Il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart è senz`altro uno dei

LECTIO DON GIOVANNI – NOVEMBRE 2011
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Il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart è
senz'altro uno dei maggiori capolavori del teatro
musicale non solo del '700, ma è anche la più
famosa fra tutte le opere liriche rappresentate
negli ultimi quattro secoli.
Il Don Giovanni, detto anche “El Burlador de
Sevilla” è un'opera da porsi fra le tragedie in
musica, ma il suo assetto strutturale, quello che
noi del teatro recitato chiamiamo la situazione
scenica, è assolutamente mutuato dall'opera
buffa o meglio ancora dalla commedia dell'arte o
buffoneria!
So
benissimo
di
aver
pronunciato
una
bestemmia. per molti. Ma mi spiace soprattutto
per i melomani mistici, la verità è assolutamente
questa. Ce lo testimonia Delia Gambelli, forse la
più autorevole e documentata studiosa del teatro
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del Sei-Settecento in lingua italiana.
Già che ne abbiamo l'occasione ribadiamo subito
che nel XVIII Secolo era quasi d'obbligo per i
musici mettere in scena solo opere cantate in
italiano, poiché la nostra lingua era considerata
da ognuno l'unica perfettamente consona alla
musica.
Esistevano già al tempo di Wolfgang Amadeus
compositori che si erano serviti della commedia
comica all'italiana per musicare un'opera lirica;
ma ognuno si limitava a temi e svolgimenti
assolutamente
ridanciani
dove
era
regola
assoluta che la situazione comica fosse il motore
principale dell'opera stessa.
Quindi tutto l'andamento teatrale si muoveva sul
gioco degli equivoci, sugli scambi di persona, su
innamoramenti costruiti sul caso, sul gioco della
beffa organizzata che si rovescia con effetti
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disastrosi per chi l'ha orchestrata. Ma nel caso
del Don Giovanni Mozart rompe a piedi giunti
questa regola
Insomma, un canovaccio che partendo dalla
tragedia faceva satira e metteva alla berlina ogni
luogo comune sacro e profano che dir si voglia.
Una scelta assolutamente fuori dal comune. Ma
quella di sortire a bella posta dalla consuetudine
era una costante di Wolfgang soprannominato
“l'imprevedibile”. Tutto ciò che si esprimeva
dentro
le
leggi
della
forma
stabilita
immancabilmente veniva capovolto e sezionato
dal giovane genio della musica.
Ma nel nostro caso, col Don Giovanni, come è
possibile, partendo da una vicenda che inizia fin
dall’apertura del sipario con un delitto (il
protagonista Don Giovanni, uccide il padre della
donna che egli ha in animo di sedurre a costo di
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violentarla) riuscire a capovolgere quel clima
trasformando ogni situazione in buffoneria?
dopo l’omicidio quasi senza pausa alcuna, a
cambiare registro all’immediata e dare inizio a
vere e proprie sequenze cariche di inganni,
truffalderie, gratuite amoralità, menzogne e
stupri,? E quale ne è il risultato?
Per capirne il paradosso basta analizzare con
molta attenzione i testi dai quali il giovane
compositore
di
Salisburgo
aveva
tratto
l’andamento dell’opera e la sua struttura scenica.
E’ chiaro che Mozart aveva saltato a piè pari
l’idea di servirsi dell’impianto originale del
dramma del creatore Tirso da Molina, che aveva
debuttato con grande successo più di un secolo
prima in Spagna. Si trattava di una vera e
propria tragedia nel gusto e nella forma del
teatro spagnolo di quel tempo e al contrario,
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Mozart aveva scelto di affidarsi completamente
all’idea dei comici dell’arte, che in differenti
edizioni lo avevano allestito già a Parigi al
tempo di Molière. A questo proposito va detto
che Molière mettendo in scena a sua volta il Don
Giovanni
aveva
fatto
grande
attenzione
all’impianto creato dai comici italiani prima di
lui.
La compagnia dei Gelosi, diretta da Tiberio
Fiorilli,
aveva
sbilanciato
l’organizzazione
interna dei canovacci in favore delle parti
comiche, inventando un rapporto inedito fra
serio e buffo, tra azione burlesca e azione
tragica. Quel rapporto, invece di esaurirsi nel
gusto barocco dei contrasti, o nella ricerca
sperimentale di nuovi equilibri, finiva per
mettere in scena più o meno inconsciamente lo
screditamento e la presa in giro di ogni gravità.
