87482 In fondo c`è mia biografia scritta da Dario

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In fondo c’è mia biografia
scritta da Dario
DOPPIA
CERTAMENTE
BIOGRAFIE
ATTENZIONE
CE
NE
SONO
DUE
DI
2
NOTE PER BIOGRAFIA 21-5-93
CAPITOLI CON VARI ARGOMENTI
CARCERE
Da anni, esattamente 15, mi occupo di carceri, processi, difesa dei
diritti civili. Per ottenere permessi di colloquio con i detenuti ho dovuto
fare salti mortali, ogni volta, gabole varie. Arrampicandomi sui muri
della burocrazia giudiziaria, sono riuscita ad entrare in molte carceri
d'Italia, parlare con i detenuti, i direttori, giudici di sorveglianza.Sono
riuscita persino ad entrare e visitare la "famigerata isola del diavolo":
l'Asinara in Sardegna, ed ho conosciutop personalmente il tristemente
famoso dott. Cardullo, direttore del carcere, vera macchina per
l'annientamento psicofisico dei detenuti. Onnipotente Molok, classico
paranoico da studio psichiatrico. (ricordarsi che anche lui è stato messo
sotto inchiesta per ammanchi nell'amministrazione)
Quante sono state le denuncie di orrori, di vere e proppeie torture
perpetrate nelle varie carceri, nelle carceri speciali, braccetti della
morte, manicomi criminali, veri e propri mattatoi degli inermi che ho
portato a conoscienza dell'opinione pubblica. Quante sono state le
campagne, perché i diritti civili degli individui fossero rispettati?
Quanti sono stati gli spettacoli, gli interventi nelle fabbriche che con
Dario abbiamo tenuto in sostegno a lotte rivendicative....
Una chiaccherata con ...
Ancora una volta eccomi qui, con la penna in mano, (si
fa per dire visto che sono al computer), ad occuparmi
Dario: cognome Fo.
Dario Fo oltre ad essere un pittore, scrittore, regista, attore, individuo ,pieno di
humor, di generosità, per carità anche di egoismi come tutti, di umiltà come pochi ,
ricco di fantasia, astratto come nessuno, sempre mezzo metro sopra al mondo tanto
che qualche volta sono costretta a tirarlo per la giacca, pardon per il pullover, per
farlo scendere in terra, e mi spiace; dicevo, oltre essere tutto questo e non so che
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altro, è anche mio marito.
Ci siamo sposati quarant'anni fa, in chiesa. Il fatto straordinario per lui ateo, di
essersi sposato in chiesa,l'ha messo addirittura in una commedia:"Gli arcangeli non
giocano al flipper": "... sposato in chiesa per accontentare madre di lei molto
credente".
Eravamo emozionati tutti e due, quel giorno lì in Sant'Ambrogio a Milano tra
parenti-giornalisti-amici-fans-curiosi-e tanto riso addosso che chissà che bel risotto
avrei potuto fare- e io che piangevo-e il Dario "Nanina (mi chiamava così) non
piangere..."- e poi fa cadere la vera e tutti a cercarla-e quando l'ha trovata me la
voleva infilare a forza nel dito sbagliato che è dovuto intervenire il vescovo che ci
stava sposando ad aiutarlo- e tutti i confetti che mi sono mangiata- e lo spettacolo
alla sera lui al Piccolo Teatro col "Dito nell'occhio" e io in televisione in una
trasmissione di Marcello Marchesi di cui non mi ricordo il titolo.
Sì eravamo proprio emozionati!
Una emozione che ci siamo tenuti appresso per tutta la nostra vita.
"Ti amo. Non posso stare senza di te -m'ha scritto Dario in un Fax (per quanto
astratto s'è adeguato ai tempi) dall'Operà di Parigi dove si trovava per la regia del
"Barbiere di Siviglia" in aprile di quest'anno - al mondo ci sono stato con te. Tu sei
tutta la mia vita."
Dopo quarant'anni di matrimonio, (Dio che spavento! O no?) che non ci siamo
accoltellati nemmeno una volta, una frase così, che so sincera, (anche se come ogni
maschio italiano e non, che si rispetti, non disdegna "il superfluo indispensabile",
come lo chiama lui, cioè "risate", chiamiamole così, fuori casa) una frase così
dicevo "nero su bianco", che fa una moglie? Può forse rifiutare a un amico editore
due parole di presentazione ad una libro su suo marito che ha voluto lei? Eh no, non
può.
E' buffa la storia di come è nato questo libro: Domenico Rodari, il mio amico
editore, mi contatta per una mia biografia.
Sì, proprio mia, sulla mia vita ecc. (In genere odio gli eccetera, ma parlando di me,
mi stanno bene).
"La tua è una storia anomala, sei nata in teatro, reciti da quando avevi otto giorni,
hai vissuto con un uomo così, e così, e così, hai avuto anche un tragitto politico del
tutto particolare in anni assai difficili per il nostro paese, hai da raccontare "perché"
hai organizzato, portato avanti per tanti anni il Soccorso rosso ai detenuti politici in
Italia e all'estero... il sostegno "concreto", lasciando tutto l'incasso delle serate agli
operai in occupazione,(*) gli spettacoli nelle fabbriche, i testi politici, come sono
nati, il perché, da "Morte accidentale di un anarchico" al "Il Fanfani rapito", "La
marjuana della mamma è la più bella", "Non si paga! Non si paga!" - (Ma quando
tira il fiato- pensavo) - "Tutta casa letto e chiesa". Insomma devi raccontare tutto
quello che ti è successo, la repressione che avete subito, tu in particolare l'hai pagato
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molto caro il tuo far politica, le bombe che vi hanno messo in Palazzina e in casa, i
personaggi che hai conosciuto da Sartre in giù... Sei un pezzo di memoria storica (sì,
ha detto proprio così! Me ne hanno dette tante, ma memoria storica mai!) Hai il
dovere, parlando della tua vita, del vostro lavoro di far conoscere sopratutto ai
giovani una pagina di un periodo buio della nostra storia, di cui non parla più
nessuno. Scrivi! Scrivi! Scrivi!"
Era paonazzo!
E Dario a fargli eco: "Sì, bravo Domenico, insisti! Devi convincerla! Io non ci sono
riuscito. Deve scrivere! Ha un sacco di cose da raccontare." E poi a me: "Franca sei
una lazzarona!!" (Dario mi fa ridere spesso e non perché sia un attore comico.
"Lazzarona!"Mi si può dire di tutto, ma lazzarona no. Lavoro quelle 1O-16 ore
giornaliere, anche d'estate e se non ho spettacolo anche di più).
Se mi avrete seguita sin qui, avrete notato l'abbondante uso di virgole, virgolette,
puntini, punti esclamativi, parentesi, interrogativi. Stravedo per la punteggiatura.
C'é chi è goloso di gelati, chi di tramonti, amore, viaggi, passerine intese come sesso,
canzoni, malinconie, disperazione, denaro, egoismo, cattiverie, superficialità,
miserabilità (vi piace questo termine? Ve lo regalo.) di tutti i tipi, leadership, tangenti,
arroganza, potere... io sono golosa di punteggiatura. (Orizzonti limitati?). La
punteggiatura dà il tono di voce al pensiero scritto. Come rende l'umore del momento,
un bel punto esclamativo non lo rende certamente un misero punto. M'è sempre
piaciuto il punto esclamativo. Nelle elementari lo mettevo ovunque, a volte anche ad
inizio di frase come gli spagnoli, loro ci mettono pure l'interrogativo.
A parte gli scherzi questa mia della punteggiature è una deformazione professionale.
Il fatto è che vedo tutto quello che leggo, in chiave di copione teatrale (tanto che
sarei tentata di propormi come "punteggiatrice" a Pansa e Bocca, due tra i giornalisti
che amo e ammiro di più, per rendere i loro articoli ancora più efficaci). La
"decifrazione" di ogni scritto di Dario, da mettere in "bella copia" o per i giornali o
per le prove di una nuova commedia, la correzione delle bozze per l'edizioni dei
testi, è tutta "roba mia".
Riecco che salta fuori la mia mania di sbattermi giù con tutte le mie insicurezze.
Non ci credete che sia insicura? È così. Sono timida e insicura e in fondo all'anima
ho la certezza di essere niente. (Lo so che state pensando che anche voi, in certi
momenti vi sentite come me. Lo so. O no?) Per fortuna Dario è convinto del
contrario, altrimenti mi sarei già uccisa. Parlo seriamente.
Ora mi ridimensiono. Via, non solo il "a cura" di un testo è a mio carico, ma anche
la discussione sulla validità o meno di una scena, quando addirittura non è dell'intera
l'opera. Quando nasce un nuovo testo vivo momenti di grande tensione. D. mi legge
tutto quello che scrive pagina dopo pagina. Se ne sta anche per venti ore al giorno
attaccato ad un testo, a battere a macchina (ha superato la "Olivetti lettera 21" è
passato all' Olivetti elettronica!, sempre macchina da scrivere, però, mai computer)
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con un accanimento, che dopo tanti anni mi meraviglia sempre, dimenticandosi
persino di mangiare. La notte nel letto, non dorme, pensa così intensamente, che fa
rumore. Giuro! Tant'è che da almeno trent'anni dormo con i tappi.
Ad ogni commedia che scrive gli si imbianchiscono un po' di più i capelli, ed è
proprio duro per me certe volte dovergli dire:" Sì, è molto interessante, ma mi
sembra un po' letteraria...", " è un po' lunga... taglierei qui e qui...".
D'altro canto non posso permettermi di cavarmela con un complimento come
potrebbe fare uno qualsiasi che ci passa vicino. I testi che lui scrive dobbiamo poi
metterli in scena insieme, quindi non posso mentire. Posso sbagliare nel mio
giudizio ma, senza presunzione, è capitato raramente.
Mi sono conquistata la sua fiducia dopo "Aveva due pistole con gli occhi bianchi e
neri" del 61, andato in scena al Teatro Odeon di Milano. La chiave della commedia
era buona, ma non "volava", c'erano lungaggini sopratutto nel secondo tempo che,
come si dice in gergo, si sedeva. "Mi sembra che ci sia qualcosa che non funzioni...
io taglierei qui, e qui e qui... qui, invece stringerei... e qui..." accenno timidamente
col copione in mano e i tagli che proponevo ben evidenziati. Era la prima volta che
mi permettevo di esprimere un giudizio su un testo, ero molto imbarazzata e agitata.
"Puoi avere ragione, ma io aspetto di provarlo sul pubblico" mi risponde cortese ma
fermo, Dario.
Bene, lui è un Ariete, e gli Arieti sono testardi e io ero troppo giovane per insistere,
per impormi.
La serata è andata bene ma gli applausi erano di stima, simpatia, solidarietà... non
c'era l'entusiasmo di sempre.
Dopo la prima D. è venuto nel mio camerino: "Domani si prova alle due, facciamo i
tuoi tagli". Da quel giorno devo fare molta attenzione ad esprimere un giudizio su
quello che scrive, se non ci ho "ragionato" sopra. Capace che si blocca e lascia
perdere, come è capitato.
Mille complimenti non servono se non sono confermati da me. Ogni mia parola ha
un grosso peso per lui. Si fida del mio "rezo occhio" come dice lui,per tutto quello
che è teatro.
Devo dire che l'essere diventata così importante per lui mi ripaga delle mille e mille
ore spese attorno al suo lavoro. (Questo che segue si può tagliare, che ne dici?
Taglerei. oppure si può aggiungere a **. Sappiami dire.)che ha molte "isole"
collegate l'una all'altra da un locomotore sempre in movimento: io. Quali sono
le isole? Quelle dove risiedono i 18 agenti che si occupano della diffusione dei
nostri testi all'estero, i traduttori. Quanti sono? Non lo so. A volte lo stesso
testo viene tradotto da più persone.
Il fatto è che questo mestiere lo faccio da tutta la vita, 63 anni, è il "mio mestiere" e
lo conosco.
Come lavora Dario? Ha uno studio? Sì, ha uno studio, ma non ci sta mai... lavora
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davanti alla televisione (capace che la tiene anche accesa) seduto su di un divano,
scomodissimo, ma lui sta bene così. Forse il disagio lo stimola. Chissà. Una prima
stesura la "butta giù" (non trovo un termine più aggraziato che renda l'idea) a mano
dove gli capita. In un giorno fortunato su un bel foglio nuovo, tutto bianco, dipende
dal "fato" altrimenti può anche essere uno di quei cartoncini grigi che si trovano
nelle camicie nuove da uomo che io conservo perché li trovo bellissimi.
Questo però succedeva fino a qualche anno fa, ora usa i quadernoni di Alcatraz, la
"libera Università che ha messo in piedi nostro figlio Jacopo. Per me è una festa!
Non devo più rincorrere pezzetti di carta seminati per la casa.
Dove eravamo rimasti? Ah sì: "Sei una lazzarona"e poi ha anche aggiunto
"vergognati!".
Forse hanno ragione loro, mi son detta, pensando che anche mio figlio Jacopo da
anni mi ripete la stessa cosa, anzi, di più: "Mamma tu non hai bisogno di un testo
teatrale, se tu vai in scena e racconti la tua vita tieni la gente inchiodata alla
poltrona... li fai piangere e ridere... Mamma, tu sei riuscita a far ridere parlando di
menopausa!"
"Mi avete convinta..."
Qualche giorno dopo ho detto a Domenico:"Intanto che raccolgo le idee per la mia
biografia, perché non ti guardi tutto quello che Dario ha scritto, le interviste che ha
fatto... Ho tutto in archivio. E' un lavoro che piacerebbe fare a me, ma non ho
tempo, c'è un sacco di materiale, sarebbe interessante fare una scelta e riunirlo in un
libro. Che ne pensi?" Non ha fatto una piega...
"Sì... possiamo vedere... ma a me interessi tu..."
Era imbarazzato. Se avesse potuto dirmi di no subito senza far la figura del
maleducato, l'avrebbe fatto. Gli l'ho letto negli occhi.
Io sono un dolcissimo Cancro (ma com'è che oggi mi viene di parlare così bene di
me?) dolce ma tenace, purché non ci sia io di mezzo.
Così l'ho invitato nel mio ufficio, 11 stanze 11, di cui 5 di archivio, (Dario ci è
entrato la prima volta un anno dopo che l'avevo comperato perchè c'erano stati i
ladri e io non ero a Milano) Cosa archivio?
Tutto! (Ditemi voi se qui il punto esclamativo non è indispensabile).
La stanza dei manifesti è la numero uno: tutti i manifesti delle nostre turné in Italia e
all' estero e quelli delle molte compagnie che sono andate in scena con i nostri testi,
nei vari paesi del mondo. Sono in bell'ordine in certi contenitoroni e speriamo che il
pavimento regga.
Stanza numero due : manoscritti di testi, chiavi teatrali, testi scritti ma mai
rappresentati, articoli, appunti, prima stesura dattiloscritta di copioni, le correzioni
che via via sono state portate alle varie scene durante le repliche, testi stampati da
noi (**) o da altri in Italia, la rassegna stampa in ordine di data dal 51 ad oggi, (i
primi 10 anni me li sono incollata tutti da sola), le fotografie di tutti gli spettacoli, le
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tesi di laurea sul nostro lavoro.
Poi c'è la stanza numero tre: dischi, cassette audio e video, le registrazioni originali
delle musiche per i vari spettacoli, documentazione filmata di spettacoli,
manifestazioni, dibattiti, riprese televisive ecc., Nella stanza numero quattro ho
collocato la sezione estero: i dattiloscritti che ci inviano da oltre 57 Paesi per il
benestare alla traduzione, le edizioni di libri stampati in quasi tutte le lingue, la
corrispondenza con gli agenti, i traduttori, i contratti, le fotografie degli spettacoli
andati in scena (chiedere dati a Walter e Daniela quante messinscene sono state
fatte e altri dati che possono interessare).
Nella n.5 la corrispondenza di 43 anni di vita. Non quella tra me e Dario, quella la
tengo in cassaforte. Quando scriverò la mia biografia le pubblicherò tutte. Scoprirete
un Dario inedito, che nessuno conosce. Lui, che non ha firmato più di cinque
assegni in tutta la sua vita, che non sa il costo del pane, ne dov'è la chiave della
cassaforte, tanto che ogni volta che parto mi tocca lasciare una lettera: "caro Dario,
in caso di morte e se me ne andassi in Patagonia per non tornare più, può capitare,
sappi che la nostra banca è... che ci abbiamo pure una cassetta di sicurezza la cui
chiave ce l'ha il nostro notaio ecc. ecc. , lui dicevo, appena sposati, quando era in
turné e io a casa a fare il bambino tra un conato di vomito e l'altro, ricevevo ogni
giorno una lettera, (mi piaceva molto, ora mi scrive molto raramente e solo in
momenti "gravi" della nostra vita) dove, dopo le parole d'amore mi dava un
rendiconto dettagliato degno di un ragioniere, di tutto quello che spendeva: albergo
£... cappuccino e brioche £... giornali £.... Giuro che non ho mai capito perché.
Davvero bizzarro ed inimmaginabile questo Dario, no?
Mi rendo conto che divago in continuazione. E' che un pensiero chiama l'altro e m' è
venuta addosso una gran voglia di parlare.
Vi stavo dicendo che ho portato il Domenico nel mio ufficio, tra le cose della mia
vita, gli ho mostrato tutto quello che ho archiviato poi gli ho piazzato sul tavolone
della stanza dove lavoro, contenitori vari strazzeppi di interviste e
manoscritti:"Dacci una guardata... magari qualcosa t'interessa..." gli ho detto.
Mi sono seduta dietro la mia scrivania che sembravo proprio una business-woman e
l'ho lasciato nel suo brodo.
Ora il libro, anzi il librone "storico-antologico" interviste e scritti di Dario, è pronto,
la mia biografia chissà quando lo sarà.
E io qui a fare una chiaccherata con voi per introdurvi a 400 pagine di "chiacchere
di Dario Fo". Qui ancora una volta a spendere il mio tempo per il mio maritaccio.
In uno atto unico intitolato "La donna grassa" il personaggio da me interpretato, una
donna strabordante di ciccia e disperazione, una "sfigata" come tante, sfiancata
dalle delusioni, dai fallimenti, dal rapporto col marito (di cui s'è finalmente liberata),
dandosi una "sguardata" ( non è bello, ma rende l'idea) alle spalle, parla di sè in
questi termini: "Ho sbagliato tutto nella mia vita...Tutto! Colpa della mia mamma...
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Perbene... Com'era perbeeeene la mia mamma! Una santa! Guai a parlare di sesso, il
sesso in casa mia non esisteva... eravamo fatti come le bambole.. il didietro si
chiamava "sedere", il davanti, "sedere davanti". E quando sentivo dire "vai a dar via
il sedere", non sapevo mai se fosse il didietro o il davanti. Mi ha insegnato tutte
cose sbagliate la mia mamma. La più grave? Accettare tutto quello che mi arrivava
da mio marito senza ribellarmi mai... Sì, urlate, scenate.. "Va via!!!" Che è
pericolosissimo dire "va via!"... perché: vanno! Lì, a dedicargli tutta la vita!
Insomma ad essere una incrocio tra una pecora e una gallina... Magari, avanguardia
politica... fuori casa. Magari, femminista convinta, fuori casa... Tutta teoria e niente
pratica. Una gallina di città! Cocococodè! Ne conoscete anche voi no?
Cococococodè!! (Grande applauso delle donne in platea) Quando ci siamo sposati
mio marito era un fisico nucleare, anch'io ero una fisica nucleare... lavorava lui,
lavoravo io... poi sono arrivati i figli... Ho smesso di lavorare. Quando i figli saranno
un po' cresciuti riprenderò, mi dicevo. Ma poi... non so com'è, non ce l'ho fatta. A
poco a poco, senza accorgermene ho cominciato a lavoravo per lui... l'aiutavo nelle
ricerche, gli battevo a macchina i saggi da pubblicare, i discorsi per le conferenze, i
congressi... ai quali lui andava sempre accompagnato dalla sua "assistente"...
Insomma facevo quello che ogni moglie fa, sempre pensando:"Tra un po'
riprendo..." invece non sono mai riuscita a "schiodarmi" da lui, dalla casa... dai figli.
Nel frattempo mio marito è diventato sempre più importante, così importante da
essere anche proposto per il Nobel... (lo sapevate che Dario è stato proposto per il
Nobel? Questo lo sto dicendo a voi, non lo dicevo in scena) A poco a poco è
diventato un monumento. I monumenti però hanno bisogno di un piedestallo su cui
posarsi per stare in piedi... bene, sono 4O anni che vivo così:" (mi piegavo in due,
testa in avanti tra gli applausi delle donne in platea che si riconoscevano in quella
signora, che raccontava una storia un po' esasperata certo, ma per mille versi simile
a quella di tante donne, simile alla loro... alla mia.
Yes! Franca, l'ultima schiava bianca.
Ho scherzato un po' sulla nostra vita e ora non so come fare per dirvi due parole
seriamente.
Ci provo.
Rileggendo questa raccolta realizzate in quarant'anni da professionisti, d'interviste,
scritti, registrazioni d'interventi tenuti da D. in Italia e all'estero, vedo passare la
nostra vita. Il lavoro sotterraneo di tanti anni che mi sono sobbarcata per scelta,
oggi, con l'uscita di questo libro, parzialmente premia la mia anima d'archivista, la
mia dedizione. Che sia amore?
La vita con un uomo così impegnativo, anche se qualche volta m'ha fatto gridare non ne posso più!- è stata una buona vita... coerente nel bene e nel male. Raramente
banale, piena di tensione, di ansie vissute mano nella mano, di lotte anche dure
fianco a fianco e di emozioni... quell'emozione di cui vi parlavo all'inizio e che
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certamente ci resterà incollata addosso anche nei prossimi quarant'anni.
Questo, e solo questo, è quello che conta.
Franca
Forse ho parlato un po' troppo anche di me. Ma "noi" come dice D. "siamo stati al
mondo insieme".
* (potete mettere come nota redazionale) "oltre 1 miliardo degli anno 70
** Ho messo in piedi dal 75 una piccolissima casa editrice, pubblico quasi
unicamente i testi che mettiamo in scena, nella quale svolgo tutte le mansioni (che io
sia una centralizzatrice? Ma no...) che vanno dell'aggiornamento del copione rispetto
all'ultima rappresentazione in computer, corredarlo delle didascalie e foto e
documentazione, consegnarlo alla tipografia scegliendo carta caratteri
impaginazione, correggere le prime bozze, le seconde, decidere la copertina, se
sono fortunata Dario mi dà una mano per la scelta del colore e il disegno da metterci
sopra (quello lo fa subito!). Quando esce il libro, lo guarda e dice "bello!" Credo che
non abbia mai sfogliato una delle nostre edizioni. Questo non significa che non
gliene importi niente. Anzi,gli fa molto piacere vederli ben allineati sul nostro banco
di vendita durante gli spettacoli. "Li h fatti Franca" dice e dentro c'è anche orgoglio
per me. (Che piacere mi fa!!) Ma se fosse per lui non avremmo nulla in archivio,
nulla stampato, nessun tipo di registrazione. E' fatto così. Non ha interesse per il suo
"passato prossimo". Dopo tanti anni di vita in comune, ma sopratutto di lavoro in
comune, dopo mille arrabbiature per tanta indifferenza verso le sue "cose", sono
arrivata alla conclusione di aver vissuto con l'uomo meno ambizioso della terra. Un
testo gli interessa quando nasce, crearlo, costruirlo, muoverlo. E quando è passato, è
passato.
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La punteggiatura serve per dare le intonazione
Se devo essere sincera, non ne posso proprio più. Sono che
oppure fogli usati da una sola parte che io conservo per appunti, colpa della mia
mamma che m'ha insegnato l'economia. Non ad essere economa, proprio
"l'economia".
e il buché di gigli che una "amica" m'ha messo in mano un secondo prima d'entrare
in chiesa che così io ho dovuto tenerlo che se avessi potuto me lo sarei mangiato in
quanto tutti, meno mia madre sapevano che con D. facevo l'amore da due anni- le
nostre mamme che piangevano-
Conosco: i ritmi, i tempi, la sintesi, l'economia, il tutto indispensabile
che ce l'ha uguale il direttore dell'Operà di Parigi IRSCH, che però io l'ho avuta un
nove anni prima di lui, (ne ho una in ogni stanza occupata dai miei collaboratori)
perchè mio nipote Galeazzo le vende e questa faceva parte di uno stock che ho
pagato due lire forse me le ha regalate e che invece lui chissà quanto l'avrà pagata(!)
che sembravo proprio una business-woman
Anche con "Gli arcangeli" l'anno prima, (stagione 59-60) abbiamo avuto grane con i
censori, che pur avendo avuto il testo un mesi prima del debutto, pretendevano di
imporci dei tagli il giorno dell'anteprima. Come avremmo potuto farcela? Ci siamo
rifiutati di portare modifiche al copione. Così ogni sera venivano due poliziotti in
palcoscenico constatavano seguendo lo spettacolo che non rispettavamo i tagli,
stendevano il loro bel verbale: abbiamo totalizzato in 9 mesi di turné,
duecentocinquanta denunce. Un bel record. Poi però, non è successo niente.
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IL PADRE MORTO: IL GIORNO DEL FUNERALE
ricordo le morti di Lina e Enrico
Cercavo il coraggio di toccarlo. Volevo dargli un bacio. Non avevo mai
osato farlo in tutta la mia vita. Per pudore. Per timidezza. Ho allungato
una mano, incerta, per arrivare alla sua.Quando l'ho sentita sotto le dita,
ho avuto l'impulso di ritirarla. No, è tuo padre, pìoi non o verai più.Ho
vinto la repulsione e sono rimasta lì, padrona, sulla sua mano di marmo:
ho toccato la morte. Ci ho preso confidenza. poi un bacio lieve su una
guancia e finalmente ho pianto seduta vicino a lui. Quante cose mi sono
venute in mente, fatti dimenticati nella memoria.
Con mia sorella Lina è stato diverso ero adulta: 40 anni. Mi sono
occupata di ogni cosa, dalle coroni di fiori alla scelta della bara: raso
bianco trapuntato. E ricevere gli amici, i conoscenti, e parlare.
Anche in quel caso, le sono rimasta vicina, da sola. La guardavo. Triste
da viva, incazzata da morta per via di una vita vissuta con un marito
ignorante e rozzo che l'aveva spesso umiliata. La sua vita senza gioie mi
passava innanzi. E al dolore per la sua perdita mi cresceva dentro la
rabbia di non essere riuscita a strapparla da una inutile condizione di
sottomissione, di abbozzare, di non coraggio.
Di quando in quando il commento banale di qualcuno che entrava:
"pare che sorrida". Macché imbecille, è il freddo che le tira la faccia.
Negli ultimi anni non ha mai sorriso.
E' stato lì che ho giurato a me stessa che nessuno m'avrebbe vista da
morta.
Di mio fratello ho visto solo la bara già chiusa in partenza per l'Italia da
N.Y.
Che bizzarria questa di mio fratello di venirle a morire tanto lontano da
casa. Lui, che da vivo non avrebbe mai disturbato nessuno, da morto s'è
trovato al centro di una difficoltà dietro l'altra.
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Dario e io stavamo effettuando una turné negli Stati Uniti. Il debutto a
N.Y. era importante, parenti e amici erano tutti lì per farci festa. La sera
prima avevamo cenato insieme. "Domani andiamo a vedere...." fa a Pia,
ci vediamo alle sei. Arrivano le sei, le sei e trenta... niente. Enrico non
si vede. Telefoniamo all'Hotel. "Siete dei parenti?" - "Sì." - "E' morto."
E' uno scherzo? No, era morto davvero. Nel sonno. Una cameriera l'ha
trovato. Dario, con un giornalista si precipita all'hotel.
Io non potevo accompagnarli: avevo lo spettacolo dopo un ora. Non ho
recitato molto bene quella sera. Ho anche maledetto questo lavoro.
IL 68
Nell'autunno del 68 decidiamo di abbandonare il circuito teatrale
tradizionale, ufficiale e mettere a disposizione il nostro lavoro, la nostra
vita (e non sto enfatizzando) con un impegno diretto di quella parte di
pubblico che normalmente viene ignorata dal teatro ufficiale: operai,
casalinghe, studenti, contadini. Pubblico che solo in questi ultimi anni
viene intruppato e portato con pulman nei teatri del centro, organizzati
da Cral e Sindacato. Riprendendo la tradizione di mio padre portiamo il
nostro teatro in piccoli centri, nei quartieri periferici, nelle fabbriche
occupate, nei palazzetti dello sport. Insomma, decidiamo di metterci a
disposizione della classe alla quale sentivamo di appartenere. il
promletariato. Detto oggi, così, a distanza di anni suona un po'
tromboneggiante, allora no. Suonava bene. Otteniamo una risposta
straordinaria: una folla di giovani, studenti, operai ragazze, donne sono
ogni sera presenti. In qualsiasi posto si svolga lo spettacolo i locali sono
gremiti all'inverosimile. Nei palazzetti dello sport, ci abbiamo messo
anche 12 mila persone.
Che testi recitavamo? Il quotidiano. La vita della gente, le difficoltà. Il
materiale lo trovavamo a iosa. Erano tempi brutti. Gli incasi spesso
vanno a fabbriche in occupazione, che grazie alla sopravvivenza cjhe
gli è garantita dagli spettacoli, in certi casi, come per la Sampas di
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Milano, tengono duro e alla fine vincono la sentenza col padrone.
(ricevute fabbriche).
Quando Dario mi ha proposto di lasciare le strutture tradizionali e di
portare il nostro teatro per "boschi" non mi diceva niente di nuovo, per
tanto l'avevop fatto con mio padre.
Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente
lungo la mia vita: rabbia, paura angoscia, commozione, meraviglia,
furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi... inaspettate,
inaudite, così i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazioni,
quello che sto provando ora, non c'e.
Rossella (tra le moltissime donne incontrate è un'amica che non ho
perso per strada) m'ha regalato un libro "Le lettere del mio nome" di
Grazia Livi, "é importante, leggilo".
Il titolo cosi ermetico non mi sollecita.
Leggo in contro-copertina la presentazione dell'editore: "Il tema
appasionato di questo romanzo-saggio é il divenire della donna". Mi
blocco. Oddio, ci risiamo. La solita "menata" femminista socialpolitica,
scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti,
esibenti, compiaciute dello sfoggiar "cultura", usanti un linguaggio da
casta per "quella" casta, senza la minima preoccupazione di essere
capite da chi aveva (sto parlando degli anni 70 in cui la donna cercava
di crescere e di "liberarsi") la necessità urgente di capire, protese a
correre una più dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo
posto, dirigere, liderscippare un po' arroganti o troppo offensivamente
accondiscendenti, che gridavano "siamo sorelle" e in nome della
sorellanza alla prima occasione ti fregavano. Esagero?
Sì.
Ma ho visto e conosciuto molte donne troppo simili all'uomo nel loro
modo di essere, parlo delle intellettuali, che esprimevano
comportamenti che ho sempre rifiutato.
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Parto a leggere indifferente e diffidente. Qualche pagina e poi smetto,
mi dico. E invece no, qualche pagina e ci sono dentro. Ma questa chi é?
La conosco? Non lo so. Conosco tanta gente, ma i nomi non me li
ricordo, di molti non li ho nemmeno saputi.
M'ha tirato dentro la chiarezza, ne facile ne semplicistica, seppur colta
con cui ti racconta la vita, le scelte, le fatiche la crescita di un
personaggio-donna, come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera,
meticolosa delicata, mai invadente, umile, poetica quel tanto che non
disturba, è una magnifica scrittura, priva di
elucubrazioni
intellettualistiche, priva di fronzoli, con una gran sintesi.
Di ogni donna di cui parla, ti presenta le più remote sensazioni, ogni
personaggio è da lei scandagliare nel profondo, c'è tutto quello che
hanno detto gli altri e quello che ne hanno scritto, i sentimenti, i dolori,
le insicurezze, le certezze e molto altro che ora non mi riesce di
esprimere. Poche pagine te ne dà l'essenza.Ecco Simone De
Beauvoir.NON mi é mai stata completamente simpatica.A volte m'é
capitato di giudicare qualche sua scelta egoista.Il suo evidente essere
una intellettuale aristocratica m'e l'ha sempre allontanata.In casa di
Sartre a Parigi, dopo un girar di chiavi nella toppa ce la siamo trovata
davanti:borsa della spesa in mano, fazzoletto in testa .Ha lanciato
un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in cucina.Dario ed io ci siamo
guardati interdetti, "e questa chi é?" Sartre, come un bambino scoperto
a rubare la marmellata, ha spento la sigaretta o il sigaro, non ricordo,
"Simon..", ha mormorato.Ah, era lei! Dario meno, ma io ci sono rimasta
un po' male.forse credevo che il fatto di essere una donna mi desse il
diritto ad un saluto.Ma ora, la Simon, del ragionato-Livi é una donna
che capisco e ammiro di più.Altre biografie di donne. Leggere,
conoscere, approfondire, passare il tempo con loro, con la loro forza, la
loro caparbietà persistenza, lucidità, intelligenza, sapere, donne che
sono riuscite ad emergere dallo sterminato femminile sommerso, in un
modo al maschile, mi costringe ad interrompere la lettura e a
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ragionarmi addosso.Il mio "dentro"s'é messo in movimento e non riesco
a bloccarlo.Mi sento come se queste signore abbiano espresso, pensieri
miei, situazioni mie; insicurezze, certezze, domande, scelte mie. Mi
sento "loro", e allo steso tempo le sento discoste da me, lontano, in
alto,
irraggiungibili. Sono confusa.Confusa, a disagio, turbata,
scombussolate. Di colpo mi sento come se non avessi mai pensato.Non
ho visto, non ho notato, non ho desiderato.Mi sento addosso il peso di
non essermi mai sentita in lizza con nessuno, non perché mancasse la
gara, figuriamoci!, ma perché ero certa di non averne i numeri, le
capacità per poter partecipare. Mi sembra di essere passata tra le cose
senza emozione.Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa
per me .Già arresa, prima di essere vinta.Mi sento come se in questa
mia frenetica vita non avessi vissuto.Mi sento inutile, banale, vuota
come un libro rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in
calce.I giorni della mia vita :22.630 , sessantadue anni. Quanti!
Appresso, nessun bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara
Grazia Livi.Possibile? E' così.Sento l'esigenza di esprimermi, di
puntualizzarmi, di cercarmi.Oh mio dio, cos'è, sto cercando me
stessa?..Il mio io?..Ci ho tanto ironizzato sopra nei nostri
spettacoli...Ma ora qualcosa di concreto mi urge.Devo fissare qualche
punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente
vuoto, come se per tutti questi anni, e sono tanti, non avessi
vissuto,
lavorato incontrato gente,
parlato,
riso, fatto all'amore,
pianto.Niente.Non mi viene niente.Ho la testa pressata da pensieri
confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra tanto disordine non riesco a
trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare
con un minimo di coerenza.Forse potrei partire dalla prima grande
emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori".Li
avevamo visti sui camions il pomeriggio, intorno per la città.Erano
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arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e
sigarette.Arrossisco al pensiero di essermi buttata con gli altri per
tentare di raccogliere qualcosa.La sera, nel cortile di casa mia, gran
festa.Un giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra
buia del primo piano, casa mia. Più che vederla, l'intuisco: mia madre é
lì, ci sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio
fratello deportato in campo di concentramento in Germania, non dà
notizie da oltre due anni.In un attimo le sono vicina vergognandomi
della mia allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che
grida, grida seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché
le gambe non la reggono.Si stringe addosso il figlio, pallido, magro,
impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi.Quel gridare
intenso che esprimeva gioia,
l'ho sentito identico molto anni
dopo(1973) in circostanza ben diversa , per dolore e
drammaticità.Ancora seduta, su di una sedia ora, con la testa buttata
all' indietro, grida senza controllo, come allora, dopo che ha indovinato
più dalla mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina
era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di
Varese, con i fascisti che entrano in classe, in silenzio ci guardano a
una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano
nello studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma
ma avevo paure che tutti potessero sentire il battito del mio cuore.
Pensavo, ora mi portano a "Villa triste.."Villa triste era una villetta
all'inizio della strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo
sapevano , venivano interrogati e torturati i partigiani. Ma io, non
sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto
niente."Stai tranquilla, mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla
prima domanda ho capito tutto.E il cuore a battere più forte."Forse
muoio"."Conosci Enrico Mazzucchetti?
"Si", "Dov'é?""Non lo
so".Enrico, detto Bubi, era il mio amore dei quindici anni: il
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primo."non lo vedo da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma
qualche giorno prima l'avevo visto, era venuto sotta casa mia a darmi
dei baci. Dio mio, che era successo?"Allora?"Erano minacciosi."Non lo
vedo più, ci siamo lasciati da un sacco di tempo."Lì, nello studio del
preside mi hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva
convinti.Poi mi hanno lasciata andare.Non ricordo altro.Mi sono
ritrovata in classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate."Sei
una incosciente, sei una disgraziata.Se lo viene a sapere tuo padre ti
ammazza e fa bene.E con il cuore mi accarezzavo il biglietto piegato in
quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a "villa triste",
dopo essermelo imparato a memoria la mattina andando a
scuola.Incoscienza, più che coscienza politica.
I GIORNALI
Nei primi 18 anni della mia vita, non ho mai letto un giornale.E questo
che c'entra?Nulla.Sto cercando di tirar fuori fatti lontani, che
disordinatamente affiorano al mio cervello vuoto
Non ho mai letto i giornali.Lo dico con meraviglia.Possibile?In casa
mia c'erano, la mia era una famiglia socialista quando esserlo costava
qualche cosa.Si pagava, senza ricevere nulla in cambio:con quella
tessera in tasca allora carriera o posti di comando, non ne ricevevi.I
giornali c'erano, li toccavo quando li raccoglievo da terra dopo che mio
padre li aveva letti.(incredibile quanto mio marito assomigli a mio
padre:anche lui, li butta per terra!)per riporli o buttarli, ma io sono
sicura di non averne mai aperto uno fino ad un certo giorno.cioè
quando sono andata a sbattere con la mia bicicletta addosso ad una
Topolino (in realtà gli ho sfiorato un parafango).La reazione del
"guidante" è terribile e immediata e assolutamente fuori posto/"Ecco chi
rovina l'Italia!""No, guardi io..""Silenzio!Voi giovani che
delegate.Delegate e non leggete i giornali!".Allibita, senza parole.E' da
quel giorno che dei giornali leggo tutto..dalle inserzioni agli annunci
mortuari.Grazie isterico signore della topolino.Grazie.
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Forse ora posso correre all'inizio della mia vita.
1932_ "E' ora che Franca incominci a recitare."è mia madre che parla.
La prima parte che ho imparato a memoria, me l'ha insegnata lei,
"bocca a bocca", così si diceva a casa mia, mot- a mot, parola per
parola. Non sapevo leggere .Avevo tre anni.. Aveva deciso (era sempre
lei che prendeva le decisioni importanti in famiglia) che avrei fatto un
angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva recitato da mia sorella
Pia in "la passione del Signore"atto V, orto dei Gezzemani.."Pentiti
Giuda traditore che per trenta monete d'argento hai venduto il tuo
Signore! Pentiti !pentiti! "dovevo gridare di quando in quando. La parte
non era lunga.. non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!"e
ancora e ancora."ripeti" diceva la mia mamma paziente mentre pelava
le patate per il minestrone."Ripeti!"Mia madre per i suoi figli era
ambiziosissima .Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito
bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle
spalle. seppur credente non andava mai in chiesa ma aveva uno zio
prete.Lei, lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti così! Mio
padre, ormai entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di
lampadine .E' ora d'andare in scena e tutti:"ma che bell'angiolino!Ma
che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda.Non avevo fatto
nessuna prova.Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire
mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma
sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti Giuda "e quel che
segue.Il guaio, l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva
immaginare fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio
Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che mi
raccontava storie bellissime, mi regalava un sacco di divertimenti, al
quale volevo molto bene e vedermelo lì, proprio vicino vicino, con una
parruccaccia nera in testa..gli occhi che lanciavano saette tra un tuonar
e lampeggiar minaccioso , che disperato gridava:"possano i corvi
divorarmi le budella , le aquile strapparmi gli occhi !" e altri animali
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che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad incominciare
dalla lingua" , mi fece un terribile effetto.Mamma mia che spavento!
Cosa stava capitando?!Ero stravolta, me lo ricordo benissimo.Ma quello
che mi buttò completamente fuori, fu il vedere mia sorella , solitamente
rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gli e ne stava dicendo di
tutti i colori!Una sfuriata in piena regola e che trascinavano il nostro
povero zio in una disperazione sempre più nera."Ma cosa sta
capitando?Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo che mi sentivo in
gola stava per scoppiare;Mia madre dalla quinta mi faceva gesti più che
perentori.Giuro che avrei potuto parlare, ma non me la sentivo proprio
di rincarare la dose.No, io no, allo zio Tommaso .non dico proprio un
bel niente.!Non so cosa gli sia capitato.Forse è impazzito." Anzi.A
piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli,
seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e
gridava più che mai.Dio che paura!Senza dire una parola mi sono
arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di
baci.Insomma cercavo con i mezzi che avevo a disposizione, di
calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.Pia s'è
ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano
niente di buono..Lo zio-Giuda si blocca per non più di tre secondi, lo
giuro.e poi con voce profonda (intanto con la mano mi solleticava la
mia e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) dice:"Dio, sei
grande!A
QUEST'ORRENDO
PECCATORE
MANDI
IL
CONFORTO..un piccolo angelo..mi tendi la mano..No, no, non me lo
merito!-e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia
corto-M'impicco!".Deve usare un po' di forza per liberarsi da me che
proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare.Grida:"L'albero più
alto..dov'è l'albero più alto..Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e
con un urlo agghiacciante esce di scena.Mia sorella(l'unica volta nella
sua vita , credo)non sapendo più che fare, camminando anche lei sulle
punte, immediatamente lo segue.Grande applauso.Tutti mi chiamano in
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quinta con grandi cenni.Non so se la paura d'essere sgridata o il "senso
del dovere" che maledizione da che sono nata è lì, a spingermi( a
pigiarmi ) la coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio con
voce chiara e mesta quel tanto che serve dico"S'impicca! Non s'è
pentito..Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il
suo Signore..Non s'è pentito!" e via che esco..Ce l'avevo fatta:l'avevo
detta tutta! Da allora in poi, "la passione del Signore" ha sempre avuto
due
angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la
grandezza di Dio.E tutti giù a piangere.
A 5 anni:"gli spazzacamini della valle d'Aosta.Com'è che succedeva?
Come arrivavo la prima volta in scena con un personaggio che non
avevo mai interpretato prima? Non me lo ricordo, ma so con certezza
di non aver mai provato prima di un nuovo spettacolo.La parte come
sempre fino a che ho
4 imparato a leggere, me la insegnava la mia mamma, la imparavo
velocissimamente , era come se la sapessi già.Anzi, la sapevo
già.Quante volte mi ero addormentata nella cassa dei costumi, o nella
bara di Giulietta quella del Romeo, o in qualsiasi altro posto che mi
permettesse di addormentarmi, mentre i miei recitavano una sera dopo
l'altra?"Gli spazzacamini" un drammone.Gino, (io, )il protagonista,
figlio di una povera ma bella incintata e poi abbandonata dal figlio del
conte..vengo, a causa della miseria in cui nascono quasi sempre quelle
incintate dai "contini", NONOSTANTE LA TENERA età affidato ad
un "mercante di carne umana"!, un delinquente che specula sui
bambini che gli vengono affidati, mandandoli spesso a morire nel
tentativo di pulire, in quanto smilzi e denutriti (quanto piangeva la
gente!) la cappa di un camino.E' quando, la mia mamma che per fortuna
era venuta a trovarmi a Torino col mio nonno sennò chissà come
avrebbe mai fatto a tornarsene a casa, crede che il suo Gino sia morto
nella cappa del camino "Oh che tremendo dolore!" e via che
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Impazzisce. La ragazza in questione era proprio sfigata.Ma il suo GIno,
che quel giorno lì in quanto ammalato, era stato sostituito nel lavoro da
un compagno, certo Carletto, che muore al suo posto. (Mai essere
generosi!) Questa è per Gino una giornata davvero fortunata.Il vecchio
conte è schiattato nel frattempo, ed il contino, vale a dire il suo papà,
decide in quanto sempre innamorato della mia mamma, di riparare al
malfatto e di sposarla.Ci sono un po' di problemi per far rinsavire la
povera ma onesta sfigata, ma alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime
e singhiozzi e applausi.5 atti, con la comica finale per non mandare a
casa la gente con il magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si
basava su trame semplici e stringate, TEATRO POPOLARE appunto,
nella tradizione della COMMEDIA DELL'ARTE , completamente
opposto al teatro letterario e naturalista messo in scena dalle grandi e
illustri compagnie che agivano nelle grandi città e imitato in tutto il suo
negativo dalle piccole compagnie , come la nostra , che agiva no in
provincia.Il nostro successo stava tutto in questa differenza.Il nostro
repertorio era vastissimo: dalle più famose tragedie di Shakespeare ai
drammmoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei
tempi (Niccodemi, Giacosa, Rosso di San Secondo, alle comiche
finali. Il tutto senza aver mai studiato una parte a memoria su di un
copione. Non esistevano copioni di testi teatrali veri e propri, ma una
specie di canovacci e per molti testi non esisteva nemmeno il
canovaccio. Ce li avevamo nella testa da sempre. Eravamo bravi?Non
lo so.So solo che i teatri eran( sempre pieni, che si lavorava tutti i
giorni, si riposava solo il venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre.O
se c'era il funerale di un defunto importante del paese:il prefetto, il
sindaco, il dottore, il prete il farmacista.E quando in un paese avevamo
fatto tutto il nostro repertorio, (replicato 6 sere la Giulietta, 6 la
passione, "il povero fornaretto di Venezia e non mi ricordo più quali
altri drammoni avessero successo)mio padre o mio zio, si leggevano un
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romanzo, ci riunivano e ce lo raccontavano."Tu fai questo, tu questo e
tu questo., .e via che il giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte
laterali, in bella calligrafia, la scaletta dei punti chiave, il susseguirsi
degli avvenimenti.
"L'assassino del corriere di Lione" .Scena PRIMA:
la ragazza s'incontra col padre, che non aveva mai conosciuto , partito
povero , tanti anni addietro, torna ricco, riempie la ragazza di doni, ma
lei non riesce a sentire nulla per lui, anzi solo repulsione.
Manifestare freddezza e imbarazzo.Ricordarsi che la madre è morta.
Scena seconda:un uomo(lo stesso attore che interpreta il personaggio
del padre) languisce in una cella, è un innocente caduto in un errore
giudiziario terribile.Accenni all'assassinio di un corriere a
Lione.Accenni alla moglie morta e alla piccola bimba lasciate al
paese.Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà:il buono premiato con la libertà e
l'onore restituito mentre il cattivo (fratello gemello del buono),
smascherato da una collana rubata al corriere di Lione, sarà punito con
la forca.Gaudio e felicità. Ricordarsi della madre morta.
Comica finale.Non c'è personaggio nel repertorio della mia famiglia che
a secondo dell'età non abbia interpretato.Neonati(8 giorni in braccio
alla mia mamma-in la Genoveffa di Brabante), bambini o bambine,
ragazzini signorine, giovanotti, suore, cortigiane, prostitute.Una volta
ho fatto persino, il cuciniere Dracco. La storia nel ricordo, mi fa ancora
ridere.Ero cresciuta e la Genoveffa(che dio la maledica, quanto ho
odiato sta noiosa!) ora la facevo io.Giovane e bella moglie del re alla
guerra, sola nella raggia viene insidiata da Golo, un primo ministro
della situazione, che lei respinge furente e offesa. La donna giovane
donna decide di inviare una missiva al marito tramite il cuciniero
Dracco:l'unico che a corte le sia rimasto fedele. per avvertirlo del
tradimento del suo braccio destro."Torna o mio dolce sposo, torna! che
quel maialone del Golo vuole fare con me, proprio quella cosa là!"
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Golo che è sempre lì a origliare , scopre tutto e zak!, pugnala il
poveraccio e manda a dire al re che Genoveffa è incinta del
cuciniero."Ti ha tradito o mio re, che vergogna con un cuciniero!"Il re
ci casca, fuori dalla grazia di dio "un cuciniero no!"ordina il taglio
della testa della la fedifraga e anche del bambino nato nel frattempo.
(TRANQUILLI CHE POI TUTTO , COME SEMPRE, FINISCE IN
GLORIA ) Arriviamo sulla piazza e ci rendiamo conto che ci manca
l'attore che avrebbe dovuto
interpretare il ruoli del cuciniero
.D'accordo, sono due parole che si possono anche tagliare, ma
fisicamente deve essere in scena.Ci ragioniamo sopra un attimo per
vedere come risolvere. Bene.Ci siamo.Facciamo
così.Al momento
cruciale, vado alla quinta di destra.Il perfido Golo mi spia dalla quinta
di sinistra. Parlo, guardando fuori scena con il cuciniere che non c'è,
fingo di consegnargli il messaggio e poi, affranta, esco. Velocissimi
mi mettono sulle spalle un mantellaccio con capuccio, che mi copre
dalla testa ai piedi.Rientro in scena con la missiva bene in evidenza in
mano, faccio qualche passo come se ora io parlassi a Genoveffa, Golo si
precipita su di me"muori, spione di un cuciniero!E via che mi
pugnala.Cado morta.Golo mi trascina fuori scena a sinistra, cioè dalla
parte opposta da cui sono entrata. Mi tolgono il mantello, mi raddrizzo
la parrucca bionda dalle lunghe trecce, corro velocissima dall'altra
parte.Rientro in scena e vedo Golo che pulisce il pugnale assassino nel
mantellaccio che indossavo fino ad un secondo fa."L'avete
ucciso!Assassino!!"Ansimo un pò, per via della corsa, ma sono
perfettamente in parte e nessuno s'è accorto di niente.Noi eravamo in
grado di andare in scena senza prova alcuna, con un testo nuovo
allestito di sana pianta.Arrivavamo ad esempio in una piazza nel giorno
in cui in paese si festeggiava la santa patrona, ebbene, debuttavamo
con la storia di quella santa sulla quale mio padre e mio zio avevano
giorni prima letto e ascoltato dalla gente, vita morte e miracoli.Avevano
riunito la compagnia, raccontato a sommi capi l'intreccio, distribuiti i
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ruoli se i costumi adatti non c'erano si rimediavano, e via che si
debuttava.Senza prove.Se si confronta con i 90 o addirittura i 180
giorni di prova delle compagnie di oggi..Ma certo che allora,
sovvenzioni ministeriali o regionali o provinciali o comunali, non ce ne
erano, quindi giocando sui soldi tuoi, ti dovevi sbrigare eccome.
L'unico posto, luogo dove io mi senta a mio agio è il palcoscenico.No,
non per via:ama la polvere del palcoscenico.No.Sono allergica alla
polvere, alle banalità, alla rettorica.Sto bene in palcoscenico perchè è
casa mia.In qualsiasi città mi trovi, quando sono in teatro sono a
casa.Entrando nella hall di un teatro, non m'è mai capitato di dovere
chiedere"scusi, dov'è il palcoscenico?"Conosco automaticamente la
strada, dove sono i camerini, il gabinetto."Ma ci sei già stata qui?""No,
è la prima volta""Non ti credo""Sì, forse ci sono già stata".Sto bene
nei camerini, anche se squallidi.No, non li addobbo con sete
colorate.L'ho fatto qualche volta..senza accorgermi andavo dietro
all'onda, voglio dire alle usanze degli attori..ma erano 100 anni fa.Poi
ho scoperto che non mi ci trovavo con QUEGLI addobbi intorno, non
sentivo il bisogno di ricostruirmi il "salotto"di casa mia, anche se il
camerino era un cesso.E DIO sa quanti camerini "cesso" trovano gli
attori nei teatri e nei cinema di casa nostra.L'unica cosa alla quale non
rinuncio è la luce."Lino!!(è il tecnico delle luci) La luce"Lino arriva e
mi piazza certi 5OO da accecare.Io ci sto bene. La luce e il mio baule,
ora i miei bauli..Mi piacciono i miei bauli.E' un classico baule armadio
d'attori, verde fuori a fiorellini l'interno.Ci sono i cassetti e nei cassetti
di tutto:golf, libri, fogli, macchina da scrivere-computer, pennarelli,
lettere e cianferi d'ogni genere.Il primo baule della mia vita l'ho
comperato a rate nel 51, non appena arrivava in compagnia
primaria.Dentro non c'era quasi niente, ma quel sacramento , che si apre
all'impiedi dividendosi in due e diventa un armadio, con cassetti e
reparto per i cappotti, con tanto di targhetta in metallo con il mio nome,
mi dava una gran sicurezza.Per la verità era una sicurezza del tutto
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speciale:la sicurezza di avere anch'io il baule come tutti gli altri.Credo
che quella sia stata l'unica sicurezza di quegli anni e per molti anni
dopo.Credo anche di essere la persona più insicura che io conosca.Il
mio baule, il suo contenuto, il camerino il palcoscenico:sono a casa. Io
non mi considero un'attrice.Sono "anche " un'attrice.In casa mia ho
imparato tutto quello che può servire
per poter fare questo
lavoro:attrice, elettricista, fonico, costumista, trovarobe, direttore di
scena, servo di scena, piazzare le
luci, suggerire, sarta, vendere i
biglietti, truccare, pettinare, ballare, cantare (sono un po' troppo
timida, seppur molto intonata!Me l'ha detto 10 -14 Giovanna Marini, e
se lo dice lei..)la ricerca delle piazza l'amministratore, fare un borderò,
(ora è però diventato difficilissimo)I miei avevano addirittura una
propria tipografia dove si stampavano i manifestini, insomma i
volantini di adesso.Avevamo centinaia di scene belissime, dipinte da un
pittore della Scala, Lualdi che veniva a passare le sue vacanze da noi,
ogni tanto, le rinfrescavamo tutti insieme.Ogni giorno cambiavamo
piazza, (dico piazza per dire "paese, non recitavamo in piazza ma in
locali chiusi, teatri, cinema, oratori, quindi ogni giorno si dovevano
montare
scene
e
luci.Anche
i
nostri
costumi
erano
belli.Figuriamoci!Mio padre, tramite l'amico Lualdi, li comperava in
blocco dal Teatro della Scala.E se per un nuovo testo mancava qualche
costume, ce lo facevamo in quattro e quattrotto.Mia madre, maestra
diciottenne, figlia dell'ingegnere del comune dove risiedeva(Bobbio) e
di una casalinga si era innamorata di questo "girovago
marionettista"che un giorno era passato di lì, e con grande scandalo
dalla famiglia-(povera come l'acqua, ma di una classe sociale superiore
a quella di mio padre)e del paese se l'era sposato.Mia madre, era
bellissima
e
quando
dico
bellissima
voglio
proprio
dire"bellissima"senza artificio alcuno.
Nessuno di noi, quattro figli, pur assomigliandole, s'è avvicinato a
tanto;Bellissima, giovane, innamorata, aiuta Domenico (il marito)e
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Tommaso (fratello del marito e Stella, (sorella del marito)in tutto quello
che può .Cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto
diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno.Non sa
manovrare le marionette, ma si ingegna a vestirle.Poi, più avanti, dirà
qualche battuta.Con l'avvento del cinema (1920)) i due fratelli
intuiscono che "il teatro delle marionette" sarà presto messo in crisi,
subissato, da questo nuovo fantastico mezzo di spettacolo. Decidono un
cambiamento radicale(con grande dolore del nonno Pio, un amate di
Garibaldi, l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e
somigliante all'eroe!)"Entreremo in scena noi, al posto delle marionette,
reciteremo noi inostri spettacoli"Così mio padre con la propria famiglia
aggiunta alla famiglia di mio zio Tommaso si sostituiscono ai pupazzi
di legno, vere e proprie sculture, tre delle quali sono esposte al Museo
del teatro della Scala di Milano.E quando inizieranno a recitare di"
persona", a portare loro stessi in palcoscenico i testi, i personaggi che
avevano fino allora interpretato muovendo e doppiando pupazzi di
legno, lei, la mia mamma
, diventa la prima attrice della
compagnia.Un'attrice che di giorno tirava su i figli, li faceva studiare, si
occupava della casa, e come una più che provetta casalinga( a tutti gli
effetti)teneva l'amministrazione della compagnia come fosse quella di
un normale menage familiare, si occupava dei costumi, aveva imparato
pure a cucire, e alla sera, via!, E Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca, e
la Fantina dei Miserabili, tutti ruoli che via via, abbiamo interpretato
anche noi figlie e le cugine Ines e Lucia.Percorro così l'apprendistato
dei teatranti interpretando via via che cresco, tutti i ruoli maschili e
femminili adatti alla mia età.Il vantaggio della compagnia di mio padre
rispetto alle altre compagnie di giro, (così si chiamavano le piccole
compagnie di provincia) è l'invenzione di impiegare tutti i trucchi
scenici del teatro magico delle marionette, nel "teatro di
persona"":montagne che si spaccano in quattro a vista, palazzi che
crollano, un treno che appariva piccolissimo lassù nella montagna e
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che man mano che scendeva s'ingrandiva fino ad entrare in scena con il
muso della locomotiva a grandezza naturale.Mari in tempesta, nubi che
solcavano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che volava.scene
in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come
era il paradiso.Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro
seicentesco dei Bibbiena, che viveva ancora, dentro la scenotecnica
delle marionette.soltanto che in quel teatro tutto era stato
miniaturizzato, si trattava adesso di eseguire una operazione da Gulliver
alla rovescia:da minuto che era ingrandire ogni oggetto, aggeggio,
marchingegno fino a renderlo identico alla realtà.In questa nuova
veste"il teatro di persona" la compagnia di mio padre realizza un
successo insperato.Si lavora come sempre a tempo pieno.Mio padre , il
capo, con il ruolo di primo attore, manager P.r., lo zio Tommaso nel
ruolo dell'antagonista, del comico-brillante a secondo dei testi e di
drammaturgo-poeta di compagnia;le mogli, i figli, gli attori scritturati;i
dilettanti gli amici componevano la nostra compagnia.Giravamo
cittadine, paesotti e paesini del nord Italia su di una corriera che
chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che aveva,
che più che al suo cattivo carattere andava attribuito agli anni. In certi
paesi nei quali ad una certa ora del giorno si passava, nei turnichè
particolarmente ripidi, c'erano sempre dei ragazzi che ci aspettavano.Ci
spingevano fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano a
godersi lo spettacolo gratis."Siamo quelli che abbiamo spinto."
"Passate".Mio padre, amava la Balorda , e zingarone com'era, gioiva
tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre, ogni volta
che lui le cambiava colore:"non sposeremo mai le nostre figlie !" "Hai
ragione Milietta..domani le cambio colore"E l'indomani quando
"Emilietta" si
affacciava in cortile, ecco la Balorda
ridipinta:d'argento!"Non sposeremo mai le nostre figlie!"Arriva la
guerra, finisce la guerra.Bombardamenti non ne avevamo avuti.Qualche
bomba sulla fabbrica di aerei:la Macchi, lontana dal centro, alla
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periferia di Varese, a Masnago.Ricordo a proposito di questo paese, una
sera che si tornava a casa dopo lo spettacolo veniamo fermati, sia noi
che tutti quelli che passavano per quella strada dopo di noi, da un
gruppo di fascisti e S.S.Ci hanno fatto entrare in un cortile, (era quello
dove abitava uno dei nostri dilettanti, chiamato"Luigino cassa da morto,
perchè suo padre le fabbricava) dove siamo stati per ore bloccati.Solo
all'alba ci hanno lasciati andare.Non è stato per niente
drammatico.L'aria, nonostante i tedeschi era di festa a causa della
inconsuetudine dell'avvenimento.Si sà, i giovani trovano sempre la
maniera di di superare le tensioni. Sarebbe però, tanta allegria finita in
tragedia se quell'alba avesse portato la notizia di una missione tedesca
andata male.Ci avrebbero fucilati tutti. l'abbiamo saputo qualche giorno
dopo.Per fortuna l'abbiamo scampata.Altre volte, capitava che ci
fermassero dei partigiani.Non dicevano "siamo partigiani" ma erano in
borghese con i mitra "Signor Rame, ci dà un passaggio?" Li facevamo
salire.Più avanti capitava d'incontrare picchetti fascisti che ci
fermavano. Ci conoscevano.Avevamo un permesso speciale per il
coprifuoco."Buona sera signor Rame,.Com'è andata?" "Benissimo!"
"buona notte."Ce ne andavamo;nonostante il
FINE
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GENTE:
FRANCA, TORNIAMO INDIETRO DI 40 ANNI, RACCONTACI IL TUO PRIMO INCONTRO CON
DARIO.
Le nostre strade s'incontrano ad un certo punto delle nostre vite, ma partono da punti assai diversi.
Io nasco da una famiglia d'attori girovaghi, ed ho debuttato ad otto giorni, ne il figlio della "Genoveffa di
Brabante", in braccio alla mia mammma. Via via che crescevo, ho interpretato tutti i ruoli possibili ed
immaginabili maschili e femminili, finche, dopo i vent'anni ho lasciato la mia famiglia per seguire mia sorella
Pia che abitava a Milano in quel tempo ed era prima attrice giovane con Renzo Ricci. Il mio desiderio era di
riuscire a mia volta entrare in una compagnia primaria. Un gran salto! Dario invece, studiava architettura al
politecnico, e per passione raccontava favole grottesche agli amici, racconta oggi, racconta domani, s'è
trovato scritturato nella compagnia di rivista, "Franco Parenti sorelle Nava". Nella stessa compagnia c'ero io.
Il capocomico era di Carlo Mezzadri, l'allora marito di mia sorella Pia, che per strada ha lasciato il mestiere
d'attrice per aprire una sartoria teatrale. Oggi Pia è una affermatissima creatrice ed esecutrice di costumi
teatrali. E' arrivata fino a Las Vega con le sue creazioni. Ha fatto una figlia, ha scritto un libro sulla nostra
famiglia, gioca a poker, ama il tennis seguendolo sul teleschermo, la musica classica, legge molto, è
curiosa, dimostra un vent'anni in meno di quelli che ha, ma quello che più conta, è che è generosa,
spiritosa, caustica, insomma è il personaggio più divertente, poliedrico che io abbia intorno. Ci vogliamo
molto bene. Abitiamo nella stessa casa, ci capita anche di litigare a volte, ma ci siamo l'una per l'altra,
sempre.
E' lì che io e Dario ci siamo incontrati. Lui s'innamora subito di "questa sventola dolcissima", così mi
chiamava. Si prende un imbesuimento di terzo grado. S'innamora subito, ma se lo tiene per se. Anzi non mi
guarda per niente e se mi guarda non mi vede: come fossi trasparente! Com'è?! Seni tondi, gambe lunghe,
capelli biondi eccetera eccetara... piena di ragazzi che mi giravano intorno e lui , 'sto spillungone anche
bruttino, (ora è bellissimo!) niente. Non faceva una piega! Non mi guardi? Ti castigo! Una sera, si provava
lo spettacolo al cinema Colosseo, l'ho preso per le mani, l'ho messo contro il muro, e gli ho dato un gran
bacio, ma proprio un bacio bacio! E mi sono scoperta innamorata pazza. Il "da ridere" è che tutto è successo
per scommessa. Siamo andati avanti per due anni tra baci e litigi.... classico degli innamorati, fino al giorno
che ci siamo sposati: 24 giugno 1954 in Sant Ambrogio! Dario, metterà una battuta, per il fatto di essersi
sposato in chiesa (lui, quasi ateo-marxista) addirittura nello spettacolo "Gli arcangeli non giocano al flipper"
: "Sposato in chiesa per accontentare madre di lei molto credente."
SALTO SALTO FOTOCOPIARE PAGINE
siamo siatemati alla bellemeglio. Il bambino ha pianto per quattro giorni di fila. Per quanto spirito di
adattamento avessimo noi, non riuscivamo proprio a comunicarlo a questo tipo appena nato che non sapeva
niente della vita. Comunque faticavamo anche noi a cavarcela e per le scomodità e per la mia totale
inesperienza "Piange? Avrà fame" Lo attaccavo al seno, lui ciucciava un po' e poi di nuovo "uhèèè
uuuhèèèè!""Oddio, forse è ammalato!" Al quinto giorno decidiamo di tornare in clinica e stabilirci lì. Il
nostro ritorno è stato festeggiato dal personale con brindisi e abbracci. S'è scoperto subito la causa degli uhè
del bambino: io avevo poco latte e lui aveva fame.
Dopo aver nutrito il fantolino, ci hanno sistemati in una bellissima camera vicinissima alla sala parto. Ci
siamo addormentati immediatamente tutti e tre ed abbiamo dormito per almeno giorno intiero, finalmente
rilassati. Ci siamo insriti molto bene in questa nostra insolita vita, abitavamo lì e cercavamo casa. Come
vedevamo in carridoio davanti alla porta della sala parto un padre in angosciosa attesa Dario subito
s'informava: "Sa è un parto cesareo!" E Dario: "non si preoccupi, anche Franca ha avuto un cesareo...Vero
Franca?" e io "Sì, sì... è una sciocchezza, vedrà" E quello si calmava. E un altro: è messo di piedi"... "Non si
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preoccupi, anche nostro figlio è nato di piedi...e tutto è andato benissimo. Vero Franca?" Solo quando un
padre era preoccupato perché la moglie stava partorendo 2 gemelli siamo rimasti senza parole. Tutti
sapevano che avevamo un figlio solo.
Ci siamo stati tre mesi in quella clinica. Quanti padtri e quante madri abbiamo rinfrancato. Qualcuno ci viene
ancora a trovare con i figlio nato proprio in quei giorni. Che benissimo!
Finalmente abbiamo trovato una casa in via Bruno Buozzi e ci siamo trasferiti. Una casa piccola con un
terrazzo enorme. Nel palazzo vicino al nostro vivevano Roberto Rossellini ed Ingrid Bergam al tempo della
loro "colpevole" passione. Avevamo sempre amici fotografi che ci scongiuravano di poter stare nel nostro
terrazzo per poter riprendere i due importantissimi innamorati.
ed ero sempre la vamp del casta, la padrona di un night, qualche volta sola, qualche volta con un amante
delinquente. Indossavo grepier, calze nere o abiti talmente stretti che spesso me li cucivano lettaralmente
addosso al mattino e me li scucivano la sera. Non potevo fare la pipì, non potevo sedermi ed in più mi
sentivo frustata dalla testa ai piedi.
Ho avuto in quegli anni, due grandi occasioni cinematografiche. Michelangeli Antognoni e Luchino Visconti.
Per "Cronaca di un amore" Antognoni aveva scelto me. Io, allora, avevo un grande complesso (complesso
che in parte, nonostante varie operazioni ho ancora oggi): ero strabica - strabica, timida e insicura.
Nascondevo i miei occhi sotto a degli occhialini lunghi, stretti e scuri. "Lo so che sei strabica, ma per farti
fare il film, devo vedere i tuoi occhi. Su... coraggio, togliti gli occhiali". Me lo ha chiesto almeno tre volte,
paziente e gentile. Beh, non ce l'ho fatta e la parte la interpretò Lucia Bosé.
Visconti si era intestardito su di me, per un ruolo in "senso". Io stavo in tournée con Dario a Trieste.
Telefonate sopra telefonate. E mi spiaceva lasciare la compagnia, Dario e mi sentivo come sempre insicura.
"Sì, scendo, faccio il provino poi magari mi dicono di no..." - "No, ti prende a scatola chiusa gli abbiamo
portato tutte le bionde d'Italia, non gliene va bene nessuna. Se vuoi ti mandiamo il contratto." Niente non me
la sono sentita, qualcosa mi ha bloccato.
Il ruolo è andato a Marcella Mariani bruna, fragile, ex miss Italia, completamente diversa da me. Visconti
aveva cambiato tipo.
Il giorno della prima del film a Bruxelles, Marcella Mariani è partita in aereo per quella città. Se io avessi
interpretato quel personaggio quasi sicuramente sarei stata al suo posto. L'aereo è precipitato. Tutti morti.
Ecco cosa mi aveva bloccato. Il mio sesto senso mi aveva salvato la vita, come è capitato altre volte.Da quel
giorno, se qualcosa mi salta nel lavoro od altro, penso che così doveva essere, il negativo diventa positivo
"doveva andare così".
Nel '57 mi sembra vengo scritturata dal Teatro Arlecchino a Roma, per interpretare un testo di Feydeau che
sembrava scritto per me: "Non andartene in giro tutta nuda". Dario scrive per i fratelli Bonos, che poi non ne
hanno fatto nulla, un atto unico "Gli imbianchini non hanno ricordi" Ci prende gusto e ne scrive altri. A quel
punto gli propongo di ritornare a Milano e farci una compagnia nostra.
Interpelliamo Paolo Grassi allora direttore del Piccolo
Dopo la clamorosa rottura per Canzonissima, la TV ci era proibita, ma c'era sempre il teatro. Nel '63 ci fu il
nostro spettacolo su Colombo "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe", che quest'anno verrà presentato per
le Colombiadi, in spagnolo a Valencia, con la regia di Arturo Corso e anche trasmesso dalla II rete in
ottobre. L'anno dopo "Settimo ruba un po' meno" e via via, ogni anno uno spettacolo nuovo, di successo,
fino al '68, alla decisione, presa con Dario di lasciare il teatro tradizionale e di mettere a disposizione il
nostro lavoro per sollecitare una presa di coscienza.
La simpatia per la classe operaia non bastava più. La lezione ci veniva direttamente dalle straordinarie lotte
operaie, dal nuovo impulso che tutti i giovani stavano dando nelle scuole alla lotta contro l'autoritarismo,
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l'ingiustizia sociale, le spinte per un nuovo rapporto con le classi sfruttate, per creare una nuova cultura.
Dovevamo smettere di fare gli intellettuali che, comodamente sistemati dentro e sopra i propri privilegi di
casta, si degnano, bontà loro, di trattare anche i problemi degli sfruttati. Dovevamo deciderci a metterci
interamente al loro servizio: diventare i giullari degli sfruttati? Questo voleva dire andare a recitare in
strutture che fossero gestite da loro, dalla classe operaia. Ecco perché subito pensammo alle case del
popolo.
Facemmo teatro nelle case del popolo, nelle piazze, nei bocciodromi, poi in una capanna di via Colletta a
Milano, alla famosa palazzina Liberty, sempre a Milano, che ristrutturammo completamente e che poi ci fu
tolta.Nel '73 ci fu anche un episodio terribile nella sua vita. Vuole parlarne?
