32 Cultura e spettacoli LIBERTÀ Domenica 3 febbraio 2013 Quelle canzoni che ci raccontano Calorosi applausi per lo spettacolo di Magni al Verdi di Fiorenzuola FIORENZUOLA - Matteo Magni è un “animale” da palcoscenico. Ma nel suo nuovo spettacolo è soprattutto e semplicemente un uomo salito sul palco per dire la propria verità: la vita è lotta, ma il dramma dell’esistenza può essere preso con ironia. Lo spettacolo Matteo Magni. Teatro Canzone. Impegnati a sorridere ha entusiasmato, smosso e commosso, il pubblico del Teatro Verdi di Fiorenzuola, nelle due serate di venerdì e sabato proposte in collaborazione con l’assessore alla cultura Augusto Bottioni e inserite nel cartellone della stagione musicale. Questo è uno spettacolo alla Giorgio Gaber, costruito sulle parole. Parole in musica o parole sussurrate, scritte, urlate. Parole necessarie. Parole che volano, parole che pesano. Il protagonista è un uomo comune ma non qualunque. Un uomo artista, che non perde la voglia di lottare e impegnarsi. Matteo Magni, superati i quarant’anni d’età e i venti di carriera, si è messo in gioco, si è messo a nudo. Il leader dei Cani Sciolti ha scelto qui di cambiare sonorità: dal rock pop della sua band, alla grande musica cantautoriale italiana. In questo progetto di ricerca ha coinvolto appieno i suoi musicisti, invitati a suonare in acustico, senza l’amplificazione tipica delle grandi piazze né dei locali discoteca. Fabio Comovi alle tastiere e pianoforte, Aldo Zardoni alla chitarra, Victor Fiorilli Muller al basso e Giovanni Savinelli alla batteria e percussioni, hanno creato un ambiente musicale raffinato, elegante, ritmato, caldo, pieno. La narrazione era affidata della grande canzone d’autore italiana: Gaber e Luporini, con la loro invenzione del teatro canzone (Un’Idea, La Libertà, Shampoo, Destra sinistra); Ivano Fossati (del suo C’è tempo Magni concede anche un bis a fine spettacolo), Fabrizio De Andrè (Bocca di rosa e Il pescatore), Francesco Guccini (Il vecchio e il bambino), Paolo Conte (Via con me). A creare un filo tra queste poesie in musica, ci sono parole scritte dallo stesso Magni in brevi mono- Matteo Magnin nello spettacolo “Teatro Canzone.Impegnati a sorridere”,tributo a Gaber e ai cantautori italiani al “Verdi” di Fiorenzuola.In basso a destra Magni nel ’93 sulla piazza del “Verdi”in un analogo concerto su Gaber (foto Lunardini) loghi che ben si impastano alla partitura musicale. L’artificio drammaturgico usato da Magni per questo viaggio nell’umano, è quello di sdoppiarsi, prendendo a prestito l’esempio di Gaber in Dialogo di un impegnato e un non so che, che Magni aveva messo in scena nel ’93, a vent’anni dal debutto di Gaber al Piccolo di Milano. Lo mise in scena, tra gli altri, al cinema Astra di Cortemaggiore, al Risorgimento di Fiorenzuola e anche davanti al teatro Verdi non ancora restaurato. Ora dentro il teatro della sua città, a vent’anni di distanza, l’artista ha debuttato con questo nuovo lavoro, che lo vede autore e produttore (con Piacenza Musica). Riuscita l’idea di inserire ritagliati in un angolo del proscenio - uno scrittoio, un lume, una macchina da scrivere, pochi oggetti che indicano al pubblico lo spazio della riflessione e del dialogo tra l’artista e un “non so che”, l’alter ego di Magni, una voce fuori campo che lo fa tornare con i piedi per terra. Che schiaccia il sognatore. Non sempre facile per il poeta scrivere. Sulle note di un brano strumentale eseguito dal bassista Victor Fiorilli, Magni “suona” i tasti della macchina da scrivere. Tra incertezze e fogli stracciati e recuperati, alla fine riesce a imprimere sulla carta questa frase: «Ti voglio bene papà». Lo spettacolo è dedicato al padre Rodolfo Magni, grande capitano d’industria fondatore della Biffi. Spettacolo