Canti popolari,belli. - Coro Alpino Capitano Grandi

Canti popolari,belli.
CORO CAPITANO GRANDI
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Con questi pochi canti popolari e brani scelti, il coro Capitano Grandi vuole significativamente sintetizzare l’approccio
che lo distingue nell’affrontare il repertorio popolare dei canti alpini e di montagna; mettendone in risalto l’aspetto più
profondamente umano intende sottolinearne la ricchezza e la contemporaneità.
STELUTIS ALPINIS
Se tu vens ca sù ta' cretis
là che lôr mi àn soterât,
al è un splaz plen di stelutis
dal miò sanc l‟è stât bagnât.
Par segnâl, une crosute
je scolpide lì, tal cret,
fra chês stelis nas l'arbute,
sot di lôr, jo duâr cujet.
IL TESTAMENTO DEL CAPITANO
El capitan de la compagnia
e l‟è ferito, sta per morir
e „l manda a dire ai suoi Alpini
perché lo vengano a ritrovar.
I suoi alpini ghe manda a dire
che non han scarpe per camminar.
O con le scarpe o senza scarpe
i miei Alpini li voglio qua.
Cjôl sù, cjôl une stelute:
jê 'e ricuarde il nestri ben.
Tu j darâs 'ne bussadute
e po' plàtile tal sen.
Cuant che a cjase tu sês sole
e di cûr tu préis par me,
il miò spirt atôr ti svole:
jo e la stele sin cun te.
Cosa comanda, sior capitano,
che noi adesso semo arrivà ?
E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià.
Se tu vieni quassù tra le rocce,/dove mi hanno sepolto,/c'è
uno spiazzo pieno di stelle alpine/che sono bagnate dal mio
sangue.
Come segno è scolpita una croce sulla roccia,/fra quelle
stelle nasce l'erbetta,/sotto di queste io dormo quieto.
Cogli, cogli una piccola stella:/ti ricorderà il nostro
amore./Dalle un bacio,/e poi poggiala sul tuo seno./Quando
a casa tu sarai sola /e di cuore pregherai per me /il mio
spirito ti sarà vicino,/io e la stella siamo con te.
Il primo pezzo alla mia Patria
secondo pezzo al Battaglion,
il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.
Il quarto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor.
L‟ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior.
Da “Il cavallo rosso” di Eugenio Corti
Ad un sobbalzo improvviso della slitta il capitano dal ventre squarciato aprì gli occhi.
Prese lentamente coscienza della propria situazione e si guardò intorno: incontrò lo sguardo di un alpino che gli
camminava a lato.
“La battaglia è finita?”, chiese.
“Sì è finita.”
“Ce l‟abbiamo fatta, eh?”
“Sì, abbiamo aperto la strada.”
Accorse l‟unico ufficiale rimasto della compagnia, si chinò sul ferito: “Ce l‟abbiamo fatta, signor capitano. Abbiamo
riaperto la strada.”
“Mh, meno male!”
“Come vi sentite, signor capitano?”
“Io? Ne ho per poco!”
L‟ufficiale non ribatté.
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“Loro erano tre battaglioni” disse invece: “adesso lo sappiamo con certezza. Il Tirano è ridotto alla metà, però – ripeté –
ha aperta la strada alla colonna.”
“Se arrivi fuori dillo a mia madre.”
“Signorsì, mi impegno a dirglielo.”
“Dille che ho fatto il mio dovere, e perciò muoio in pace con gli uomini e con Dio.”
Dall‟una e dall‟altra parte i suoi alpini, fattisi avanti, guardavano con facce angustiate il capitano; anche il conducente
che camminava con le redini dei due muli girate intorno alle spalle alla brava si voltava ogni poco a guardarlo, aveva le
lacrime agli occhi.
“Cosa sono quei musi lunghi?!” esclamò a un tratto il capitano Grandi.
“Sotto piuttosto e cantate con me!” e con la voce che si ritrovava, che sarebbe stata ridicola in un momento meno tragico,
attaccò la tremenda canzone alpina del capitano che sta per morire e fa testamento
[…]
Addio montagne, patria, reggimento, addio mamma e primo amore, cantavano gli alpini, cantavano e piangevano gli
alpini valorosi, e c‟era nel loro canto paziente tutto lo struggimento della nostra umana impotenza; cantarono anche
quando il capitano non cantava più e li accompagnava solo con gli occhi; cessarono solo quando si resero conto che il
capitano Grandi era morto.
L’E’ BEN VER CHE MI SLONTANI
L‟è ben ver che mi slontani
dal pais ma no dal cur;
sta costante me, ninine,
che jo torni se no mur.
Montagnutis ribassaisi,
fàit a mi un fregul di splendor,
ch‟io ti viodi ancje une volte,
bambinute dal Signor.
DOMAN L’E’ FESTA
Doman l‟è festa, non si lavora
g‟ò la morosa d‟andà trovar
Vado a trovarla perché l‟ei bela
la g‟à na stela in mezo al cor.
La g‟à na stela che la risplende
che la mi rende consolazion.