Non ne parlo volentieri. Sono passati quasi 20 anni, ma mi basta un niente per ritrovarmici dentro di colpo.
Nessuna donna che abbia subito violenza sessuale, potrà mai staccarsi completamente da quel momento
orribile.
Sono stata caricata su di un furgoncino da tre individui e poi scaricata stravolta e sanguinante vicino alla
metropolitana di via Dante. Non ho detto a nessuno quello che mi era realmente accaduto. Nemmeno a mio
marito. L'umiliazione della violenza sessuale, lo sfregio, era sopratutto per lui e per mio figlio. No, me ne
sono stata zitta: più dignitose "le botte". Mi sono tenuta tutto dentro, ma ho sbagliato. Il non averne parlato
con nessuno , l'essermi tenuta tutto dentro (anche se tutti avevano intuito quello che realmente mi era
successo) mi teneva in una continua tensione. Un caro amico, il professor MACACCARO, che mi era
stato molto vicino con gli avvocati in quei giorni così pesanti, mi ha consigliato un' analista donna, ma io
non me la sono senita. Dopo tre anni ho deciso di scrivere quanto mi era successo... Senza una parola ho
passato i fogli a Dario. Li ha letti. Senza una parola mi ha abbracciato. Finalmente ce l'avevo fatta! Un nodo,
il primo, si era sciolto. Poi, in appoggio alla campagna che si stava facendo in quegli anni per l'approvazione
di una legge contro la violenza sessuale, ho deciso di portare quanto avevo scritto in teatro. Andai di colpo
in scena, senza provarlo (non riuscivo) e senza che nessuno della compagnia lo sapesse. Solo Dario ed io ne
eravamo al corrente. All'ultimo momento, invece di recitare "il risveglio" annunciai un brano nuovo." Ho
trovato questa testimonianza su di un giornale e ve la recito" Da quella sera ho replicato "lo stupro" (questo
è il titolo del brano) almeno duemila volte. E via, anche il secondo nodo si stava sciogliendo. Mio figlio dice:
"sei andata in analisi davanti a migliaia di persone." Poi l'ho recitato anche in Fantastico, quello di Celentano.
E' andata così. Gli atti di violenza sessuale contro ragazze erano all'ordine del giorno. Processi, stupri,
violenze fisiche e morali contro le donne. Sono sempre più impegnata in questo campo. Propongo il brano a
Celentano. Accetta. Ci sono resistenze da parte della prima rete, ma lui ha un contratto di ferro. e alle 20,
30 finalmente mi comunicano che prenderò parte alla trasmissione.. La voce è circolata in sala stampa. Due
giornaliste vengono in delegazione e mi chiedono una conferenza stampa dopo la trasmissione. Va bene.
Eseguo il brano, precisando come sempre che è una testimonianza di una donna che ho trovato su di un
giornale. Sono molto tesa. I fotografi non stanno fermi un attimo. Per riuscire ad arrivare alla fine mi devo
concentrare completamente. Ci sono dentro in pieno. Soffro come allora. Rabbia, umiliazione, terrore. Un
brutto momento. Alla conferenza stampa qualcuno accenna al fatto che quella storia era la mia.( a suo tempo
ci fu gran chiasso e solidarietà sui giornali) Ho negato molto decisa ma egualmente qualcuno privo di
sentimenti e di rispetto me l'ha attribuita sui giornali del giorno dopo. Per me è stato duro. Fin che la gente
non sapeva, diciamo, magari qualcuno lo intuiva ma con me non ne parlavano, io potevo portare
quell'esperienza in teatro, ma da quando si è saputo ho deciso di non farlo più. Non avrei potuto, a parte
che sarebbe stato anche di cattivo gusto.
in fondo a questo testo c'è un pezzetto l'inizio che ho estrapolato a DONNE
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NOTE PER BIOGRAFIA -1Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente lungo la mia vita: rabbia, paura
angoscia, commozione meraviviglia, furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi, inaspetate,
inaudite, cosiì i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazione, quello che sto provando ora, non c'e.
Rossella (tra le moltissime donne incontrate ' e un'amica che non ho perso per strada) m'ha regalato un
libro"Le lettere del mio nome"di Grazia LIVI, "é imporTANTE , leggilo".Il titolo cosi ermetico non mi
sollecita. Leggo in contro-copertina la presentazione dell'editore:Il tema appasionato di questo romanzosaggio é il divenire della donna. Mi blocco. Oddio, ci risiamo.La solita "menata" femminista
socialsocoplogopolitica, scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti, asibento
con sfoogio"cultura", usanti un linguaggio da casta per "quella" casta , senza la minima preoccupazione di 2
2 essere capite da chi aveva (sto parlandodegli anni 70 in cui la donna cercava di crescere e di "liberArsi")la
necessità urgente di capire, protese a correre una più dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo
posto, dirigere, liderscippare un po' arroganti o troppo accondiscendenti, che gridavano "siamo sorelle" e in
nome della sorellanza alla prima occasione ti fregavano. Esagero? Sì. Ma ho visto e conosciuto molte donne
troppo simili all'uono nel loro modo di essere, insomma, tutto quello che ho sempre rifiutato.Parto a leggere
indifferente e diffidente.Qualche pagina e poi smetto, mi dico. E invece no, qualche pagina e ci sono dentro.
Ma questa chi é? La conosco? Non lo so. Conosco tanta gente, ma i nomi non me li ricordo, di molti non li
nemmeno saputi.M'ha tirato dentro la chiarezza ne facile ne semplecistica concui ti racconta la vita, le scelte,
le fatiche la crescita di un personaggio donna, come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera, meticolosa
delicata, mai invadente, umile, poetica quel tanto che non disturba, è una magnifica scrittura, priva di
elucubrazioni intellettualistiche, priva di fronzoli, con una gran sintesi.Di ogni donna di cui parla, ti presenta
le piu remote sensaziuioni, ogni personaggio é da lei scandagfliato nel profondo, c'e tutto quello che hanno
detto gli altri e quello che no hanno scritto, i sentimenti, i dolori, le insicurezze, le certesze e molto altro che
ora non mi riesce di esprilere. Poche pagine te ne dà l'essenza.Ecco Simone De Beauvoir.NON Mì é mai
stata completamente simpatica.A volte m'é capitato di giudicare qualche sua scelta egoista.Il suo evidente
essere una intellettuale aristocrarica m'e l'ha sempre allontanata.In casa di Sartre a Parigi, dopo un girar di
chiavi nella toppa ce la siamo trovata davanti:borsa della spesa in mano, fazzolette in testa .Ha lanciato
un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in cucina.Dario ed io ci siamo guardati interdetti, "e questa chi é?"
Sartre, come un bambino scoperto a rubare la marmellata, ha spento la sigaretta o il sigaro, non ricordo,
"Simon..", ha mormorato.Ah, era lei! Dario meno, ma io ci sono rimasta un po' male.forse credevo che il
fatto di essere una donna mi desse il diritto ad un saluto.Ma ora, la Simon, del ragionato-Livi é una donna
che capisco e ammiro di più.Altre biografie di donne. Leggere, conoscere, approfondire, passare il tempo
con loro, con la loro forza, la loro caparbietà persistenza, lucidita, intelligenza, sapere, donne che sono
riuscite ad emergere dallo sterminato femminile sommerso, in un modo al maschile, mi costringe ad
interrompere la lettura e a ragionarmi addoso.Il mio "dentro"s'é messo in movimento e non riesco a
bloccarlo.Mi sento come se queste signore abbiano espresso, pensieri miei, situazioni mie; insicurezze,
certezze, domande, scelte mie. Mi sento "loro", e allo steso tempo le sento discoste da me, lontano, in alto,
irraggiungibili. Sono confusa.Confusa, a disagio, turbata, sconbussolata. Di colpo mi sento come se non
avessi mai pensato.Non ho visto, non ho notato, non ho desiderato.Mi sento addoso il peso di non essermi
mai sentita in lizza con nessuno, non perché mancasse la gara, figuriamoci!, ma perché ero certa di non
avererne i numeri, le capacità per poter participare. Mi sembra di essere passata tra le cose senza
emozione.Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa per me .Gia arresa, prima di essere vinta.Mi
sento come se in questa mia frenetica vita non avessi vissuto.Mi sento inutile, banale, vuota come un libro
rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in calce.I giorni della mia vita :22.630 , sessantadue anni.
Quanti! Appresso, nessun bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara Grazia Livi.Possibilie? E'
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così.Sento l'esigenza di esprimermi, di puntualizzarmi, di cercarmi.Oh mio dio, cos'è, sto cercando me
stessa?..Il mio io?..Ci ho tanto ironizzato sopra nei nostri spettacoli...Ma ora qualcosa di concreto mi
urge.Devo fissare qualche punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente vuoto, come se per tutti questi anni,
e sono tanti, non avessi
vissuto, lavorato incontrato gente, parlato, riso, fatto all'amore,
pianto.Niente.Non mi viene niente.Ho la testa pressata da pensieri confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra
tanto disordine non riesco a trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare con un
minimo di coerenza.Forse potrei partire dalla prima grande emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori".Li avevamo visti sui camions il pomeriggio,
intorno per la città.Erano arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e sigarette.Arrossisco al
pensiero di essermi buttata con gli altri per tentare di raccogliere qualcosa.La sera, nel cortile di casa mia,
gran festa.Un giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra buia del primo piano, casa mia.
Più che vederla, l'intuisco: mia madre é lì, ci sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio
fratello deportato in campo di concentramento in Germania, non dà notizie da oltre due anni.In un attimo le
sono vicina vergognandomi della mia allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che grida, grida
seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché le gambe non la reggono.Si stringe addosso il
figlio, pallido, magro, impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi.Quel gridare intenso che
esprimeva gioia, l'ho sentito identico molto anni dopo(1973) in circostanza ben divera , per dolore e
drammaticità.Ancora seduta, su di una ssedia ora, con la testa buttata all' indietro, grida senza controllo,
come allora, dopo che ha indovinato più dalla mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina
era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di Varese, con i fascisti che entrano in
classe, in silenzio ci guardano a una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano nello
studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma ma avevo paure che tutti potessero sentire il
battito del mio cuore. Pensavo, ora mi portano a "Villa triste.."Villa triste era una villetta all'inizio della
strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo sapevano , venivano interrogati e torturati i
partigiani. Ma io, non sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto niente."Stai tranquilla,
mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla prima domanda ho capito tutto.E il cuore a battere più
forte."Forse muoio"."Conosci Enrico Mazzucchetti? "Si", "Dov'é?""Non lo so".Enrico, detto Bubi, era il
mio amore dei quindici anni: il primo."non lo vedo da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma
qualche giorno prima l'avevo visto, era venuto sotta casa mia a darmi dei baci. Dio mio, che era
successo?"Allora?"Erano minacciosi."Non lo vedo più, ci siamo lasciati da un sacco di tempo."Lì, nello
studio del preside mi hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva convinti.Poi mi hanno lasciata
andare.Non ricordo altro.Mi sono ritrovata in classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate."Sei una
incosciente, sei una disgraziata.Se lo viene a sapere tuo padre ti ammazza e fa bene.E con il cuore mi
accarezzavo il biglietto piegato in quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a "villa triste", dopo
essermelo imparato a memoria la mattina andando a scuola.Incoscienza, più che coscienza politica.
I GIORNALI
Nei primi 18 anni della mia vita, non ho mai letto un giornale.E questo che c'entra?Nulla.Sto cercando di tirar
fuori fatti lontani, che disordinatamente affiorano al mio cervello vuoto
Non ho mai letto i giornali.Lo dico con meraviglia.Possibile?In casa mia c'erano, la mia era una famiglia
socialista quando esserlo costava qualche cosa.Si pagava, senza ricevere nulla in cambio:con quella tessera in
tasca allora carriera o posti di comando, non ne ricevevi.I giornali c'erano, li toccavo quando li raccoglievo
da terra dopo che mio padre li aveva letti.(incredibile quanto mio marito assomigli amio padre:anche lui, li
butta per terra!)per riporli o buttarli, ma io sono sicura di non averne mai aperto uno fino ad un certo
giorno.cioè quando sono andata a sbattere con la mia bicicletta addosso ad una Topolino (in realtà gli ho
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sfiorato un parafango).La reazione del "guidante" è terribile e immediata e assolutamente fuori posto/"Ecco
chi rovina l'Italia!""No, guardi io..""Silenzio!Voi giovani che delegate.Delegate e non leggete i
giornali!".Allibita, senza parole.E' da qul giorno che dei giornali leggo tutto..dalle inserzioni agli annunci
mortuari.Grazie isterico signore della topolino.Grazie.
Forse ora posso correre all'inizio della mia vita.
1932_ "E' ora che Franca incominci a recitare."è mia madre che parla. La prima parte che ho imparato a
memoria, me l'ha insegnata lei, "bocca a bocca", così si diceva a casa mia, mot- a mot, parola per parola.
Non sapevo leggere .Avevo tre anni.. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in
famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva recitato da mia sorella Pia in "la
passione del Signore"atto V, orto dei Gezzemani.."Pentiti Giuda traditore che per trenta monete d'argento
hai venduto il tuo Signore! Pentiti !pentiti! "dovevo gridare di quando in quando. La parte non era lunga..
non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!"e ancora e ancora."ripeti" diceva la mia mamma
paziente mentre pelava le patate per il minestrone."Ripeti!"Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima .Per
l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate
sulle spalle. seppur credente non andava mai in chiesa ma aveva uno zio prete.Lei, lo sapeva benissimo che
gli angeli erano vestiti così! Mio padre, ormai entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di lampadine
.E' ora d'andare in scena e tutti:"ma che bell'angiolino!Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la
coda.Non avevo fatto nessuna prova.Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia
nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti
Giuda "e quel che segue.Il guaio, l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva immaginare fu che il
personaggio di Giuda era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo,
sorridente, che mi raccontava storie bellissime, mi regalava un sacco di divertimenti, al quale volevo molto
bene e vedermelo lì, proprio vicino vicino, con una parruccaccia nera in testa..gli occhi che lanciavano saette
tra un tuonar e lampeggiar minaccioso , che disperato gridava:"possano i corvi divorarmi le budella , le
aquile strapparmi gli occhi !" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad
incominciare dalla lingua" , mi fece un terribile effetto.Mamma mia che spavento! Cosa stava capitando?!Ero
stravolta, me lo ricordo benissimo.Ma quello che mi buttò completamente fuori, fu il vedere mia sorella ,
solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gli e ne stava dicendo di tutti i colori!Una sfuriata
in piena regola e che trascinavano il nostro povero zio in una disperazione sempre più nera."Ma cosa 13sta
capitando?Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo che mi sentivo in gola stava per scoppiare;Mia madre
dalla quinta mi faceva gesti più che perentoi.Giuro che avrei potuto parlare, ma non me la sentivo proprio di
rincarare la dose.No, io no, allo zio Tommaso .non dico proprio un bel niente.!Non so cosa gli sia
capitato.Forse è impazzito." Anzi.A piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli,
seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e gridava più che mai.Dio che paura!Senza
dire una parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci.Insomma
cercavo con i mezzi che avevo a disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in
palcoscenico.Pia s'è
ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prespettavano niente di buono..Lo zio-Giuda si
blocca per non più di tre secondi, lo giuro.e poi con voce profonda (intanto con la mano mi solleticava la mia
e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) dice:"Dio, sei grande!A QUEST'ORRENDO 14
14PECCATORE MANDI IL CONFORTO..un piccolo angelo..mi tendi la mano..No, no, non me lo merito!e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia corto-M'impicco!".Deve usare un po' di forza
per liberarsi da me che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare.Grida:"L'albero più alto..dov'è
l'albero più alto..Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena.Mia
sorella(l'unica volta nella sua vita , credo)non sapendo più che fare, camminando anche lei sulle punte,
immediatamente lo segue.Grande applauso.Tutti mi chiamano in quinta con grandi cenni.Non so se la paura
35
d'essere sgridata o il "senso del dovere" che maledizione da che sono nata è lì, a spingermi( a pigiarmi ) la
coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio con voce chiara e mesta quel tanto che serve
dico"S'impicca! Non s'è pentito..Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo
Signore..Non s'è pentito!" e via che esco..Ce l'avevo fatta:l'avevo detta tutta! Da allora in poi, "la passione
del Signore" ha sempre avuto due
angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.E tutti giù a piangere.
A 5 anni:"gli spazzacamini della valle d'Aosta.Com'è che succedeva? Come arrivavo la prima volta in scena
con un personaggio che non avevo mai interpretato prima? Non me lo ricordo, ma so con certezza di non
aver mai provato prima di un nuovo spettacolo.La parte come sempre fino a che ho
4 imparato a leggere, me la insegnava la mia mamma, la imparavo velocissimamente , era come se la sapessi
già.Anzi, la sapevo già.Quante volte mi ero addormentata nella cassa dei costumi, o nella bara di Giulietta
quella del Romeo, o in qualsiasi altro posto che mi permettesse di addormentarmi, mentre i miei recitavano
una sera dopo l'altra?"Gli spazzacamini" un drammone.Gino, (io, )il protagonista, figlio di una povera ma
bella incintata e poi abbandonata dal figlio del conte..vengo, a causa della miseria in cui nascono quasi
sempre quelle incintate dai "contini", NONOSTANTE LA TENERA ETà affidato ad un "mercante di carne
umana"!, un delinquente che specula sui bambini che gli vengono affidati, mandandoli spesso a morire nel
tentativo di pulire, in quanto smilzi e denutriti (quanto piangeva la gente!) la cappa di un camino.E' quando,
la mia mamma che per fortuna era venuta a trovarmi a Torino col mio nonno sennò chissaà come avrebbe
mai fatto a tornarsene a casa, crede che il suo Gino sia morto nella cappa del camino "Oh che tremendo
dolore!" e via che Impazzisce. La ragazza in questione era proprio sfigata.Ma il suo GIno, che quel giorno lì
in quanto ammalato, era stato sotituito nel lavoro da un compagno, certo Carletto, che muore al suo posto.
(Mai essere generosi!) Questa è per Gino una giornata davvero fortunata.Il vecchio conte è schiattato nel
frattempo, ed il contino, vale a dire il suo papà, decide in quanto sempre innamorato della mia mamma, di
riparare al malfatto e di sposarla.Ci sono un po' di problemi per far rinsavire la povera ma onesta sfigata, ma
alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime e singhiozzi e applausi.5 atti, con la comica finale per non mandare
a casa la gente con il magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si basava su trame semplici e stringate,
TEATRO POPOLARE appunto, nella tradizione della COMMEDIA DELL'ARTE , completamente opposto
al teatro letterario e naturalista messo in scena dalle grandi e illustri compagnie che agivano nelle grandi città
e imitato in tutto il suo negativo dalle piccole compagnie , come la nostra , che agiva no in provincia.Il
nostro successo stava tutto in questa differenzenza.Il nostro repertorio era vastissimo: dalle più famose
tragedie di Shakespeare ai drammmoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei tempi
(Niccodemi, Giacos, Rosso di San Secondo, alle comiche finali. Il tutto senza aver mai studiato una parte a
memoria su di un copione. Non esistevano copioni di testi teatrali veri e propri, ma una specie di cannovacci
e per molti testi non esisteva nemmeno il cannovacccio. Ce li avevamo nella testa da sempre. Eravamo
bravi?Non lo so.So solo che i teatri eran( sempre pieni, che si lavorava tutti i giorni, si riposava solo il
venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre.O se c'era il funerale di un defunto importante del paese:il
prefetto, il sindaco, il dottore, il prete il farmacista.E quando in un paese avevamo fatto tutto il nostro
repertorio, (replicato 6 sere la Giulitta, 6 la passione, "il povero fornaretto di venezia e non mi ricordo più
quali altri drammoni avessere successo)mio padre o mio zio, si leggevano un romanzo, ci riunivano e ce lo
raccontavano."Tu fai questo, tu questo e tu questo., .e via che il giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte
laterali, in bella calligrafia, la scaletta dei punti chiave, il susseguirsi degli avvenimenti.
"L'assassino del corriere di Lione" .Scena PRIMA:
la ragazza s'incontra col padre, che non aveva mai conosciuto , partito povero , tanti anni addietro, torna
ricco, riempie la ragazza di doni, ma lei non riesce a sentire nulla per lui, anzi solo repulsione.
Manifestare freddezza e imbarazzo.Ricordarsi che la madre è morta.
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Scena seconda:un uomo(lo stesso attore che interpreta il personaggio delpadre) languisce in una cella, è un
innocente caduto in un errore giudiziario terribile.Accenni all'assassinio di un corriere a Lione.Acceni alla
moglie morta e alla piccola bimba lasciate al paese.Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà:il buono premiato con la libertà e l'onore restituito mentre il cattivo (fratello
gemello del buono), smascherato da una collana rubata al corriere di Lione, sarà punito con la forca.Gaudio e
felicità. Ricordarsi della madre morta.
Comica finale.Non c'è pesonaggio nel repertorio della mia famiglia che a secondo dell'età non abbia
interpretato.Neonati(8 giorni in braccio alla mia mamma-in la Genoveffa di Brabante),
NOTE PER BIOGRAFIA -1Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente
lungo la mia vita: rabbia, paura, angoscia, commozione, meraviglia,
furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi, inaspettate,
inaudite, così i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazione,
quello che sto provando ora, non c'e. Rossella (tra le moltissime
donne incontrate ' e un'amica che non ho perso per strada) m'ha regalato
un libro"Le lettere del mio nome"di Grazia LIVI, "é imporTANTE ,
leggilo". Il titolo cosi ermetico non mi sollecita. Leggo in controcopertina la presentazione dell'editore:Il tema appasionato di questo
romanzo-saggio é il divenire della donna. Mi blocco. Oddio, ci
risiamo. La solita "menata" femminista socialsocioplogopolitica,
scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti,
asibento con sfogio"cultura", usanti un linguaggio da casta per "quella"
casta , senza la minima preoccupazione di essere capite da chi aveva
(sto parlando degli anni 70 in cui la donna cercava di crescere e di
"liberArsi")la necessità urgente di capire, protese a correre una più
dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo posto, dirigere,
liderscippare un po' arroganti o troppo accondiscendenti,
che
gridavano "siamo sorelle" e in nome della sorellanza alla prima
occasione ti fregavano. Esagero? Sì. Ma ho visto e conosciuto molte
donne troppo simili all'uomo nel loro modo di essere, insomma, tutto
quello che ho sempre rifiutato. Parto a leggere indifferente e diffidente.
Qualche pagina e poi smetto, mi dico. E invece no, qualche pagina e ci
sono dentro. Ma questa chi é? La conosco? Non lo so. Conosco tanta
gente, ma i nomi non me li ricordo, di molti non li nemmeno saputi.
37
M'ha tirato dentro la chiarezza ne facile ne semplicistica con cui ti
racconta la vita, le scelte, le fatiche la crescita di un personaggio donna,
come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera, meticolosa delicata,
mai invadente, umile, poetica quel tanto che non disturba, è una
magnifica scrittura, priva di elucubrazioni intellettualistiche, priva di
fronzoli, con una gran sintesi. Di ogni donna di cui parla, ti presenta le
più remote sensazioni, ogni personaggio é da lei scandagliato nel
profondo, c'e tutto quello che hanno detto gli altri e quello che no
hanno scritto, i sentimenti, i dolori, le insicurezze, le certezze e molto
altro che ora non mi riesce di esprimere. Poche pagine te ne dà
l'essenza. Ecco Simone De Beauvoir. NON mi é mai stata
completamente simpatica. A volte m'é capitato di giudicare qualche sua
scelta egoista. Il suo evidente essere una intellettuale aristocrarica m'e
l'ha sempre allontanata. In casa di Sartre a Parigi, dopo un girar di
chiavi nella toppa ce la siamo trovata davanti:borsa della spesa in mano,
fazzoletto in testa . Ha lanciato un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in
cucina. Dario ed io ci siamo guardati interdetti, "e questa chi é?"
Sartre, come un bambino scoperto a rubare la marmellata, ha spento la
sigaretta o il sigaro, non ricordo, "Simon. . ", ha mormorato. Ah, era
lei! Dario meno, ma io ci 4 4 sono rimasta un po' male. forse credevo
che il fatto di essere una donna mi desse il diritto ad un saluto. Ma ora,
la Simon, del ragionato-Livi é una donna che capisco e ammiro di più.
Altre biografie di donne. Leggere, conoscere, approfondire, passare
il tempo con loro, con la loro forza, la loro caparbietà persistenza,
lucidità, intelligenza, sapere, donne che sono riuscite ad emergere
dallo sterminato femminile sommerso, in un modo al maschile, mi
costringe ad interrompere la lettura e a ragionarmi addosso. Il mio
"dentro"s'é messo in movimento e non riesco a bloccarlo. Mi sento
come se queste signore abbiano espresso, pensieri miei, situazioni mie;
insicurezze, certezze, domande, scelte mie. Mi sento "loro", e allo
steso tempo le sento discoste da me, lontano, in alto, irraggiungibili.
38
Sono confusa. Confusa, a disagio, sconbussolata. Di colpo mi sento
come se non avessi mai pensato. Non ho visto, non ho notato, non ho
desiderato. Mi sento addosso il peso di non essermi mai sentita in 5
lizza con nessuno, non perché mancasse la gara, figuriamoci!, ma
perché ero certa di non averne i numeri, le capacità per poter
partecipare. Mi sembra di essere passata tra le cose senza emozione.
Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa per me. Già
arresa, prima di essere vinta. Mi sento come se in questa mia frenetica
vita non avessi vissuto. Mi sento inutile, banale, vuota come un libro
rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in calce. I giorni della
mia vita: 22.630, sessantadue anni. Quanti! Appresso, nessun
bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara Grazia Livi.
Possibilie? E' così. Sento l'esigenza di esprimermi, di puntualizzarmi,
di cercarmi. Oh mio dio, cos'è, 'sto cercando me stessa? Il mio io? Ci
ho tanto ironizzato sopra nei nostri spettacoli...Ma ora qualcosa di
concreto mi urge. Devo fissare qualche punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente
vuoto, come se per tutti questi anni, e sono davvero tanti, non avessi
vissuto, lavorato, incontrato gente, parlato, riso, fatto all'amore,
pianto. Niente. Non mi viene niente. Ho la testa pressata da pensieri
confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra tanto disordine non riesco
a trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare
con un minimo di coerenza. Forse potrei partire dalla prima grande
emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori". Li
avevamo visti sui camions il pomeriggio, intorno per la città. Erano
arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e sigarette.
Arrossisco al pensiero di essermi buttata con gli altri per tentare di
raccogliere qualcosa. La sera, nel cortile di casa mia, gran festa. Un
giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra buia del
primo piano, casa mia. Più che vederla, l'intuisco: mia madre é lì, ci
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sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio fratello
deportato in campo di concentramento in Germania, non dà notizie da
oltre due anni. In un attimo le sono vicina vergognandomi della mia
allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che grida,
grida seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché le
gambe non la reggono. Si stringe addosso il figlio, pallido, magro,
impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi. Quel gridare
intenso che esprimeva gioia,
l'ho sentito identico molto anni
dopo(1973) in circostanza ben diversa , per dolore e drammaticità.
Ancora seduta, su di una sedia ora, con la testa buttata all' indietro,
grida senza controllo, come allora, dopo che ha indovinato più dalla
mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di
Varese, con i fascisti che entrano in classe, in silenzio ci guardano a
una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano
nello studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma
ma avevo paure che tutti potessero sentire il battito del mio cuore.
Pensavo, ora mi portano a "Villa 8 triste. . "Villa triste era una villetta
all'inizio della strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo
sapevano , venivano interrogati e torturati i partigiani. Ma io, non
sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto niente.
"Stai tranquilla, mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla prima
domanda ho capito tutto. E il cuore a battere più forte. "Forse muoio".
"Conosci Enrico Mazzucchetti? "Si", "Dov'é?""Non lo so". Enrico,
detto Bubi, era il mio amore dei quindici anni: il primo. "non lo vedo
da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma qualche giorno
prima l'avevo visto, era venuto sotto casa mia a darmi dei baci. Dio
mio, che era successo?"Allora?"Erano minacciosi. "Non lo vedo più, ci
siamo lasciati da un sacco di tempo. "Lì, nello studio del preside mi
hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva convinti. Poi
mi hanno lasciata andare. Non ricordo altro. Mi sono ritrovata in
40
classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate. "Sei una
incosciente, sei una disgraziata. Se lo viene a sapere tuo padre ti
ammazza e fa bene. E con il cuore mi accarezzavo il biglietto piegato
in 9 9 9 9 9 quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a
"villa triste", dopo essermelo imparato a memoria la mattina andando a
scuola. Incoscienza, più che coscienza politica.
MISTE
1957
NON ANDARTENE IN GIRO TUTTA NUDA di G. Feydeau
Franca Rame (Teatro Arlecchino di Roma)
Franca Rame e Dario Fo rilevano dallo Stabile, scene e costumi e portano lo spettacolo in tournée in Italia con la loro
compagnia.
Franca Rame con Fo fonda l'Associazione culturale "Nuova Scena" Collettivo teatrale indipendente che gira l'Italia recitando
soprattutto di fronte ad un pubblico popolare e operaio, in locali alternativi al circuito teatrale ufficiale come
cinematografi, palazzetti dello sport, case del popolo, piazze, etc..
A causa del contenuto politico di alcuni sketches, la trasmissione viene censurata. Franca Rame e Dario Fo abbandonano la
trasmissione per protesta. Per questa scelta subiranno cinque processi e per 14 anni saranno completamente
esclusi dalla televisione.
Franca Rame con Fo fonda l'Associazione culturale "Nuova Scena" Collettivo teatrale indipendente che gira l'Italia recitando
soprattutto di fronte ad un pubblico popolare e operaio, in locali alternativi al circuito teatrale ufficiale come
cinematografi, palazzetti dello sport, case del popolo, piazze, etc..
Per divergenze politiche Franca Rame e Dario Fo lasciano l'Associazione 'Nuova Scena'. Nasce il Collettivo Teatrale LA
COMUNE diretta da D. Fo e F.Rame
Dopo aver invano cercato una sede permanente, LA COMUNE occupa un edificio abbandonato nel centro di
Milano: la Palazzina Liberty. Solo a Milano avranno 80.000 abbonati.
Tornano capocomici
1982
LO STUPRO di Franca Rame. Monologo inserito in vari spettacoli.
1982 maggio Londra: Riverside Studios con 'Tutta casa letto e chiesa'.
1982-83
UNA MADRE di Franca Rame e Dario Fo. Monologo inserito in vari spettacoli (Palazzina Liberty)
1983 maggio Canada:E' invitata al Festival Québécois du Jeune Théâtre con 'Tutta casa letto e chiesa'
1983-84
COPPIA APERTA di Franca Rame e Dario Fo. (Teatro Ciak di Milano)Divieto
ministeriale per i minori di 18 anni ad assistere allo spettacolo. Il provvedimento
viene in seguito
ritirato per le proteste suscitate.
1984 genn.
Cuba: Festival de teatro de la Habana con 'Tutta casa letto e chiesa'
1984 maggio
Argentina: Teatro Municipal General San Martin con 'Tutta casa letto e chiesa'
Colombia: Teatro Colon con 'Tutta casa letto e chiesa'
1984 agosto
Invitata con Dario Fo al Fringe Festival di Edimburgo.
41
Tournée in Finlandia con 'Tutta casa letto e chiesa'
IL TEATRO DI FRANCA RAME
1929-1950
1950-51
1951-52
1952-53
1953-54
1957
1957-58
1958 -59
1958-59
1959-60
1960-61
1961-62
1962
1963-64
1964-65
1965-66
1967-68
1968-69
1969-70
Nella compagnia del padre, Domenico Rame.
GHE PENSI MI! di Marcello Marchesi. Compagnia di Prosa di Tino Scotti. Con Tino Scotti, Pia Rame, Anna
Carena. (Teatro Olimpia di Milano)
SETTE GIORNI A MILANO di Spiller e Carosso. Compagnia di rivista Sorelle Nava e Franco Parenti. (Teatro
Odeon)
I FANATICI di Marchesi e Mertz, musiche di Kramer. Compagnia di rivista Billi e Riva. (Teatro Nuovo Milano)
IL DITO NELL’OCCHIO di Parenti Fo e Durano. (Piccolo Teatro di Milano)
NON ANDARTENE IN GIRO TUTTA NUDA di G. Feydeau
Franca Rame (Teatro Arlecchino di Roma)
LADRI, MANICHINI E DONNE NUDE di Dario Fo. (Piccolo Teatro di Milano)*
L’uomo nudo l’uomo in frack
Non tutti i ladri vengono per nuocere
Gli imbianchini non hanno ricordi
'Non andartene in giro tutta nuda' con Dario Fo poi sostituito da:
I cadaveri si spediscono e le donne si spogliano
COMICA FINALE di Dario Fo. (Teatro Stabile di Torino)*
Quando sarai povero sarai re - La Marcolfa
Un morto da vendere - I tre bravi.
Franca Rame e Dario Fo rilevano dallo Stabile, scene e costumi e portano lo spettacolo in tournée in Italia con
la loro compagnia.
Tournée Compagnia Dario Fo e Franca Rame* con "Comica Finale"
GLI ARCANGELI NON GIOCANO A FLIPPER di D. Fo (Teatro Odeon di Milano) - *
AVEVA DUE PISTOLE CON GLI OCCHI BIANCHI E NERI di D. Fo (Teatro Odeon di Milano) *
CHI RUBA UN PIEDE E’ FORTUNATO IN AMORE di D. Fo (Teatro Odeon di Milano) *
CANZONISSIMA Trasmissione televisiva. A causa del contenuto politico di alcuni sketches, la trasmissione
viene censurata. Franca Rame e Dario Fo abbandonano la trasmissione per protesta. Per questa scelta
subiranno cinque processi e per 14 anni saranno completamente esclusi dalla televisione.
ISABELLA, TRE CARAVELLE E UN CACCIABALLE di D. Fo (Teatro Odeon di Milano)*
SETTIMO: RUBA UN PO’ MENO di D. Fo (Teatro Odeon di Milano) *
LA COLPA E’ SEMPRE DEL DIAVOLO di D. Fo (Teatro Odeon di Milano) *
LA SIGNORA E’ DA BUTTARE di D. Fo (Teatro Manzoni)*
Franca Rame con Fo fonda l'Associazione culturale "Nuova Scena" Collettivo teatrale indipendente che gira
l'Italia recitando soprattutto di fronte ad un pubblico popolare e operaio, in locali alternativi al circuito teatrale
ufficiale come cinematografi, palazzetti dello sport, case del popolo, piazze, etc..
GRANDE PANTOMIMA CON PUPAZZI PICCOLI E MEDI di D. Fo (Camera del lavoro di Milano)**
L’OPERAIO CONOSCE 300 PAROLE, IL PADRONE 1000: PER QUESTO LUI E’ IL PADRONE di Dario Fo.
(Camera del lavoro di Genova)**
LEGAMI PURE CHE TANTO SPACCO TUTTO LO STESSO e IL FUNERALE DEL PADRONE di Dario Fo.
(Camera del lavoro di Genova)
Per divergenze politiche Franca Rame e Dario Fo lasciano l'Associazione 'Nuova Scena'. Nasce il Collettivo Teatrale LA
COMUNE diretta da D. Fo e F.Rame
1970-71
VORREI MORIRE ANCHE STASERA SE DOVESSI SAPERE CHE NON E’ SERVITO A NIENTE di Dario Fo.
(Capannone di via Colletta Milano)***
1971-72
TUTTI UNITI, TUTTI INSIEME... MA SCUSA, QUELLO NON E’ IL PADRONE? di e con Dario Fo (Capannone
di via Colletta Milano)***
42
1971-72
1971-72
1972-73
1973
MISTERO BUFFO n.2 di Dario Fo(Palalido di Milano)***
FEDAYN di Dario Fo (Capannone di via Colletta Milano)***
ORDINE PER DIO.OOO.OOO!!! di Dario Fo. C (Capannone di via Colletta Milano)***
BASTA CON I FASCISTI di Dario Fo e Lanfranco Binni. (Casa del Popolo di Milano) Compagnia Franca
Rame****
1973-74
GUERRA DI POPOLO IN CILE di Dario Fo(Palazzetto dello Sport di Bolzano)
Dopo aver invano cercato una sede permanente, LA COMUNE occupa un edificio abbandonato nel centro di
Milano: la Palazzina Liberty. Solo a Milano avranno 80.000 abbonati.
1974-75
NON SI PAGA, NON SI PAGA! di Dario Fo (Palazzina Liberty)***
1975-76
IL FANFANI RAPITO di Dario Fo (Palazzina Liberty)***
1975
Il collettivo LA COMUNE realizza un viaggio di un mese nella Repubblica Popolare Cinese.
1976-77
LA MARJUANA DELLA MAMMA E’ LA PIU’ BELLA di Dario Fo (Palazzina Liberty)***
1977-78-79 TUTTA CASA LETTO E CHIESA di Franca Rame e Dario Fo (Palazzina Liberty)
1979
Partecipa con Dario Fo al Festival Internazionale di Berlino
1977-78
MISTERO BUFFO n.3 di Dario Fo (Palazzina Liberty)
1980 Marzo
Svezia: Stockholms Stadsteater con 'Tutta casa letto e chiesa'
1980 Dic.
Franca: Théatre de L'Este Parisien con 'Tutta casa letto e chiesa'
1980 Dic.
Germania: Volksschoschschule di Francoforte, Deutsches Schauspielhaus di Bochum ed Amburgo, con 'Tutta casa
letto e chiesa'.
Tornano capocomici
1980-81
CLACSON, TROMBETTE E PERNACCHI di Dario Fo (Teatro Cristallo di Milano)
1981-82
TUTTA CASA LETTO E CHIESA - Nuova edizione (Teatro Odeon di Milano)
1982
LO STUPRO di Franca Rame. Monologo inserito in vari spettacoli.
1982 maggio Londra: Riverside Studios con 'Tutta casa letto e chiesa'.
1982-83
UNA MADRE di Franca Rame e Dario Fo. Monologo inserito in vari spettacoli (Palazzina Liberty)
1983 maggio Canada:E' invitata al Festival Québécois du Jeune Théâtre con 'Tutta casa letto e chiesa'
1983-84
COPPIA APERTA di Franca Rame e Dario Fo. (Teatro Ciak di Milano)Divieto
ministeriale per i minori di 18 anni ad assistere allo spettacolo. Il provvedimento
viene in seguito
ritirato per le proteste suscitate.
1984 genn.
Cuba: Festival de teatro de la Habana con 'Tutta casa letto e chiesa'
1984 maggio
Argentina: Teatro Municipal General San Martin con 'Tutta casa letto e chiesa'
Colombia: Teatro Colon con 'Tutta casa letto e chiesa'
1984 agosto
Invitata con Dario Fo al Fringe Festival di Edimburgo.
Tournée in Finlandia con 'Tutta casa letto e chiesa'
1984-85
QUASI PER CASO UNA DONNA: ELISABETTA di Dario Fo (Teatro Ciak di Milano)
Compagnia Franca Rame ****
1985 maggio/giugno Germania: International Theater Festivaldi Monaco con 'Tutta casa letto e
chiesa'. A
Tubingen, Heidelberg e Stuttgart con 'Coppia aperta'
1985 sett.
Danimarca: Stage (sindacato degli attori) GALLA AFTEN Mødrehjælpen af 1983Stage sui
monologhi
Francoforte: Theater Am Turm con 'Coppia aperta'.
1985-86
HELLEQUIN, HARLEKIN, ARLECCHINO di Dario Fo- Biennale di Venezia (Palazzo del
Cinema)
1986 maggio/giugno Tournée negli USA. Franca Rame tiene una lezione-spettacolo al
Wheaton College di
Norton-Massachusset e recita con grande successo 'Tutta casa letto e chiesa' a New York, yale, Baltimore
Washington.
1986
agosto Scozia: Free Festival di Edimburgo.
1986-87
PARTI FEMMINILI: COPPIA APERTA - nuova edizione- UNA GIORNATA QUALUNQUE
di Franca
Rame e Dario Fo (Teatro Nuovo di Milano)****
1986-87
IL RATTO DELLA FRANCESCA di Dario Fo (Teatro Ciak di Milano)****
1987 aprile
GLI ARCANGELI NON GIOCANO A FLIPPER di D. Fo. Regia di Dario Fo e Franca Rame.
American Repertory Theater - Cambridge USA
1987 luglio
USA: Festival di San Francisco
1989
LETTERA DALLA CINA di Dario Fo rappresentato all'Arco della Pace di Milano e in
altre città
italiane durante le manifestazioni per la strage di Piazza Tian An Men.
43
1989 maggio Brasile: per 'Italia Viva' rappresenta Parti femminili a San Paolo e Rio de Janeiro.
1989-90
IL PAPA E LA STREGA di D. Fo (Teatro Nuovo di Milano)****
1990 ottobre Mosca: al Teatro Taganka per ilFestival Italiano rappresenta con Dario Fo 'Mistero
1990-91
ZITTI! STIAMO PRECIPITANDO! (Teatro Nuovo di Milano)****
1991 aprile
Con Dario Fo rappresenta 'Mistero Buffo' al XI Festival de Teatre Internacional a
1991-92
PARLIAMO DI DONNE: (Teatro Rasi di Ravenna)****
L’EROINA - GRASSA E’ BELLO di Franca Rame e Dario Fo.
1992-93
SETTIMO: RUBA UN PO'MENO! N.2 di Dario Fo e Franca Rame (Teatro Animosi di
1993
DARIO FO INCONTRA RUZZANTE - con Dario Fo (Festival di Spoleto)
1993-94
MAMMA I SANCULOTTI: (Teatro Animosi Carrara)
1994
UN PALCOSCENICO PER LE DONNE: (Teatro di Porta Romana -Milano)
1994-95
LO ZEN E L'ARTE DI SCOPARE di Franca Dario e Jacopo Fo (Teatro Comunale Cervia)
Buffo'.
Palma e Siviglia.
Carrara)
Tutti gli spettacoli scritti da Dario Fo e allestiti sono stati realizzati con la regia di Dario Fo e la collaborazione di Franca Rame.
* Compagnia Dario Fo e Franca Rame
** Nuova Scena
*** La Comune
**** Compagnia Franca Rame
TRASMISSIONI TELEVISIVE E FILM
Ha partecipato a numerosi film tra cui
1956
LO SVITATO con Dario Fo. Regia di Carlo Lizzani
1961
CHI L’HA VISTO? - RAI 2 (6 puntate)
1962
CANZONISSIMA - RAI 1 con Dario Fo (13 puntate interrotte dalla censura e sop1977
IL TEATRO DI DARIO FO - RAI 2 (6 commedie in 13 puntate)
1977 PARLIAMO DI DONNE (2 puntate)
1980
BUONASERA CON FRANCA RAME - RAI 2 (20 puntate)
1981
LA PROFESSIONE DELLA SIGNORA WARREN - Regia di G. Albertazzi
1988 TRASMISSIONE FORZATA - RAI 3 (8 puntate)
1989
UNA LEPRE CON LA FACCIA DA BAMBINA regia di G. Serra
1989
PARTI FEMMINILI - RAI 2
1990
COPPIA APERTA - TV Svizzera Italiana
1991
SETTIMO RUBA UN PO’ MENO - RAI 2
1991
MISTERO BUFFO - RAI 2
1994 DARIO FO INCONTRA RUZZANTE -RAI 2
presse)
Nel 1977 ha vinto la Maschera con lauro d'oro del Premio IDI, come migliore interprete televisiva per la trasmissione "Parliamo di
donne".
v DATI BIOGRAFICI DI FRANCA RAME E DARIO FO
a cura dell’ufficio stampa della compagnia
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Teatrale Franca Rame Dario Fo
Dario Fo oltre che autore è anche regista, scenografo,
costumista, e a volte compositore delle musiche dei suoi
spettacoli (tralasceremo quindi ogni volta di
sottolinearlo).
Franca Rame, oltre a essere l'interprete protagonista, ha
seguito e collaborato alla scrittura di molte delle opere di
Dario Fo andate in scena nei 47 anni della loro vita
teatrale; si è fatta anche carico della direzione
organizzativa e amministrativa della Compagnia FoRame.
Franca Rame
Franca Rame nasce il 18 luglio 1929 a Parabiago, un
paese in provincia di Milano, per caso: la sua famiglia
recitava lì. Il padre Domenico, la madre Emilia, i figli
Enrico, Lina, Pia, Franca, gli zii e i cugini, con aggiunta
di attori e attrici scritturati, costituivano la Compagnia
“Rame” che girava per i paesini, paesotti e le cittadine
della Lombardia e del Piemonte, raccogliendo grande
simpatia e consensi. La famiglia Rame aveva tradizioni
teatrali antichissime, fin dal 1600; erano attori, burattinai
e marionettisti a seconda delle occasioni.
Ancora oggi, nonostante il personale successo teatrale e
televisivo, quando Franca capita in uno di quei paesi, la
gente dice: "E' la figlia di Domenico Rame". Nella
miglior tradizione della Commedia dell'Arte, recitano
improvvisando, utilizzando un repertorio di situazioni e
dialoghi tragici e comici.
Spesso capitava che debuttassero in una nuova cittadina
o paese mettendo in scena, dopo aver fatto un’inchiesta
tra la popolazione, la storia della vita del Santo o della
Santa Patrona del luogo. Recitando il tutto a soggetto,
cioè ‘all’improvviso’.
I loro spettacoli spaziavano dal teatro biblico a
Shakespeare, da Cechov a Pirandello, da Nicodemi ai
grandi romanzi storici a sfondo sociale dell'800 spesso
legati al pensiero socialista e anticlericale. Così erano
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rappresentate, ad esempio, le vite di Giordano Bruno,
Arnaldo da Brescia e Galileo Galilei.
Il padre, Domenico Rame, era oltre che primo attore, il
regista e l’organizzatore, il fratello Tommaso, di fede
socialista, l’antagonista e il poeta della Compagnia. Fin
da allora, spesso gli incassi delle serate venivano devoluti
in sostegno alle lotte operaie (fabbriche in occupazione),
o per costruire asili o per altri scopi benefico-sociali. Che
Franca abbia nel suo DNA le scelte ideologiche della sua
famiglia?
Di questa attività esiste tuttora una documentazione
accuratissima nell'archivio Fo-Rame: questi documenti
furono conservati da Tommaso e dalla madre di Franca,
Emilia Baldini.
Emilia, figlia di un ingegnere del Comune di Bobbio,
giovanissima maestra, si innamora di Domenico che si sta
esibendo a Bobbio con le sue marionette e burattini e,
nonostante l'opposizione severa della famiglia, lo sposa.
Insieme girano per tutta la provincia lombarda. Ma
l’interesse del pubblico per quel genere di
rappresentazione, con l’avvento del cinema, cala
visibilmente così Domenico e Tommaso decidono di
passare al teatro “di persona”, dando vita ad una
Compagnia recitante, che utilizza gli "effetti speciali" del
teatro con pupazzi.
Emilia s’improvvisa per amore del marito, non solo prima
attrice ma anche costumista e amministratrice. È lei che
insegna le parti ‘bocca a bocca’ (a memoria) come si dice
in gergo, ai loro quattro figli piccolissimi, che non sanno
ancora leggere; insomma la signora Emilia è la
"reggitora" della Compagnia.
In quell'ambiente Franca Rame ha fatto il suo
apprendistato, sentendo il palcoscenico come casa
propria "Perché - dice - ci sono nata: ho debuttato a otto
giorni in braccio a mia madre... non parlavo tanto quella
sera lì!" (interpretava il figlio neonato di Genoveffa di
Brabante).
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In seguito, nella stagione1950-51 Franca Rame, seguendo
la sorella Pia, lascia la famiglia e viene scritturata dalla
Compagnia primaria di prosa Tino per lo spettacolo "Ghe
pensi mi" di Marcello Marchesi - Teatro Olimpia di
Milano.
Dario Fo
Dario Fo nasce il 24 marzo 1926 a San Giano, un paesino
del Lago Maggiore in provincia di Varese. Completano i
suoi dati anagrafici il padre Felice, di fede socialista,
capostazione e attore in una compagnia amatoriale; la
madre Pina Rota, donna di grande fantasia e talento
(negli anni '70 pubblicherà un libro sulla Lomellina, la
sua famiglia e le sue origini: “Il paese delle rane,” edito
da Einaudi); il fratello Fulvio e la sorella Bianca.
Determinante la figura del nonno materno, agricoltore in
Lomellina, presso il quale il piccolo Dario andrà a
passare le sue prime vacanze.
Il nonno girava, vendendo verdura, con un grande carro
trainato da un cavallo e, per attirare i clienti, raccontava
favole grottesche nelle quali inseriva la cronaca dei fatti
avvenuti nel paese e nelle zone limitrofe. Questa sua
attività di fabulatore satirico-grottesco gli aveva valso il
soprannome di "Bristìn" (seme di peperone). Così Dario
apprende, seduto sul grande carro al fianco del nonno, i
rudimenti del ritmo narrativo.
L'infanzia di Fo si svolge fra i traslochi di paese in paese,
in seguito ai trasferimenti che la Direzione delle Ferrovie
impone al padre. Luoghi diversi ma un medesimo
ambiente culturale, dove il ragazzo cresce alla scuola
della narratività non ufficiale, appassionandosi,
ascoltatore infaticabile dei maestri soffiatori di vetro e dei
pescatori del lago che nelle osterie, nel porto e nelle
piazze del paese raccontavano favole paradossali e
grottesche, alla tradizione orale dei "fabulatori", dove già
affiorava una pungente satira politica.
Nel 1940 è a Milano (pendolare da Luino) per studiare
all'Accademia di Brera.
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Durante la guerra, Dario, richiamato sotto le armi nella
Repubblica di Salò, riesce a fuggire e trascorre gli ultimi
mesi prima della liberazione nascosto in un sottotetto. I
genitori partecipano alla Resistenza: il padre,
organizzando la fuga in Svizzera, via treno, di ricercati
ebrei e prigionieri inglesi disertori; la madre curando i
partigiani e i “gappisti” feriti.
Dopo la liberazione Dario riprende gli studi
all'Accademia di Brera a Milano, sempre facendo il
pendolare
dal
Lago
Maggiore
e
frequenta
contemporaneamente la facoltà d’architettura del
Politecnico.
Negli anni 1945-51 si dedica alla scenografia e alla
decorazione teatrale.
È aiuto architetto, nello studio Ciuti, e per divertimento,
intrattiene gli amici con racconti fantastici che si rifanno a
quelli dei fabulatori popolari ascoltati nelle osterie sul
lago.
Si trasferisce con la famiglia a Milano. Mamma Fo, per
aiutare il marito a far proseguire gli studi ai tre figli, si
ingegna a fare la camiciaia.
Per i giovani Fo è un periodo di furibonde letture, in cui
Gramsci e Marx si alternano con i romanzieri americani,
con le prime traduzioni di Brecht, Majakovskij, Lorca.
In quel dopoguerra esplode una vera e propria
rivoluzione teatrale, soprattutto grazie alla nascita dei
"Piccoli Teatri" che sviluppano fortemente l'idea di
"scena nazional popolare".
Fo è coinvolto da quell'effervescenza e si dimostra un
insaziabile spettatore teatrale, costretto il più delle volte,
per motivi economici, ad assistere in piedi alle
rappresentazioni. Mamma Fo è una donna molto aperta,
cosicché si ritrovano a casa loro gli amici dei tre figli, tra
cui: Emilio Tadini, Alik Cavalieri, Bobo Piccoli, Elio
Vittorini, Ennio Morlotti, Ernesto Treccani, Franco e
Guido Crepax, alcuni di questi già famosi a quel tempo.
Nell'estate del 1950 Dario si presenta a Franco Parenti il
quale si appassiona per la storia di Caino e Abele, una
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satira dove Caino, “poer nano”, è un tontolone tutt'altro
che cattivo, solo che, “poer nano”, ogni volta che cerca
di imitare lo splendido Abele con i riccioli d'oro e gli
occhi azzurri, gli va malissimo: subisce disastri uno dietro
l'altro finché, impazzito, uccide lo splendido Abele.
Franco Parenti entusiasta invita Fo a far parte della sua
Compagnia.
Dario inizia così a recitare nella rivista estiva diretta da
Parenti e, in questa occasione, si verifica il primo
"incontro" di Dario Fo con Franca Rame, ma non di
persona, bensì ritratta in una foto esposta nella casa della
sorella di lei, Pia.
Nel frattempo continua a lavorare come aiuto architetto.
E' già il tempo della corruzione edilizia, Fo, disgustato
dall'ambiente, decide di abbandonare gli studi di
progettazione e i cantieri.
CRONOLOGIA
1951-52 -Milano - Teatro Odeon
Franca Rame e Dario Fo si incontrano casualmente:
entrambi vengono scritturati da Carlo Mezzadri,
impresario della Compagnia Nava-Parenti e marito di Pia
Rame, per lo spettacolo “Sette giorni a Milano” di
Spiller e Carosso.
La tecnica di corteggiamento di Dario verso Franca è
anomala: finge di ignorarla completamente. Dopo qualche
settimana, lei lo blocca dietro le quinte e gli dà un gran
bacio sulla bocca. Si fidanzano.
Franca nello spettacolo copre il ruolo di “bellissima”
subrettona recitante. La differenza tra subrettine e
subrettone era che quest’ultime non avevano l’obbligo di
mettersi in ‘puntino’ (due fiori a coprire i capezzoli e un
minuscolo slip simile all’attuale tanga).
Dario nello spettacolo esegue il monologo “Il pòer
nano” ottenendo un discreto successo. Viene così
invitato dalla RAI a partecipare alla trasmissione
radiofonica "Chiccirichì" con Franco Parenti. Raggiunge
una certa notorietà recitando i suoi monologhi in chiave
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satirica su protagonisti legati alla tradizione popolare
della Bibbia e di opere liriche. Questo suo nuovo
linguaggio sovverte i rapporti della retorica narrativa
"ufficiale". E' l'inizio di un lavoro che più tardi sarà
sviluppato in "Mistero Buffo" con rivisitazioni della
storia e intromissioni nella leggenda popolare. Questo è il
periodo in cui realizza in grottesco le storie di Caino e
Abele, Sansone e Dalila, Abramo e Isacco, Giulietta e
Romeo, Mosè, Otello, Rigoletto, Amleto, Giulio Cesare,
Davide, Nerone e altri.
1952
Le esibizioni di Fo vengono fermate, per intervento
censorio, alla diciottesima puntata: finalmente i dirigenti
si erano accorti della satira sociale e politica che
scaturiva da queste pur candide storie.
- Roma - Franca interpreta il film “Papaveri e Papere”
di M. Marchesi con W. Chiari.
- Milano -Teatro Odeon : “Coccoricò”, spettacolo
satirico con Dario Fo, Giustino Durano, Viky Enderson
ed altri. Indi tournée.
settembre - Milano - Teatro Nuovo: “I fanatici” di Marchesi e
Mez, musiche di Kramer. Franca Rame è scritturata da
Remigio Paone in una grande compagnia di rivista:“Billi
e Riva”. Tournée
1953
6 giugno - Milano - Piccolo Teatro: "Il Dito nell'occhio"
Fo con Franco Parenti, Giustino Durano e con la
collaborazione di Jacques Lecoq, il famoso maestro di
pantomima, scrive, dirige e interpreta "Il Dito
nell'occhio"; sue sono anche le scene e i costumi. È la
prima vera rivista satirica del dopoguerra, cui partecipa
anche Franca Rame. Approvazioni e polemiche da parte
della critica. Difficoltà di reperire teatri dove
rappresentare lo spettacolo. Drastica censura governativa
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e clericale: i fedeli, con cartelli affissi sulle porte delle
Chiese, venivano invitati a non assistere alla
rappresentazione, prassi che perseguiterà per molti anni
la Compagnia Fo-Rame. Tournée.
1954
12 giugno -Milano - Piccolo Teatro: “I Sani da legare” con Fo,
Parenti e Durano. Anche questo spettacolo subirà le
stesse difficoltà sopraindicate ma sarà un trionfo di
pubblico. Pesanti reazioni dei partiti della destra e di
Democrazia Cristiana.
24 giugno - Milano - Franca e Dario si sposano nella Basilica di
Sant' Ambrogio (Fo ne “Gli arcangeli non giocano al
flipper” del 1959 scriverà “…sposato in chiesa per
accontentare madre di lei molto credente”)
1955
Dario e Franca si trasferiscono a Roma, attirati dalla
possibilità di fare cinema. Dario lavora come
sceneggiatore (gag-man) con Age, Scarpelli, Scola,
Pinelli, per la Ponti-De Laurentis e altre produzioni.
Franca interpreta una decina di films, cosiddetti di
“cassetta”.
31 marzo -Roma - nasce il figlio Jacopo.
Fo scrive il soggetto cinematografico de “Lo svitato” (di
cui Cesare Zavattini è entusiasta) che interpreterà con
Franca Rame, per la regia di Carlo Lizzani. Per la stesura
della sceneggiatura Dario viene coadiuvato da
professionisti: Lizzani, Augusto Frassinetti, Massimo
Mida, Fulvio Fo, Bruno Vailati.
1956
2 marzo Nelle sale cinematografiche esce il film “Lo svitato”:
clamoroso insuccesso! (Commento del produttore Nello
Santi: “Sei autori in cerca del personaggio. No
comment.”)
28 giugno “Non si vive di solo pane” trasmissione radiofonica (12
puntate) con Fo, Rame, Parenti, regia Giulio Scarnicci,
musiche Fiorenzo Carpi.
Bolzano - Teatro Stabile - Franca recita in “Re Lear” col
grande attore Memo Benassi. Lo spettacolo non andrà in
scena per sopraggiunta grave malattia di Benassi.
1957
Roma - Teatro Arlecchino - “Non andartene in giro
tutta nuda” di Feydeau con Franca Rame.
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Dopo
la
disastrosa
esperienza
cinematografica,abbandonano il cinema, tornano a
Milano e fondano la loro compagnia, “Compagnia FoRame” di cui Dario è autore, attore, regista, scenografo e
costumista. Da questo momento Franca sarà la principale
collaboratrice e interprete dei testi di Fo e inoltre si
accollerà il compito di organizzatrice dell’impresa. Pia si
occuperà della realizzazione dei costumi, Enrico Rame e
Fulvio Fo, dell’organizzazione: tutto in famiglia come ai
bei tempi della Famiglia Rame.
28 aprile Milano - Piccolo Teatro: “Ladri, manichini e donne
nude”, quattro atti unici: L'uomo nudo, l'uomo in frac Non tutti i ladri vengono per nuocere - Gli imbianchini
non hanno ricordi - I cadaveri si spediscono e le donne si
spogliano.
Le quattro storie si avvalgono del classico gioco
dell’equivoco, scambi di persone, scale infinite che
attraversano la scena e gags clownesche.
Tournée di 10 mesi per tutta l'Italia.
1958
12 dicembre - In collaborazione con il Teatro Stabile di Torino va
in scena "Comica finale", quattro atti unici: Quando
sarai povero sarai re - La Marcolfa - Un morto da
vendere - I tre bravi. Brevi storie comiche, simili per
struttura a quelle che la famiglia Rame recitava alla fine
dei suoi spettacoli, le comiche finali appunto. Dario Fo e
Franca Rame, terminato il contratto con lo Stabile,
rilevano scene e costumi e portano lo spettacolo in
tournée con la loro Compagnia per altri 8 mesi. Ripresa
anche di “Ladri, manichini e donne nude”.
Dopo grandi difficoltà a reperire piazze e teatri disposti
ad ospitarli, Paolo Grassi, allora direttore del Piccolo
Teatro, offre loro il Teatro Gerolamo, (magnifico teatro
‘all’italiana’ dei primi dell’800 con palchi di soli 200
posti) dove solitamente si rappresentavano spettacoli di
marionette. Ottengono un grandissimo successo tanto che
il proprietario del grande Teatro Odeon, Papa, entusiasta,
offre loro l’apertura della stagione successiva.
1959
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7 settembre - Milano - Teatro Odeon: “Gli arcangeli non giocano
a flipper”.
È un successo a livello nazionale.
Lo spettacolo è in testa agli incassi teatrali italiani. La
coppia Fo con questo spettacolo riceve 290 denunce per
non aver rispettato i tagli di censura, ma stranamente non
vi è alcuna conseguenza.
1960
Durante la tournée Fo scrive “La storia vera di Pietro
D'angera, che alla crociata non c'era”, realizzato più
tardi solo da altre Compagnie con notevole successo.
2 settembre - Milano - Teatro Odeon: “Aveva due pistole con gli
occhi bianchi e neri”. Storia ispirata dal famoso caso
“Bruneri e Canella” lo smemorato di Collegno.
1961
Primo debutto all'estero di “Ladri, manichini e donne
nude” all'Arena Teatern di Stoccolma a Sofia in Polonia.
8 settembre - Milano - Teatro Odeon: “Chi ruba un piede è
fortunato in amore”. Tournée.
1962
10 maggio RAI 2: “Chi l'ha visto?” rivista televisiva con Fo-Rame
e altri.
11 ottobre RAI 1 “Canzonissima”
Dario scrive i testi, dirige, con Vito Molinari, e presenta,
con Franca Rame, la popolarissima trasmissione legata
alla lotteria nazionale.
Gli sketches di Fo-Rame diventano un caso nazionale,
scatenando violente polemiche. Si trattano problemi
legati alla vita reale come le malattie professionali
dell’intera famiglia di una casellante, i muratori che
muoiono precipitando dalle impalcature ecc... e per la
prima volta in televisione si odono pronunciare parole
come “mafia”, “morti bianche”, “serrata” e “sciopero”.
Il successo popolare è incredibile. La direzione della
RAI, sotto la pressione dei politici più reazionari, inizia a
dimostrare un certo nervosismo preoccupato e,
nonostante i testi siano già stati approvati dal direttore
generale dott. Puglesi, si iniziano a imporre tagli su tagli.
In particolare, uno sketch sulla mafia nel quale una donna
siciliana racconta in modo apparentemente paradossale
ad un giornalista il susseguirsi di ammazzamenti di
53
sindacalisti, contadini ecc... genera un finimondo.
Malagodi, senatore liberale, interviene alla Commissione
di Vigilanza sulla televisione del Parlamento italiano,
protestando perché: “Si insulta l'onore del popolo
siciliano sostenendo l'esistenza di un'organizzazione
criminale chiamata mafia!”.
La coppia Fo-Rame riceve anche minacce di morte scritte
col sangue e la tipica bara di legno in miniatura. L’intera
loro famiglia viene perciò messa sotto scorta dalla
polizia.
Inizia un braccio di ferro con la RAI sulla censura: poche
ore prima dell’andata in onda dell’ottava puntata, la
direzione RAI comunica il taglio di tre skechs. Dario e
Franca, ricordando che erano già stati approvati dal Dott.
Puglesi, propongono per la sostituzione dei brani la
sospensione della trasmissione di una settimana
(adducendo come pretesto una malattia di Fo). Durante
quest’incontro con due alti dirigenti vengono velatamente
minacciati di denuncia certa per danni e anche di
probabile arresto. Con molta tensione, con i loro avvocati
attendono la decisione RAI che arriva a 15 minuti
dall’inizio della trasmissione. O si va in onda con i tagli o
niente.
Decidono per il”NIENTE”.
Un’annunciatrice a inizio trasmissione comunicherà il
loro abbandono. All’uscita del Palazzo della Fiera,
centinaia di persone li attendono. Manifestazioni e
attestati di solidarietà sono espressi in migliaia di
telegrammi, lettere ecc. La RAI tenta, ma non riesce a
sostituire Fo e Rame poiché tutti gli attori italiani e
stranieri tra i quali Ives Montan, seguendo le indicazioni
della SAI (Sindacato-attori), rifiutano di prenderne il
posto.
Cinque saranno i processi a loro carico, una assoluzione
e quattro condanne, con richiesta di danni per miliardi
che i Fo non pagheranno.
Per 16 anni saranno totalmente esclusi sia dai programmi
radio e Tv, a quei tempi monopolio esclusivo dello Stato
Democristiano, che dalle campagne pubblicitarie. Per 16
anni il nome Fo-Rame non sarà mai pronunciato.
54
1963
Helsinki (Finlandia) “Chi ruba un piede e' fortunato in
amore” messo in scena dalla Compagnia del Lilla
Theater con la regia di Fo.
6 settembre - Milano - Teatro Odeon: "Isabella, tre caravelle e un
cacciaballe"
In quest’opera si racconta la "scoperta" dell'America,
attraverso il risultato di ricerche storiche piuttosto
spregiudicate e documentate. Si tratta dell'inizio di un
grosso lavoro di studio-inchiesta sulla storia e sui
"dogmi" della cultura dominante. Lo spettacolo,
fortemente demistificatore della "storia scolastica" e della
retorica militarista e patriottica, viene duramente
contestato da destra; Dario e Franca, a Roma, vengono
aggrediti, all'uscita del teatro Valle, da un gruppo di
fascisti, e in altre città (come azione di disturbo)
minacciati di trovare bombe in teatro. Solo la presenza di
gruppi di operai, studenti e militanti del Partito
Comunista garantisce che le rappresentazioni continuino.
Tournée.
1964
4 ottobre - Milano -Teatro Odeon: "Settimo: ruba un po’ meno!"
Scritto per Franca, con tanto di dedica nel frontespizio,
che ne è la protagonista nel ruolo di una becchina un po'
stramba che per un equivoco paradossale sogna di poter
vestire i panni una prostituta.
E' uno spettacolo fortemente provocatorio e carico di una
satira graffiante che
anticipa, con una denuncia
minuziosa, la corruzione italiana, trent'anni prima della
rivoluzione di "Mani Pulite".
1965
10 settembre - Milano - Teatro Odeon: “La colpa è sempre del
diavolo”. Commedia ambientata nella Milano medioevale
dei Visconti, con scene truculente di ammazzamenti
contrappuntate da Sabba, con diavoli, nani diabolici e
streghe. Tournée.
1966
25 gennaio - Fo realizza due regie con Compagnie autonome: al
Teatro Municipale di Modena “Gli amici della
battoneria” di Marcel Achard (riadattamento di Fo) per
55
la Compagnia Cornica Elena Cotta e Carlo Alighiero, "Ci
ragiono e canto", spettacolo di canzoni sulla tradizione
popolare, in collaborazione con il Nuovo Canzoniere
Italiano, su materiali raccolti e curati da Gianni Bosio,
rielaborati da Fo e da Giovanna Marini. Gli interpreti
sono operai, studenti e quattro contadini sardi, ‘I Galletti
di Gallura’. Grande successo e tournée.
Per Franca anno sabbatico: sospende l’attività di attrice
per poter seguire Jacopo e le nipotine Gaia ed Enrica, che
vivono con lei e Dario, nel passaggio dalla V elementare
alla I media. Tutti promossi.
1967
15 settembre - Milano - Teatro Manzoni: "La Signora e' da
buttare!” Commedia musicale ambientata in un grande
circo equestre dove si racconta la storia degli Stati Uniti,
con guerre, stragi
di mafia e ammazzamenti di
Presidenti, giocato da clown, acrobati, domatori, donne
cannone, danzato e cantato con il sostegno di una
orchestra in scena. Tournée.
A Siena Dario, alla fine dello spettacolo viene caricato
dalla polizia su di una camionetta e portato in questura
per non aver rispettato i tagli di censura. Tutto il pubblico
presente in sala si porta sotto la questura: dopo 2 ore,
Dario sarà rilasciato.
1968
Dopo l'invasione russa della Cecoslovacchia, Dario Fo
rifiuta di concedere l'autorizzazione a rappresentare i suoi
testi in quel Paese.
Blocca inoltre la messa in scena de “La Signora è da
buttare!” e altre sue opere teatrali in Unione Sovietica per
le manipolazioni censorie inaccettabili proposte dai
dirigenti culturali russi.
Milano - Teatro Odeon - ENZO JANNACCI: “22
CANZONI” Regia e testi di Fo e Jannacci.
Sulla spinta degli avvenimenti politici di quegli anni,
Dario e Franca sciolgono la loro Compagnia e fondano
l'Associazione Nuova Scena, composta da oltre trenta
giovani tra tecnici, attrici e attori; un Collettivo Teatrale
56
indipendente, articolato in tre gruppi, che gira l'Italia
recitando, soprattutto di fronte ad un pubblico popolare e
operaio, in locali alternativi al circuito teatrale ufficiale,
come Case del popolo, palazzetti dello sport, cinema,
bocciodromi, piazze.
Per riuscire nell'impresa vengono ideati palcoscenici
smontabili su progetto di Fo.
23 ottobre - San Egidio (Cesena) - Nuova Scena - debutto nella
Casa del popolo di “Grande pantomima per pupazzi
piccoli, grandi e medi”. Lo spettacolo verrà portato
anche alla Camera del lavoro di Milano e in tournée.
1969
4 novembre - Genova - Camera del lavoro - Franca Rame
rappresenta alla Camera del lavoro di Genova, due nuove
commedie di Fo: “L'operaio conosce 300 parole, il
padrone 1000, per questo lui è il padrone" e due atti
unici "Legami pure, tanto spacco tutto lo stesso!" e "Il
funerale del padrone". Tournée. A causa delle critiche
che questi spettacoli muovono allo Stalinismo e alle
posizioni socialdemocratiche del Pci, la tournée viene
pesantemente sabotata dal vertice del Partito. Decine di
rappresentazioni vengono annullate. E' un momento
molto duro, a Franca viene negata La Camera del Lavoro
di Milano e trova ospitalità al “Circo Medini”, un vero
circo equestre con tigri, leoni ed elefanti, per fortuna
chiusi nelle gabbie attorno al circo. Dopo un primo
sbandamento, grazie alla mobilitazione di compagni della
base del PCI e della sinistra extraparlamentare, gli
spettacoli continuano con enorme successo. Franca Rame
riconsegna a Enrico Berlinguer, segretario del PCI, la sua
tessera del partito (Dario non si è mai iscritto).
Autunno “Mistero buffo”. Letture in case del Popolo e Università
prima del debutto vero e proprio che sarà a La Spezia il
primo ottobre al teatro Ariston.
Quest’opera è una vera e propria lezione di storia della
letteratura, che parte dalla contestazione delle antologie
scolastiche, soffermandosi in particolare su “Rosa fresca
e aulentissima”, uno dei primi testi poetici presentato e
commentato da dotti soloni delle università come opera di
trovatori eruditi. Nella lezione-spettacolo si sottolinea in
57
particolare la preoccupazione, alle volte spasmodica, di
presentare questi contrasti mascherando e censurando
ogni gioco scurrile o allusione di satira politica che
immancabilmente affiorano dalle giullarate.
