Cenni di storia dell`ordinamento italiano del mercato mobiliare

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Capitolo II
Cenni di storia dell’ordinamento italiano
del mercato mobiliare
SOMMARIO: 1. Mercato mobiliare e intermediari finanziari. – 2. Mercato mobiliare
e Borsa Valori. – 3. Il modello francese di Borsa Valori e il Codice di Commercio
del 1865. – 4. Il modello anglosassone di Borsa Valori e il Codice di Commercio
del 1882. – 5. La riforma del 1913. – 6. La pubblicizzazione della Borsa negli anni
Venti e Trenta. – 7. La legge n. 216 del 1974: l’istituzione della Consob e la disciplina delle società quotate. – 8. L’istituzione del Mercato ristretto. – 9. La legge n.
77 del 1983 e la disciplina generale del mercato mobiliare. – 10. Le riforme degli
anni Ottanta. – 11. Il Mercato secondario dei titoli pubblici (MTS). – 12. Le riforme dei primi anni Novanta. – 13. Le direttive Eurosim. – 14. Il Testo Unico dell’intermediazione finanziaria del 1998. – 15. Dal Testo Unico alla legge «per la tutela
del risparmio».
1. Mercato mobiliare e intermediari finanziari
Il mercato mobiliare costituisce, come abbiamo ricordato, un segmento del mercato finanziario, che concorre, con gli altri segmenti e soprattutto con l’insieme degli intermediari bancari, al trasferimento (e alla trasformazione) del risparmio dagli operatori che hanno un saldo finanziario positivo (soprattutto le famiglie) agli operatori economici che
presentano un saldo finanziario negativo (soprattutto imprese e pubblica amministrazione).
Nascono dunque, ed inevitabilmente, rapporti di concorrenza, in particolare fra mercati mobiliari e intermediari bancari; e mentre alcuni sistemi economici vedono la prevalenza degli intermediari bancari (sistemi orientati agli intermediari), altri sistemi affidano soprattutto al mercato mobiliare e ai relativi intermediari il finanziamento delle imprese
(modello anglosassone orientato al mercato). Anche se appaiono sempre
più evidenti, da un lato, gli svantaggi, per il finanziamento di un’economia nel suo complesso, derivanti da mercati finanziari squilibrati a favore delle banche o del mercato e, dall’altro, la complementarietà dei va-
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ri segmenti che costituiscono l’intermediazione finanziaria nel suo insieme. Il mercato finanziario italiano è sempre stato, e per certi aspetti
continua ad essere, un mercato fortemente orientato agli intermediari
bancari, nel quale il mercato mobiliare aveva una importanza molto limitata nel finanziamento delle imprese; innegabile, in particolare, è
sempre stata la debolezza del mercato azionario e del suo più importante segmento regolamentato: la Borsa.
A questa costante emarginazione del mercato mobiliare ha corrisposto una sostanziale insufficienza della relativa disciplina ed anzi è ragionevole immaginare che una, anche se non la più importante, delle cause
che hanno ostacolato uno sviluppo adeguato del primo sia proprio costituita dalle insufficienze del relativo ordinamento; insufficienze che hanno impedito il formarsi delle condizioni di trasparenza, di correttezza e
di stabilità, che abbiamo già visto essere necessarie per lo sviluppo di un
mercato mobiliare.
Naturalmente ci si dovrebbe anche interrogare sulle forze che hanno
ostacolato, o comunque non favorito, la formazione di un ordinamento
idoneo per tale sviluppo. E nel farlo sembra inevitabile tener presente
che il mercato mobiliare avrebbe potuto rivelarsi un pericoloso concorrente per il sistema bancario. Ma, come si accennava, questa sembra
storia passata: oggi il convincimento che le banche abbiano bisogno di
mercati regolamentati forti e che, specularmente, un sistema bancario
efficiente costituisca un elemento essenziale per lo sviluppo del mercato
mobiliare sembra radicato. Il che forse concorre a rendere ragione dei
notevoli risultati che, anche per effetto delle direttive comunitarie, sono
stati e si stanno realizzando sulla via che permetta anche al nostro mercato mobiliare di avere un ordinamento che ne consenta un adeguato
sviluppo: tale ordinamento ha trovato, nel 1998, una propria organica
sistemazione nel già ricordato Testo Unico delle norme in materia di intermediazione finanziaria.