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In poche parole i comici dell’arte, tornavano a
realizzare una forma di spettacolo e di scrittura
creata dai greci quattro secoli avanti Cristo,
mettendo in primo piano il modulo nel quale si
dichiarava: non esiste nessuna forma di teatro ad
autentica dimensione umana se non si intreccia il
comico al tragico e viceversa.
A sua volta anche Mozart, prediligendo questo
modulo, si trovò ad allestire un’opera in musica
che rinnovava completamente il genere originale
ed entrava con veemenza nel gioco più scoperto
della tragedia con contrappunto sbeffeggiato, e
quindi ne raddoppiava il valore.
Cioè finiva per attentare ai fondamenti di una
gerarchia verticistica dei generi, e così allo
stesso modo di Molière, Mozart aveva intravisto
più acutamente di tutti la potenzialità eversiva ed
espressiva di quell’invenzione.
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Ed ecco che emerge una differenza fatale
rispetto a tutte le versioni precedenti conosciute,
tanto in prosa che in musica: entra in scena un
protagonista imprevisto, lo scandalo.
Il pubblico intuisce che , tanto in Molière che il
compositore
austriaco,
attraverso
il
Don
Giovanni, da lui presentato come opera giocosa,
vuol raccontare non una risaputa storia di
seduzione e criminalità ma far salire in primo
piano la realtà gestita dal potere anche nelle sua
forme più turpi e triviali. Insomma quel
comportamento spudorato che si manifesta
chiaramente come il gioco del passatempo di
chi, non avendo problemi né di sopravvivenza
né di denaro, cerca di superare la noia
servendosi di ogni gaudio, anche il più infame.
Ecco che il potere, denunciato dal teatro e messo
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alla berlina, reagisce mettendo in censura ogni
ironia e lazzo morale, tant’è vero che, proprio
l’opera di Molière, viene massacrata dalla
censura e si costringe il più grande autore
capocomico
di
Francia,
cioè
Molière,
a
cancellare l’opera dal suo programma, al punto
che mai più riuscirà a riportarlo in palcoscenico
e il testo rimarrà sconosciuto nella sua versione
originale per la bellezza di quasi tre secoli.
L’opera di Wolfang non verrà trattata con
maggiore riguardo. Il committente dell’opera di
Mozart e Da Ponte era l’Imperatore Giuseppe II,
ma ecco che dopo l’anteprima con orchestra,
scenografia e costumi, mimi e danzatori al
completo, tutto viene bloccato.
L’imperatore decide di sospendere il debutto
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dell’opera il cui allestimento è costato parecchio
denaro. State attenti: non si tratta di rimandare il
debutto per cause tecniche o per un malore che
ha colpito una prima donna insostituibile. No. Si
sospende e basta e nessun cronista tratta
l’argomento. E in quel momento alla corte
dell’Imperatore ce n’erano una caterva, venuti
apposta da ogni luogo per testimoniare il grande
evento ma nessuno ci dà notizia o giustificazione
del perché di quella censura. E in questi casi c’è
una classica espressione che viene in primo
piano: opportunità. Qualcosa non è piaciuto
all’Imperatore.
Qualcuno
ha
ravvisato
in
quell’opera una critica. E così si “levan armi e
bagagli” e si decide che il debutto avverrà
altrove, in un altro luogo, a Praga.
Lo spettacolo ha un enorme successo, ma
malgrado
ciò
ancora
Malgrado
l’enorme
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successo ottenuto al debutto di Praga, Mozart si
ritrova a dover cedere ad un’altra censura, molto
a sua volta a che fare con la censura nella forma
più subdola, in quanto gli si impone impose
all’autore di porre tagli prima ancora di
debuttare a Vienna, giacché gli si fa capire che
certi passaggi dell’opera non verrebbero graditi
dal pubblico della capitale.
Niente di più
comune!
Così si giunse a costringere il musicista a porre
il finale dell’opera subito dopo l’avvenuto
castigo dello scellerato Don Giovanni.