Dario Fo tenta di ricostruire il linguaggio e la ritmica dei
giullari medioevali e recita i loro monologhi rendendoli
però accessibili al grande pubblico.
Il successo è incredibile: si replica addirittura nelle arene
e nei palazzetti dello sport con migliaia di spettatori. È lo
spettacolo che più di ogni altro lo renderà famoso nel
mondo (oltre 5000 repliche).
Nel secondo anno di attività a Milano, Nuova Scena non
trova spazi teatrali dove agire, affitta una vecchia
fabbrica in disuso tramutandola in un centro teatrale, che
diventerà sede stabile della Compagnia “Il Capannone di
Via Colletta”: uno spazio gestito dallo stesso collettivo e
da un numerosissimo gruppo di associati, lavoratori e
studenti, che offrono un importante apporto creativo e
organizzativo.
1970
27 ottobre - Milano - Capannone di via Colletta: “Vorrei morire
anche stasera se dovessi pensare che non è servito a
niente”
Spettacolo composto da testimonianze dei protagonisti
della resistenza italiana e palestinese.
Per divergenze politiche Dario e Franca lasciano
l'Associazione
'Nuova Scena'. Nasce il Collettivo
Teatrale LA COMUNE.
1971
11 dicembre - Milano - Capannone di via Colletta: "Morte
accidentale di un anarchico"
Dopo la strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di
Milano, Dario scrive e mette in scena un altro dei suoi
testi più famosi, sulla strage di Stato. Tournée.
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Nasce Soccorso Rosso in sostegno ai giovani studenti e
operai arrestati durante picchettaggi alle fabbriche, alle
scuole, e alle manifestazioni fasciste. Franca porterà
avanti questo impegno sino all’85.
1972
14 febbraio - Milano - Capannone di via Colletta: “Fedayin”
Franca Rame, con l’appoggio del Fronte Popolare
democratico, porta in Italia dieci autentici Fedayin
(palestinesi combattenti) da lei stessa scelti visitando i
campi militari in Libano. Su testimonianze dirette dei
combattenti trasformati in attori, e con la conoscenza
della tragedia palestinese, Dario scrive il testo dello
spettacolo, del quale curerà anche la regia; monologhi,
musiche, canti e danze della tradizione palestinese che
narrano la storia del conflitto con Israele e la nascita di
una presa di coscienza nazionale di quei popoli, dopo la
grande sconfitta subita qualche anno prima. Conduce lo
spettacolo Franca.
Gli incassi vengono devoluti alla Resistenza palestinese.
Tournée.
30 marzo - Milano - Capannone di via Colletta: "Tutti uniti, tutti
insieme! Ma, scusa, quello non è il padrone?!"
spettacolo sulla nascita del Partito Comunista Italiano nel
1921 interpretato da Franca e altri. Tournée.
Fine luglio, il Collettivo teatrale LA COMUNE è costretto a
lasciare il Capannone di via Colletta: il contratto è
scaduto e non viene loro rinnovato dal proprietario dello
stabile per motivi politici.
Dario e Franca con i loro compagni non si scoraggiano.
Affittano il cinema Rossini a Quarto Oggiaro,
nell’estrema periferia milanese dove rappresentano:
18 novembre - Milano - Capannone di via Colletta: "Ordine! Per
dio.ooo.ooo.ooo" con Franca e altri. Tournée.
Nello stesso periodo Dario gira l’Italia con “Mistero
buffo N. 2”.
Causa la grande crisi economica, molte fabbriche
vengono chiuse. In difesa del posto di lavoro gli operai
scioperano e le occupano. In sostegno a queste lotte, il
59
Collettivo la Comune, farà centinaia di spettacoli (dal
1971 all’85) devolvendo loro l’intero incasso.
26 dicembre: "Pum pum! Chi é? La polizia!" (sulle stragi di Stato)
con Dario Fo e altri attori a favore di Pietro Valpreda.
Tournée.
Il Collettivo Teatrale è soggetto a varie azioni repressive
da parte della polizia e a pesanti tentativi di censura. Il
manifesto dello spettacolo che raffigura una famiglia,
padre, madre e bambina, con gli abiti sporchi di sangue,
viene denunciato per oltraggio alla polizia dal Giudice
Viola del Tribunale di Milano.
1973
25 febbraio - Milano - Cinema Rossini "Ci ragiono e canto n.3"
scritto da Fo per il cantastorie siciliano Ciccio Busacca,
partecipano allo spettacolo anche Pina e Concetta
Busacca.
8 marzo - Milano - Un gruppo di fascisti sequestra, sevizia e
violenta Franca Rame. Con questo gesto infame si vuole
punire l’attività politica di Franca, Dario e del loro figlio
Jacopo, politicamente molto attivo al Liceo Berscet, ma
soprattutto il lavoro che Franca porta avanti dal '70 nelle
carceri. Grande indignazione e solidarietà in tutta Italia.
11 marzo Dopo aver invano cercato una sede permanente, La
Comune occupa un edificio fatiscente, abbandonato nel
centro di Milano, la Palazzina Liberty (ex mercato della
verdura) che ristruttura con l’aiuto del quartiere, degli
studenti e degli operai di Milano e dintorni. Solo a
Milano, raccoglierà in un anno più di 80.000 abbonati.
(Ricordiamo che il Piccolo Teatro, con due miliardi di
sovvenzione, ne riusciva a raccogliere al massimo
15.000).
Da questo momento Arturo Corso, che già era stato
attore e assistente in passato, coprirà il ruolo di
collaboratore alle regie delle opere di Dario in Italia e
all’estero.
24 maggio "Basta con i fascisti"
Dopo due mesi di inattività, Franca torna in scena e
rappresenta alla Casa del popolo di Milano il recital, che
60
si avvale di monologhi scritti in collaborazione con
Dario, con proiezioni e filmati sul fascismo e la sua
violenza a cura di Lanfranco Binni. Lo spettacolo
racconta e documenta l’effettiva presenza culturale e
politica del fascismo nello Stato Italiano e il ruolo di
manovalanza criminale svolto dalle sue frange armate
estremiste al servizio dei corpi speciali dei Polizia dello
Stato. È gestendo quei gruppi che lo Stato realizza vere e
proprie spedizioni punitive, attentati e sequenze di stragi
con migliaia di vittime fra la popolazione. Tournée.
Ottobre Nasce La Comune diretta da Dario Fo.
1 novembre - Milano - Palazzina Liberty- debutto di "Guerra di
Popolo in Cile" spettacolo sulla resistenza cilena. A
pochi giorni dalla morte del presidente del Cile, Allende,
va in scena il nuovo spettacolo di Dario con Franca, attori
e cantanti del Collettivo la Comune. Gli incassi sono
devoluti alla resistenza cilena. Tournée.
A Sassari Fo viene arrestato per essersi opposto, con
tutto il suo collettivo e i compagni organizzatori,
all'ingresso in teatro della polizia che cercava
provocatoriamente di bloccare 1o spettacolo.
1974
4 gennaio - Parigi: Théâtre National Populaire, Salle GemierTrocadero “Mistero buffo”
3 ottobre - Milano - Palazzina Liberty: "Non si paga! Non si
paga!"
Durante un’assemblea aperta al pubblico un gruppo di
operai invita La Comune a considerare l’assurdo della
situazione che vede le lotte sindacali condotte per
migliorare
la
condizione
economica
dei salariati,
vanificata in modo grottesco dagli immediati rialzi dei
prezzi in tutti i supermercati. Da qui, parte l’indagine sul
problema e la scrittura del testo “Non si paga! Non si
paga!” nel quale si racconta l’azione di spesa proletaria
61
messa in atto da un intero quartiere popolare della città di
Milano. Tournée. Un anno dopo si verificano numerosi
assalti ai supermercati di Milano. Molte donne vengono
arrestate.
Il
PM,
durante
il
processo,
chiede
l’incriminazione di Dario come ispiratore all’evento.
Nell'arco della stagione teatrale alla Palazzina vanno in
scena spettacoli, manifestazioni, concerti, in solidarietà
con fabbriche occupate e situazioni di lotta in generale.
Spettacoli anche in appoggio alla campagna per il
Referendum sul divorzio.
Negli spazi del seminterrato della Palazzina, molti
immigrati finalmente trovano una sede dove riunirsi per
discutere
dei
loro
problemi.
Sul
palcoscenico
rappresentano spettacoli con danze e canti provenienti
dalla loro tradizione e ritualità.
1975
1 febbraio - Su indicazione di un gruppo di intellettuali svedesi, Fo
viene proposto per il Premio Nobel .
5 giugno - Milano - Palazzina Liberty: “Il Fanfani rapito" scritto
da Fo in 4 giorni, in appoggio alla campagna
“REFERENDUM per la legalizzazione dell’aborto”. Non
c’è tempo per provare lo spettacolo ma, vista
l’importanza politica, viene messo in scena ugualmente e
gli attori recitano con il copione in mano. Non trovando
teatri disposti ad accettare il prezzo bassissimo del
biglietto (mille lire, più mille la tessera di iscrizione al
Circolo La Comune) e soprattutto i contenuti politici
degli spettacoli, affittano un circo equestre a Roma in
piazza Mazzini dove per 2 mesi recitano tutte le loro
commedie dal 68 al 75. Sempre esuarito: 2500 persone
per sera.
62
Il Collettivo La Comune realizza un viaggio di un mese
nella Repubblica Popolare Cinese. Finalmente un po’ di
vacanza!
1976
2 marzo - Milano - Palazzina Liberty - "La marijuana della
mamma è la più bella": si affronta il fenomeno della
droga che inizia a dilagare anche in Italia. Tournée.
Dopo 16 anni di ostracismo, su invito del Dott. Massimo
Fichera, direttore di RAI 2, La Comune torna in
televisione con “Il teatro di Dario Fo”: “Mistero buffo”,
"Settimo: ruba un po' meno!", "Ci ragiono e canto",
"Isabella, tre caravelle e un cacciaballe", "La signora è da
buttare", "Parliamo di donne" (21 ore di trasmissione).
Tutte le commedie vengono recitate e riprese con la
presenza del pubblico alla Palazzina. Le trasmissioni
andranno in onda nel ‘77.
1977
Maggio - Milano - Palazzina Liberty: “Mistero buffo” 3°
edizione. Tournée.
30 giugno - Roma -Teatro in Trastevere - Franca Rame vince la
Maschera con lauro d'oro del Premio IDI, come migliore
attrice televisiva per la trasmissione "Parliamo di donne".
In questi anni Fo si afferma come autore italiano più
rappresentato al mondo: i suoi testi sono recitati in oltre
50 paesi e tradotti in più di 30 lingue.
6 dicembre - Milano - Palazzina Liberty: “Tutta casa, letto e
chiesa”
Opera in chiave grottesca-comico-drammatica sulla
condizione della donna. Unica interprete Franca Rame
che per la prima volta firma il testo con Fo. Questo
spettacolo verrà replicato in Italia e all’estero: oltre 3000
repliche.
1978
Settembre - Berlino, Festival Internazionale “Mistero buffo” e
“Tutta casa, letto e chiesa”.
Fo scrive "La tragedia di Aldo Moro" sul sequestro e
l'assassinio del dirigente democristiano ad opera delle
Brigate Rosse (mai rappresentato). Il testo è condotto
sulla chiave del "Filotete" di Sofocle.
63
1979
2 febbraio Dopo un anno di chiusura per problemi interni al
Collettivo e dibattiti, debutta: "Storia della tigre e altre
storie" rielaborazione di Fo di un canovaccio di un
racconto popolare cinese sulla lunga marcia, ascoltato
durante il viaggio nella regione di Shangai.
6 aprile
- Milano - Teatro alla Scala: "L'histoire du soldat" di
Igor Stravinsky.
Fo “rilegge” e dirige trenta allievi delle varie scuole di
teatro di Milano, prima tra tutte la scuola “Paolo Grassi”
del Piccolo. Si replica nelle più importanti città d’Italia,
nei teatri lirici e nei palazzetti dello sport, davanti a
migliaia di spettatori.
1980
gennaio Franca e Dario con il figlio Jacopo fondano la Libera
Università d’Alcatraz, un centro culturale e
d’agriturismo. Il centro ha sede sulle colline tra Gubbio e
Perugia. Acquistando a poco a poco, tre milioni e
settecentomila metri quadrati di boschi (che sarebbero
dovuti esser tagliati) e uliveti, i Fo impediscono la
distruzione di una valle meravigliosa. Intraprendono poi,
il restauro d’undici antiche case coloniche e torri
abbandonate. Alcatraz raccoglie l'adesione di numerosi
artisti e associazioni culturali, tra questi Sergio Angese,
Stefano Benni, Dacia Maraini, Milo Manara, Andrea
Pazienza, Elena Cranco, che tengono corsi di teatro,
fumetto, danza, scrittura, tecniche psicofisiche, psicologia
e artigianato. Alcatraz ospita inoltre attività didattiche e
ricreative per ragazzi, emarginati, portatori di handicap.
Le attività del centro sono: ippoterapia, comico terapia,
equitazione, passeggiate nei boschi, piscina e scuola di
nuoto. A tutto questo si aggiungono le coltivazioni
naturali, la cucina ecologica, e un laboratorio per la
preparazione di conserve biologiche. Il centro ha fino ad
oggi ospitato più di trentamila persone ed è diretto da
Jacopo Fo.
7 gennaio RAI 2 (20 puntate) “Buonasera con Franca Rame” di e
con Fo-Rame.
64
Marzo
Tournée all’estero con “Tutta casa, letto e chiesa” e
“Mistero Buffo”. Franca è al Festival internazionale
“Frauenheater di Colonia (5 marzo) e Dario all’Odin
Teatret a Holstebro in Danimarca (9 marzo). Poi insieme
recitano a Stoccolma e Copenhagen.
12 aprile va in scena a Londra (Piccadilly) “Morte accidentale di
un anarchico” con Gavin Richiars
20 maggio Fo e Rame vengono invitati al Festival del Teatro
Italiano di New York. Il Dipartimento di Stato rifiuta loro
il visto d'ingresso negli USA. Il 29 maggio, un nutrito
gruppo d’artisti e intellettuali americani organizza, con
Piero Sciotto, colonna portante della. Comune, una
manifestazione contro il provvedimento al Teatro Town
Hall (nel quale avrebbero dovuto rappresentare i loro
spettacoli) di Broadway. Tra gli altri, partecipano Arthur
Miller, Norman Mailer, Martin Scorsese, Ellen Stewart,
Sol Yurick, Eve Merriam.
luglio
Fo riceve dal Berliner Ensemble (Germania dell'Est)
l'invito a realizzare uno spettacolo nel prestigioso teatro
di Bertolt Brecht, per la primavera '81. Dario Fo prepara
una rielaborazione da "The Beggar's Opera" di John Gay,
da cui lo stesso Brecht aveva tratto la sua “Opera da tre
soldi”, che sarà bocciata a causa del contenuto politico:
la principale oppositrice era la figlia di Brecht, (il muro di
Berlino non era ancora caduto).
La stessa rielaborazione è stata messa in scena un anno
dopo con la Compagnia del Teatro Stabile di Torino.
Milano - Palazzina Liberty - ripresa di “Non si paga!
Non si paga!” alla Palazzina.
dicembre Parigi: Théatre de L'Est Parisien “Mistero buffo” e
"Tutta casa letto e chiesa"
Tournée di Franca con “Tutta casa letto e chiesa" in
Germania:
Francoforte
Volksschoschschule
di,
Deutsches Schauspielhaus di Bochum ed Amburgo.
1981
14 gennaio - Milano - Teatro-cinema Cristallo: "Clacson,
trombette e pernacchi", una commedia tragicomica sul
terrorismo. Tournée.
65
25 febbraio - Firenze - Teatro Apollo, indi al Teatro Cinema
Cristallo di Milano: "Fabulazzo osceno". Un insieme di
testi di origine greco-arcaiaca provenzale e italiana
medievale che trattano in modo provocatorio i temi della
sessualità e dell’erotismo.
Franca partecipa allo spettacolo alternando i brani: “Io
Ulrike grido” - "Lo stupro" - "Una madre"(sul tema
delle torture a detenuti politici).
4 maggio - Gli Accademici dell'Università di Danimarca assegnano
a Dario Fo il Premio Sonning (Il Nobel danese), premio
che Dario dedicherà a Franca.
25 settembre - Milano - Teatro Odeon: “Tutta casa, letto e chiesa”
nuova edizione, e tournée.
.
RAI 2° “La professione della signora Warren” - di G.
B.Shaw con Franca Rame, regia di Giorgio Albertazzi.
2 dicembre - Prato - “Fabbricone” Il Teatro Stabile di Torino
allestisce: "L'opera dello sghignazzo".
Più tardi, per sollevare le sorti finanziarie della
compagnia, Dario accantona lo spettacolo che aveva in
scena con Franca e subentra nell’ Opera dello sghignazzo
interpretando il personaggio di Micium. Da quel
momento i teatri sono sempre esauriti.
1982
10 maggio - Londra - Riverside Studios: "Tutta casa letto e
chiesa". Grande successo di critica e pubblico.
Contemporaneamente al National Theater di Londra
Yvonne Bryceland interpreta la stessa opera col titolo
inglese "Female Parts" e Estella Parson a N.Y. con
“Orgasmo adulto ESCAPES FROM THE ZOO” (titolo
usato in America, Francia, Belgio, Olanda, Svezia,
Danimarca)
1982
Stoccolma la compagnia del famoso Pistol Theater mette
in scena in prima assoluta un nuovo testo di Dario:
"Coppia aperta” con la regia e traduzione di Anna e
Carlo Barsotti. Grande successo!
66
26 aprile-15 maggio - Londra - Riverside Studios - “Mistero
Buffo”
20 Maggio - Canada - 83 Festival Québécois du Jeune Théâtre:
"Tutta casa letto e chiesa".
21-23 Agosto - Londra - Riverside Studios: Fo tiene un seminario:
"La storia della Maschera".
Durante l'estate Fo scrive, senza rappresentare: "Quasi
per caso una donna: Elisabetta", "Dio li fa poi li
accoppa" e "Lisistrata romana".
14 novembre - Milano - Centro Sociale Leoncavallo - va in scena,
in prova generale, "Patapunfete!" testo che Fo scrive per
i clown Ronald e Alfred Colombaioni. Ne cura anche
costumi, musiche e regia. I Colombaioni tutt’ora
rappresentano quest’opera sia in Italia che all’estero.
30 novembre - Trieste - Teatro Sloveno: “Coppia aperta”, indi
Teatro Nuovo Milano. Sollecitati dal grande successo
ottenuto dallo spettacolo “Coppia aperta” a Stoccolma,
Dario e Franca lo allestiscono con Nicola de Buono (in
un secondo tempo sostituito da Giorgio Biavati) nella
parte del marito.
.
L’opera è vietata dalla Commissione di censura
ministeriale ai minori di 18 anni. Il provvedimento sarà in
seguito ritirato per le proteste suscitate sia dalla stampa
che dal pubblico. Grandissimo successo e centinaia di
repliche. Tournée.
1984
15 gennaio - Broadway - Belasco Theater: il produttore americano
Alexander Cohen mette in scena “Morte accidentale di
un anarchico" con l'adattamento di Richard Nelsan. Il
Dipartimento di Stato concede a Fo-Rame (per assistere
al debutto) SU INTERVENTO DI REAGAN, ALLORA
PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, il visto d'ingresso
negli USA per sei giorni, con il divieto assoluto di
allontanarsi dalla città. Lo spettacolo a causa di tagli
politici deciso dall’adattatore ha uno strepitoso
insuccesso!
67
9 maggio - Avana (Cuba): “Tutta casa letto e chiesa” e “Mistero
buffo” al Festival de teatro latino-americano.
8-11 maggio - Buenos Aires (Argentina): Teatro Municipal General
San Martin: “Tutta casa letto e chiesa” e “Mistero
buffo”.
Le destre cattolico-fasciste inscenano gazzarre dentro e
fuori il teatro allo scopo di bloccare gli spettacoli. Esse
sono palesemente sorretti e protetti dalla Polizia. Fra gli
aggressori ci sono elementi del famoso gruppo clericonazista “Cristo Re”. Essi consegnano a un ragazzino una
bomba lacrimogena di tipo militare con l’ordine di
lanciarla in teatro; la bomba esplode sul palcoscenico a
pochi passi da Dario che si ritrova letteralmente accecato
dal fumo. Grande spavento e conseguente panico degli
oltre mille spettatori. Reazioni, solidarità governativa e
soprattutto popolare, comprese le mamme della piazza di
Maggio.
17 maggio - Bogotà e 22 maggio Cali (Colombia) - Teatro Colon invitati dall’Associazione culturale La Cohilla: "Tutta
casa, letto e chiesa" e "Mistero buffo".
Agosto - Edimburgo (Scozia) Fringe Festival “Mistero buffo” e
"Tutta casa, letto e chiesa"
4 al 19 agosto - Tampere (Finlandia) - Festival del teatro di Dario
Fo e Franca Rame. “Mistero buffo” e Franca "Tutta
casa, letto e chiesa".
In tutta la città sono rappresentate varie opere dei due
autori.
Invitati da Joseph Papp al Public Theater di New York si
vedono rifiutare il visto d’ingresso negli USA per la
seconda volta.
14 novembre - Milano - Teatro Ciak: "Quasi per caso una Donna:
Elisabetta" commedia incentrata sulla figura della prima
regina d’Inghilterra.
Grazie alla più alta media di spettatori registrata nella
stagione, Dario e Franca sono premiati con il ''Biglietto
d'Oro" dell'AGIS a Taormina.
1985
22 Maggio - Genova: Il Teatro dellaTosse di mette in scena "La
vera storia di Piero d'Angera che alla crociata non
68
c'era" con la regia di Tonino Conte, scene e costumi di
Lele Luzzati. Grande successo di critica e pubblico.
28-31 maggio - Monaco (Germania): International Theater Festival
- Dario e Franca replicano “Mistero buffo” , “Storia
della tigre” e “Tutta casa, letto e chiesa”.
10 giugno - Germania - tournée di Franca Tubingen, Heidelberg,
Stuttgart e Francoforte con “Coppia aperta”
settembre - Copenaghen (Danimarca): Franca Rame su invito del
Sindacato degli attori, “Galla Aften Mødrehjælpen af
1983” terrà uno Stage sui suoi monologhi.
18 ottobre - Biennale di Venezia - Palazzo del Cinema - con la
collaborazione del Teatro Ateneo dell'Università di Roma
Fo scrive e mette in scena "Hellequin, Harlekin,
Arlecchino”
Fo scrive per Franca "Il diario di Eva", mai
rappresentato da lei , bensì da altre compagnia sia in
Italia che all’estero.
1986
Franca Rame cura la regia di “Tutta casa, letto e
chiesa” in Belgio e Danimarca.
9 maggio-20 giugno - USA. Finalmente viene loro concesso il visto
di ingresso negli Stati Uniti. Invitati dalla "Harward
University" recitano “Mistero Buffo” e “Tutta casa,
letto e chiesa” all'American Repertory Theater di
Cambridge, alla Yale Repertory Theater dell'Università
di New Haven, al Kennedy Center di Washington, al
Theater of Nations di Baltimora, al Joyce Theater di
New York, tengono seminari alla New York University e
vari incontri, lezioni e stages sul loro teatro.
Franca Rame tiene una lezione-spettacolo al Wheaton
College di Norton-Massachusset.
9 agosto - Fo riceve il Premio “Eduardo” da Taormina Arte.
14 agosto - Edimburgo: Franca Rame è al Free Festival con
“Coppia aperta".
A questo Festival sono presenti varie compagnie con i
testi di Fo-Rame tradotti in lingua inglese: Yorick
Theatre Co., Catwalk Theatre Productions, Fo-Rame
69
ottobre
-
Theatre Proiect, Warehouse Theatre, The Drama
Departement, Borderline Theatre.
Milano - Teatro Nuovo: "Parti femminili", due atti unici
dei due autori: “Una giornata qualunque” e “Coppia
aperta" 2° edizione. Tournée.
1987
11 febbraio - debutta a Trieste, indi a Milano al Teatro Ciak "Il
ratto della Francesca" con Franca e altri interpreti.
Tournée
14 marzo - Amsterdam (Olanda) - Teatro dell'Opera De
Nederlandse: Dario Fo con la collaborazione di Arturo
Corso cura la regia de "Il Barbiere di Siviglia" di G.
Rossini.
5 giugno - Dario e Franca sono a Cambridge (Usa), all'American
Repertory Theatre, per la regia de "Gli arcangeli non
giocano a flipper"
18 Giugno - A New York, viene loro assegnato l'Obie Prize,
importantissimo riconoscimento della Off Brodway.
Luglio - San Francisco - Festival internazionale - “Coppia
aperta”. Franca tiene un seminario sul teatro ad oltre
cento, tra attrici, attori, mimi, acrobati, prestigiatori,
provenienti da ogni parte dell’America.
Agosto - RAI 2 - Franca partecipa al film di Gianni Serra "Una
lepre con la faccia da bambina", sul disastro ecologico
di Seveso.
18 settembre - Dario Fo rappresenta al Festival dell'Unità, davanti
ad oltre 10.000 persone, “La rava e la fava” (che più
tardi cambierà il titolo in “La parte del leone” un
monologo comico-tragico sulla situazione politica
italiana).
Settembre - ripresa di "Parti femminili"
Nel frattempo Fo scrive i testi per le otto puntate di
"Trasmissione Forzata", per RAI 3, alle quali partecipa
come regista, costumista, scenografo e attore con Franca
ed altri interpreti. Sono passati altri undici anni
dall'ultimo impegno con la RAI TV.
13 dicembre - Pagani (Napoli). Dalla Associazione M. Torre viene
dato a Dario Fo il "V Premio Nazionale contro la
violenza e la camorra".
70
Teatro “Sala Umberto” “Coppia aperta”. Dopo un mese
di repliche Franca riceve il “Premio ETI-Sala Umberto”
per la sua attività artistica.
Viene loro assegnato il premio "AGRO DOLCE" a
Campione D'Italia.
1988
16 febbraio - Bari - Teatro Petruzzelli - Riedizione de “Il Barbiere
di Siviglia”.
marzo - Amsterdam - Teatro dell'Opera - ripresa del "Il Barbiere
di Siviglia”
giugno - Franca Rame gira a Torino per RAI 2 "Parti femminili".
Fo interpreta, per la regia di Stefano Benni, il film
"Musica per vecchi animali".
1989
5 maggio - S. Paolo e Rio de Janeiro - viene rappresentato “Il
Barbiere di Siviglia" allestito dal Teatro Petruzzelli di
Bari.
Milano - Arco della Pace - “Lettera dalla Cina” di
Dario Fo, letta da Franca, e in altre città italiane,
durante le manifestazioni contro la strage di Piazza Tien
An Men.
18-22 maggio - San Paolo e 15 16 maggio Rio de Janeiro (Brasile):
“Mistero buffo” e "Parti femminili", invitati da 'Italia
Viva', Dario e Franca si esibiscono davanti a un pubblico
che già conosce i loro testi messi in scena da numerose
compagnie brasiliane ottenendo un caloroso successo.
Fo scrive "Il braccato", sul tema della mafia, che non
mette in scena.
31 ottobre - Novara - Teatro Faraggiana: "Il papa e la strega" sul
tema della droga e dell'antiproibizionismo, che
interpretato da Fo e Rame. Prima milanese al Teatro
Lirico il 9 gennaio successivo. Tournée.
1990
71
giugno - Grazie alla più alta media di spettatori registrata nella
stagione, Dario Fo Franca Rame ottengono ancora una
volta il ''Biglietto d'Oro" dell'AGIS.
dal 9 aprile al 30 giugno - Parigi: su invito di Antoine Vitez,
direttore artistico della Comédie Française, Fo mette in
scena il "Il medico per forza" e "Il medico volante" di
Molière. E' un vero trionfo di critica e di pubblico, del
quale Vitez, che tanto si era battuto per avere Fo ad
inaugurare il ciclo su Molière, purtroppo non può godere.
Vitéz, infatti, scompare prematuramente alla fine di
aprile. Fo è il primo regista italiano chiamato a realizzare
una messa in scena alla Comédie Française. Assiste allo
spettacolo anche il Presidente Mitterand, che invia una
lettera di elogio a Dario Fo.
maggio Fo riceve dal Berliner Ensemble l'invito a realizzare uno
spettacolo nel prestigioso teatro di Bertolt Brecht per la
primavera '91. Il progetto non andrà in porto.
luglio
Franca Rame gira per la TV Svizzera “Coppia aperta”.
27 novembre - Milano - Teatro Nuovo: "Zitti! Stiamo
precipitando!"
Una vicenda comico-grottesca, che ha per tema centrale
l'AIDS. Lo spettacolo, interpretato da Dario, Franca e
altri attori, viene rappresentato nei principali teatri
italiani. In tante città si alterna con "Mistero Buffo",
sempre molto richiesto.
Nel corso degli anni in "Mistero Buffo", grazie alla sua
impostazione aperta, vengono inseriti temi di attualità che
di volta in volta attirano l'interesse di Fo e del pubblico.
1991
30 aprile e 1° maggio - Palma de Maiorca -teatro Auditorium e
3 - 4 maggio - Siviglia - Teatro Lope de Vega (Spagna) - Dario e
Franca rappresentano “Mistero Buffo” al XI Festival de
Teatre Internacional
maggio - Fo e Rame vengono invitati a partecipare all'Expò di
Siviglia dove tengono un dibattito a scrittori, giornalisti e
teatranti.
maggio - Amsterdam - “Il Barbiere di Siviglia” viene ripreso dalla
Televisione Olandese.
10 ottobre - Mosca - Dario e Franca sono al Festival del Teatro
Italiano organizzato dall'Associazione degli Scrittori
72
dell'URSS e dall'ETI (Ente teatrale Italiano). Al Teatro
Taganka rappresentano “Mistero Buffo” cui prende
parte anche Franca.
26 novembre - Ravenna - teatro Rasi - debutto nazionale. (Prima
milanese al teatro Nuovo il 5 marzo successivo)
"Parliamo di donne”, due atti unici: “L’eroina” e
“Grassa è bello”, in scritto con Franca che ne è anche
l'interprete principale. Ne “L’eroina” si tocca la tragedia
di una madre che ha tre figli tossicodipendenti di cui due
morti per overdose e AIDS. Per salvare la terza figlia e
procurarle la droga, la madre si prostituisce: “Di
tossicodipendenza si può guarire, di AIDS si muore!”. In
“Grassa è bello” Franca recita ingrassata a dismisura da
una tuta di gommapiuma: si parla della femminilità,
dell'essere sexi, della magrezza, delle diete, dell'amore e
della vita. Come spesso accade delle serate vengono
annullate perché alcuni proprietari di sale ne ritirano la
disponibilità in seguito a una campagna-stampa bigotta.
5 dicembre - Dario Fo debutta al teatro Roma di Trento con il
monologo "Johan Padan a la descoverta de le
Americhe". Si tratta del frutto di una ricerca sulla vita di
alcuni naufraghi europei nei primi anni del 1500.
Attraverso testimonianze dell'epoca, Fo racconta, in una
lingua antica reinventata, della resistenza degli indiani del
Missisipi
all'invasione
europea.
Queste
lotte
cinquecentesche saranno all'origine dell'invincibile difesa
dei Seminole, i nativi americani che non si arresero mai.
Si tratta della scoperta di un'epopea censurata dai libri di
storia
1992
aprile - Valencia - Centro Drammatico. Per la 'celebrazione' dei 500
anni della 'scoperta' dell’America Dario con Arturo Corso
riallestirà "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”
11 giugno - Parigi - Operà (Palais Garnier ) - Fo, con Arturo
Corso, cura un nuovo allestimento del "Il Barbiere di
Siviglia".
ottobre - Amsterdam - Teatro dell'Opera - ripresa de "Il Barbiere
di Siviglia" di G. Rossini.
73
Parigi - Comédie Française - ripresa de "Il medico per
forza" e "Il medico volante" di Molière.
20 novembre - Carrara - Teatro Animosi - "Settimo: ruba un po’
meno n. 2" di Fo-Rame.
Nello stesso anno in cui scoppia il caso “tangentopoli”,
un atto unico in cui Franca racconta, senza tanto
fantasticare nell'assurdo perché non ce n'è bisogno, i
particolari delle 'ladrerie' dei politici italiani.
1993
8 luglio - Spoleto - Festival dei Due Mondi - Teatro Nuovo - lettura
di "Dario Fo incontra Ruzzante" con Franca Rame,
Marina De Juli e Virgilio Zernits.
Israele - Tel Aviv - “Il Barbiere di Siviglia” di G.
Rossini - Riallestimento di Arturo Corso.
1994
Milano - Teatro Nuovo - "Mamma! I Sanculotti!"
Una commedia sul filo del teatro comico, nella quale si
racconta la storia di un giudice che svolge un'inchiesta su
tangenti, onorevoli corrotti, e infiniti imbrogli pubblici e
privati, in una danza grottesca recitata, mimata e cantata.
Aprile - ripresa di "Settimo: ruba un po’ meno n. 2". Tournée.
24-28 maggio - Milano - Teatro di Porta Romana - “Un
palcoscenico per le donne”
Franca Rame, con la collaborazione di Walter Valeri,
organizza una rassegna teatrale al femminile con giovani
e sconosciute attrici-autrici. Nel mese di agosto questa
rassegna sarà rappresentata al Teatro di Cesenatico con
grande successo.
4 agosto - Cesenatico offre a Franca e Dario la cittadinanza
onoraria. Da un aereo che volteggia sopra la città
vengono lanciati volantini da organizzazioni di estrema
destra, insultanti il Comune che premia i due attori.
11-29 agosto - Pesaro - Teatro Rossini Opera Festival - "L’Italiana
in Algeri" di G. Rossini. Fo ne cura la regia, scene e
costumi.
ottobre - Milano - Franca Rame debutta a con "Sesso? Grazie,
tanto per gradire!" di F. Rame, Jacopo e Dario Fo tratto
dal libro "Lo zen e l'arte di scopare” di Jacopo Fo (oltre
74
300.000 copie vendute). Monologo grottesco ed ironico
nel quale Franca Rame partendo dalle sue prime
esperienze sessuali dimostra come si venga cresciuti
nell'ignoranza e nell'idea che la sessualità, soprattutto per
le donne, sia una cosa indecente. In un primo tempo, la
censura ministeriale vieta lo spettacolo ai minori di 18
anni. Grande mobilitazione di stampa e ricorso legale.
Dopo due mesi la censura
viene tolta e lo spettacolo definito: "Intriso di profondo
amore materno e perciò consigliato ai minori”.
dicembre - Amsterdam - Teatro dell’Opera - allestimento di
grande successo e vasta eco internazionale de
"L’Italiana in Algeri" di Rossini.
Della stessa edizione, la Televisione Nazionale olandese
ne cura la ripresa
televisiva.
1995
Gennaio Dario Fo debutta a Firenze con "Dario Fo recita
Ruzzante" monologo satirico e implicito omaggio a
Angelo Beolco. Elaborazione tratta dalla lettura già
presentata al Festival di Spoleto, arricchita da nuovi brani
appositamente scritti. Lo spettacolo riceve un unanime
consenso da parte di tutta la critica italiana e uno
straordinario afflusso di pubblico.
Maggio - Franca in collaborazione con il Comune di Cervia
organizza uno stage per attrici e attori italiani e stranieri:
turchi, inglesi, americani, danesi.
Dicembre - Toronto (Canada), Franca Rame in “Sesso? Grazie,
tanto per gradire”. Entusiastico successo.
Cervia
(Romagna)
Fondazione
CerviaAmbiente
conferisce a Franca una menzione speciale: “... per l’alto
valore culturale della sua opera artistica... per aver
portato nelle sue opere teatrali la profondità
dell’esistenza umana... per essere autrice e attrice di
grande sensibilità e raffinatezza... di grande impegno
civile... per le sue azioni a favore della pace e solidarietà
con le popolazioni di Serajevo, per i potatori di handicap,
per i disoccupati, nonché le sue lotte contro ogni dittatura
e forma di censura”
75
Walter Valeri, Direttore sezione estero, sta preparando
una tournée della compagnia Fo-Rame in Francia,
Inghilterra, Germania, Stati Uniti. Si prevedono repliche
di "Johan Padan a la scoperta de le Americhe" e
"Sesso? Grazie, tanto per gradire!", seminari nelle più
importanti università e con i più grandi nomi del teatro
americano.
Ma il 17 luglio Dario Fo è colpito da ischemia cerebrale
e perde l'85% della vista. Tutto viene sospeso. Per tener
fede agli impegni presi con il personale tecnico e
amministrativo, Franca Rame, in autunno riprende la
tournée italiana con "Sesso? Grazie, tanto per
gradire!", mentre Dario si cura e si riposa. Le sue
condizioni di salute sono buone e migliorano giorno dopo
giorno.
Israele - Tel Aviv - “Il Barbiere di Siviglia” di G.
Rossini - Riallestimento di Arturo Corso.
1996
maggio
luglio
Finalmente Dario riprende, in parte, la sua attività: tiene
lezioni in scuole di teatro, Università, partecipa ad una
serata speciale a Venezia al Teatro Goldoni con
“Arlecchino”
Copenhagen - Folketeatret - Dario e Franca tengono una
lezione aperta a studenti delle varie scuole teatrali e al
pubblico.
Franca conduce uno stage per attrici professioniste
danesi, e rappresenta “Sesso? Grazie, tanto per
gradire!” Nel frattempo al Nationalmuseet viene allestita
una mostra di disegni, costumi e pupazzi di Dario Fo.
Benevento - Per il Festival della città scrive “La bibbia
dei villani". Lo spettacolo andrà in scena in settembre.
autunno - Dario e Franca rimettono in scena “Mistero Buffo e
Sesso”, fondendo i due spettacoli e portandoli in tournée
in Italia sia in grandi teatri che in Palazzetti dello sport
con presenze di pubblico sino a 10.000 persone.
76
Per evitare che Dario si affatichi troppo, l’attività della
compagnia si mantiene ridotta.
Durante questa tournée, con Franca, Fo scrive “Il
diavolo con le zinne”, uno spettacolo comico-grottesco
che per la ricchezza e la varietà del linguaggio, le trovate
teatrali, i canti e i balli, si può considerare una vera e
propria “opera”. Grande successo.
Possiamo assicurare che Dario è guarito, ha avuto
anche un grande recupero della vista tanto che proprio
oggi (15 maggio 97) riceve in regalo da Franca felice
una macchina per scrivere computerizzata (si rifiuta di
usare il computer). Anche tutti noi siamo molto felici!
1997
7 agosto, Teatro Vittorio Emanuele, Messina. Per il Festival di
Taormina Arte, va in scena “Il diavolo con le zinne” con
Franca Rame e Giorgio Albertazzi.
Lo spettacolo viene ripreso a settembre e portato in
tournée in molte città con grandissimo successo.
9 ottobre DARIO FO RICEVE IL PREMIO NOBEL PER LA
LETTERATURA.
Israele - Tel Aviv - “Il Barbiere di Siviglia” di G.
Rossini - Riallestimento di Arturo Corso.
1998
gennaio - Ha inizio la digitalizzazione di tutti i documenti (foto,
testi, manoscritti ecc... oltre 3 milioni) dell’archivio
Franca Rame-Dario Fo.
Marzo - Va in scena il nuovo spettacolo di Dario Fo, “Marino
libero! Marino innocente!”, accompagnato da
un’importante campagna civile per la liberazione di
Bompressi, Pietrostefani e Sofri.
7 aprile Il Ministero della cultura e della comunicazione della
Repubblica Francese conferisce a Dario Fo la NOMINA
a COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES
LETTRES.
77
10 Aprile - Milano - Teatro Ciak: “Fame e rabbia: cento anni fa
a Milano” di Fo-Rame.
Il ricavato della serata è stato devoluto a sostegno
dell’Associazione “il pane quotidiano (Associazione che
distribuisce gratuitamente oltre 200.000 pasti all’anno).
Questo testo ricorda la strage A COLPI DI CANNONE,
perpetrata dal generale Bava Beccaris, cento anni fa,
CONTRO I CITTADINI INERMI che scioperavano e
manifestavano per il “rincaro del pane” che veniva a
costare un terzo della paga giornaliera.
22 aprile - Viene conferita a Dario Fo e Franca Rame la
cittadinanza onoraria del Comune di Pieve Emanuele.
ottobre - Viene conferita a Dario Fo e Franca Rame la cittadinanza
onoraria del Comune di Riolo Terme.
25 ottobre - Il Comitato Scientifico del Centro Pio Manzù
conferisce a Dario Fo la medaglia d’oro.
dicembre - viene conferita a Dario Fo la cittadinanza onoraria del
Comune di Sartirana Lomellina
10 dicembre - Franca Rame riceve in Spagna il PREMIO LEON
FELIPE per I DIRITTI UMANI con la seguente
motivazione: “Franca Rame, vittima della crudeltà del
potere oscurantista e corrotto, per la sua incessante ed
estrema difesa dei diseredati e degli oppressi, delle cause
molto nobili degli uomini e delle donne con la sua
trascendentale opera artistica ed etica gioiosamente
integrata da Dario Fo”.
22 dicembre - la Provincia di Milano consegna a Franca Rame la
medaglia d’oro di Riconoscenza della città’ “...per la sua
attività di attrice legata all’impegno politico, alla passione
civile, per le sue innumerevoli iniziative nelle carceri,
contro la droga e contro ogni forma di discriminazione.”
1999
1 gennaio Il sindaco di Mondaino (FO) consegna a Dario Fo la
cittadinanza onoraria.
13.gennaio - Viene intitolato a Dario Fo il Teatro Comunale di
Camponogara.
aprile - Il Comune di Genova consegna il più alto riconoscimento
della Città, il “Grifo d’oro”, a Dario Fo che “con Franca
Rame ha saputo unire teatro e arte del raccontare,
impegno sociale, comicità e scrittura, poesia e canzone,
78
scandagliando, reinventando e rivoluzionando per
ritrovare sempre occasioni di scambio e di dibattito, per
ricostruire un gesto scenico originale e personalissimo
che ricerca contemporaneamente felicità e libertà,
comunicazione diretta e ribellione contro ogni ottusità o
preconcetto ideale e artistico”
25 aprile - In occasione della manifestazione “Bambini al Museo”,
Dario Fo tiene alla Pinacoteca di Brera una lezione sul
dipinto di Tintoretto “Il ritrovamento del corpo di san
Marco”.
aprile - Viene pubblicato dall’editore Panini il libro “La vera
storia di Ravenna”
27 maggio - In occasione della fine dei restauri all’affresco
L’ultima Cena di Leonardo da Vinci, Dario Fo tiene a
Brera una lezione sul Cenacolo alla presenza del
Ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri.
luglio - Spoleto - “Festival dei due mondi” “Lu santo jullare
Françesco”.
agosto .- Dario Fo riceve a Mantova il premio “Arlecchino d’oro”.
16 agosto - Franca Rame riceve a Siracusa il “Premio Vittorini” per
il suo impegno nel teatro e nel sociale.
30 ottobre - Viene consegnata a Franca Rame e a Dario Fo la
“Honorary fellowship” dall’Università inglese di
Wolverhampton per “il loro contributo al teatro
internazionale, per l’universalità e l’umanità della loro
arte insieme all’impegno democratico e politico che li ha
contraddistinti”
4 novembre – La città di Ravenna conferisce a Dario Fo la
cittadinanza onoraria per meriti artistici
12 dicembre - Dario Fo e Franca Rame organizzano insieme ai
comitati dei famigliari delle vittime delle stragi “Il treno
della memoria”: viaggio itinerante con arazzi e sagome
che ricordano le vittime della strategia della tensione,
disegnati da Dario Fo e da studenti di varie accademie
italiane. La manifestazione tocca le città colpite
duramente dalle stragi di Stato: Brescia, Milano,
Bologna, Firenze e Roma. Al termine della
manifestazione Franca Rame e Dario Fo, accompagnati
da una delegazione dei famigliari delle vittime, vengono
79
ricevuti dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi.
Fra gennaio e ottobre 2000, diverse città italiane ospitano
la mostra degli arazzi per ricordare le “stragi di Stato”
2000
21 gennaio –Viene intitolato a Franca Rame e Dario Fo il teatro
comunale di Sinnai in Sardegna.
29 gennaio – Il Comune di Palermo assegna a Franca Rame e Dario
Fo la cittadinanza onoraria.
12 marzo - In occasione della manifestazione “Bambini al Museo”
Dario Fo tiene a Bologna una lezione sul pittore
ferrarese Francesco del Cossa e sul suo dipinto
“Madonna con Bambino fra i Santi Petronio e Giovanni
Evangelista” detto anche Pala dei Mercanti.
8 aprile - Nella rassegna BIG Torino Biennale Arte Emergenza la
Central Experimental Theatre Company di Pechino,
partecipa con “Morte accidentale di un anarchico”
8.maggio - Dario Fo vince tre Premi Molière, prestigioso
riconoscimento assegnatogli a Parigi per l’opera “Morte
accidentale di un anarchico” (miglior autore, migliore
commedia e migliore traduzione in francese ad opera di
Valeria Tasca).
24 giugno - Franca Rame riceve la Laura Honoris Causa della
Harvard University di Cambridge, USA per i suoi meriti
artistici, teatrali, pedagogici e per il suo impegno sociale.
28 giugno - Delphi, Grecia. Dario e Franca sono invitati a
presenziare a un importante convegno internazionale dal
titolo “Da Aristofane a Dario Fo”.
giugno - Franca e Dario ricevono il premio speciale “Salvatori
dell’arte - Pasquale Rotondi” per “…aver sceneggiato
rappresentazioni pittoriche mimandone i contenuti e le
forme, contribuendo così alla loro divulgazione come nel
caso della Lezione sul Cenacolo di Leonardo da Vinci”.
17 luglio - Franca e Dario ricevono a Pesaro, il prestigioso Premio
Flaiano alla “Carriera”
27agosto - Franca e Dario ricevono a Locri “Pinax d’oro”
settembre - Breve tournée negli USA di Franca e Dario con
“Mistero Buffo” e “Sesso? Grazie, tanto per gradire”;
il 19 e 20 alla Wesleyan University nel Middletown-
80
Connecticut: dalla stessa università ricevono un premio
che viene consegnato ogni anno agli artisti teatrali che
lavorano per la comunità mondiale con impegno nel
sociale.
Il 21 sono alla Columbia University di New York.
23 -24 ottobre - Dario Fo tiene a Padova e a Venezia due lezioni
sulla Commedia dell’Arte.
27 ottobre - Dario Fo tiene a Firenze, nella Sala del Cinquecento di
Palazzo Vecchio, una lezione sugli “Autori
contemporanei di Dante Alighieri”.
81
REGIE DI DARIO FO E FRANCA RAME
GLI AMICI DELLA BATTONIERA - Teatro Ridotto di Venezia
CHI RUBA UN PIEDE E' FORTUNATO IN AMORE - Lilla
Theater Helsinki
1967
LA PASSEGGIATA DELLA DOMENICA - di Achard Teatro
Durini di Milano traduzione e riduzione.
1968
ENZO JANNACCI: 22 CANZONI Teatro Odeon Milano
1978
LA STORIA DI UN SOLDATO da HISTOIRE DU SOLDAT - di
I. Strawinskij Teatro alla Scala di Milano
1981
L'OPERA DELLO SGHIGNAZZO -rielab. da J. Gay Teatro
Stabile di Torino
1986
TUTTA CASA, LETTO E CHIESA regia di Franca Rame in
Belgio e Danimarca
1987
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini De Nederlandse
Opera - Amsterdam
1987
GLI ARCANGELI NON GIOCANO A FLIPPER regia Dario Fo
e Franca Rame American Repertory Theater - Cambridge USA
1988
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini Teatro Petruzzelli di
Bari
1989
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini Tournée del T.
Petruzzelli e San Paolo e Rio de Janeiro
1990
IL MEDICO PER FORZA / IL MEDICO VOLANTE - di
Molière Comedie Française - Parigi
1990
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini De Nederlandse
Opera - Amsterdam (Ripresa)
1991
IL MEDICO PER FORZA / IL MEDICO VOLANTE - di Molière
Comedie Française - Parigi
1992
ISABELLA, TRE CARAVELLE E UN CACCIABALLE Centro
Dramatico Nacional - Valencia
1992
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini De Nederlandse
Opera - Amsterdam
(Riprese TV)
1992
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini Opera Garnier Parigi
1994
L'ITALIANA IN ALGERI - G. Rossini Rossini Opera Festival
Pesaro
1994
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini De Nederlandse
Opera - Amsterdam
1996
IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini Israele
(Riallestimento di Arturo Corso)
1997
Opera IL BARBIERE DI SIVIGLIA - di G. Rossini - Svezia
(rimesso in scena da Carlo Barsotti)
FILMS E TRASMISSIONI TELEVISIVE
1952
PAPAVERI E PAPERE di M. Marchesi - film con Franca
Rame -W.
1956
MONETINE DA 5 LIRE - RAI - D. Fo -commedia
1962
1963
82
1956
1961
1962
1976
1977
1978
1978
1981
1988
1989
1989
1989
1989
1990
1991
1991
1993
1998
1999
Scrive il soggetto cinematografico "Lo Svitato" che interpreterà
con Franca
Rame, per la regia di Carlo Lizzani.
CHI L'HA VISTO? -RAI 2 - 6 PUNTATE
CANZONISSIMA 13 PUNTATE -RAI 1Fo, scrive i testi, dirige e presenta con Franca Rame
'Canzonissima', una
delle trasmissioni televisive più
popolari. A causa del contenuto
politico di alcuni
sketches, la trasmissione viene censurata. Dario Fo
e
Franca Rame abbandonano la trasmissione per protesta. Per
questa
scelta subiranno cinque processi e per 15 anni
saranno completamente
esclusi dalla televisione.
IL FANFANI RAPITO -Film.
IL TEATRO DI DARIO FO -RAI 2°- 7 commedie con Dario
Fo e Franca Rame
BUONASERA CON FRANCA RAME -RAI 2- 20 puntate
PARLIAMO DI DONNE -2 puntate con Franca Rame
LA PROFESSIONE DELLA SIGNORA WARREN - F.
RAME - Regia di G.
Albertazzi
TRASMISSIONE FORZATA -RAI 3- con Dario Fo e Franca
Rame
UNA LEPRE CON LA FACCIA DA BAMBINA con Franca
Rame, regia di G.
Serra
UNA GIORNATA QUALUNQUE E COPPIA APERTA - RAI
2 CON Franca
Rame
PROMESSI SPOSI -D. Fo
MUSICA PER VECCHI ANIMALI - D. FO, Film di Stefano
Benni
COPPIA APERTA con Franca Rame - TV Svizzera Italiana
SETTIMO RUBA UN PO' MENO -RAI 2MISTERO BUFFO -RAI 2 con Dario Fo e Franca Rame
RUZZANTE RAI 2
MARINO LIBERO! MARINO E’ INNOCENTE! RAI 3 con
Dario Fo e Franca
Rame
LEONARDO E IL CENACOLO con Dario Fo
NAZIONI IN CUI SONO STATE RAPPRESENTATE
LE OPERE DI DARIO FO E FRANCA
RAME
ARGENTINA
GRECIA
PORTORICO
AUSTRALIA
GROENLANDIA
PORTOGALLO
AUSTRIA
BELGIO Fiammingo
INDIA
INGHILTERRA
ROMANIA
RUSSIA
83
BELGIO Francese
SINGAPORE
BRASILE
BULGARIA
AFRICA
CANADA Francese
CANADA Inglese
SVIZZERA Francese
CECOSLOVACCHIA
SVIZZERA Italiana
CINA
CILE
SVIZZERA Tedesca
CROAZIA
SLOVENIA
COLOMBIA
IRLANDA
MONTECARLO
TAIWAN
COREA DEL SUD
DANIMARCA
SOVIETICA
ESTONIA
URUGUAY
FINLANDIA
FRANCIA
UNGHERIA
GERMANIA
VENEZUELA
GIAPPONE
NORVEGIA
NUOVA GUINEA
TURCHIA
UNIONE
ISLANDA
ISRAELE
SPAGNA
SUD
JUGOSLAVIA
KENIA
SVEZIA
LETTONIA
LUSSEMBURGO
MALTA
SCOZIA
MESSICO
NUOVA ZELANDA
OLANDA
POLONIA
USA
PARAGUAY
PERU'
ZIMBAWE
CITTA' IN CUI SONO STATE ALLESTITE MOSTRE RELATIVE
AL TEATRO DI DARIO FO E FRANCA RAME
ITALIA:
Riccione, Palermo, Pesaro, Forlì, Milano, Bergamo, Cesena,
Venezia,
Cesenatico
(“Pupazzi con rabbia
e sentimento,
1998),Genova (“Pupazzi con rabbia e sentimento”, 1999), Milano
(“Federico Fellini e Dario Fo. Disegni geniali” ,1999. Galleria
Mazzotta. Mostra degli arazzi per 30 anni di stragi di Stato, 2000,
(Società Umanitaria), Mantova (“Mostra dei Tarocchi di Dario
Fo”, 1999), Ravenna (“La vera storia di Ravenna”, 1999.) Galleria
Poggi, Roma (“Pupazzi con rabbia e sentimento”, 1999.)
Università “La Sapienza”, Cagliari (“Mostra iconografica: la vita e
84
l’arte di Dario Fo e Franca Rame”, 2000.) Univerità degli Studi,
Ferrara (“Pupazzi con rabbia e sentimento”, 2000, Castello di
Ferrara.)
SPAGNA: Barcellona, Madrid.
DANIMARCA: Copenhagen.
FINLANDIA: Elsinkij
OLANDA: Amsterdam
FRANCIA: Charles le ville (Parigi)
Alle mostre sono esposti: Dipinti, Maschere, Burattini, Pupazzi, Costumi,
Arazzi, Bozzetti di scena, Macchine sceniche, Appunti di regia,
Fotografie dei vari spettacoli e scenografia.
85
PUBBLICAZIONI
Einaudi vol I: “Gli arcangeli non giocano a flipper”-”Aveva due
pistole con gli occhi bianchi e neri”- “Chi ruba un piede è
fortunato in amore” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol II: “Isabella, tre caravelle e un cacciaballe” - “Settimo
ruba un po’ meno” - “La colpa è sempre del diavolo”
1983 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol III: “Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli
e medi” “L’operaio conosce trecento parole, il padrone
mille, per questo lui è il padrone” “Legami pure che tanto
io spacco tutto lo stesso” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol IV: “Vorrei morire anche stasera se dovessi pensare
che non è servito a niente” “Tutti uniti! Tutti insieme! Ma
scusa quello non è il padrone?” “Fedayn” 1997 Torino
Collana: Struzzi
Einaudi vol V: “Mistero buffo” “Ci ragiono e canto” 1997 Torino
Collana: Struzzi
Einaudi vol VI: “La Marcolfa” “Gli imbianchini non hanno ricordi”
“I tre bravi” “Non tutti i ladri vengono per nuocere” “Un
morto da vendere” “I cadaveri si spediscono e le donne si
spogliano” “L’uomo nudo e l’uomo in frak” “Canzoni e
ballate” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol VII: “Morte accidentale di un anarchico” La signora è
da buttare” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol VIII: “Venticinque monologhi per una donna di Dario
Fo e Franca Rame” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol IX: “Coppia aperta, quasi spalancata” di Dario Fo e
Franca Rame e altre quattordici commedie 1997 Torino
Collana: Struzzi
Einaudi vol X: “Il Papa e la Strega” e altre commedie 1997 Torino
Collana: Struzzi
Einaudi vol XI: “Storia vera di Pietro d’Angera, che alla crociata
non c’era” “L’opera dello sghignazzo” “Quasi per caso
una donna: Elisabetta” 1997 Torino Collana: Struzzi
Einaudi vol XII: “Non si paga! Non si paga!” “La marijuana della
mamma è la più bella” “Dio li fa e poi li accoppa” “Il
braccato” “Zitti! Stiamo precipitando!” “Mamma! I
sanculotti!” 1998 Torino Collana: Struzzi
86
Einaudi vol XIII: “L’eroina” “Grasso è bello!” “Sesso? Grazie,
tanto per gradire” 1998 Torino Collana: Struzzi
Einaudi: “Mistero Buffo” 1997 Torino Collana: tascabile Stile
libero (con video)
Einaudi: “Manuale minimo dell’attore” 1997 Torino Collana:
tascabile Stile libero
Einaudi: “Marino libero! Marino è innocente!” 1998 Torino
Collana: tascabile Stile libero
Einaudi: “Il diavolo con le zinne” 1998 Torino Collana: Collezione
di teatro
Einaudi: “La signora è da buttare” 1977 Torino Collana: Collezione
di teatro
Einaudi: “Morte accidentale di un anarchico” 1982 Torino Collana:
Nuovi Coralli
Einaudi: “Lu Santo Jullàre Françesco” 1999 Torino Collana: Stile
libero (Cofanetto video-libro)
Einaudi: “Gli arcangeli non giocano a flipper” “Aveva due pistole
con gli occhi bianchi e neri” “Chi ruba un piede è
fortunato in amore” “Isabella, tre caravelle e un
cacciaballe” “Setttimo: ruba un po’ meno” “La colpa è
sempre del diavolo” 1966 Torino
Ed Kaos: “Parliamo di donne” 1992 Milano
Ed Kaos: “Fabulazzo” 1997 Milano
Ed Panini: “La vera storia di Ravenna” 1999 Modena
Ed Il Girasole: “La fine del mondo” 1990 Valverde (CT)
Ed Garzanti: “Teatro comico di Dario Fo” 1962 Milano
Ed Giunti: “Johan Padan alla descoverta de le Americhe” 1992
Prato
Ed Garzanti: “Non tutti i ladri vengono per nuocere” 1971 Milano
Ed La Comune: “Parti femminili” “Una giornata qualunque” “Una
coppia aperta” 1987 Milano
Ed La Comune: “Il ratto della Francesca” 1986 Milano
Ed La Comune: “Fabulazzo osceno” 1982 Sesto San Giovanni (MI)
Ed La Comune: “Storia vera di Piero d’Angera, che alla crociata
non c’era” 1981 Milano
Ed La Comune: “Storia della tigre e altre storie” 1980 Milano
Ed La Comune: “L’opera dello sghignazzo” 1982 Milano
Ed La Comune: “Clacson, trombette e pernacchi” 1981 Milano
Ed La Comune: “Titta casa, letto e chiesa” 1981 Milano
Ed La Comune: “Non si paga! Non si paga!” 1974 Milano
87
Ed Bertani (La Comune): “Tutta casa, letto e chiesa” 1978 Verona
Ed Bertani (La Comune): “La marijuana della mamma è la più
bella” 1976 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Non basta una bandiera, dietro ci vuole
un popolo e davanti ci vuole un partito” 1973 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Morte accidentale di un anarchico” 1972
Verona
Ed Bertani (La Comune): “Il Fanfani rapito” 1975 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Ma scusa, quello non è il padrone?”
1972 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Pum, pum! chi è? La polizia!” 1973
Verona
Ed Bertani (La Comune): “La Giullarata” 1975 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Ci ragiono e canto 1” 1972 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Ci ragiono e canto 2” 1972 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Ci ragiono e canto 3” 1973 Verona
Ed Bertani: “Ballate e canzoni” 1974 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Mistero Buffo” 1977 Verona
Ed Bertani (La Comune): “Mistero Buffo” 1973 Verona
Ed Sapere (La Comune): “Morte e resurrezione di un pupazzo”
1971 Varese-Milano
Ed Mondadori: “Gli imbianchini non hanno ricordi” 1977 Milano
Ed Nuova Scena: “L’operaio conosce trecento parole, il padrone
mille, per questo lui è il padrone” 1969 Cremona
Ed Mazzotta: Il teatro politico di Dario Fo “Mistero Buffo”
“Isabella, tre caravelle e un cacciaballe” Franca Rame: da
“Isabella” a “Parliamo di donne” “La sigla televisiva”
1977 Milano
Ed Mazzotta: Il teatro politico di Dario Fo “Compagni senza
censura: “Mistero Buffo” “Legami pure che tanto io
spacco tutto lo stesso” “L’operaio conosce trecento
parole, il padrone mille, per questo lui è il padrone”
“Isabella, tre caravelle e un cacciaballe” “Pum! Pum! Chi
è? La polizia” 1° Volume 1977 Milano
Ed Mazzotta: Il teatro politico di Dario Fo “Compagni senza
censura: “Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non
è il padrone?” “Vorrei morire anche stasera se dovessi
pensare che non è servito a niente” “Morte accidentale di
un anarchico” “Fedayn” 2° volume 1977 Milano
88
Ed Ridotto (Mensile di teatro): “Quasi per caso una donna:
Elisabetta” 1984 Roma
Ed Ridotto (Mensile di teatro): “Dio li fa e poi li accoppa” 1986
Roma
Sipario (Mensile di teatro): “Settimo: ruba un po’ meno 2” 1992
Milano
ATTENZIONE CE NE SONO DUE DI BIOGRAFIE
89
NOTE PER BIOGRAFIA 21-5-93
CAPITOLI CON VARI ARGOMENTI
CARCERE
Da anni, esattamente 15, mi occupo di carceri, processi, difesa dei
diritti civili. Per ottenere permessi di colloquio con i detenuti ho dovuto
fare salti mortali, ogni volta, gabole varie. Arrampicandomi sui muri
della burocrazia giudiziaria, sono riuscita ad entrare in molte carceri
d'Italia, parlare con i detenuti, i direttori, giudici di sorveglianza.Sono
riuscita persino ad entrare e visitare la "famigerata isola del diavolo":
l'Asinara in Sardegna, ed ho conosciutop personalmente il tristemente
famoso dott. Cardullo, direttore del carcere, vera macchina per
l'annientamento psicofisico dei detenuti. Onnipotente Molok, classico
paranoico da studio psichiatrico. (ricordarsi che anche lui è stato messo
sotto inchiesta per ammanchi nell'amministrazione)
Quante sono state le denuncie di orrori, di vere e proppeie torture
perpetrate nelle varie carceri, nelle carceri speciali, braccetti della
morte, manicomi criminali, veri e propri mattatoi degli inermi che ho
portato a conoscienza dell'opinione pubblica. Quante sono state le
campagne, perché i diritti civili degli individui fossero rispettati?
Quanti sono stati gli spettacoli, gli interventi nelle fabbriche che con
Dario abbiamo tenuto in sostegno a lotte rivendicative....
Una chiaccherata con ...
Ancora una volta eccomi qui, con la penna in mano, (si
fa per dire visto che sono al computer), ad occuparmi
Dario: cognome Fo.
Dario Fo oltre ad essere un pittore, scrittore, regista, attore, individuo ,pieno di humor, di gener
carità anche di egoismi come tutti, di umiltà come pochi , ricco di fantasia, astratto come nessuno
mezzo metro sopra al mondo tanto che qualche volta sono costretta a tirarlo per la giacca, pard
pullover, per farlo scendere in terra, e mi spiace; dicevo, oltre essere tutto questo e non so ch
anche mio marito.
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Ci siamo sposati quarant'anni fa, in chiesa. Il fatto straordinario per lui ateo, di essersi sp
chiesa,l'ha messo addirittura in una commedia:"Gli arcangeli non giocano al flipper": "... sposato
per accontentare madre di lei molto credente".
Eravamo emozionati tutti e due, quel giorno lì in Sant'Ambrogio a Milano tra parenti-giornali
fans-curiosi-e tanto riso addosso che chissà che bel risotto avrei potuto fare- e io che piangevo-e
"Nanina (mi chiamava così) non piangere..."- e poi fa cadere la vera e tutti a cercarla-e qu
trovata me la voleva infilare a forza nel dito sbagliato che è dovuto intervenire il vescovo che
sposando ad aiutarlo- e tutti i confetti che mi sono mangiata- e lo spettacolo alla sera lui al Picco
col "Dito nell'occhio" e io in televisione in una trasmissione di Marcello Marchesi di cui non mi
titolo.
Sì eravamo proprio emozionati!
Una emozione che ci siamo tenuti appresso per tutta la nostra vita.
"Ti amo. Non posso stare senza di te -m'ha scritto Dario in un Fax (per quanto astratto s'è ad
tempi) dall'Operà di Parigi dove si trovava per la regia del "Barbiere di Siviglia" in aprile di que
al mondo ci sono stato con te. Tu sei tutta la mia vita."
Dopo quarant'anni di matrimonio, (Dio che spavento! O no?) che non ci siamo accoltellati nemm
volta, una frase così, che so sincera, (anche se come ogni maschio italiano e non, che si risp
disdegna "il superfluo indispensabile", come lo chiama lui, cioè "risate", chiamiamole così, fu
una frase così dicevo "nero su bianco", che fa una moglie? Può forse rifiutare a un amico ed
parole di presentazione ad una libro su suo marito che ha voluto lei? Eh no, non può.
E' buffa la storia di come è nato questo libro: Domenico Rodari, il mio amico editore, mi contatt
mia biografia.
Sì, proprio mia, sulla mia vita ecc. (In genere odio gli eccetera, ma parlando di me, mi stanno ben
"La tua è una storia anomala, sei nata in teatro, reciti da quando avevi otto giorni, hai vissut
uomo così, e così, e così, hai avuto anche un tragitto politico del tutto particolare in anni assai di
il nostro paese, hai da raccontare "perché" hai organizzato, portato avanti per tanti anni il Socco
ai detenuti politici in Italia e all'estero... il sostegno "concreto", lasciando tutto l'incasso delle s
operai in occupazione,(*) gli spettacoli nelle fabbriche, i testi politici, come sono nati, il p
"Morte accidentale di un anarchico" al "Il Fanfani rapito", "La marjuana della mamma è la p
"Non si paga! Non si paga!" - (Ma quando tira il fiato- pensavo) - "Tutta casa letto e chiesa".
devi raccontare tutto quello che ti è successo, la repressione che avete subito, tu in particolare l'h
molto caro il tuo far politica, le bombe che vi hanno messo in Palazzina e in casa, i personagg
conosciuto da Sartre in giù... Sei un pezzo di memoria storica (sì, ha detto proprio così! Me
dette tante, ma memoria storica mai!) Hai il dovere, parlando della tua vita, del vostro lavo
conoscere sopratutto ai giovani una pagina di un periodo buio della nostra storia, di cui non
nessuno. Scrivi! Scrivi! Scrivi!"
Era paonazzo!
E Dario a fargli eco: "Sì, bravo Domenico, insisti! Devi convincerla! Io non ci sono riusci
scrivere! Ha un sacco di cose da raccontare." E poi a me: "Franca sei una lazzarona!!" (Dario mi
spesso e non perché sia un attore comico. "Lazzarona!"Mi si può dire di tutto, ma lazzarona no
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quelle 1O-16 ore giornaliere, anche d'estate e se non ho spettacolo anche di più).
Se mi avrete seguita sin qui, avrete notato l'abbondante uso di virgole, virgolette, punti
esclamativi, parentesi, interrogativi. Stravedo per la punteggiatura.
C'é chi è goloso di gelati, chi di tramonti, amore, viaggi, passerine intese come sesso, canzoni, ma
disperazione, denaro, egoismo, cattiverie, superficialità, miserabilità (vi piace questo termine? Ve lo
di tutti i tipi, leadership, tangenti, arroganza, potere... io sono golosa di punteggiatura. (Orizzonti
La punteggiatura dà il tono di voce al pensiero scritto. Come rende l'umore del momento, un b
esclamativo non lo rende certamente un misero punto. M'è sempre piaciuto il punto esclamati
elementari lo mettevo ovunque, a volte anche ad inizio di frase come gli spagnoli, loro ci mett
l'interrogativo.
A parte gli scherzi questa mia della punteggiature è una deformazione professionale. Il fatto è c
tutto quello che leggo, in chiave di copione teatrale (tanto che sarei tentata di propor
"punteggiatrice" a Pansa e Bocca, due tra i giornalisti che amo e ammiro di più, per rendere i lor
ancora più efficaci). La "decifrazione" di ogni scritto di Dario, da mettere in "bella copia" o per
o per le prove di una nuova commedia, la correzione delle bozze per l'edizioni dei testi, è tu
mia".
Riecco che salta fuori la mia mania di sbattermi giù con tutte le mie insicurezze. Non ci credet
insicura? È così. Sono timida e insicura e in fondo all'anima ho la certezza di essere niente. (L
state pensando che anche voi, in certi momenti vi sentite come me. Lo so. O no?) Per fortuna
convinto del contrario, altrimenti mi sarei già uccisa. Parlo seriamente.
Ora mi ridimensiono. Via, non solo il "a cura" di un testo è a mio carico, ma anche la discussi
validità o meno di una scena, quando addirittura non è dell'intera l'opera. Quando nasce un nu
vivo momenti di grande tensione. D. mi legge tutto quello che scrive pagina dopo pagina. Se ne
per venti ore al giorno attaccato ad un testo, a battere a macchina (ha superato la "Olivetti lett
passato all' Olivetti elettronica!, sempre macchina da scrivere, però, mai computer) con un acca
che dopo tanti anni mi meraviglia sempre, dimenticandosi persino di mangiare. La notte nel l
dorme, pensa così intensamente, che fa rumore. Giuro! Tant'è che da almeno trent'anni dormo con
Ad ogni commedia che scrive gli si imbianchiscono un po' di più i capelli, ed è proprio duro per
volte dovergli dire:" Sì, è molto interessante, ma mi sembra un po' letteraria...", " è un po' lunga..
qui e qui...".
D'altro canto non posso permettermi di cavarmela con un complimento come potrebbe fare uno
che ci passa vicino. I testi che lui scrive dobbiamo poi metterli in scena insieme, quindi n
mentire. Posso sbagliare nel mio giudizio ma, senza presunzione, è capitato raramente.
Mi sono conquistata la sua fiducia dopo "Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri" del 61,
scena al Teatro Odeon di Milano. La chiave della commedia era buona, ma non "volava"
lungaggini sopratutto nel secondo tempo che, come si dice in gergo, si sedeva. "Mi sembra c
qualcosa che non funzioni... io taglierei qui, e qui e qui... qui, invece stringerei... e qui..."
timidamente col copione in mano e i tagli che proponevo ben evidenziati. Era la prima volt
permettevo di esprimere un giudizio su un testo, ero molto imbarazzata e agitata. "Puoi avere rag
io aspetto di provarlo sul pubblico" mi risponde cortese ma fermo, Dario.
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Bene, lui è un Ariete, e gli Arieti sono testardi e io ero troppo giovane per insistere, per impormi.
