Nota_Tecnica_

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TAGLIO DELLE SCALE CONDOMINIALI PER L'INSERIMENTO DI UN ASCENSORE PER PORTATORI DI HANDICAP
Tratto da: Disposizione Tecnico - Organizzativa (DTO 24/2014), Comune di Castel San Giovanni (PC) del 02.05.2014
Negli edifici, soprattutto condominiali, di vecchia costruzione non muniti di ascensore (per quelli di
nuova costruzione l'ascensore è obbligatorio, se l'immobile ha più di tre livelli fuori terra 1) i
condomini potrebbero essere chiamati prima o dopo, ma con sempre maggior frequenza, ad
affrontare il problema della sua installazione.
Si tratta di una problematica che si pone spesso, ed ovviamente, nella maggioranza dei casi,
l'installazione di ascensori in fabbricati esistenti che ne sono sprovvisti, provoca
conseguentemente la riduzione della larghezza delle rampe delle scale, allo scopo di alloggiare
l’ascensore all’interno del vuoto scale.
In tal caso occorre stabilire una larghezza minima delle rampe che risulteranno ridotte dopo il
taglio scale necessario per l’alloggiamento dell’ascensore.
Il taglio delle scale, per ricavare il vano ascensore è in teoria ammesso, ma solo entro certi limiti: la
residua larghezza delle scale condominiali non può essere inferiore a determinati limiti, altrimenti
le stesse diverrebbero disagevoli per le persone o addirittura inservibili per il trasporto di mobili od
oggetti ingombranti ed il passaggio di barelle in caso di necessità2.
P.to 3.2, D.M. 14.06.1989, n. 236 “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visibilità
degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, ai fini del superamento e
dell’eliminazione delle barriere architettoniche”.
2 Anche la giurisprudenza in molte occasioni si è espressa per la illegittimità della installazione dell’ascensore che porti
ad una larghezza delle rampe di scale troppo limitata. Per tutte: Cassazione Civile, 1 giugno 2007, numero 12.847, per la
quale deve ritenersi nulla la delibera assembleare condominiale che - pur in presenza di due condomini disabili –
autorizzi l’installazione di un ascensore, con sensibile riduzione delle dimensioni delle scale condominiali. La Corte ha
rilevato che la riduzione della rampa a metri 0,85 comportava una grave menomazione, rendendo disagevole il
contemporaneo passaggio di due persone e problematico il trasporto di oggetti di grosse dimensioni.
1
Si tratta di una questione di carattere regolamentare comunale, ovvero di competenza del
Regolamento Urbanistico Edilizio, dal momento che la misura delle rampe scale deve essere
indicata nel regolamento.
Il tema è già stato affrontato in molte realtà comunali. Il caso più recente è quello del Nuovo
Regolamento Edilizio del Comune di Milano, adottato il 14.04.2014. Il nuovo testo milanese, sul
punto, all’articolo 90, precisa: «Nel caso di installazione di ascensori nei vani scala comuni degli
edifici esistenti privi di impianti di sollevamento, è consentita la riduzione della larghezza della
rampa a un minimo di 90 centimetri».
È apprezzabile il tentativo di dare un'indicazione sulla misura minima da rispettare, visto che nel
regolamento milanese attuale all'articolo 30 si dice che «le scale di uso comune sono disciplinate,
quanto a larghezza, dimensioni e chiusura alla relativa normativa vigente in materia». Tuttavia, la
precisazione rischia di creare altri problemi, dal momento che la misura di 90 cm non risulta in
linea con la tendenza nazionale ed europea sul problema e va considerata una autentica marcia
indietro sul problema del superamento delle barriere architettoniche. Negli spazi stretti dei vecchi
edifici, anche 10 centimetri possono fare la differenza, pregiudicando o rendendo costosa o
difficoltosa un'installazione.
Di contro, si possono citare anche – tra i tanti – il caso del Comune di Genova (ma anche Roma,
Napoli, Bari e Ancona), che ad esempio all'articolo articolo 98-bis del Regolamento Edilizio
afferma: «La larghezza minima delle scale potrà essere di 80 cm al netto del corrimano a
condizione che sia dimostrata graficamente la condizione di cui al punto 4.1.10 del D.M. 236/89
(accessibilità della barella)»3.
Il vero problema, in realtà, consiste nel fatto che non esiste alcun riferimento nazionale univoco e
certo sulla larghezza delle scale. Per questo motivo, sin dai tempi della pubblicazione delle legge
13/1989 la giurisprudenza ha valutato caso per caso, anche contraddicendosi spesso, e
sovrapponendosi alle diverse prassi comunali, spesso difformi tra loro e nel tempo.
Viene talora invocato il D.M. 236/1989 (larghezza di 120 centimetri4) e il D.M. 246/1987 (larghezza
105 cm5)6, ma si tratta a ben vedere di riferimenti impropri o quantomeno riferiti a norme di
carattere specifico.