I pochi cenni che seguono dovrebbero, quanto meno, dar conto delle linee dell’ordinamento italiano, delle sue tradizionali insufficienze e
dell’opera di adeguamento che lo stesso ha vissuto negli anni più recenti.
2. Mercato mobiliare e Borsa Valori
Per sottolineare la mancanza di un’adeguata disciplina del mercato
mobiliare, basterebbe ricordare che, fino al 1983, non esisteva nel nostro
3. Il modello francese di Borsa Valori e il Codice di Commercio del 1865
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paese un ordinamento generale dello stesso, ossia un ordinamento che
prendesse in esame il mercato mobiliare in quanto tale.
L’unico momento di questo mercato che veniva sottratto alle norme
di diritto comune, era la Borsa: ossia, come abbiamo già visto, una particolare organizzazione dei servizi di mercato; mancava una qualsiasi disciplina dell’appello al pubblico risparmio, mancava una disciplina degli
investitori istituzionali, non esistevano norme particolari per le società
che facevano ricorso al risparmio diffuso, non esisteva una regolamentazione delle imprese di investimento (se si escludono gli agenti di cambio). Per un lungo tratto la storia dell’ordinamento del mercato mobiliare si è esaurita, dunque, nella storia dell’ordinamento di Borsa.
E proprio perché si identifica con l’ordinamento del mercato mobiliare, l’ordinamento di Borsa, con le sue vicende, merita di essere ricordato
in questa sede, pur riguardando un aspetto soltanto del mercato mobiliare.
3. Il modello francese di Borsa Valori e il Codice di Commercio
del 1865
Recependo il modello adottato dalla Francia e già attuato, in coincidenza con il dominio francese, dalla Borsa di Milano, il Codice di Commercio del 1865 prevede che le Borse di commercio debbano essere istituite con decreto reale; che nelle stesse si negozino sia merci sia titoli;
che la stipulazione dei relativi contratti, a pena di nullità, sia riservata
agli agenti di cambio, pubblici mediatori pure nominati per decreto reale; che sulla base dei contratti così stipulati sia determinato il prezzo ufficiale delle merci e dei titoli; che gli agenti di cambio debbano agire in
nome proprio ma non possano operare in proprio; che gli stessi non
debbano considerarsi commercianti e non possano «riunirsi in società»
per l’esercizio delle proprie funzioni. La determinazione delle tariffe per
i compensi degli agenti, così come la vigilanza sugli stessi, sono affidate
alle Camere di Commercio, organismi formalmente pubblici ma gestiti
da banche e imprese e dai cui organi rimangono esclusi proprio gli agenti di cambio in quanto non commercianti.
Le Camere di Commercio forniscono altresì tutte le strutture e i servizi necessari alla Borsa.
Il modello si fonda, dunque, su un’organizzazione pubblica della Borsa, imperniata formalmente sul monopolio delle negoziazioni in capo
agli agenti di cambio, anche se i servizi sono forniti da una struttura do-
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Cenni di storia dell’ordinamento italiano del mercato mobiliare
minata da banche e imprese. E tra banche e agenti si realizza, quasi subito, un facile compromesso, che inciderà negativamente sul futuro della Borsa Valori.
