3 feb 2013

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Cultura e spettacoli
LIBERTÀ
Domenica 3 febbraio 2013
Quelle canzoni che ci raccontano
Calorosi applausi per lo spettacolo di Magni al Verdi di Fiorenzuola
FIORENZUOLA - Matteo Magni
è un “animale” da palcoscenico. Ma nel suo nuovo spettacolo è soprattutto e semplicemente un uomo salito
sul palco per dire la propria
verità: la vita è lotta, ma il
dramma dell’esistenza può
essere preso con ironia. Lo
spettacolo Matteo Magni.
Teatro Canzone. Impegnati a
sorridere ha entusiasmato,
smosso e commosso, il pubblico del Teatro Verdi di Fiorenzuola, nelle due serate di
venerdì e sabato proposte in
collaborazione con l’assessore alla cultura Augusto
Bottioni e inserite nel cartellone della stagione musicale.
Questo è uno spettacolo
alla Giorgio Gaber, costruito
sulle parole. Parole in musica
o parole sussurrate, scritte,
urlate. Parole necessarie. Parole che volano, parole che
pesano. Il protagonista è un
uomo comune ma non qualunque. Un uomo artista, che
non perde la voglia di lottare
e impegnarsi.
Matteo Magni, superati i
quarant’anni d’età e i venti
di carriera, si è messo in gioco, si è messo a nudo. Il leader dei Cani Sciolti ha scelto
qui di cambiare sonorità: dal
rock pop della sua band, alla
grande musica cantautoriale italiana. In questo progetto di ricerca ha coinvolto appieno i suoi musicisti, invitati a suonare in acustico, senza l’amplificazione tipica
delle grandi piazze né dei locali discoteca. Fabio Comovi
alle tastiere e pianoforte, Aldo Zardoni alla chitarra, Victor Fiorilli Muller al basso e
Giovanni Savinelli alla batteria e percussioni, hanno
creato un ambiente musicale raffinato, elegante, ritmato, caldo, pieno.
La narrazione era affidata
della grande canzone d’autore italiana: Gaber e Luporini, con la loro invenzione
del teatro canzone (Un’Idea,
La Libertà, Shampoo, Destra
sinistra); Ivano Fossati (del
suo C’è tempo Magni concede anche un bis a fine spettacolo), Fabrizio De Andrè
(Bocca di rosa e Il pescatore),
Francesco Guccini (Il vecchio
e il bambino), Paolo Conte
(Via con me). A creare un filo
tra queste poesie in musica,
ci sono parole scritte dallo
stesso Magni in brevi mono-
Matteo Magnin nello spettacolo “Teatro Canzone.Impegnati
a sorridere”,tributo a Gaber e ai cantautori italiani al “Verdi”
di Fiorenzuola.In basso a destra Magni nel ’93 sulla piazza
del “Verdi”in un analogo concerto su Gaber (foto Lunardini)
loghi che ben si impastano
alla partitura musicale. L’artificio drammaturgico usato
da Magni per questo viaggio
nell’umano, è quello di
sdoppiarsi, prendendo a prestito l’esempio di Gaber in
Dialogo di un impegnato e
un non so che, che Magni aveva messo in scena nel ’93,
a vent’anni dal debutto di
Gaber al Piccolo di Milano.
Lo mise in scena, tra gli altri,
al cinema Astra di Cortemaggiore, al Risorgimento di Fiorenzuola e anche davanti al
teatro Verdi non ancora restaurato. Ora dentro il teatro
della sua città, a vent’anni di
distanza, l’artista ha debuttato con questo nuovo lavoro, che lo vede autore e produttore (con Piacenza Musica).
Riuscita l’idea di inserire ritagliati in un angolo del
proscenio - uno scrittoio, un
lume, una macchina da scrivere, pochi oggetti che indicano al pubblico lo spazio
della riflessione e del dialogo tra l’artista e un “non so
che”, l’alter ego di Magni, una
voce fuori campo che lo fa
tornare con i piedi per terra.
Che schiaccia il sognatore.
Non sempre facile per il poeta scrivere. Sulle note di un
brano strumentale eseguito
dal bassista Victor Fiorilli,
Magni “suona” i tasti della
macchina da scrivere. Tra incertezze e fogli stracciati e
recuperati, alla fine riesce a
imprimere sulla carta questa
frase: «Ti voglio bene papà».