Per questo la soluzione migliore sarebbe introdurre, come in Francia, un riferimento univoco su
base nazionale. Il “Code de construction et de l'habitation” (sostanzialmente l'equivalente del
nostro Testo Unico dell’Edilizia, D.P.R. n. 380/2011) stabilisce «la larghezza minima del
camminamento, che deve essere superiore o uguale a 0,90 metri per una circolazione orizzontale e
a 0,80 metri, misurata tra i corrimani, per una scala».
3
Decreto Ministeriale - Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236 "Prescrizioni tecniche necessarie a garantire
l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata,
ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche." 4.1.10: “…la larghezza delle rampe e dei
pianerottoli deve permettere il passaggio contemporaneo di due persone ed il passaggio orizzontale di una barella con
una inclinazione massima del 15% lungo l'asse longitudinale”.
4
Decreto Ministeriale - Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236 8.1.10: “Le rampe di scale che costituiscono
parte comune o siano di uso pubblico devono avere una larghezza minima di 1,20 m, avere una pendenza limitata e
costante per l'intero sviluppo della scala”.
5
Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione. 2.4:
Negli edifici di tipo ”a“, di tipo ”b“, di tipo ”c“, la larghezza minima delle scale deve essere di 1.05 m, negli edifici di tipo ”d“
e di tipo ”e“ la larghezza minima delle scale deve essere di 1.20 m. La disposizione vale per edifici con altezza
antincendio fino a 54 m, che, nel nuovo Regolamento, di cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, sono appartenenti alle
categorie A e B.
6
Tale norma non è applicabile alla stragrande maggioranza dei casi in esame in quanto il campo di applicazione di dette
norme (art.1.1) riguarda gli edifici di nuova costruzione o edifici esistenti in caso di ristrutturazione che comportino
modifiche sostanziali. Si intendono per modifiche sostanziali lavori che comportino il rifacimento di oltre il 50% dei solai o
il rifacimento strutturale della scala o l’aumento di altezza. Per gli edifici esistenti si applicano le disposizioni contenute
nell’art. 8 dove non si prevede nessuna limitazione dell’ampiezza della rampe.
Vi è da far osservare, relativamente allo specifico problema del taglio scala, è opportuno segnalare
i seguenti due chiarimenti al D.M. 246/1987:
1) Il taglio della scala per l'installazione di impianti ascensore in edifici per civile abitazione preesistenti,
motivati dall’esigenza di adeguare gli stabili alle norme per il superamento delle barriere
architettoniche, non è da considerarsi come intervento di rifacimento strutturale (Nota Ministero
dell’Interno-Dipartimento dei Vigili del Fuoco e della Difesa Civile-Direzione centrale per la prevenzione
e la difesa tecnica-Area prevenzione incendi, prot. n° P118/4135 sott. 5 del 17 febbraio 2003).
2) A fronte di situazioni che richiedono la necessità dell’installazione di un impianto ascensore e
quest’ultimo non sia altrimenti realizzabile se non esclusivamente all’interno del vano scala, si chiarisce
che tale installazione non deve comportare un’eccessiva diminuzione degli spazi di transito. Al riguardo,
un utile riferimento per il dimensionamento al minimo delle scale, può senz’altro essere costituito dal
D.Lgs n. 626/947, così come modificato dal D.L.gs. n. 242/96, che stabilisce in m 0,80 la larghezza minima
di porte e portoni degli ambienti di lavoro. (Nota Ministero dell’Interno-Dipartimento dei Vigili del Fuoco
e della Difesa Civile-Direzione centrale per la prevenzione e la difesa tecnica-Area prevenzione incendi,
prot. n. P1424/4122 sott. 67 del 24-12-2002), che riconsidera e rivede la posizione sino ad allora
mantenuta dallo stesso Ministero, come ad esempio nella appena precedente Nota prot. n. P1052/4135
sott. 5 del 28 agosto 2002, laddove si stabiliva che “Relativamente alla possibilità di installare un
ascensore in un edificio di civile abitazione attraverso la riduzione della larghezza della rampa di scala, si
chiarisce che la larghezza minima della rampa non può comunque essere inferiore ai valori previsti dal
punto 2.4 del D.M. 16.05.87 n. 246 (1,05 m per edifici di altezza antincendi fino a 54 m e 1,20 per edifici
di altezza superiore). Per edifici esistenti alla data di entrata in vigore del suddetto decreto la larghezza
della rampa, se inferiore ai valori sopra riportati, non potrà ulteriormente essere ridotta”.
L’inserimento di un impianto ascensore comune in un condominio8 pone anche problematiche di carattere
civilistico, che esulano dalle competenze dell’Amministrazione Comunale ma che comunque debbono
essere tenute in debito conto, soprattutto in relazione all’obbligo, per il Comune, di accertare la titolarità di
un intervento edilizio.
L’installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto può essere attuata,
riflettendo un servizio suscettibile di utilizzazione separata, anche a cura e spese di alcuni condomini
soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della
innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell’impianto ed in quelle di manutenzione dell’opera
(Cass. Sez. II 11/2/2000 n. 1529)9.