Le negoziazioni sui valori mobiliari, e soprattutto quelle relative alle
azioni e alle obbligazioni delle società industriali, avvengono «nelle private case dei commercianti», «nei privati studi dei banchieri», e sono solo formalmente concluse in Borsa, con salvezza del monopolio degli agenti di cambio; in questo modo si provoca una emarginazione sostanziale del mercato borsistico dal finanziamento delle imprese, con una
forte accentuazione del ruolo delle banche. Effetto, quest’ultimo, favorito anche dall’obbligo per gli agenti di operare solo come brokers, e cioè
con il divieto di operare in proprio e di svolgere una qualunque altra attività di intermediazione.
Si impedisce così la nascita di intermediari di mercato mobiliare polifunzionali e di dimensioni sufficienti per contendere alle banche il monopolio della intermediazione, anche sul fronte del credito mobiliare
che passa attraverso l’acquisto e il collocamento delle azioni e delle obbligazioni emesse dalle imprese per raccogliere risparmio. Sono queste,
attività quasi esclusivamente svolte dalle «case bancarie».
4. Il modello anglosassone di Borsa Valori e il Codice di Commercio del 1882
Riguardano proprio lo statuto degli agenti di cambio, e, quindi, il
ruolo degli intermediari di mercato mobiliare, le maggiori novità introdotte dal Codice di Commercio del 1882, o meglio dal Regolamento
(R.D. 27 dicembre 1882, n. 1139) che innova, per altro, anche la disciplina della vigilanza sulle Borse.
Gli agenti di cambio sono considerati commercianti per l’attività di
mediazione che svolgono e non più funzionari pubblici; assumono il relativo ruolo sulla base di un’autorizzazione della Camera di Commercio
subordinata all’esistenza di alcuni requisiti di moralità ed onorabilità (e
previa prestazione di una cauzione); possono operare anche per proprio
conto e non solo per conto terzi e svolgere funzioni di consulenza per la
clientela. Il controllo sulla Borsa è conservato alle Camere di Commercio e, più esattamente, alla Deputazione di Borsa, nominata dalla prima
e che «sorveglia la Borsa e provvede all’esecuzione dei regolamenti» di
Borsa; al controllo della Deputazione si aggiunge quello del «Sindacato
di Borsa», organo di autocontrollo degli agenti.
5. La riforma del 1913
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Il Codice del 1882 si allontana, dunque, dal modello pubblicistico francese, soprattutto là dove considera l’attività degli agenti di cambio un’attività di impresa e non come espletamento di una funzione pubblica, e si
avvicina al modello anglosassone, delle borse autogestite, nel momento
in cui prevede forme di autoregolamentazione da parte degli agenti di
cambio.
D’altro canto, la disciplina delle Borse di Commercio è essenzialmente contenuta nei regolamenti delle singole Borse e tali regolamenti, pur
dovendo essere approvati dal Governo centrale, sono rimessi alle decisioni della Camera di Commercio nella cui circoscrizione la Borsa ha la
propria sede.
Ancora, la Camera di Commercio, come si è visto, svolge attività di sorveglianza sulla Borsa e fornisce alla stessa struttura e servizi. Sembra corretto, pertanto, sottolineare, come spesso si è fatto, il localismo che caratterizza il sistema di Borsa disegnato dal Codice di Commercio del 1882.
Le scelte normative operate dal Codice di Commercio favoriscono
certamente l’avvento della fase di maggior sviluppo che la Borsa italiana
abbia mai conosciuto (quella che va dalla metà degli anni Novanta al
1906), ma contribuiscono anche a scatenare la profondissima crisi borsistica del 1907; crisi che segnò l’inizio di un lungo periodo di forte declino del nostro mercato mobiliare.
La possibilità concessa agli agenti di cambio di operare anche per
proprio conto e, più in generale, il principio della libertà di mediazione
consentirono la nascita di banche specializzate e di società finanziarie,
le quali, insieme alle grandi banche miste, promossero l’emissione e il
collocamento in Borsa delle azioni e delle obbligazioni societarie; una
Borsa ormai nazionale ed unitaria grazie anche ai collegamenti che le
trasmissioni telegrafiche assicuravano fra le varie Borse locali. Tutto ciò
fece sì che negli anni 1903-1906 la massima parte del capitale azionario
italiano fosse rappresentata da azioni quotate in Borsa.