Lo spettacolo è dedicato al
padre Rodolfo Magni, grande capitano d’industria fondatore della Biffi.
Spettacolo raffinato ma
non ingessato. I musicisti e
Magni diventano un corpo
solo, con il loro abito nero ed
essenziale, come la scenografia: gli strumentisti sono
disposti dinnanzi ad un fondale che - con la regia di Andrea Baldini - si trasforma in
campo di grano, cielo azzurro, o si accende di luci psichedeliche.
Ci auguriamo che questa
sia solo la data pilota e che lo
spettacolo di un Matteo Magni maturo, animale da palcoscenico ma anche uomo a
suo modo rivoluzionario,
possa girare nel nostro territorio e far girare “un’idea”.
«Perché la libertà non sta sopra un albero, la libertà è
partecipazione». Proprio come il teatro.
Donata Meneghelli
IN “MONDI LONTANI”
Cameron dirige
un film sul Cirque
du Soleil: «Sarà
un volo incantato»
ROMA - Dopo tanta attesa, la magia e le acrobazie del Cirque du
Soleil stanno finalmente per
sbarcare sugli schermi cinematografici italiani. Il conto alla rovescia è iniziato: il 7 febbraio arriva il film Cirque du Soleil 3D:
Mondi lontani, opera nata dalla genialità
del
produttore esecutivo James Cameron (regista di
Titanic ed eccezionale in- Il regista James
novatore del Cameron
cinema 3D
con il suo Avatar), e dalla poesia fiabesca e
visionaria di Andrew Adamson
(regista di Shrek e delle Cronache
di Narnia).
E in attesa dell’ora X, giovedì
prossimo, qualche scampolo di
magia e illusione comincia a
prendere forma, attraverso le
immagini di scena e le parole di
Cameron, che ha definito il film
«un sogno che si avvera. Non abbiamo voluto mostrare gli effetti
speciali, ma esaltare la pura fisicità, il talento umano e la straordinaria abilità degli artisti - ha
spiegato il produttore -. Il film inizia in questa sorta di circo malridotto per continuare con la
scoperta di un altro circo in
un’altra dimensione, una sorta di
limbo, nella quale sono caduti i
due giovani protagonisti. Si vedono cavi e imbracature, nessun
effetto speciale che li nasconda.
Ed è proprio per questo che lo
spettatore sperimenta l’ingegnosità della scenografia, le coreografie, la forza e la grazia degli artisti che sembrano così fluide e
naturali. Quello che si vede è puro Cirque - dice ancora -. E con il
3D lo spettatore è catapultato all’interno dello show. Ha la stessa
prospettiva degli artisti in pedana, con l’impressione di vagare
in un circo fantastico».
Era da tempo che Cameron
cullava l’idea di realizzare un
film con il circo più famoso del
mondo. «Non era mai stato fatto
qualcosa in 3D - spiega -. È stata
una fortuna lavorare con loro, avere a disposizione quel talento
per creare esibizioni emozionanti. E poiché le pericolosissime
performance degli artisti richiedono incredibili abilità e coraggio, abbiamo ritenuto importante mostrare nel film i cavi e tutto
quanto serva a supportare quell’abilità umana».
LE PRIME DEL CINEMA
A CURA DI DAVIDE MONTANARI
Che frizzanti pensionati
in “Quartet” di Hoffman
◗◗ La vecchiaia non è qualcosa per
vecchie femminucce, sembra
volerci dire Dustin Hoffman con il
suo “Quartet”che, a 75 anni suonati
per l’ex giovane attore
protagonista de “Il laureato”,
rappresenta l’opera prima come
regista.Cio che rende questa dolce
pellicola un capolavoro della
commedia capace di “massaggiare”
con assoluta maestria i sentimenti,
è il fatto che c’è coerenza nel
costrutto della trama che è condita
con ingredienti non facili: i soli
ospiti della casa di riposo inglese
Beecham House.L’edificio che
accoglie i frizzanti pensionati, che è
veramente una casa di riposo
(aperta a chi paga) e intitolata all’ex
musicista Beecham, rappresenta un
palese richiamo a Casa Verdi come
quella di Milano voluta come
lascito dal grande Maestro di
Sant’Agata per ospitare musicisti
indigenti.E proprio a Verdi c’è un
altro omaggio della storia,
adattamento della “pièce”teatrale
di Ronald Harwood.Gli anziani
infatti sono impegnati nella messa
in scena di un galà per il giorno
della nascita di Verdi allo
scopo di raccogliere
fondi per autofinanziare
un anno di attività
artistiche.Durante i
preparativi della festa,
entra come ospite la
famosa cantante lirica
Jean (Maggie Smith),
riottosa nel prendere
parte alle attività del
luogo che non è certo un
circolo dove in 4 giocano
a briscola e gli altri si
mettono attorno al
tavolo per commentare
le partite.Ma dove al
massimo, tanto per dire il livello
culturale, qualcuno legge il
pentagramma, suona arie d’opera e
gli altri criticano se la nota è calante.