Detta installazione costituisce ai sensi dell’art. 1120, comma 1, del C.C. una innovazione in quanto opera
volta alla eliminazione delle barriere architettoniche e quindi come tale indicata quale innovazione dal
punto 2, del c. 2, dell’art. 1120110).
Oggi DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008 , n. 81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.
8 L’ art. 1117-bis del Codice Civile, inserito dalla legge n. 220 del 2012 (Modifiche alla disciplina del condominio negli
edifici), estende l’applicazione delle disposizioni del codice civile sul condominio degli edifici, in quanto compatibili, a tutti
i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai
sensi dell’articolo 1117. La disciplina quindi viene estesa anche al c.d. “condominio minimo”.
Il condominio mimino è costituito tale dalla semplice esistenza di due proprietari distinti (nel senso che le loro proprietà
incidono differenti parti) in merito ad un medesimo edificio.
9
Corte di Cassazione 09.07.1975, n. 2696: se si immette l’impianto nella tromba delle scale e dell’andito corrispondente
al piano terreno, la diminuzione della facoltà di godimento di quelle parti è compensata dalla possibilità di avvantaggiarsi
della nuova opera. Ma è possibile che per volontà di alcuni condomini si debba tutti contribuire per l’installazione di un
ascensore nel vano scale? La risposta non è del tutto pacifica. Le sentenze più recenti hanno ribadito che un condomino
può installare a proprie spese, nella tromba delle scale, un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini
(Cassazione, 5 aprile 1977, n. 1300; 12 febbraio 1993, n. 1781; 18 agosto 1993, n. 8746; Tribunale di Milano 12 ottobre
1989, n. 8434 in “Arch. Loc. e cond.” 1990, 543).
10
I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che,
nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
…..
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico
degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione
di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del
condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di
altra idonea superficie comune;
7
Rispetto a questo, con le modifiche introdotte dal Nuovo Codice del Condominio (L. 11.12.2012, n. 220
“Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”), la situazione relativamente alle maggioranze
millesimali richieste è decisamente mutata:
SITUAZIONE PREVIGENTE:
Legge n. 13/1989 - Art. 2:
Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le
barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed
all'articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la
realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità
dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in
seconda convocazione, con le maggioranze
previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del Codice Civile.
2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per
iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la
potestà di cui al titolo IX del libro primo del Codice Civile, possono installare, a proprie spese, servoscala
nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso,
al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
Art. 1136 Codice Civile:
2. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli
intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
3. Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di seconda convocazione
delibera in un giorno successivo a quello della prima e in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la
deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e
almeno un terzo del valore dell'edificio.
Ma il comma 5 di tale articolo, specificatamente dedicato alle innovazioni, stabiliva:
5. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell' articolo 1120
devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio.
SITUAZIONE ATTUALE (con decorrenza 18.06.2013):
Legge n. 13/1989 - Art. 2 (come modificato da art. 27, L. 11.12.2012, n. 220):
1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le
barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed
all'articolo 1, primo comma, del d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 (ora d.P.R. 24 luglio 1996, n. 503- n.d.r.),
nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la
mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o
in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del Codice
Civile.
2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per
iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la
potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e
possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli
edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
Art. 1120 Codice Civile (come modificato da art. 5, L. 11.12.2012, n. 220:
2. I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le
innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
…
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo
energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio,
nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o
comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o
personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
Art. 1136 Codice Civile (come modificato da art. 14, L. 11.12.2012, n. 220:
2. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli
intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
3. Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in
seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci
giorni dalla medesima. L'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di
tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti
al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di
voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Conseguentemente nella situazione attuale sarà più facile l’inserimento di un impianto di ascensore in un
condominio.
Resta ferma comunque la disposizione dell’ultimo comma dell’articolo 1120 C.C. “Sono vietate le
innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il
decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche
di un solo condomino”.
Tale norma però tende a disciplinare l’approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa
per tutti i condomini, ma laddove la spesa relativa fosse assunta interamente a carico solo di parte dei
condomini, allora sia il lavoro sia la spesa rientrano nella previsione dell’art. 1102 C.C. che consente a
ciascun condomino di servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non
impedisca agli altri condomini di fare uguale uso secondo il loro diritto.
Le disposizioni di cui sopra valgono pur in assenza nel condominio di persone con disabilità o patologie
invalidanti11.
Si deve far notare come il legislatore, che ha provveduto a riscrivere l’articolo 2, comma 1, della Legge n.
13/89, che era stato ripreso testualmente dall’articolo 78 del Testo Unico dell’Edilizia, D.P.R. n. 380/2001,
non abbia anche provveduto a riformulare quest’ultimo, che, a tutt’oggi, riprende ancora la vecchia dizione
dell’originario articolo 2 della L.R. n. 13/1989 (tale disposizione deve comunque intendersi implicitamente
abrogata).
Ciò premesso, si deve far rilevare, sotto il profilo tecnico, come, nella maggior parte delle costruzioni
esistenti, l’installazione di un ascensore nel vano scala è quasi sempre possibile, ma ovviamente occorre
una progettazione accurata, effettuata da professionisti capaci e che l'esecuzione dei lavori sia affidata a
ditte specializzate.