5. La riforma del 1913
L’intensità dello sviluppo della Borsa aveva fatto passare in secondo
piano i tratti di instabilità che la stessa presentava: l’accesso alle negoziazioni di Borsa era diventato indiscriminato e molti dei negoziatori
non possedevano i necessari requisiti professionali e patrimoniali.
D’altro canto, i controlli sul mercato e sugli operatori erano affidati
esclusivamente ad organi locali (Camera di Commercio, Deputazione di
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Borsa, Sindacato di Borsa), mentre il mercato era ormai nazionale.
Il tracollo del 1907, che portò per qualche anno alla totale emarginazione della Borsa, mise in evidenza proprio l’assenza di adeguati controlli: venne perciò avviata un’opera di revisione dell’ordinamento tutta
incentrata sulla necessità di assicurare al mercato mobiliare maggiore
stabilità. Si giunse così alla prima disciplina organica della Borsa: la
legge 20 marzo 1913, n. 272 che avrebbe costituito per decenni l’ordinamento di base del mercato mobiliare. Venne, in generale, riaffermato il
carattere pubblico dell’ordinamento di Borsa, sulla scia della riforma
che era stata attuata in Germania, e vennero bandite le indulgenze che il
Codice del 1882 aveva avuto nei confronti del modello anglosassone
(pluralismo e autoregolamentazione).
In particolare, al vertice dei controlli venne posto il Governo, che si
trovava in una posizione sovraordinata a quella degli organi locali di
Borsa, che pure venivano conservati e, soprattutto, venne ristabilito il
divieto per gli agenti di cambio, ai quali venivano pur riservati «gli uffici
pubblici» connessi alla negoziazione (accertamento del prezzo ufficiale
di Borsa e negoziazione alle grida, con una norma transitoria che la
consentiva per un decennio anche alle banche già operanti in Borsa), di
operare per proprio conto e di «acquisire la qualità di direttore, procuratore o di socio illimitatamente responsabile di banca» (cfr. artt. 24 e 27).
Veniva in tal modo eliminata proprio quella categoria di intermediari
polifunzionali che erano sorti dall’alleanza fra una parte degli agenti e
quella parte del capitale finanziario che non si identificava con la grande
banca; alleanza che aveva caratterizzato il precedente periodo di sviluppo della Borsa. Da quel momento non solo diminuì il peso del mercato
azionario nell’ambito del finanziamento dell’industria, ma anche gran
parte delle emissioni azionarie cessarono di passare attraverso la Borsa
per ritornare nelle stanze delle banche miste. La stabilità era assicurata,
ma a prezzo dell’efficienza del mercato borsistico.
6. La pubblicizzazione della Borsa negli anni Venti e Trenta
Il processo di «ripubblicizzazione» della Borsa e di «centralizzazione» della vigilanza sulla stessa prosegue nel corso degli anni Venti: nel
1925, nell’ambito della politica di stabilizzazione monetaria avviata dal
regime fascista, gli agenti di cambio vengono nuovamente e formalmente qualificati pubblici ufficiali, viene previsto un ruolo chiuso al quale si
accede per decreto ministeriale, viene ribadito definitivamente il prin-
7. La legge n. 216 del 1974
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cipio che la negoziazione alle grida in Borsa è loro riservata (R.D.L. 7
marzo 1925, n. 222), con esclusione delle banche alle quali la stessa era
stata transitoriamente conservata dalla riforma del 1913.