Da “Perché gli alpini cantano la montagna” di Franco Cologni
Tra tutti coloro che, rendendo omaggio alla propria natura umana, sono “entrati in risonanza” con la montagna, gli
alpini meritano senza alcun dubbio un posto di assoluto privilegio.
Se può essere vero che la montagna cantava anche prima di loro, ed è vero senz‟altro, è però anche vero che gli alpini
hanno insegnato alla montagna un canto diverso, una musica che ce le avvicina.
Se la montagna è solitudine, la musica degli alpini è la più ferma negazione della solitudine che l‟uomo abbia saputo
inventare: il canto corale. Se la montagna è freddo e asprezza degli elementi, i cori degli alpini l‟hanno riempita di vino
che la riscalda, di amicizia e di amore che l‟addolciscono. Se la montagna è mistero dell‟infinito e del divino, la musica
degli alpini ha saputo calare la solennità del divino nel quotidiano della vita e ha costretto l‟infinito a entrare nei nostri
rifugi.
Resta intatto, di quel canto primigenio e puro della montagna, il tema della morte, sul quale la creatività degli alpini si
affaccia tanto sovente senza poterne scalfire il mistero. A differenza di tanti corpi scelti imbevuti di retorica marziale,
gli alpini sono soldati senza odio, per i quali la morte non è una risposta che si porta sulla punta della baionetta o nella
canna del fucile, ma una domanda che “canta” in fondo al cuore.
LE CIME DEL BRENTA
Alla mattina quando il sole
s‟alza e scominzia a levarse
vardo le zime del Brenta
che le scominzia a‟ndorarse
e allora mi me ne vado
sui crozi a rampegar.
Allor penso a ti,
tesoro del me cor,
che ti se’n bel fiorellin
fiorellin d’amor.
Coro Capitano Grandi
A mezzogiorno sulla zima
disno de bon appetito,
vardo la valle che se stende
laggiù nell‟infinito
e vedo una casetta
sperduta in mezzo ai fior.
E alla sera nel rifugio
prima d‟andarmene a letto,
vedo nel cielo una stella
che la vol farme l‟ocetto
e due o tre nugole gelose
la te nasconde a mi.
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Da "Il Velocifero" di Luigi Santucci
Stamattina è arrivato in trincea un friulano con la fisarmonica: è novello di trincea e, al primo buio, ha mandato verso il
vetro altissimo della luna un canto così agile e appassionato che, per ascoltarlo, nessuna delle altre voci ha osato
andargli dietro.
La fucileria austriaca s'è diradata a un tratto. Adesso tace. Il cantore snoda l'ultima strofa.
Dall'altra trincea scoppia un battimano:
“Bis, bis!” Poi una voce in cattivo italiano grida: “Vogliamo parole di bella canzona”.
Uno studente volontario sa il tedesco: butta giù su una cartolina quelle strofe tradotte alla brava. Intanto, da dietro i
sacchi austriaci, è spuntata prima un'ombra, poi tre, poi molte e, visto che gli Italiani non sparano, prendono confidenza
con lo scoperto e fanno gesti:
“Singt, bitte, singt nochmal.” Cantate, per favore, cantate ancora.
“Gli lanciamo la traduzione?”
“Macché lanciare: io voglio che mi paghino.”
“Ecco le parole della canzone. Voi darci birra e salsiccia.”
“Jawohl! Sì... e voi... a noi... sigarette!”
Sciamano fuori dalle due parti, il friulano con la sua fisarmonica. A metà si incontrano. Le torce elettriche, di qua e di
là, investono le facce misteriose dei nemici, scoprono gli stessi panni logori, le stesse facce stremate. Si svolge lo
scambio stabilito.
“Singt jetzt!” Cantate, ora, per favore.
Stanno in piedi, intorno alla fisarmonica che riattacca lenta, e la voce invoca:
Ho pregato la bella stella,
tutti i santi del paradiso,
che il Signore fermi la Guerra
che il mio bene torni a casa.
"...und das mein Liebster heimkommen" traduce lo studente a voce bassa,
"...schón, jawohl! ..heimkommen"
...bello, sì, tornare a casa, tornare al paese, certo... ripete serissimo il caporale battendo con vigore la mano sulla spalla
del friulano.
Si fanno più vicini, ascoltano assorti:
Ma tu stella, bella stella,
rendi palese il mio destino,
va’ dietro quella montagna,
là dove c’è il mio cuore.
Ma ...ecco che uno sconquasso di granate si abbatte intorno al gruppo. L'artiglieria ha avvistato quell'inconsueto
movimento, quell'oscillare di luci. La fisarmonica è mezza sfondata da uno schiaffo di terra. In un pauroso scompiglio,
ognuno va a riacquattarsi nella sua trincea.
AI PREAT
Ai preat la biele stele,
duc‟ i sants del paradis
che il Signor fermi la uère,
che il mio ben torni al pais.
Ma tu stele, biele stele,
va palese il mio destin,
va daùr di ché montagne,
là ch‟à l‟è il mio curisin.
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