La serata è andata bene ma gli applausi erano di stima, simpatia, solidarietà... non c'era l'entus
sempre.
Dopo la prima D. è venuto nel mio camerino: "Domani si prova alle due, facciamo i tuoi tagli"
giorno devo fare molta attenzione ad esprimere un giudizio su quello che scrive, se non ci ho "r
sopra. Capace che si blocca e lascia perdere, come è capitato.
Mille complimenti non servono se non sono confermati da me. Ogni mia parola ha un grosso pes
Si fida del mio "rezo occhio" come dice lui,per tutto quello che è teatro.
Devo dire che l'essere diventata così importante per lui mi ripaga delle mille e mille ore spese a
suo lavoro. (Questo che segue si può tagliare, che ne dici? Taglerei. oppure si può aggiung
Sappiami dire.)che ha molte "isole" collegate l'una all'altra da un locomotore se
movimento: io. Quali sono le isole? Quelle dove risiedono i 18 agenti che si occupa
diffusione dei nostri testi all'estero, i traduttori. Quanti sono? Non lo so. A volte lo stesso te
tradotto da più persone.
Il fatto è che questo mestiere lo faccio da tutta la vita, 63 anni, è il "mio mestiere" e lo conosco.
Come lavora Dario? Ha uno studio? Sì, ha uno studio, ma non ci sta mai... lavora davanti alla te
(capace che la tiene anche accesa) seduto su di un divano, scomodissimo, ma lui sta bene così
disagio lo stimola. Chissà. Una prima stesura la "butta giù" (non trovo un termine più aggra
renda l'idea) a mano dove gli capita. In un giorno fortunato su un bel foglio nuovo, tutto bianco
dal "fato" altrimenti può anche essere uno di quei cartoncini grigi che si trovano nelle camicie
uomo che io conservo perché li trovo bellissimi.
Questo però succedeva fino a qualche anno fa, ora usa i quadernoni di Alcatraz, la "libera Univ
ha messo in piedi nostro figlio Jacopo. Per me è una festa! Non devo più rincorrere pezzett
seminati per la casa.
Dove eravamo rimasti? Ah sì: "Sei una lazzarona"e poi ha anche aggiunto "vergognati!".
Forse hanno ragione loro, mi son detta, pensando che anche mio figlio Jacopo da anni mi ripete
cosa, anzi, di più: "Mamma tu non hai bisogno di un testo teatrale, se tu vai in scena e racconti l
tieni la gente inchiodata alla poltrona... li fai piangere e ridere... Mamma, tu sei riuscita a f
parlando di menopausa!"
"Mi avete convinta..."
Qualche giorno dopo ho detto a Domenico:"Intanto che raccolgo le idee per la mia biografia, pe
ti guardi tutto quello che Dario ha scritto, le interviste che ha fatto... Ho tutto in archivio. E' un la
piacerebbe fare a me, ma non ho tempo, c'è un sacco di materiale, sarebbe interessante fare un
riunirlo in un libro. Che ne pensi?" Non ha fatto una piega...
"Sì... possiamo vedere... ma a me interessi tu..."
Era imbarazzato. Se avesse potuto dirmi di no subito senza far la figura del maleducato, l'avreb
Gli l'ho letto negli occhi.
Io sono un dolcissimo Cancro (ma com'è che oggi mi viene di parlare così bene di me?) dolce m
purché non ci sia io di mezzo.
Così l'ho invitato nel mio ufficio, 11 stanze 11, di cui 5 di archivio, (Dario ci è entrato la prima
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anno dopo che l'avevo comperato perchè c'erano stati i ladri e io non ero a Milano) Cosa archivio
Tutto! (Ditemi voi se qui il punto esclamativo non è indispensabile).
La stanza dei manifesti è la numero uno: tutti i manifesti delle nostre turné in Italia e all' ester
delle molte compagnie che sono andate in scena con i nostri testi, nei vari paesi del mondo.
bell'ordine in certi contenitoroni e speriamo che il pavimento regga.
Stanza numero due : manoscritti di testi, chiavi teatrali, testi scritti ma mai rappresentati, articoli
prima stesura dattiloscritta di copioni, le correzioni che via via sono state portate alle varie scen
le repliche, testi stampati da noi (**) o da altri in Italia, la rassegna stampa in ordine di data d
oggi, (i primi 10 anni me li sono incollata tutti da sola), le fotografie di tutti gli spettacoli, le tesi
sul nostro lavoro.
Poi c'è la stanza numero tre: dischi, cassette audio e video, le registrazioni originali delle musi
vari spettacoli, documentazione filmata di spettacoli, manifestazioni, dibattiti, riprese televis
Nella stanza numero quattro ho collocato la sezione estero: i dattiloscritti che ci inviano da oltre
per il benestare alla traduzione, le edizioni di libri stampati in quasi tutte le lingue, la corrispond
gli agenti, i traduttori, i contratti, le fotografie degli spettacoli andati in scena (chiedere dati a
Daniela quante messinscene sono state fatte e altri dati che possono interessare).
Nella n.5 la corrispondenza di 43 anni di vita. Non quella tra me e Dario, quella la tengo in c
Quando scriverò la mia biografia le pubblicherò tutte. Scoprirete un Dario inedito, che nessuno
Lui, che non ha firmato più di cinque assegni in tutta la sua vita, che non sa il costo del pane, n
chiave della cassaforte, tanto che ogni volta che parto mi tocca lasciare una lettera: "caro Dario, i
morte e se me ne andassi in Patagonia per non tornare più, può capitare, sappi che la nostra banc
ci abbiamo pure una cassetta di sicurezza la cui chiave ce l'ha il nostro notaio ecc. ecc. , lu
appena sposati, quando era in turné e io a casa a fare il bambino tra un conato di vomito e l'altro,
ogni giorno una lettera, (mi piaceva molto, ora mi scrive molto raramente e solo in momenti "gr
nostra vita) dove, dopo le parole d'amore mi dava un rendiconto dettagliato degno di un ragio
tutto quello che spendeva: albergo £... cappuccino e brioche £... giornali £.... Giuro che non ho m
perché. Davvero bizzarro ed inimmaginabile questo Dario, no?
Mi rendo conto che divago in continuazione. E' che un pensiero chiama l'altro e m' è venuta add
gran voglia di parlare.
Vi stavo dicendo che ho portato il Domenico nel mio ufficio, tra le cose della mia vita, gli ho
tutto quello che ho archiviato poi gli ho piazzato sul tavolone della stanza dove lavoro, conten
strazzeppi di interviste e manoscritti:"Dacci una guardata... magari qualcosa t'interessa..." gli ho d
Mi sono seduta dietro la mia scrivania che sembravo proprio una business-woman e l'ho lasciat
brodo.
Ora il libro, anzi il librone "storico-antologico" interviste e scritti di Dario, è pronto, la mia
chissà quando lo sarà.
E io qui a fare una chiaccherata con voi per introdurvi a 400 pagine di "chiacchere di Dario
ancora una volta a spendere il mio tempo per il mio maritaccio.
In uno atto unico intitolato "La donna grassa" il personaggio da me interpretato, una donna stra
di ciccia e disperazione, una "sfigata" come tante, sfiancata dalle delusioni, dai fallimenti, dal
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col marito (di cui s'è finalmente liberata), dandosi una "sguardata" ( non è bello, ma rende l'
spalle, parla di sè in questi termini: "Ho sbagliato tutto nella mia vita...Tutto! Colpa della mia m
Perbene... Com'era perbeeeene la mia mamma! Una santa! Guai a parlare di sesso, il sesso in
non esisteva... eravamo fatti come le bambole.. il didietro si chiamava "sedere", il davanti
davanti". E quando sentivo dire "vai a dar via il sedere", non sapevo mai se fosse il didietro o i
Mi ha insegnato tutte cose sbagliate la mia mamma. La più grave? Accettare tutto quello che m
da mio marito senza ribellarmi mai... Sì, urlate, scenate.. "Va via!!!" Che è pericolosissimo
via!"... perché: vanno! Lì, a dedicargli tutta la vita! Insomma ad essere una incrocio tra una pec
gallina... Magari, avanguardia politica... fuori casa. Magari, femminista convinta, fuori casa... Tu
e niente pratica. Una gallina di città! Cocococodè! Ne conoscete anche voi no? Cococococodè!!
applauso delle donne in platea) Quando ci siamo sposati mio marito era un fisico nucleare, an
una fisica nucleare... lavorava lui, lavoravo io... poi sono arrivati i figli... Ho smesso di lavorare.
figli saranno un po' cresciuti riprenderò, mi dicevo. Ma poi... non so com'è, non ce l'ho fatta.
poco, senza accorgermene ho cominciato a lavoravo per lui... l'aiutavo nelle ricerche, gli b
macchina i saggi da pubblicare, i discorsi per le conferenze, i congressi... ai quali lui andav
accompagnato dalla sua "assistente"... Insomma facevo quello che ogni moglie fa, sempre pensa
un po' riprendo..." invece non sono mai riuscita a "schiodarmi" da lui, dalla casa... dai figli.
Nel frattempo mio marito è diventato sempre più importante, così importante da essere anche
per il Nobel... (lo sapevate che Dario è stato proposto per il Nobel? Questo lo sto dicendo a vo
dicevo in scena) A poco a poco è diventato un monumento. I monumenti però hanno bisog
piedestallo su cui posarsi per stare in piedi... bene, sono 4O anni che vivo così:" (mi piegavo in
in avanti tra gli applausi delle donne in platea che si riconoscevano in quella signora, che raccon
storia un po' esasperata certo, ma per mille versi simile a quella di tante donne, simile alla loro...
Yes! Franca, l'ultima schiava bianca.
Ho scherzato un po' sulla nostra vita e ora non so come fare per dirvi due parole seriamente.
Ci provo.
Rileggendo questa raccolta realizzate in quarant'anni da professionisti, d'interviste, scritti, reg
d'interventi tenuti da D. in Italia e all'estero, vedo passare la nostra vita. Il lavoro sotterraneo di
che mi sono sobbarcata per scelta, oggi, con l'uscita di questo libro, parzialmente premia la m
d'archivista, la mia dedizione. Che sia amore?
La vita con un uomo così impegnativo, anche se qualche volta m'ha fatto gridare -non ne poss
stata una buona vita... coerente nel bene e nel male. Raramente banale, piena di tensione, di ans
mano nella mano, di lotte anche dure fianco a fianco e di emozioni... quell'emozione di cui v
all'inizio e che certamente ci resterà incollata addosso anche nei prossimi quarant'anni.
Questo, e solo questo, è quello che conta.
Franca
Forse ho parlato un po' troppo anche di me. Ma "noi" come dice D. "siamo stati al mondo insiem
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* (potete mettere come nota redazionale) "oltre 1 miliardo degli anno 70
** Ho messo in piedi dal 75 una piccolissima casa editrice, pubblico quasi unicamente i
mettiamo in scena, nella quale svolgo tutte le mansioni (che io sia una centralizzatrice? Ma n
vanno dell'aggiornamento del copione rispetto all'ultima rappresentazione in computer, correda
didascalie e foto e documentazione, consegnarlo alla tipografia scegliendo carta caratteri impag
correggere le prime bozze, le seconde, decidere la copertina, se sono fortunata Dario mi dà una
la scelta del colore e il disegno da metterci sopra (quello lo fa subito!). Quando esce il libro, lo
dice "bello!" Credo che non abbia mai sfogliato una delle nostre edizioni. Questo non significa
gliene importi niente. Anzi,gli fa molto piacere vederli ben allineati sul nostro banco di vendita d
spettacoli. "Li h fatti Franca" dice e dentro c'è anche orgoglio per me. (Che piacere mi fa!!) Ma
per lui non avremmo nulla in archivio, nulla stampato, nessun tipo di registrazione. E' fatto cos
interesse per il suo "passato prossimo". Dopo tanti anni di vita in comune, ma sopratutto di
comune, dopo mille arrabbiature per tanta indifferenza verso le sue "cose", sono arrivata alla co
di aver vissuto con l'uomo meno ambizioso della terra. Un testo gli interessa quando nasce
costruirlo, muoverlo. E quando è passato, è passato.
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La punteggiatura serve per dare le intonazione
Se devo essere sincera, non ne posso proprio più. Sono che
oppure fogli usati da una sola parte che io conservo per appunti, colpa della mia mamma
insegnato l'economia. Non ad essere economa, proprio "l'economia".
e il buché di gigli che una "amica" m'ha messo in mano un secondo prima d'entrare in chiesa ch
ho dovuto tenerlo che se avessi potuto me lo sarei mangiato in quanto tutti, meno mia madre
che con D. facevo l'amore da due anni- le nostre mamme che piangevano-
Conosco: i ritmi, i tempi, la sintesi, l'economia, il tutto indispensabile
che ce l'ha uguale il direttore dell'Operà di Parigi IRSCH, che però io l'ho avuta un nove anni
lui, (ne ho una in ogni stanza occupata dai miei collaboratori) perchè mio nipote Galeazzo le
questa faceva parte di uno stock che ho pagato due lire forse me le ha regalate e che invece
quanto l'avrà pagata(!) che sembravo proprio una business-woman
Anche con "Gli arcangeli" l'anno prima, (stagione 59-60) abbiamo avuto grane con i censori
avendo avuto il testo un mesi prima del debutto, pretendevano di imporci dei tagli
dell'anteprima. Come avremmo potuto farcela? Ci siamo rifiutati di portare modifiche al copio
ogni sera venivano due poliziotti in palcoscenico constatavano seguendo lo spettacolo
rispettavamo i tagli, stendevano il loro bel verbale: abbiamo totalizzato in 9 mesi
duecentocinquanta denunce. Un bel record. Poi però, non è successo niente.
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IL PADRE MORTO: IL GIORNO DEL FUNERALE
ricordo le morti di Lina e Enrico
Cercavo il coraggio di toccarlo. Volevo dargli un bacio. Non avevo mai
osato farlo in tutta la mia vita. Per pudore. Per timidezza. Ho allungato
una mano, incerta, per arrivare alla sua.Quando l'ho sentita sotto le dita,
ho avuto l'impulso di ritirarla. No, è tuo padre, pìoi non o verai più.Ho
vinto la repulsione e sono rimasta lì, padrona, sulla sua mano di marmo:
ho toccato la morte. Ci ho preso confidenza. poi un bacio lieve su una
guancia e finalmente ho pianto seduta vicino a lui. Quante cose mi sono
venute in mente, fatti dimenticati nella memoria.
Con mia sorella Lina è stato diverso ero adulta: 40 anni. Mi sono
occupata di ogni cosa, dalle coroni di fiori alla scelta della bara: raso
bianco trapuntato. E ricevere gli amici, i conoscenti, e parlare.
Anche in quel caso, le sono rimasta vicina, da sola. La guardavo. Triste
da viva, incazzata da morta per via di una vita vissuta con un marito
ignorante e rozzo che l'aveva spesso umiliata. La sua vita senza gioie mi
passava innanzi. E al dolore per la sua perdita mi cresceva dentro la
rabbia di non essere riuscita a strapparla da una inutile condizione di
sottomissione, di abbozzare, di non coraggio.
Di quando in quando il commento banale di qualcuno che entrava:
"pare che sorrida". Macché imbecille, è il freddo che le tira la faccia.
Negli ultimi anni non ha mai sorriso.
E' stato lì che ho giurato a me stessa che nessuno m'avrebbe vista da
morta.
Di mio fratello ho visto solo la bara già chiusa in partenza per l'Italia da
N.Y.
Che bizzarria questa di mio fratello di venirle a morire tanto lontano da
casa. Lui, che da vivo non avrebbe mai disturbato nessuno, da morto s'è
trovato al centro di una difficoltà dietro l'altra.
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Dario e io stavamo effettuando una turné negli Stati Uniti. Il debutto a
N.Y. era importante, parenti e amici erano tutti lì per farci festa. La sera
prima avevamo cenato insieme. "Domani andiamo a vedere...." fa a Pia,
ci vediamo alle sei. Arrivano le sei, le sei e trenta... niente. Enrico non
si vede. Telefoniamo all'Hotel. "Siete dei parenti?" - "Sì." - "E' morto."
E' uno scherzo? No, era morto davvero. Nel sonno. Una cameriera l'ha
trovato. Dario, con un giornalista si precipita all'hotel.
Io non potevo accompagnarli: avevo lo spettacolo dopo un ora. Non ho
recitato molto bene quella sera. Ho anche maledetto questo lavoro.
IL 68
Nell'autunno del 68 decidiamo di abbandonare il circuito teatrale
tradizionale, ufficiale e mettere a disposizione il nostro lavoro, la nostra
vita (e non sto enfatizzando) con un impegno diretto di quella parte di
pubblico che normalmente viene ignorata dal teatro ufficiale: operai,
casalinghe, studenti, contadini. Pubblico che solo in questi ultimi anni
viene intruppato e portato con pulman nei teatri del centro, organizzati
da Cral e Sindacato. Riprendendo la tradizione di mio padre portiamo il
nostro teatro in piccoli centri, nei quartieri periferici, nelle fabbriche
occupate, nei palazzetti dello sport. Insomma, decidiamo di metterci a
disposizione della classe alla quale sentivamo di appartenere. il
promletariato. Detto oggi, così, a distanza di anni suona un po'
tromboneggiante, allora no. Suonava bene. Otteniamo una risposta
straordinaria: una folla di giovani, studenti, operai ragazze, donne sono
ogni sera presenti. In qualsiasi posto si svolga lo spettacolo i locali sono
gremiti all'inverosimile. Nei palazzetti dello sport, ci abbiamo messo
anche 12 mila persone.
Che testi recitavamo? Il quotidiano. La vita della gente, le difficoltà. Il
materiale lo trovavamo a iosa. Erano tempi brutti. Gli incasi spesso
vanno a fabbriche in occupazione, che grazie alla sopravvivenza cjhe
gli è garantita dagli spettacoli, in certi casi, come per la Sampas di
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Milano, tengono duro e alla fine vincono la sentenza col padrone.
(ricevute fabbriche).
Quando Dario mi ha proposto di lasciare le strutture tradizionali e di
portare il nostro teatro per "boschi" non mi diceva niente di nuovo, per
tanto l'avevop fatto con mio padre.
Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente
lungo la mia vita: rabbia, paura angoscia, commozione, meraviglia,
furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi... inaspettate,
inaudite, così i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazioni,
quello che sto provando ora, non c'e.
Rossella (tra le moltissime donne incontrate è un'amica che non ho
perso per strada) m'ha regalato un libro "Le lettere del mio nome" di
Grazia Livi, "é importante, leggilo".
Il titolo cosi ermetico non mi sollecita.
Leggo in contro-copertina la presentazione dell'editore: "Il tema
appasionato di questo romanzo-saggio é il divenire della donna". Mi
blocco. Oddio, ci risiamo. La solita "menata" femminista socialpolitica,
scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti,
esibenti, compiaciute dello sfoggiar "cultura", usanti un linguaggio da
100
casta per "quella" casta, senza la minima preoccupazione di essere
capite da chi aveva (sto parlando degli anni 70 in cui la donna cercava
di crescere e di "liberarsi") la necessità urgente di capire, protese a
correre una più dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo
posto, dirigere, liderscippare un po' arroganti o troppo offensivamente
accondiscendenti, che gridavano "siamo sorelle" e in nome della
sorellanza alla prima occasione ti fregavano. Esagero?
Sì.
Ma ho visto e conosciuto molte donne troppo simili all'uomo nel loro
modo di essere, parlo delle intellettuali, che esprimevano
comportamenti che ho sempre rifiutato.
Parto a leggere indifferente e diffidente. Qualche pagina e poi smetto,
mi dico. E invece no, qualche pagina e ci sono dentro. Ma questa chi é?
La conosco? Non lo so. Conosco tanta gente, ma i nomi non me li
ricordo, di molti non li ho nemmeno saputi.
M'ha tirato dentro la chiarezza, ne facile ne semplicistica, seppur colta
con cui ti racconta la vita, le scelte, le fatiche la crescita di un
personaggio-donna, come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera,
meticolosa delicata, mai invadente, umile, poetica quel tanto che non
disturba, è una magnifica scrittura, priva di
elucubrazioni
intellettualistiche, priva di fronzoli, con una gran sintesi.
Di ogni donna di cui parla, ti presenta le più remote sensazioni, ogni
personaggio è da lei scandagliare nel profondo, c'è tutto quello che
hanno detto gli altri e quello che ne hanno scritto, i sentimenti, i dolori,
le insicurezze, le certezze e molto altro che ora non mi riesce di
esprimere. Poche pagine te ne dà l'essenza.Ecco Simone De
Beauvoir.NON mi é mai stata completamente simpatica.A volte m'é
capitato di giudicare qualche sua scelta egoista.Il suo evidente essere
una intellettuale aristocratica m'e l'ha sempre allontanata.In casa di
Sartre a Parigi, dopo un girar di chiavi nella toppa ce la siamo trovata
davanti:borsa della spesa in mano, fazzoletto in testa .Ha lanciato
101
un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in cucina.Dario ed io ci siamo
guardati interdetti, "e questa chi é?" Sartre, come un bambino scoperto
a rubare la marmellata, ha spento la sigaretta o il sigaro, non ricordo,
"Simon..", ha mormorato.Ah, era lei! Dario meno, ma io ci sono rimasta
un po' male.forse credevo che il fatto di essere una donna mi desse il
diritto ad un saluto.Ma ora, la Simon, del ragionato-Livi é una donna
che capisco e ammiro di più.Altre biografie di donne. Leggere,
conoscere, approfondire, passare il tempo con loro, con la loro forza, la
loro caparbietà persistenza, lucidità, intelligenza, sapere, donne che
sono riuscite ad emergere dallo sterminato femminile sommerso, in un
modo al maschile, mi costringe ad interrompere la lettura e a
ragionarmi addosso.Il mio "dentro"s'é messo in movimento e non riesco
a bloccarlo.Mi sento come se queste signore abbiano espresso, pensieri
miei, situazioni mie; insicurezze, certezze, domande, scelte mie. Mi
sento "loro", e allo steso tempo le sento discoste da me, lontano, in
alto,
irraggiungibili. Sono confusa.Confusa, a disagio, turbata,
scombussolate. Di colpo mi sento come se non avessi mai pensato.Non
ho visto, non ho notato, non ho desiderato.Mi sento addosso il peso di
non essermi mai sentita in lizza con nessuno, non perché mancasse la
gara, figuriamoci!, ma perché ero certa di non averne i numeri, le
capacità per poter partecipare. Mi sembra di essere passata tra le cose
senza emozione.Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa
per me .Già arresa, prima di essere vinta.Mi sento come se in questa
mia frenetica vita non avessi vissuto.Mi sento inutile, banale, vuota
come un libro rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in
calce.I giorni della mia vita :22.630 , sessantadue anni. Quanti!
Appresso, nessun bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara
Grazia Livi.Possibile? E' così.Sento l'esigenza di esprimermi, di
puntualizzarmi, di cercarmi.Oh mio dio, cos'è, sto cercando me
stessa?..Il mio io?..Ci ho tanto ironizzato sopra nei nostri
spettacoli...Ma ora qualcosa di concreto mi urge.Devo fissare qualche
102
punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente
vuoto, come se per tutti questi anni, e sono tanti, non avessi
vissuto,
lavorato incontrato gente,
parlato,
riso, fatto all'amore,
pianto.Niente.Non mi viene niente.Ho la testa pressata da pensieri
confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra tanto disordine non riesco a
trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare
con un minimo di coerenza.Forse potrei partire dalla prima grande
emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori".Li
avevamo visti sui camions il pomeriggio, intorno per la città.Erano
arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e
sigarette.Arrossisco al pensiero di essermi buttata con gli altri per
tentare di raccogliere qualcosa.La sera, nel cortile di casa mia, gran
festa.Un giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra
buia del primo piano, casa mia. Più che vederla, l'intuisco: mia madre é
lì, ci sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio
fratello deportato in campo di concentramento in Germania, non dà
notizie da oltre due anni.In un attimo le sono vicina vergognandomi
della mia allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che
grida, grida seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché
le gambe non la reggono.Si stringe addosso il figlio, pallido, magro,
impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi.Quel gridare
intenso che esprimeva gioia,
l'ho sentito identico molto anni
dopo(1973) in circostanza ben diversa , per dolore e
drammaticità.Ancora seduta, su di una sedia ora, con la testa buttata
all' indietro, grida senza controllo, come allora, dopo che ha indovinato
più dalla mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina
era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di
Varese, con i fascisti che entrano in classe, in silenzio ci guardano a
103
una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano
nello studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma
ma avevo paure che tutti potessero sentire il battito del mio cuore.
Pensavo, ora mi portano a "Villa triste.."Villa triste era una villetta
all'inizio della strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo
sapevano , venivano interrogati e torturati i partigiani. Ma io, non
sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto
niente."Stai tranquilla, mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla
prima domanda ho capito tutto.E il cuore a battere più forte."Forse
muoio"."Conosci Enrico Mazzucchetti?
"Si", "Dov'é?""Non lo
so".Enrico, detto Bubi, era il mio amore dei quindici anni: il
primo."non lo vedo da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma
qualche giorno prima l'avevo visto, era venuto sotta casa mia a darmi
dei baci. Dio mio, che era successo?"Allora?"Erano minacciosi."Non lo
vedo più, ci siamo lasciati da un sacco di tempo."Lì, nello studio del
preside mi hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva
convinti.Poi mi hanno lasciata andare.Non ricordo altro.Mi sono
ritrovata in classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate."Sei
una incosciente, sei una disgraziata.Se lo viene a sapere tuo padre ti
ammazza e fa bene.E con il cuore mi accarezzavo il biglietto piegato in
quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a "villa triste",
dopo essermelo imparato a memoria la mattina andando a
scuola.Incoscienza, più che coscienza politica.
I GIORNALI
Nei primi 18 anni della mia vita, non ho mai letto un giornale.E questo
che c'entra?Nulla.Sto cercando di tirar fuori fatti lontani, che
disordinatamente affiorano al mio cervello vuoto
Non ho mai letto i giornali.Lo dico con meraviglia.Possibile?In casa
mia c'erano, la mia era una famiglia socialista quando esserlo costava
qualche cosa.Si pagava, senza ricevere nulla in cambio:con quella
tessera in tasca allora carriera o posti di comando, non ne ricevevi.I
104
giornali c'erano, li toccavo quando li raccoglievo da terra dopo che mio
padre li aveva letti.(incredibile quanto mio marito assomigli a mio
padre:anche lui, li butta per terra!)per riporli o buttarli, ma io sono
sicura di non averne mai aperto uno fino ad un certo giorno.cioè
quando sono andata a sbattere con la mia bicicletta addosso ad una
Topolino (in realtà gli ho sfiorato un parafango).La reazione del
"guidante" è terribile e immediata e assolutamente fuori posto/"Ecco chi
rovina l'Italia!""No, guardi io..""Silenzio!Voi giovani che
delegate.Delegate e non leggete i giornali!".Allibita, senza parole.E' da
quel giorno che dei giornali leggo tutto..dalle inserzioni agli annunci
mortuari.Grazie isterico signore della topolino.Grazie.
Forse ora posso correre all'inizio della mia vita.
1932_ "E' ora che Franca incominci a recitare."è mia madre che parla.
La prima parte che ho imparato a memoria, me l'ha insegnata lei,
"bocca a bocca", così si diceva a casa mia, mot- a mot, parola per
parola. Non sapevo leggere .Avevo tre anni.. Aveva deciso (era sempre
lei che prendeva le decisioni importanti in famiglia) che avrei fatto un
angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva recitato da mia sorella
Pia in "la passione del Signore"atto V, orto dei Gezzemani.."Pentiti
Giuda traditore che per trenta monete d'argento hai venduto il tuo
Signore! Pentiti !pentiti! "dovevo gridare di quando in quando. La parte
non era lunga.. non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!"e
ancora e ancora."ripeti" diceva la mia mamma paziente mentre pelava
le patate per il minestrone."Ripeti!"Mia madre per i suoi figli era
ambiziosissima .Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito
bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle
spalle. seppur credente non andava mai in chiesa ma aveva uno zio
prete.Lei, lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti così! Mio
padre, ormai entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di
lampadine .E' ora d'andare in scena e tutti:"ma che bell'angiolino!Ma
che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda.Non avevo fatto
105
nessuna prova.Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire
mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma
sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti Giuda "e quel che
segue.Il guaio, l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva
immaginare fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio
Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che mi
raccontava storie bellissime, mi regalava un sacco di divertimenti, al
quale volevo molto bene e vedermelo lì, proprio vicino vicino, con una
parruccaccia nera in testa..gli occhi che lanciavano saette tra un tuonar
e lampeggiar minaccioso , che disperato gridava:"possano i corvi
divorarmi le budella , le aquile strapparmi gli occhi !" e altri animali
che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad incominciare
dalla lingua" , mi fece un terribile effetto.Mamma mia che spavento!
Cosa stava capitando?!Ero stravolta, me lo ricordo benissimo.Ma quello
che mi buttò completamente fuori, fu il vedere mia sorella , solitamente
rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gli e ne stava dicendo di
tutti i colori!Una sfuriata in piena regola e che trascinavano il nostro
povero zio in una disperazione sempre più nera."Ma cosa sta
capitando?Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo che mi sentivo in
gola stava per scoppiare;Mia madre dalla quinta mi faceva gesti più che
perentori.Giuro che avrei potuto parlare, ma non me la sentivo proprio
di rincarare la dose.No, io no, allo zio Tommaso .non dico proprio un
bel niente.!Non so cosa gli sia capitato.Forse è impazzito." Anzi.A
piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli,
seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e
gridava più che mai.Dio che paura!Senza dire una parola mi sono
arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di
baci.Insomma cercavo con i mezzi che avevo a disposizione, di
calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.Pia s'è
ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano
niente di buono..Lo zio-Giuda si blocca per non più di tre secondi, lo
106
giuro.e poi con voce profonda (intanto con la mano mi solleticava la
mia e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) dice:"Dio, sei
grande!A
QUEST'ORRENDO
PECCATORE
MANDI
IL
CONFORTO..un piccolo angelo..mi tendi la mano..No, no, non me lo
merito!-e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia
corto-M'impicco!".Deve usare un po' di forza per liberarsi da me che
proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare.Grida:"L'albero più
alto..dov'è l'albero più alto..Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e
con un urlo agghiacciante esce di scena.Mia sorella(l'unica volta nella
sua vita , credo)non sapendo più che fare, camminando anche lei sulle
punte, immediatamente lo segue.Grande applauso.Tutti mi chiamano in
quinta con grandi cenni.Non so se la paura d'essere sgridata o il "senso
del dovere" che maledizione da che sono nata è lì, a spingermi( a
pigiarmi ) la coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio con
voce chiara e mesta quel tanto che serve dico"S'impicca! Non s'è
pentito..Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il
suo Signore..Non s'è pentito!" e via che esco..Ce l'avevo fatta:l'avevo
detta tutta! Da allora in poi, "la passione del Signore" ha sempre avuto
due
angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la
grandezza di Dio.E tutti giù a piangere.
A 5 anni:"gli spazzacamini della valle d'Aosta.Com'è che succedeva?
Come arrivavo la prima volta in scena con un personaggio che non
avevo mai interpretato prima? Non me lo ricordo, ma so con certezza
di non aver mai provato prima di un nuovo spettacolo.La parte come
sempre fino a che ho
4 imparato a leggere, me la insegnava la mia mamma, la imparavo
velocissimamente , era come se la sapessi già.Anzi, la sapevo
già.Quante volte mi ero addormentata nella cassa dei costumi, o nella
bara di Giulietta quella del Romeo, o in qualsiasi altro posto che mi
permettesse di addormentarmi, mentre i miei recitavano una sera dopo
107
l'altra?"Gli spazzacamini" un drammone.Gino, (io, )il protagonista,
figlio di una povera ma bella incintata e poi abbandonata dal figlio del
conte..vengo, a causa della miseria in cui nascono quasi sempre quelle
incintate dai "contini", NONOSTANTE LA TENERA età affidato ad
un "mercante di carne umana"!, un delinquente che specula sui
bambini che gli vengono affidati, mandandoli spesso a morire nel
tentativo di pulire, in quanto smilzi e denutriti (quanto piangeva la
gente!) la cappa di un camino.E' quando, la mia mamma che per fortuna
era venuta a trovarmi a Torino col mio nonno sennò chissà come
avrebbe mai fatto a tornarsene a casa, crede che il suo Gino sia morto
nella cappa del camino "Oh che tremendo dolore!" e via che
Impazzisce. La ragazza in questione era proprio sfigata.Ma il suo GIno,
che quel giorno lì in quanto ammalato, era stato sostituito nel lavoro da
un compagno, certo Carletto, che muore al suo posto. (Mai essere
generosi!) Questa è per Gino una giornata davvero fortunata.Il vecchio
conte è schiattato nel frattempo, ed il contino, vale a dire il suo papà,
decide in quanto sempre innamorato della mia mamma, di riparare al
malfatto e di sposarla.Ci sono un po' di problemi per far rinsavire la
povera ma onesta sfigata, ma alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime
e singhiozzi e applausi.5 atti, con la comica finale per non mandare a
casa la gente con il magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si
basava su trame semplici e stringate, TEATRO POPOLARE appunto,
nella tradizione della COMMEDIA DELL'ARTE , completamente
opposto al teatro letterario e naturalista messo in scena dalle grandi e
illustri compagnie che agivano nelle grandi città e imitato in tutto il suo
negativo dalle piccole compagnie , come la nostra , che agiva no in
provincia.Il nostro successo stava tutto in questa differenza.Il nostro
repertorio era vastissimo: dalle più famose tragedie di Shakespeare ai
drammmoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei
tempi (Niccodemi, Giacosa, Rosso di San Secondo, alle comiche
108
finali. Il tutto senza aver mai studiato una parte a memoria su di un
copione. Non esistevano copioni di testi teatrali veri e propri, ma una
specie di canovacci e per molti testi non esisteva nemmeno il
canovaccio. Ce li avevamo nella testa da sempre. Eravamo bravi?Non
lo so.So solo che i teatri eran( sempre pieni, che si lavorava tutti i
giorni, si riposava solo il venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre.O
se c'era il funerale di un defunto importante del paese:il prefetto, il
sindaco, il dottore, il prete il farmacista.E quando in un paese avevamo
fatto tutto il nostro repertorio, (replicato 6 sere la Giulietta, 6 la
passione, "il povero fornaretto di Venezia e non mi ricordo più quali
altri drammoni avessero successo)mio padre o mio zio, si leggevano un
romanzo, ci riunivano e ce lo raccontavano."Tu fai questo, tu questo e
tu questo., .e via che il giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte
laterali, in bella calligrafia, la scaletta dei punti chiave, il susseguirsi
degli avvenimenti.
"L'assassino del corriere di Lione" .Scena PRIMA:
la ragazza s'incontra col padre, che non aveva mai conosciuto , partito
povero , tanti anni addietro, torna ricco, riempie la ragazza di doni, ma
lei non riesce a sentire nulla per lui, anzi solo repulsione.
Manifestare freddezza e imbarazzo.Ricordarsi che la madre è morta.
Scena seconda:un uomo(lo stesso attore che interpreta il personaggio
del padre) languisce in una cella, è un innocente caduto in un errore
giudiziario terribile.Accenni all'assassinio di un corriere a
Lione.Accenni alla moglie morta e alla piccola bimba lasciate al
paese.Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà:il buono premiato con la libertà e
l'onore restituito mentre il cattivo (fratello gemello del buono),
smascherato da una collana rubata al corriere di Lione, sarà punito con
la forca.Gaudio e felicità. Ricordarsi della madre morta.
Comica finale.Non c'è personaggio nel repertorio della mia famiglia che
a secondo dell'età non abbia interpretato.Neonati(8 giorni in braccio
109
alla mia mamma-in la Genoveffa di Brabante), bambini o bambine,
ragazzini signorine, giovanotti, suore, cortigiane, prostitute.Una volta
ho fatto persino, il cuciniere Dracco. La storia nel ricordo, mi fa ancora
ridere.Ero cresciuta e la Genoveffa(che dio la maledica, quanto ho
odiato sta noiosa!) ora la facevo io.Giovane e bella moglie del re alla
guerra, sola nella raggia viene insidiata da Golo, un primo ministro
della situazione, che lei respinge furente e offesa. La donna giovane
donna decide di inviare una missiva al marito tramite il cuciniero
Dracco:l'unico che a corte le sia rimasto fedele. per avvertirlo del
tradimento del suo braccio destro."Torna o mio dolce sposo, torna! che
quel maialone del Golo vuole fare con me, proprio quella cosa là!"
Golo che è sempre lì a origliare , scopre tutto e zak!, pugnala il
poveraccio e manda a dire al re che Genoveffa è incinta del
cuciniero."Ti ha tradito o mio re, che vergogna con un cuciniero!"Il re
ci casca, fuori dalla grazia di dio "un cuciniero no!"ordina il taglio
della testa della la fedifraga e anche del bambino nato nel frattempo.
(TRANQUILLI CHE POI TUTTO , COME SEMPRE, FINISCE IN
GLORIA ) Arriviamo sulla piazza e ci rendiamo conto che ci manca
l'attore che avrebbe dovuto
interpretare il ruoli del cuciniero
.D'accordo, sono due parole che si possono anche tagliare, ma
fisicamente deve essere in scena.Ci ragioniamo sopra un attimo per
vedere come risolvere. Bene.Ci siamo.Facciamo
così.Al momento
cruciale, vado alla quinta di destra.Il perfido Golo mi spia dalla quinta
di sinistra. Parlo, guardando fuori scena con il cuciniere che non c'è,
fingo di consegnargli il messaggio e poi, affranta, esco. Velocissimi
mi mettono sulle spalle un mantellaccio con capuccio, che mi copre
dalla testa ai piedi.Rientro in scena con la missiva bene in evidenza in
mano, faccio qualche passo come se ora io parlassi a Genoveffa, Golo si
precipita su di me"muori, spione di un cuciniero!E via che mi
pugnala.Cado morta.Golo mi trascina fuori scena a sinistra, cioè dalla
parte opposta da cui sono entrata. Mi tolgono il mantello, mi raddrizzo
110
la parrucca bionda dalle lunghe trecce, corro velocissima dall'altra
parte.Rientro in scena e vedo Golo che pulisce il pugnale assassino nel
mantellaccio che indossavo fino ad un secondo fa."L'avete
ucciso!Assassino!!"Ansimo un pò, per via della corsa, ma sono
perfettamente in parte e nessuno s'è accorto di niente.Noi eravamo in
grado di andare in scena senza prova alcuna, con un testo nuovo
allestito di sana pianta.Arrivavamo ad esempio in una piazza nel giorno
in cui in paese si festeggiava la santa patrona, ebbene, debuttavamo
con la storia di quella santa sulla quale mio padre e mio zio avevano
giorni prima letto e ascoltato dalla gente, vita morte e miracoli.Avevano
riunito la compagnia, raccontato a sommi capi l'intreccio, distribuiti i
ruoli se i costumi adatti non c'erano si rimediavano, e via che si
debuttava.Senza prove.Se si confronta con i 90 o addirittura i 180
giorni di prova delle compagnie di oggi..Ma certo che allora,
sovvenzioni ministeriali o regionali o provinciali o comunali, non ce ne
erano, quindi giocando sui soldi tuoi, ti dovevi sbrigare eccome.
L'unico posto, luogo dove io mi senta a mio agio è il palcoscenico.No,
non per via:ama la polvere del palcoscenico.No.Sono allergica alla
polvere, alle banalità, alla rettorica.Sto bene in palcoscenico perchè è
casa mia.In qualsiasi città mi trovi, quando sono in teatro sono a
casa.Entrando nella hall di un teatro, non m'è mai capitato di dovere
chiedere"scusi, dov'è il palcoscenico?"Conosco automaticamente la
strada, dove sono i camerini, il gabinetto."Ma ci sei già stata qui?""No,
è la prima volta""Non ti credo""Sì, forse ci sono già stata".Sto bene
nei camerini, anche se squallidi.No, non li addobbo con sete
colorate.L'ho fatto qualche volta..senza accorgermi andavo dietro
all'onda, voglio dire alle usanze degli attori..ma erano 100 anni fa.Poi
ho scoperto che non mi ci trovavo con QUEGLI addobbi intorno, non
sentivo il bisogno di ricostruirmi il "salotto"di casa mia, anche se il
camerino era un cesso.E DIO sa quanti camerini "cesso" trovano gli
attori nei teatri e nei cinema di casa nostra.L'unica cosa alla quale non
111
rinuncio è la luce."Lino!!(è il tecnico delle luci) La luce"Lino arriva e
mi piazza certi 5OO da accecare.Io ci sto bene. La luce e il mio baule,
ora i miei bauli..Mi piacciono i miei bauli.E' un classico baule armadio
d'attori, verde fuori a fiorellini l'interno.Ci sono i cassetti e nei cassetti
di tutto:golf, libri, fogli, macchina da scrivere-computer, pennarelli,
lettere e cianferi d'ogni genere.Il primo baule della mia vita l'ho
comperato a rate nel 51, non appena arrivava in compagnia
primaria.Dentro non c'era quasi niente, ma quel sacramento , che si apre
all'impiedi dividendosi in due e diventa un armadio, con cassetti e
reparto per i cappotti, con tanto di targhetta in metallo con il mio nome,
mi dava una gran sicurezza.Per la verità era una sicurezza del tutto
speciale:la sicurezza di avere anch'io il baule come tutti gli altri.Credo
che quella sia stata l'unica sicurezza di quegli anni e per molti anni
dopo.Credo anche di essere la persona più insicura che io conosca.Il
mio baule, il suo contenuto, il camerino il palcoscenico:sono a casa. Io
non mi considero un'attrice.Sono "anche " un'attrice.In casa mia ho
imparato tutto quello che può servire
per poter fare questo
lavoro:attrice, elettricista, fonico, costumista, trovarobe, direttore di
scena, servo di scena, piazzare le
luci, suggerire, sarta, vendere i
biglietti, truccare, pettinare, ballare, cantare (sono un po' troppo
timida, seppur molto intonata!Me l'ha detto 10 -14 Giovanna Marini, e
se lo dice lei..)la ricerca delle piazza l'amministratore, fare un borderò,
(ora è però diventato difficilissimo)I miei avevano addirittura una
propria tipografia dove si stampavano i manifestini, insomma i
volantini di adesso.Avevamo centinaia di scene belissime, dipinte da un
pittore della Scala, Lualdi che veniva a passare le sue vacanze da noi,
ogni tanto, le rinfrescavamo tutti insieme.Ogni giorno cambiavamo
piazza, (dico piazza per dire "paese, non recitavamo in piazza ma in
locali chiusi, teatri, cinema, oratori, quindi ogni giorno si dovevano
montare
scene
e
luci.Anche
i
nostri
costumi
erano
belli.Figuriamoci!Mio padre, tramite l'amico Lualdi, li comperava in
112
blocco dal Teatro della Scala.E se per un nuovo testo mancava qualche
costume, ce lo facevamo in quattro e quattrotto.Mia madre, maestra
diciottenne, figlia dell'ingegnere del comune dove risiedeva(Bobbio) e
di una casalinga si era innamorata di questo "girovago
marionettista"che un giorno era passato di lì, e con grande scandalo
dalla famiglia-(povera come l'acqua, ma di una classe sociale superiore
a quella di mio padre)e del paese se l'era sposato.Mia madre, era
bellissima
e
quando
dico
bellissima
voglio
proprio
dire"bellissima"senza artificio alcuno.
Nessuno di noi, quattro figli, pur assomigliandole, s'è avvicinato a
tanto;Bellissima, giovane, innamorata, aiuta Domenico (il marito)e
Tommaso (fratello del marito e Stella, (sorella del marito)in tutto quello
che può .Cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto
diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno.Non sa
manovrare le marionette, ma si ingegna a vestirle.Poi, più avanti, dirà
qualche battuta.Con l'avvento del cinema (1920)) i due fratelli
intuiscono che "il teatro delle marionette" sarà presto messo in crisi,
subissato, da questo nuovo fantastico mezzo di spettacolo. Decidono un
cambiamento radicale(con grande dolore del nonno Pio, un amate di
Garibaldi, l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e
somigliante all'eroe!)"Entreremo in scena noi, al posto delle marionette,
reciteremo noi inostri spettacoli"Così mio padre con la propria famiglia
aggiunta alla famiglia di mio zio Tommaso si sostituiscono ai pupazzi
di legno, vere e proprie sculture, tre delle quali sono esposte al Museo
del teatro della Scala di Milano.E quando inizieranno a recitare di"
persona", a portare loro stessi in palcoscenico i testi, i personaggi che
avevano fino allora interpretato muovendo e doppiando pupazzi di
legno, lei, la mia mamma
, diventa la prima attrice della
compagnia.Un'attrice che di giorno tirava su i figli, li faceva studiare, si
occupava della casa, e come una più che provetta casalinga( a tutti gli
effetti)teneva l'amministrazione della compagnia come fosse quella di
113
un normale menage familiare, si occupava dei costumi, aveva imparato
pure a cucire, e alla sera, via!, E Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca, e
la Fantina dei Miserabili, tutti ruoli che via via, abbiamo interpretato
anche noi figlie e le cugine Ines e Lucia.Percorro così l'apprendistato
dei teatranti interpretando via via che cresco, tutti i ruoli maschili e
femminili adatti alla mia età.Il vantaggio della compagnia di mio padre
rispetto alle altre compagnie di giro, (così si chiamavano le piccole
compagnie di provincia) è l'invenzione di impiegare tutti i trucchi
scenici del teatro magico delle marionette, nel "teatro di
persona"":montagne che si spaccano in quattro a vista, palazzi che
crollano, un treno che appariva piccolissimo lassù nella montagna e
che man mano che scendeva s'ingrandiva fino ad entrare in scena con il
muso della locomotiva a grandezza naturale.Mari in tempesta, nubi che
solcavano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che volava.scene
in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come
era il paradiso.Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro
seicentesco dei Bibbiena, che viveva ancora, dentro la scenotecnica
delle marionette.soltanto che in quel teatro tutto era stato
miniaturizzato, si trattava adesso di eseguire una operazione da Gulliver
alla rovescia:da minuto che era ingrandire ogni oggetto, aggeggio,
marchingegno fino a renderlo identico alla realtà.In questa nuova
veste"il teatro di persona" la compagnia di mio padre realizza un
successo insperato.Si lavora come sempre a tempo pieno.Mio padre , il
capo, con il ruolo di primo attore, manager P.r., lo zio Tommaso nel
ruolo dell'antagonista, del comico-brillante a secondo dei testi e di
drammaturgo-poeta di compagnia;le mogli, i figli, gli attori scritturati;i
dilettanti gli amici componevano la nostra compagnia.Giravamo
cittadine, paesotti e paesini del nord Italia su di una corriera che
chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che aveva,
che più che al suo cattivo carattere andava attribuito agli anni. In certi
paesi nei quali ad una certa ora del giorno si passava, nei turnichè
114
particolarmente ripidi, c'erano sempre dei ragazzi che ci aspettavano.Ci
spingevano fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano a
godersi lo spettacolo gratis."Siamo quelli che abbiamo spinto."
"Passate".Mio padre, amava la Balorda , e zingarone com'era, gioiva
tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre, ogni volta
che lui le cambiava colore:"non sposeremo mai le nostre figlie !" "Hai
ragione Milietta..domani le cambio colore"E l'indomani quando
"Emilietta" si
affacciava in cortile, ecco la Balorda
ridipinta:d'argento!"Non sposeremo mai le nostre figlie!"Arriva la
guerra, finisce la guerra.Bombardamenti non ne avevamo avuti.Qualche
bomba sulla fabbrica di aerei:la Macchi, lontana dal centro, alla
periferia di Varese, a Masnago.Ricordo a proposito di questo paese, una
sera che si tornava a casa dopo lo spettacolo veniamo fermati, sia noi
che tutti quelli che passavano per quella strada dopo di noi, da un
gruppo di fascisti e S.S.Ci hanno fatto entrare in un cortile, (era quello
dove abitava uno dei nostri dilettanti, chiamato"Luigino cassa da morto,
perchè suo padre le fabbricava) dove siamo stati per ore bloccati.Solo
all'alba ci hanno lasciati andare.Non è stato per niente
drammatico.L'aria, nonostante i tedeschi era di festa a causa della
inconsuetudine dell'avvenimento.Si sà, i giovani trovano sempre la
maniera di di superare le tensioni. Sarebbe però, tanta allegria finita in
tragedia se quell'alba avesse portato la notizia di una missione tedesca
andata male.Ci avrebbero fucilati tutti. l'abbiamo saputo qualche giorno
dopo.Per fortuna l'abbiamo scampata.Altre volte, capitava che ci
fermassero dei partigiani.Non dicevano "siamo partigiani" ma erano in
borghese con i mitra "Signor Rame, ci dà un passaggio?" Li facevamo
salire.Più avanti capitava d'incontrare picchetti fascisti che ci
fermavano. Ci conoscevano.Avevamo un permesso speciale per il
coprifuoco."Buona sera signor Rame,.Com'è andata?" "Benissimo!"
"buona notte."Ce ne andavamo;nonostante il
FINE
115
GENTE:
FRANCA, TORNIAMO INDIETRO DI 40 ANNI, RACCONTACI IL TUO PRIMO INCONTRO CON
DARIO.
Le nostre strade s'incontrano ad un certo punto delle nostre vite, ma partono da punti assai diversi.
Io nasco da una famiglia d'attori girovaghi, ed ho debuttato ad otto giorni, ne il figlio della "Genoveffa di
Brabante", in braccio alla mia mammma. Via via che crescevo, ho interpretato tutti i ruoli possibili ed
immaginabili maschili e femminili, finche, dopo i vent'anni ho lasciato la mia famiglia per seguire mia sorella
Pia che abitava a Milano in quel tempo ed era prima attrice giovane con Renzo Ricci. Il mio desiderio era di
riuscire a mia volta entrare in una compagnia primaria. Un gran salto! Dario invece, studiava architettura al
politecnico, e per passione raccontava favole grottesche agli amici, racconta oggi, racconta domani, s'è
trovato scritturato nella compagnia di rivista, "Franco Parenti sorelle Nava". Nella stessa compagnia c'ero io.
Il capocomico era di Carlo Mezzadri, l'allora marito di mia sorella Pia, che per strada ha lasciato il mestiere
d'attrice per aprire una sartoria teatrale. Oggi Pia è una affermatissima creatrice ed esecutrice di costumi
teatrali. E' arrivata fino a Las Vega con le sue creazioni. Ha fatto una figlia, ha scritto un libro sulla nostra
famiglia, gioca a poker, ama il tennis seguendolo sul teleschermo, la musica classica, legge molto, è
curiosa, dimostra un vent'anni in meno di quelli che ha, ma quello che più conta, è che è generosa,
spiritosa, caustica, insomma è il personaggio più divertente, poliedrico che io abbia intorno. Ci vogliamo
molto bene. Abitiamo nella stessa casa, ci capita anche di litigare a volte, ma ci siamo l'una per l'altra,
sempre.
E' lì che io e Dario ci siamo incontrati. Lui s'innamora subito di "questa sventola dolcissima", così mi
chiamava. Si prende un imbesuimento di terzo grado. S'innamora subito, ma se lo tiene per se. Anzi non mi
guarda per niente e se mi guarda non mi vede: come fossi trasparente! Com'è?! Seni tondi, gambe lunghe,
capelli biondi eccetera eccetara... piena di ragazzi che mi giravano intorno e lui , 'sto spillungone anche
bruttino, (ora è bellissimo!) niente. Non faceva una piega! Non mi guardi? Ti castigo! Una sera, si provava
lo spettacolo al cinema Colosseo, l'ho preso per le mani, l'ho messo contro il muro, e gli ho dato un gran
bacio, ma proprio un bacio bacio! E mi sono scoperta innamorata pazza. Il "da ridere" è che tutto è successo
per scommessa. Siamo andati avanti per due anni tra baci e litigi.... classico degli innamorati, fino al giorno
che ci siamo sposati: 24 giugno 1954 in Sant Ambrogio! Dario, metterà una battuta, per il fatto di essersi
sposato in chiesa (lui, quasi ateo-marxista) addirittura nello spettacolo "Gli arcangeli non giocano al flipper"
: "Sposato in chiesa per accontentare madre di lei molto credente."
SALTO SALTO FOTOCOPIARE PAGINE
siamo siatemati alla bellemeglio. Il bambino ha pianto per quattro giorni di fila. Per quanto spirito di
adattamento avessimo noi, non riuscivamo proprio a comunicarlo a questo tipo appena nato che non sapeva
niente della vita. Comunque faticavamo anche noi a cavarcela e per le scomodità e per la mia totale
inesperienza "Piange? Avrà fame" Lo attaccavo al seno, lui ciucciava un po' e poi di nuovo "uhèèè
uuuhèèèè!""Oddio, forse è ammalato!" Al quinto giorno decidiamo di tornare in clinica e stabilirci lì. Il
nostro ritorno è stato festeggiato dal personale con brindisi e abbracci. S'è scoperto subito la causa degli uhè
del bambino: io avevo poco latte e lui aveva fame.
Dopo aver nutrito il fantolino, ci hanno sistemati in una bellissima camera vicinissima alla sala parto. Ci
siamo addormentati immediatamente tutti e tre ed abbiamo dormito per almeno giorno intiero, finalmente
rilassati. Ci siamo insriti molto bene in questa nostra insolita vita, abitavamo lì e cercavamo casa. Come
vedevamo in carridoio davanti alla porta della sala parto un padre in angosciosa attesa Dario subito
s'informava: "Sa è un parto cesareo!" E Dario: "non si preoccupi, anche Franca ha avuto un cesareo...Vero
Franca?" e io "Sì, sì... è una sciocchezza, vedrà" E quello si calmava. E un altro: è messo di piedi"... "Non si
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preoccupi, anche nostro figlio è nato di piedi...e tutto è andato benissimo. Vero Franca?" Solo quando un
padre era preoccupato perché la moglie stava partorendo 2 gemelli siamo rimasti senza parole. Tutti
sapevano che avevamo un figlio solo.
Ci siamo stati tre mesi in quella clinica. Quanti padtri e quante madri abbiamo rinfrancato. Qualcuno ci viene
ancora a trovare con i figlio nato proprio in quei giorni. Che benissimo!
Finalmente abbiamo trovato una casa in via Bruno Buozzi e ci siamo trasferiti. Una casa piccola con un
terrazzo enorme. Nel palazzo vicino al nostro vivevano Roberto Rossellini ed Ingrid Bergam al tempo della
loro "colpevole" passione. Avevamo sempre amici fotografi che ci scongiuravano di poter stare nel nostro
terrazzo per poter riprendere i due importantissimi innamorati.
ed ero sempre la vamp del casta, la padrona di un night, qualche volta sola, qualche volta con un amante
delinquente. Indossavo grepier, calze nere o abiti talmente stretti che spesso me li cucivano lettaralmente
addosso al mattino e me li scucivano la sera. Non potevo fare la pipì, non potevo sedermi ed in più mi
sentivo frustata dalla testa ai piedi.
Ho avuto in quegli anni, due grandi occasioni cinematografiche. Michelangeli Antognoni e Luchino Visconti.
Per "Cronaca di un amore" Antognoni aveva scelto me. Io, allora, avevo un grande complesso (complesso
che in parte, nonostante varie operazioni ho ancora oggi): ero strabica - strabica, timida e insicura.
Nascondevo i miei occhi sotto a degli occhialini lunghi, stretti e scuri. "Lo so che sei strabica, ma per farti
fare il film, devo vedere i tuoi occhi. Su... coraggio, togliti gli occhiali". Me lo ha chiesto almeno tre volte,
paziente e gentile. Beh, non ce l'ho fatta e la parte la interpretò Lucia Bosé.
Visconti si era intestardito su di me, per un ruolo in "senso". Io stavo in tournée con Dario a Trieste.
Telefonate sopra telefonate. E mi spiaceva lasciare la compagnia, Dario e mi sentivo come sempre insicura.
"Sì, scendo, faccio il provino poi magari mi dicono di no..." - "No, ti prende a scatola chiusa gli abbiamo
portato tutte le bionde d'Italia, non gliene va bene nessuna. Se vuoi ti mandiamo il contratto." Niente non me
la sono sentita, qualcosa mi ha bloccato.
Il ruolo è andato a Marcella Mariani bruna, fragile, ex miss Italia, completamente diversa da me. Visconti
aveva cambiato tipo.
Il giorno della prima del film a Bruxelles, Marcella Mariani è partita in aereo per quella città. Se io avessi
interpretato quel personaggio quasi sicuramente sarei stata al suo posto. L'aereo è precipitato. Tutti morti.
Ecco cosa mi aveva bloccato. Il mio sesto senso mi aveva salvato la vita, come è capitato altre volte.Da quel
giorno, se qualcosa mi salta nel lavoro od altro, penso che così doveva essere, il negativo diventa positivo
"doveva andare così".
Nel '57 mi sembra vengo scritturata dal Teatro Arlecchino a Roma, per interpretare un testo di Feydeau che
sembrava scritto per me: "Non andartene in giro tutta nuda". Dario scrive per i fratelli Bonos, che poi non ne
hanno fatto nulla, un atto unico "Gli imbianchini non hanno ricordi" Ci prende gusto e ne scrive altri. A quel
punto gli propongo di ritornare a Milano e farci una compagnia nostra.
Interpelliamo Paolo Grassi allora direttore del Piccolo
Dopo la clamorosa rottura per Canzonissima, la TV ci era proibita, ma c'era sempre il teatro. Nel '63 ci fu il
nostro spettacolo su Colombo "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe", che quest'anno verrà presentato per
le Colombiadi, in spagnolo a Valencia, con la regia di Arturo Corso e anche trasmesso dalla II rete in
ottobre. L'anno dopo "Settimo ruba un po' meno" e via via, ogni anno uno spettacolo nuovo, di successo,
fino al '68, alla decisione, presa con Dario di lasciare il teatro tradizionale e di mettere a disposizione il
nostro lavoro per sollecitare una presa di coscienza.
La simpatia per la classe operaia non bastava più. La lezione ci veniva direttamente dalle straordinarie lotte
operaie, dal nuovo impulso che tutti i giovani stavano dando nelle scuole alla lotta contro l'autoritarismo,
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l'ingiustizia sociale, le spinte per un nuovo rapporto con le classi sfruttate, per creare una nuova cultura.
Dovevamo smettere di fare gli intellettuali che, comodamente sistemati dentro e sopra i propri privilegi di
casta, si degnano, bontà loro, di trattare anche i problemi degli sfruttati. Dovevamo deciderci a metterci
interamente al loro servizio: diventare i giullari degli sfruttati? Questo voleva dire andare a recitare in
strutture che fossero gestite da loro, dalla classe operaia. Ecco perché subito pensammo alle case del
popolo.
Facemmo teatro nelle case del popolo, nelle piazze, nei bocciodromi, poi in una capanna di via Colletta a
Milano, alla famosa palazzina Liberty, sempre a Milano, che ristrutturammo completamente e che poi ci fu
tolta.Nel '73 ci fu anche un episodio terribile nella sua vita. Vuole parlarne?
Non ne parlo volentieri. Sono passati quasi 20 anni, ma mi basta un niente per ritrovarmici dentro di colpo.
Nessuna donna che abbia subito violenza sessuale, potrà mai staccarsi completamente da quel momento
orribile.
Sono stata caricata su di un furgoncino da tre individui e poi scaricata stravolta e sanguinante vicino alla
metropolitana di via Dante. Non ho detto a nessuno quello che mi era realmente accaduto. Nemmeno a mio
marito. L'umiliazione della violenza sessuale, lo sfregio, era sopratutto per lui e per mio figlio. No, me ne
sono stata zitta: più dignitose "le botte". Mi sono tenuta tutto dentro, ma ho sbagliato. Il non averne parlato
con nessuno , l'essermi tenuta tutto dentro (anche se tutti avevano intuito quello che realmente mi era
successo) mi teneva in una continua tensione. Un caro amico, il professor MACACCARO, che mi era
stato molto vicino con gli avvocati in quei giorni così pesanti, mi ha consigliato un' analista donna, ma io
non me la sono senita. Dopo tre anni ho deciso di scrivere quanto mi era successo... Senza una parola ho
passato i fogli a Dario. Li ha letti. Senza una parola mi ha abbracciato. Finalmente ce l'avevo fatta! Un nodo,
il primo, si era sciolto. Poi, in appoggio alla campagna che si stava facendo in quegli anni per l'approvazione
di una legge contro la violenza sessuale, ho deciso di portare quanto avevo scritto in teatro. Andai di colpo
in scena, senza provarlo (non riuscivo) e senza che nessuno della compagnia lo sapesse. Solo Dario ed io ne
eravamo al corrente. All'ultimo momento, invece di recitare "il risveglio" annunciai un brano nuovo." Ho
trovato questa testimonianza su di un giornale e ve la recito" Da quella sera ho replicato "lo stupro" (questo
è il titolo del brano) almeno duemila volte. E via, anche il secondo nodo si stava sciogliendo. Mio figlio dice:
"sei andata in analisi davanti a migliaia di persone." Poi l'ho recitato anche in Fantastico, quello di Celentano.
E' andata così. Gli atti di violenza sessuale contro ragazze erano all'ordine del giorno. Processi, stupri,
violenze fisiche e morali contro le donne. Sono sempre più impegnata in questo campo. Propongo il brano a
Celentano. Accetta. Ci sono resistenze da parte della prima rete, ma lui ha un contratto di ferro. e alle 20,
30 finalmente mi comunicano che prenderò parte alla trasmissione.. La voce è circolata in sala stampa. Due
giornaliste vengono in delegazione e mi chiedono una conferenza stampa dopo la trasmissione. Va bene.
Eseguo il brano, precisando come sempre che è una testimonianza di una donna che ho trovato su di un
giornale. Sono molto tesa. I fotografi non stanno fermi un attimo. Per riuscire ad arrivare alla fine mi devo
concentrare completamente. Ci sono dentro in pieno. Soffro come allora. Rabbia, umiliazione, terrore. Un
brutto momento. Alla conferenza stampa qualcuno accenna al fatto che quella storia era la mia.( a suo tempo
ci fu gran chiasso e solidarietà sui giornali) Ho negato molto decisa ma egualmente qualcuno privo di
sentimenti e di rispetto me l'ha attribuita sui giornali del giorno dopo. Per me è stato duro. Fin che la gente
non sapeva, diciamo, magari qualcuno lo intuiva ma con me non ne parlavano, io potevo portare
quell'esperienza in teatro, ma da quando si è saputo ho deciso di non farlo più. Non avrei potuto, a parte
che sarebbe stato anche di cattivo gusto.
in fondo a questo testo c'è un pezzetto l'inizio che ho estrapolato a DONNE
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NOTE PER BIOGRAFIA -1Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente lungo la mia vita: rabbia, paura
angoscia, commozione meraviviglia, furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi, inaspetate,
inaudite, cosiì i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazione, quello che sto provando ora, non c'e.
Rossella (tra le moltissime donne incontrate ' e un'amica che non ho perso per strada) m'ha regalato un
libro"Le lettere del mio nome"di Grazia LIVI, "é imporTANTE , leggilo".Il titolo cosi ermetico non mi
sollecita. Leggo in contro-copertina la presentazione dell'editore:Il tema appasionato di questo romanzosaggio é il divenire della donna. Mi blocco. Oddio, ci risiamo.La solita "menata" femminista
socialsocoplogopolitica, scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti, asibento
con sfoogio"cultura", usanti un linguaggio da casta per "quella" casta , senza la minima preoccupazione di 2
2 essere capite da chi aveva (sto parlandodegli anni 70 in cui la donna cercava di crescere e di "liberArsi")la
necessità urgente di capire, protese a correre una più dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo
posto, dirigere, liderscippare un po' arroganti o troppo accondiscendenti, che gridavano "siamo sorelle" e in
nome della sorellanza alla prima occasione ti fregavano. Esagero? Sì. Ma ho visto e conosciuto molte donne
troppo simili all'uono nel loro modo di essere, insomma, tutto quello che ho sempre rifiutato.Parto a leggere
indifferente e diffidente.Qualche pagina e poi smetto, mi dico. E invece no, qualche pagina e ci sono dentro.
Ma questa chi é? La conosco? Non lo so. Conosco tanta gente, ma i nomi non me li ricordo, di molti non li
nemmeno saputi.M'ha tirato dentro la chiarezza ne facile ne semplecistica concui ti racconta la vita, le scelte,
le fatiche la crescita di un personaggio donna, come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera, meticolosa
delicata, mai invadente, umile, poetica quel tanto che non disturba, è una magnifica scrittura, priva di
elucubrazioni intellettualistiche, priva di fronzoli, con una gran sintesi.Di ogni donna di cui parla, ti presenta
le piu remote sensaziuioni, ogni personaggio é da lei scandagfliato nel profondo, c'e tutto quello che hanno
detto gli altri e quello che no hanno scritto, i sentimenti, i dolori, le insicurezze, le certesze e molto altro che
ora non mi riesce di esprilere. Poche pagine te ne dà l'essenza.Ecco Simone De Beauvoir.NON Mì é mai
stata completamente simpatica.A volte m'é capitato di giudicare qualche sua scelta egoista.Il suo evidente
essere una intellettuale aristocrarica m'e l'ha sempre allontanata.In casa di Sartre a Parigi, dopo un girar di
chiavi nella toppa ce la siamo trovata davanti:borsa della spesa in mano, fazzolette in testa .Ha lanciato
un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in cucina.Dario ed io ci siamo guardati interdetti, "e questa chi é?"
Sartre, come un bambino scoperto a rubare la marmellata, ha spento la sigaretta o il sigaro, non ricordo,
"Simon..", ha mormorato.Ah, era lei! Dario meno, ma io ci sono rimasta un po' male.forse credevo che il
fatto di essere una donna mi desse il diritto ad un saluto.Ma ora, la Simon, del ragionato-Livi é una donna
che capisco e ammiro di più.Altre biografie di donne. Leggere, conoscere, approfondire, passare il tempo
con loro, con la loro forza, la loro caparbietà persistenza, lucidita, intelligenza, sapere, donne che sono
riuscite ad emergere dallo sterminato femminile sommerso, in un modo al maschile, mi costringe ad
interrompere la lettura e a ragionarmi addoso.Il mio "dentro"s'é messo in movimento e non riesco a
bloccarlo.Mi sento come se queste signore abbiano espresso, pensieri miei, situazioni mie; insicurezze,
certezze, domande, scelte mie. Mi sento "loro", e allo steso tempo le sento discoste da me, lontano, in alto,
irraggiungibili. Sono confusa.Confusa, a disagio, turbata, sconbussolata. Di colpo mi sento come se non
avessi mai pensato.Non ho visto, non ho notato, non ho desiderato.Mi sento addoso il peso di non essermi
mai sentita in lizza con nessuno, non perché mancasse la gara, figuriamoci!, ma perché ero certa di non
avererne i numeri, le capacità per poter participare. Mi sembra di essere passata tra le cose senza
emozione.Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa per me .Gia arresa, prima di essere vinta.Mi
sento come se in questa mia frenetica vita non avessi vissuto.Mi sento inutile, banale, vuota come un libro
rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in calce.I giorni della mia vita :22.630 , sessantadue anni.
Quanti! Appresso, nessun bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara Grazia Livi.Possibilie? E'
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così.Sento l'esigenza di esprimermi, di puntualizzarmi, di cercarmi.Oh mio dio, cos'è, sto cercando me
stessa?..Il mio io?..Ci ho tanto ironizzato sopra nei nostri spettacoli...Ma ora qualcosa di concreto mi
urge.Devo fissare qualche punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente vuoto, come se per tutti questi anni,
e sono tanti, non avessi
vissuto, lavorato incontrato gente, parlato, riso, fatto all'amore,
pianto.Niente.Non mi viene niente.Ho la testa pressata da pensieri confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra
tanto disordine non riesco a trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare con un
minimo di coerenza.Forse potrei partire dalla prima grande emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori".Li avevamo visti sui camions il pomeriggio,
intorno per la città.Erano arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e sigarette.Arrossisco al
pensiero di essermi buttata con gli altri per tentare di raccogliere qualcosa.La sera, nel cortile di casa mia,
gran festa.Un giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra buia del primo piano, casa mia.
Più che vederla, l'intuisco: mia madre é lì, ci sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio
fratello deportato in campo di concentramento in Germania, non dà notizie da oltre due anni.In un attimo le
sono vicina vergognandomi della mia allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che grida, grida
seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché le gambe non la reggono.Si stringe addosso il
figlio, pallido, magro, impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi.Quel gridare intenso che
esprimeva gioia, l'ho sentito identico molto anni dopo(1973) in circostanza ben divera , per dolore e
drammaticità.Ancora seduta, su di una ssedia ora, con la testa buttata all' indietro, grida senza controllo,
come allora, dopo che ha indovinato più dalla mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina
era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di Varese, con i fascisti che entrano in
classe, in silenzio ci guardano a una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano nello
studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma ma avevo paure che tutti potessero sentire il
battito del mio cuore. Pensavo, ora mi portano a "Villa triste.."Villa triste era una villetta all'inizio della
strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo sapevano , venivano interrogati e torturati i
partigiani. Ma io, non sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto niente."Stai tranquilla,
mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla prima domanda ho capito tutto.E il cuore a battere più
forte."Forse muoio"."Conosci Enrico Mazzucchetti? "Si", "Dov'é?""Non lo so".Enrico, detto Bubi, era il
mio amore dei quindici anni: il primo."non lo vedo da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma
qualche giorno prima l'avevo visto, era venuto sotta casa mia a darmi dei baci. Dio mio, che era
successo?"Allora?"Erano minacciosi."Non lo vedo più, ci siamo lasciati da un sacco di tempo."Lì, nello
studio del preside mi hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva convinti.Poi mi hanno lasciata
andare.Non ricordo altro.Mi sono ritrovata in classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate."Sei una
incosciente, sei una disgraziata.Se lo viene a sapere tuo padre ti ammazza e fa bene.E con il cuore mi
accarezzavo il biglietto piegato in quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a "villa triste", dopo
essermelo imparato a memoria la mattina andando a scuola.Incoscienza, più che coscienza politica.