Esemplificatamente, per un ascensore per 3 persone, basta infatti un vano scala largo solamente 2,30 m,
per installare un mini ascensore con la cabina larga 53 cm, che scorre in una torre autoportante, riducendo
la larghezza di ogni rampa a 80 cm (dimensione comunque che si ritiene insufficiente, come si dirà in
seguito nelle conclusioni). Il taglio della scala in lunghezza deve essere di circa 180 cm in modo di avere un
castello che abbia un lato interno lungo circa 174 cm. La lunghezza della cabina potrà essere di 114 cm, in
modo di avere una superficie minima utile di 0,60 mq per poter avere una omologazione al trasporto di 3
persone. Ovviamente le dimensioni del mini ascensore, sopra descritto, sono ben lontane da quelle di un
ascensore per disabili ma è bene precisare che oggi esistono in commercio sedie a rotelle (o carrozzine da
trasporto leggere) che pesano solo 15 Kg, sono larghe 50 cm ed alte 96 cm e che la larghezza del sedile è di
40 cm. Quindi realizzando una porta di piano di 55 cm ed adottando opportuni accorgimenti per le porte di
cabina è possibile, con un po' di pazienza, imbarcare un disabile seduto. Ma si tratta, in tutta evidenza, di
una soluzione limite.
Una riduzione della larghezza delle rampe di scale, migliora generalmente la loro statica ed una torre
autoportante, racchiusa in un vano scala può fornire anche un minimo incremento positivo alla statica del
fabbricato, ovviamente proporzionato alla struttura ed alla massa della torre rispetto a quella, in genere,
enormemente più grande del fabbricato.
11
Aspetto molto importante riguardante l'applicazione dell'articolo 2 della legge 13 del 1989 sull'abbattimento delle
barriere architettoniche in uno stabile: non è necessario che il portatore dì handicap abiti nel condominio perché si
attuino i dispositivi previsti dalle legge. Infatti, il Tribunale di Milano (con le sentenze del 22.3.1993 e 19.9.1991) ha
ritenuto sufficiente che il disabile si debba recare nell'edificio (ad esempio, per ragioni di famiglia, lavoro, cura o altro)
perché venga applicata la normativa. La normativa ha infatti lo scopo di garantire la libera frequentazione di tutte le
specie di edifici, anche da parte portatori di handicap, che possano recarvisi e non solo da parte di quelli che vi abitano.
Quando si effettua il taglio della scala, per realizzare una incastellatura metallica autoportante, molti
condomini temono che le strutture murarie del fabbricato non siano in grado di sopportare i carichi statici
della torre ed i carichi dinamici dovuti al movimento della cabina.
Questa eventualità, accoppiata alla riduzione della larghezza della scala, fa nascere molte perplessità circa
l’installazione degli ascensori nei vani scala esistenti.
E’ bene in tal senso precisare che, con le attuali tecnologie, è possibile, nella quasi totalità dei casi,
installare un ascensore; ed anzi se lo stesso è sorretto da una incastellatura metallica autoportante
particolarmente ben dimensionata, quest'ultima non solo può sopportare i carichi statici e dinamici
dell'impianto ma, come già evidenziato in premessa, può fornire anche un piccolo incremento positivo della
statica del fabbricato.
In ogni caso particolare attenzione va riservata al tipo di vincolo, fra la torre metallica e la struttura
muraria, che deve consentire, fra l'altro, le eventuali dilatazioni termiche.
Il problema sostanziale dunque, non è tanto la fattibilità tecnica, quanto la dimensione della larghezza delle
rampe di scale, che viene ridotta a seguito dell’intervento.
Il taglio delle scale deve comunque essere sempre effettuato sotto la guida di un tecnico esperto ed
unicamente da una ditta specializzata ed idoneamente attrezzata.
Qualsiasi improvvisazione può creare danni rilevanti. In genere tali interventi devono essere effettuati con
mezzi a rotazione evitando, per quanto possibile, i sistemi a percussione.
Particolare cura deve essere posta per ridurre le vibrazioni, la polvere e l'uso di macchine o attrezzature
quali il martello perforatore, grandi scalpelli, mazze ecc.
I metodi più utilizzati sono, in genere:
1. con carotatrici perforatrici rotative;
2. con troncatrici manuali a disco ed idonei scalpelli;
3. con seghe rotative a dischi diamantati di grande diametro posizionate su guide metalliche fissate alle
scale;
Le più comuni tecniche costruttive delle rampe delle scale:
1. scala con voltine alla romana: questa è una tecnica molto diffusa negli edifici di fine ottocento - inizi
novecento. Il taglio deve essere effettuato con mezzi a rotazione. Non ci sono particolari controindicazioni.