Si crea un ordine degli agenti, pubblicistico e chiuso, con esclusione
di ogni possibile ampliamento della loro attività a funzioni diverse da
quelle dello stipulare per conto altrui i contratti nelle negoziazioni alle
grida. Nello stesso 1925 viene rafforzato il ruolo di vertice della vigilanza
sulla Borsa in capo al Governo centrale, con attribuzione della stessa al
Ministero delle Finanze e con l’irreversibile separazione delle Borse Valori dalle Borse merci, rimaste sotto la vigilanza del Ministro dell’Economia (R.D.L. 29 luglio 1925, n. 1261).
L’emarginazione della Borsa si protrae, ed anzi, si accentua, nel corso
degli anni Trenta, anche per effetto, soprattutto nella seconda metà del
decennio, della politica di «finanza di guerra» che ormai il regime va attuando e che impone di governare il flusso del risparmio privato e in
particolare di spingerlo verso l’acquisto di titoli pubblici.
In questa prospettiva debbono collocarsi le norme che subordinarono
al controllo pubblico le emissioni di azioni (R.D. 5 settembre 1935, n.
1613), quelle che sottoposero a particolari oneri e poi vietarono l’emissione di azioni al portatore, nonché quelle che imposero oneri fiscali
particolarmente accentuati per i dividendi.
Si comprime in tal modo il volume delle emissioni azionarie e inevitabilmente ed ulteriormente il significato della Borsa. Sul piano dell’ordinamento merita di essere ricordato il tentativo, rimasto in realtà senza
esito, di collocare la disciplina della Borsa nell’ambito del disegno di
riordino della finanza privata effettuato dalla legge bancaria del 1936, il
cui art. 2 prevedeva che fossero sottoposti al controllo della Banca d’Italia le emissioni di titoli che «si vogliano ammettere al mercato dei valori
mobiliari nelle Borse Valori». Ma la norma non entrò mai in vigore.
7. La legge n. 216 del 1974: l’istituzione della Consob e la disciplina delle società quotate
Il crollo del regime fascista e l’avvento, con la Costituzione repubblicana, del regime democratico non modificano la struttura di fondo dell’intermediazione del nostro paese e non comportano alcuna modificazione importante nell’ordinamento della Borsa.
Fino alla metà degli anni Settanta l’intermediazione finanziaria rimane nella massima parte riserva del sistema bancario, per di più pro-
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tetto nell’ambito di una visione, condivisa sia dalle autorità di vigilanza
sia dalla giurisprudenza, che individua nelle banche un’istituzione sociale piuttosto che un’impresa, attenta più alla stabilità del sistema che alla
sua efficienza. E il mercato di Borsa conserva, soprattutto per il mercato
delle azioni, la propria congenita debolezza.
Anche l’ordinamento del mercato mobiliare resta nella condizione
nella quale l’aveva costretto il regime fascista: un ordinamento che prende in considerazione soltanto la Borsa e che riserva a quest’ultima, sulla
base della legge del 1913 e dei provvedimenti del 1925, uno statuto sostanzialmente pubblicistico imperniato sull’attività di una categoria di
professionisti, gli agenti di cambio, ai quali era riservata l’attività di negoziazione, ma anche inibita ogni attività diversa dal negoziare per conto altrui.
Per assistere al primo e profondo mutamento è necessario attendere la
metà degli anni Settanta, e più esattamente la legge 7 giugno 1974, n. 216.
Neppure questa legge, a dire il vero, allarga l’ambito della disciplina
speciale del mercato mobiliare al di là della Borsa Valori, ma introduce
due corpi di norme, per quest’ultima, di particolare importanza: istituisce la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) e detta
una disciplina speciale per le società con azioni quotate in Borsa. Senza
anticipare in questa sede un esame puntuale della disciplina della Consob oggi vigente, basti qui ricordare, per cogliere l’importanza della sua
istituzione, che alla stessa venivano attribuiti compiti di vigilanza sia
sull’organizzazione della Borsa sia sullo svolgimento delle relative negoziazioni. In particolare, per quanto concerne l’organizzazione della Borsa, il D.P.R. 31 marzo 1975, n. 138, emanato sulla base della delega al
Governo contenuta nella legge n. 216 del 1974, trasferiva alla Consob
molte delle funzioni delle quali erano precedentemente titolari gli organi
locali di Borsa (la Deputazione di Borsa e il Comitato degli agenti di
cambio nel quale si era trasformato il Sindacato di Borsa), ma non eliminava i poteri che le leggi precedenti attribuivano al Ministro del Tesoro (come ad es., la istituzione, la soppressione o la chiusura della Borsa).