I GIORNALI
Nei primi 18 anni della mia vita, non ho mai letto un giornale.E questo che c'entra?Nulla.Sto cercando di tirar
fuori fatti lontani, che disordinatamente affiorano al mio cervello vuoto
Non ho mai letto i giornali.Lo dico con meraviglia.Possibile?In casa mia c'erano, la mia era una famiglia
socialista quando esserlo costava qualche cosa.Si pagava, senza ricevere nulla in cambio:con quella tessera in
tasca allora carriera o posti di comando, non ne ricevevi.I giornali c'erano, li toccavo quando li raccoglievo
da terra dopo che mio padre li aveva letti.(incredibile quanto mio marito assomigli amio padre:anche lui, li
butta per terra!)per riporli o buttarli, ma io sono sicura di non averne mai aperto uno fino ad un certo
giorno.cioè quando sono andata a sbattere con la mia bicicletta addosso ad una Topolino (in realtà gli ho
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sfiorato un parafango).La reazione del "guidante" è terribile e immediata e assolutamente fuori posto/"Ecco
chi rovina l'Italia!""No, guardi io..""Silenzio!Voi giovani che delegate.Delegate e non leggete i
giornali!".Allibita, senza parole.E' da qul giorno che dei giornali leggo tutto..dalle inserzioni agli annunci
mortuari.Grazie isterico signore della topolino.Grazie.
Forse ora posso correre all'inizio della mia vita.
1932_ "E' ora che Franca incominci a recitare."è mia madre che parla. La prima parte che ho imparato a
memoria, me l'ha insegnata lei, "bocca a bocca", così si diceva a casa mia, mot- a mot, parola per parola.
Non sapevo leggere .Avevo tre anni.. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in
famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva recitato da mia sorella Pia in "la
passione del Signore"atto V, orto dei Gezzemani.."Pentiti Giuda traditore che per trenta monete d'argento
hai venduto il tuo Signore! Pentiti !pentiti! "dovevo gridare di quando in quando. La parte non era lunga..
non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!"e ancora e ancora."ripeti" diceva la mia mamma
paziente mentre pelava le patate per il minestrone."Ripeti!"Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima .Per
l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate
sulle spalle. seppur credente non andava mai in chiesa ma aveva uno zio prete.Lei, lo sapeva benissimo che
gli angeli erano vestiti così! Mio padre, ormai entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di lampadine
.E' ora d'andare in scena e tutti:"ma che bell'angiolino!Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la
coda.Non avevo fatto nessuna prova.Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia
nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti
Giuda "e quel che segue.Il guaio, l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva immaginare fu che il
personaggio di Giuda era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo,
sorridente, che mi raccontava storie bellissime, mi regalava un sacco di divertimenti, al quale volevo molto
bene e vedermelo lì, proprio vicino vicino, con una parruccaccia nera in testa..gli occhi che lanciavano saette
tra un tuonar e lampeggiar minaccioso , che disperato gridava:"possano i corvi divorarmi le budella , le
aquile strapparmi gli occhi !" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad
incominciare dalla lingua" , mi fece un terribile effetto.Mamma mia che spavento! Cosa stava capitando?!Ero
stravolta, me lo ricordo benissimo.Ma quello che mi buttò completamente fuori, fu il vedere mia sorella ,
solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gli e ne stava dicendo di tutti i colori!Una sfuriata
in piena regola e che trascinavano il nostro povero zio in una disperazione sempre più nera."Ma cosa 13sta
capitando?Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo che mi sentivo in gola stava per scoppiare;Mia madre
dalla quinta mi faceva gesti più che perentoi.Giuro che avrei potuto parlare, ma non me la sentivo proprio di
rincarare la dose.No, io no, allo zio Tommaso .non dico proprio un bel niente.!Non so cosa gli sia
capitato.Forse è impazzito." Anzi.A piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli,
seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e gridava più che mai.Dio che paura!Senza
dire una parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci.Insomma
cercavo con i mezzi che avevo a disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in
palcoscenico.Pia s'è
ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prespettavano niente di buono..Lo zio-Giuda si
blocca per non più di tre secondi, lo giuro.e poi con voce profonda (intanto con la mano mi solleticava la mia
e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) dice:"Dio, sei grande!A QUEST'ORRENDO 14
14PECCATORE MANDI IL CONFORTO..un piccolo angelo..mi tendi la mano..No, no, non me lo merito!e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia corto-M'impicco!".Deve usare un po' di forza
per liberarsi da me che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare.Grida:"L'albero più alto..dov'è
l'albero più alto..Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena.Mia
sorella(l'unica volta nella sua vita , credo)non sapendo più che fare, camminando anche lei sulle punte,
immediatamente lo segue.Grande applauso.Tutti mi chiamano in quinta con grandi cenni.Non so se la paura
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d'essere sgridata o il "senso del dovere" che maledizione da che sono nata è lì, a spingermi( a pigiarmi ) la
coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio con voce chiara e mesta quel tanto che serve
dico"S'impicca! Non s'è pentito..Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo
Signore..Non s'è pentito!" e via che esco..Ce l'avevo fatta:l'avevo detta tutta! Da allora in poi, "la passione
del Signore" ha sempre avuto due
angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.E tutti giù a piangere.
A 5 anni:"gli spazzacamini della valle d'Aosta.Com'è che succedeva? Come arrivavo la prima volta in scena
con un personaggio che non avevo mai interpretato prima? Non me lo ricordo, ma so con certezza di non
aver mai provato prima di un nuovo spettacolo.La parte come sempre fino a che ho
4 imparato a leggere, me la insegnava la mia mamma, la imparavo velocissimamente , era come se la sapessi
già.Anzi, la sapevo già.Quante volte mi ero addormentata nella cassa dei costumi, o nella bara di Giulietta
quella del Romeo, o in qualsiasi altro posto che mi permettesse di addormentarmi, mentre i miei recitavano
una sera dopo l'altra?"Gli spazzacamini" un drammone.Gino, (io, )il protagonista, figlio di una povera ma
bella incintata e poi abbandonata dal figlio del conte..vengo, a causa della miseria in cui nascono quasi
sempre quelle incintate dai "contini", NONOSTANTE LA TENERA ETà affidato ad un "mercante di carne
umana"!, un delinquente che specula sui bambini che gli vengono affidati, mandandoli spesso a morire nel
tentativo di pulire, in quanto smilzi e denutriti (quanto piangeva la gente!) la cappa di un camino.E' quando,
la mia mamma che per fortuna era venuta a trovarmi a Torino col mio nonno sennò chissaà come avrebbe
mai fatto a tornarsene a casa, crede che il suo Gino sia morto nella cappa del camino "Oh che tremendo
dolore!" e via che Impazzisce. La ragazza in questione era proprio sfigata.Ma il suo GIno, che quel giorno lì
in quanto ammalato, era stato sotituito nel lavoro da un compagno, certo Carletto, che muore al suo posto.
(Mai essere generosi!) Questa è per Gino una giornata davvero fortunata.Il vecchio conte è schiattato nel
frattempo, ed il contino, vale a dire il suo papà, decide in quanto sempre innamorato della mia mamma, di
riparare al malfatto e di sposarla.Ci sono un po' di problemi per far rinsavire la povera ma onesta sfigata, ma
alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime e singhiozzi e applausi.5 atti, con la comica finale per non mandare
a casa la gente con il magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si basava su trame semplici e stringate,
TEATRO POPOLARE appunto, nella tradizione della COMMEDIA DELL'ARTE , completamente opposto
al teatro letterario e naturalista messo in scena dalle grandi e illustri compagnie che agivano nelle grandi città
e imitato in tutto il suo negativo dalle piccole compagnie , come la nostra , che agiva no in provincia.Il
nostro successo stava tutto in questa differenzenza.Il nostro repertorio era vastissimo: dalle più famose
tragedie di Shakespeare ai drammmoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei tempi
(Niccodemi, Giacos, Rosso di San Secondo, alle comiche finali. Il tutto senza aver mai studiato una parte a
memoria su di un copione. Non esistevano copioni di testi teatrali veri e propri, ma una specie di cannovacci
e per molti testi non esisteva nemmeno il cannovacccio. Ce li avevamo nella testa da sempre. Eravamo
bravi?Non lo so.So solo che i teatri eran( sempre pieni, che si lavorava tutti i giorni, si riposava solo il
venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre.O se c'era il funerale di un defunto importante del paese:il
prefetto, il sindaco, il dottore, il prete il farmacista.E quando in un paese avevamo fatto tutto il nostro
repertorio, (replicato 6 sere la Giulitta, 6 la passione, "il povero fornaretto di venezia e non mi ricordo più
quali altri drammoni avessere successo)mio padre o mio zio, si leggevano un romanzo, ci riunivano e ce lo
raccontavano."Tu fai questo, tu questo e tu questo., .e via che il giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte
laterali, in bella calligrafia, la scaletta dei punti chiave, il susseguirsi degli avvenimenti.
"L'assassino del corriere di Lione" .Scena PRIMA:
la ragazza s'incontra col padre, che non aveva mai conosciuto , partito povero , tanti anni addietro, torna
ricco, riempie la ragazza di doni, ma lei non riesce a sentire nulla per lui, anzi solo repulsione.
Manifestare freddezza e imbarazzo.Ricordarsi che la madre è morta.
122
Scena seconda:un uomo(lo stesso attore che interpreta il personaggio delpadre) languisce in una cella, è un
innocente caduto in un errore giudiziario terribile.Accenni all'assassinio di un corriere a Lione.Acceni alla
moglie morta e alla piccola bimba lasciate al paese.Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà:il buono premiato con la libertà e l'onore restituito mentre il cattivo (fratello
gemello del buono), smascherato da una collana rubata al corriere di Lione, sarà punito con la forca.Gaudio e
felicità. Ricordarsi della madre morta.
Comica finale.Non c'è pesonaggio nel repertorio della mia famiglia che a secondo dell'età non abbia
interpretato.Neonati(8 giorni in braccio alla mia mamma-in la Genoveffa di Brabante),
NOTE PER BIOGRAFIA -1Turbata, con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente
lungo la mia vita: rabbia, paura, angoscia, commozione, meraviglia,
furore, amore, solitudine, felicita piccole e grandi, inaspettate,
inaudite, così i dolori, ma in questa gamma di sentimenti, sensazione,
quello che sto provando ora, non c'e. Rossella (tra le moltissime
donne incontrate ' e un'amica che non ho perso per strada) m'ha regalato
un libro"Le lettere del mio nome"di Grazia LIVI, "é imporTANTE ,
leggilo". Il titolo cosi ermetico non mi sollecita. Leggo in controcopertina la presentazione dell'editore:Il tema appasionato di questo
romanzo-saggio é il divenire della donna. Mi blocco. Oddio, ci
risiamo. La solita "menata" femminista socialsocioplogopolitica,
scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali, quasi tutte saccenti,
asibento con sfogio"cultura", usanti un linguaggio da casta per "quella"
casta , senza la minima preoccupazione di essere capite da chi aveva
(sto parlando degli anni 70 in cui la donna cercava di crescere e di
"liberArsi")la necessità urgente di capire, protese a correre una più
dell'altra per essere lì, pronte a brancarsi" il primo posto, dirigere,
liderscippare un po' arroganti o troppo accondiscendenti,
che
gridavano "siamo sorelle" e in nome della sorellanza alla prima
occasione ti fregavano. Esagero? Sì. Ma ho visto e conosciuto molte
donne troppo simili all'uomo nel loro modo di essere, insomma, tutto
quello che ho sempre rifiutato. Parto a leggere indifferente e diffidente.
Qualche pagina e poi smetto, mi dico. E invece no, qualche pagina e ci
sono dentro. Ma questa chi é? La conosco? Non lo so. Conosco tanta
gente, ma i nomi non me li ricordo, di molti non li nemmeno saputi.
123
M'ha tirato dentro la chiarezza ne facile ne semplicistica con cui ti
racconta la vita, le scelte, le fatiche la crescita di un personaggio donna,
come te lo ripropone tutto, secca e piena, leggera, meticolosa delicata,
mai invadente, umile, poetica quel tanto che non disturba, è una
magnifica scrittura, priva di elucubrazioni intellettualistiche, priva di
fronzoli, con una gran sintesi. Di ogni donna di cui parla, ti presenta le
più remote sensazioni, ogni personaggio é da lei scandagliato nel
profondo, c'e tutto quello che hanno detto gli altri e quello che no
hanno scritto, i sentimenti, i dolori, le insicurezze, le certezze e molto
altro che ora non mi riesce di esprimere. Poche pagine te ne dà
l'essenza. Ecco Simone De Beauvoir. NON mi é mai stata
completamente simpatica. A volte m'é capitato di giudicare qualche sua
scelta egoista. Il suo evidente essere una intellettuale aristocrarica m'e
l'ha sempre allontanata. In casa di Sartre a Parigi, dopo un girar di
chiavi nella toppa ce la siamo trovata davanti:borsa della spesa in mano,
fazzoletto in testa . Ha lanciato un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in
cucina. Dario ed io ci siamo guardati interdetti, "e questa chi é?"
Sartre, come un bambino scoperto a rubare la marmellata, ha spento la
sigaretta o il sigaro, non ricordo, "Simon. . ", ha mormorato. Ah, era
lei! Dario meno, ma io ci 4 4 sono rimasta un po' male. forse credevo
che il fatto di essere una donna mi desse il diritto ad un saluto. Ma ora,
la Simon, del ragionato-Livi é una donna che capisco e ammiro di più.
Altre biografie di donne. Leggere, conoscere, approfondire, passare
il tempo con loro, con la loro forza, la loro caparbietà persistenza,
lucidità, intelligenza, sapere, donne che sono riuscite ad emergere
dallo sterminato femminile sommerso, in un modo al maschile, mi
costringe ad interrompere la lettura e a ragionarmi addosso. Il mio
"dentro"s'é messo in movimento e non riesco a bloccarlo. Mi sento
come se queste signore abbiano espresso, pensieri miei, situazioni mie;
insicurezze, certezze, domande, scelte mie. Mi sento "loro", e allo
steso tempo le sento discoste da me, lontano, in alto, irraggiungibili.
124
Sono confusa. Confusa, a disagio, sconbussolata. Di colpo mi sento
come se non avessi mai pensato. Non ho visto, non ho notato, non ho
desiderato. Mi sento addosso il peso di non essermi mai sentita in 5
lizza con nessuno, non perché mancasse la gara, figuriamoci!, ma
perché ero certa di non averne i numeri, le capacità per poter
partecipare. Mi sembra di essere passata tra le cose senza emozione.
Sono certa di non aver mai voluto con forza, qualcosa per me. Già
arresa, prima di essere vinta. Mi sento come se in questa mia frenetica
vita non avessi vissuto. Mi sento inutile, banale, vuota come un libro
rilegato con nelle pagine bianche solo il numero in calce. I giorni della
mia vita: 22.630, sessantadue anni. Quanti! Appresso, nessun
bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata, cara Grazia Livi.
Possibilie? E' così. Sento l'esigenza di esprimermi, di puntualizzarmi,
di cercarmi. Oh mio dio, cos'è, 'sto cercando me stessa? Il mio io? Ci
ho tanto ironizzato sopra nei nostri spettacoli...Ma ora qualcosa di
concreto mi urge. Devo fissare qualche punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente
vuoto, come se per tutti questi anni, e sono davvero tanti, non avessi
vissuto, lavorato, incontrato gente, parlato, riso, fatto all'amore,
pianto. Niente. Non mi viene niente. Ho la testa pressata da pensieri
confusi, suoni, rumori, parole, facce, e fra tanto disordine non riesco
a trovare la parola giusta, il ricordo giusto che mi dia modo di iniziare
con un minimo di coerenza. Forse potrei partire dalla prima grande
emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori". Li
avevamo visti sui camions il pomeriggio, intorno per la città. Erano
arrivati anche nella mia strada. Ci buttavano cioccolato e sigarette.
Arrossisco al pensiero di essermi buttata con gli altri per tentare di
raccogliere qualcosa. La sera, nel cortile di casa mia, gran festa. Un
giradischi, e ballare e ridere. Poi guardo su, verso la finestra buia del
primo piano, casa mia. Più che vederla, l'intuisco: mia madre é lì, ci
125
sta guardando. Conosco i suoi pensieri, il suo tormento:mio fratello
deportato in campo di concentramento in Germania, non dà notizie da
oltre due anni. In un attimo le sono vicina vergognandomi della mia
allegria. Mi strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che grida,
grida seduta su di un gradino della scala di casa nostra , perché le
gambe non la reggono. Si stringe addosso il figlio, pallido, magro,
impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi. Quel gridare
intenso che esprimeva gioia,
l'ho sentito identico molto anni
dopo(1973) in circostanza ben diversa , per dolore e drammaticità.
Ancora seduta, su di una sedia ora, con la testa buttata all' indietro,
grida senza controllo, come allora, dopo che ha indovinato più dalla
mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di
Varese, con i fascisti che entrano in classe, in silenzio ci guardano a
una a una. Poi mi chiamano, dicono proprio il mio nome, e mi portano
nello studio del preside. Non so di che colore fosse la mia faccia, ma
ma avevo paure che tutti potessero sentire il battito del mio cuore.
Pensavo, ora mi portano a "Villa 8 triste. . "Villa triste era una villetta
all'inizio della strada che portava alla mia scuola, dove, ( tutti in città lo
sapevano , venivano interrogati e torturati i partigiani. Ma io, non
sapevo niente, non c'entravo niente con loro, non avevo fatto niente.
"Stai tranquilla, mi dicevo, stai tranquilla"Poi di colpo, alla prima
domanda ho capito tutto. E il cuore a battere più forte. "Forse muoio".
"Conosci Enrico Mazzucchetti? "Si", "Dov'é?""Non lo so". Enrico,
detto Bubi, era il mio amore dei quindici anni: il primo. "non lo vedo
da un po'", sapevo che era andato nei partigiani, ma qualche giorno
prima l'avevo visto, era venuto sotto casa mia a darmi dei baci. Dio
mio, che era successo?"Allora?"Erano minacciosi. "Non lo vedo più, ci
siamo lasciati da un sacco di tempo. "Lì, nello studio del preside mi
hanno frugato in tasca . La mia aria innocente li aveva convinti. Poi
mi hanno lasciata andare. Non ricordo altro. Mi sono ritrovata in
126
classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate. "Sei una
incosciente, sei una disgraziata. Se lo viene a sapere tuo padre ti
ammazza e fa bene. E con il cuore mi accarezzavo il biglietto piegato
in 9 9 9 9 9 quattro che avevo stracciato prima di passare davanti a
"villa triste", dopo essermelo imparato a memoria la mattina andando a
scuola. Incoscienza, più che coscienza politica.
L'unico posto, luogo dove io mi senta a mio agio è il palcoscenico. No, non per via: ama la
polvere del palcoscenico. No. Sono allergica alla polvere, alle banalità, alla rettorica. Sto bene in
palcoscenico perché è casa mia. In qualsiasi città mi trovi, quando sono in teatro sono a casa. Entrando
nella hall di un teatro non mi è mai capitato di dovere chiedere "scusi, dov'è il palcoscenico?" Conosco
automaticamente la strada, dove sono i camerini, il gabinetto. "Ma ci sei già stata qui?" "No, è la prima
volta" "Non ti credo" "Si, forse ci sono già stata." Sto bene nei camerini anche se squallidi. No, non li
addobbo con sete colorate. L'ho fatto qualche volta... senza accorgermi andavo dietro all'onda, voglio
dire alle usanze deghli attori... ma erano 100 anni fa. Poi ho scoperto che non mi ci trovavo con quegli
addobbi intorno, non sentivo il bisogno di ricostruirmi il "salotto" di casa mia, anche se il camerino era
un cesso. E Dio sa che camerini trovano gli attori nei teatri e nei cinema di casa nostra. L'unica cosa alla
quale non rinuncio è la luce. "Lino!! (è il tecnico delle luci) La luce" Lino arriva e mi piazza certi 500 da
accecare. Io ci sto bene. La luce e il mio baule, ora i miei bauli. Mi piacciono i miei bauli. E' un classico
baule armadio d'attori, verde fuori a fiorellini l'interno. Ci sono i cassetti e nei cassetti di tutto: golf, libri,
fogli, macchina da scrivere-computer, pennarelli, lettere e cianferi d'ogni genere. Il mio baule, il suo
contenuto, il camerino, il palcoscenico: sono a casa. Io non mi considero un'attrice. Sono "anche"
un'attrice. In casa mia ho imparato tutto quello che può servire per poter fare questo lavoro: attrice,
elettricista, fonico, costumista, trovarobe, direttore di scena, servo di scena, piazzare le luci, suggerire,
sarta, vendere i biglietti, truccare, pettinare, ballare, cantare, la ricerca delle piazze, l'amministratore, fare
un borderò, (ora è però diventato difficilissimo). I miei avevano addirittura una propria tipografia dove si
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stampavano i manifestini, insomma i volantini di adesso. Avevamo centinaia di scene bellissime, dipinte
da un pittore della Scala, Lualdi che veniva a passare le sue vacanze da noi, ogni tanto le rinfrescavamo
tutti insieme. Ogni giorno cambiavamo piazza (dico piazza per dire paese, non recitavamo in piazza ma
in locali chiusi, teatri, cinema, oratori, quindi ogni giorno si dovevano montare scene e luci. Anche i
nostri costumi erano belli. Figuriamoci! Mio padre, tramite l'amico Lualdi, li comperava in blocco dal
Teatro della Scala. Percorro così l'apprendistato dei teatranti interpretando via via che cresco, tutti i
ruoli maschili e femminili adatti alla mia età. Il vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre
compagnie di giro, (così si chiamavano le piccole compagnie di provincia) è l'invenzione di impiegare
tutti i trucchi scenici del teatro magico delle marionette, nel "teatro di persona": montagne che si
spaccano in quattro a vista, palazzi che crollano, un treno che appariva piccolissimo lassù nella
montagna e che man mano che scendeva s'ingrandiva fino ad entrare in scena con il muso della
locomotiva a grandezza naturale. Mari in tempesta, nubi che solcavano minacciose il cielo tra lampi e
tuoni, gente che volava, scene in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come era
il paradiso. Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco dei Bibbiena, che viveva
ancora, dentro la scenotecnica delle marionette, soltanto che in quel teatro tutto era stato miniaturizzato,
si trattava adesso di eseguire un'operazione da Gulliver alla rovescia: da minuto che era ingrandire ogni
oggetto, aggeggio, marchingegno, fino a renderlo identico alla realtà. In questa nuova veste "il teatro di
persona" la compagnia di mio padre realizza un successo insperato. Si lavora come sempre a tempo
pieno. Mio padre, il capo, con il ruolo di primo attore, manager P.r., lo zio Tommaso nel ruolo
dell'antagonista, del comico-brillante a secondo dei testi e di drammaturgo-poeta di compagnia; le mogli,
i figli, gli attori scritturati; i dilettanti gli amici componevano la nostra compagnia.
1932 - "E' ora che Franca incominci a recitare." E' mia madre che parla. La prima parte che ho
imparato a memoria me l'ha insegnata lei, "bocca a bocca", così si diceva a casa mia, mot-a mot, parola
per parola. Non sapevo leggere. Avevo tre anni. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni
importanti in famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva recitato da
mia sorella Pia in "La passione del Signore" atto V, orto dei Gezzemani. "Pentiti Giuda traditore che per
trenta monete d'argento hai venduto il tuo Signore! Pentiti! Pentiti!" dovevo gridare di quando in
quando. La parte non era lunga, non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!" e ancora e ancora
"Ripeti" diceva la mia mamma paziente mentre pelava le patate per il minestrone. "Ripeti!" Mia madre
per i suoi figli era ambiziosissima. Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo,
con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle spalle, seppur credente non andava mai in chiesa ma
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aveva uno zio prete. Lei lo sapeva benissimo che gli angeli non erano vestiti così! Mio padre, ormai
entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di lampadine. E' ora d'andare in scena e tutti: "ma che
bell'angiolino! Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda. Non avevo fatto nessuna
prova. Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia nell'entrata in scena ad ad
un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti Giuda" e quel che segue. Il
guaio, l'imprevisto, che più imprevisto di così non si poteva immaginare, fu che il personaggio di Giuda
era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che mi
raccontava storie bellissime, mi regalava un sacco di divertimenti, al quale volevo molto bene e
vedermelo lì, proprio vicino vicino, con una parruccaccia nera in testa, gli occhi che lanciavano saette tra
un tuonar e lampeggiar minaccioso, che disperato gridava: "Possano i corvi divorarmi le budella, le
aquile strapparmi gli occhi!" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad
incominciare dalla lingua", mi fece un terribile effetto. Mamma mia che spavento! Cosa stava
capitando?! Ero stravolta, me lo ricordo benissimo. Ma quello che mi buttò completamente fuori, fu il
vedere mia sorella, solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gliene stava dicendo di
tutti i colori! Una sfuriata in piena regola e che trascinavano il nostro povero zio in una disperazione
sempre più nera. "Ma cosa sta capitando? Perché lo zio Tommaso fa così?" Il groppo che mi sentivo in
gola stava per scoppiare; Mia madre dalla quinta mi faceva gesti più che perentori. Giuro che avrei
potuto parlare, ma non me la sentivo proprio di rincarare la dose. "No, io no, allo zio Tommaso non
dico proprio un bel niente! Non so cosa gli sia capitato. Forse è impazzito." Anzi, a piccoli passi,
camminando come pensavo camminassero gli angeli, seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era
in ginocchio e gridava più che mai. Dio che paura! Senza dire una parola mi sono arrampicata al suo
collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci. Insomma cercavo con i mezzi che avevo a
disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico. Pia s'è ammutolita. In
quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano niente di buono. Lo zio-Giuda si blocca per non
più di tre secondi, lo giuro, e poi con voce profonda (intanto con la mano mi solleticava la mia e con gli
occhi mi rideva per tranquillizzarmi) dice: "Dio, sei grande! a quest’orrendo peccatore mand il
conforto!.. un piccolo angelo..mi tendi la mano..No, no, non me lo merito!- e dal momento che lo
spettacolo doveva pur terminare, taglia corto- M'impicco!". Deve usare un po' di forza per liberarsi da
me che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare. Grida: "L'albero più alto.. dov'è l'albero più
alto. Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena. Mia sorella
(l'unica volta nella sua vita, credo) non sapendo più che fare, camminando anche lei sulle punte,
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immediatamente lo segue. Grande applauso. Tutti mi chiamano in quinta con grandi cenni. Non so se la
paura d'essere sgridata o il "senso del dovere" che maledizione da che sono nata è lì, a spingermi (a
pigiarmi) la coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio con voce chiara e mesta, quel tanto che
serve, dico: "S'impicca! Non s'è pentito.. Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il
suo Signore.. Non s'è pentito!" e via che esco.. Ce l'avevo fatta: l'avevo detta tutta! Da allora in poi, "la
passione del Signore" ha sempre avuto due angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare
la grandezza di Dio. E tutti giù a piangere. Com'è che succedeva? Come arrivavo la prima volta in scena
con un personaggio che non avevo mai interpretato prima? Non me lo ricordo, ma so con certezza di
non aver mai provato prima di un nuovo spettacolo. A 5 anni: "Gli spazzacamini della valle d'Aosta". La
parte come sempre fino a che ho imparato a leggere, me la insegnava la mia mamma, la imparavo
velocissimamente, era come se la sapessi già. Anzi, la sapevo già. Quante volte mi ero addormentata
nella cassa dei costumi, o nella bara di Giulietta, quella di Romeo, o in qualsiasi altro posto che mi
permettesse di addormentarmi, mentre i miei recitavano una sera dopo l'altra? "Gli spazzacamini" un
drammone, ma alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime, singhiozzi e applausi, in 5 atti, con la comica
finale per non mandare a casa la gente con il magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si basava su trame semplici e
stringate, teatro popolare appunto, nella tradizione della Commedia dell’arte, completamente opposto al
teatro letterario e naturalista messo in scena dalle grandi e illustri compagnie che agivano nelle grandi
città e imitato in tutto il suo negativo dalle piccole compagnie, come la nostra, che agivano in provincia.
Il nostro successo stava tutto in questa differenza. Il nostro repertorio era vastissimo: dalle più famose
tragedie di Shakespeare ai drammoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei tempi:
Niccodemi, Giacosa, Rosso di San Secondo, alle comiche finali. Il tutto senza aver mai studiato una
parte a memoria su di un copione. Non esistevano copioni di testi teatrali veri e propri, ma una specie di
canovacci e per molti testi non esisteva nemmeno il canovaccio. Ce li avevamo nella testa da sempre.
Eravamo bravi? Non lo so. So solo che i teatri eran sempre pieni, che si lavorava tutti i giorni, si
riposava solo il venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre. O se c'era il funerale di un defunto
importante del paese: il prefetto, il sindaco, il dottore, il prete, il farmacista. E quando in un paese
avevamo fatto tutto il nostro repertorio, (replicato 6 sere la Giulietta, 6 la passione, "il povero fornaretto
di Venezia" e non mi ricordo più quali altri drammoni avessero successo) mio padre o mio zio leggevano
un romanzo, ci riunivano e ce lo raccontavano. "Tu fai questo, tu questo e tu questo...", e via che il
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giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte laterali, in bella calligrafia, la scaletta dei punti chiave, il
susseguirsi degli avvenimenti:
"L'assassino del corriere di Lione". Scena Prima:
la ragazza s'incontra col padre, che non aveva mai conosciuto, partito povero, tanti anni addietro, torna ricco,
riempie la ragazza di doni, ma lei non riesce a sentire nulla per lui, anzi solo repulsione.
Manifestare freddezza e imbarazzo. Ricordarsi che la madre è morta.
Scena seconda: un uomo (lo stesso attore che interpreta la parte del padre) languisce in una cella, è un innocente
caduto in un errore giudiziario terribile. Accenni all'assassinio di un corriere a Lione. Accenni alla moglie morta e alla
piccola bimba lasciate al paese. Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà: il buono premiato con la libertà e l'onore restituito mentre il cattivo (fratello
gemello del buono), smascherato da una collana rubata al corriere di Lione, sarà punito con la forca. Gaudio e felicità.
Ricordarsi della madre morta.
Comica finale.
Non c'è personaggio nel repertorio della mia famiglia che a secondo dell'età non abbia interpretato.
Neonati (8 giorni in braccio alla mia mamma in la Genoveffa di Brabante), bambini o bambine, ragazzini,
signorine, giovanotti, suore, cortigiane, prostitute. Una volta ho fatto persino, il cuciniere Dracco. La
storia nel ricordo, mi fa ancora ridere. Ero cresciuta e la Genoveffa (che dio la maledica, quanto ho
odiato sta noiosa!) ora la facevo io. Giovane e bella moglie del re alla guerra, sola nella reggia viene
insidiata da Golo, un primo ministro della situazione, che lei respinge furente e offesa. La giovane donna
decide di inviare una missiva al marito tramite il cuciniero Dracco: l'unico che a corte le sia rimasto
fedele, per avvertirlo del tradimento del suo braccio destro. "Torna o mio dolce sposo, torna! che quel
maialone del Golo vuole fare con me, proprio quella cosa là!" Golo che è sempre lì a origliare, scopre
tutto e zak!, pugnala il poveraccio e manda a dire al re che Genoveffa è incinta del cuciniero. "Ti ha
tradito o mio re, che vergogna con un cuciniero!" Il re ci casca, fuori dalla grazia di dio "un cuciniero
no!" ordina il taglio della testa della fedigrafa e anche del bambino nato nel frattempo (tranquilli che poi
tutto, come sempre, finisce in gloria). Arriviamo sulla piazza e ci rendiamo conto che ci manca l'attore
che avrebbe dovuto interpretare il cuciniero. D'accordo, sono due parole che si possono anche tagliare,
ma fisicamente deve essere in scena. Ci ragioniamo sopra un attimo per vedere come risolvere. Bene. Ci
siamo. Facciamo così. Al momento cruciale, vado alla quinta di destra. Il perfido Golo mi spia dalla
quinta di sinistra. Parlo, guardando fuori scena, con il cuciniero che non c'è, fingo di consegnargli il
messaggio e poi, affranta, esco. Velocissima mi mettono sulle spalle un mantellaccio con cappuccio che
mi copre dalla testa ai piedi. Rientro in scena con la missiva bene in evidenza in mano, faccio qualche
passo come se ora io parlassi a Genoveffa, Golo si precipita su di me, "muori, spione di un cuciniero!" E
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via che mi pugnala. Cado morta. Golo mi trascina fuori scena a sinistra, cioè dalla parte opposta da cui
sono entrata. Mi tolgono il mantello, mi raddrizzo la parrucca bionda dalle lunghe trecce, corro
velocissima dall'altra parte. Rientro in scena e vedo Golo che pulisce il pugnale assassino nel
mantellaccio che indossavo fino ad un secondo fa. "L'avete ucciso! Assassino!!" Ansimo un po', per via
della corsa, ma sono perfettamente in parte e nessuno s'è accorto di niente.
Noi eravamo in grado di andare in scena senza prova alcuna, con un testo nuovo allestito di sana
pianta. Arrivavamo ad esempio in una piazza nel giorno in cui in paese si festeggiava la santa patrona,
ebbene, debuttavamo con la storia di quella santa sulla quale mio padre e mio zio avevano giorni prima
letto e ascoltato dalla gente, vita, morte e miracoli. Avevano riunito la compagnia, raccontato a sommi
capi l'intreccio, distribuiti i ruoli se i costumi adatti non c'erano si rimediavano, e via che si debuttava.
Senza prove. Se si confronta con i 90 o addirittura i 180 giorni di prova delle compagnie di oggi... Ma
certo che allora, sovvenzioni ministeriali o regionali o provinciali o comunali, non ce ne erano, quindi
giocando sui soldi tuoi, ti dovevi sbrigare eccome!
A 20 anni, seguendo l'esempio di mia sorella Pia e mio fratello Enrico, lascio la nostra compagnia
e inizio la mia carriera nel mondo "ufficiale" dello spettacolo. Si possono immaginare le difficoltà di una
simile scelta in quel periodo del dopoguerra, siamo negli anni 50 e quindi alterno momenti neri a buone
scritture nelle compagnie di varietà più famose. E' proprio in una di queste compagnie che conosco il
Dario Fo.
Da sempre il teatro ha vissuto la mia vita ora come lavoro ora come impegno sociale.
E’ stato proprio insieme con Dario che ad un certo punto della nostra storia, negli anni ‘60-’70 in cui la
situazione sociale e politica era piuttosto inquietante ed estremamente tesa, dopo i primi lavori sulla
satira di costume, che faceva già tanto discutere e scomodare la critica come con “Gli arcangeli non
giocano a flipper”, siamo passati alla satira politica che si traduceva in un impegno continuo di
controinformazione fuori dai circuiti ufficiali, a diretto contatto con platee numerosissime. Come sempre
i nostri spettacoli, che si ispiravano a situazioni reali di disagi, di soprusi, di abusi, di ingiustizie sociali,
nascevano da un costante lavoro di inchiesta e venivano puntualmente aggiornati e proposti ad un
pubblico che quei disagi viveva per cui, dopo la rappresentazione, si aprivano dibattiti anche vivaci e
così, attraverso quel confronto diretto, tutti, dal palco alla platea, si prendeva cosienza di quanto
accadeva e così, allo stesso tempo la rappresentazione, nelle sue repliche, si giovava di questa fortunata
occasione di dialogo fino a ricomporre talvolta per intero il testo e tornava a misurare le variazioni
davanti alla platea. Quelli sono stati anni di grande partecipazione collettiva. Gli aneddoti di quando
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rappresentavamo i nostri spettacoli nelle Case del popolo, nelle fabbriche occupate tra operai in
sciopero, sono tanti e tutti tanto comici quanto drammatici. Spesso racconto di tutto questo, più
difficile è che, pur sollecitata da molti e dallo stesso Dario, io mi soffermi a scrivere, ma putroppo non
trovo mai il tempo di farlo. Ricordo, tra le tante nostre avventure, un episodio alla Camera del Lavoro in
Milano dove, per rimediare una acustica che fosse decente, Dario pensò di cucire insieme un certo
numero di contenitori di uova e attaccarli al soffitto e alle pareti. Allora ci impegnammo lì a cucire di
buona volontà e non era neanche tanto facile. Sembrava che non si finisse più, ed ecco che uno dei
compagni, guardando noi lì che cucivamo con il sangue alle mani, disse: “ma ci vogliono aghi grandi!” e
noi lo sapevamo bene ma dove trovarli? Così lui chiamò gli altri: “Avete raggi di bicicletta?” e propose:
“Facciamone degli aghi!” E con quei grandi aghi, tutti ci aiutarono a cucire quei cartoni. Purtroppo
quando, orgogliosi del nostro lavoro, abbiamo cercato di attaccarli al soffitto, sono cascati tutti. Intorno
alla nostra compagnia teatrale cresceva sempre più il numero di collaboratori militanti che insieme a noi
si davano un gran da fare nell’organizzare spazi. Si respirava intorno un’atmosfera esaltante e una
grande tensione politica e ideologica nel lavoro teatrale. Davamo i nostri spettacoli in luoghi fuori dalle
convenzioni teatrali: nelle scuole, nei palazzetti dello sport, nelle fabbriche occupate, nelle chiese
sconsacrate, nei manicomi, nelle carceri. Si può dire che il rivoluzionario, il nuovo che è alla base del
nostro teatro, abbia ragione soprattutto nel fatto che la rottura con la tradizione intimistico-naturalisticoletteraria di sapore ottocentesco che ancora oggi vive, anzi prospera sulle scene italiane, è avvenuta, si è
determinata, fin dal momento in cui abbiamo pensato di far compagnia, cioè una rivoluzione di nascita,
più che in divenire.
Dario e io siamo sempre pronti a incitare i giovani, che intendono fare questo mestiere, a preoccuparsi di
raccontare il proprio tempo per un teatro che solleciti l’interesse, la partecipazione, la solidarietà e
perché no, anche l’indignazione senza mai dimenticare alla base di tutto il divertimento perché tutto
possa essere fruibile ricordando che il comico è un’arte di precisione matematica. Là dove la forma
satirica non possiede come corrispettivo la tragedia tutto si trasforma in buffoneria vuota, nasce il lazzo
fine a se stesso, spesso triviale, una volgarità gratuita, senza niente da comunicare.
Sala di Cesenatico 15-16-17 luglio 2002
II stesura
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BIOGRAFIA Franca Rame
Sono nata in Lombardia, a Parabiago, un paese a ridosso di Milano. Oggi è
un centro gremito di industrie, ma delle sue origini, della gente, delle piazze
e delle case non so e non ricordo nulla. D’altra parte ci sono rimasta solo il
tempo di venire al mondo e subito mi hanno trasportata in un altro paese a
pochi chilometri di distanza, per poi traslocarmi di lì a un mese in un’altra
piazza. “Piazza” è il termine con cui gli attori di teatro indicano la località
dove si va a montar scena per un nuovo debutto. Infatti la mia era una
famiglia di teatranti, meglio, di comici di lunga data. Alcune ricerche hanno
dato per certo che i Rame provengano da molto lontano. Negli anni, per varie
vicissitudini, quei miei avi – comici hanno dovuto cambiare nome ma, ad
ogni buon conto, questa mia razza, è stabilito, risale dalle origini del teatro
professionale, cioè dalla Commedia dell’Arte. Ne sono testimoni i canovacci
tramandati da generazione in generazione, raccolti dai miei nonni e studiati
da leidi e da altri ricercatori.
Dicevo che di Parabiago non so nulla, al contrario sono ben informata sul
paese dove è nata e cresciuta mia madre: Bobbio, nell’Oltrepò pavese in Val
Trebbia, situata nel triangolo di cui fan parte Broni e Stradella, al confine fra
Lombardia, Emilia e Liguria alle appendici della catena di montagne
maestose (gli Appennini tosco- emiliani).
Ci andavo da ragazzina a Bobbio. Di quella piccola città ricordo l’inseguirsi
di arcate, dei portici medievali. I palazzi antichi, una piazza sbilenca con
colonnati bassi e posti con disordine programmato e poi un fiume che si
sprofonda nel pianoro roccioso segnando un solco ristretto attraversato da un
magico ponte di pietra a schiena d’asino.
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Con Dario ci sono tornata un paio d’anni fa, in occasione di uno spettacolo
allestito all’aperto dinanzi ad una chiesa romanica che fa da fulcro al
colonnato che circoscrive la piazza principale.
Eravamo stati invitati da un’associazione umanitaria fondata e diretta da
amici dell’Oltrepo.
Noi si era arrivati “su piazza” con qualche giorno d’anticipo e con grande
soddisfazione finalmente mi trovavo a far da guida a Dario. Abbiamo fatto
visita a quei pochi parenti della famiglia di mia madre rimasti e poi, via a
visitare palazzi, musei e il monastero dei benedettini.
È risaputo: Bobbio vanta uno dei più antichi monasteri d’Italia, centro
culturale dell’alto Medioevo, secondo solo a quello di Cassino. Fu fondato
dai monaci seguaci di San Benedetto da Norcia nei primi anni del Seicento,
inteso come VII secolo. Di questo primordiale e imponente ordine religioso
che gestiva altri sette monasteri dislocati qua e là in tutta Europa fino
all’Inghilterra, mi proverò a trattare più diffusamente nel prossimo capitolo.
Ora urge che parli di mia madre e della sua storia.
Si chiamava Emilia, figlia dell’ingegnere del comune di Bobbio e di Adele
Rosmini in Baldini, primogenita di una famiglia di tutto rispetto ben nota in
quella città.
Cominciamo con mia madre Emilia che, senz’altro ha avuto un forte
ascendente sulla mia formazione nel bene e nel male.
La nonna Baldini (cosa non eccezionale agli inizi del Novecento) metteva/ha
messo al mondo ben otto figli; l’eccezionale è che erano sette femmine e un
solo maschio;
Nella memoria ormai mitica di Bobbio, quelle sette sorelle (come le sette
sorelle che vanno spose ai sette fratelli del famosissimo musical
135
Hollywoodiano) erano splendide, ognuna di loro creava/destava incanto
amoroso nei giovani e anche negli uomini maturi/attempati della piccola città
e dintorni. Ambite fino alla follia, sono andate spose ai miglior partiti che si
potessero reperire nella intera regione: giudici avvocati, industriali, militari
d’alta carriera puntualmente assurti al ruolo di generale: tutte ben accasate.
Tutte meno una. Di certo la più bella e affascinante dell’intera covata,
davvero imprevedibile in che senso imprevedibile?: mia madre. Lei, non
ancora ventenne, scelse un marionettista che si esibiva muovendo i suoi
pupazzi magici dentro il suo teatrino.
Uno scandalo.
Domenico Rame aveva dieci anni più di lei. Era completamente bianco di
capelli e mancava di un occhio che era di vetro; ciononostante era un
bellissimo uomo. Emilia, maestra di scuola, s’era follemente innamorata del
marionettista “dai bianchi capelli”
L’aveva incontrato in un veglione carnevalesco. Lei era abbigliata di azzurro
e oro come una principessa, lui da principe con tanto di mantello rosso,
giustacuore bianco e spada d’argento. Danzarono insieme fino a tarda notte
proprio come in una favola, con la variante che a mezzanotte lei non se ne
andò lasciando le scarpe sul pavimento, ma come si cantava in una romanza
di Bellini: “(...) lasciò solo il suo cuore nelle mani sue”.
Restarono senza rivedersi per un anno intero. Ma continuarono a scriversi
lettere a pacchi.
Non era quella la prima esperienza sentimentale di Emilia: aveva diciassette
anni quando fu inviata in un piccolo borgo in cima alla Val Trebbia, quasi in
prossimità del passo dal quale si scorge il Mar Tirreno. Il suo compito era di
insegnare in una scuola ai bambini dell’elementari della valle. Emilia aveva
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ottenuto il diploma da maestra proprio quell’anno, quindi era alla sua prima
esperienza di insegnante. Ma come può una ragazzina tanto giovane vivere
tutta sola in un luogo impervio e rustico come quello? Per sua fortuna Emilia
aveva un appoggio e anche una sicura protezione: in quel borgo sperduto
c’era un suo giovane cugino, parroco di fresca nomina della locale
parrocchia. La famiglia gliela aveva affidata tranquilla e sicura. Anche Emilia
era sicura. Quel suo cugino esibiva uno sguardo quasi ascetico, oltreché
luminoso. Quasi un arcangelo travestito da prete. Oltretutto quel santo
ragazzo si mostrava così riservato, schivo, evitava perfino di guardarla, ma
purtroppo qualche volta gli capitava di indugiare con lo sguardo sui suoi
occhi. Quella ragazza era così bella, dolce e luminosa e con un portamento
svelto ed elegante: Dio che corpo armonioso! Come poterla ignorare? Il
giovane prete cominciò a trascorrere notti in bianco. L’imporsi di non
mostrare attenzione a quella sua cugina da sogno gli costava una gran fatica
che si stava tramutando in sofferenza. Succedeva, come nelle favole mistiche
medioevali, in cui si racconta del diavolo che organizza l’apparire della
vergine splendente nella pieve dove sta pregando il sacerdote immacolato e
va soffiando frasi lubriche nelle di lui orecchie: “Per ‘esto dolzo pecao dè,
lassate annare e tu pruoveraie uno placere de perdemento sì squallaccoso che
nullo pò offerirte eguale!”
Se pur maestrina candida, mia madre cominciò a sentirsi turbata da quegli
sguardi appassionati, dalle piccole e grandi attenzioni che il cugino prete
aveva per lei: gli aveva regalato un ampio scialle si seta azzurra ricamato
d’arancione che chissà dove e a che prezzo aveva comprato. Un mattino il
giovane parroco non si leva per la prima messa. Alla perpetua che va a
sollecitarlo perché si sbrighi, il giovane risponde quasi insultandola. Arrivano
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le suore preoccupate: “ Non so cosa gli stia prendendo. No, non ha la febbre
– confida – non si vuole alzare e basta, piange e singhiozza.” Qualcuno va a
chiamare Emilia che lascia la scuola e corre subito a casa. Come la vede, il
cugino salta giù dal letto, ordina alla perpetua e alle suore di lasciarli soli,
quindi si getta letteralmente alle ginocchia della maestrina e con un diluvio di
parole le dichiara il suo amore. Non può più vivere senza di lei. Basta! è
deciso a buttare la tonaca “Emilia, dolce Emilia! Mi vuoi sposare?” e
l’abbraccia quasi da soffocarla. Emilia si sente mancare, si divincola e corre
fuori dalla casa. Non si preoccupa di raccogliere abiti né valige. Fugge
disperata dal paese e torna a Bobbio.
Anche dopo 50 anni Emilia racconta di quella tragica avventura. Mi ricordo,
eravamo in vacanza a Sala di Cesenatico e Dario, dopo aver ascoltato con
molto interesse quel racconto, per gioco iniziò a recitare della colpa di mia
madre ragazzina e della sua fascinazione in quella tragedia: “Sei tu, cara
mamma, che l’hai sconvolto quel povero pretino. Tu, con le tue grazie, il tuo
candore galleggiante in un corpo sbocciato come un fiore di maggio”
La mamma va in crisi e chiede di confessarsi subito. Non è nella possibilità
fisica e psichica di recarsi in
chiesa, la parrocchia di Sala, Dario, il
colpevole, è quindi costretto a saltare in bicicletta e velocissimo raggiungere
la chiesa per convincere il prete (lui notoriamente ateo e mangiapreti!) a
recarsi nella casa dove abitiamo durante le vacanze e ascoltare la tragedia la
cui memoria ha sconvolto la signora Baldini in Rame, di ottant’anni.
Il prete la tranquillizza. Torna il sereno.
A Dario viene interdetto d’ora in poi ogni esibizione satirica nei riguardi e in
presenza della mamma.
138
Ma torniamo a Bobbio e al primo vero amore della mamma. Dicevamo che
per più di un anno mio padre e la giovane Baldini avevano comunicato fra di
loro solo per lettera, il loro amore invece di scemare come succede di solito
con la lontananza monta sempre più. Finché il marionettista dai bianchi
capelli si decide , lascia marionette e compagnia: precipita a Bobbio e chiede
Emilia in sposa. Scandalo. La figlia dell’ingegnere del comune con altre
figlie maritate a giudici, capitani di industria e di marina, avvocati e
imprenditori, ceduta ad un burattinaio?! Ma Emilia è decisa. O me lo
concedete o me lo prendo da sola! Alla fine la famiglia Baldini ingoia il
rospo, pardon: il principe…maionettista. E vissero eternamente felici.
L’incontro
Al matrimonio sono naturalmente invitati fratelli, sorelle e il padre della
sposa, il capo supremo dei “pupazzari”, un uomo maturo e aitante fornito di
lunghi capelli e barba fluente. Il ritratto preciso di Garibaldi. Emilia è accolta
con grande affetto e si trova subito ingaggiata nel gruppo dei gestuari tirafili.
Impara a muovere le marionette e a prestar loro la voce .
La maestrina impara a recitare e a muoversi su un vero palcoscenico con
tanto di proscenio, quinte e fondali. Esistono sue foto di quel tempo, alcune
sembrano ritratti alle nobil donne di Francia di Boldini. Alta, slanciata, un
viso aristocratico, un gran portamento. Da autentica prima donna.
Mio padre era un ottimo attore, mia madre affascinava gli spettatori con la
sola entrata; il fratello, di mio padre, Tommaso, era il poeta di compagnia.
Riduceva in commedie i romanzi più famosi. I libretti delle opere e drammi
storici. Con mia sorpresa ho trovato fra i canovacci della compagnia la storia
di Arnaldo da Brescia, compreso il suo processo per eresia e la sua condanna
139
al rogo. Arnaldo, il contestatore collega dell’amante di Eloisa. Era lettore
dell’Università di Parigi negli stessi giorni in cui teneva lezione Abelardo. I
Rame recitavano da Shakespeare a Victor Hugo.
Il primo impatto dell’andata in scena per la mamma fu a dir poco traumatico.
Alla maestrina era capitato qualche volta di salire sul palcoscenico nella sua
città a recitare con gruppi di dilettanti nelle classiche recite scolastiche,
quindi aveva un idea del tutto stereotipa, convenzionale del teatro soprattutto
in rapporto a quello dei comici girovaghi dove si trovava ora a debuttare.
La scuola dell’improvvisare
Era davvero curioso, meglio, sconvolgente il metodo usato da quella
compagnia per realizzare la messa in scena. Tutti si sistemavano in
palcoscenico seduti intorno allo zio Tommaso che leggeva il testo della
commedia da allestire e lo commentava, quindi distribuiva le parti, i ruoli e si
abbozzava una specie di prova per stabilire le varie entrate e le “sortite” di
scena. A ‘sto punto si provavano i costumi, li si arrangiava, si montava la
scena spesso adattando qualche fondale di altro spettacolo del repertorio. Il
giorno appresso si debuttava davanti al pubblico e lo spettacolo quasi
immancabilmente aveva buon esito.
Com’era possibile? Come potevano gli attori improvvisare un intero copione,
recitare senza montare con le battute uno addosso all’altro, evitare gli
sproloqui in attesa che l’antagonista si decidesse ad entrare in dialogo,
evitare i punti morti, le cadute di ritmo, di tensione, prevedere una flessione,
evitare di rubarsi l’un l’altro la battuta, scegliere il tempo di replica, così
senza aver mai eseguito una prova seria e completa? Non parliamo poi
dell’esigenza, visto che nessuno aveva appreso a memoria quel testo, di
140
segnalare all’attore o all’attrice di spalla, che si sta per concludere il proprio
intervento così da prepararsi al rilancio di situazione.
Mio zio asseriva giustamente che l’improvvisazione è il metodo di recitare
meno improvvisato che esista. Anzi, al contrario il più organizzato. guai
affidarsi all’estro - lo stesso principio lo aveva espresso anche Diderot. Per
quella strada si cade immancabilmente nel caos, nella pagliacciata da
dilettanti. D’accordo, ma dove, quando si acquisiva quella conoscenza
organizzata, se erano state eliminate tutte le prove in teatro prima dell’andata
in scena?
La
chiave
dell’acquisizione
scenica
era
esclusivamente
impostata
sull’esperienza; era appresa giorno per giorno dinanzi al pubblico. I comici
della nostra compagnia rappresentavano, gestivano, recitavano seguendo un
metodo scientifico o quasi, nulla era affidato al caso (lo stesso metodo usato
dai Comici dell’Arte); ogni attore possedeva una totale conoscenza del
cosiddetto “canone dialogico”. Era in possesso, cioè di un numero enorme di
battute con rispettiva replica che potevano essere adattate a varie situazioni.
Esempio: dialogo d’amore fra la ragazza petulante e il giovane timido e
affascinato da quella bisbetica (modello della Bisbetica Domata di
Shakespeare), dialogo d’approccio amoroso fra la ragazzina timida, ma
molto sveglia e il ganimede sciupafemmine. Dialogo fra la finta ingenua e il
signore attempato che se la vuole portare a letto snocciolando solo promesse.
Dialogo fra due giovani ai quali è stato imposto il reciproco matrimonio, che
quindi si odiano. In un primo tempo si non si sopportano, ma poi scoprono
una sorta di sintonia e nasce una certa solidarietà. Alla fine si amano, ma
decidono di continuare a recitare un’avversione incolmabile. Ancora, il
classico dialogo di approccio amoroso, copia elaborata di quello che
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ritroviamo nell’Orso di Checov. Così di seguito per un numero infinito di
chiavi e diverse soluzioni – ogni interprete conosce la battuta d’entrata e
quella d’uscita, sua e del suo interlocutore. Come sente la frase d’avvio si
prepara alla replica, cioè siamo dinanzi a un continuo montaggio ad incastro
di situazioni, tratte dall’enorme bagaglio che ogni interprete possiede fin dal
suo esordio grazie all’aver ascoltato centinaia di messe in scena e quindi
averle inserite in buon ordine nel computer del proprio cervello. Esistono
delle convenzioni, dei segnali occulti che i comici si danno l’un l’altro senza
che il pubblico possa rendersene conto; un portare la mano al petto, un aprire
e chiudere le dita di una mano, un accennare il gesto di tagliare un filo con
una inesistente forbice e così via. Ecco quindi che senza apparire si danno
ordini e consigli: taglia, stringi, chiudi, concludi eccetera.
Spesso succedeva che in una piazza, a conseguenza del buon successo della
compagnia, si mettessero in scena più di trenta commedie in un paio di mesi,
tanto da restare con l’intero repertorio svuotato. A questo punto era gioco
forza approntare una nuova commedia, possibilmente legata alla cronaca o
alle storie del luogo. Si conduceva un’inchiesta per scoprire il dramma
storico o il fatto di cronaca recente che aveva sconvolto il paese. Quasi
immancabilmente si scopriva la tragedia occorsa ad una famiglia ,quasi
sempre nobile e ricca, che coinvolgeva anche i villani del contado e altri
personaggi: tradimenti, vendette, passioni amorose, faide, fughe di amanti
che tornano all’ovile dopo straordinarie peripezie.
Capitavano anche storie con situazioni davvero originali e inconsuete come
quella del ritorno del giovane disprezzato e cacciato ignobilmente, che
riappare nel dominio a capo di un esercito di mercenari al servizio del re.
Sconvolgimento nella comunità dei nobili e dei minori. Il giovane capitano
142
dimostra a tutto il paese la propria innocenza, condanna i colpevoli che
hanno tramato costruendo menzogne diffamatorie nei suoi riguardi. Infine
abbraccia l’amata alla quale è stato imposto di maritarsi col fellone.
Naturalmente, la tragedia veniva articolata, drammatizzata e resa piacevole
da inserti comici, poetici. Il paese accorreva al completo ad ascoltare la
propria storia. Repliche a volontà.
Dove si recitava? In teatrini di parrocchie o del comune, di cooperative,
associazioni culturali, anche operaie.
Papà Domenico, vistosi negare alcune piazze, decide di fabbricarsi un
proprio teatro tutto in legno, trasportabile e rimontabile in breve tempo, una
specie di “carro de tespi” dei nostri tempi. Il teatro conteneva cinquecento
persone e poteva godere di tutti i servizi essenziali, compresi quelli igienici.
La sua struttura era talmente efficiente e sicura che nel 1944 i tedeschi lo
requisirono per farci un ospedale da campo.
Dove si alloggiava, noi della compagnia? Si affittavano appartamenti.
Qualche volta bisognava arrabattarsi. Ricordo di un grande stanzone diviso
in più camere per mezzo dei fondali delle varie scenografie, stesi e montati in
modo da ottenere spazi diversi, così capitava che in una camera la parete di
fronte alludesse a un bosco, quella di sinistra a una marina con scogli e
barche da pesca, mentre dall’altro lato apparisse il portale con bassorilievi e
statue equestri di un palazzo.
Situazione difficile causata dalla professione.
Questa dell’essere teatranti era condizione che creava immancabilmente
difficoltà e disagi, specie in noi ragazze.
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Avevamo successo sul palcoscenico ma il ruolo di attrici manteneva nella
società di quel tempo ancora il parallelo di commediante uguale ragazza
facile, per non dire puttana.
Insomma, quella con una di noi non poteva chiamarsi una relazione seria.
“Se la fa con una girovaga!”.
Io e le mie sorelle abbiamo sofferto non poco per quel pregiudizio che ci
teneva fuori dall’ambito delle ragazze rispettabili, da marito.
Ricordo, ancora oggi con malinconia il mio rapporto con Umberto, un
giovane della piccola borghesia di Varese, gentile, aitante. Un grande atleta
con un corpo degno di Lisippo… muscoli torniti, larghe spalle, bell’incedere
e pure spiritoso, ambito da un nugolo di ragazze da sogno. Insomma il marito
principe della città. Erano già lì tutte pronte con le mutande in mano, ben
lavate e profumate; invece Umberto sceglie me e io lui. Ma i suoi non ne
vogliono sapere: “Ti metti con una del teatro? Viaggiante per giunta!”
Quando in macchina - nella sua macchina - noi due si transitava nella zona
dove era dato di incrociare qualcuno dei suoi, Umberto mi pregava di
accovacciarmi fra i sedili, sotto ben nascosta, di “sparire”! E io
ubbidivo…certo non ero presentabile, mi sentivo umiliata come una capra
portata in società col fiocchetto e il campanellino al collo. Povero Umberto!,
tanto emancipato, ma succube dei suoi e delle loro miseri culturali.
Quando e come sono salita per la prima volta in palcoscenico?
Non c’è mai stato un debutto. Sono “montata” in scena fra le braccia di mia
madre che non avevo manco tre mesi. Rappresentavo la piccola figlia (o
figlio) di Genoveffa di Brabante. La storia di una nobildonna scacciata fuori
casa dal marito che la sospetta adultera. Genoveffa è costretta a vivere nella
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foresta. Io apparivo in scena coperta da pelli di capra così come, con lo
stesso addobbo, appariva mia madre. Devo dire la verità: non ero molto
cosciente della parte che stavo interpretando. Piangevo fuori tempo,
scalciavo senza curarmi della situazione patetica, e al culmine della catarsi
lirica, facevo pipì in copiosa abbondanza.
La mamma ci teneva che le sue tre figliole e il maschio secondogenito
dimostrassero il loro talento naturale nei confronti del pubblico, ma
soprattutto verso i fratelli e le sorelle del proprio marito.
Da buona maestra delle elementari
non si accontentava della tecnica
d’improvvisazione, anzi quasi di nascosto ci insegnava le parti (spesso scritte
apposta per noi dallo zio, poeta di compagnia) nei ruoli di angeli, scugnizzi
(figli di nessuno), piccole rampolle nobili, protagoniste straccione dei
miserabili.
Il cavallo di battaglia di noi piccole teatranti erano le rappresentazioni sacre
che si ripetevano ogni anno, puntuali, su qualsiasi piazza ci trovassimo a
recitare.
Gli attori amatoriali. I dilettanti che interpretavano i ruoli di contorno
nella Passione.
Le rappresentazioni sacre abbisognavano di numerosi interpreti; per questo si
ricorreva ai “dilettanti”, che si reclutavano in tutta la regione. Erano
volontari, amanti del teatro, che si offrivano gratis e volentieri. Il più
misterioso e al tempo stesso sorprendente era il dilettante che copriva il ruolo
del ricco credente, Nicodemo, che sale sulla scala appoggiata alla croce e
dirige la calata di Cristo dalla croce stessa.
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Per tutti gli interpreti d’appoggio, ci si preoccupava di contattare ognuno in
anticipo, a cominciare dal dilettante che interpretava ogni anno il ruolo del
soldato romano, che riacquista la vista grazie allo spruzzo di sangue che
sorte dal costato di Cristo al momento in cui lui lo infilza per verificare che
sia davvero morto: una goccia di sangue lo colpisce sull’occhio sguercio e,
miracolo!, il soldato riacquista la vista proprio da quell’occhio cieco.
Dicevamo… tutti venivano contattati in anticipo, salvo il dilettante che
doveva interpretare la figura del ricco “scrociatore” Nicodemo, tutti lo
chiamavano tout court così. Non ricordo più il suo vero nome, ma ricordo
che, immancabilmente poco prima che si andasse in scena con la Passione
(una trilogia spesso ridotta a due o a un'unica rappresentazione), ecco che
puntualmente Nicodemo appariva. S’era, come al solito, portato con sé il
proprio costume ricamato, trapuntato qua e là con della passamaneria dorata
da ricchi. Nessuno faceva meraviglia: era del tutto normale che non
mancasse mai all’appuntamento, in qualunque paese sperduto, anche sulle
montagne, ci trovassimo. Ci si abbracciava, si commentava informandoci
reciprocamente sulla salute e via: in scena.
Nicodemo recitava la sua tirata con precisione e tempo magistrale. Poi “Ci
vediamo l’anno prossimo!” e come era arrivato, spariva. Non pretendeva
nulla. Anzi rifiutava il purché minimo accenno ad una paga.
Qualcuno di noi aveva azzardato: “E se quello fosse davvero lui in persona,
l’autentico Nicodemo che torna ogni anno a interpretare il suo ruolo?”
Mio fratello interpretava la parte più ambita, naturalmente quella di Gesù. Io
ero la più piccina. Era nato dieci anni prima di me. Quindi, da quando avevo
tre, quattro anni me lo ricordo ingaggiato in vari momenti della vita del
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Salvatore: da ragazzino che conversa coi saggi allocchiti da tanta sapienza,
per passare al momento in cui si incontra con San Giovanni (suo cugino),
fino al momento in cui inizia la predicazione e così via. Me lo ricordo in
particolare a diciotto anni, nella scena in cui Cristo lotta col diavolo,
sferrando pugni e calci e persino morsicate.
Era l’unico che possedesse una cultura scolastica del teatro: s’era iscritto
giovanissimo alla scuola “D’Amico” di Roma, la più prestigiosa Accademia
di Teatro d’Italia. Recitava quindi con giusta dizione, ma senza esagerare col
birignao (modo affettato) e le caricate di pronuncia: “cieelo”, “teempo”,
“Steelle”, eccetera. Era un bel ragazzo e, come si dice in gergo, di bella
fattura. Un corpo svelto e quasi prassitelico. Insomma quando veniva
spogliato, seminudo, per essere legato alla colonna e fustigato, tutte le
ragazze e le spettatrici di ogni ceto ed età, sospiravano come mantici,
gemevano, producendo un coro di mistica meraviglia: ogni femmina era
innamorata di quel Gesù. A frotte lo aspettavano fuori dal teatro, appena
finita la rappresentazione; qualcuna si lasciava sfuggire una lamentazione:
“Peccato si sia già rivestito!”
Durante le Passioni il ruolo mio e delle mie sorelle a seconda dell’età, era
normalmente, quello di angeli, di diversa “classe”: angiolini , cherubini, troni
e arcangeli. Il mio esordio massimo avvenne nella scena del pentimento di
Giuda, prima che buttasse i trenta denari fra i rovi e s’impiccasse all’albero
di fico. “Maledetto sii tu, fico traditore!” recitava in bell’anticipo Gesù.
La mamma in occasione della mia prima apparizione nel ruolo del cherubino
mi aveva bene ammaestrata. Conoscevo le battute a menadito: il mio
addobbo era a dir poco maestoso. Indossavo un abito bianco (naturalmente)
con pizzi e veli, un paio d’ali con autentiche piume e in capo calzavo (questa
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era stata un’aggiunta fantastica di mio padre) una corona di lampadine che si
accendevano anche a intermittenza. Il tutto grazie a una piccola batteria che
portavo ben nascosta sul fondo schiena.
Giuda era interpretato dallo zio Tommaso, truccato con barba ispida e occhi
fortemente evidenziati dal trucco, forse con l’aggiunta di qualche riga rossa.
E poi quella voce cavernosa, che non avevo mai ascoltato dalla bocca di mio
zio… una persona cosi dolce e gentile nella realtà. Insomma io, povera
bambina, a quella apparizione ho sussultato e ho trattenuto con fatica le
lacrime, compreso un piccolo urlo di terrore. Dalla quinta mi ripetevano la
battuta che dovevo recitare: “Giuda! Pentiti! Pentiti! Hai venduto Gesù il
nostro salvatore!” Ma io continuavo a restare annichilita davanti a quella
maschera tremenda di Giuda/Tommaso. Oltretutto mio zio, tentando di darmi
coraggio, si sforzava di sorridere, ma riusciva grazie a quel trucco da
demonio a esprimere solo un ghigno orrendo. Sentivo di non poter più
trattenere la pipì. In quel preciso istante qualcosa è successo all’impianto
elettrico. Forse stringendo disperata la mano, ho strozzato qualche piccolo
cavo. Fatto sta che s’è creato un corto circuito.
Le lampadine sulla mia testa scoppiavano come fuochi d’artificio. Io, con gli
occhi sbarrati dal terrore, sussultavo a ogni lampo col botto. La disastrosa
sequenza del corto circuito fu, per fortuna, breve. “Pentiti! Pentiti!”
ripetevano dalle quinte ma io ero ormai di gesso, impietrita, un cherubino
tramutato in angelo di sale come la moglie di Abramo. A ‘sto punto, mentre
piccoli rivoli di fumo uscivano da ciò che restava della corona luminosa
squarciata sulla mia testa, ecco che lo zio Tommaso con voce solenne
esclamava: “I lampi di luce divina emanati dal capo di questo purissimo
angelo e il suo silenzio mi inducono a meditare sul mio orrendo operato e a
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pentirmi. Mi pento! Mi pento!” e scoppiava un boato di applausi. Trionfo
ineguagliabile, domani si replica!
Dormire nel retro palco
Normalmente nelle varie rappresentazioni noi ragazzini della compagnia,
specie nei primi quattro, cinque anni di vita, terminate le nostre “entrate”
venivamo messi a dormire. Ma a parte la dimensione angusta dei camerini quando c’erano -, non esistevano né divani né tanto meno letti. Perciò ci
stendevano a dormire dentro un baule o dentro una cassa dei costumi; sul
fondo si sistemava un drappo, qualche mantello, e ci si faceva sdraiare,
bloccando naturalmente il coperchio. Una volta, ricordo, un dilettante
sbadato diede un colpo al portello spalancato che scese come una mannaia;
all’interno c’era mia cugina, la più piccola, che per fortuna si svegliò per il
botto e comincio a urlare. La mamma, che era in scena, piantò il suo ruolo e
corse nel retro palco a liberare la bimba prima che soffocasse.
Il dilettante finì quella sera la sua carriera di teatrante.
Noi al mattino, pieni di sonno, si andava a scuola. La mamma “eterna
maestra” non transigeva: “La scuola non si diserta manco morti!”. Spesso ci
riusciva quindi di dormire sul serio per non più di cinque o sei ore. Più di una
volta capitava che mi si mettesse a dormire in un baule al primo atto, ma al
terzo venivo svegliata e velocemente rivestita per rientrare sul palcoscenico
nel finale a recitare la scena madre, il mio pezzo di chiusura. Barcollavo
sbadigliando come un piccolo ippopotamo, e qualche volta mi ritrovavo a
recitare la tirata conclusiva di un’altra commedia. Naturalmente venivo
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bloccata dal padre o dalla madre scenica e velocissima riprendevo il filo del
discorso corretto. Nessuno del pubblico s’accorgeva dell’inciampo.
Al mattino la mamma fra le sette e le otto ci veniva a dare la sveglia. Io
ciondolando andavo in bagno, mi sedevo sul water e mi addormentavo.
Immancabilmente cadevo in avanti e andavo a sbattere col cranio sul bordo
del lavandino di marmo. Avevo perennemente la fronte segnata da un vistoso
livido. La mamma mi consigliò di pettinarmi con la frangetta.
Questa difficoltà dell’essere svegli, soprattutto fra i banchi di scuola si
risolveva in un serio handicap. Mi capitava di addormentarmi anche durante
le lezioni, ma avevo imparato a dormire con gli occhi semiaperti. Ero
un’allieva così silenziosa! Il guaio nasceva al momento in cui la maestra o il
maestro mi rivolgeva la parola per pormi un quesito. La compagna di banco
mi svegliava con un calcio negli stanchi; un sussulto, un piccolo grido e
spalancavo gli occhi come un barbagianni. Attenta ero! Apparivo così
presente da fare impressione.
La situazione più grottesca e tragica al tempo, causa il sonno, accadde
durante la rappresentazione di Giulietta e Romeo. Avevo poco più di tredici
anni quindi possedevo l’età storica per quel ruolo, cioè di Giulietta. Romeo
era interpretato da un ragazzo dilettante davvero portentoso. Lo zio
Tommaso aveva pronosticato: “Quello farà di sicuro carriera!” Si chiamava
Enrico Maria Salerno e davvero sarebbe diventato uno dei migliori attori
comici e tragici del nostro teatro. Possedeva una voce già ben impostata, una
dizione da professionista e una notevole presenza scenica. Noi, nelle nostre
messe in scena, come ho già raccontato, eravamo usi andare all’improvviso,
quindi rispetto ai testi originali, creavamo sintesi e ritmo. Si stringevano
dialoghi e monologhi all’osso. Questa era una delle ragioni per cui lo
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spettatore non si lasciava mai scivolare sulla poltrona, sbarluccato dalla noia.
Recitiamo insieme la scena del balcone dove lui ha poche battute
di
commento, poi arriva il duello, il dialogo sul letto: “ È l’allodola o l’usignolo
che ci impone di lasciarci prima che l’alba indori il fondo del cielo?”, quindi
si giunge al finale della tomba. Io sto sdraiata dentro il sepolcro marmoreo,
ho un sonno da schiatto totale, resisto. Lui, Enrico Maria, comincia con la
sua tirata, roba di tre minuti, quattro al massimo, secondo il nostro copione.