Per dare lustro allo spettacolo, gli
ospiti vogliono mettere in
cartellone un celebre quartetto del
Sotto:i protagonisti di “Quartet”,
pellicola diretta da Dustin Hoffman
“Rigoletto”che tanti anni prima
aveva fatto parlare bene di sé.Chi lo
ha cantato allora, con l’arrivo di
Jean, è adesso riunito tutto alla
Beecham.Il film è ricco di battute e
di umorismo dove si coglie con
tenerezza quanto è bella la vita
anche ad una età in cui i capelli
diventano bianchi.
Hoffman riesce a fare cogliere
quanto nessuno degli ospiti (alcuni
dei quali sono veri ex musicisti
prestati al cinema) ha alcuna voglia
di percorrere la «transizione da
cantante d’opera a vecchio
rincoglionito» senza fare resistenza.
E non accettare di cantare
di nuovo sul palco, a quella
età come dapprima fa Jean
per paura di sbagliare un
acuto, ti fa chiedere: che
hai da perdere?
L’alternativa è «fare l’ospite
d’onore al crematorio».
Anche perché, come dice
Rilke, le opere d’arte sono
di una solitudine infinita e
nulla può raggiungerle
meno della critica.Alla fine
che cosa potrà convincere
la Jean della Smith (una
sorta di Callas) a risalire sul
palco a cantare facendo ire
meno le sue paure? Perché se lei
non sale, gli applausi li prende tutti
la Tebaldi.
Quartet di Dustin Hoffman, con
Maggie Smith,Tom Courtenay, Billy
Connolly e Pauline Collins Al Jolly
In “Looper” di Rian Johnson
delitti spazio-temporali
◗◗ Il Morando Morandini è pieno di
titoli che hanno, come elemento
cardine della trama, il viaggio nel
tempo. La singolarità del film sta in
ciò che rappresenta il viaggio: ne
“L’esercito delle 12 scimmie” il viaggio serviva per sventare un attentato che avrebbe provocato la distruzione del mondo, in “Ritorno al
futuro” (viaggiando sulla mitica DeLorean) il protagonista vuole salvare la vita dell’amico scienziato ferito mortalmente. Mentre in “Looper” di Rian Johnson lo scopo del
viaggio è chiudere un cerchio, figura geometrica che non necessariamente rappresenta una metaforica scia di sangue lasciata da alcuni assassini. Il presente della storia
è il Kansas del 2044 (anno in cui la
macchina del tempo non era ancora stata inventata). Nella campagna
di una città senza nome, vengono
spedite dal futuro 2074, alcune
persone. Ad aspettare la loro materializzazione, nell’attimo del loro
arrivo ci sono assassini che devono
ucciderle e sbarazzarsi del corpo in
una sorta di delitto spazio-temporale. Giocare però con la linea del
tempo, cioè con l’intreccio delle
conseguenze di azioni future sul
presente o di azioni presenti sul futuro, è qualcosa di molto delicato. Il
gioco infatti può essere pieno di
contraddizioni e la bravura di un
regista o di uno sceneggiatore sta
nel rendere possibile l’impossibile
senza fare emergere i paradossi sul
come e con quali conseguenze, nel
caso specifico, l’assassino protagonista del futuro (Bruce Willis) possa
condizionare il proprio io passato
(Joseph Gordon-levitt) o viceversa.
E Johnson non sempre riesce a
rendere credibile il tutto alla perfezione, anche se questa sua terza opera dietro la macchina da presa è
complessivamente buona.
Looper di Rian Johnson, con Joseph Gordon-Levitt, Bruce Willis ed
Emily Blunt Alle multisala Uci e Politeama
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