Non solo, ma non modificava in alcun modo il ruolo dell’unica figura di
intermediario disciplinato: l’agente di cambio, al quale si conservava il
monopolio delle negoziazioni alle grida, ma si vietava ogni attività diversa da quella di broker.
Per certi profili si può anzi dire che la pubblicizzazione del mercato
di Borsa fu ulteriormente accentuata dalla riforma del 1974, dal momento che la stessa non sopprimeva i poteri politici del Ministro del Tesoro e comprimeva ulteriormente i poteri degli organi locali; ma non v’è
dubbio che la creazione della Consob pose le premesse per l’avvento di
8. L’istituzione del Mercato ristretto
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una struttura, diversa da quelle locali e da quelle politiche, alla quale poteva essere e sarà poi, come negli altri paesi con un ordinamento del
mercato mobiliare avanzato, affidato il compito di dettare e far rispettare le regole tecniche del mercato.
Di grande rilievo era anche l’introduzione di una disciplina speciale
per le società con azioni quotate in Borsa; si prendeva così coscienza del
fatto che le società quotate coinvolgono il risparmio pubblico in termini
e in misura diversi da quelli nei quali lo stesso viene coinvolto dalle società che si rivolgono ad una cerchia ristretta di risparmiatori-soci.
In particolare, si introdussero a carico della società quotate obblighi
di trasparenza più accentuati, sia nei confronti della Consob sia, e soprattutto, nei confronti del mercato, ponendo i risparmiatori, normalmente esclusi dalla gestione delle grandi società, in condizione di accrescere la conoscenza delle società delle quali avessero acquisito azioni;
prevedendo anche la creazione, per le società quotate, di azioni di risparmio istituzionalmente prive del diritto di voto ma privilegiate sul
piano patrimoniale.
Nella stessa direzione si imponeva alle società quotate l’obbligo della
certificazione del bilancio da parte di un controllore esterno (le società
di revisione iscritte in un particolare albo tenuto dalla stessa Consob).
Si avviava così il processo di separazione della disciplina delle società
con azioni quotate in Borsa dal diritto comune delle società per azioni;
processo che ha avuto ulteriori sviluppi negli anni successivi coinvolgendo anche le società, pur non quotate, che fanno comunque appello al
pubblico risparmio. Questo indirizzo ha trovato modo di esprimersi in
termini più compiuti nel Testo Unico sull’intermediazione finanziaria
del 1998, trovando puntuale conferma anche nella legislazione successiva.
8. L’istituzione del Mercato ristretto
L’ambito del diritto speciale del mercato mobiliare si ampliò, anche
se non di molto, nel 1977 attraverso la istituzione, presso le varie Borse
Valori, dei Mercati ristretti. Come è accaduto normalmente in tutti i
mercati mobiliari, anche in quello italiano si era sviluppato, soprattutto
a partire dagli anni Sessanta, un mercato parallelo a quello di Borsa, sul
quale venivano negoziati i titoli delle società di dimensione minore o che
comunque non erano «pronti» per la quotazione al mercato di Borsa.
L’organizzazione del mercato, la sua regolamentazione «privatistica»,
le negoziazioni che nello stesso avvenivano erano essenzialmente effet-
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Cenni di storia dell’ordinamento italiano del mercato mobiliare
tuate dagli agenti di cambio. All’inizio degli anni Settanta, tuttavia, il
mercato fu caratterizzato da fenomeni speculativi che ne misero in forse
la stabilità e la correttezza delle transazioni.