In questo modo si mozza di netto la chiusura,
compresa la morale conclusiva nella quale si
ritrovano tutti i personaggi a commentare la fine
di Don Giovanni, con il concerto finale in re
maggiore che contiene la spietata sentenza finale
dell’opera.
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Ma qui, forse per troppo slancio descrittivo, ci
stiamo
dimenticando
di
un
personaggio
determinante nella creazione di quest’opera.
Stiamo parlando di Lorenzo Da Ponte, il famoso
librettista, italiano naturalmente, che a quel
tempo stava a servizio dell’Imperatore Giuseppe
II e che operò una vera e propria rivoluzione
nella scrittura dei testi musicali del tempo,
soprattutto riguardo al modo nuovo di concepire
dialoghi e personaggi nel loro muoversi sulla
scena.
E’ lui che propose a Wolfgang di mettere in
musica quell’insolito testo e Mozart accetta
subito entusiasta l’idea che la macchina della
sceneggiatura si muova dentro un contrasto
continuo
di
colpi
di
teatro
timbrati
da
svolgimenti musicali e movimenti scenografici,
dove interni di palazzi si squarciano per
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ricomporsi in esterni e dove dal fondo avanzano
all’improvviso alberi di boschi giganteschi e nel
finale, addirittura un’enorme statua parlante che
preannuncia lo squarciarsi della scena e lo
spalancarsi di un baratro dentro il quale sarà
risucchiato il protagonista punito.
Ma la gran trovata è quella di realizzare un
incessante scambio di personaggi, cioè il
travestimento continuo che avviene in piena
luce: ecco Don Giovanni che si traveste ipso
facto indossando gli abiti del suo servo
Leporello e costui è costretto a camuffarsi da
Don Giovanni, sia nel modo di agire che nella
gestualità e nella voce. Naturalmente questa
esibizione di trasformismo metamorfico impone
un’abilità da gran commedianti e non sempre
riesce.
I
due
voltagabbana
sono
immancabilmente smascherati dai personaggi
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che intendono “truffaldare” e ogni volta
rischiano il linciaggio o peggio, tant’è che la
fuga è per loro l’unico modo di salvarsi la pelle.
Naturalmente tutte queste situazioni portano ad
un divertimento irresistibile da parte del
pubblico
con
gran
vantaggio
non
solo
dell’agilità dello spettacolo, ma soprattutto del
gran valore della musica e del canto.
Osservando con attenzione l’andamento scenico
del Don Giovanni vien logico chiederci perché il
castigo verso il protagonista venga portato in
scena nel finale dal padre di Donna Anna che,
come abbiamo visto, viene ucciso all’inizio del
primo atto e quindi trasformato in statua di
pietra che trascinerà negli inferi il suo assassino.
Tutto nasce da una tradizione popolare di
svolgimento tragico conosciuta fin da tempi
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remoti in gran parte dell’Europa. Nell’opera non
si dà alcuna spiegazione del perché il nobile
commendatore
di
Siviglia
assassinato
si
trasformi in statua del castigo. In antico era la
tradizione che dettava la consuetudine. Le
ragioni non venivano quasi mai discusse né
tantomeno commentate: è cattiva educazione
chiederselo.
E ancora, a proposito delle straripanti avventure
sessuali di Don Giovanni, noi scopriamo che
egli non si limita a corteggiare e godere di donne
nobili e altolocate e quasi tutte promesse ad altri
innamorati, ma si lancia in veri e propri caroselli
di seduzione coinvolgendo ragazze di diversi
ceti sociali. In fondo egli è il Principe dei
democratici che elargisce ad ognuna la propria
infinita generosità amatoria. E’ lui che dona.
Egli non ama tanto il prendere ma al contrario
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egli gode ad essere richiesto e conquistato anzi
lo annoia il conquistare. Il nobile amatore odia
l’esercizio di conquistare e si limita a inventarsi
e costruire trappole anche a pagamento per le
debuttanti possibilmente pure e candide.
Lo so, lo so che qualcuno di voi malignamente
sta pensando a un sosia attuale del famoso El
Burlador de Siviglia che fino a poco tempo fa
amava recitare questo ruolo di sciupafemmine
della Brianza ma, vi assicuro, la concomitanza è
del tutto casuale. Wolfang Amedeus Mozart non
era assolutamente a conoscenza di questo nostro
adorabile
personaggio!