Tale intervento, riducendo lo sbalzo dell’aggetto delle rampe, di fatto le consolida;
2. scala con putrella di ferro posta longitudinalmente all’estremità delle rampe sotto la ringhiera: questa
tecnica è presente in alcuni edifici di fine ottocento. L’intervento non presenta generalmente
controindicazioni statiche, ma deve essere fatto previo puntellamento di tutta la rampa che si intende
tagliare. Si asporta la trave perimetrale della rampa e la si riposiziona nella nuova posizione, più vicina alla
parete portante. Se la rampa è costituita da tavelloni, non ci sono problemi per il taglio. Più delicato è
l’intervento in presenza di voltine, che hanno una funzione spingente, assorbita da uno o due tiranti per
rampa;
3. scala con putrelle di ferro parallele ai gradini: è una tecnica costruttiva presente in alcuni palazzi di fine
ottocento. Si posizionavano le putrelle incastrate nella muratura, per farle lavorare a sbalzo. Generalmente
si posizionava una putrella ogni due o tre scalini. Il taglio parziale di tali scale è un’ovvia opera di
consolidamento;
4. scala in C.A. con travi a ginocchio: è la tecnica più diffusa delle scale in cemento armato. La struttura
portante è assicurata da travi piegate, dette “a ginocchio”. I gradini sono realizzati a sbalzo. Queste scale
possono essere riconosciute, perché lo spessore minimo tra i marmi dei gradini e la parte inferiore della
rampa non supera i 15 cm. Il taglio parziale di dette rampe è una evidente opera di consolidamento.
5. scale in C.A. con soletta portante: si riconoscono perché lo spessore tra marmi dei gradini e parte
inferiore della rampa supera i 20 cm. In questo caso è consigliabile tagliare tutta la rampa, da pianerottolo a
pianerottolo.
Nei casi sopra esposti, il taglio deve essere fatto con sistemi a rotazione.
Per le scale in cemento armato, il taglio può essere fatto anche con scalpello, purché a mano e non
meccanico (sebbene si tratti di metodo ormai sorpassato tecnologicamente).
In ogni caso, il taglio della pietra di rivestimento dei gradini può essere fatta solo con strumenti di taglio a
rotazione e ciò per evitare di spaccare o incrinare i marmi di rivestimento.
Le opere di taglio delle scale e l’installazione di un ascensore devono intendersi pienamente e
legittimamente qualificabili come opere di “manutenzione straordinaria”.
In tal senso, sotto il profilo del titolo edilizio legittimante le opere, sulla base delle prescrizioni in materia
della L.R. n. 15/2013 “Semplificazione della disciplina edilizia”, si posso avere tre differenti casistiche:
1. la prima ricade nell’ambito della cosiddetta “edilizia libera”, che è appunto liberalizzata e per la quale
non occorre alcun titolo abilitativo; è disciplinata dall’art. 7, c. 1, lett. b) e riguarda “gli interventi volti
all'eliminazione delle barriere architettoniche, sensoriali e psicologico-cognitive, intesi come ogni
trasformazione degli spazi, delle superfici e degli usi dei locali delle unità immobiliari e delle parti comuni
degli edifici, ivi compreso l'inserimento di elementi tecnici e tecnologici, necessari per favorire
l'autonomia e la vita indipendente di persone con disabilità certificata, qualora non interessino gli
immobili compresi negli elenchi di cui alla Parte Seconda del decreto legislativo n. 42 del 2004, nonché gli
immobili aventi valore storico architettonico, individuati dagli strumenti urbanistici comunali ai sensi
dell'articolo A-9, comma 1, dell'Allegato della legge regionale n. 20 del 200012 e qualora non riguardino
le parti strutturali dell'edificio o siano privi di rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici e non
rechino comunque pregiudizio alla statica dell'edificio e non comportino deroghe alle previsioni degli
strumenti urbanistici comunali e al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”;
pertanto, tale ipotesi potrà essere praticata solo se:
a. non si tratti di immobile con vincolo culturale;
b. non si tratti di immobile con valore storico-architettonico comunale stabilito dallo strumento
urbanistico;
c. le opere non riguardino le parti strutturali dell'edificio;
d. le opere siano prive di rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici e non rechino comunque
pregiudizio alla statica dell'edificio;
e. le opere non comportino deroghe alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e al decreto del
Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (ipotesi che sostanzialmente non ricorre mai per
opere di tal genere);
2. la seconda ricade nell’ambito della cosiddetta “comunicazione di inizio dei lavori”, di cui ai commi 4 e 5
dell’articolo 7, e riguarda in generale (ovvero senza specifico richiamo ad opere finalizzate alla
eliminazione di barriere architettoniche) le opere di manutenzione straordinaria e le opere interne alle
costruzioni, qualora non comportino modifiche della sagoma, non aumentino le superfici utili e il
numero delle unità immobiliari, non modifichino le destinazioni d'uso delle costruzioni e delle singole
unità immobiliari, non riguardino le parti strutturali dell'edificio o siano privi di rilevanza per la pubblica
incolumità ai fini sismici e non rechino comunque pregiudizio alla statica dell'edificio;
tale seconda ipotesi potrà essere praticata solo se:
a. le opere non comportino modifiche della sagoma del fabbricato (al proposito si veda la DTO n.