Invece ‘sto disgraziato esibizionista, fanatico, non va a recitare tutta la tirata
al completo, quella originale elisabettiana con varianti e aggiunte?! Io,
distesa nel mio comodo sudario, non reggo. Il sonno mi coglie come al
nocchiero di Enea: una botta secca! Romeo - Maria si ficca finalmente il
pugnale avvelenato nel cuore e schiatta, ma nell’agonia riesce ancora a
recitare un paio di battute. A ‘sto punto, breve pausa, tocca a Giulietta
spuntare con il capo dagli occhi sbarluccanti e scoprire l’amato deceduto.
Ma io non faccio una piega, anzi pur con tono lieve, russo come una regina.
Dalla quinta cercano con voce sibilata di darmi la sveglia. Niente da fare:
sono come in coma. Gli attori di qua e di là dal palco lanciano tutto quel che
trovano, cercando di imboccare il feretro come nella pallacanestro. Mi tirano
anche una scarpa. Alla fine vengo colpita sulla fronte da una pera, neanche
tanto matura, e di scatto, con una presenza straordinaria recito d’un fiato la
tirata del pre-finale di Desdemona. Da quel giorno nella Giulietta e Romeo
sono costretta, prima di sistemarmi nel sarcofago, a legarmi una corda alla
caviglia, corda da strattonare nel caso di deliquio da letargo.
Ma non potevo continuare con quel calvario, oltretutto la bozza sulla fronte
stava diventando troppo evidente. Quindi i miei genitori decisero di farmi
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prendere un po’ di fiato e di mandarmi in un collegio gestito dalle suore,
sulle colline del Varesotto.
La suora gentile la suora perfida – da sviluppare
Il ritmo giornaliero del collegio: studiare, dormire, giocare, pregare.
La tristezza della domenica; molte delle mie compagne tornavano a casa dai
genitori. Per altre ragazze c’era la “visita” di parenti e amici; ma i miei la
domenica recitavano: due spettacoli con pomeridiana e serale. Io mi
ritrovavo a essere l’unica collegiale non visitata. Succedeva però che
eccezionalmente mia madre si facesse sostituire sul palcoscenico ed eccola,
bellissima, apparire. Era per me la festa del Paradiso. Mi sforzavo di non
lasciarmi travolgere dalla commozione, ma era impossibile. La afferravo per
mano e andavo mostrando la mia mamma ad ognuno, la costringevo a fare il
giro per tutto il collegio, il giardino, lo stanzone dei giochi, la cappella,
persino in cucina. Volevo che tutti si sincerassero che io la mamma la tenevo
sul serio. Avevo sentito bisbigliare da più di una compagna: “Quella dice di
avere i genitori, ma chi li ha mai visti? Dev’essere orfana, poverina”.
Lo strabismo di Venere
A quattro anni la mamma si rese conto che facevo fatica a decifrare anche i
fumetti, e oltretutto strizzavo un occhio per mettere a fuoco le immagini. La
mamma era convinta si trattasse di un tic. Mi portarono dall’oculista. La
mamma spiegava al medico, un noto specialista, che non si capacitava del
perché la bambina si fosse impuntata a non usare come si deve i suoi occhi;
erano capricci inspiegabili. L’oculista lasciava sfogare la mamma e intanto
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continuava ad esaminarmi con una specie di piccolo cannocchiale la cui lente
finale veniva appoggiata sull’uno e sull’altro mio occhio. Alla fine ha
interrotto il monologo della mamma: “Signora, la sua figliola vede da un
occhio solo”.
“Ecco lo sapevo, tutto perché con l’altro non si sforza!” insisteva lei fissata.
“E’ inutile si sforzi; non può vedere. L’occhio destro è quasi del tutto
spento!”
Mia madre per poco non crolla a terra svenuta. Il medico spiegò che la
bambina aveva , evidentemente , causa una qualche febbre esplosa nei primi
anni di vita, subito una menomazione alla retina ,che è andata via via
peggiorando.
“Coll’altro occhio per fortuna vede perfettamente, ma mi spiace dovervi
preannunciare che a causa dello scompenso visivo sua figlia rischia, quasi
irrevocabilmente di divenire strabica. Speriamo si arresti al minimo e sia a
divaricazione esterna. Insomma un lieve ed affascinante strabismo di
Venere.”
Invece il mio strabismo si manifestò a rovescio. Uno strabismo interno.
Quella dell’occhio strabico si trasformò per me in una vera e propria
“menomazione”. Un “difetto” insopportabile. Fu un calvario. Nel tentativo di
correggere quello strabismo mi sono sottoposta a un’infinità di interventi
chirurgici. Fino al tempo in cui ho conosciuto Dario e nei primi tempi del
matrimonio lui mi ha sempre accompagnato e ha vissuto con me tensione,
paura e speranze.
(Inserto da dedicare al prof. Carlevaro)
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Ero talmente ossessionata da quello strabismo, che per nasconderlo m’ero
inventata un paio d’occhiali sottili simili a quelli che calzava Cavour, ma con
le lenti scure. Li avevo disegnati io stessa e indotto un noto occhialaio di
Milano a fabbricarmeli proprio su misura.
Quella montatura ebbe un tal successo che il costruttore d’occhiali fu indotto
a riprodurre centinaia di quegli occhiali, giacché moltissime erano le ragazze
che le richiedevano. Incredibile!, la mia esigenza di mascherarmi per via
d’una menomazione, per me, terribile complesso, era diventato motivo
d’eleganza: una moda.
Ho diciotto anni quando mia sorella Pia poco più che ventenne va a recitar
scritturata da una compagnia primaria. Io la seguo di lì a poco. Recito nella
compagnia di Tino Scotti, un divertente comico milanese. Quella mia prima
esperienza nel varietà non mi soddisfa granché, tanto che decido di
cambiare mestiere. Mi iscrivo a un corso per crocerossine alla clinica
Principessa Iolanda, a Milano
Inizio il corso, son lì da tre giorni. Nei grandi ospedali i medici non
distinguono le allieve principianti da quelle del primo anno. Eravamo tante.
Esco da una stanza con la padella in mano... ché all'inizio solo padelle...
camminavo tutta orgogliosa, tenevo la padella come fosse la bandiera
tricolore, incrocio un medico, il Professor Semenza, che mi fa: "Signorina
mi porti subito alla camera trentuno l'occorrente per un cateterismo.".
Ha scelto me come un'altra, ma io mi sono sentita "prescelta dal creatore".
Ho fatto persino l'inchino con la padella: "Subito, professore!".
Vado... dico: "Cateterismo" e mi consegnano su di un vassoio un
pappagallo, un tubicino di gomma (una sondina). Vado alla camera
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trentuno.
Il degente era un ragazzo di vent'anni, svizzero, operato non mi ricordo di
che.
Busso. "Avanti!" Entro nella stanza e vedo il professore che sta trafficando
col sesso dello svizzero. Mi blocco un momento imbarazzata... e il
professore perentorio: "Venga qua! Posi il vassoio... e tenga!".
Volevo morire!
Non ho osato dire: "Guardi, Professore, io non me ne intendo tanto...".
Ho ubbidito... ché l'ubbidienza, devo dirvelo, è la rovina della mia vita!
Ho preso 'sto coso con due dita... Ero tutta bloccata... guardavo l'infinito!
Sentivo tra le dita come una specie di salsiccetta. Tremavo come una foglia.
Il povero ragazzo svizzero... vedermi lì... diciotto anni... tanta... che gli
tenevo il suo coso con due dita tremanti... ha avuto una reazione nervosa...
un'erezione!
Per me... non ha più avuto un'erezione così, in vita sua!
Quando ho sentito la salsiccetta... come dire… prendere vita... non l'ho
lasciata per ubbidienza, ma ho lanciato un urlo terribile: "Aiutoo! È vivo!".
Il Professore ha capito tutto… Mi fa: "Posi pure. Vada, signorina vada!".
Non mi è parso vero. Sono uscita che mi inciampavo da sola... avevo il
cuore in gola, ero tutta sudata! Son lì che sto varcando la soglia:
"Signorina!"
"Madonna ci ha ripensato!"
"Signorina, si faccia trasferire al reparto pediatria... così s'abitua per gradi!"
Pia si sposa con Mezzadri, l’impresario che mi convince a rientrare in teatro.
Vengo scritturata nella compagnia delle tre sorelle Nava con Franco Parenti.
Incontro Dario.
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Capisco di piacergli, ma mi scantona. Alla fine delle prove lo abbranco e lo
bacio di forza fra le quinte, dietro a un fondale.
Camminiamo insieme nella città deserta, ci accompagnamo reciprocamente a
casa, a piedi. A quell’ora dopo le prove, non ci sono più tram. Attraversiamo
tutta la città. Camminiamo per chilometri, ma non ce ne rendiamo conto. Ci
teniamo per mano. Attraversiamo anche il parco dietro il Castello. Allora non
era cintato da staccionate di ferro come oggi.
Una sera (anzi notte) siamo scesi nell’alveo del canale che attraversava il
parco, era asciutto. Ci siamo abbracciati, stesi in quel gran solco come fosse
un immenso letto. Non avevamo un luogo dove starcene tranquilli. Dario
lavorava ancora per lo studio Ciuti -Progetti per mostre commerciali e fiere.
Stava dipingendo grandi pannelli decorativi. In un gran salone fra tele, grandi
tavole, con un aria che odorava di pittura ad olio e trementina, noi si stava
sdraiati, l’uno nelle braccia dell’altra su un divano mezzo sfondato, con le
molle che cigolavano ad ogni respiro. Ma niente ci procurava disagio.
Debutto all’Odeon: successo e insuccesso.
Ma la gente riempiva il teatro. Dario ed io si prendeva un ascensore per
salire dal palcoscenico ai nostri camerini, era due piani sopra. Ma noi due,
ogni volta si schiacciava il tasto dell’ottavo piano. Nel viaggio, andata e
ritorno, ci si baciava. Spesso si faceva vuoto di scena.
Personalmente avevo un certo successo, ero molto corteggiata; c’erano i
soliti mosconi che tampinavano le belle soubrettine e soubrettone. Mi
offrivano uscite a cena a valanga. Ma piuttosto di sorbirmi quegli
immancabili tormentoni di corteggiamento languidante, un vero e proprio
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manuale di ovvietà con tastate a go-go, preferivo digiunare o mangiare in
ristoranti di terz’ordine.
Inizia la tournée fuori Milano. Io e Dario si era sempre insieme.
La storia del ritrovar camere a Napoli
La fuga dalla camera invivibile.
L’attraversamento di napoli sull’autobus con l’autista che, d’accordo coi
viaggiatori devia dal percorso consueto per portarci a destinazione. De
sica viene a sapere dell’episodio e lo inserisce nel film con mastroianni e
la loren. DA COMPLETARE
Dario s’ammala di bronchite, tossisce tutta la notte . io per calmargli la tosse
gli do delle pasticche
(la dolce euchessina ), dolci per andar di corpo.
Il suo personaggio, il Poer Nano, non funziona sul pubblico di Napoli.
Manca che lo spernacchino. Recitiamo al Vomero. Due spettacoli al giorno
fra la proiezione di film. In un teatro frequentato da un pubblico composto in
gran parte di giovani “scostumati”, nella rivista una delle sorelle Nava getta
per provocazione comica della verdura sul pubblico Dopo l’intervallo, gli
scostumati si presentano in sala armati di una enorme quantità di ortaggi che
si sono procurati saccheggiando gli scarti del vicino mercato ortofrutticolo.
Ci tempestano di pomodori, carote, mele bacate, carciofi scoppiati e via
dicendo.
Costringono il balletto a fuggire di scena. Gli attori recitano nascondendosi
dietro i mobili dell’arredo. Io, con due ragazze puntino (tenevano un piccolo
fiore sul capezzolo, quello era l’unico abbigliamento oltre un paio di slip
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millimetriche che coprivano il pube) ci troviamo in passerella. Alle nostre
spalle abbassano il taglia fuoco, noi tre poverette rimaniamo in trappola
esposte ad un bombardamento micidiale, investite da una tempesta di
verdura e frutta marcia
La situazione, riguardo alla bronchite di Dario peggiorava. Da Milano lo
chiamano alla RAI per partecipare a una trasmissione a puntate di grande
successo: “Zic Zac”. Il capocomico, che è mio cognato gli da il permesso di
partire. La compagnia va verso il profondo sud. Arriviamo a Brindisi dove i
ragazzini per strada ci seguono facendo proferte oscene e gridando: “So
arrivate le bottane!” Un poliziotto ci viene in soccorso “Signorine - ci
consiglia - questo non è luogo dove delle ragazze sole possano circolare
tranquille. Qui è molto pericoloso. È una città degradata e squallida Hanno
perso ogni valore civile, non le dico poi il linguaggio di un’oscenità…È
inutile, sono dei rotti in culo di merda!”.
Mi viene in mente che al tempo dei romani, e ancora prima, dei greci era un
porto prestigioso. Era l’accesso per l’oriente; Virgilio è morto qui, proprio
mentre transitava per raggiungere la Grecia..
Dopo alcuni giorni si prosegue per Taranto e di qui in Sicilia.
A Messina nel teatro esaurito ci sono solo uomini, vocianti .E’ un teatro
classico in stile ottocentesco, ricostruito dopo il terremoto, coi palchi che
s’affacciano sul proscenio. Il direttore del teatro ci consiglia a sua volta:
“Non fate la passerella, qui sono abituati ad allungare le mani sulle ragazze
che sfilano loro innanzi”
“D’accordo passeremo solo in proscenio”.
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Parte il balletto, due ragazze in una giravolta sfiorano appena la barcaccia di
destra gremita di energumeni che s’affacciano con tutto il busto e le braccia.
Le abbrancano ad una velocità inaudita. Le ragazze mandano un grido e
scompaiono dentro la barcaccia. Inghiottite.
Tutti noi ci blocchiamo, reclamiamo che vengano restituita immediatamente.
E quelli fanno gli gnorri, chiedono sfrontati: “Di che femmine andate
parlando? Nulla abbiamo veduto, forse devono essere volate via, erano
ragazze molto leggere”.
Le tre Nava col temperamento che tenevano aggrediscono a male parole gli
energumeni. Li insultano: “Bella tempra di uomini siete... qui i cavalieri e i
signori dabbene ci stanno solo nel teatrino dei pupi!”
Quelli, sorretti da tutta la platea e palchi patronali, rispondono, sghignazzano
e pronunciano frasi oscene che per fortuna non capiamo. La polizia di
servizio è sparita e, d’altra parte in quel bailamme cosa potrebbero fare ?.
Si leva un grido perentorio, una voce da basso profondo impone il silenzio,
dal fondo si fa avanti un ometto magro e allampanato. Non è di certo lui che
ha imposto il silenzio. da come tutta la gente si tira da parte lasciandogli
libero il passo nel corridoio, intuiamo che si tratta di un boss, un uomo di
rispetto eccelso.
Il suo guardaspalle, quello dal gran vocione lo segue, lo aiuta a montare in
palcoscenico per la scaletta di fianco al proscenio. Il guardaspalle fa un gesto
breve, ma perentorio verso la sala e indica pure i palchi e ordina: “Lìvitivi!”
E tutti quasi a molla si levano in piedi.
L’uomo di rispetto gira lentamente lo sguardo in una larga panoramica da
destra a sinistra e ritorno.
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Il guardaspalle gli ha posto una sedia in proscenio. Lui fa cenno di no. Resta
in piedi.
“Mi scuso con queste signore e con gli artisti che sono arrivati fin da noi dal
continente per divertirci… li abbiamo invitati noi, ma ecco che hanno da
poco subito un oltraggio. Se qualcuno di questi uomini andando al nord si
vedesse sequestrare la figliola sua o la sua compagna che farebbe? Che
direbbe: che si è ritrovato in un paese di scellerati, di animali senza creanza.
No, noi non siamo senza creanza. La stiamo solo perdendo, giorno per
giorno. Portate rimedio subito. Io mi vergogno di vivere in una società come
si è ridotta questa. E c’è qui gente che si dice d’onore, ma dov’è l’onore in
uomini che aggrampiano femmine dal palco come fossero tonni da
mattanza?!”
Un gran silenzio.
“Chiedete scusa!”
E il guardia spalle ribadisce a gran voce: “Ditelo che vi scusate”.
In coro tutta la gente recita: “Chiediamo scusa”
Dal palchetto vediamo riaffiorare le nostre due campagne sequestrate.
Andiamo loro incontro. E le abbracciamo stravolte, fradice di sudore,
bianche in volto, le mani gelate. Tremano.
Tutti se ne vanno. A testa bassa, borbottando. Qualche frase qua e là.
L’uomo dabbene ci saluta con un gesto lieve. È il più mortificato fra tutti.
Sparisce.
La sera ceniamo con l’impresario del teatro che ci da qualche spiegazione. È
un uomo dabbene e riservato, oltre che di buona cultura, sta vivendo un
momento di gran sconvolgimento, ma si fa forza ci parla con inattesa
chiarezza “La mafia sta montando a dismisura, si ammazzano sindacalisti,
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spariscono giornalisti che parlano a voce aperta onesta. Tre anni fa c’è stata
la strage della “Portella delle Ginestre”. Centinaia di contadini che
festeggiavano con le loro donne e i bambini il primo di maggio furono
massacrati”.
Le ragazze che stavano con noi a tavola, tutte del corpo di ballo, non ne
sapevano quasi niente. Per mia fortuna io vivevo in una famiglia di idee
fortemente democratiche. La notizia di quel massacro ci aveva indignati e
sconvolti. Si diceva che il responsabile, anzi, l’esecutore materiale di quella
strage fossero Salvatore Giuliano e la sua banda di criminali sedicenti
indipendentisti.
Si sapeva che dietro quei criminali c’era la mafia e, dietro la mafia, alcuni
personaggi eccellenti del governo democristiano Proprio l’anno prima, ci
ricordava l’impresario, i carabinieri avevano ucciso in un conflitto a fuoco il
bandito Giuliano ma, ci svelava il nostro ospite:
“...in verità quell’ammazzamento si deve al cugino di giuliano Piscetta, suo
luogotenente che lo ha freddato nel sonno su ordine della mafia che a sua
volta raccoglieva i desideri dei personaggi eccellenti del governo. Il bandito
Giuliano era servito tre anni fa per compiere la strage di rossi… solo tre anni
fa era un mitico eroe, mo’ e uno squaraqua da buttare! Ma, - aggiungeva
sottovoce il nostro impresario - è questione di qualche mese ancora e anche
Piscetta verrà giustiziato della mafia, non per vendetta o per regolamento di
conti, ma per dare una piccola soddisfazione ai pochi seguaci di Giuliano
buonanima, il traditore deve soccombere sempre!”
Da Messina dove ci trovavamo dopo l’avventura ci siamo ritrovati a
Palermo. Altro teatro (il Biondo), altra atmosfera. Il teatro era, come sempre
in quella tournée gremito. Il pubblico, fin troppo compito, perfino nel modo
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di applaudire e di ridere alle situazioni comiche. Anzi, un pubblico che
rifiutava i lazzi e le battute di basso livello.
La situazione della nostra compagnia, l’assetto, come si dice, era divenuto
sempre più precario. Dario se ne era andato. Avevo saputo che alla radio
stava avendo molto successo con un suo monologo: il Pover Nano.
Ma tornando alla compagnia, qualche ballerina aveva dato forfait per
stanchezza o, come in due casi, aveva accettato le profferte amorose di
facoltosi amatori e si era bellamente dileguata. La fuga d’amore come da
copione ambientale. Per colmo di sfaldamento, Franco Parenti s’ammala
seriamente: causa un’epatite, era diventato tutto giallo. Dovette ritornare a
Milano per farsi ricoverare in ospedale.
Ma per fortuna, rimanevano le tre Nava, una vera forza della natura.
Facevano di tutto: danzatrici, soubrette, comiche, acrobate. Da sole potevano
tenere i piedi una compagnia e con gran successo.
Una sera, appena terminato lo spettacolo, si presenta nel mio camerino una
signora, molto ben abbigliata. Mi viene presentata dal direttore del teatro
“Donna Galizia”. Chiede perdono per l’intrusione, s’esprime con linguaggio
tendente al ricercato e condito da immagini fantasiose. Mi dice di sentirsi
emozionata e di provare soggezione davanti ad una artista così delicata.
“Si vede che lei è una ragazza ben allevata e fine!”
Poi di colpo stringe e arriva al dunque : lei è qui per il figlio. “L’avrà anche
notato, si tratta di quel giovane che dalla prima sera, ad ogni replica s’è
piazzato nel palco di proscenio a sinistra”
“Sì ,l’ho notato era sempre solo. Ora immagino che sia stato lui a mandarmi
quel gran un mazzo di rose.”
“Ebbene il ragazzo s’è innamorato di voi.”
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“Voi, nel senso dell’intero corpo di ballo compreso le puntine e le soubrette
?” Non mi capacitavo che quel “voi” fosse parte del lessico meridionale. Ma
subito, grazie al gesto della signora che puntava il dito verso di me, ho
capito. Voi ero io, io sola!
“Mi lusinga - ho commentato con mal celata ironia - d’aver destato in vostro
figlio tanta attenzione!”
La signora era tutt’altro che sciocca, ha intuito subito che io stessi per
prendermi gioco di lei, e ha subito cambiato tono e registro.
“Lei signorina, capisco, presa così alla sprovvista e avvezza a tutt’altre
proposte e attenzioni, pensa sia il caso di snobbare quanto vado dicendo. Ma
le assicuro che mio figlio è persona seria e ammodo. S’è davvero invaghito
di voi, seriamente. Non l’ho mai visto tanto preso per una femmina, -. si
corresse subito - per una figliola ed è così riservato e buona creatura, che per
non essere frainteso e malgiudicato ha pregato me d’essergli messaggera. La
mia ambasciata comprende anche un invito di voi signorina alla nostra casa
per una cena dopo teatro”.
Con un gesto imbarazzato stavo per bloccare quell’invito ma, la signora è
stata più veloce di me e ha aggiunto: “S’intende che siete invitata insieme a
tutta la compagnia, ragazze, ragazzi, attori, attrici, eccetera.”
Ho immaginato subito le grida di gioia che tutte le ragazze della compagnia
avrebbero lanciato a quella proposta. In quei giorni non capitava spesso di
riuscire a consumare un pasto degno, quindi ho acconsentito con slancio:
“Grazie, verremo di certo!”.
L’appuntamento era per l’indomani. “Verranno a prendervi con due
macchine e con l’aggiunta di taxi, se necessario.”
163
All’invito aderiscono in dieci di cui cinque del balletto, una delle sorelle
Nava, uno degli attori soprannominato Voltino, due altre ragazze attrici più
io, naturalmente.
Le macchine, una volta caricata la compagnia, si portano fuori dalla città .
Arriviamo in una villa sulla strada per Monreale. Ci fanno entrare passando
per il retro. In un gran salone ci sono un sacco di ragazze in abito da sera di
un’eleganza un po’ caricata. Ci sono anche una mezza dozzina di uomini,
compreso il mio aspirante fidanzato che mi viene incontro raggiante: è un bel
ragazzo, noto che ha gli occhi verdi. Mi da la mano. È bagnata fradicia per
l’emozione. Ci accomodiamo a tavola quasi subito. La signora mi fa sedere
accanto a lei. Eccomi in mezzo fra madre e figlio. La signora, vuol sapere
della nostra origine e provenienza mia, e delle ragazze della compagnia. Per
ognuna ha un commento. Quando viene a scoprire che sono lombarda
esclama: “Ah, le lombarde sono donne di grande affidamento, affettuose e
passionali”, poi commenta l’origine delle altre: “Voi, morettina, siete veneta?
Buona razza, figliole di compagnia, allegre, un po’ facili all’ubriachezza, la
ferrarese non ti tradisce mai, l’emiliana a letto è un portento…” le ragazze
della casa ridono e applaudono. Qui si blocca, zittisce con un gesto le
ridanciane poi, rivolgendosi a me: “Scusate, mi sono lasciata andare...”
Mi alzo un attimo mentre servono l’antipasto.
“Per favore, signora, vorrei andare in bagno”.
”L’accompagno subito”
“No, basta mi indichi come ci si arriva”
“Guardi, è nell’altra stanza, proprio di fronte”
Ci vado spedita. Si alza da tavola anche Arianna, una delle ragazze puntino e
con lei si leva il Voltino. Mi raggiungono nell’atrio del bagno.
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“Franca, scusa, ma tu hai capito dove ci ha portati?”
“Già, l’hai capito?” gli rifà il verso il Voltino.
“Dove?” chiedo io,
“Ma sei proprio un’allocca!” mi fa il Voltino.
“Perché allocca? Siamo nella classica villa borghese di qualche signorotto
locale. Il figlio è una specie di pirluccone viziato cocco di mamma. Lei, la
padrona, è di certo una vedova che ha ereditato alla grande. Mi pare la
classica ex bonona, del genere parvenu.”
“No, parvenu non è la parola giusta. La parola giusta è metrêsse! “sentenzia
Voltino e la ragazza-puntino rincara: “Le ragazze della casa sono tutte
puttane e il tutto è un casino!”
Fine della puntata
Quello fu proprio un anno sbilenco con colpi di scena folli uno dietro l’altro.
La compagnia perdeva pezzi ad ogni piazza, ma si continuava imperterriti
evitando caparbiamente il naufragio ormai imminente. Perfino la sarta di
compagnia e mia sorella, responsabile dei costumi, erano state ingaggiate nel
balletto. Con loro anche la segretaria dell’amministratore. Lui stesso, il
ragioniere, faceva da spalla alle sorelle Nava. Tornammo al nord e si debuttò
a Cesena, intanto alla radio settimana dopo settimana Dario stava ottenendo
un notevole successo. Quel suo intercalare di espressioni come: pover nano,
quel linguaggio fatto di termini lombardi strafalcionati e immagini al tempo
paradossali e satiriche erano entrati nel linguaggio comune. Perfino la critica
si stava accorgendo di quei suoi monologhi graffianti che nascondevano sotto
una maschera di candore un grottesco spesso irriverente. I giornalisti di
quotidiani di destra (cioè la maggioranza) iniziavano ad avere il dubbio che
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quelle macchiettate assurde in verità fossero pamphlet che mettevano in
mutande il potere costituito e le sue regole bugiarde.
A Cesena sembrava fosse giunta una compagnia di ventura salvatasi per
miracolo da un’imboscata: stravolti per il viaggio, demoralizzati e con la
paga che ormai girava a fatica prendemmo quartiere nel teatro Bonci. Il
direttore del teatro aveva subito contestato a Mezzadri, il nostro impresario,
la fasullagine della locandina esposta fuori nell’atrio del Bonci.
“Qui manca un sacco di gente: ho fatto un giro nei camerini e tanto per
cominciare Franco Parenti non c’è. Non ci sono nemmeno le tre soubrettine
annunciate. Manca metà del corpo di ballo e del Dario Fo, quello che
dovrebbe recitare il Pover Nano, manco l’ombra”
“ Non esageriamo! Sì, abbiamo avuto qualche defezione, - ribatte sfacciato il
Mezzadri - ma per quanto riguarda il corpo di ballo c’è quasi tutto. Le
ragazze sono momentaneamente dal parrucchiere”.
“Va bene, beviamo anche ‘sta bufala del parrucchiere, ma tornando al Dario
Fo, come la mettiamo?”
E il Mezzadri imperterrito: “Arriva, pazienza un attimo che arriva. È sempre
puntuale quello.”
“Ma che puntuale! Come fa ad essere qui se due minuti fa l’ho sentito
recitare da Milano il monologo.”
“È vero, ma si trattava di una registrazione effettuata ieri sera e mandata in
onda oggi.”
“La racconti a un altro. Mica sono un patacca io! V’avverto che se non mi
fate trovare tutti quelli che stanno sulla locandina vi dimezzo il cachet!”
Dario m’aveva telefonato da Milano quattro ore prima. Mi avvertiva
dispiaciuto che non avrebbe potuto raggiungermi. Era più di un mese che non
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lo vedevo. Pensava di correre alla stazione appena terminata la registrazione
del suo pezzo che avveniva davanti al pubblico nel pomeriggio. Purtroppo
non ce l’aveva fatta ad arrivare in orario. Il treno era già partito. Mia sorella
sapeva di questa sua impossibilità ed aveva avvertito il Mezzadri. Oltretutto
lui , questo mio moroso, non faceva più parte della compagnia da un paio di
mesi, ma ecco che all’improvviso Dario appare a Cesena nell’atto di
attraversare l’atrio del Bonci. Mezzadri mi intravvede. E in perfetta battuta
con una sfacciataggine degna di un capocomico dell’arte leva la voce quasi
infilando col dito teso un orecchio del direttore che gli sta di fronte. “Ehi, tu!
- urla - Dario, ti pare questa l’ora d’arrivare?”
Dario si volta perplesso: “Mi stavo prendendo una ramanzina per colpa tua,
il direttore mi stava addirittura accusando d’essere bugiardo millantatore!”
Dario intuisce subito che deve stare al gioco della recita all’improvviso
quindi con un’espressione mortificata entra in battuta: “Mi perdoni dottore,
ma ho avuto un contrattempo”
“Va bene, va bene, me lo racconterai dopo. Vai subito in palcoscenico che lo
spettacolo è già cominciato. Tocca proprio a te!”
Dario scatta correndo e borbottando altre scuse incomprensibili sale nel retro
palcoscenico il tempo di farsi notare dal direttore di scena e, così com’è,
deposita in quinta valigia, cappello e giacca ed entra in scena. Io sono in
camerino, sento scrosciare un applauso piuttosto vivace ed esplodere grosse
risate. Mi pare di indovinare la voce di Dario che recita il suo monologo.
Com’è possibile sia qui?. Mi precipito fra le quinte: è proprio lui. Il direttore
di scena mi trattiene per la gonna, stavo per entrare a mia volta in scena ad
abbracciarlo. “Aspetta, calma, cinque minuti e torna fuori da te…e te lo
potrai spupazzare fino ad affogarlo!”
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È vero, come termina la sua esibizione, esce in quinta e mi abbraccia
festante. Il pubblico lo reclama. Fa per slacciarsi un attimo da me per
rientrare, ma io non lo mollo. Me lo trascino fuori nel retropalco e fra un
telone e un fondale quasi lo affogo davvero. Prendiamo un respiro, il
direttore mi avverte: “Fai attenzione, Franca, fra un minuto tocca a te.
Attenta che sei in sottoveste!”
“Infilati il costume” grida la sarta e me lo butta.
Quindi entro in scena sgambettando con le altre del balletto.
“Ma non avevi perso il treno? - chiedo a Dario - come hai fatto ad arrivare lo
stesso, con che mezzo?”
“Un colpo di fortuna. Partito il mio treno, è arrivato subito un rapido che
veniva dalla Francia. Era in ritardo, ma grazie al diritto di precedenza ha
sorpassato quello avevo perduto. Ed eccomi qua puntuale”.
Alle mie spalle arriva Mezzadri, l’imprenditore, che a sua volta mi abbraccia.
“Mi hai tolto da un bell’impaccio, spero che tu rimanga anche per prossime
repliche”
“Si volentieri! - risponde Dario -per tre giorni sono a disposizione!” “Grazie
- lo riabbraccia il Mezzadri - ma sia chiaro, reciti senza paga. Ti farò una
gran regalia!”
“Quale?”
“Franca. È tutta tua. Non ti pare abbastanza?”.
Il fotografo pazzo
A Cesena c’era un fotografo davvero fuori norma: simpatico, ciarlatore,
pieno di fantasia e anche pericolosamente dedito alle millanterie. Aveva
come gran parte dei fotoreporter il pallino del colpo giornalistico ad ogni
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costo. Possedeva una vera e propria genialità nell’eseguire ritratti. Aveva una
certa simpatia nei miei riguardi e proprio in occasione delle repliche al
Bonci, mi scattò un sacco di foto: in teatro, per strada e perfino al mare che
distava pochi chilometri. Alcune erano davvero belle, soprattutto inconsuete.
“Peccato non poterle pubblicare - mi fa - bisogna piazzarle come si deve ‘ste
immagini. Ci vuole un’idea formidabile. Sai cosa ti dico? Domani ti faccio
incontrare con Norman Gauter”
“ E chi è?”
“ Ma dove vivi? è il più grande imprenditore del cinema del mondo”
“E viene qui a Cesena?”
“Certo è mio ospite. Ci conosciamo da anni, ho scattato per lui le prime foto
della Hayworth quand’ero a Hollywood cinque anni fa“
“Che balla straripante!” commento io
“Sei libera di non crederci e farmi pure pernacchie, ma domani ti capiterà di
rimanere senza fiato!”.
Il giorno dopo mi viene a prendere all’albergo e mi trascina alla biblioteca
malatestiana. La direttrice pone qualche resistenza: “Per carità, non si
possono far foto dentro un monumento simile!”
Ma lui con un fuoco d’artificio di chiacchere la condisce come un bignè. Mi
metto in posa fra le arcate appoggiata alle colonne finissime di un marmo
splendido quasi sdraiata sui tavoli con leggii quattrocenteschi. Ci troviamo
immersi in una luce magica, che va dal rosa al violetto passando per il verde
pallido.
“Ma non doveva arrivare quel produttore americano?” butto là io sfottente,
fra uno scatto e l’altro.
“Chi, Norman?”
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“Si quello! Era qui ieri sera, purtroppo è dovuto partire stamattina presto per
Boston, ma ad ogni modo ieri sera gli ho mostrato le tue foto. Era entusiasta.
Me ne ha ordinate subito un centinaio di copie e altre nuove da scattare. Ha
deciso di lanciarti, dice che sei più affascinante della Hayworth”.
“L’anguria era grossa! - canto io sghignazzante - E giù ‘ste fette”.
“Ridi che fra poco ti prenderà un coccolone di meraviglia!”
Tre giorni dopo al mattino siamo alla stazione di Cesena ad attendere il treno
che ci trasporterà a Bologna dove andiamo per debuttare la sera stessa.
Passo davanti all’edicola dei giornali. Per poco non mi prende un colpo : lì
ben esposta davanti a miei occhi c’è la copertina della rivista “Oggi” con la
mia faccia ridente e corredata da un titolo in di dimensioni vistose: ecco la
Hayworth italiana, sottotitolo: l’attrice ingaggiata per un prossimi film dal
grande Norman. Anche sui quotidiani c’è la stessa notizia e altre foto di me
che agito le braccia accennando una danza. Io che rido e fingo di volermi
lanciare da un pattino in acqua, poi eccomi sdraiata fra l’architettura
maestosa della malatestiana e via di seguito.
Nei vari articoli appaiono le dichiarazioni del gran magnate di New York.
Tutte entusiaste: dice di avermi vista recitare al Bonci e perfino ascoltata
cantare una splendida aria napoletana. “Che bugiardo! Non ho mai cantato su
un palcoscenico in vita mia. Come avrà fatto quel pazzo di fotografo a far
girare e accettare una simile frottola! Qui, se scoprono la verità mi
massacrano la reputazione per tutta la vita”. Quasi l’avessi evocato in quel
momento, ecco che appare il re dei contafrottole tutto raggiante:
“Ce l’abbiamo fatta - esplode abbracciandomi - L’hanno bevuta tutti come
cammelli appena fuori dal deserto!”
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“Ma sei un incosciente. Come puoi pretendere sostenere una bufala simile?
Appena intervistano davvero questo Norman ci ritroviamo sputtanati tutti e
due come peracottari di quart’ordine. Niente paura, l’importante da ‘sto
momento è imparare bene il copione. Non dobbiamo contraddirci di una sola
virgola. Adesso monto in treno con te e lo studiamo alla perfezione”.
Non so come si sia prodotta quella specie di deflagrazione a catena: fatto sta
che nelle settimane a seguire tutte le riviste di moda, scandalistiche,
comprese quelle di taglio politico culturale, uscivano con il mio ritratto in
copertina. Di botto mi sono letteralmente vista aggredire da nugoli da
giornalisti che mi chiedevano notizie più precise riguardo quell’incontro. Ero
imbarazzata. Spesso mi impappinavo, mi contraddicevo, ma i cronisti pareva
che non volessero assolutamente farci caso. Tutti accettavano a priori e con
assoluta fiducia quello che aveva dichiarato il grande Norman.
Ma esisteva davvero quel Norman?
Ancora oggi mantengo il dubbio che anche quello se lo fosse inventato il
fotofrottola come ormai l’avevo battezzato io. Stavo vivendo nel più
grottesco dei paradossi condotto da una regia stregonesca dell’assurdo.
All’istante anche i produttori di film italiani mi offrivano ingaggi a
ripetizione. Mi mostravano sceneggiature, mi descrivevano i ruoli e mi
facevano firmare impegni e mi consegnavano assegni con anticipo.
Il cantante frolloccone, ma cieco
Le parti che mi si proponevano erano della solita bonona tutta zinne e
natiche, svampita, un po’ scema, ma di gran cuore. Insomma film di seconda
categoria. Ma ogni tanto qualche pellicola di prestigio mi veniva offerta. Fra
queste me ne avevano proposto una con la regia di Visconti, Senso. Mi
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trovavo ingolfata dai progetti. Paone mi voleva nella rivista di Garinei e
Giovannini, con Billi e Riva.
Non sapevo dove sbattere la testa. Ero costretta per via di contratti con
penale pesante a rifiutare il film di Visconti al quale tenevo molto. Come
però ripeteva spesso mio zio Tommaso, qualche volta le contrarietà vengon
messe in atto dal destino per salvarti da una catastrofe. Infatti, all’inizio della
lavorazione del film mi sarei dovuta trovare su un aereo che da Venezia
andava a Roma. Poco dopo il decollo, l’aereo precipitava e dei viaggiatori,
un centinaio, nessuno s’è salvato. Fra questi anche l’attrice che aveva preso
il mio posto. È proprio vero: il destino avverso spesso è la tua fortuna.
Mia sorella Pia, era entusiasta per questo clima che stavo vivendo. Recitavo
con Billi e Riva, con Walter Chiari, con Rascel, mi proponevano film e
spettacoli uno dietro l’altro. Pia viveva quella situazione di inviti, interviste,
servizi fotografici come fosse lei la protagonista in prima persona.
Spumeggiava di gioia. Io, al contrario ne sentivo, ogni giorno di più, la
fasullaggine. Scoprivo la volgarità dell’ambiente che stava dietro a quei film
di cassetta, banali e stucchevoli, proprio di basso contenuto. Soprattutto mi
stupiva la pocaggine dei protagonisti, il loro tirare a incastrarsi l’un l’altro:
produttori, registi, distributori, interpreti. Purtroppo mi son trovata a sfiorare
appena l’aria del cinema di livello degno: sto parlando di quello diretto dagli
Antonioni, Fellini, Degrada, De Sica, eccetera. Per quanto anche in quei lievi
approcci venivano fuori altrettante miserie.
Ma torniamo al film di routine, quello che vedeva come protagonisti attori e
cantanti meteora, personaggi che apparivano e sparivano a velocità inaudita.
Mi ricordo di una produzione in cui, come al solito, interpretavo il ruolo di
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una vamp di gran classe che s’invaghisce di un giovane talento della canzone
del quale, per civiltà, evito di indicare il nome.
Io, la vamp, procuravo un impresario a quel ragazzo e lo portavo al successo.
Inebriato e sedotto dalla mangia-uomoni (che ero io), il cantante sulle ali del
trionfo abbandona la fidanzatina innamorata e fedele, se ne va strallocchito
fra le braccia della qui presente maliarda. A questo punto del film, mancano i
soldi. Uno dei produttori ha dato forfait. Mancano i quattrini anche per
noleggiare una macchina di gran classe con la quale inscenare la maestosa
fuga d’amore. In quei giorni io avevo acquistato un macchinone
decappottabile, un affare, mi avevano assicurato. Ci accorgiamo il giorno
stesso che ha la marmitta sfondata e il motore spernacchia con un tal
fracasso che pare un areoplano.
“È ottima! - esclama il regista - Te la coloriamo di giallo con uno smalto
sintetico... che, come poi gli spruzziamo addosso un getto d’acqua, se ne
va.”
In un’ora la trasformazione è effettuata.
“Dio che bella! Sembra una Bugatti!”
“Via! Si gira! Motore!”
Ma il motore della macchina non parte.
“Insisti… S’accende!”
Uno scoppio. Va tutto in fiamme!
“Via con lo spruzzo! Spegni!”
Mi ritrovo tutta affumicata e completamente sguazzata d’acqua .
“Asciugate completamente la carrozzeria, presto!”
“Si gira con la macchina ferma” urla il regista.
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Per dare il senso del movimento facciamo passare dietro l’auto delle frasche
d’albero. Detto, fatto. I macchinisti tagliano grossi rami dagli alberi del
vicino bosco.
Vengono reclutati tutti gli uomini validi e disponibili, a partire dai
macchinisti, il truccatore, l’autista del produttore, un suo amico di passaggio
e tre vigili del fuoco. Quindi si dispongono uno appresso all’altro, in fila
indiana. Ognuno imbraccia la sua frasca. L’auto viene spinta su un rialzo del
terreno. La macchina da presa è posta quasi a terra.
“Via, si gira! Azione! Dialogo!”
Il cantante rapito e la maliarda, sempre io, stiamo sulla macchina scoperta.
Dietro il portapacchi, due macchinisti la scuotono per dare l’idea del
movimento. Ancora più dietro, camminando quasi gattoni, sfilano i reggitori
di rami.
“Muovetevi senza agitare troppo le fronde! - urla il regista - così pare un
uragano! Sfilate! Sfilate! Stop! Bene così. Buona la prima. Stampare!”
La sera ci diamo appuntamento in un’osteria per mangiare qualcosa insieme.
Il regista e il produttore hanno da poco visionato il “girato”. Io mi ritrovo al
loro tavolo insieme all’operatore, al truccatore e alla costumista.
“E’ un disastro! - commenta l’operatore - Quel frolloccone del cantante, non
regge. In qualsiasi modo lo illumini, vien sempre fuori ‘sto faccione
inespressivo. Manco se gli spari, gli sorte un minimo d’emozione!”
“Hai ragione, - rincara il regista - si salva giusto quando canta, ma per il
resto non so come cavarmela! Ho provato tutto: l’ho sistemato dietro una
vetrata, in controluce con una tela che sbatte, perfino con una ripresa
sott’acqua. Erano più umani i pesci che gli giravano intorno! Ho ancora tutta
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la seconda parte da girare; ci vuole assolutamente una trovata che gli
mascheri la faccia!”
“Un incidente!” propone il produttore.
“Cosa?!” sussulta l’operatore.
“Ma sì, un incidente di macchina.”
“Spero non abbiate intenzione di adoperare la mia!” sbotto io preoccupata.
“Senti, hai qui un catorcio da buttare. Te lo compriamo alla metà di quello
che tu l’hai pagata e fai un affare.”
“Affare fatto. Altro bidone, - aggiungo - so già che me la pagherete a babbo
morto!”
“Torniamo all’incidente, - prosegue il regista - allora lo caviamo fuori dai
rottami, tutto bruciato, con la faccia ustionata. Lo ricoveriamo in un ospedale
e giriamo le scene dell’intervento d’urgenza. ‘Ha perso la vista, - sentenzia il
chirurgo - non c’è più niente da fare!’ Si risveglia in un letto della corsia e
vicino c’è un’infermiera che parla con lui, chiede come si sente. Bendato
com’è l’infermiera, non lo riconosce, ma lui dalla voce capisce subito che si
tratta della fidanzata che ha lasciato per la vamp.”
“Bellissima idea!- esclama il produttore - così gli mascheriamo a perfezione
la faccia!”
Il truccatore esulta: “Truccare delle bende mi sarà sicuaremente più facile!”
“Andiamo avanti. Gli tolgono le bende. Noi stiamo sul primo piano
dell’infermiera che sgrana gli occhi incredula e scoppia in lacrime: ‘ È lui!’ e
lo bacia. Il viso del citrullone è ustionato, quindi sarà un po’ mostruoso, ma
di certo più interessante dell’originale sano!”
“Ma lui rimarrà sempre cieco?” chiedo io.
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“No, naturalmente tu, donna facile, ma di gran cuore, ti dai da fare come una
matta per rintracciare il famoso chirurgo che fa miracoli. Ti mangi tutto il
capitale, ma alla fine ce la fai. ‘Sta volta, quando lui riapre gli occhi e ci
vede, inquadrerà la tua faccia in lacrime... soggettiva un po’ sfuocata di te
che ti allontani, afferri per le spalle l’infermiera e la piazzi davanti agli occhi
del frolloccone… sentiamo fuori campo la sua voce che canta appassionato:
‘Sono tornato a veder la luce, il sole e il mare e i tuoi occhi mi sono apparsi,
amore!’ Seguiamo te che te ne vai sempre più in lacrime. Vedrete, un
trionfo!”
(continua 17 luglio)
Progressione di avvenimenti
Il successo effimero
Debutto e tournée con la compagnia di Paone con Billi e Riva.
Mi ritrovo messa in scena come il bell’oggetto da mostrare in passerella.
Sfilare con lievi giravolte.
“Non sa fare altro” commenta Riva. Il greve truccato da bonario. Guadagno
bene, ricevo applausi, ma mi sento mortificata, inutile. Sto perdendo il mio
tempo in un clima da chermes dal vuoto assoluto. Pia mi incita a resistere.
Perdo i contatti con Dario. Forse sto scaricandolo. Coscientemente mi sto
lasciando andare a una fatua e stucchevole deriva. Incontro ancora qualche
volta Dario che mi parla dei suoi nuovi progetti, difficili da realizzare. La
stagione di Pover Nano alla RAI è finita. Hanno bloccato la sua esibizione,
censurata. Al dirigente di Milano arriva un ordine da Roma: “Basta Fo”. In
via Teulada i direttori superiori si sono resi conto che quella satira
apparentemente bonaria nascondeva critiche e denunce al regime
democristiano vigente insopportabili. Ma ora ha un altro personaggio da
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proporre. Forse lo accettano. Si tratta dell’impiegato Gorgogliati, un Fantozzi
ante litteram, prodotto quindici anni prima.
Mi commuove l’entusiasmo di Dario, ma mi rendo conto che quel nostro
distacco latente lo addolora parecchio. Oggi non so capacitarmi di cosa
m’abbia portato a quell’abbandono. Troppo facile spiegarlo col fatto che mi
trovassi fuori di testa, causa la nuova situazione dell’effimero successo. Di
certo quel clima di serate, festose adulazioni e l’illusione di poter sfondare al
momento buono con un colpo di svolta fortunato, mi aveva trasformata e
messa in chiave sbilenca.
Mi lascio corteggiare, amoreggio qua e là, mi faccio un fidanzato che mi
riempie di regali. Mi sento una soubrette, una piccola mongolfiera
riccamente decorata a sbroffi che galleggia nel nulla… senza ormeggi.
Dario ha debuttato con una compagnia di rivista all’Odeon di Milano; fa
coppia con Durano. Recita, fra gli altri, il personaggio di Fausto Coppi; gli
assomiglia in modo impressionante. So che a sua volta s’è fatto una fidanzata
o qualcosa si simile: è una soubrette anche quella. Le soubrette dilagano!
Lo incontro a fine tournée, siamo in primavera avanzata. Sta per mettere in
scena uno spettacolo di satira con Durano, Parenti e Lecoq. Con loro ci sono
due attrici poco conosciute e quattro mimi.
È il primo teatro di autentico cabaret del Dopoguerra. Da quell’esempio ne
seguiranno a dozzine.
Dario vorrebbe che io entrassi nel gruppo, ma mi trovo ancora impegnata
con la rivista di Garinei e Giovannini.
“Il dito nell’occhio”, così si chiama lo spettacolo satirico, debutta al Piccolo
Teatro e tiene cartellone per tre mesi consecutivi. Sempre esaurito. Un
successo mai registrato fino ad allora.
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Finito il mio impegno, rivedo Dario a Milano. Assisto entusiasta allo
spettacolo e ritrovo scene che lui mi aveva già raccontato tempo prima. Ce
l’aveva proprio fatta.
La compagnia de “Il dito nell’occhio” s’appresta ad andare in tournée per
tutta l’Italia. Il gruppo deve essere ridimensionato. Mi offrono di entrare in
compagnia; con me verrebbe scritturata anche la ragazza di Parenti e quella
di Durano. Siamo una compagnia di accoppiati-vincenti!
Le parti a disposizione di noi donne sono un po’ scarse. Dario ha l’idea di
inscenare un dialogo che riprenda la chiave di “Palla di Sego” di Guy de
Maupassant, ma ambientato al tempo del crollo dell’Impero Romano. Attila
incombe. Dario scrive i dialoghi con Parenti. Mi viene affidato il ruolo di
protagonista, una prostituta di bell’aspetto, piena di temperamento e
sessualità, che ha suscitato desideri irrefrenabili nel capo barbaro. La donna
facile non si vuol concedere a lui. Le nobili donne romane la invitano a
riflettere. Il barbaro è talmente infoiato che, se la puttana non accondiscende
alle sue voglie almeno per una notte, lui raderà al suolo l’intera città,
violenterà tutte le femmine e scannerà ogni maschio superstite. La meretrice
resiste: “Mi fa piacere che anche voi finalmente signore proviate per una
volta quello che io sono costretta a provare da quando mi son cresciute le
tette!”
Le donne nobili le recitano tutto un panegirico sulla solidarietà civile, il
senso di patria, la difesa della religione, delle istituzioni, della civiltà, il
sacrificio per la salvezza della razza... se la insaponano tutta di promesse,
riconoscenza, gloria e santità tanto che alla fine la putta onorevole cede.
Uscita di scena, le nobildonne commentano: “È una proprio puttana da
quattro soldi!”.
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È chiaro che sketch di questo tono non potevano trovar accoglimento
entusiasta da parte dei censori, specie dopo che i critici dei giornali moderati
avevano battuto il tamburo dell’indegno pamphlet di satira comunista.
Cominciano a fioccare controlli: dirigenti ministeriali e censori si rendono
conto all’istante di non essersi accorti alla prima lettura delle insidie satiriche
nascoste nel testo del copione che stoltamente avevano timbrato col “nulla
osta” di rappresentazione.
Da quel momento scatta il carosello dei veti e impedimenti. L’Ente del
Teatro di Stato (l’E.T.I.) che gestisce più di quaranta teatri in tutta la
penisola ci spedisce in piazze famose per essere le tombe immancabili delle
compagnie. Infatti in quei teatri non c’è quasi mai pubblico pagante. Per
fortuna possiamo salvarci con le piazze dell’Emilia-Romagna gestite dai
Comuni di sinistra dove troviamo ospitalità e successo. Anche a Roma,
grazie a Paone, troviamo un teatro, il Quattro Fontane, dove debuttiamo con
un vero e proprio trionfo. Repliche per un mese. Così a Torino, Napoli,
Firenze, eccetera. La tournée dura otto mesi: fatto davvero eccezionale.
Con Dario le cose si son messe finalmente bene. Viviamo insieme, salvo in
qualche occasione dove litighiamo per via degli spazi ristretti che trovo nello
spettacolo e nella compagnia. Franco Parenti tende a gestire il tutto da capo
comico unico. D’altra parte Dario non ha ancora acquisito esperienza e
autorità tali da permettergli una resistenza. Per di più, è chiaro che lo stesso
Parenti ha in programma di riformare il gruppo eliminando, per la prossima
stagione, gli elementi che potrebbero contrastare la sua leadership. Arriviamo
così alla fine della tournée. Dario ed io siamo molto preoccupati per il futuro
della compagnia: Parenti, è chiaro, non può fare a meno dell’apporto e della
collaborazione di Dario, fra l’altro, è lui che scrive la maggior parte del testo
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e ha le idee in fatto di satira e grottesco. Per di più è lo scenografo e il
costumista, e con Durano l’attore che ha maggior impatto sul pubblico. Ma
per quanto mi riguarda, temo che sarò fatta fuori. Franco ha intenzione di
disfarsi di sua moglie, sia come attrice che come compagna. Ma il “ripulirsi”
non può funzionare se anche la donna del suo socio non subisce la stessa
sorte. Dario, al momento di riformar compagnia, discute con forza in merito
al progetto ormai scoperto di Parenti: Durano non farà più parte del gruppo
di testa se non come scritturato, per quanto riguarda le attrici, impone che
vengano sostituite in massa. A Dario non resta che una soluzione:
minacciarlo di rompere. Interviene Paolo Grassi, il direttore del teatro dove
si dovrebbe debuttare col nuovo lavoro. Grassi gli fa capire in un dialogo a
due che Franco si è incaponito duro e, pur di ottenere quel che si è messo in
testa, è disposto a sbattere all’aria il gruppo e costituirne uno nuovo con altri
collaboratori, compresi gli autori dei testi. Dario mi riferisce della situazione:
è molto amareggiato, non sa dove sbattere la testa. Metto in mostra tutto il
mio orgoglio e gli consiglio di accettare la situazione: “Non si può buttare
all’aria una macchina teatrale di quella forza per l’incoscienza isterica di uno
dei soci!”
Il giorno dopo con Dario mi ritrovo seduta in un Caffè, sotto un bersau nella
piazzetta vicino alla casa dove abito.
Lui mi prende una mano, si parla della situazione in corso, poi mi chiede:
“Vuoi sposarmi?”
Mi si è messa a girare intorno tutta la piazza, come una giostra. Ho riso, ho
pianto.
Poi di colpo mi sono bloccata: “Non è che me lo chiedi per ripagarmi della
carognata d’essere stata esclusa dalla compagnia?”
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E lui risponde: “Non ti permetto assolutamente di pensare una cosa simile,
nemmeno per ischerzo! Io ti sposo perché ti amo, perché sei la persona
migliore che conosca, che stimo, con la quale penso di poter vivere meglio…
che mi fa sentire vivo più del solito, perché quando ti ascolto, dici cose sagge
e spiritose, perchè quando ti racconto io qualcosa delle mie idee, dei miei
pensieri, mi fai sentire intelligente, addirittura geniale… perché mi
piacerebbe metter su commedie con te, spettacoli originali, spregiudicati,
spassosi… fare e allevare figli con te. Il resto non conta. Penso solo che
questo escluderti dalla nostra compagnia sia solo un’infamia che non porterà
di certo bene a chi la mette in atto!”
La mamma non era tanto contenta che io mi mettessi con un attore, ma da
quando ha cominciato a conoscere Dario aveva ammorbidito quel suo
blocco: “Quello non fa parte della categoria dei comici!” aveva sentenziato.
Ma appena ho accennato con lei il particolare che non ci saremmo sposati in
chiesa soprattutto per le convinzioni non molto cattoliche, apostoliche,
romane di Dario, è andata su tutte le furie.
“Ci rifacciamo come con tua sorella Pia e tuo fratello Enrico che hanno
voluto ad ogni costo sposarsi in Municipio? E guarda che razza di unioni ne
son venute fuori! Enrico e sua moglie si son divisi dopo un anno e per quanto
riguarda Pia, siamo ormai già alla pre-schifezza avanzata.”
“Già - le ribatto io - perché con Lina che s’è sposata in chiesa, con tutti i
crismi, invece va a gonfie vele! Non ho mai visto un aborto di matrimonio di
quel livello in vita mia!”
Tre giorni dopo sto passeggiando con Dario nei dintorni di Sant’Ambrogio,
la chiesa romanica più famosa di Milano. Dario mi chiede di seguirlo
181
nell’interno. Vuol mostrarmi un bassorilievo di origine ariana che si trova
alla base del pulpito. In quel bassorilievo ci sono immagini che si rifanno a
miti pagani. Stiamo commentando quelle rappresentazioni a voce bassa per
non disturbare una funzione religiosa in atto, quando alle nostre spalle
sentiamo una voce sostenuta che quasi si inserisce nel nostro discorso:
“Sì, è proprio un mito di origine greca che si rifà alla primavera. Pensare che,
neanche cinquant’anni, fa qualcuno voleva che lo si togliesse di lì perché
ritenuto blasfemo”.
Ci voltiamo e scorgiamo un religioso che indossa un abito modesto.
Chiacchieriamo un po' e scopriamo che si tratta del vescovo priore della
basilica. Ci presentiamo: “Siamo attori, recitiamo al Piccolo Teatro”. Ci fa
una gran festa, storpia il nome di Strehel chiamandolo Strelzer e ci invita
nella curia a prendere un caffè.
“Mi piacciono le cose che si rappresentano in quel teatro - ci confida - ogni
tanto ci vengo travestito in borghese. È straordinario come spesso gli artisti
atei sappiano esprimere nelle loro rappresentazioni una religiosità che noi
credenti non riusciamo manco a immaginare!”
Andando avanti nella conversazione io mi ritrovo a confidargli della nostra
intenzione di sposarci entro un mese circa e lui, il vescovo, esclama: “Ma vi
sposo io! Sarebbe per me una gran gioia oltre che un onore.”
“L’avverto eminenza che a nostra volta noi siamo leggermente atei, specie
da parte di padre!”
“Non importa: preferisco una coppia che sappia esprimere religiosità che dei
religiosi senza spirito!”
E così il Vescovo di Sant’Ambrogio ci sposa il 24 giugno 1954 nella più
bella basilica del mondo. C’erano tutti i professori di Brera, molti allievi e
182
qualche professore del Politecnico e la mia mamma che non smetteva mai di
piangere.
183
PARTE ELIMINATE O DA RIPRENDERE
Bobbio: i miti d’origine colti e popolare.
A Bobbio nasce il primo monastero cistercense in Italia (VII – VIII sec.)
Collegato ad altri sette altrettanto famosi monasteri collocati in tutta Europa
francia - spagna – germania –inghilterra.
Dominio culturale e tecnologico (la nuova agricoltura) dei monaci – papi –
principi – imperatori devono trattare in ogni occasione coi super-priori dei 7
monasteri.
La zona di bobbio broni – stradella è chiamata “dell’oltrepo” pavese (di qui
il famoso vino).
Pavia (sede dell’impero longomrdo) VI – IX secolo è fortemente legata a
bobbio –quasi soggiogata cultutralmente dal monasrtero dove si preserva la
più importante biblioteca del nord italia –seconda solo a quella di cassino
(senza bobbio omolto probabilmente non avremmo avuto la prestigiosa
università di pavia).
Le più antiche (uniche) commedie profane della nostra cultura sono scritte
dai chierici (studenti) dell’università e della succursale-studio di bobbio.
Scoperta del proototipo della tragedia di giulietta e romeo ( di cinque
secoli più antico di quello raccontato dal bandello a cui si è ispirato
shakespeare).
Sunto rapido elle commedie (in latino) messe in scena dai chierici dello
studio di broni e pavia.
184
Un giovane di famiglia nobile (di pavia) (o broni) è innamorato di una
ragazza (elisa) figlia del podestà di milano. La famiglia per regola
amministrativa comunale non può seguire il podestà nella città dove esercita
il suo compito.
La ragazza lo stima, sente affetto per lui ma non lo ama. Il giovane
innamorato (marco) presenta a elisa un suo amico studente che viene da
bologna (espulso da quella università per aver capeggiato un tumulto contro
il magnifico rettore.
Qui si articola la Storia dello pseudo “giulietta e romeo”
Elisa s’innamora di “lucio” (il fuoruscito) travolta dal suo corteggiamento.
I due convincono marco a cedere la sua casa perché possano amarsi; lui col
cuore a pezzi accetta. Travolti dalla passione i due giovani consumano l’atto
carnale. Lui ha dichiarato che non la lascerà mai. Dalla università di bologna
giungono le guardie del rettore alla ricerca del giovane transfuga – deve
subire un processo .
Lucio è costretto a rimanere nascosto nella casa di marco, anche elisa resta
con lui. I parenti de lei la cercano. Pensano sia stata rapita, lucio non
sopporta più quella situazione da clandestino in cattività (se pur amorosa).
fugge dall’alcova e dalla città: elisa è disperata; come Didone capisce
d’essere stata tradita “il fuggitvo l’ha sedotta e buttata ai rovi”. È sola nella
casa. Non ha il coraggio di presentarsi dai suoi. Manca ormai da sette giorni
(un numero che si ripete). Decide di uccidersi lanciandosi dal terrazzo,
altissimo sul ticino; si butta ma viene ripescata da marco che stava
rientrando. Si getta a sua volta nel fiume per salvarla. Marco la consola e
decide di accollarsi la responsabilità di quella fuga d’amore. Si prresenta con
185
elisa alla casa del podestà. Le due famiglie sono nemiche ataviche l’una
dell’altra. Il fratello di lei filippo gli si getta contro per uciderlo e vendicare
la vergogna subita dalla sorella. Interviene un amico di marco che uccide
filippo, un altro giovane della fazione legata al podestà ,uccide l’assassino
del fratello di elisa.
Marco è costrettto a fuggire ma prima sposa di nascosto elisa che nel
frattempo si è innamorata del suo salvatore. Nottetempo torna in Pavia
Lucio. Il transfuga rientra alla casa di marco dove trova elisa che giustamente
lo tratta a calci in faccia. Lui raccontra storie menzonizre ma di grande
effetto. “rischia la forca” per questo è fuggito. Chiede ospitalità;
pur essendo a conoscenza del fatto che elisa e marco si sono segretamente
sposati. Lui la supplica. Lei è preoccupata per lo scandalo che ne seguirebbe
se Lucio venisse scoperto in quella casa. Alla fine lei cede, ma non accetta
che lui tenti di sedurla una seconda volta.
Quella stessa notte marco torna per abbracciare se pur per un attimo la sua
sposa. Scopre non visto che lucio tiene di nuovo fra le sue braccia elisa.
Elisa ha saputo che a mantova (oh guarda caso) ove s’è rifugiato il suo sposo
è scoppiata la peste. Il convento dove alloggiava marco è stato dato alle
fiamme con dentro, murati frati e ospiti sospetti d’aver contratto il morbo . di
certo anche marco è finito nel rogo. Alla notizia elisa ssi sente venir meno,
luvcio la raccogliee da terra. La tiene fra le braccia. E qui, è in quell’istante
che marco si trova, ignaro dell’ecquivoco a scoprire sua moglie fra le braccia
di quel bastardo del suo amico. In verità lui non è mai arrivato a mantova la
città era stata chiusa al sopraggiungere d’ogni foresto.
Marco se ne va, distrutto, convinto che anche elisa sia consenziente a quella
tresca. Ma la macchina della tragedia ormai va roteando inesorabile. Uscito
186
di scena il giovane sposo che si sente tradito, entrano in scena alcuni
lestofanti inviati dalla fazione del podestà a punire marco. La notizia che lui
stava rientrando nel suo palazzo è trapelata. I sicari fanno irruzione,
scorgono elisa, ancora svenuta fra le braccia di un uomo che credono marco.
Lo acchiappano e lo immobilizzanno. Lucio cerca di svelar loro l’equivoco,
ma quelli pensano alla solita furbata. Gli riempiono la bocca di stoppa perché
non gridi. La giovane donna rinviene e a sua volta si trova legata e
imbavagliata. Lucio viene castrato davanti agli occhi più che stravolti di
elisa…oh guarda! C’è anche la tragedia di abelardo ed eloisa (x secolo d.C.).
Marco è tornato sui suoi passi. Vede uscire dalla sua casa i masnadieri con le
mani lorde di sangue che commentano sghignazzando la riuscita esecuzione
della castrazione. Rientra in casa, libera la sua donna dai lacci e soccorre
l’amico sconciato. Evita alla bell’e meglio che finisca dissanguato, quindi lo
carica su un carro e lo porta all’ospedale dell’università. Le speranze di
salvarlo sono poche. La voce dell’ultima brutalità nella logica delle vendette
fa il giro rapido della città. Interviene il principe , che in questo caso è
addirittura il re (il mitico rotari longobardo) che raduna tutti i maggiori della
città e ordina di cessare quella faida causa di continui lutti e gran disordine
nella città. (oh, guarda! Proprio lo stesso finale di giulietta e romeo)
Ma torniamo alle 7 sorelle figlie dell’ingegner baldini. Esse erano una vera e
propria “gloria” della città. Quando uscivano tutte insieme per lo “struscio”
serale,la circolazione dei passeggianti si bloccava (i vecchi di bobbio che a
loro volta hanno raccolt testimonianze dai loro padri e nonni raccontano
storie epiche su quelle beltà) dell’unico maschio nessuno spreca nessuna
parola.
187
Padre: marionettista (origine) Lombardia-Piemonte
Adele Rosmini In Baldini _ LA NONNA
Vescovo
in fondo a questo testo c'è un pezzetto l'inizio che ho estrapolato a DONNE per fare un esperimento.Esperimento
che mi è riuscito!1
NOTE PER BIOGRAFIA -1Turbata,con una gran voglia di piangere. Corro indietro velocemente lungo la mia
vita: rabbia,paura angoscia,commozione meraviviglia, furore, amore, solitudine,
felicita piccole e grandi, inaspetate,inaudite,cosiì i dolori, ma in questa gamma di
sentimenti,sensazione,quello che sto provando ora, non c'e. Rossella (tra le
moltissime donne incontrate ' e un'amica che non ho perso per strada) m'ha
regalato un libro"Le lettere del mio nome"di Grazia LIVI,"é imporTANTE
,leggilo".Il titolo cosi ermetico non mi sollecita. Leggo in contro-copertina la
presentazione dell'editore:Il tema appasionato di questo romanzo-saggio é il
divenire della donna. Mi blocco. Oddio, ci risiamo.La solita "menata" femminista
socialsocoplogopolitica, scritta dalla solita intellettuale per altre intellettuali,quasi
tutte saccenti,asibento con sfoogio"cultura",usanti un linguaggio da casta per
"quella" casta ,senza la minima preoccupazione di 2 2 essere capite da chi aveva
(sto parlandodegli anni 70 in cui la donna cercava di crescere e di "liberArsi")la
necessità urgente di capire,protese a correre una più dell'altra per essere l^ì, pronte
a brancarsi" il primo posto,dirigere,liderscippare un po' arroganti o troppo
accondiscendenti, che gridavano "siamo sorelle" e in nome della sorellanza alla
prima occasione ti fregavano. Esagero? Sì. Ma ho visto e conosciuto molte donne
troppo simili all'uono nel loro modo di essere,insomma,tutto quello che ho sempre
rifiutato.Parto a leggere indifferente e diffidente.Qualche pagina e poi smetto,mi
dico. E invece no,qualche pagina e ci sono dentro. Ma questa chi é? La conosco?
188
Non lo so. Conosco tanta gente, ma i nomi non me li ricordo, di molti non li
nemmeno saputi.M'ha tirato dentro la chiarezza ne facile ne semplecistica concui ti
racconta la vita,le scelte,le fatiche la crescita di un personaggio donna,come te lo
ripropone tutto, secca e piena,leggera,meticolosa delicata,mai invadente, umile,
poetica quel tanto che non disturba,è una magnifica 3 3 3 3 scrittura,priva di
elucubrazioni intellettualistiche,priva di fronzoli,con una gran sintesi.Di ogni
donna di cui parla,ti presenta le piu remote sensaziuioni,ogni personaggio é da lei
scandagfliato nel profondo,c'e tutto quello che hanno detto gli altri e quello che no
hanno scritto,i sentimenti,i dolori,le insicurezze,le certesze e molto altro che ora
non mi riesce di esprilere. Poche pagine te ne dà l'essenza.Ecco Simone De
Beauvoir.NON Mì é mai stata completamente simpatica.A volte m'é capitato di
giudicare qualche sua scelta egoista.Il suo evidente essere una intellettuale
aristocrarica m'e l'ha sempre allontanata.In casa di Sartre a Parigi,dopo un girar di
chiavi nella toppa ce la siamo trovata davanti:borsa della spesa in mano,fazzolette
in testa .Ha lanciato un"pas fumée" a Sartre e si é ritirata in cucina.Dario ed io ci
siamo guardati interdetti,"e questa chi é?" Sartre, come un bambino scoperto a
rubare la marmellata, ha spento la sigaretta o il sigaro,non ricordo,"Simon..",ha
mormorato.Ah,era lei! Dario meno,ma io ci 4 4 sono rimasta un po' male.forse
credevo che il fatto di essere una donna mi desse il diritto ad un saluto.Ma ora,la
Simon,del ragionato-Livi é una donna che capisco e ammiro di più.Altre biografie
di donne. Leggere,conoscere,approfondire,passare il tempo con loro,con la loro
forza,la loro caparbietà persistenza, lucidita, intelligenza,sapere,donne che sono
riuscite ad emergere dallo sterminato femminile sommerso,in un modo al
maschile,mi costringe ad interrompere la lettura e a ragionarmi addoso.Il mio
"dentro"s'é messo in movimento e non riesco a bloccarlo.Mi sento come se queste
signore
abbiano
espresso,pensieri
miei,situazioni
mie;
insicurezze,certezze,domande,scelte mie. Mi sento "loro",e allo steso tempo le
sento discoste da me,lontano,in alto, irraggiungibili. Sono confusa.Confusa,a
disagio,turbata,sconbussolata. Di colpo mi sento come se non avessi mai
pensato.Non ho visto,non ho notato,non ho desiderato.Mi sento addoso il peso di
non essermi mai sentita in 5 lizza con nessuno, non perché mancasse la
gara,figuriamoci!,ma perché ero certa di non avererne i numeri,le capacità per
poter participare. Mi sembra di essere passata tra le cose senza emozione.Sono
certa di non aver mai voluto con forza,qualcosa per me .Gia arresa,prima di essere
vinta.Mi sento come se in questa mia frenetica vita non avessi vissuto.Mi sento
inutile,banale,vuota come un libro rilegato con nelle pagine bianche solo il numero
189
in calce.I giorni della mia vita :22.630 ,sessantadue anni. Quanti!
Appresso,nessun bagaglio. A 'sto punto mi hai scombussolata,cara Grazia
Livi.Possibilie? E' così.Sento l'esigenza di esprimermi,di puntualizzarmi,di
cercarmi.Oh mio dio,cos'è,sto cercando me stessa?..Il mio io?..Ci ho tanto
ironizzato sopra nei nostri spettacoli...Ma ora qualcosa di concreto mi urge.Devo
fissare qualche punto.
Me ne sto a guardare fuori dalla finestra con il cervello completamente
vuoto,come se per tutti questi anni,e sono 6 6 6 6 tanti,non avessi
vissuto,lavorato incontrato gente,parlato,riso,fatto all'amore,pianto.Niente.Non mi
viene niente.Ho la testa pressata da pensieri confusi,suoni,rumori,parole,facce,e
fra tanto disordine non riesco a trovare la parola giusta,il ricordo giusto che mi dia
modo di iniziare con un minimo di coerenza.Forse potrei partire dalla prima
grande emozione che ricordo.