raffinato ma non ingessato. I musicisti e Magni diventano un corpo solo, con il loro abito nero ed essenziale, come la scenografia: gli strumentisti sono disposti dinnanzi ad un fondale che - con la regia di Andrea Baldini - si trasforma in campo di grano, cielo azzurro, o si accende di luci psichedeliche. Ci auguriamo che questa sia solo la data pilota e che lo spettacolo di un Matteo Magni maturo, animale da palcoscenico ma anche uomo a suo modo rivoluzionario, possa girare nel nostro territorio e far girare “un’idea”. «Perché la libertà non sta sopra un albero, la libertà è partecipazione». Proprio come il teatro. Donata Meneghelli IN “MONDI LONTANI” Cameron dirige un film sul Cirque du Soleil: «Sarà un volo incantato» ROMA - Dopo tanta attesa, la magia e le acrobazie del Cirque du Soleil stanno finalmente per sbarcare sugli schermi cinematografici italiani. Il conto alla rovescia è iniziato: il 7 febbraio arriva il film Cirque du Soleil 3D: Mondi lontani, opera nata dalla genialità del produttore esecutivo James Cameron (regista di Titanic ed eccezionale in- Il regista James novatore del Cameron cinema 3D con il suo Avatar), e dalla poesia fiabesca e visionaria di Andrew Adamson (regista di Shrek e delle Cronache di Narnia). E in attesa dell’ora X, giovedì prossimo, qualche scampolo di magia e illusione comincia a prendere forma, attraverso le immagini di scena e le parole di Cameron, che ha definito il film «un sogno che si avvera. Non abbiamo voluto mostrare gli effetti speciali, ma esaltare la pura fisicità, il talento umano e la straordinaria abilità degli artisti - ha spiegato il produttore -. Il film inizia in questa sorta di circo malridotto per continuare con la scoperta di un altro circo in un’altra dimensione, una sorta di limbo, nella quale sono caduti i due giovani protagonisti. Si vedono cavi e imbracature, nessun effetto speciale che li nasconda. Ed è proprio per questo che lo spettatore sperimenta l’ingegnosità della scenografia, le coreografie, la forza e la grazia degli artisti che sembrano così fluide e naturali. Quello che si vede è puro Cirque - dice ancora -. E con il 3D lo spettatore è catapultato all’interno dello show. Ha la stessa prospettiva degli artisti in pedana, con l’impressione di vagare in un circo fantastico». Era da tempo che Cameron cullava l’idea di realizzare un film con il circo più famoso del mondo. «Non era mai stato fatto qualcosa in 3D - spiega -. È stata una fortuna lavorare con loro, avere a disposizione quel talento per creare esibizioni emozionanti. E poiché le pericolosissime performance degli artisti richiedono incredibili abilità e coraggio, abbiamo ritenuto importante mostrare nel film i cavi e tutto quanto serva a supportare quell’abilità umana». LE PRIME DEL CINEMA A CURA DI DAVIDE MONTANARI Che frizzanti pensionati in “Quartet” di Hoffman ◗◗ La vecchiaia non è qualcosa per vecchie femminucce, sembra volerci dire Dustin Hoffman con il suo “Quartet”che, a 75 anni suonati per l’ex giovane attore protagonista de “Il laureato”, rappresenta l’opera prima come regista.Cio che rende questa dolce pellicola un capolavoro della commedia capace di “massaggiare” con assoluta maestria i sentimenti, è il fatto che c’è coerenza nel costrutto della trama che è condita con ingredienti non facili: i soli ospiti della casa di riposo inglese Beecham House.L’edificio che accoglie i frizzanti pensionati, che è veramente una casa di riposo (aperta a chi paga) e intitolata all’ex musicista Beecham, rappresenta un palese richiamo a Casa Verdi come quella di Milano voluta come lascito dal grande Maestro di Sant’Agata per ospitare musicisti indigenti.E proprio a Verdi c’è un altro omaggio della storia, adattamento della “pièce”teatrale di Ronald Harwood.Gli anziani infatti sono