5/2014);
b. le opere non aumentino le superfici utili (al proposito si veda la DTO n. 5/2014);
c. le opere non aumentino il numero delle unità immobiliari;
d. le opere non modifichino le destinazioni d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari;
e. le opere non riguardino le parti strutturali dell'edificio o siano privi di rilevanza per la pubblica
incolumità ai fini sismici e non rechino comunque pregiudizio alla statica dell'edificio;
3. la terza ricade nell’ambito della cosiddetta “segnalazione certificata di inizio attività”, di cui all’articolo
13, comma 1, lettera b), e riguarda gli interventi volti all'eliminazione delle barriere architettoniche,
sensoriali e psicologico - cognitive, qualora interessino gli immobili compresi negli elenchi di cui alla
Parte Seconda del decreto legislativo n. 42 del 2004 o gli immobili aventi valore storico-architettonico,
individuati dagli strumenti urbanistici comunali ai sensi dell'articolo A-9, comma 1, dell'Allegato della
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Tali edifici sono disciplinati all’articolo 27/II del RUE ed individuati alle seguenti tavole:
- QCST07-Elenco patrimonio immobiliare pubblico a vincolo culturale ex-lege;
- QCST08-Carta degli edifici insediamenti e nuclei di interesse storico architettonico;
- QCST09-Schede Edifici Liberty Deco;
- QCST17-Beni architettonici Centro Storico;
- QCSP06-Decreti di vincolo relativi ai beni culturali.
legge regionale n. 20 del 2000, qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio e comportino modifica
della sagoma e degli altri parametri dell'edificio oggetto dell'intervento.
Venendo ora alle disposizioni normative regolamentari sul tema, il Regolamento Urbanistico Edilizio vigente
ne tratta ai seguenti articoli:
1. art. 72/V - Scale, ascensori, scale e marciapiedi mobili:
il quale, in sintesi, stabilisce che la larghezza minima delle rampe e dei pianerottoli delle scale al servizio
di piani abitabili non deve essere inferiore a metri 1,10. Tale larghezza, se il fabbricato non è servito da
ascensore, deve essere aumentata di cm 10 ogni due piani serviti a partire dal terzo. Se la scala si
sviluppa intorno al corpo ascensore o montacarichi, la sua larghezza minima non deve essere inferiore a
m 1,20 e che in ogni caso nella realizzazione delle scale dovranno osservarsi le disposizioni dettate dalle
vigenti normative in materia di eliminazione delle barriere architettoniche ed in particolare il D.M. 14
giugno 1989, n. 236.
Stabilisce inoltre che Nei casi d scale interne che collegano vani abitativi con cantine, tra piani e
sottotetti e negli alloggi di tipo “duplex”, è ammessa una larghezza di rampa non inferiore a m 0,90.
Stabilisce anche che la porta della cabina dell’ascensore deve avere luce libera minima pari a m 0,90; sul
ripiano di fermata e che anteriormente alla porta della cabina, deve esservi uno spazio libero di non
meno di m 2,00 di profondità.
2. art. 30/II - Prescrizioni e modalità di intervento per l’edilizia tradizionale prevalentemente integra:
17. Scale esterne e interne.
Sono da conservare tutte le scale situate sia all'interno degli edifici che lungo i prospetti esteriori o nelle
corti interne, le quali presentino caratteristiche architettoniche e decorative di particolare pregio o siano
comunque realizzate mediante volte o parti di archi e volte in muratura comunque disposte, mediante
gradini monolitici in pietra concia reciprocamente connessi e incastrati ad una o ad entrambe le
estremità nei muri laterali, ovvero abbiano infine, quale che sia la tecnica costruttiva tradizionale, forme
e dimensioni di tipo monumentale, come ad esempio le gradinate sviluppate su più lati convergenti, le
scale a tenaglia a rampa doppia o plurima, quelle di forma circolare, semicircolare o ellittica.
Allo stesso modo dovranno essere conservati, restaurati ed eventualmente reintegrati o interamente
ripristinati, i relativi elementi accessori, decorativi e di finitura, come i parapetti, le balaustre, i
corrimano, le zoccolature, i gradini e i sottogradini in pietra o in laterizi, nonché gli atri, gli androni, i
pianerottoli e in genere gli ambienti di disimpegno architettonicamente qualificati come le scale cui
sono collegati.
Le strutture in muratura intonacata, ovvero in pietra concia o in mattoni a faccia vista, potranno essere
consolidate e parzialmente reintegrate con le specifiche tecniche indicate ai precedenti articoli in
relazione alle caratteristiche delle singole parti e dei vari materiali. In presenza di strutture a volta
gravemente dissestate si applicano le norme di cui all'ultimo comma del precedente articolo.
Delle scale interne di tipo tradizionale, con gradini in muratura sostenuti all'intradosso da travetti di
legno, è consentito il rifacimento con tecniche e materiali anche differenti ed eventuali modeste
correzioni del rapporto tra alzate e pedate e della pendenza complessiva delle rampe, fermi restando i
limiti derivanti dalla ubicazione del manufatto originale rispetto alle murature portanti.