25 settembre 1945. La guerra é finita; sono arrivati i "liberatori".Li avevamo
visti sui camions il pomeriggio,intorno per la città.Erano arrivati anche nella mia
strada. Ci buttavano cioccolato e sigarette.Arrossisco al pensiero di essermi
buttata con gli altri per tentare di raccogliere qualcosa.La sera,nel cortile di casa
mia,gran festa.Un giradischi,e ballare e ridere. Poi guardo su,verso la finestra buia
del primo piano, casa mia. Più che vederla,l'intuisco: mia madre é lì,ci sta
guardando. Conosco i suoi pensieri,il suo tormento:mio fratello deportato in
campo di concentramento in Germania,non dà notizie da oltre
7 due anni.In un attimo le sono vicina vergognandomi della mia allegria. Mi
strigo forte a lei. E due mesi dopo vedo lei che grida,grida seduta su di un gradino
della scala di casa nostra ,perché le gambe non la reggono.Si stringe addosso il
figlio,pallido,magro,impolverato che si é fatto centinaia di chilometri a piedi.Quel
gridare intenso che esprimeva gioia, l'ho sentito identico molto anni dopo(1973) in
circostanza ben divera ,per dolore e drammaticità.Ancora seduta, su di una ssedia
ora, con la testa buttata all' indietro, grida senza controllo,come allora,dopo che ha
indovinato più dalla mia faccia che dalle mie reticenti parole che mia sorella Lina
era morta.
Mi vedo a 15 anni ad un banco del Liceo ( che non ho terminato) di Varese,con
i fascisti che entrano in classe, in silenzio ci guardano a una a una. Poi mi
chiamano,dicono proprio il mio nome,e mi portano nello studio del preside. Non
so di che colore fosse la mia faccia,ma ma avevo paure che tutti potessero sentire
il battito del mio cuore. Pensavo,ora mi portano a "Villa 8 triste.."Villa triste era
una villetta all'inizio della strada che portava alla mia scuola,dove,( tutti in città lo
190
sapevano ,venivano interrogati e torturati i partigiani. Ma io,non sapevo niente,
non c'entravo niente con loro,non avevo fatto niente."Stai tranquilla,mi dicevo, stai
tranquilla"Poi di colpo,alla prima domanda ho capito tutto.E il cuore a battere più
forte."Forse muoio"."Conosci Enrico Mazzucchetti?
"Si","Dov'é?""Non lo
so".Enrico,detto Bubi,era il mio amore dei quindici anni: il primo."non lo vedo da
un po'",sapevo che era andato nei partigiani,ma qualche giorno prima l'avevo
visto,era venuto sotta casa mia a darmi dei baci. Dio mio,che era
successo?"Allora?"Erano minacciosi."Non lo vedo più,ci siamo lasciati da un
sacco di tempo."Lì,nello studio del preside mi hanno frugato in tasca . La mia aria
innocente li aveva convinti.Poi mi hanno lasciata andare.Non ricordo altro.Mi
sono ritrovata in classe con la testa staccata dal corpo e le mani sudate."Sei una
incosciente,sei una disgraziata.Se lo viene a 9 9 9 sapere tuo padre ti ammazza e
fa bene.E con il cuore mi accarezzavo il biglietto piegato in 9 9 9 9 9 quattro che
avevo stracciato prima di passare davanti a "villa triste",dopo essermelo imparato
a memoria la mattina andando a scuola.Incoscienza,più che coscienza politica.
I GIORNALI
Nei primi 18 anni della mia vita,non ho mai letto un giornale.E questo che
c'entra?Nulla.Sto cercando di tirar fuori fatti lontani,che disordinatamente
affiorano al mio cervello vuoto
Non ho mai letto i giornali.Lo dico con meraviglia.Possibile?In casa mia
c'erano,la mia era una famiglia socialista quando esserlo costava qualche cosa.Si
pagava,senza ricevere nulla in cambio:con quella tessera in tasca allora carriera o
posti di comando,non ne ricevevi.I giornali c'erano,li toccavo quando li
raccoglievo da terra dopo che mio padre li aveva letti.(incredibile quanto mio
marito assomigli amio padre:anche lui,li butta per terra!)per riporli o buttarli,ma io
sono sicura di non averne mai aperto uno fino ad un certo giorno.cioè quando sono
andata a sbattere con la mia bicicletta addosso ad una Topolino (in realtà gli ho
sfiorato un parafango).La reazione del "guidante" è terribile e immediata e
assolutamente fuori posto/"Ecco chi rovina l'Italia!""No,guardi io..""Silenzio!Voi
10giovani che delegate.Delegate e non leggete i giornali!".Allibita,senza parole.E'
da qul giorno che dei giornali leggo tutto..dalle inserzioni agli annunci
mortuari.Grazie isterico signore della topolino.Grazie.
Forse ora posso correre all'inizio della mia vita.
1932_ "E' ora che Franca incominci a recitare."è mia madre che parla. La prima
parte che ho imparato a memoria,me l'ha insegnata lei,"bocca a bocca",così si
diceva a casa mia,mot- a mot, parola per parola. Non sapevo leggere .Avevo tre
anni.. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in
191
famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero,che veniva
recitato da mia sorella Pia in "la passione del Signore"atto V,orto dei
Gezzemani.."Pentiti Giuda 11traditore che per trenta monete d'argento hai venduto
il tuo Signore! Pentiti !pentiti! "dovevo gridare di quando in quando. La parte non
era lunga.. non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!"e ancora e
ancora."ripeti" diceva la mia mamma paziente mentre pelava le patate per il
minestrone."Ripeti!"Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima .Per l'occasione
mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo,con due grandi ali bianche e
oro appoggiate sulle spalle. seppur credente non andava mai in chiesa ma aveva
uno zio prete.Lei,lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti così! Mio
padre,ormai entrato nel gioco, mi mise in testa una coroncina di lampadine .E' ora
d'andare in scena e tutti:"ma che bell'angiolino!Ma che bel vestito!" La mia
mamma faceva andare la coda.Non avevo fatto nessuna prova.Sapevo solo che ad
un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un
segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti Giuda
"e quel 12che segue.Il guaio,l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva
immaginare fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio
Tommaso,un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che mi raccontava
storie bellissime,mi regalava un sacco di divertimenti,al quale volevo molto bene
e vedermelo lì,proprio vicino vicino,con una parruccaccia nera in testa..gli occhi
che lanciavano saette tra un tuonar e lampeggiar minaccioso ,che disperato
gridava:"possano i corvi divorarmi le budella ,le aquile strapparmi gli occhi !" e
altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad incominciare
dalla lingua" ,mi fece un terribile effetto.Mamma mia che spavento! Cosa stava
capitando?!Ero stravolta,me lo ricordo benissimo.Ma quello che mi buttò
completamente fuori,fu il vedere mia
sorella ,solitamente rispettosa ed
educata,che per nulla intimorita gli e ne stava dicendo di tutti i colori!Una sfuriata
in piena regola e che trascinavano il nostro povero zio in una disperazione sempre
più nera."Ma cosa 13sta capitando?Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo
che mi sentivo in gola stava per scoppiare;Mia madre dalla quinta mi faceva gesti
più che perentoi.Giuro che avrei potuto parlare,ma non me la sentivo proprio di
rincarare la dose.No,io no,allo zio Tommaso .non dico proprio un bel niente.!Non
so cosa gli sia capitato.Forse è impazzito." Anzi.A piccoli passi,camminando
come pensavo camminassero gli angeli,seppur spaventatina,gli sono andata
vicino,lui era in ginocchio e gridava più che mai.Dio che paura!Senza dire una
parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato,tempestandogli la faccia
192
di baci.Insomma cercavo con i mezzi che avevo a disposizione,di calmarlo e
piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.Pia s'è
ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prespettavano niente di
buono..Lo zio-Giuda si blocca per non più di tre secondi,lo giuro.e poi con voce
profonda (intanto con la mano mi solleticava la mia e con gli occhi mi rideva per
tranquillizzarmi) dice:"Dio,sei grande!A QUEST'ORRENDO 14 14PECCATORE
MANDI IL CONFORTO..un piccolo angelo..mi tendi la mano..No,no,non me lo
merito!-e ,dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare,taglia cortoM'impicco!".Deve usare un po' di forza per liberarsi da me che proprio non ne
voglio sapere di lasciarlo andare.Grida:"L'albero
più alto..dov'è l'albero più
alto..Lasciami andare angiolino..Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di
scena.Mia sorella(l'unica volta nella sua vita ,credo)non sapendo più che
fare,camminando anche lei sulle punte,immediatamente lo segue.Grande
applauso.Tutti mi chiamano in quinta con grandi cenni.Non so se la paura d'essere
sgridata o il "senso del dovere" che maledizione da che sono nata è lì,a spingermi(
a pigiarmi ) la coscienza,fatto si è che dopo un attimo di silenzio con voce chiara
e mesta quel tanto che serve dico"S'impicca! Non s'è pentito..Giuda traditore che
per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore..Non s'è pentito!" e via che
esco..Ce l'avevo fatta:l'avevo detta tutta! Da allora in poi,"la passione del Signore"
ha sempre avuto due
angiolini,con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.E
tutti giù a piangere.
A 5 anni:"gli spazzacamini della valle d'Aosta.Com'è che succedeva? Come
arrivavo la prima volta in scena con un personaggio che non avevo mai
interpretato prima? Non me lo ricordo,ma so con certezza di non aver mai
provato prima di un nuovo spettacolo.La parte come sempre fino a che ho
4 imparato a leggere,me la insegnava la mia mamma,la imparavo
velocissimamente , era come se la sapessi già.Anzi,la sapevo già.Quante volte mi
ero addormentata nella cassa dei costumi,o nella bara di Giulietta quella del
Romeo,o in qualsiasi altro posto che mi permettesse di addormentarmi,mentre i
miei recitavano una sera dopo l'altra?"Gli spazzacamini" un drammone.Gino,(io,)il
protagonista, figlio di una povera ma bella incintata e poi abbandonata dal figlio
del conte..vengo,a causa della miseria in cui nascono quasi sempre quelle
incintate dai "contini", NONOSTANTE LA TENERA ETà affidato ad un
"mercante di carne umana"!,un delinquente che specula sui bambini che gli
vengono affidati,mandandoli spesso a morire nel tentativo di pulire,in quanto
193
smilzi e denutriti (quanto piangeva la gente!) la cappa di un camino.E' quando,la
mia mamma che per fortuna era venuta a trovarmi a Torino col mio nonno sennò
chissaà come avrebbe mai fatto a tornarsene a casa,crede che il suo Gino sia
morto nella cappa del camino "Oh che tremendo dolore!" e via che Impazzisce. La
ragazza in questione era proprio sfigata.Ma il suo GIno, che quel giorno lì in
quanto ammalato, era stato sotituito nel lavoro da un compagno,certo Carletto,che
muore al suo posto. (Mai essere generosi!) Questa è per Gino una giornata
davvero fortunata.Il vecchio conte è schiattato nel frattempo,ed il contino,vale a
dire il suo papà,decide in quanto sempre innamorato della mia mamma,di riparare
al malfatto e di sposarla.Ci sono un po' di problemi per far rinsavire la povera ma
onesta sfigata,ma alla fine tutto finisce in gloria tra lacrime e singhiozzi e
applausi.5 atti,con la comica finale per -17 -non mandare a casa la gente con il
magone.
Il nostro era un teatro realmente e totalmente "all'improvviso" che si basava
su trame semplici e stringate,TEATRO POPOLARE appunto,nella tradizione della
COMMEDIA DELL'ARTE ,completamente opposto al teatro letterario e
naturalista messo in scena dalle grandi e illustri compagnie che agivano nelle
grandi città e imitato in tutto il suo negativo dalle piccole compagnie ,come la
nostra ,che agiva no in provincia.Il nostro successo stava tutto in questa
differenzenza.Il nostro repertorio era vastissimo: dalle più famose tragedie di
Shakespeare ai drammmoni ottocenteschi, alle commedie di autori moderni a quei
tempi (Niccodemi, Giacos, Rosso di San Secondo, alle comiche finali. Il tutto
senza aver mai studiato una parte a memoria su di un copione. Non esistevano
copioni di testi teatrali veri e propri, ma una specie di cannovacci e per molti testi
non esisteva nemmeno il cannovacccio. Ce li avevamo _18_ nella testa da sempre.
Eravamo bravi?Non lo so.So solo che i teatri eran( sempre pieni,che si lavorava
tutti i giorni,si riposava solo il venerdì santo,e il 2 dei morti,a novembre.O se c'era
il funerale di un defunto importante del paese:il prefetto,il sindaco,il dottore,il
prete il farmacista.E quando in un paese avevamo fatto tutto il nostro
repertorio,(replicato 6 sere la Giulitta,6 la passione,"il povero fornaretto di venezia
e non mi ricordo più quali altri drammoni avessere successo)mio padre o mio
zio,si leggevano un romanzo,ci riunivano e ce lo raccontavano."Tu fai questo,tu
questo e tu questo.,.e via che il giorno dopo si andava in scena. Sulle quinte
laterali,in bella calligrafia,la scaletta dei punti chiave,il susseguirsi degli
avvenimenti.
"L'assassino del corriere di Lione" .Scena PRIMA:
194
la ragazza s'incontra col padre,che non aveva mai conosciuto ,partito povero ,tanti
anni addietro,torna ricco,riempie la ragazza di doni,ma lei non riesce a sentire
nulla per lui,anzi solo repulsione.
- 19Manifestare freddezza e imbarazzo.Ricordarsi che la madre è morta.
Scena seconda:un uomo(lo stesso attore che interpreta il personaggio delpadre)
languisce in una cella,è un innocente caduto in un errore giudiziario
terribile.Accenni all'assassinio di un corriere a Lione.Acceni alla moglie morta
e alla piccola bimba lasciate al paese.Saranno ancora vive?
Solo nel V atto tutto si risolverà:il buono premiato con la libertà e l'onore restituito
mentre il cattivo (fratello gemello del buono),smascherato da una collana rubata
al corriere di Lione,sarà punito con la forca.Gaudio e felicità. Ricordarsi della
madre morta.
Comica finale.Non c'è pesonaggio nel repertorio della mia famiglia che a secondo
dell'età non abbia interpretato.Neonati(8 giorni in braccio alla mia mamma-in la
Genoveffa
di
Brabante),
20
-bambini
o
bambine,ragazzini
signorine,giovanotti,suore,cortigiane,prostitute.Una volta ho fatto persino,il
cuciniere Dracco. La storia nel ricordo,mi fa ancora ridere.Ero cresciuta e la
Genoveffa(che dio la maledica,quanto ho odiato sta noiosa!) ora la facevo
io.Giovane e bella moglie del re alla guerra,sola nella raggia viene insidiata da
Golo,un primo ministro della situazione,che lei respinge furente e offesa. La donna
giovane donna decide di inviare una missiva al marito tramite il cuciniero
Dracco:l'unico che a corte le sia rimasto fedele. per avvertirlo del tradimento del
suo braccio destro."Torna o mio dolce sposo,torna! che quel maialone del Golo
vuole fare con me,proprio quella cosa là!" Golo che è sempre lì a origliare ,
scopre tutto e zak!,pugnala il poveraccio e manda a dire al re che Genoveffa è
incinta del cuciniero."Ti ha tradito o mio re,che vergogna con un cuciniero!"Il re ci
casca, fuori dalla grazia di dio "un cuciniero no!"ordina il taglio della testa della la
fedifraga e anche del bambino nato nel frattempo. (TRANQUILLI CHE POI
TUTTO ,COME SEMPRE,FINISCE IN GLORIA ) -21- Arriviamo sulla piazza
e ci rendiamo conto che ci manca l'attore che avrebbe dovuto interpretare il ruoli
del cuciniero .D'accordo,sono due parole che si possono anche tagliare,ma
fisicamente deve essere in scena.Ci ragioniamo sopra un attimo per vedere come
risolvere. Bene.Ci siamo.Facciamo così.Al momento cruciale,vado alla quinta di
destra.Il perfido Golo mi spia dalla quinta di sinistra. Parlo,guardando fuori scena
con il cuciniere che non c'è, fingo di consegnargli il messaggio e poi, affranta,
esco. Velocissimi mi mettono sulle spalle un mantellaccio con capuccio,che mi
195
copre dalla testa ai piedi.Rientro in scena con la missiva bene in evidenza in
mano,faccio qualche passo come se ora io parlassi a Genoveffa,Golo si precipita
su di me"muori,spione di un cuciniero!E via che mi pugnala.Cado morta.Golo mi
trascina fuori scena a sinistra,cioè dalla parte opposta da cui sono entrata. Mi
tolgono il mantello,mi raddrizzo la parrucca biona dalle lunghe trecce,corro
velocissima dall'altra parte.Rientro in scena e_ 22 _ vedo Golo che pulisce il
pugnale assassino nel mantellaccio che indossavo fino ad un secondo fa."L'avete
ucciso!Assassino!!"Ansimo un pò,per via della corsa, ma sono perfettamente in
parte e nessuno s'è accorto di niente.Noi eravamo in grado di andare in scena
senza prova alcuna,con un testo nuovo allestito di sana pianta.Arrivavamo ad
esempio in una piazza nel giorno in cui in paese si festeggiava la santa
patrona,ebbene,debuttavamo con la storia di quella santa sulla quale mio pdre e
mio zio avevano giorni prima letto e ascoltato dalla gente,vita morte e
miracoli.Avevavno riunito la compagnia,raccontato
a sommi capi
l'intreccio,distribuiti i ruoli se i costumi adatti non c'erano si rimediavano, e via che
si debuttava.Senza prove.Se si confronta con i 90 o addirittura i 180 giorni di
prova delle compagnie di oggi..Ma certo che allora,sovvenzioni ministeriali o
regionali o provinciali o comunali, non ce ne erano,quindi giocando sui soldi tuoi,ti
dovevi sbrigare eccome. -23- L'unico posto,luogo dove io mi senta a mio agio è il
palcoscenico.No,non per via:ama la polvere del palcoscenico.No.Sono allergica
alla polvere,alle banalità,alla rettorica.Sto bene in palcoscenico perchè è casa
mia.In qualsiasi città mi trovi,quando sono in teatro sono a casa.Entrando nella
hall di un teatro,non m'è mai capitato di dovere chiedere"scusi,dov'è il
palcoscenico?"Conosco automaticamente la strada,dove sono i camerini,il
gabinetto."Ma ci sei già stata qui?""No,è la prima volta""Non ti credo""Sì,forse
ci sono già stata".Sto bene nei camerini,anche se squallidi.No,non li addobbo con
sete colorate.L'ho fatto qualche volta..senza accorgermi andavo dietro
all'onda,voglio dire alle usanze degli attori..ma erano 100 anni fa.Poi ho scoperto
che non mi ci trovavo con QUEGLI addobbi intorno,non sentivo il bisogno di
ricostruirmi il "salotto"di casa mia,anche se il camerino era un cesso.E DIO sa
quanti camerini "cesso" trovano gli attori nei teatri e nei cinema di casa
nostra.L'unica cosa alla quale non rinuncio è la luce."Lino!!(è il tecnico delle luci)
-23-La luce"Lino arriva e mi piazza certi 5OO da accecare.Io ci sto bene. La luce
e il mio baule,ora i miei bauli..Mi piacciono i miei bauli.E' un classico baule
armadio d'attori,verde fuori a fiorellini l'interno.Ci sono i cassetti e nei cassetti di
tutto:golf,libri,fogli,macchina da scrivere-computer,pennarelli,lettere e cianferi
196
d'ogni genere.Il primo baule della mia vita l'ho comperato a rate nel 51,non appena
arivata in compagnia primaria.Dentro non c'era quasi niente,ma quel sacramento
,che si apre all'impiedi dividendosi in due e diventa un armadio,con cassetti e
reparto per i cappotti,con tanto di targhetta in metallo con il mio nome,mi dava
una gran sicurezza.Per la verità era una sicurezza del tutto speciale:la sicurezza di
avere anch'io il baule come tutti gli altri.Credo che quella sia stat l'unica sicurezza
di quesgli anni e per molti anni dopo.Credo anche di essere la persona più insicura
che io conosca.Il mio baule,il suo contenuto,il camerino il palcoscenico:sono a 25-casa. Io non mi consiero un'attrice.Sono "anche " un'attrice.In casa mia ho
imparato tutto quello che può servire-26per poter fare questo
lavoro:attrice,elettricista,fonico,costumista,trovarobe,direttore di scena,servo di
scena,piazzare le
luci, suggerire, sarta,vendere i biglietti, truccare, pettinare,
ballare, cantare (sono un po' troppo timida,seppur molto intonata!Me l'ha detto 10
-14 Giovanna Marini,e se lo dice lei..)la ricerca delle piazza l'amministratore,fare
un borderò,(ora è però diventato difficilissimo)I miei avevano addirittura una
propria tipografia dove si stampavano i manifestini,insomma i volantini di
adesso.Avevamo centinaia di scene belissime,dipinte da un pittore della
Scala,Lualdi che veniva a apassare le sue vacanze da noi, ogni tanto,le
rinfrescavamo tutti insieme.Ogni giorno cambiavamo piazza,(dico piazza per dire
"paese,non recitavamo in piazza ma in locali chiusi,teatri,cinema,oratori,quindi
ogni giorno si dovevano montare -26-scene e luci.Anche i nostri costumi erano
belli.Figuriamoci!Mio padre,tramite l'amico Lualdi,li comperava in blocco dal
Teatro della Scala.E se per un nuovo testo mancava qualche costume,ce lo
facevamo in quattro e quattrotto.Mia madre,maestra diciottenne,figlia
dell'ingegnere del comune dove risiedeva(Bobbio) e di una casalinga si era
innamorata di questo "girovago marionettista"che un giorno era passato di lì,e con
grande scandalo dalla famiglia-(povera come l'acqua,ma di una classe sociale
superiore a quella di mio padre)e del paese se l'era sposato.Mia madre,era
bellissima e quando dico bellissima voglio proprio dire"bellissima"senza artificio
alcuno.
Nessuno
di
noi,quattro
figli,pur
assomigliandole,s'è
avvicinato
a
tanto;Bellissima,giovane,--27-innamorata,aiuta Domenico (il marito)e Tommaso
(fratello del marito e Stella,(sorella del marito)in tutto quello che può .Cerca con
tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto diversa da quella che aveva
condotto sino a quel giorno.Non sa manovrare -27-le marionette,ma si ingegna a
vestirle.Poi,più avanti,dirà qualche battuta.Con l'avvento del cinema (1920)) i due
197
fratelli intuiscono che "il teatro delle marionette" sarà presto messo in
crisi,subissato,da questo nuovo fantasctico mezzo di spettacolo. Decidono un
cambiamento radicale(con grande dolore del nonnno Pio,un amate di
Garibaldi,l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e somigliante
all'eroe!)"Entreremo in scena noi,al posto delle marionette,reciteremo noi inostri
spettacoli"Così mio padre con la propria famiglia aggiunta alla famiglia di mio
ziO Tommaso si sostituiscono ai pupazzi di legno,vere e proprie sculture,tre delle
quali sono esposte al Museo del teatro della Scala di Milano.E quando inizieranno
a recitAre di" persona",a portare loro stessi in palcoscenico i testi,i personaggi
che avevano fino allora interpretato muovendo e doppiando pupazzi di
legno,lei,la mia mamma ,diventa la prima attrice della compagnia.Un'attrice che di
giorno tirava su i figli,li faceva-28- studiare,si occupava della casa, e come una
più che provetta caslinga( a tutti gli effetti)teneva l'amministrazione della
compagnia come fosse quella di un normale menage familiare,si occupava dei
costumi,aveva imparato pure a cucire,e alla sera,via!,E Giulietta e Tosca,e la
Suora Bianca,e la Fantina dei Miserabili,tutti -28- ruoli che via via,abbiamo
interpretato anche noi figlie e le cugine Ines e Lucia.Percorro così l'apprendistato
dei teatranti interpretando via via che cresco,tutti i ruoli maschili e femminili adatti
alla mia età.Il vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre
compagnie di giro,(così si chiamavano le piccole compagnie di provincia) è
l'invenzione di impiegare tutti i trucchi scenici del teatro magico delle
marionette,nel "teatro di persona"":montagne che si spaccano in quattro a
vista,_
_28_palazzi che crollano,unn treno che appariva piccolissimo lassù nella
montagna e che man mano che scendeva s'ingrandiva fino ad entrare in scena
_29_con il muso della locomotiva a grandezza naturale.Mari in tempesta,nubi che
solcavano minacciose il cielo tra lampi e tuoni,gente che volava.scene in tulle in
proscenio,che illuminate a dovere ti facevano vedere come era il
paradiso.Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco dei
Bibbiena,che viveva ancora,dentro la scenotecnica delle marionette.soltanto che in
quel teatro tutto era stato miniaturizzato,si trattava adesso di eseguire una
operazione da Gulliver alla rovescia:da minuto che era ingrandire ogni
oggetto,aggeggio,marchingegno fino a renderlo identico alla realtà.In questa nuova
veste"il teatro di persona" la compagnia di mio padre realizza un successo
insperatoo.Si lavora come sempre a tempo pieno.Mio padre ,il capo,con il ruolo di
primo attore,menager P.r.,lo zio Tommaso nel ruolo dell'antagonista,del comicobrillante a secondo dei testi e di drammaturgo-poeta di compagnia;le mogli,i
198
figli,gli attori scritturati;i dilettanti gli amici componevano la nostra _29 compagnia.Giravamo cittadine,paesotti e paesini del nord Italia su di una corriera
che chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che aveva,che più
che al suo cattivo carattere andava attribuiito agli anni. In certi paesi nei quali ad
una certa ora del giorno si passava, nei turnichè particolarmente ripidi,c'erano
sempre dei ragazzi che ci aspettavano.Ci spingevano fra tante risate,poi la sera ci
raggiungevano ed entravano a godersi lo spettacolo gratis."Siamo quelli che
abbiamo spinto." "Passate".Mio padre,amava la Balorda ,e zingarone
com'era,gioiva tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre,ogni
volta che lui le cambiava colore:"non sposeremo mai le nostre figlie !" "Hai
ragione Milietta..domani le cambio colore"E l'indomani quando "Emilietta" si
affacciava in cortile,ecco la Balorda ridipinta:d'argento!"Non sposeremo mai le
nostre figlie!"Arriva la guerra,finisce la guerra.Bombardamenti non ne avevamo
avuti.Qualche bomba sulla -3 0- fabbrica di aerei:la Macchi, lontana dal
centro,alla periferia di Varese,a Masnago.Ricordo a proposito di questo paese,una
sera che si tornava a casa dopo lo spettacolo veniamo fermati,sia noio che tutti
quelli che passavano per quella strada dopo di noi,da un gruppo di fascisti e
S.S.Ci hanno fatto entrare in un cortile,(era quello dove anbitava uno dei nostri
dilettanti,chisamato"luigino cassa da morto,perchè suo padre le fabbricava) dove
siamo stati per ore bloccati.Solo all'alba ci hanno lasciati andare.Non è stato per
niente drammatico.L'aria,nonostante i tedeschi era di festa a causa della
inconsuetudine-- 31-dell'avvenimento.Si sà,i giovani trovano sempre la maniera di
di superare le tensioni. Sarebbe però,tanta allegia finita in tragedia se quell'alba
avesse portato la notizia di una missione tedesca andata male.Ci avrebbero fucilati
tutti. l'abbiamo saputo qualche giono dopo.Per fortuna l'abbiamo scampata.Altre
volte,capitava che ci fermassero dei partigiani.Non dicevano "siamo partigiani"
ma erano in borghese con i mitra "Signor Rame,ci dà un passaggio?" Li facevamo
salire.Più avanti capitava d'incontrare picchetti fascisti che ci fermavano. Ci
conoscevano.Avevamo un permesso speciale per il coprifuoco."Buona sera signor
Rame, .Com'è andata?""Benissimo!" "buona notte."Ce ne andavamo;nonostante il
buoio,sicuramente pallidi.Si riprendeva a cantare con più forza di prima.E anche i
poartigiani cantavano.Gridavano più di tutti.(ricordarsi inserire malattia-corso
infermiera-morte del padre)
A 20 anni,seguendo l'esempio di mia sorella Pia e mio fratello Enrico,lascio la
nostra compagnia e inizio la mia carriera nel mondo "ufficiale" dello spettacolo.Si
possono immaginare le difficoltà di una simile scelta in quel periodo del
199
dopoguerra ,siamo negli anni 50 e quindi alterno momenti neri a buone scritture
nelle compagnie di varietà più famose.E' proprio in una di queste compagnie che 3 2- conosco il Dario Fo,anche lui alle prime armi,che s'innamora subito di questa
"sventola dolcissima",(così mi chiamava)e si prende una cotta da
imbesuimento(così dice lui):"7 giorni a Milano",ditta:le tre sorelle Nava e Franco
Parenti.M'é piombata addosso,é propio il caso di dirlo senza che la -33-cercassi,ne
sollecitassi nulla, per averla.Parlo di lei,della notorietà.Di questo mio mestiere non
me ne é importato mai niente.Si stenta a crederlo,ma é così. non ho mai mosso un
dito per avere di più,anzi,tutto quello che negli anni ho ricevuto,di cui ho
beneficiato,l'ho avuto, "nonostante me".Ora che ci penso bene,e mi sconcerto,non
posso nascondermi di non aver mai desiderato qualcosa in particolare.Non ricordo
di aver mai detto,ne pensato"se potessi avere..""vorrei""per avere quella cosa
farei.."E non perché avessi tutto,chi mai ha tutto?Qualcosa certo l'ho
desiderato,che so,che non mi si ammalasse nessuno in famiglia,che mia madre non
morisse mai,che i miei figli stessero bene..ma insomma,tutte cose,normali. Del
resto, pellicce, vestiti,gioielli,parti,partone,niente.Forse perché mi arrivava tutto di
da solo.Forse perché non mi restava il tempo di desiderarle.Beh questo può valere
per quando ho iniziato a guadagnare,ma per prima?Era così anche prima?Sì.Era
così.Forse mi ci vuole uno psicanalista.Dicevo che m'é piombata addosso
la"notorieta",non che mi dispiacesse,una certa sera a Cesena.Compagnia Franco
Parenti e le tre sorelle Nava.Io dicevo una battuta:"Il Coriolano é in cinque
atti",ma ero lunga,bionda,con i seni rotondi,e mi si vedeva.Alla fine dello
spettacolo,si presenta in camerino un tipo con macchina fotografica"sono un
giornalista posso farle una foto?Posso dire che un produttore americano la lancerà
come la Rita Haiwort italiana?"
1953.Con Franco Parenti e Giustino Durano Dario scrive il "Dito nell'occhio"
testo di critica--34- politica e sociale che fece grande scalpore e per i contenuti e
per lo stile di treatro ben diverso dagli steriotipi del teatro così detto "leggero" di
quegli anni.Lo spettacolo ha un grandissimo successo e gira per una stagione
intiera tutta Italia.Io debutto con loro nella stagione invernale. (ricordarsi
"spettacolo sconsigliato" fuori dalle chiese.)
1954 -giugno .Dario debutta al Piccolo Teatro sempre con Parenti e Durano con
un altro testo scritto da loro:"I sani da legare".Io ho un gran magone,perchè
Parenti non mi vuole in compagnia;Lo capisco anche se nessuno esplicitamente
me lo dice.Ma ad un certo punto Dario,con molto imbarazzo e malinconia, nel bar
di una piazzetta vicino a casa mia,me lo comunica,ma in contemporanea mi
200
chiede di sposarlo.Lui dice di no,nega,ma io sostengo,conoscendolo,che mi ha
chiesto di sposarlo per pareggiare il dolore che sapeva che mi avrebbe procurato
l'essere scartata.
1954- 24 giugno.Ci sposiamo.In sant'Ambrogio!Dario metterà il fatto di essersi
sposato in chiesa addirittura ne"gli arcangeli non giocano al flipper":"sposato in
chiesa per accontentare
madre di lei molto credente".Il matrimonio è stato bellissimo.La notte prima l'ho
passata sveglia non per l'emozione,ma perchè stavamo nel lettone della mia
mamma in cinque.Io e quattro amiche venute da Varese per farmi festa.
E a chiaccherare a ricordare,a ridere.E' stata una bellissima notte.La mattina è
arrivato il Felice,padre di Dario,con una macchinona presa a nolo,scendo le scale
della casa della mia mamma e lì,tutti gli inquilini -35-del palazzo a buttarmi
manciate di riso..a farmi gli auguri,a strigermi la mano..e io..giù a piangere.Poi
arrivo in chiesa.I giornali avevano da giorni annunciato le nostre
nozze,quindi,folla,fotografi oltre ai parenti e agli amici.e un'amica ,che forse non
mi era tanto amica,mi allunga,proprio un secondo prima che entrassi in
chiesa,davanti a tutti un magnifico buchè:gigli simbolo di purezza.Facevo l'amore
con Dario da due anni,senza nasconderla altri che alla mia mamma,e questi gigli li
avrei mangiati volentieri.Non ho potuto. Pranzo con gli invitati all'Htel
Milan,offriamo i confetti,e poi ce la svignamo e andiamo a pranzo col babbo di
Dario.La "prima sera",io sono in televisione,non ricordo più con che
spettacolo,Dario al Piccolo con "I SANI".Sono andata ad abitare nella casa dei
genitori di Dario. (controllare archivio,c'è una foto simpatica"la sposa
d'italia")L'indomani mattina,telefono a mia madre per salutarla..e non so
com'è,m'è venuto un gran magone.Mi sono emozionata.Era veramente fatta.Ero
uscita di casa.E la mia mamma,e qui si può leggere tutto il suo candore:"Che
c'è?..Non ti ha trovato in ordine?".
L'impatto con la vita marito-casa-famiglia è stato un gioco.Mi cimentavo con la
cucina,ma non avendo mai avuto niente del genere come mia diretta e totale
responsabilità,avevo qualche problema.Primo tra tutti,le dosi.Far da mangiare per
due.C'erano sempre tali quantità di cibo bastanti per una caserma.Ricordo una sera
a cena Eugenio Tacchini,amico di Dario d'infanzia che si mangiò almeno sette
piatti di minestrone.Io ero un pò preoccupata."Basta,Eugenio,starai
male.""No,no.E' tanto buono" Poi però al cinema Orfeo,dove -36- mi aveva
accompagnato a vedere "Roma città aperta" durante la scena delle torture è
svenuto."Accendete la luce-grido-c'è un ragazzo che sta male".Arriva 23 la
201
polizia,lo portano fuori,nella hALL lui si riprende...Si guarda intorno,vede i
poliziotti,e ancora sotto lo shok del film,gridava"non sono stato io!Sono
innocente!"Volevo morire.Poi s'è alzato,è corso in bagno e ha vomitato totto il mio
minestrone.Gli ossibuchi mi venivano bene.La prima volta che li ho fatti,stando
col filo telefonico diretto con mia madre,Dario non finiva più di dirmi-che buono
che buono.Poi ha invitato i suoi amici di Brera,Emilio Tadini,Alik Cavaliere e altri
.Ero un pò preocupata.Un pranzo da sola,non l'avevo mai retto."Farò gli ossibuchi
col risotto". Ho fatto la mia bella figura.E Dario-ma che buoni -ma che buoni!Ho
continuato per almeno tre settimane.E il povero Dario sempre a dire ma che buoniPoi,al ventesimo giorno credo si sia finalmente ammutolito.Ora,li mangiamo non
più di tre volte all'anno. Al suo "ma che buono che buono s'è aggiunto Jacopo.Lo
dicono insieme e poi scoppiano a ridere.
20 minuti dopo le nozze,si fa per dire,resto incinta.Jacopo (un nome che mi piace
proprio come quasi tutte le cose che fanno quei due tipi lì,dice nostro figlio) è nato
il 31 marzo del 55 a Roma.Esattamente nove mesi e sei giorni dal 24 giugno
dell'anno prima.Gravidanza terribile.Ho vomitato sempre.Mi disturbavano gli
odori,perfino i colori.Mai più potuto mangiare ne vedere un piatto di spaghetti.La
sera del trenta,stavo nel camerino del Teatro Quattro Fontane dove Dario
recitava.Chiedevo a sua madre;la mamma Fo,"come sono le doglie?Cosa si
sente?Come si capisce che è ora?"E lei,"quando senti una mano che ti strappa le
viscere.."e un'amica,anche lei anziana"No Pina,non ti ricordi più.Quando
senti..".Nulla che mi tranquillizzasse. Anzi!Mi ritiro un pò prima di Dario.Ormai ci
dovremmo essere...Preparo la valigia,roba per 25 me,vestaglia camicie ecc. e roba
per il bambino.(A quei tempi non si sapeva prima se fosse maschio o femmina.Ti
dovevi fidare delle anziane:la pancia è così,allora è maschio.No,per me è
femmina,non vedi come è messa?E via di 'sto passo.Comunque sempre"bambino"
si diceva.Se poi era femmina..) Ero emozionata.Arriva Dario. Baci baci.Poi si
mette a letto e si mette a leggere "il Mondo" .Ho odiato molto quel giornale per la
sua grandezza.Ogni volta che D.voltava pagina mi faceva un gran vento.E io
sternutivo."Dario,mi
sento
strana...""Dormi
Nanina..".Dopo
un
pò:"Dario..""Dormi Nanina"..e via a girar pagine.."Dario credo che mi si sono
rotte le acque.."."Dormi Nanina..""Ma Dario!!!"Di corsa un taxi.Ora siamo
emozionati tutti e due.Clinica Salus.Mi avevano promesso che mi avrebbero dato
dell'etere.In sala parto grido;Etere!Etere!La levatrice mi dà una carezza;"sì
cara,sì,suo marito è fuori"Etere!!"Il fatto è che la signora in questione era veneta e
pensava che nel momento supremo io chiamassi mio marito:Ettore!Ettore!Poi
202
finalmente è arrivato il medico.Sento un vagito."Brava signora.3 chilogrammi e
9."Ho fregato la Clara.La Clara era una brava ragazza moglie di mio cognato
Fulvio,che però era molto quotata all'interno della famiglia,e quando dico famiglia
intendo mia suocera,in quanto professoressa di lettere,non attrice.Quindi
sicuramente migliore di"quella lì che 26 non solo fa l'attrice,ma mi ha anche
portato via ei me testun."Sì,all'inizio mia suocera era solo mia suocera;Non aveva
simpatia per me e devo dire chefaceva l'impossibile per farmelo capire.Mi
addolorava molto non essere amata da lei. Ma si sa,gli inizi per qualsiasi cosa tu
intraprenda trovi difficoltà,figuriamoci il rapporto con la mamma di lui.Mia
suocera m'ha conosciuto bene.E' diventata per me la mamma Fo,e mi ha amata
profondamente,come profondamente io ho amato lei.La frase che mi diceva con
orgoglio era "io l'ho messo al mondo,tu l'hai fatto".Ma pensa te!Ce ne vuole èh !!
Con la leggerezza dei pazzi usciamo dalla clinica con il nostro fantolino in fasce e
ci "accasiamo" ospiti di un fotografo di cui non ricordo il nome,che aveva una
splendida casa in via Parioni;Davvero splendido appartamento. L'unico difetto non
indifferente per una coppia con un bambino di 8 giorni che questa principesca
dimora,era completamente priva di mobili,(se li era portati via il padre dopo una
lite.Ma erano mesi che l'appartamento era in queste condizioni).Due brande,una
sedia per comodino;un tavolo in cucina,qualche sedi,forse,e un telefono con un fili
chilometrico che il nostro amico si portava sempre appresso.Non volendo umiliare
la sua generosità(forse era ubriaco quando ce l'ha proposto,non so)ci siamo
sistemati alla bellemeglio.Il bambino ha pianto per 8 giorni di fila. Per quanto
spirito di adattamento avessimo non riuscivamo proprio a comunicarlo a questo
tipo appena nato,che non sapeva proprio niente della vita.a cavarcela e per le
scomodità e per la mia inesperienza.Al nono giorno,decidiamo di tornare in
clinica.Ci hanno presi a braccia aperte.Ci hanno dato una bellissima camera,vicino
alla sala parto.Ci siamo addormentati tutti e tre e abbiamo dormito per almeno un
giorno finalmente rilassati;Dario come vedeva in corridoi un padre in apprensione
per la nascita del suo bimbo si avvicinava e s'informava.parto cesareo. 27 "Sa,è un
."E Dario:"non si preoccupi anche Franca ha avuto ilcesareo..è una
sciocchezza..vedrà"E quello si consolava.E un altro" è messo di piedi!""Non si
preoccupi,anche nostro figlio è nato di piedi..è andato tutto benissimo.. il
ginecologo è straordinario" .Solo quando un padre era preoccupato perchè la
moglie stava facendo 2 gemelli D. è stato senza parole.Non poteva dire :anche
Franca..E via di questo passo.Ci siamo stati tre mesi.Quanti padri e quante madri
abbiamo rinfrancato.Qualcuna ci viene ancora a trovare con i il figlio nato proprio
203
in quei giorni.Che benissimo! Intanto,abbiamo comperato una casa in via
Nomentana,l'abbiamo arredata e finalmente ci siamo andati ad abitare.Tutti tre.
Il bambino cresce.Noi facciamo films.Il primo "Lo svitato".Il soggetto era di
Dario.L'aveva letto a Zavattini che ne fu entusiasta.Regia di Carlo Lizzani.Dario
era troppo inisperto per aver voce in capitolo con gli sceneggiatori che gli avevano
messo al fianco"sei autori in cerca del personaggio" li definì Nello Santi,il
produttore.Ne è uscito un film sbagliato con
qua e là
momenti da
cineteca.Avremmo dovuto avevre i mezzi e la forza di ritiralo,rigirare quello che ci
sembrava sbagliato e riproporlo. Ma non ci abbiamo nemmeno provato.Forse non
l'abbiamo nemmeno pensato.Clamoroso insuccesso.(troppo avanti _Ricordarsi
TATI)Credo che sia il film che incassato meno negli ultimo 5o anni.Dopo lo
svitato Dario alterna al lavoro di attore quello di sceneggiatore,e viene addirittura
scritturato fisso alla Ponti de Laurentis come gags-man a 2.000.000 al mese.La
cifra era astronomica. Lavora con sceneggiatori del calibro di Age Scarpelli
Pinelli(sceneggiatore di Fellini) Antonio Pietrangeli.(indicare films.Titolo) Io
interpreto partacce in films tutti lacrime,core,cosce e zinne.Sono 28 quasi sempre
in cartello come "partecipazione straordinari", mi pagavanp bene,ma quei films di
straordinario non avevano null'Altro che il materiale umano col quale
venivo,grazie
a
loro,in
contatto.TINA PICA-GIUDA.POI VENGO
SCRITTURATA DAL TEATRO ARLECChino a Roma,per interpretare un testo
di Feiduau che sembrava scritto per me:"non andartene in giro tutta nuda"Dario
scrive per i fratelli Bonos,che poi non ne hanno fatto nulla un atto unico"gli
imbianchini non hanno ricordi".A quel punto gli propongo di ritornare a Milano e
farci una compagnia nostra.
Ci proponiamo a Paolo Grassi allora direttore del Piccolo teatro che ci regala
fiducia,amicizia dandoci il teatro per ben tre mesi.Debuttiamo così,in un caldo
infernale,tutti soli,(sì,c'erano altri attori da noi scritturati,ma la responsabilità della
compagnia era solo nostra) con "Ladri,manichini donne nuda".Scritto diretto e
interpretato da Dario,sue erano anche le scene e i costumi.Io facevo l'attrice ma
mi occupavo di un sacco di cose;Mio fratello Enrico era il nostro amministratoreattore se necessario.Ha guidato la nostra compagnia con grande abilità,riuscendo a
farci stare in pieda anche senza alcun aiuto ministeriale ne dell'ETI(ente teatrale
italiano che avrebbe dovuto appoggiare più che mai la nosytra compagnia in
quanto recitava opere di autore ITALIANO.Ma sia noi che EDUARDO De
FilippO abbiamo avuto grazie alle nostre scelte politiche ,vita grama con tutte le
forza statali e parastatali).
204
1958:"Comica finale" quattro atti unici scritti da Dario,su canovacci della mia
famiglia.Dario aveva sentito queste storie mentre io le raccontavo a Jacopo per
farlo addormentare.Ma de gli atti,che gli ho passato "bocca a bocca", il migliore
era "un morto da vendere" che aveva completamente scritto,ambientandolo
nell'800 come gli altri.Il migliore.Non si pensi che accecata dall'amore io possa
dare a Dario meriti che non ha.Non l'ho mai fattao.D'altro canto basta leggersi le
"comica finale pubblicato da Einaudi per vederlo.RICORDARSI DIFFICOLTà
FINANFIARIE.STABILE TORINO;EPISODIO 2CANNAS L'AMORE è
PIù FORTE;
Siamo al teatro Gerolamo di Milano.Andiamo avanti con grande fatica.Il teatro è
conosciuto come teatro delle marionette.Se il mio cuore aveva un fremito al
ricordo della mia famiglia,questo fremito non poteva riempirci il teatro.La prima fu
un disastro.Abituati ai palcosceninci grandi,il trovarci senza prova alcuna in uno
spazio grande come il bagno di casa mia,ci ha messi in grande difficoltà.Devo
riconoscere,che come unica volta nella storia della nostra compagnia,la critica
ufficiale presente allo spettacolo non ha menzionato i 3OOO incidenti che si sono
susseguiti nelle tre ore.Proprio in quel teatro,quasi sempre vuoto ci è arrivata
inaspettata la possibilità di debuttare in un grande teatro:il teatro Odeo.
Stagione 1959-60-"Gli arcangeli non giocano al flipper" teatro Odeon di
Milano.Mille posti. Grande successo di critica e di pubblico.Tutte le sere "il
Bossino" che in realtà si chiamava Bossi direttore del teatro, non appena lo
spettacolo iniziava si metteva in quainta con un foglio sistemato sulla fronte,con
scritto in grande l'incasso della serata. Il copione di questo spettacolo ci fu
sequestrato per le troppe battute a soggetto che abbiamo aggiunto,non autorizzati.
Abbiamo collezionato "rapporti al questore di ogni città dove si lavorava,per un
totale di 280,tanti,quanti furono le repliche dello spettacolo.
questura"
Abbiamo girato tutta l'Italia facendo esaurito ovunque.DATI STATISTICI E
INCASSI NUMERO SPETTACOLI DENUNCIA POLIZIA PER
CENSURA.inpiù di una occasione rischiamo di non poter andare in scena.
1960-61 -"Avevav due pistole con gli occhi bianchi e neri".opera che tratta della
connivenza tra fascismo e borghesia,tra malavita organizzata e potere.L'intervento
della censura è pesantissimo,ci massacrò letteralmente Decidemmo di andare in
scena egualmente senza tenere in conto alcuno i tagli.Ci fu un braccio di ferro
piuttosto teso tra noi e il prefetto di Milano che ci minacciò di arresto
immediato,ma alla fine,preoccupato dello scandalo che ne sarebbe venutoo,il
205
ministero tolse i tagli.il testoE' con questo spettacolo che mi conquisto agli occhi
di mio marito,un ruolo diverso da quello di sempre. Per la prima volta non accetto
il testo a scatola chiusa certa del successo di sempre.Qualcosa non mi convince.Lo
comunico a Dario.Si è discusso mica male.Mio figlio aveva sei anni e ancora se lo
ricorda.Credo sia stata la prima discussione accesa alla quale asssistesse.Non ci
aveva mai visti così,era un pò spaventato."Dimmi cos'è che non
funziona!Dimmelo!"e io:"non lo so"."più forte il Dario:"dimmelo!" "Non lo so,ma
c'è qualcosa che non va."(Quante volte negli anni futuri s'è ripetuta questa scena?)
Jacopo piange senza gridare,e anch'io scppio a piangere gridando come un
bambino disperato.Era la prima volta che vedevo dario fuori dalla grazia di
Dio."Ora,lo rileggo tutto..cercherò di individuare..di capire..poi ti dirò..".Leggo e
prendo appunti.Dario,per tutto il tempo ma guarda serio. In piedi. Mi stavo
innervosendo. Dopo due ore,più imbarazzata che mai:"taflierei qui,qu, e qui."D. ci
pensa un pò su,e poi:"forse hai ragione,ma prima preferisco provarlo col
pubblico."
Debutto:successo di stima.Il giorno dopo D.mi dà il copione:"fai i tagli che
proponevi".
1961-62:"Chi ruba un piede è fortunato in amore".
Dopo sporadiche apparizioni nella TV. di stato approdiamo alla televisione sulla
neonata seconda rete,(1962 PRIMAVERA) con sei puntate tutte nostre:"Chi l'ha
visto?".Subito dopo dalla direzione Rai ci viene proposto di condurre
"Canzonissima"il grande concorso canoro abbinato alla lotteria di capodanno la
trasmissione di maggior interesse popolare dell'ente.D.scrive i testi che prima
dell'inizio della trasmissione ricevono il benestare della direzione nella persona del
dott. Pugliese direttore generale(?).Ma già alla prima puntata la stampa reazionaria
si scatena criticando ferocemente la più che delicata critica politico sociale
contenuta neitesti.Di puntata in puntata gli attacchi,le polemiche sulla stampa non
si contano.L'indice di ascolto è altissimo (anche se al processo,uno dei tanti che
c'è stato la direzione Rai tentava di sminuirci. dicendo che nessuno ci
vedeva.TAXISTI RICORDARSI) l'Italia era divisa in due:chi ci ama,e chi ci
odia,ma tutti lì,davanti al televisore il sabato sera.Ad ogni trasmissione
ci
vengono imposti tagli e censure sempre più pesanti.(FIORI SENO.GAMBA
SINISTRA)fino a che all'ottava puntata decidiamo di abbandonare la
trasmissione.La famosa "Canzonissima",il FANTASTICO DI OGGI,va in obda
senza presentatori.(RICORDARSI WALTER CHIARI E BRAMIERI)e quando
l'annunciatrice all'inizio della trasmissione dice:d.FO e F. Rame si sono tritirati,una
206
quantità incredibile di telespettatori si rovescia nelle strade di Milano,tutti quanti
diretti al palazzo della fiera dove si teneva la trasmissione. Quando
usciamo(eravamo stati su consiglio dei nostri legali nei camerini nostri fino alla
fine della trasmissione) ci troviamo davanti una folla di gionalisti,fotografi e
migliaia di persone.In molti erano venuti per dimostrarci la loro calda e commossa
solidarietà.
Questa fu la prima e credo l'unica volta nella storia della Rai che due "attori"
rifiutarono di "abbioccarsi" d'innanzi alle imposizioni ai tagli,all'arroganza del
"padrone"ai soprusi.
L'impegno l"ho preso,ma da un'ora almeno,me ne sto a guardare fuori dalla
finestra con il cervello completamente vuoto,come se per tutti questi anni,e sono
tanti,non
avessi
vissuto,lavorato,incontrato
gente
parlato,riso,pianto
ecc.Niente.Non mi viene niente.Ho la testa affollata di pensieri
confusi,suoni,rumori,parole,facce(si scrive con la i,o no?)e fra tanto disordine,non
riesco a trovare la parola giusta che mi dia modo di iniziare con un minimo di
coerenza.Da cosa parto?Da dove?Sono nata eccetere eccetera..Cosa faccio,anno
dopo anno,avvenimento dopo avvenimento in ordine cronologico.. Per l'amor del
207
cielo.Sono certa che arrivata alla prima elementare,spengo la macchina e non ci
penso più.Non mi viene propio niente.Forse potrei partire dalla prima grande
emozione che non ho mai dimenticato..Veramente sono due le grandi emozioni
della mia vita.Ma che dico,due..Molte di più,ma queste due sono le più grandi.La
prima:"Dario,sono in cinta".
1951.Inutile spendere parole per raccontare le difficolta in cui ci siamotrovati,mi
sono trovata.Immaturi,impreparati in tutti i sensi.Spaventati.Non in condizionedi
fare un figlio,senza contare mia madre,cattolica convinta. ecc.ecc.Inutile spendere
parole.Ho abortito.30.000 lire più la paura,e qualcosa addoso e negli occhi,che per
mesi non m'ha lasciato.Di quell'ora passata in una specie di ambulatorio,non certo
atrezzato per un intervento chirurgico,ricordo il freddo,il buio che c'era fuori,era
notte,l'indifferenza e la tensione del medico e dell'infermiera-non gridi per
favore,altrimente non la opero.C'era paura in quella stanza,la loro e la mia.
1951.Per l'aborto si finiva in carcere.Oltre a "quella" paura per me c'era il terrore
per l'intervento che affrontavo senza saperne assolutamente niente.Niente altro che
mi sarebbe stato fatto senza anestesia,per me,e tutto per me,c'era anche il peso di
quello che stavo facendo.Pensavo a mia madre,e ho veramente desiderato di
morire.Se ha paura se ne vada.Non ho gridato.Credo di aver pianto,ma non me lo
ricordo.Sicuramente ho pianto dopo,quando Dario che stava ad aspettarmi m'ha
abbraciata.Stavamo male tutti e due,in più io mi sentivo così colpevole d'essere
certa che non avrei più osato guardare negli occhi mia madre.2000 anni di
pregiudizi erano il pane quotidiano che molta gente ha mangiato.Io,con mia madre
onestamente cattolica osservante e convintapoi ne ho fatto indigestione.Per Dario
era diverso.(parlare di Brera architettura,lotte operaie;blu di metilene ecc.) Ho
incontrato altre volte quel medico.Non ci siamo mai nemmeno salutati.Lui e
diventato famoso.Ricchissimo.Non ha mai fatto obiezione di coscienza,dopo la
legalizzazione dell'aborto.Ho saputo che nulla era cambiato nella sua attivita
abortista.Solo la tariffa."Sono in cinta!".Il punto esclamativo sta a sottolineare il
cambiamento dei miei sentimenti nel comunicare questa notizia a Dario,mio
marito..Siamo nel luglio del 1954.Mi sono sposata il 24 giugno.Tutto è
regolare.Sono,in regola.Il giorno dopo "la prima notte" legale che io e Dario
avevamo consumato già due anni prima,telefonai appena sveglia alla mia
mamma.Nel sentire la sua voce,mi venne un nodo di commozione.Ero uscita di
casa..avevo una casa mia..insomma m'é venuto il magone."Che succede?C'era
apprensione,preoccupazione,imbarazzo e non so che altro nella sua voce non ti ha
trovato in ordine?"Cara dolce mamma,pulita,ingenua,tenera,così sicura di quanto
208
mi avevi insegnato da non essere mai stata nemmeno sfiorata dal dubbio che tua
figlia,che se ne stava per mesi in turné,potesse avere rapporti "stretti" con il
ragazzo con cui "filava" e col quale lavorava.Al "magone" s'é sostituito
l'imbarazzo d'aver tradito la sua fiducia.Non lo vedevi di buon occhio quel
matrimonio,mamma:"é un attore,uno spiantato,non fara mai niente nella vita.Stai
lontana dagli attori. Prendono in giro le ragazze,si divertono e poi le piantano". E
dietro a quel"si divertono" si nascondevano nefandezze innominabili.
BIOGRAFIA FRANCA-TENTATIVO
Sto male di salute,ma mi sembra di stare molto bene d'umore,mentre invece mio figlio dice che tutte le malattie
che io sono riuscita(un vero primato!) ad accumulare negli anni(che vanno dall'onicofagia-mangiarsi le unghie,tricotillomania-strapparsi
capelli,attorciliarli stretti al dito anulare e infine nasconderli sotto ai
mobili.Quando uno è in ansia,si strappa i capelli ,se sola,si mangia le unghie in presenza di altri.)E me l'ha
dimostrato enumerandomi tutto quello che ho avuto negli ultimi due mesi a Boston."Oh,ma come sono
felice,rilassata!"Un bubbone della grandezza di un mandarino nel seno sinistro,proprio sopra a quello che
chiamiamo cuore,dolore ai reni con perdita di sangue,lastre,calcoli frantumati,tracce anche in vescica,dolori
muscolari alle gambe,crampi durante il sonno,gamba sinistra,dopo immobilità di qualche ora,non rehhe e
duole."Cos'è,il lazzaretto tutto di un colpo?"NO,è che il tuo fisico si fifende come può.lanciandoti campanelle
d'allarme da una situazione che tu vivi male.Fai l'elenco di tutte le malattie che hai avuto negli ultimi anni,gli
interventi,malattie inimmaginabili ma ben tangibili che vanno da una congiuntivite che ti scoppia oggi,inizio
di una commedia che non ti piace e che ti sparisce il giorno dopo l'ultimo spettacolo.Tu come un pappagallo
ripeti"sto bene"e sei pure convinta,invece"credi" di star bene,ma nel tuo subconscio stai malissimo?Tutta la
colpa è del subconscio.Froid ha detto un sacco di cose relativammente
importanti,cose che anche altri avevano detto,l'unica sua* scoperta essenziale per la vita dell'uomo per la sua
mente è 'sta storia del subconscio.'Sta storia del subconscio deve essere vera.Mi viene in mente una tipa di
Torino che lavora all'Einaudi,si chiama Emilia,l'ho conosciuta tanto tempo fa,mi raccontava della sua vita,nel
dibattersi nei problemi col marito da cui si era separata,i figli,la suocere,l'amante del marito,la moglie del
marito.Tutti questi problemi le procuravano fenomeni fisici stregoneschi,reazioni sul suo corpo che nessun
medico aveva mai registrato su alcun paziente.Che so,le lenti a contatto che si gonfiavano a dismisura fino a
scoppiare,oppure che si bucherellavano tutte.Robe mai viste,tanto che l'assicurazione si rifiutava di
rimborsargliele.Mio figlio ha certamente ragione."Tu devi sbatterti,riuscire a scavare,a ricordare,a scoprire cosa
hai dentro realmente,quale fatto vicino o lontano ti ha portato a questo malessere.Devi andare indietro,indietro
mamma."Mi sono presa un registratore e via a parlare a ruota libera.Come premo il tasto per la
registrazione,non mi viene in mente niente.Cerco di ralassarmi.Vediamo..il primo trauma..per me è stato un
trauma e grosso.anche se poi,ora,30 anni dopo,mi rendo conto di aver guardato i fatti con ecessiva enfasi.HO
scambiato una storia del tutto naturale per una mancanza d'amore.L'ho vissuta malissimo.Ho cercato di parlarne
con lui,ma subito mi sono interrotta,imbarazzata dal suo imbarazzo.Impreparata,incolta sul sesso:è la prima cosa
che ricordo in questa incursione nella mia vita.
Il mio rapporto con l'altro sesso è statoo per moltissimi anni un rapporto "al servizio";mai avuto stimoli
sessuali,la voglia di fare all'amore mi veniva se ci si abbracciava e baciava...ma scivolavo nel rapporto senza un
grande desiderio di sesso..ero portata ad assecondare il suo di desiderio.Del sesso,non sapevo nulla.quello che
facevamo,era venuto da solo,l'avevamo scoperto insieme.autodidatti.Ora,per fortuna è diverso.I giovani sanno
tutto.prima ancora di avicinar si ad una donna.Mio figlio aveva un 13 anni e già se ne stava con un libro di
209
anatomia in mano.(IMENE,vedevo soltanto un orecchio).L'orgasmo,l'ho raggiunto molto dopo che praticavo il
sesso.Prima fingevo.
Non me ne sono mai fatta un problema.
PENSIERI: LA COPPIA
Riuscirò fino alla morte a tenere per me che tu sei solo un uomo?Io cerco di capire tutto..i tuoi bisogni..mi sforzo
di non dare maggior significato alle "cose" di quanto in realtà non abbiano..di leggerle per quello che
sono:SESSO E GRATIFICAZIONE ma non mi posso impedire di soffrireper queste nostre due vite così unite e
così irreversibilmente staccate.Due vite tronche,che vivono solo se congiunte ma si logorano e muoiono nella
congiunzione.E' molto che sono morta.E' il saperti distratto da altro che mi ha tolto la vita.Senza di te non posso
vivere,ma quanto pago questo mio 4 4 4 vitale bisogno.Sono riuscita a superare tutto ciò che ho subito.Mi
credevo armai forte.ma il dolore torna ogni volta come trentaanni fa.Sto vivendo un disperata e allo stesso tempo
afettuosa solitudine.Gironzolo per questo mondo come un ombra;pensieri bui mi schiacciano.Brontola la mia
anima,il mio cuore,i miei sentimenti ti si rivoltano contro,il mio orgoglio di essere donna?Umiliato.E il non
sentirmi "nessuno".Non mi accontenta essere "prima" nella tua vita..è nel mio sesso a ridere che ti voglio
tenere.Ti guardo davanti ad una ragazza qualsiasi,trasformato,ti rappresenti,ti dai un gra daffare,senza misura
ne controllo.Ed io sono condannata da me stessa a starti a guardare,come tu,per tua scelta sei condannato a
vivere con me.Che fare?
CONTINUAZIONE DONNA GRASSA 1(AMMAZZAMENTO DUE
GEMELLI ODPEDALE ROMA;
Dopo la prima e la seconda scena,ritroviamo
la nostra donna grassa che sta leggendo il
giornale,è illuminata da un cono di luce in modo da rendere il cambio di ambiente il più veloce
possibiole.ATTENZIONE QUESTO DUE FRASI LE HO PRESE DA 2DONNE2 HO
TENTATO DI FARE UN TRASFERIMENTO E MI E' RIUSCITOòOGGI SONO
RIUSCITA A METTERE ANCHE I NUMERI ALLE PAGINE E TUTTO DA SOLAòò
Sala di Cesenatico 15-16-17 luglio 2002
II stesura
BIOGRAFIA Franca Rame
Sono nata in Lombardia, a Parabiago, un paese a ridosso di
Milano. Oggi è un centro gremito di industrie, ma delle sue
origini, della gente, delle piazze e delle case non so e non ricordo
nulla. D’altra parte ci sono rimasta solo il tempo di venire al
210
mondo e subito mi hanno trasportata in un altro paese a pochi
chilometri di distanza, per poi traslocarmi di lì a un mese in
un’altra piazza. “Piazza” è il termine con cui gli attori di teatro
indicano la località dove si va a montar scena per un nuovo
debutto. Infatti la mia era una famiglia di teatranti, meglio, di
comici di lunga data. Alcune ricerche hanno dato per certo che i
Rame provengano da molto lontano. Negli anni, per varie
vicissitudini, quei miei avi – comici hanno dovuto cambiare nome
ma, ad ogni buon conto, questa mia razza, è stabilito, risale dalle
origini del teatro professionale, cioè dalla Commedia dell’Arte.
Ne sono testimoni i canovacci tramandati da generazione in
generazione, raccolti dai miei nonni e studiati da Roberto Leidi e
da altri ricercatori.
Dicevo che di Parabiago non so nulla, al contrario sono ben
informata sul paese dove è nata e cresciuta mia madre: Bobbio,
nell’Oltrepò pavese in Val Trebbia, situata nel triangolo di cui fan
parte Broni e Stradella, al confine fra Lombardia, Emilia e Liguria
alle appendici della catena di montagne maestose (gli Appennini
tosco- emiliani).
Ci andavo da ragazzina a Bobbio. Di quella piccola città ricordo
l’inseguirsi di arcate, dei portici medievali. I palazzi antichi, una
piazza sbilenca con colonnati bassi e posti con disordine
programmato e poi un fiume che si sprofonda nel pianoro roccioso
segnando un solco ristretto attraversato da un magico ponte di
pietra a schiena d’asino.
211
Con Dario ci sono tornata un paio d’anni fa, in occasione di uno
spettacolo allestito all’aperto dinanzi ad una chiesa romanica che
fa da fulcro al colonnato che circoscrive la piazza principale.
Eravamo stati invitati da un’associazione umanitaria fondata e
diretta da amici dell’Oltrepo.
Noi si era arrivati “su piazza” con qualche giorno d’anticipo e con
grande soddisfazione finalmente mi trovavo a far da guida a
Dario. Abbiamo fatto visita a quei pochi parenti della famiglia di
mia madre rimasti e poi, via a visitare palazzi, musei e il
monastero dei benedettini.
È risaputo: Bobbio vanta uno dei più antichi monasteri d’Italia,
centro culturale dell’alto Medioevo, secondo solo a quello di
Cassino. Fu fondato dai monaci seguaci di San Benedetto da
Norcia nei primi anni del Seicento, inteso come VII secolo. Di
questo primordiale e imponente ordine religioso che gestiva altri
sette monasteri dislocati qua e là in tutta Europa fino
all’Inghilterra, mi proverò a trattare più diffusamente nel prossimo
capitolo. Ora urge che parli di mia madre e della sua storia.
Si chiamava Emilia, figlia dell’ingegnere del comune di Bobbio e
di Adele Rosmini in Baldini, primogenita di una famiglia di tutto
rispetto ben nota in quella città.
Cominciamo con mia madre Emilia che, senz’altro ha avuto un
forte ascendente sulla mia formazione nel bene e nel male.
La nonna Baldini (cosa non eccezionale agli inizi del Novecento)
metteva/ha messo al mondo ben otto figli; l’eccezionale è che
erano sette femmine e un solo maschio;
212
Nella memoria ormai mitica di Bobbio, quelle sette sorelle (come
le sette sorelle che vanno spose ai sette fratelli del famosissimo
musical Hollywoodiano) erano splendide, ognuna di loro
creava/destava incanto amoroso nei giovani e anche negli uomini
maturi/attempati della piccola città e dintorni. Ambite fino alla
follia, sono andate spose ai miglior partiti che si potessero reperire
nella intera regione: giudici avvocati, industriali, militari d’alta
carriera puntualmente assurti al ruolo di generale: tutte ben
accasate. Tutte meno una. Di certo la più bella e affascinante
dell’intera
covata,
davvero
imprevedibile
in
che
senso
imprevedibile?: mia madre. Lei, non ancora ventenne, scelse un
marionettista che si esibiva muovendo i suoi pupazzi magici
dentro il suo teatrino.
Uno scandalo.
Domenico Rame aveva dieci anni più di lei. Era completamente
bianco di capelli e mancava di un occhio che era di vetro;
ciononostante era un bellissimo uomo. Emilia, maestra di scuola,
s’era follemente innamorata del marionettista “dai bianchi capelli”
L’aveva incontrato in un veglione carnevalesco. Lei era abbigliata
di azzurro e oro come una principessa, lui da principe con tanto di
mantello rosso, giustacuore bianco e spada d’argento. Danzarono
insieme fino a tarda notte proprio come in una favola, con la
variante che a mezzanotte lei non se ne andò lasciando le scarpe
sul pavimento, ma come si cantava in una romanza di Bellini: “(...)
lasciò solo il suo cuore nelle mani sue”.
213
Restarono senza rivedersi per un anno intero. Ma continuarono a
scriversi lettere a pacchi.
Non era quella la prima esperienza sentimentale di Emilia: aveva
diciassette anni quando fu inviata in un piccolo borgo in cima alla
Val Trebbia, quasi in prossimità del passo dal quale si scorge il
Mar Tirreno. Il suo compito era di insegnare in una scuola ai
bambini dell’elementari della valle. Emilia aveva ottenuto il
diploma da maestra proprio quell’anno, quindi era alla sua prima
esperienza di insegnante. Ma come può una ragazzina tanto
giovane vivere tutta sola in un luogo impervio e rustico come
quello? Per sua fortuna Emilia aveva un appoggio e anche una
sicura protezione: in quel borgo sperduto c’era un suo giovane
cugino, parroco di fresca nomina della locale parrocchia. La
famiglia gliela aveva affidata tranquilla e sicura. Anche Emilia era
sicura. Quel suo cugino esibiva uno sguardo quasi ascetico,
oltreché luminoso. Quasi un arcangelo travestito da prete.
Oltretutto quel santo ragazzo si mostrava così riservato, schivo,
evitava perfino di guardarla, ma purtroppo qualche volta gli
capitava di indugiare con lo sguardo sui suoi occhi. Quella
ragazza era così bella, dolce e luminosa e con un portamento
svelto ed elegante: Dio che corpo armonioso! Come poterla
ignorare? Il giovane prete cominciò a trascorrere notti in bianco.
L’imporsi di non mostrare attenzione a quella sua cugina da sogno
gli costava una gran fatica che si stava tramutando in sofferenza.
Succedeva, come nelle favole mistiche medioevali, in cui si
racconta del diavolo che organizza l’apparire della vergine
214
splendente nella pieve dove sta pregando il sacerdote immacolato
e va soffiando frasi lubriche nelle di lui orecchie: “Per ‘esto dolzo
pecao dè, lassate annare e tu pruoveraie uno placere de
perdemento sì squallaccoso che nullo pò offerirte eguale!”
Se pur maestrina candida, mia madre cominciò a sentirsi turbata
da quegli sguardi appassionati, dalle piccole e grandi attenzioni
che il cugino prete aveva per lei: gli aveva regalato un ampio
scialle si seta azzurra ricamato d’arancione che chissà dove e a
che prezzo aveva comprato. Un mattino il giovane parroco non si
leva per la prima messa. Alla perpetua che va a sollecitarlo perché
si sbrighi, il giovane risponde quasi insultandola. Arrivano le
suore preoccupate: “ Non so cosa gli stia prendendo. No, non ha
la febbre – confida – non si vuole alzare e basta, piange e
singhiozza.” Qualcuno va a chiamare Emilia che lascia la scuola e
corre subito a casa. Come la vede, il cugino salta giù dal letto,
ordina alla perpetua e alle suore di lasciarli soli, quindi si getta
letteralmente alle ginocchia della maestrina e con un diluvio di
parole le dichiara il suo amore. Non può più vivere senza di lei.
Basta! è deciso a buttare la tonaca “Emilia, dolce Emilia! Mi vuoi
sposare?” e l’abbraccia quasi da soffocarla. Emilia si sente
mancare, si divincola e corre fuori dalla casa. Non si preoccupa di
raccogliere abiti né valige. Fugge disperata dal paese e torna a
Bobbio.
Anche dopo 50 anni Emilia racconta di quella tragica avventura.
Mi ricordo, eravamo in vacanza a Sala di Cesenatico e Dario,
215
dopo aver ascoltato con molto interesse quel racconto, per gioco
iniziò a recitare della colpa di mia madre ragazzina e della sua
fascinazione in quella tragedia: “Sei tu, cara mamma, che l’hai
sconvolto quel povero pretino. Tu, con le tue grazie, il tuo candore
galleggiante in un corpo sbocciato come un fiore di maggio”
La mamma va in crisi e chiede di confessarsi subito. Non è nella
possibilità fisica e psichica di recarsi in chiesa, la parrocchia di
Sala, Dario, il colpevole, è quindi costretto a saltare in bicicletta e
velocissimo raggiungere la chiesa per convincere il prete (lui
notoriamente ateo e mangiapreti!) a recarsi nella casa dove
abitiamo durante le vacanze e ascoltare la tragedia la cui memoria
ha sconvolto la signora Baldini in Rame, di ottant’anni.