Una sentenza della Suprema Corte del 1974 ritenne che la negoziazione pubblica dei valori mobiliari potesse avvenire soltanto nelle Borse
Valori, che la rilevazione ufficiale dei prezzi fosse riservata a queste ultime e che la legge del 1913 vietasse agli agenti di cambio di partecipare
alle negoziazioni pubbliche di valori mobiliari, anche quando gli stessi
non fossero quotati in Borsa. Si rese così necessario un intervento legislativo capace di riportare nella legalità quel mercato.
La legge 23 febbraio 1977, n. 49 (con i relativi regolamenti Consob)
disciplinò il Mercato ristretto dei titoli non quotati in Borsa, prevedendo
che la Consob dovesse autorizzarne l’istituzione ed esercitare la relativa
vigilanza. Si stabilì inoltre che le negoziazioni dovessero avvenire «per
l’esclusivo tramite degli agenti di cambio» e che le contrattazioni dovessero effettuarsi solo per contanti, e non anche a termine, e ciò allo scopo
di contenere i fenomeni speculativi che avevano in precedenza caratterizzato quel mercato.
Nasceva così, incardinato sulle strutture delle Borse Valori, il secondo mercato regolamentato italiano, sulla base dello stesso modello pubblicistico che caratterizzava il mercato di Borsa.
Le lacune del nostro ordinamento del mercato mobiliare rimanevano
ancora clamorose: non si prevedeva alcuna disciplina per le negoziazioni che non «passassero» attraverso i mercati regolamentati, non si dettavano le norme necessarie per la nascita di investitori istituzionali, come
i fondi comuni, che l’esperienza di altri paesi aveva dimostrato essere
indispensabili per lo sviluppo del mercato mobiliare, mancava una disciplina dei servizi di investimento mobiliare capace di consentire lo sviluppo «regolamentato» degli stessi.
9. La legge n. 77 del 1983 e la disciplina generale del mercato
mobiliare
La legge 23 marzo 1983, n. 77 colma due di queste lacune: detta una disciplina generale dell’appello al pubblico risparmio e introduce finalmente
anche nel nostro paese i fondi comuni di investimento mobiliare aperti.
A) Nel corso degli anni Settanta, caratterizzati da fenomeni inflazionistici molto accentuati, il risparmio fuggiva gli impieghi (depositi, ob-
9. La legge n. 77 del 1983 e la disciplina generale del mercato mobiliare
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bligazioni) esposti alla svalutazione monetaria e non trovava, d’altro
canto, adeguato sfogo nel mercato azionario, in condizione di accentuata emarginazione.
Si crearono così le premesse per un tumultuoso ed incontrollato collocamento presso il pubblico dei cc.dd. titoli atipici, ossia titoli diversi dalle
azioni e dalle obbligazioni e i cui rendimenti teorici erano collegati ad operazioni immobiliari o imprenditoriali e sottratti al rischio di perdita di
valore della moneta. Il fenomeno sfuggiva a qualunque controllo della
Consob, la cui vigilanza era limitata alla Borsa e al Mercato ristretto. Furono così possibili sul mercato mobiliare scandalose operazioni di rapina.
La necessità di sottoporre a disciplina speciale ogni forma di ricorso
al pubblico risparmio apparve in tutta evidenza.
La lacuna veniva colmata dall’art. 12 della già citata legge n. 77 del
1983 che sottoponeva al controllo della Consob tutte le ipotesi di sollecitazione del pubblico risparmio dirette a provocarne l’investimento (o il
disinvestimento da) in valori mobiliari e che attribuiva, inoltre, a quest’ultima nozione un contenuto così vasto da ricomprendervi ogni investimento o disinvestimento per il quale fosse ravvisabile un «bisogno di
protezione» del risparmiatore.
