle imprese per la difesa dei valori cristiani.Colui che compare a Gerusalemme durante la prima crociata in veste
bianca e spada sfavillante non lotta contro un simbolico dragone ma contro gli avversari della Croce per ripiantare il
vessillo di Cristo nei luoghi da lui percorsi. Così nelle terre iberiche a ridosso dei Pireni, da cui partì la reconquista, due
sono gli eroi che il popolo considerò matamoros, Santiago di Compostela e Giorgio il cappadoce invocati per ridonare i
valori cristiani ad una gente segnata dal Vangelo fin dal V secolo.
APPENDICE
IL CULTO DI SAN GIORGIO IN ISTRIA
La fonte per la conoscenza del culto del Santo in Istria è certamente il bel saggio Istria – duecento campanili storici di
Daniela Milotti Bertoni, Bruno Facchin editore, Trieste 1997.Si inizia con Bersezio villaggio a 153 m.s.l.m. la cui chiesa
addossata alle mura tradisce le finalità di un complesso di difesa.A Bogliuno la parrocchiale ad una sola navata sui tre
altari lignei conserva molte statue fra cui S. Giorgio che uccide il drago e la Madonna con il Bambino e Sant'Antonio.A
Fianona si può ammirare il borgo antico, la chiesa di San Giorgio e quella della Beata Vergine. Laurana presenta la chiesa
di San Giorgio con affreschi di pittori locali.Paugnano presenta finestre e vetri colorati della facciata sud, mentre sul
maestoso campanile è affisso un rilievo in calcare rappresentante S. Giorgio che abbatte il drago.A Pisinvecchio l'edificio
si presenta ad una sola navata più volte resaurata.A Portole la chiesa venne costruita da un maestro della Carniola nel
1526 sostenuta da costoloni gotici che racchiudono cinque altari con pitture e sculture di santi.Da notare la chiesa
cimiteriale di S. Giorgio vicino a Piemonte ad aula unica con tre absidi.A Rosariol intorno alla pittoresca chiesa di S.
Giorgio rimangono ancora i resti delle mura del tabor costruito al tempo delle invasioni turche. Tutti gli altari sono lignei e
policromi.Rovigno intorno al 950 si impegna in un maestoso edificio dedicato ai Ss. Giorgio ed Eufemia per accogliervi il
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sarcofago con la preziosa reliquia della santa. Sall'altar maggiore troneggiano tre statue: S. Giorgio, S. Rocco, S.
Marco.A Sovignacco S. Giorgio, ad una sola navata con due altari, presenta una pala con S. Pietro e S. Giorgio e una
statua della Madonna con Bambino.A Stridone la chiesa del Santo romanica a due navate ha l'altar maggior in marmo
con la pala del titolare Giorgio.Tribano venera S. Giorgio con un edificio a navata unica e l'altar maggiore in marmo.Sul
colle che domina Pirano il maestoso edificio, più volte riparato, venne consacrato solennemente nel 1344 per
commemorare la visione di S. Giorgio che, secondo la tradizione, sarebbe avvenuta l'anno precedente. Tra i dipinti va
ricordato Il miracolo di S. Giorgio con la veduta di Pirano realizzato nel 1706 da Angelo de Coster. Sopra le entrate
laterali due gruppi scultorei: S. Nicola in trono e il famosissimo S. Giorgio che annienta il drago.
Anche nel vicino Friuli numerose sono le chiese dedicate al Santo e durante gli scavi effettuati nella località di venne
rinvenuta una pietra sopra la quale venivano posti i bambini morti senza il battesimo, e mentre un parente li scuoteva più
volte, veniva loro amministrato il sacramento quasi avessero ripreso vita, a somiglianza di quanto avveniva in
Oriente.INDICE
Capitolo 1L'archeologia e il culto di San Giorgio
Capitolo 2Il drago
Capitolo 3La Passio di San Giorgio
AppendiceIl culto di San Giorgio nelle terre istriane
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