impegnati nella messa in scena di un galà per il giorno della nascita di Verdi allo scopo di raccogliere fondi per autofinanziare un anno di attività artistiche.Durante i preparativi della festa, entra come ospite la famosa cantante lirica Jean (Maggie Smith), riottosa nel prendere parte alle attività del luogo che non è certo un circolo dove in 4 giocano a briscola e gli altri si mettono attorno al tavolo per commentare le partite.Ma dove al massimo, tanto per dire il livello culturale, qualcuno legge il pentagramma, suona arie d’opera e gli altri criticano se la nota è calante. Per dare lustro allo spettacolo, gli ospiti vogliono mettere in cartellone un celebre quartetto del Sotto:i protagonisti di “Quartet”, pellicola diretta da Dustin Hoffman “Rigoletto”che tanti anni prima aveva fatto parlare bene di sé.Chi lo ha cantato allora, con l’arrivo di Jean, è adesso riunito tutto alla Beecham.Il film è ricco di battute e di umorismo dove si coglie con tenerezza quanto è bella la vita anche ad una età in cui i capelli diventano bianchi. Hoffman riesce a fare cogliere quanto nessuno degli ospiti (alcuni dei quali sono veri ex musicisti prestati al cinema) ha alcuna voglia di percorrere la «transizione da cantante d’opera a vecchio rincoglionito» senza fare resistenza. E non accettare di cantare di nuovo sul palco, a quella età come dapprima fa Jean per paura di sbagliare un acuto, ti fa chiedere: che hai da perdere? L’alternativa è «fare l’ospite d’onore al crematorio». Anche perché, come dice Rilke, le opere d’arte sono di una solitudine infinita e nulla può raggiungerle meno della critica.Alla fine che cosa potrà convincere la Jean della Smith (una sorta di Callas) a risalire sul palco a cantare facendo ire meno le sue paure? Perché se lei non sale, gli applausi li prende tutti la Tebaldi. Quartet di Dustin Hoffman, con Maggie Smith,Tom Courtenay, Billy Connolly e Pauline Collins Al Jolly In “Looper” di Rian Johnson delitti spazio-temporali ◗◗ Il Morando Morandini è pieno di titoli che hanno, come elemento cardine della trama, il viaggio nel tempo. La singolarità del film sta in ciò che rappresenta il viaggio: ne “L’esercito delle 12 scimmie” il viaggio serviva per sventare un attentato che avrebbe provocato la distruzione del mondo, in “Ritorno al futuro” (viaggiando sulla mitica DeLorean) il protagonista vuole salvare la vita dell’amico scienziato ferito mortalmente. Mentre in “Looper” di Rian Johnson lo scopo del viaggio è chiudere un cerchio, figura geometrica che non necessariamente rappresenta una metaforica scia di sangue lasciata da alcuni assassini. Il presente della storia è il Kansas del 2044 (anno in cui la macchina del tempo non era ancora stata inventata). Nella campagna di una città senza nome, vengono spedite dal futuro 2074, alcune persone. Ad aspettare la loro materializzazione, nell’attimo del loro arrivo ci sono assassini che devono ucciderle e sbarazzarsi del corpo in una sorta di delitto spazio-temporale. Giocare però con la linea del tempo, cioè con l’intreccio delle conseguenze di azioni future sul presente o di azioni presenti sul futuro, è qualcosa di molto delicato. Il gioco infatti può essere pieno di contraddizioni e la bravura di un regista o di uno sceneggiatore sta nel rendere possibile l’impossibile senza fare emergere i paradossi sul come e con quali conseguenze, nel caso specifico, l’assassino protagonista del futuro (Bruce Willis) possa condizionare il proprio io passato (Joseph Gordon-levitt) o viceversa. E Johnson non sempre riesce a rendere credibile il tutto alla perfezione, anche se questa sua terza opera dietro la macchina da presa è complessivamente buona. Looper di Rian Johnson, con Joseph Gordon-Levitt, Bruce Willis ed Emily Blunt Alle multisala Uci e Politeama