Ci
troviamo
fortunatamente a parlare del secolo XVIII e il
trattare degli amori dei grandi satrapi in quel
tempo
era
ritenuto
assolutamente proibito.
pettegolezzo
indegno.
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Altrettanto simile, seppur a lui imposto, è il
ruolo di Leporello, detto Fede il fedele, che
scimmiotta in paradosso il suo padrone e tutti i
relativi suoi comportamenti e addirittura ogni
tanto riesce perfino ad ottenere maggior
successo del suo Maestro. Il servo, verso le
donne, applica le poche regole che ha imparato
dal nobile Don Giovanni in modo un po’
cialtrone e spesso sguaiato eppure la fama della
nobile maschera che calza sul viso lo rende
sorprendentemente vincitore.
Dicevamo che nel corteggiamento dei due
gaglioffi, padrone e servo, entrambi si trovano a
corteggiare e ad amoreggiare con diverse
fanciulle di basso rango durante una festa di
matrimonio e, proprio come in una danza a
scambio, ecco che i due cialtroni passano da una
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all’altra femmina intrecciandosi a vicenda e
capita loro che nel semibuio si corteggino l’un
l’altro e che, in qualche edizione dell’opera si
lascino addirittura andare a gesti ed effusioni
piuttosto osé, contraccambiati.
Molto interessante è l’analisi che fa del testo
musicato da Mozart nel Don Giovanni Eric
Sauzé, un critico francese che prende in esame la
chiave satirica di questo dramma giocoso. Egli
ravvisa subito che nel comportamento di Don
Giovanni nel suo carosello d’amore a dir poco
frenetico, il fanatico seduttore non è tanto preso
dal piacere di portarsi nel talamo le femmine più
appetibili, ma piuttosto dalla sete del potere.
Il critico francese parla addirittura di oligarchia
eterosessuale. Egli ci assicura che il protagonista
non è come vuol far credere un libertino
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democratico
e
liberale
ma
piuttosto
un
assatanato a livello di bestia che, come dice alla
fine del I atto, si crede indistruttibile. Egli canta:
“Ma il coraggio non mi manca, non sono né
perso né confuso; se anche il mondo tremasse,
nulla mi farebbe paura”. Classico modo di
esprimersi del tiranno, al di sopra delle leggi che
senza vergogna calpesta o modifica ad personam
(ma chi è costui?). Egli è un assatanato che
provoca ognuno creando il caos e pensando “che
m’importa, tanto dopo di me mal che vada è il
diluvio!”.
Il
Don
Giovanni
è
anche
un
ingordo
consumatore, come denuncia a chiare lettere il
suo servo Leporello nella famosa aria del
catalogo: è quella dove il buffo servente elenca
tutte le femmine che a grappoli il suo padrone si
è godute senza sazietà.
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“Me ne sono fatte una dozzina, una dietro
all’altra… - fa dire al suo padrone - e ce n’erano
altre fuori in fila che aspettavano il loro turno,
ma io a ‘sto punto ho detto basta, non posso
esagerare!” (INTERCETTAZ. BERLUSCONI
Ieri sera avevo la fila fuori dalla porta della
camera ... erano in undici ... io me ne sono fatto
solo otto perché non potevo fare di più...non si
può arrivare a tutto. Però stamattina mi sento
bene sono contento della mia capacità di
resistenza agli assedi della vita ... che cosa ci
tocca fare la notte del primo dell’anno.)
L’assatanato collezionista non si chiede mai
come vengano prodotti i beni e le creature che
egli consuma, ma da gran furbo feudale egli
pratica l’economia della rapina entro la quale le
donne non sono che vittime privilegiate. In
poche parole è ossessionato dal divertimento: il
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gran gioco della fascinazione.
Egli nel carosello non risparmia nessuno, né
mariti, né padri virtuosi, né servi fedeli.
Infatti il servente masochista Leporello si lascia
coinvolgere in ogni gioco sadico e al limite della
piaggeria.
Don Giovanni si cimenta in ogni caccia difficile
e proibita, a costo di rischiare una punizione
perfino a norma di legge dalla quale riesce a
sgattaiolare corrompendo giudici e guardiani.