Potranno essere demolite e sostituite le scale interne a gabbia aperta in legno o miste in legno e
muratura e quelle di fattura recente; dovranno in particolare essere demolite quelle inserite in modo da
nascondere, alterare o recare comunque pregiudizio alla fruizione ed alla conservazione di elementi
architettonici e decorativi di particolare pregio. Potranno invece essere reintegrati o rifatti i gradini e le
rampe cordonate d'accesso alle porte esterne, in conci di pietra e pietrame sbozzato.
E' consentita all'interno degli edifici la realizzazione di nuove rampe o interi corpi scala e ascensori, nel
caso in cui le scale esistenti siano inadeguate o insufficienti rispetto alle norme vigenti; ogni eventuale
integrazione dovrà essere tuttavia concepita e realizzata in modo da non recare pregiudizio ad altre
strutture o elementi decorativi e finiture di particolare pregio.
3. art. 31/II - Prescrizioni e modalità di intervento per l’edilizia tradizionale prevalentemente alterata:
7. Strutture interne.
Per gli interventi di ristrutturazione che interessano direttamente strutture voltate, solai, controsoffitti e
pareti decorate, corpi scala ed altri elementi qualificanti o di particolare pregio situati all'interno
dell'edificio, le modifiche dovranno essere concepite e realizzate in modo non soltanto da garantire la
conservazione di tali elementi, ma anche la eventuale reintegrazione degli ambienti e dei contesti fisici e
spaziali nei quali erano in origine inseriti. Nel corso dei lavori dovranno inoltre essere prese tutte le
precauzioni ed approntate tutte le opere provvisionali necessarie ad evitare danni agli elementi
suddetti.
4. art. 19/IV – (Centri storici) Caratteristiche degli interventi:
6. Edifici e manufatti storici riconoscibili per notevole rilevanza tipologica, strutturale e morfologica.
Sono le unità edilizie che costituiscono parte integrante del patrimonio edilizio dell’insediamento
storico, sia in quanto elementi partecipanti alla formazione dell’ambiente storico antico, sia perché
significativi dal punto di vista tipologico per la distribuzione interna ricorrente degli ambienti, la
disposizione degli elementi di collegamento verticale o per altre caratteristiche morfologiche ed il cui
stato di conservazione consente di riconoscere la rilevanza tipologica, strutturale e morfologica
dell’edificio e permette il suo completo recupero.
Tali edifici e manufatti sono assoggettati ad intervento di “restauro e risanamento conservativo”.
E’ prescritta la valorizzazione degli aspetti architettonici originari mediante:
…..
e. il consolidamento con sostituzione delle parti non recuperabili, senza modificare la posizione dei
seguenti
elementi strutturali quando siano originari:
- murature portanti sia interne che esterne;
- solai e volte;
- scale;
- balconi, pensiline e strutture aggettanti;
- tetto con ripristino del manto di copertura originale.
5. art. 20/IV – (Centri storici) Criteri generali di intervento:
4. Collegamenti verticali, ascensori e montacarichi:
Gli interventi di consolidamento, ripristino e sostituzione dei corpi scala esistenti devono essere
realizzati nel rispetto dell’impianto tipologico e strutturale originali. Negli interventi di consolidamento è
prescritta la conservazione o il ripristino dei materiali di pavimentazione delle scale e pianerottoli
originali o comunque in uso nella tradizione locale. Le volte e gli altri elementi strutturali o
sovrastrutturali storici (ringhiere di pregio, corrimani, ecc.) dovranno essere conservati.
L’eventuale inserimento di ascensori e montacarichi è ammesso nel caso in cui questo non interferisca
significativamente con le caratteristiche dell’impianto tipologico originario ovvero non interessi vani
caratterizzati dalla presenza di elementi architettonico-decorativi di pregio. In tutti i casi il vano
dell’impianto dovrà essere realizzato in modo da non fuoriuscire rispetto alla linea di falda se questa è
prospiciente la strada e comunque alla quota di colmo del tetto.
Quando l’inserimento del vano ascensore non risulti compatibile con le caratteristiche dell’impianto
tipologico dell’edificio, potrà esserne previsto l’impianto in corrispondenza di cavedi o cortili interni, a
condizione che esso non interferisca con le caratteristiche architettoniche delle facciate e che siano
impiegati materiali idonei ad un efficace inserimento sul paramento storico.
Venendo infine al tema specifico del cercare di stabilire una larghezza minima delle rampe di scale a seguito
del taglio per inserimento dell’ascensore, si propongono le seguenti considerazioni.
In relazione alle norme di Polizia Mortuaria, si deve rilevare come a livello nazionale, il Regolamento di
Polizia Mortuaria, di cui al D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, nulla disciplini in proposito; mentre, in genere,
i Regolamenti locali consentono una scala larga 80 cm, in quanto questa permette agevolmente il passaggio
di una bara.
In relazione al passaggio invece delle barelle, l'installazione dell'ascensore non ne pregiudica il passaggio,
essendo queste larghe generalmente 55/60 cm.