B) Ma, come si accennava, la legge n. 77 del 1983 costituisce una tappa fondamentale nella progressiva formazione dell’ordinamento speciale
del mercato mobiliare anche perché introduce (artt. 1-10) nel nostro paese il primo tipo di investitore istituzionale, il fondo comune di investimento mobiliare aperto. Il nostro mercato mobiliare poteva così avvalersi, per la prima volta, di un intermediario capace di raccogliere grandi
masse di risparmio e di provvedere alla sua gestione in monte secondo
criteri di competenza e di diversificazione degli investimenti. E il successo che i fondi comuni hanno registrato da allora conferma l’importanza
del ruolo che gli investitori istituzionali svolgono nello sviluppo di un
moderno mercato mobiliare.
È, tuttavia, necessario ricordare che soltanto all’inizio degli anni Novanta venne completata la gamma degli investitori istituzionali del quale
il risparmiatore italiano può avvalersi, attraverso la disciplina dei fondi
mobiliari e immobiliari chiusi, dei fondi pensione e delle società di investimento a capitale variabile.
La legge del 1983 colma, dunque, solo in parte la lacuna del nostro
ordinamento in fatto di investitori istituzionali in valori mobiliari. Per
vederla eliminata del tutto sarà necessario attendere ancora un decennio. E non è facile dirne il perché.
C) La legge n. 77 del 1983 incide sulla disciplina del mercato mobilia-
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re anche sotto un diverso profilo: il suo art. 11 stabilisce, infatti, che «ai
soli fini del controllo dei flussi finanziari, le emissioni di valori mobiliari
di qualsiasi natura da collocare, anche indirettamente, mediante offerte
al pubblico e le offerte in Italia di valori mobiliari esteri devono essere
comunicate alla Banca d’Italia con l’indicazione della quantità e delle
caratteristiche dei titoli» e questa può stabilire «l’ammontare massimo
dell’emissione o dell’offerta con provvedimento motivato con riferimento alle esigenze di controllo della quantità e della composizione dei flussi finanziari conformemente alle direttive generali del CIPE e del CICR».
La norma (che non si applica alle emissioni azionarie ancora assoggettate all’autorizzazione prevista dalla già ricordata legge n. 1613 del 1935)
postula il potere, di natura per così dire macroeconomica, dell’apparato
politico amministrativo (CIPE e CICR) di emanare direttive sulla dimensione e la conformazione dei flussi finanziari del paese e il potere, della
Banca d’Italia, di inibire le emissioni di valori mobiliari ritenute in tutto o
in parte non conformi a quelle direttive. Si tratta di una disposizione che
riflette i disegni programmatori degli anni Sessanta, di impossibile applicazione in un mercato nazionale che non può essere separato dai mercati
degli altri paesi e, in realtà, dettata per consentire un ulteriore controllo
microeconomico sulle emissioni «diverse da quelle azionarie».
Torneremo sul punto in seguito, ma in ogni caso è bene precisare subito che la norma, abrogata dal Testo Unico delle leggi in materia creditizia del 1993, non ha mai ricevuto una concreta applicazione, se non in
chiave di tutela del risparmio nei confronti di emissioni che avrebbero
potuto pregiudicarlo in considerazione della natura dei titoli offerti.
10. Le riforme degli anni Ottanta
Un ruolo di qualche peso ha poi, nella costruzione dell’ordinamento
del mercato mobiliare, la legge 4 giugno 1985, n. 281, soprattutto in
quanto consolida il sistema introdotto dalle disposizioni precedenti.
A) Vengono attribuite alla Consob la «personalità di diritto pubblico»
e la «piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge», sottolineandone
così la separatezza dall’organizzazione governo-amministrazione e la
natura di autorità indipendente.
Ne vengono enfatizzate l’autonomia organizzativa e, soprattutto, la
potestà normativa sui rapporti interprivati (artt. 1-4).
B) Vengono imposti nuovi obblighi di trasparenza, sia nei confronti
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