Egli infatti davanti all’odor di femmina non
resiste (Atto I, scena 4). Tutta la sua esistenza è
strettamente determinata dai sensi o, se preferite,
dalla sensualità. E’ importante notare, dice
sempre il noto critico, che la brutale seduzione
che il protagonista esercita non soltanto sugli
altri personaggi ma anche sul pubblico (che egli
chiama “popolo” e perfino “miei elettori”) è
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proprio uno strumento essenziale del potere
assoluto. Se vi vengono in mente personaggi
altolocati della nostra storia recente per favore
teneteveli per voi, qui siamo davanti a un’opera
d’arte non a un telegiornale di gossip! In
quest’opera, come abbiamo già indicato poco
prima, la seduzione è molto più che il semplice
inganno
poiché
implica
il
travestimento.
(Leporello e Don Giovanni si scambiano ruoli e
parrucche).
E’ ovvio che qui Mozart tira di mezzo un
famosissimo
personaggio
del
suo
tempo:
Giacomo Casanova, agente della Serenissima, in
tutte le sue declinazioni; l’uso della maschera,
che guardacaso Don Giovanni calza fin dalla
prima scena nel suo ingresso; l’adulazione e la
calunnia, con cui, dopo aver goduto delle loro
grazie, Don Giovanni usa rivestire ogni volta le
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sue amanti trattandole da fuor di senno e da
vogliose assatanate.
Mozart e Da Ponte possono ben lamentarsi di
aver perduto un’occasione eccezionale nelle loro
ricerche, cioè quella di poter far tesoro del testo
di Molière dal momento che, come già abbiamo
accennato, al tempo in cui entrambi gli autori
dell’opera visionavano i numerosi testi dedicati
al Burlador di Siviglia, fra quegli scritti non
potevano trovare di certo il manoscritto originale
del grande autore francese. Molière, è risaputo,
aveva subìto a proposito di quel testo una
censura pesantissima, cioè a dire d’acchito gli
era stato imposto di eliminare dal cartellone il
suo Don Giovanni che evidentemente aveva
irritato fortemente con le sue storie tutti i nobili
e gli uomini di potere di Francia che
normalmente frequentavano il suo teatro. Non
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solo, come carico da undici a quella censura gli
si impose anche di distruggere tutte le copie del
testo teatrale appena stampato. Qualche copia
del manoscritto tuttavia riuscì a salvarsi e gli
attori della compagnia quando Molière morì
consegnarono al fratello di Jean Racine una
copia, la sola rimasta. Costuì pensò bene di
tradurla in versi alessandrini, ne uscì uno scritto
davvero obbrobrioso dove ogni forma di satira e
denuncia civile venivano cancellati. Non solo,
ma il personaggio di Scapino, che nel testo di
Molière ha lo stesso valore di quello di Don
Giovanni, veniva ridotto a una sola misera
entrata nel primo atto, poi sparisce.
Sicuramente, se almeno la scena sottofinale del
testo originale fosse giunta nelle mani di Mozart
e Da Ponte, i due autori non si sarebbero lasciati
sfuggire l’occasione di mettere in musica uno
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dei più straordinari pezzi di teatro degli ultimi
tre secoli. Si tratta del dialogo fra Sganarello
(Leporello nel libretto di Da Ponte) e il suo
padrone.
Ora, giacchè siamo sotto le feste di Natale,
penso che a questo punto sia mio dovere farvi un
dono che ritengo eccezionale, cioè quello di
farvi ascoltare il dialogo distrutto e recuperato
fra i due protagonisti dell’opera.
Per primo interviene Don Giovanni, che qui si
rivolge a suo padre, che lo ha appena aggredito
indignato per il suo comportamento.
DON GIOVANNI: “Padre, qui davanti a voi
avete qualcuno che in questo momento sta
spogliandosi della sua pelle da camaleonte da
essere indegno. Credetemi, davanti ai vostri
occhi, io non sono più quello che voi conoscete,
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lo stesso di ieri sera, è il Cielo che
all’improvviso
ha
compiuto
in
me
uno
sconvolgimento che lascerà tutti stupefatti:
grazie Padre, i vostri discorsi spietati mi hanno
toccato l’anima e spalancato gli occhi; osservate,
ora
sto
guardando
con
orrore
il
lungo
accecamento nel quale ho finora vissuto, e gli
atti criminali da me compiuti in questa mia
disgustosa vita. Mi rendo conto di quante volte
la bontà del nostro Creatore mi abbia favorito
non arrivando mai a punirmi per le mie infamità.