In relazione ai traslochi la riduzione della larghezza delle scale non crea pregiudizio perché molte porte
delle abitazioni sono larghe solamente 70-80 cm.
In sintesi conclusiva, la questione che si pone è la seguente: se si consente la riduzione della larghezza delle
rampe di scale esistenti, allo scopo di alloggiare un ascensore nel vuoto scale, ed al fine di abbattere le
barriere
architettoniche, certamente il risultato finale delle opere non deve portare ad una situazione tale da
rendere
ancora più pesanti e peggiorative le barriere architettoniche esistenti.
Pertanto, dal momento che l’esigenza prestazionale è rappresentata dalla eliminazione delle barriere
architettoniche, il requisito potrà essere soddisfatto in una delle due seguenti possibili soluzioni:
1. tramite le scale: larghezza della rampa di scale non inferiore a 120 cm (al netto dei corrimano), ai sensi
di quanto disposto dal punto 8.1.10 del Decreto Ministeriale - Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno
1989, n. 236; fatte salve ovviamente le situazioni preesistenti;
2. tramite l’ascensore: l’ascensore dovrà essere accessibile, ovvero avere le caratteristiche fissate dal punto
8.1.12 del Decreto Ministeriale - Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, ovvero le seguenti:
“L'ascensore in caso di adeguamento di edifici preesistenti, ove non sia possibile l'installazione di cabine
di dimensioni superiori, può avere le seguenti caratteristiche:
cabina di dimensioni minime di 1,20 m di profondità e 0,80 m di larghezza;
porta con luce netta minima di 0,75 m posta sul lato corto;
piattaforma minima di distribuzione anteriormente alla porta della cabina di 1,40 x 1,40 m.
Le porte di cabina e di piano devono essere del tipo a scorrimento automatico. Nel caso di adeguamento
la porta di piano può essere del tipo ad anta incernierata purché dotata di sistema per l'apertura
automatica.
In tutti i casi le porte devono rimanere aperte per almeno 8 secondi e il tempo di chiusura non deve
essere inferiore a 4 sec.
L'arresto ai piani deve avvenire con autolivellamento con tolleranza massima ± 2 cm.
Lo stazionamento della cabina ai piani di fermata deve avvenire con porte chiuse.
La bottoniera di comando interna ed esterna deve avere i bottoni ad una altezza massima compresa tra
1,10 e 1,40 m; per ascensori del tipo a), b) e c) la bottoniera interna deve essere posta su una parete
laterale ad almeno cm 35 dalla porta della cabina.
Nell'interno della cabina, oltre il campanello di allarme, deve essere posto un citofono ad altezza
compresa tra 1,10 m e 1,30 m e una luce d'emergenza con autonomia minima di h 3.
I pulsanti di comando devono prevedere la numerazione in rilievo e le scritte con traduzione in Braille: in
adiacenza alla bottoniera esterna deve essere posta una placca di riconoscimento di piano in caratteri
Braille.
Si deve prevedere la segnalazione sonora dell'arrivo al piano e, ove possibile, l'installazione di un sedile
ribaltabile con ritorno automatico”.
E comunque, in ogni caso, la larghezza delle rampe delle scale, al netto dei corrimano, non potrà mai
essere inferiore, si ritiene di stabilire, a 80 cm.
In sintesi: in tutte le situazioni dovrà essere garantito il requisito dell’accessibilità o tramite le scale o
tramite l’ascensore. Allo scopo di evitare il paradosso che, con l’intenzione di abbattere le barriere
architettoniche, si ottenga una situazione in cui non sono più accessibili né le scale né il nuovo ascensore.
E quindi, in altri termini, si consente di restringere la larghezza della rampa di scale esistente (già accessibile
o meno), entro un determinato limite minimo e comunque solo nell’ipotesi che venga installato un
ascensore accessibile.
In sintesi, fermo restando il rispetto delle vigenti disposizioni in tema di edifici a vincolo culturale o storico
architettonico ed in tema di sicurezza statica, potranno verificarsi le seguenti casistiche:
1. edificio esistente con rampa di scale di larghezza pari a 120 cm o più:
edificio accessibile prima dell’intervento che deve restare accessibile anche dopo l’intervento;
sarà possibile restringere le rampe fino a 80 cm ma con l’inserimento di un ascensore che abbia le
caratteristiche dell’accessibilità;
sarà parimenti possibile restringere le rampe fino a 120 cm con l’inserimento di un ascensore che non
abbia le caratteristiche dell’accessibilità;
2. edificio esistente con rampa di scale di larghezza inferiore a 120 cm:
edificio non accessibile prima dell’intervento e che, a seguito dell’intervento, dovrà essere reso
accessibile;
sarà possibile restringere le rampe sino a 80 cm ma con l’inserimento di un ascensore che abbia le
caratteristiche dell’accessibilità.
Pertanto le vigenti disposizioni dettate dal Regolamento Urbanistico Edilizio debbono intendersi integrate
con la presente Disposizione Tecnico Organizzativa.
Castel San Giovanni, venerdì 2 maggio 2014
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