Ora voglio rendere clamoroso agli occhi del
mondo questo mio cambiamento.
Padre, voi dovete aiutarmi in questa perigliosa
metamorfosi, sceglietemi vi prego una persona
che mi serva da guida, e io la seguirò obbedendo
come un cane pentito e redento.
Il padre non riesce a trattenere le lacrime e se ne
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va
singhiozzando.
e
ripetendo
parole
di
ringraziamento verso il Cielo.
Sganarello ha ascoltato e commosso esplode:
SGANARELLO: Oh Signore vorrei abbracciarvi
a mia volta commosso alle lacrime. Davvero
questo è uno splendido dono del cielo. Che gioia
vedervi convertito, non l’avrei mai sperato,
lasciate che vi baci le mani!
DON GIOVANNI: Ma vattene a quel paese
babbeo!
SGANARELLO: Babbeo? Perché mi insultate a
‘sto modo?
DON GIOVANNI: Perché sei tanto imbecille da
prendere per oro colato anche ‘ste buffonate da
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sghignazzo! Ma credi davvero che le parole che
mi uscivano dalla bocca arrivassero dal cuore?
Dov’è questo mio cuore sanguinante? Dove s’è
cacciato? Per la miseria! Non è qui, non è
quaggiù, non è nella mia pancia, né fra le mie
natiche… oddio! Ho perduto il cuore! Un cuore
così accorato, non l’ho più… e ne avevo uno
solo! OHOHOHOH singhiozza buffonesco
SGANARELLO:
Cosa?
Quindi
mi
avete
gabbato? Vi siete preso gioco di me! Non siete
pentito?! Ma che uomo siete?!
DON GIOVANNI: Non lo so, non me lo sono
mai chiesto… dimmelo tu così saggio che sei!
Stra-Babbeo! Aiutatemi! Qualcuno mi venga in
soccorso! Qui c’è un pover uomo che non riesce
ad essere umano! Pietà! Dov’è l’uomo in me?
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Datemi un uomo!
SGANARELLO: Ma come fate Signore? Non
riuscite ad arrendervi alla voce di quella Statua
che si muove e che parla?
DON GIOVANNI: No, pretendi che io mi lasci
convincere da non mi lascio convincere da una
una grossa pietra scolpita solo perché parla! E’
vero, ho detto di voler correggere il mio
comportamento indegno e ritirarmi a vita
esemplare, ma questa è solo una mossa
puramente
politica,
uno
stratagemma
per
gabbare i beoti.
SGANARELLO:
Cosa?
Così
avete
solo
mentito?! dicendo di volervi trasformare in un
uomo civile e virtuoso?!
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DON GIOVANNI: Sì, ce ne sono tanti altri
come me che truccano il viso e le parole e che si
servono della stessa maschera per ingannare
tutto il mondo! degli schiocchi!
SGANARELLO urlando: Che uomo! Che
uomo! Un ipocrita! Che uomo bugiardo e
mentitore!
DON GIOVANNI: Perché indignarsi! Andiamo,
dove vivi?! L’ipocrisia non è più cosa indegna,
ma piuttosto una virtù oggi. Il personaggio
dell’uomo onesto e virtuoso è il più vantaggioso,
il migliore che si possa recitare, e chi per
professione
usa
meravigliosi vantaggi.
dell’ipocrisia
ottiene
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che disgustato dal comportamento del suo
padrone,
quasi
lo aggredisce
con
parole
indignate oltre ogni misura.
Comincio.
Sganarello:
APPUNTI:
Il librettista Lorenzo Da Ponte era al servizio
dell’imperatore d’Austria Giuseppe II dal 1781.
Mozart e Da Ponte non hanno avuto la
possibilità di far tesoro del testo di Molière per il
semplice fatto che in quel tempo era sparito
proprio a causa della censura. E questo, a nostro
avviso, fu un grave danno poiché se Da Ponte
avesse avuto la sorte di conoscere la scena
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scritta in quell’opera, proprio sotto il finale, non
se la sarebbe certo lasciata scappare.