Il prete la tranquillizza. Torna il sereno.
A Dario viene interdetto d’ora in poi ogni esibizione satirica nei
riguardi e in presenza della mamma.
Ma torniamo a Bobbio e al primo vero amore della mamma.
Dicevamo che per più di un anno mio padre e la giovane Baldini
avevano comunicato fra di loro solo per lettera, il loro amore
invece di scemare come succede di solito con la lontananza monta
sempre più. Finché il marionettista dai bianchi capelli si decide ,
lascia marionette e compagnia: precipita a Bobbio e chiede Emilia
in sposa. Scandalo. La figlia dell’ingegnere del comune con altre
figlie maritate a giudici, capitani di industria e di marina, avvocati
e imprenditori, ceduta ad un burattinaio?! Ma Emilia è decisa. O
me lo concedete o me lo prendo da sola! Alla fine la famiglia
216
Baldini ingoia il rospo, pardon: il principe…maionettista. E
vissero eternamente felici.
L’incontro
Al matrimonio sono naturalmente invitati fratelli, sorelle e il padre
della sposa, il capo supremo dei “pupazzari”, un uomo maturo e
aitante fornito di lunghi capelli e barba fluente. Il ritratto preciso
di Garibaldi. Emilia è accolta con grande affetto e si trova subito
ingaggiata nel gruppo dei gestuari tirafili. Impara a muovere le
marionette e a prestar loro la voce .
La maestrina impara a recitare e a muoversi su un vero
palcoscenico con tanto di proscenio, quinte e fondali. Esistono sue
foto di quel tempo, alcune sembrano ritratti alle nobil donne di
Francia di Boldini. Alta, slanciata, un viso aristocratico, un gran
portamento. Da autentica prima donna.
Mio padre era un ottimo attore, mia madre affascinava gli
spettatori con la sola entrata; il fratello, di mio padre, Tommaso,
era il poeta di compagnia. Riduceva in commedie i romanzi più
famosi. I libretti delle opere e drammi storici. Con mia sorpresa ho
trovato fra i canovacci della compagnia la storia di Arnaldo da
Brescia, compreso il suo processo per eresia e la sua condanna al
rogo. Arnaldo, il contestatore collega dell’amante di Eloisa. Era
lettore dell’Università di Parigi negli stessi giorni in cui teneva
lezione Abelardo. I Rame recitavano da Shakespeare a Victor
Hugo.
217
Il primo impatto dell’andata in scena per la mamma fu a dir poco
traumatico. Alla maestrina era capitato qualche volta di salire sul
palcoscenico nella sua città a recitare con gruppi di dilettanti nelle
classiche recite scolastiche, quindi aveva un idea del tutto
stereotipa, convenzionale del teatro soprattutto in rapporto a
quello dei comici girovaghi dove si trovava ora a debuttare.
La scuola dell’improvvisare
Era davvero curioso, meglio, sconvolgente il metodo usato da
quella compagnia per realizzare la messa in scena. Tutti si
sistemavano in palcoscenico seduti intorno allo zio Tommaso che
leggeva il testo della commedia da allestire e lo commentava,
quindi distribuiva le parti, i ruoli e si abbozzava una specie di
prova per stabilire le varie entrate e le “sortite” di scena. A ‘sto
punto si provavano i costumi, li si arrangiava, si montava la scena
spesso adattando qualche fondale di altro spettacolo del
repertorio. Il giorno appresso si debuttava davanti al pubblico e lo
spettacolo quasi immancabilmente aveva buon esito.
Com’era possibile? Come potevano gli attori improvvisare un
intero copione, recitare senza montare con le battute uno addosso
all’altro, evitare gli sproloqui in attesa che l’antagonista si
decidesse ad entrare in dialogo, evitare i punti morti, le cadute di
ritmo, di tensione, prevedere una flessione, evitare di rubarsi l’un
l’altro la battuta, scegliere il tempo di replica, così senza aver mai
eseguito una prova seria e completa? Non parliamo poi
dell’esigenza, visto che nessuno aveva appreso a memoria quel
218
testo, di segnalare all’attore o all’attrice di spalla, che si sta per
concludere il proprio intervento così da prepararsi al rilancio di
situazione.
Mio zio asseriva giustamente che l’improvvisazione è il metodo di
recitare meno improvvisato che esista. Anzi, al contrario il più
organizzato. guai affidarsi all’estro - lo stesso principio lo aveva
espresso
anche
Diderot.
Per
quella
strada
si
cade
immancabilmente nel caos, nella pagliacciata da dilettanti.
D’accordo, ma dove, quando si acquisiva quella conoscenza
organizzata, se erano state eliminate tutte le prove in teatro prima
dell’andata in scena?
La chiave dell’acquisizione scenica era esclusivamente impostata
sull’esperienza; era appresa giorno per giorno dinanzi al pubblico.
I comici della nostra compagnia rappresentavano, gestivano,
recitavano seguendo un metodo scientifico o quasi, nulla era
affidato al caso (lo stesso metodo usato dai Comici dell’Arte);
ogni attore possedeva una totale conoscenza del cosiddetto
“canone dialogico”. Era in possesso, cioè di un numero enorme di
battute con rispettiva replica che potevano essere adattate a varie
situazioni. Esempio: dialogo d’amore fra la ragazza petulante e il
giovane timido e affascinato da quella bisbetica (modello della
Bisbetica Domata di Shakespeare), dialogo d’approccio amoroso
fra la ragazzina timida, ma molto sveglia e il ganimede
sciupafemmine. Dialogo fra la finta ingenua e il signore attempato
che se la vuole portare a letto snocciolando solo promesse.
Dialogo fra due giovani ai quali è stato imposto il reciproco
219
matrimonio, che quindi si odiano. In un primo tempo si non si
sopportano, ma poi scoprono una sorta di sintonia e nasce una
certa solidarietà. Alla fine si amano, ma decidono di continuare a
recitare un’avversione incolmabile. Ancora, il classico dialogo di
approccio amoroso, copia elaborata di quello che ritroviamo
nell’Orso di Checov. Così di seguito per un numero infinito di
chiavi e diverse soluzioni – ogni interprete conosce la battuta
d’entrata e quella d’uscita, sua e del suo interlocutore. Come sente
la frase d’avvio si prepara alla replica, cioè siamo dinanzi a un
continuo montaggio ad incastro di situazioni, tratte dall’enorme
bagaglio che ogni interprete possiede fin dal suo esordio grazie
all’aver ascoltato centinaia di messe in scena e quindi averle
inserite in buon ordine nel computer del proprio cervello. Esistono
delle convenzioni, dei segnali occulti che i comici si danno l’un
l’altro senza che il pubblico possa rendersene conto; un portare la
mano al petto, un aprire e chiudere le dita di una mano, un
accennare il gesto di tagliare un filo con una inesistente forbice e
così via. Ecco quindi che senza apparire si danno ordini e consigli:
taglia, stringi, chiudi, concludi eccetera.
Spesso succedeva che in una piazza, a conseguenza del buon
successo della compagnia, si mettessero in scena più di trenta
commedie in un paio di mesi, tanto da restare con l’intero
repertorio svuotato. A questo punto era gioco forza approntare
una nuova commedia, possibilmente legata alla cronaca o alle
storie del luogo. Si conduceva un’inchiesta per scoprire il dramma
storico o il fatto di cronaca recente che aveva sconvolto il paese.
220
Quasi immancabilmente si scopriva la tragedia occorsa ad una
famiglia ,quasi sempre nobile e ricca, che coinvolgeva anche i
villani del contado e altri personaggi: tradimenti, vendette,
passioni amorose, faide, fughe di amanti che tornano all’ovile
dopo straordinarie peripezie.
Capitavano anche storie con situazioni davvero originali e
inconsuete come quella del ritorno del giovane disprezzato e
cacciato ignobilmente, che riappare nel dominio a capo di un
esercito di mercenari al servizio del re. Sconvolgimento nella
comunità dei nobili e dei minori. Il giovane capitano dimostra a
tutto il paese la propria innocenza, condanna i colpevoli che hanno
tramato costruendo menzogne diffamatorie nei suoi riguardi.
Infine abbraccia l’amata alla quale è stato imposto di maritarsi col
fellone.
Naturalmente, la tragedia veniva articolata, drammatizzata e resa
piacevole da inserti comici, poetici. Il paese accorreva al completo
ad ascoltare la propria storia. Repliche a volontà.
Dove si recitava? In teatrini di parrocchie o del comune, di
cooperative, associazioni culturali, anche operaie.
Papà Domenico, vistosi negare alcune piazze, decide di
fabbricarsi un proprio teatro tutto in legno, trasportabile e
rimontabile in breve tempo, una specie di “carro de tespi” dei
nostri tempi. Il teatro conteneva cinquecento persone e poteva
godere di tutti i servizi essenziali, compresi quelli igienici. La sua
struttura era talmente efficiente e sicura che nel 1944 i tedeschi lo
requisirono per farci un ospedale da campo.
221
Dove si alloggiava, noi della compagnia? Si affittavano
appartamenti. Qualche volta bisognava arrabattarsi. Ricordo di un
grande stanzone diviso in più camere per mezzo dei fondali delle
varie scenografie, stesi e montati in modo da ottenere spazi
diversi, così capitava che in una camera la parete di fronte
alludesse a un bosco, quella di sinistra a una marina con scogli e
barche da pesca, mentre dall’altro lato apparisse il portale con
bassorilievi e statue equestri di un palazzo.
Situazione difficile causata dalla professione.
Questa
dell’essere
teatranti
era
condizione
che
creava
immancabilmente difficoltà e disagi, specie in noi ragazze.
Avevamo successo sul palcoscenico ma il ruolo di attrici
manteneva nella società di quel tempo ancora il parallelo di
commediante uguale ragazza facile, per non dire puttana.
Insomma, quella con una di noi non poteva chiamarsi una
relazione seria. “Se la fa con una girovaga!”.
Io e le mie sorelle abbiamo sofferto non poco per quel pregiudizio
che ci teneva fuori dall’ambito delle ragazze rispettabili, da
marito.
Ricordo, ancora oggi con malinconia il mio rapporto con
Umberto, un giovane della piccola borghesia di Varese, gentile,
aitante. Un grande atleta con un corpo degno di Lisippo… muscoli
torniti, larghe spalle, bell’incedere e pure spiritoso, ambito da un
nugolo di ragazze da sogno. Insomma il marito principe della città.
Erano già lì tutte pronte con le mutande in mano, ben lavate e
222
profumate; invece Umberto sceglie me e io lui. Ma i suoi non ne
vogliono sapere: “Ti metti con una del teatro? Viaggiante per
giunta!” Quando in macchina - nella sua macchina - noi due si
transitava nella zona dove era dato di incrociare qualcuno dei
suoi, Umberto mi pregava di accovacciarmi fra i sedili, sotto ben
nascosta, di “sparire”! E io ubbidivo…certo non ero presentabile,
mi sentivo umiliata come una capra portata in società col
fiocchetto e il campanellino al collo. Povero Umberto!, tanto
emancipato, ma succube dei suoi e delle loro miseri culturali.
Quando e come sono salita per la prima volta in palcoscenico?
Non c’è mai stato un debutto. Sono “montata” in scena fra le
braccia di mia madre che non avevo manco tre mesi.
Rappresentavo la piccola figlia (o figlio) di Genoveffa di
Brabante. La storia di una nobildonna scacciata fuori casa dal
marito che la sospetta adultera. Genoveffa è costretta a vivere
nella foresta. Io apparivo in scena coperta da pelli di capra così
come, con lo stesso addobbo, appariva mia madre. Devo dire la
verità: non ero molto cosciente della parte che stavo interpretando.
Piangevo fuori tempo, scalciavo senza curarmi della situazione
patetica, e al culmine della catarsi lirica, facevo pipì in copiosa
abbondanza.
La mamma ci teneva che le sue tre figliole e il maschio
secondogenito dimostrassero il loro talento naturale nei confronti
del pubblico, ma soprattutto verso i fratelli e le sorelle del proprio
marito.
223
Da buona maestra delle elementari non si accontentava della
tecnica d’improvvisazione, anzi quasi di nascosto ci insegnava le
parti (spesso scritte apposta per noi dallo zio, poeta di compagnia)
nei ruoli di angeli, scugnizzi (figli di nessuno), piccole rampolle
nobili, protagoniste straccione dei miserabili.
Il cavallo di battaglia di noi piccole teatranti erano le
rappresentazioni sacre che si ripetevano ogni anno, puntuali, su
qualsiasi piazza ci trovassimo a recitare.
Gli attori amatoriali. I dilettanti che interpretavano i ruoli di
contorno nella Passione.
Le rappresentazioni sacre abbisognavano di numerosi interpreti;
per questo si ricorreva ai “dilettanti”, che si reclutavano in tutta la
regione. Erano volontari, amanti del teatro, che si offrivano gratis
e volentieri. Il più misterioso e al tempo stesso sorprendente era il
dilettante che copriva il ruolo del ricco credente, Nicodemo, che
sale sulla scala appoggiata alla croce e dirige la calata di Cristo
dalla croce stessa.
Per tutti gli interpreti d’appoggio, ci si preoccupava di contattare
ognuno in anticipo, a cominciare dal dilettante che interpretava
ogni anno il ruolo del soldato romano, che riacquista la vista
grazie allo spruzzo di sangue che sorte dal costato di Cristo al
momento in cui lui lo infilza per verificare che sia davvero morto:
una goccia di sangue lo colpisce sull’occhio sguercio e, miracolo!,
il soldato riacquista la vista proprio da quell’occhio cieco.
224
Dicevamo… tutti venivano contattati in anticipo, salvo il dilettante
che doveva interpretare la figura del ricco “scrociatore”
Nicodemo, tutti lo chiamavano tout court così. Non ricordo più il
suo vero nome, ma ricordo che, immancabilmente poco prima che
si andasse in scena con la Passione (una trilogia spesso ridotta a
due o a un'unica rappresentazione), ecco che puntualmente
Nicodemo appariva. S’era, come al solito, portato con sé il
proprio costume ricamato, trapuntato qua e là con della
passamaneria dorata da ricchi. Nessuno faceva meraviglia: era del
tutto normale che non mancasse mai all’appuntamento, in
qualunque paese sperduto, anche sulle montagne, ci trovassimo.
Ci si abbracciava, si commentava informandoci reciprocamente
sulla salute e via: in scena.
Nicodemo recitava la sua tirata con precisione e tempo magistrale.
Poi “Ci vediamo l’anno prossimo!” e come era arrivato, spariva.
Non pretendeva nulla. Anzi rifiutava il purché minimo accenno ad
una paga.
Qualcuno di noi aveva azzardato: “E se quello fosse davvero lui in
persona, l’autentico Nicodemo che torna ogni anno a interpretare
il suo ruolo?”
Mio fratello interpretava la parte più ambita, naturalmente quella
di Gesù. Io ero la più piccina. Era nato dieci anni prima di me.
Quindi, da quando avevo tre, quattro anni me lo ricordo
ingaggiato in vari momenti della vita del Salvatore: da ragazzino
che conversa coi saggi allocchiti da tanta sapienza, per passare al
225
momento in cui si incontra con San Giovanni (suo cugino), fino al
momento in cui inizia la predicazione e così via. Me lo ricordo in
particolare a diciotto anni, nella scena in cui Cristo lotta col
diavolo, sferrando pugni e calci e persino morsicate.
Era l’unico che possedesse una cultura scolastica del teatro: s’era
iscritto giovanissimo alla scuola “D’Amico” di Roma, la più
prestigiosa Accademia di Teatro d’Italia. Recitava quindi con
giusta dizione, ma senza esagerare col birignao (modo affettato) e
le caricate di pronuncia: “cieelo”, “teempo”, “Steelle”, eccetera.
Era un bel ragazzo e, come si dice in gergo, di bella fattura. Un
corpo svelto e quasi prassitelico. Insomma quando veniva
spogliato, seminudo, per essere legato alla colonna e fustigato,
tutte le ragazze e le spettatrici di ogni ceto ed età, sospiravano
come mantici, gemevano, producendo un coro di mistica
meraviglia: ogni femmina era innamorata di quel Gesù. A frotte lo
aspettavano fuori dal teatro, appena finita la rappresentazione;
qualcuna si lasciava sfuggire una lamentazione: “Peccato si sia già
rivestito!”
Durante le Passioni il ruolo mio e delle mie sorelle a seconda
dell’età, era normalmente, quello di angeli, di diversa “classe”:
angiolini , cherubini, troni e arcangeli. Il mio esordio massimo
avvenne nella scena del pentimento di Giuda, prima che buttasse i
trenta denari fra i rovi e s’impiccasse all’albero di fico.
“Maledetto sii tu, fico traditore!” recitava in bell’anticipo Gesù.
La mamma in occasione della mia prima apparizione nel ruolo del
cherubino mi aveva bene ammaestrata. Conoscevo le battute a
226
menadito: il mio addobbo era a dir poco maestoso. Indossavo un
abito bianco (naturalmente) con pizzi e veli, un paio d’ali con
autentiche piume e in capo calzavo (questa era stata un’aggiunta
fantastica di mio padre) una corona di lampadine che si
accendevano anche a intermittenza. Il tutto grazie a una piccola
batteria che portavo ben nascosta sul fondo schiena.
Giuda era interpretato dallo zio Tommaso, truccato con barba
ispida e occhi fortemente evidenziati dal trucco, forse con
l’aggiunta di qualche riga rossa. E poi quella voce cavernosa, che
non avevo mai ascoltato dalla bocca di mio zio… una persona
cosi dolce e gentile nella realtà. Insomma io, povera bambina, a
quella apparizione ho sussultato e ho trattenuto con fatica le
lacrime, compreso un piccolo urlo di terrore. Dalla quinta mi
ripetevano la battuta che dovevo recitare: “Giuda! Pentiti! Pentiti!
Hai venduto Gesù il nostro salvatore!” Ma io continuavo a restare
annichilita
davanti
a
quella
maschera
tremenda
di
Giuda/Tommaso. Oltretutto mio zio, tentando di darmi coraggio,
si sforzava di sorridere, ma riusciva grazie a quel trucco da
demonio a esprimere solo un ghigno orrendo. Sentivo di non poter
più trattenere la pipì. In quel preciso istante qualcosa è successo
all’impianto elettrico. Forse stringendo disperata la mano, ho
strozzato qualche piccolo cavo. Fatto sta che s’è creato un corto
circuito.
Le lampadine sulla mia testa scoppiavano come fuochi d’artificio.
Io, con gli occhi sbarrati dal terrore, sussultavo a ogni lampo col
botto. La disastrosa sequenza del corto circuito fu, per fortuna,
227
breve. “Pentiti! Pentiti!” ripetevano dalle quinte ma io ero ormai di
gesso, impietrita, un cherubino tramutato in angelo di sale come la
moglie di Abramo. A ‘sto punto, mentre piccoli rivoli di fumo
uscivano da ciò che restava della corona luminosa squarciata sulla
mia testa, ecco che lo zio Tommaso con voce solenne esclamava:
“I lampi di luce divina emanati dal capo di questo purissimo
angelo e il suo silenzio mi inducono a meditare sul mio orrendo
operato e a pentirmi. Mi pento! Mi pento!” e scoppiava un boato
di applausi. Trionfo ineguagliabile, domani si replica!
Dormire nel retro palco
Normalmente nelle varie rappresentazioni noi ragazzini della
compagnia, specie nei primi quattro, cinque anni di vita, terminate
le nostre “entrate” venivamo messi a dormire. Ma a parte la
dimensione angusta dei camerini -quando c’erano -, non
esistevano né divani né tanto meno letti. Perciò ci stendevano a
dormire dentro un baule o dentro una cassa dei costumi; sul fondo
si sistemava un drappo, qualche mantello, e ci si faceva sdraiare,
bloccando naturalmente il coperchio. Una volta, ricordo, un
dilettante sbadato diede un colpo al portello spalancato che scese
come una mannaia; all’interno c’era mia cugina, la più piccola,
che per fortuna si svegliò per il botto e comincio a urlare. La
mamma, che era in scena, piantò il suo ruolo e corse nel retro
palco a liberare la bimba prima che soffocasse.
Il dilettante finì quella sera la sua carriera di teatrante.
228
Noi al mattino, pieni di sonno, si andava a scuola. La mamma
“eterna maestra” non transigeva: “La scuola non si diserta manco
morti!”. Spesso ci riusciva quindi di dormire sul serio per non più
di cinque o sei ore. Più di una volta capitava che mi si mettesse a
dormire in un baule al primo atto, ma al terzo venivo svegliata e
velocemente rivestita per rientrare sul palcoscenico nel finale a
recitare la scena madre, il mio pezzo di chiusura. Barcollavo
sbadigliando come un piccolo ippopotamo, e qualche volta mi
ritrovavo a recitare la tirata conclusiva di un’altra commedia.
Naturalmente venivo bloccata dal padre o dalla madre scenica e
velocissima riprendevo il filo del discorso corretto. Nessuno del
pubblico s’accorgeva dell’inciampo.
Al mattino la mamma fra le sette e le otto ci veniva a dare la
sveglia. Io ciondolando andavo in bagno, mi sedevo sul water e mi
addormentavo. Immancabilmente cadevo in avanti e andavo a
sbattere col cranio sul bordo del lavandino di marmo. Avevo
perennemente la fronte segnata da un vistoso livido. La mamma
mi consigliò di pettinarmi con la frangetta.
Questa difficoltà dell’essere svegli, soprattutto fra i banchi di
scuola si risolveva in un serio handicap. Mi capitava di
addormentarmi anche durante le lezioni, ma avevo imparato a
dormire con gli occhi semiaperti. Ero un’allieva così silenziosa! Il
guaio nasceva al momento in cui la maestra o il maestro mi
rivolgeva la parola per pormi un quesito. La compagna di banco
mi svegliava con un calcio negli stanchi; un sussulto, un piccolo
229
grido e spalancavo gli occhi come un barbagianni. Attenta ero!
Apparivo così presente da fare impressione.
La situazione più grottesca e tragica al tempo, causa il sonno,
accadde durante la rappresentazione di Giulietta e Romeo. Avevo
poco più di tredici anni quindi possedevo l’età storica per quel
ruolo, cioè di Giulietta. Romeo era interpretato da un ragazzo
dilettante
davvero
portentoso.
Lo
zio
Tommaso
aveva
pronosticato: “Quello farà di sicuro carriera!” Si chiamava Enrico
Maria Salerno e davvero sarebbe diventato uno dei migliori attori
comici e tragici del nostro teatro. Possedeva una voce già ben
impostata, una dizione da professionista e una notevole presenza
scenica. Noi, nelle nostre messe in scena, come ho già raccontato,
eravamo usi andare all’improvviso, quindi rispetto ai testi
originali, creavamo sintesi e ritmo. Si stringevano dialoghi e
monologhi all’osso. Questa era una delle ragioni per cui lo
spettatore non si lasciava mai scivolare sulla poltrona, sbarluccato
dalla noia. Recitiamo insieme la scena del balcone dove lui ha
poche battute di commento, poi arriva il duello, il dialogo sul
letto: “ È l’allodola o l’usignolo che ci impone di lasciarci prima
che l’alba indori il fondo del cielo?”, quindi si giunge al finale
della tomba. Io sto sdraiata dentro il sepolcro marmoreo, ho un
sonno da schiatto totale, resisto. Lui, Enrico Maria, comincia con
la sua tirata, roba di tre minuti, quattro al massimo, secondo il
nostro copione. Invece ‘sto disgraziato esibizionista, fanatico, non
va a recitare tutta la tirata al completo, quella originale
elisabettiana con varianti e aggiunte?! Io, distesa nel mio comodo
230
sudario, non reggo. Il sonno mi coglie come al nocchiero di Enea:
una botta secca! Romeo - Maria si ficca finalmente il pugnale
avvelenato nel cuore e schiatta, ma nell’agonia riesce ancora a
recitare un paio di battute. A ‘sto punto, breve pausa, tocca a
Giulietta spuntare con il capo dagli occhi sbarluccanti e scoprire
l’amato deceduto. Ma io non faccio una piega, anzi pur con tono
lieve, russo come una regina. Dalla quinta cercano con voce
sibilata di darmi la sveglia. Niente da fare: sono come in coma.
Gli attori di qua e di là dal palco lanciano tutto quel che trovano,
cercando di imboccare il feretro come nella pallacanestro. Mi
tirano anche una scarpa. Alla fine vengo colpita sulla fronte da
una pera, neanche tanto matura, e di scatto, con una presenza
straordinaria recito d’un fiato la tirata del pre-finale di
Desdemona. Da quel giorno nella Giulietta e Romeo sono
costretta, prima di sistemarmi nel sarcofago, a legarmi una corda
alla caviglia, corda da strattonare nel caso di deliquio da letargo.
Ma non potevo continuare con quel calvario, oltretutto la bozza
sulla fronte stava diventando troppo evidente. Quindi i miei
genitori decisero di farmi prendere un po’ di fiato e di mandarmi
in un collegio gestito dalle suore, sulle colline del Varesotto.
La suora gentile la suora perfida – da sviluppare
Il ritmo giornaliero del collegio: studiare, dormire, giocare,
pregare.
231
La tristezza della domenica; molte delle mie compagne tornavano
a casa dai genitori. Per altre ragazze c’era la “visita” di parenti e
amici; ma i miei la domenica recitavano: due spettacoli con
pomeridiana e serale. Io mi ritrovavo a essere l’unica collegiale
non visitata. Succedeva però che eccezionalmente mia madre si
facesse sostituire sul palcoscenico ed eccola, bellissima, apparire.
Era per me la festa del Paradiso. Mi sforzavo di non lasciarmi
travolgere dalla commozione, ma era impossibile. La afferravo per
mano e andavo mostrando la mia mamma ad ognuno, la
costringevo a fare il giro per tutto il collegio, il giardino, lo
stanzone dei giochi, la cappella, persino in cucina. Volevo che
tutti si sincerassero che io la mamma la tenevo sul serio. Avevo
sentito bisbigliare da più di una compagna: “Quella dice di avere i
genitori, ma chi li ha mai visti? Dev’essere orfana, poverina”.
Lo strabismo di Venere
A quattro anni la mamma si rese conto che facevo fatica a
decifrare anche i fumetti, e oltretutto strizzavo un occhio per
mettere a fuoco le immagini. La mamma era convinta si trattasse
di un tic. Mi portarono dall’oculista. La mamma spiegava al
medico, un noto specialista, che non si capacitava del perché la
bambina si fosse impuntata a non usare come si deve i suoi occhi;
erano capricci inspiegabili. L’oculista lasciava sfogare la mamma
e intanto continuava ad esaminarmi con una specie di piccolo
cannocchiale la cui lente finale veniva appoggiata sull’uno e
232
sull’altro mio occhio. Alla fine ha interrotto il monologo della
mamma: “Signora, la sua figliola vede da un occhio solo”.
“Ecco lo sapevo, tutto perché con l’altro non si sforza!” insisteva
lei fissata.
“E’ inutile si sforzi; non può vedere. L’occhio destro è quasi del
tutto spento!”
Mia madre per poco non crolla a terra svenuta. Il medico spiegò
che la bambina aveva , evidentemente , causa una qualche febbre
esplosa nei primi anni di vita, subito una menomazione alla retina
,che è andata via via peggiorando.
“Coll’altro occhio per fortuna vede perfettamente, ma mi spiace
dovervi preannunciare che a causa dello scompenso visivo sua
figlia rischia, quasi irrevocabilmente di divenire strabica.
Speriamo si arresti al minimo e sia a divaricazione esterna.
Insomma un lieve ed affascinante strabismo di Venere.”
Invece il mio strabismo si manifestò a rovescio. Uno strabismo
interno. Quella dell’occhio strabico si trasformò per me in una
vera e propria “menomazione”. Un “difetto” insopportabile. Fu un
calvario. Nel tentativo di correggere quello strabismo mi sono
sottoposta a un’infinità di interventi chirurgici. Fino al tempo in
cui ho conosciuto Dario e nei primi tempi del matrimonio lui mi ha
sempre accompagnato e ha vissuto con me tensione, paura e
speranze.
(Inserto da dedicare al prof. Carlevaro)
233
Ero talmente ossessionata da quello strabismo, che per
nasconderlo m’ero inventata un paio d’occhiali sottili simili a
quelli che calzava Cavour, ma con le lenti scure. Li avevo
disegnati io stessa e indotto un noto occhialaio di Milano a
fabbricarmeli proprio su misura.
Quella montatura ebbe un tal successo che il costruttore d’occhiali
fu indotto a riprodurre centinaia di quegli occhiali, giacché
moltissime erano le ragazze che le richiedevano. Incredibile!, la
mia esigenza di mascherarmi per via d’una menomazione, per me,
terribile complesso, era diventato motivo d’eleganza: una moda.
Ho diciotto anni quando mia sorella Pia poco più che ventenne va
a recitar scritturata da una compagnia primaria. Io la seguo di lì a
poco. Recito nella compagnia di Tino Scotti, un divertente
comico milanese. Quella mia prima esperienza nel varietà non mi
soddisfa granché, tanto che decido di cambiare mestiere. Mi
iscrivo a un corso per crocerossine alla clinica Principessa
Iolanda, a Milano
Inizio il corso, son lì da tre giorni. Nei grandi ospedali i medici
non distinguono le allieve principianti da quelle del primo anno.
Eravamo tante. Esco da una stanza con la padella in mano... ché
all'inizio solo padelle... camminavo tutta orgogliosa, tenevo la
padella come fosse la bandiera tricolore, incrocio un medico, il
Professor Semenza, che mi fa: "Signorina mi porti subito alla
camera trentuno l'occorrente per un cateterismo.".
Ha scelto me come un'altra, ma io mi sono sentita "prescelta dal
234
creatore". Ho fatto persino l'inchino con la padella: "Subito,
professore!".
Vado... dico: "Cateterismo" e mi consegnano su di un vassoio un
pappagallo, un tubicino di gomma (una sondina). Vado alla
camera trentuno.
Il degente era un ragazzo di vent'anni, svizzero, operato non mi
ricordo di che.
Busso. "Avanti!" Entro nella stanza e vedo il professore che sta
trafficando col sesso dello svizzero. Mi blocco un momento
imbarazzata... e il professore perentorio: "Venga qua! Posi il
vassoio... e tenga!".
Volevo morire!
Non ho osato dire: "Guardi, Professore, io non me ne intendo
tanto...".
Ho ubbidito... ché l'ubbidienza, devo dirvelo, è la rovina della
mia vita!
Ho preso 'sto coso con due dita... Ero tutta bloccata... guardavo
l'infinito!
Sentivo tra le dita come una specie di salsiccetta. Tremavo come
una foglia.
Il povero ragazzo svizzero... vedermi lì... diciotto anni... tanta...
che gli tenevo il suo coso con due dita tremanti... ha avuto una
reazione nervosa... un'erezione!
Per me... non ha più avuto un'erezione così, in vita sua!
Quando ho sentito la salsiccetta... come dire… prendere vita...
non l'ho lasciata per ubbidienza, ma ho lanciato un urlo terribile:
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"Aiutoo! È vivo!".
Il Professore ha capito tutto… Mi fa: "Posi pure. Vada, signorina
vada!".
Non mi è parso vero. Sono uscita che mi inciampavo da sola...
avevo il cuore in gola, ero tutta sudata! Son lì che sto varcando la
soglia: "Signorina!"
"Madonna ci ha ripensato!"
"Signorina, si faccia trasferire al reparto pediatria... così s'abitua
per gradi!"
Pia si sposa con Mezzadri, l’impresario che mi convince a
rientrare in teatro. Vengo scritturata nella compagnia delle tre
sorelle Nava con Franco Parenti. Incontro Dario.
Capisco di piacergli, ma mi scantona. Alla fine delle prove lo
abbranco e lo bacio di forza fra le quinte, dietro a un fondale.
Camminiamo insieme nella città deserta, ci accompagnamo
reciprocamente a casa, a piedi. A quell’ora dopo le prove, non ci
sono più tram. Attraversiamo tutta la città. Camminiamo per
chilometri, ma non ce ne rendiamo conto. Ci teniamo per mano.
Attraversiamo anche il parco dietro il Castello. Allora non era
cintato da staccionate di ferro come oggi.
Una sera (anzi notte) siamo scesi nell’alveo del canale che
attraversava il parco, era asciutto. Ci siamo abbracciati, stesi in
quel gran solco come fosse un immenso letto. Non avevamo un
luogo dove starcene tranquilli. Dario lavorava ancora per lo studio
Ciuti -Progetti per mostre commerciali e fiere. Stava dipingendo
grandi pannelli decorativi. In un gran salone fra tele, grandi tavole,
236
con un aria che odorava di pittura ad olio e trementina, noi si stava
sdraiati, l’uno nelle braccia dell’altra su un divano mezzo
sfondato, con le molle che cigolavano ad ogni respiro. Ma niente
ci procurava disagio.
Debutto all’Odeon: successo e insuccesso.
Ma la gente riempiva il teatro. Dario ed io si prendeva un
ascensore per salire dal palcoscenico ai nostri camerini, era due
piani sopra. Ma noi due, ogni volta si schiacciava il tasto
dell’ottavo piano. Nel viaggio, andata e ritorno, ci si baciava.
Spesso si faceva vuoto di scena.
Personalmente avevo un certo successo, ero molto corteggiata;
c’erano i soliti mosconi che tampinavano le belle soubrettine e
soubrettone. Mi offrivano uscite a cena a valanga. Ma piuttosto di
sorbirmi quegli immancabili tormentoni di corteggiamento
languidante, un vero e proprio manuale di ovvietà con tastate a gogo, preferivo digiunare o mangiare in ristoranti di terz’ordine.
Inizia la tournée fuori Milano. Io e Dario si era sempre insieme.
La storia del ritrovar camere a Napoli
La fuga dalla camera invivibile.
L’attraversamento di napoli sull’autobus con l’autista che,
d’accordo coi viaggiatori devia dal percorso consueto per
portarci a destinazione. De sica viene a sapere dell’episodio e
lo inserisce nel film con mastroianni e la loren. DA
COMPLETARE
237
Dario s’ammala di bronchite, tossisce tutta la notte . io per
calmargli la tosse gli do delle pasticche
(la dolce euchessina ), dolci per andar di corpo.
Il suo personaggio, il Poer Nano, non funziona sul pubblico di
Napoli. Manca che lo spernacchino. Recitiamo al Vomero. Due
spettacoli al giorno fra la proiezione di film. In un teatro
frequentato da un pubblico composto in gran parte di giovani
“scostumati”, nella rivista una delle sorelle Nava getta per
provocazione comica della verdura sul pubblico Dopo l’intervallo,
gli scostumati si presentano in sala armati di una enorme quantità
di ortaggi che si sono procurati saccheggiando gli scarti del vicino
mercato ortofrutticolo.
Ci tempestano di pomodori, carote, mele bacate, carciofi scoppiati
e via dicendo.
Costringono il balletto a fuggire di scena. Gli attori recitano
nascondendosi dietro i mobili dell’arredo. Io, con due ragazze
puntino (tenevano un piccolo fiore sul capezzolo, quello era
l’unico abbigliamento oltre un paio di slip millimetriche che
coprivano il pube) ci troviamo in passerella. Alle nostre spalle
abbassano il taglia fuoco, noi tre poverette rimaniamo in trappola
esposte ad un bombardamento micidiale, investite da una tempesta
di verdura e frutta marcia
La situazione, riguardo alla bronchite di Dario peggiorava. Da
Milano lo chiamano alla RAI per partecipare a una trasmissione a
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puntate di grande successo: “Zic Zac”. Il capocomico, che è mio
cognato gli da il permesso di partire. La compagnia va verso il
profondo sud. Arriviamo a Brindisi dove i ragazzini per strada ci
seguono facendo proferte oscene e gridando: “So arrivate le
bottane!” Un poliziotto ci viene in soccorso “Signorine - ci
consiglia - questo non è luogo dove delle ragazze sole possano
circolare tranquille. Qui è molto pericoloso. È una città degradata
e squallida Hanno perso ogni valore civile, non le dico poi il
linguaggio di un’oscenità…È inutile, sono dei rotti in culo di
merda!”.
Mi viene in mente che al tempo dei romani, e ancora prima, dei
greci era un porto prestigioso. Era l’accesso per l’oriente; Virgilio
è morto qui, proprio mentre transitava per raggiungere la Grecia..
Dopo alcuni giorni si prosegue per Taranto e di qui in Sicilia.
A Messina nel teatro esaurito ci sono solo uomini, vocianti .E’ un
teatro classico in stile ottocentesco, ricostruito dopo il terremoto,
coi palchi che s’affacciano sul proscenio. Il direttore del teatro ci
consiglia a sua volta: “Non fate la passerella, qui sono abituati ad
allungare le mani sulle ragazze che sfilano loro innanzi”
“D’accordo passeremo solo in proscenio”.
Parte il balletto, due ragazze in una giravolta sfiorano appena la
barcaccia di destra gremita di energumeni che s’affacciano con
tutto il busto e le braccia. Le abbrancano ad una velocità inaudita.
Le ragazze mandano un grido e scompaiono dentro la barcaccia.
Inghiottite.
239
Tutti noi ci blocchiamo, reclamiamo che vengano restituita
immediatamente.
E quelli fanno gli gnorri, chiedono sfrontati: “Di che femmine
andate parlando? Nulla abbiamo veduto, forse devono essere
volate via, erano ragazze molto leggere”.
Le tre Nava col temperamento che tenevano aggrediscono a male
parole gli energumeni. Li insultano: “Bella tempra di uomini
siete... qui i cavalieri e i signori dabbene ci stanno solo nel teatrino
dei pupi!”
Quelli, sorretti da tutta la platea e palchi patronali, rispondono,
sghignazzano e pronunciano frasi oscene che per fortuna non
capiamo. La polizia di servizio è sparita e, d’altra parte in quel
bailamme cosa potrebbero fare ?.
Si leva un grido perentorio, una voce da basso profondo impone il
silenzio, dal fondo si fa avanti un ometto magro e allampanato.
Non è di certo lui che ha imposto il silenzio. da come tutta la
gente si tira da parte lasciandogli libero il passo nel corridoio,
intuiamo che si tratta di un boss, un uomo di rispetto eccelso.
Il suo guardaspalle, quello dal gran vocione lo segue, lo aiuta a
montare in palcoscenico per la scaletta di fianco al proscenio. Il
guardaspalle fa un gesto breve, ma perentorio verso la sala e
indica pure i palchi e ordina: “Lìvitivi!”
E tutti quasi a molla si levano in piedi.
L’uomo di rispetto gira lentamente lo sguardo in una larga
panoramica da destra a sinistra e ritorno.
240
Il guardaspalle gli ha posto una sedia in proscenio. Lui fa cenno di
no. Resta in piedi.
“Mi scuso con queste signore e con gli artisti che sono arrivati fin
da noi dal continente per divertirci… li abbiamo invitati noi, ma
ecco che hanno da poco subito un oltraggio. Se qualcuno di questi
uomini andando al nord si vedesse sequestrare la figliola sua o la
sua compagna che farebbe? Che direbbe: che si è ritrovato in un
paese di scellerati, di animali senza creanza. No, noi non siamo
senza creanza. La stiamo solo perdendo, giorno per giorno.
Portate rimedio subito. Io mi vergogno di vivere in una società
come si è ridotta questa. E c’è qui gente che si dice d’onore, ma
dov’è l’onore in uomini che aggrampiano femmine dal palco come
fossero tonni da mattanza?!”
Un gran silenzio.
“Chiedete scusa!”
E il guardia spalle ribadisce a gran voce: “Ditelo che vi scusate”.
In coro tutta la gente recita: “Chiediamo scusa”
Dal palchetto vediamo riaffiorare le nostre due campagne
sequestrate. Andiamo loro incontro. E le abbracciamo stravolte,
fradice di sudore, bianche in volto, le mani gelate. Tremano.
Tutti se ne vanno. A testa bassa, borbottando. Qualche frase qua e
là. L’uomo dabbene ci saluta con un gesto lieve. È il più
mortificato fra tutti. Sparisce.
La sera ceniamo con l’impresario del teatro che ci da qualche
spiegazione. È un uomo dabbene e riservato, oltre che di buona
cultura, sta vivendo un momento di gran sconvolgimento, ma si fa
241
forza ci parla con inattesa chiarezza “La mafia sta montando a
dismisura, si ammazzano sindacalisti, spariscono giornalisti che
parlano a voce aperta onesta. Tre anni fa c’è stata la strage della
“Portella delle Ginestre”. Centinaia di contadini che festeggiavano
con le loro donne e i bambini il primo di maggio furono
massacrati”.
Le ragazze che stavano con noi a tavola, tutte del corpo di ballo,
non ne sapevano quasi niente. Per mia fortuna io vivevo in una
famiglia di idee fortemente democratiche. La notizia di quel
massacro ci aveva indignati e sconvolti. Si diceva che il
responsabile, anzi, l’esecutore materiale di quella strage fossero
Salvatore Giuliano e la sua banda di criminali sedicenti
indipendentisti.
Si sapeva che dietro quei criminali c’era la mafia e, dietro la
mafia, alcuni personaggi eccellenti del governo democristiano
Proprio l’anno prima, ci ricordava l’impresario, i carabinieri
avevano ucciso in un conflitto a fuoco il bandito Giuliano ma, ci
svelava il nostro ospite:
“...in verità quell’ammazzamento si deve al cugino di giuliano
Piscetta, suo luogotenente che lo ha freddato nel sonno su ordine
della mafia che a sua volta raccoglieva i desideri dei personaggi
eccellenti del governo. Il bandito Giuliano era servito tre anni fa
per compiere la strage di rossi… solo tre anni fa era un mitico
eroe, mo’ e uno squaraqua da buttare! Ma, - aggiungeva sottovoce
il nostro impresario - è questione di qualche mese ancora e anche
Piscetta verrà giustiziato della mafia, non per vendetta o per
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regolamento di conti, ma per dare una piccola soddisfazione ai
pochi seguaci di Giuliano buonanima, il traditore deve
soccombere sempre!”
Da Messina dove ci trovavamo dopo l’avventura ci siamo ritrovati
a Palermo. Altro teatro (il Biondo), altra atmosfera. Il teatro era,
come sempre in quella tournée gremito. Il pubblico, fin troppo
compito, perfino nel modo di applaudire e di ridere alle situazioni
comiche. Anzi, un pubblico che rifiutava i lazzi e le battute di
basso livello.
La situazione della nostra compagnia, l’assetto, come si dice, era
divenuto sempre più precario. Dario se ne era andato. Avevo
saputo che alla radio stava avendo molto successo con un suo
monologo: il Pover Nano.
Ma tornando alla compagnia, qualche ballerina aveva dato forfait
per stanchezza o, come in due casi, aveva accettato le profferte
amorose di facoltosi amatori e si era bellamente dileguata. La fuga
d’amore come da copione ambientale. Per colmo di sfaldamento,
Franco Parenti s’ammala seriamente: causa un’epatite, era
diventato tutto giallo. Dovette ritornare a Milano per farsi
ricoverare in ospedale.
Ma per fortuna, rimanevano le tre Nava, una vera forza della
natura. Facevano di tutto: danzatrici, soubrette, comiche, acrobate.
Da sole potevano tenere i piedi una compagnia e con gran
successo.
Una sera, appena terminato lo spettacolo, si presenta nel mio
camerino una signora, molto ben abbigliata. Mi viene presentata
243
dal direttore del teatro “Donna Galizia”. Chiede perdono per
l’intrusione, s’esprime con linguaggio tendente al ricercato e
condito da immagini fantasiose. Mi dice di sentirsi emozionata e
di provare soggezione davanti ad una artista così delicata.
“Si vede che lei è una ragazza ben allevata e fine!”
Poi di colpo stringe e arriva al dunque : lei è qui per il figlio.
“L’avrà anche notato, si tratta di quel giovane che dalla prima
sera, ad ogni replica s’è piazzato nel palco di proscenio a sinistra”
“Sì ,l’ho notato era sempre solo. Ora immagino che sia stato lui a
mandarmi quel gran un mazzo di rose.”
“Ebbene il ragazzo s’è innamorato di voi.”
“Voi, nel senso dell’intero corpo di ballo compreso le puntine e le
soubrette ?” Non mi capacitavo che quel “voi” fosse parte del
lessico meridionale. Ma subito, grazie al gesto della signora che
puntava il dito verso di me, ho capito. Voi ero io, io sola!
“Mi lusinga - ho commentato con mal celata ironia - d’aver
destato in vostro figlio tanta attenzione!”
La signora era tutt’altro che sciocca, ha intuito subito che io stessi
per prendermi gioco di lei, e ha subito cambiato tono e registro.
“Lei signorina, capisco, presa così alla sprovvista e avvezza a
tutt’altre proposte e attenzioni, pensa sia il caso di snobbare
quanto vado dicendo. Ma le assicuro che mio figlio è persona
seria e ammodo. S’è davvero invaghito di voi, seriamente. Non
l’ho mai visto tanto preso per una femmina, -. si corresse subito per una figliola ed è così riservato e buona creatura, che per non
essere frainteso e malgiudicato ha pregato me d’essergli
244
messaggera. La mia ambasciata comprende anche un invito di voi
signorina alla nostra casa per una cena dopo teatro”.
Con un gesto imbarazzato stavo per bloccare quell’invito ma, la
signora è stata più veloce di me e ha aggiunto: “S’intende che
siete invitata insieme a tutta la compagnia, ragazze, ragazzi, attori,
attrici, eccetera.”
Ho immaginato subito le grida di gioia che tutte le ragazze della
compagnia avrebbero lanciato a quella proposta. In quei giorni
non capitava spesso di riuscire a consumare un pasto degno,
quindi ho acconsentito con slancio: “Grazie, verremo di certo!”.
L’appuntamento era per l’indomani. “Verranno a prendervi con
due macchine e con l’aggiunta di taxi, se necessario.”
All’invito aderiscono in dieci di cui cinque del balletto, una delle
sorelle Nava, uno degli attori soprannominato Voltino, due altre
ragazze attrici più io, naturalmente.
Le macchine, una volta caricata la compagnia, si portano fuori
dalla città . Arriviamo in una villa sulla strada per Monreale. Ci
fanno entrare passando per il retro. In un gran salone ci sono un
sacco di ragazze in abito da sera di un’eleganza un po’ caricata.
Ci sono anche una mezza dozzina di uomini, compreso il mio
aspirante fidanzato che mi viene incontro raggiante: è un bel
ragazzo, noto che ha gli occhi verdi. Mi da la mano. È bagnata
fradicia per l’emozione. Ci accomodiamo a tavola quasi subito. La
signora mi fa sedere accanto a lei. Eccomi in mezzo fra madre e
figlio. La signora, vuol sapere della nostra origine e provenienza
mia, e delle ragazze della compagnia. Per ognuna ha un
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commento. Quando viene a scoprire che sono lombarda esclama:
“Ah, le lombarde sono donne di grande affidamento, affettuose e
passionali”, poi commenta l’origine delle altre: “Voi, morettina,
siete veneta? Buona razza, figliole di compagnia, allegre, un po’
facili all’ubriachezza, la ferrarese non ti tradisce mai, l’emiliana a
letto è un portento…” le ragazze della casa ridono e applaudono.
Qui si blocca, zittisce con un gesto le ridanciane poi, rivolgendosi
a me: “Scusate, mi sono lasciata andare...”
Mi alzo un attimo mentre servono l’antipasto.
“Per favore, signora, vorrei andare in bagno”.
”L’accompagno subito”
“No, basta mi indichi come ci si arriva”
“Guardi, è nell’altra stanza, proprio di fronte”
Ci vado spedita. Si alza da tavola anche Arianna, una delle
ragazze puntino e con lei si leva il Voltino. Mi raggiungono
nell’atrio del bagno.
“Franca, scusa, ma tu hai capito dove ci ha portati?”
“Già, l’hai capito?” gli rifà il verso il Voltino.
“Dove?” chiedo io,
“Ma sei proprio un’allocca!” mi fa il Voltino.
“Perché allocca? Siamo nella classica villa borghese di qualche
signorotto locale. Il figlio è una specie di pirluccone viziato cocco
di mamma. Lei, la padrona, è di certo una vedova che ha ereditato
alla grande. Mi pare la classica ex bonona, del genere parvenu.”
246
“No, parvenu non è la parola giusta. La parola giusta è metrêsse!
“sentenzia Voltino e la ragazza-puntino rincara: “Le ragazze della
casa sono tutte puttane e il tutto è un casino!”
Fine della puntata
Quello fu proprio un anno sbilenco con colpi di scena folli uno
dietro l’altro. La compagnia perdeva pezzi ad ogni piazza, ma si
continuava imperterriti evitando caparbiamente il naufragio ormai
imminente. Perfino la sarta di compagnia e mia sorella,
responsabile dei costumi, erano state ingaggiate nel balletto. Con
loro anche la segretaria dell’amministratore. Lui stesso, il
ragioniere, faceva da spalla alle sorelle Nava. Tornammo al nord e
si debuttò a Cesena, intanto alla radio settimana dopo settimana
Dario stava ottenendo un notevole successo. Quel suo intercalare
di espressioni come: pover nano, quel linguaggio fatto di termini
lombardi strafalcionati e immagini al tempo paradossali e satiriche
erano entrati nel linguaggio comune. Perfino la critica si stava
accorgendo di quei suoi monologhi graffianti che nascondevano
sotto una maschera di candore un grottesco spesso irriverente. I
giornalisti di quotidiani di destra (cioè la maggioranza) iniziavano
ad avere il dubbio che quelle macchiettate assurde in verità
fossero pamphlet che mettevano in mutande il potere costituito e
le sue regole bugiarde.
A Cesena sembrava fosse giunta una compagnia di ventura
salvatasi per miracolo da un’imboscata: stravolti per il viaggio,
demoralizzati e con la paga che ormai girava a fatica prendemmo
247
quartiere nel teatro Bonci. Il direttore del teatro aveva subito
contestato a Mezzadri, il nostro impresario, la fasullagine della
locandina esposta fuori nell’atrio del Bonci.
“Qui manca un sacco di gente: ho fatto un giro nei camerini e
tanto per cominciare Franco Parenti non c’è. Non ci sono
nemmeno le tre soubrettine annunciate. Manca metà del corpo di
ballo e del Dario Fo, quello che dovrebbe recitare il Pover Nano,
manco l’ombra”
“ Non esageriamo! Sì, abbiamo avuto qualche defezione, - ribatte
sfacciato il Mezzadri - ma per quanto riguarda il corpo di ballo c’è
quasi tutto. Le ragazze sono momentaneamente dal parrucchiere”.
“Va bene, beviamo anche ‘sta bufala del parrucchiere, ma
tornando al Dario Fo, come la mettiamo?”
E il Mezzadri imperterrito: “Arriva, pazienza un attimo che arriva.
È sempre puntuale quello.”
“Ma che puntuale! Come fa ad essere qui se due minuti fa l’ho
sentito recitare da Milano il monologo.”
“È vero, ma si trattava di una registrazione effettuata ieri sera e
mandata in onda oggi.”
“La racconti a un altro. Mica sono un patacca io! V’avverto che
se non mi fate trovare tutti quelli che stanno sulla locandina vi
dimezzo il cachet!”
Dario m’aveva telefonato da Milano quattro ore prima. Mi
avvertiva dispiaciuto che non avrebbe potuto raggiungermi. Era
più di un mese che non lo vedevo. Pensava di correre alla stazione
appena terminata la registrazione del suo pezzo che avveniva
248
davanti al pubblico nel pomeriggio. Purtroppo non ce l’aveva fatta
ad arrivare in orario. Il treno era già partito. Mia sorella sapeva di
questa sua impossibilità ed aveva avvertito il Mezzadri. Oltretutto
lui , questo mio moroso, non faceva più parte della compagnia da
un paio di mesi, ma ecco che all’improvviso Dario appare a
Cesena nell’atto di attraversare l’atrio del Bonci. Mezzadri mi
intravvede. E in perfetta battuta con una sfacciataggine degna di
un capocomico dell’arte leva la voce quasi infilando col dito teso
un orecchio del direttore che gli sta di fronte. “Ehi, tu! - urla Dario, ti pare questa l’ora d’arrivare?”
Dario si volta perplesso: “Mi stavo prendendo una ramanzina per
colpa tua, il direttore mi stava addirittura accusando d’essere
bugiardo millantatore!”
Dario intuisce subito che deve stare al gioco della recita
all’improvviso quindi con un’espressione mortificata entra in
battuta: “Mi perdoni dottore, ma ho avuto un contrattempo”
“Va bene, va bene, me lo racconterai dopo. Vai subito in
palcoscenico che lo spettacolo è già cominciato. Tocca proprio a
te!”
Dario scatta correndo e borbottando altre scuse incomprensibili
sale nel retro palcoscenico il tempo di farsi notare dal direttore di
scena e, così com’è, deposita in quinta valigia, cappello e giacca
ed entra in scena. Io sono in camerino, sento scrosciare un
applauso piuttosto vivace ed esplodere grosse risate. Mi pare di
indovinare la voce di Dario che recita il suo monologo. Com’è
possibile sia qui?. Mi precipito fra le quinte: è proprio lui. Il
249
direttore di scena mi trattiene per la gonna, stavo per entrare a mia
volta in scena ad abbracciarlo. “Aspetta, calma, cinque minuti e
torna fuori da te…e te lo potrai spupazzare fino ad affogarlo!”
È vero, come termina la sua esibizione, esce in quinta e mi
abbraccia festante. Il pubblico lo reclama. Fa per slacciarsi un
attimo da me per rientrare, ma io non lo mollo. Me lo trascino
fuori nel retropalco e fra un telone e un fondale quasi lo affogo
davvero. Prendiamo un respiro, il direttore mi avverte: “Fai
attenzione, Franca, fra un minuto tocca a te. Attenta che sei in
sottoveste!”
“Infilati il costume” grida la sarta e me lo butta.
Quindi entro in scena sgambettando con le altre del balletto.
“Ma non avevi perso il treno? - chiedo a Dario - come hai fatto ad
arrivare lo stesso, con che mezzo?”
“Un colpo di fortuna. Partito il mio treno, è arrivato subito un
rapido che veniva dalla Francia. Era in ritardo, ma grazie al diritto
di precedenza ha sorpassato quello avevo perduto. Ed eccomi qua
puntuale”.
Alle mie spalle arriva Mezzadri, l’imprenditore, che a sua volta mi
abbraccia. “Mi hai tolto da un bell’impaccio, spero che tu rimanga
anche per prossime repliche”
“Si volentieri! - risponde Dario -per tre giorni sono a
disposizione!” “Grazie - lo riabbraccia il Mezzadri - ma sia
chiaro, reciti senza paga. Ti farò una gran regalia!”
“Quale?”
“Franca. È tutta tua. Non ti pare abbastanza?”.
250
Il fotografo pazzo
A Cesena c’era un fotografo davvero fuori norma: simpatico,
ciarlatore, pieno di fantasia e anche pericolosamente dedito alle
millanterie. Aveva come gran parte dei fotoreporter il pallino del
colpo giornalistico ad ogni costo. Possedeva una vera e propria
genialità nell’eseguire ritratti. Aveva una certa simpatia nei miei
riguardi e proprio in occasione delle repliche al Bonci, mi scattò
un sacco di foto: in teatro, per strada e perfino al mare che distava
pochi chilometri. Alcune erano davvero belle, soprattutto
inconsuete.
“Peccato non poterle pubblicare - mi fa - bisogna piazzarle come
si deve ‘ste immagini. Ci vuole un’idea formidabile. Sai cosa ti
dico? Domani ti faccio incontrare con Norman Gauter”
“ E chi è?”
“ Ma dove vivi? è il più grande imprenditore del cinema del
mondo”
“E viene qui a Cesena?”
“Certo è mio ospite. Ci conosciamo da anni, ho scattato per lui le
prime foto della Hayworth quand’ero a Hollywood cinque anni fa“
“Che balla straripante!” commento io
“Sei libera di non crederci e farmi pure pernacchie, ma domani ti
capiterà di rimanere senza fiato!”.
Il giorno dopo mi viene a prendere all’albergo e mi trascina alla
biblioteca malatestiana. La direttrice pone qualche resistenza: “Per
carità, non si possono far foto dentro un monumento simile!”
251
Ma lui con un fuoco d’artificio di chiacchere la condisce come un
bignè. Mi metto in posa fra le arcate appoggiata alle colonne
finissime di un marmo splendido quasi sdraiata sui tavoli con
leggii quattrocenteschi. Ci troviamo immersi in una luce magica,
che va dal rosa al violetto passando per il verde pallido.
“Ma non doveva arrivare quel produttore americano?” butto là io
sfottente, fra uno scatto e l’altro.
“Chi, Norman?”
“Si quello! Era qui ieri sera, purtroppo è dovuto partire stamattina
presto per Boston, ma ad ogni modo ieri sera gli ho mostrato le
tue foto. Era entusiasta. Me ne ha ordinate subito un centinaio di
copie e altre nuove da scattare. Ha deciso di lanciarti, dice che sei
più affascinante della Hayworth”.
“L’anguria era grossa! - canto io sghignazzante - E giù ‘ste fette”.
“Ridi che fra poco ti prenderà un coccolone di meraviglia!”
Tre giorni dopo al mattino siamo alla stazione di Cesena ad
attendere il treno che ci trasporterà a Bologna dove andiamo per
debuttare la sera stessa. Passo davanti all’edicola dei giornali. Per
poco non mi prende un colpo : lì ben esposta davanti a miei occhi
c’è la copertina della rivista “Oggi” con la mia faccia ridente e
corredata da un titolo in di dimensioni vistose: ecco la Hayworth
italiana, sottotitolo: l’attrice ingaggiata per un prossimi film dal
grande Norman. Anche sui quotidiani c’è la stessa notizia e altre
foto di me che agito le braccia accennando una danza. Io che rido
e fingo di volermi lanciare da un pattino in acqua, poi eccomi
252
sdraiata fra l’architettura maestosa della malatestiana e via di
seguito.
Nei vari articoli appaiono le dichiarazioni del gran magnate di
New York. Tutte entusiaste: dice di avermi vista recitare al Bonci
e perfino ascoltata cantare una splendida aria napoletana. “Che
bugiardo! Non ho mai cantato su un palcoscenico in vita mia.
Come avrà fatto quel pazzo di fotografo a far girare e accettare
una simile frottola! Qui, se scoprono la verità mi massacrano la
reputazione per tutta la vita”. Quasi l’avessi evocato in quel
momento, ecco che appare il re dei contafrottole tutto raggiante:
“Ce l’abbiamo fatta - esplode abbracciandomi - L’hanno bevuta
tutti come cammelli appena fuori dal deserto!”
“Ma sei un incosciente. Come puoi pretendere sostenere una
bufala simile? Appena intervistano davvero questo Norman ci
ritroviamo sputtanati tutti e due come peracottari di quart’ordine.
Niente paura, l’importante da ‘sto momento è imparare bene il
copione. Non dobbiamo contraddirci di una sola virgola. Adesso
monto in treno con te e lo studiamo alla perfezione”.
Non so come si sia prodotta quella specie di deflagrazione a
catena: fatto sta che nelle settimane a seguire tutte le riviste di
moda, scandalistiche, comprese quelle di taglio politico culturale,
uscivano con il mio ritratto in copertina. Di botto mi sono
letteralmente vista aggredire da nugoli da giornalisti che mi
chiedevano notizie più precise riguardo quell’incontro. Ero
imbarazzata. Spesso mi impappinavo, mi contraddicevo, ma i
cronisti pareva che non volessero assolutamente farci caso. Tutti
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accettavano a priori e con assoluta fiducia quello che aveva
dichiarato il grande Norman.
Ma esisteva davvero quel Norman?
Ancora oggi mantengo il dubbio che anche quello se lo fosse
inventato il fotofrottola come ormai l’avevo battezzato io. Stavo
vivendo nel più grottesco dei paradossi condotto da una regia
stregonesca dell’assurdo. All’istante anche i produttori di film
italiani mi offrivano ingaggi a ripetizione. Mi mostravano
sceneggiature, mi descrivevano i ruoli e mi facevano firmare
impegni e mi consegnavano assegni con anticipo.
Il cantante frolloccone, ma cieco
Le parti che mi si proponevano erano della solita bonona tutta
zinne e natiche, svampita, un po’ scema, ma di gran cuore.
Insomma film di seconda categoria. Ma ogni tanto qualche
pellicola di prestigio mi veniva offerta. Fra queste me ne avevano
proposto una con la regia di Visconti, Senso. Mi trovavo ingolfata
dai progetti. Paone mi voleva nella rivista di Garinei e Giovannini,
con Billi e Riva.
Non sapevo dove sbattere la testa. Ero costretta per via di
contratti con penale pesante a rifiutare il film di Visconti al quale
tenevo molto. Come però ripeteva spesso mio zio Tommaso,
qualche volta le contrarietà vengon messe in atto dal destino per
salvarti da una catastrofe. Infatti, all’inizio della lavorazione del
film mi sarei dovuta trovare su un aereo che da Venezia andava a
Roma. Poco dopo il decollo, l’aereo precipitava e dei viaggiatori,
254
un centinaio, nessuno s’è salvato. Fra questi anche l’attrice che
aveva preso il mio posto. È proprio vero: il destino avverso spesso
è la tua fortuna.
Mia sorella Pia, era entusiasta per questo clima che stavo vivendo.
Recitavo con Billi e Riva, con Walter Chiari, con Rascel, mi
proponevano film e spettacoli uno dietro l’altro. Pia viveva quella
situazione di inviti, interviste, servizi fotografici come fosse lei la
protagonista in prima persona. Spumeggiava di gioia. Io, al
contrario ne sentivo, ogni giorno di più, la fasullaggine. Scoprivo
la volgarità dell’ambiente che stava dietro a quei film di cassetta,
banali e stucchevoli, proprio di basso contenuto. Soprattutto mi
stupiva la pocaggine dei protagonisti, il loro tirare a incastrarsi
l’un l’altro: produttori, registi, distributori, interpreti. Purtroppo mi
son trovata a sfiorare appena l’aria del cinema di livello degno: sto
parlando di quello diretto dagli Antonioni, Fellini, Degrada, De
Sica, eccetera. Per quanto anche in quei lievi approcci venivano
fuori altrettante miserie.
Ma torniamo al film di routine, quello che vedeva come
protagonisti attori e cantanti meteora, personaggi che apparivano e
sparivano a velocità inaudita. Mi ricordo di una produzione in cui,
come al solito, interpretavo il ruolo di una vamp di gran classe che
s’invaghisce di un giovane talento della canzone del quale, per
civiltà, evito di indicare il nome.
Io, la vamp, procuravo un impresario a quel ragazzo e lo portavo
al successo. Inebriato e sedotto dalla mangia-uomoni (che ero io),
il cantante sulle ali del trionfo abbandona la fidanzatina
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innamorata e fedele, se ne va strallocchito fra le braccia della qui
presente maliarda. A questo punto del film, mancano i soldi. Uno
dei produttori ha dato forfait. Mancano i quattrini anche per
noleggiare una macchina di gran classe con la quale inscenare la
maestosa fuga d’amore. In quei giorni io avevo acquistato un
macchinone decappottabile, un affare, mi avevano assicurato. Ci
accorgiamo il giorno stesso che ha la marmitta sfondata e il
motore spernacchia con un tal fracasso che pare un areoplano.
“È ottima! - esclama il regista - Te la coloriamo di giallo con uno
smalto sintetico... che, come poi gli spruzziamo addosso un getto
d’acqua, se ne va.”
In un’ora la trasformazione è effettuata.
“Dio che bella! Sembra una Bugatti!”
“Via! Si gira! Motore!”
Ma il motore della macchina non parte.
“Insisti… S’accende!”
Uno scoppio. Va tutto in fiamme!
“Via con lo spruzzo! Spegni!”
Mi ritrovo tutta affumicata e completamente sguazzata d’acqua .
“Asciugate completamente la carrozzeria, presto!”
“Si gira con la macchina ferma” urla il regista.
Per dare il senso del movimento facciamo passare dietro l’auto
delle frasche d’albero. Detto, fatto. I macchinisti tagliano grossi
rami dagli alberi del vicino bosco.
Vengono reclutati tutti gli uomini validi e disponibili, a partire dai
macchinisti, il truccatore, l’autista del produttore, un suo amico di
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passaggio e tre vigili del fuoco. Quindi si dispongono uno
appresso all’altro, in fila indiana. Ognuno imbraccia la sua frasca.
L’auto viene spinta su un rialzo del terreno. La macchina da presa
è posta quasi a terra.
“Via, si gira! Azione! Dialogo!”
Il cantante rapito e la maliarda, sempre io, stiamo sulla macchina
scoperta. Dietro il portapacchi, due macchinisti la scuotono per
dare l’idea del movimento. Ancora più dietro, camminando quasi
gattoni, sfilano i reggitori di rami.
“Muovetevi senza agitare troppo le fronde! - urla il regista - così
pare un uragano! Sfilate! Sfilate! Stop! Bene così. Buona la prima.
Stampare!”
La sera ci diamo appuntamento in un’osteria per mangiare
qualcosa insieme. Il regista e il produttore hanno da poco
visionato il “girato”. Io mi ritrovo al loro tavolo insieme
all’operatore, al truccatore e alla costumista.
“E’ un disastro! - commenta l’operatore - Quel frolloccone del
cantante, non regge. In qualsiasi modo lo illumini, vien sempre
fuori ‘sto faccione inespressivo. Manco se gli spari, gli sorte un
minimo d’emozione!”
“Hai ragione, - rincara il regista - si salva giusto quando canta, ma
per il resto non so come cavarmela! Ho provato tutto: l’ho
sistemato dietro una vetrata, in controluce con una tela che sbatte,
perfino con una ripresa sott’acqua. Erano più umani i pesci che gli
giravano intorno! Ho ancora tutta la seconda parte da girare; ci
vuole assolutamente una trovata che gli mascheri la faccia!”
257
“Un incidente!” propone il produttore.
“Cosa?!” sussulta l’operatore.
“Ma sì, un incidente di macchina.”
“Spero non abbiate intenzione di adoperare la mia!” sbotto io
preoccupata.
“Senti, hai qui un catorcio da buttare. Te lo compriamo alla metà
di quello che tu l’hai pagata e fai un affare.”
“Affare fatto. Altro bidone, - aggiungo - so già che me la
pagherete a babbo morto!”
“Torniamo all’incidente, - prosegue il regista - allora lo caviamo
fuori dai rottami, tutto bruciato, con la faccia ustionata. Lo
ricoveriamo in un ospedale e giriamo le scene dell’intervento
d’urgenza. ‘Ha perso la vista, - sentenzia il chirurgo - non c’è più
niente da fare!’ Si risveglia in un letto della corsia e vicino c’è
un’infermiera che parla con lui, chiede come si sente. Bendato
com’è l’infermiera, non lo riconosce, ma lui dalla voce capisce
subito che si tratta della fidanzata che ha lasciato per la vamp.”
“Bellissima idea!- esclama il produttore - così gli mascheriamo a
perfezione la faccia!”
Il truccatore esulta: “Truccare delle bende mi sarà sicuaremente
più facile!”
“Andiamo avanti. Gli tolgono le bende. Noi stiamo sul primo
piano dell’infermiera che sgrana gli occhi incredula e scoppia in
lacrime: ‘ È lui!’ e lo bacia. Il viso del citrullone è ustionato,
quindi sarà un po’ mostruoso, ma di certo più interessante
dell’originale sano!”
258
“Ma lui rimarrà sempre cieco?” chiedo io.
“No, naturalmente tu, donna facile, ma di gran cuore, ti dai da fare
come una matta per rintracciare il famoso chirurgo che fa miracoli.
Ti mangi tutto il capitale, ma alla fine ce la fai. ‘Sta volta, quando
lui riapre gli occhi e ci vede, inquadrerà la tua faccia in lacrime...
soggettiva un po’ sfuocata di te che ti allontani, afferri per le
spalle l’infermiera e la piazzi davanti agli occhi del frolloccone…
sentiamo fuori campo la sua voce che canta appassionato: ‘Sono
tornato a veder la luce, il sole e il mare e i tuoi occhi mi sono
apparsi, amore!’ Seguiamo te che te ne vai sempre più in lacrime.
Vedrete, un trionfo!”
(continua 17 luglio)
Progressione di avvenimenti
Il successo effimero
Debutto e tournée con la compagnia di Paone con Billi e Riva.
Mi ritrovo messa in scena come il bell’oggetto da mostrare in
passerella. Sfilare con lievi giravolte.
“Non sa fare altro” commenta Riva. Il greve truccato da bonario.
Guadagno bene, ricevo applausi, ma mi sento mortificata, inutile.
Sto perdendo il mio tempo in un clima da chermes dal vuoto
assoluto. Pia mi incita a resistere. Perdo i contatti con Dario.
Forse sto scaricandolo. Coscientemente mi sto lasciando andare a
una fatua e stucchevole deriva. Incontro ancora qualche volta
Dario che mi parla dei suoi nuovi progetti, difficili da realizzare.
La stagione di Pover Nano alla RAI è finita. Hanno bloccato la
sua esibizione, censurata. Al dirigente di Milano arriva un ordine
259
da Roma: “Basta Fo”. In via Teulada i direttori superiori si sono
resi conto che quella satira apparentemente bonaria nascondeva
critiche e denunce al regime democristiano vigente insopportabili.
Ma ora ha un altro personaggio da proporre. Forse lo accettano. Si
tratta dell’impiegato Gorgogliati, un Fantozzi ante litteram,
prodotto quindici anni prima.
Mi commuove l’entusiasmo di Dario, ma mi rendo conto che quel
nostro distacco latente lo addolora parecchio. Oggi non so
capacitarmi di cosa m’abbia portato a quell’abbandono. Troppo
facile spiegarlo col fatto che mi trovassi fuori di testa, causa la
nuova situazione dell’effimero successo. Di certo quel clima di
serate, festose adulazioni e l’illusione di poter sfondare al
momento buono con un colpo di svolta fortunato, mi aveva
trasformata e messa in chiave sbilenca.
Mi lascio corteggiare, amoreggio qua e là, mi faccio un fidanzato
che mi riempie di regali. Mi sento una soubrette, una piccola
mongolfiera riccamente decorata a sbroffi che galleggia nel
nulla… senza ormeggi.
Dario ha debuttato con una compagnia di rivista all’Odeon di
Milano; fa coppia con Durano. Recita, fra gli altri, il personaggio
di Fausto Coppi; gli assomiglia in modo impressionante. So che a
sua volta s’è fatto una fidanzata o qualcosa si simile: è una
soubrette anche quella. Le soubrette dilagano!
Lo incontro a fine tournée, siamo in primavera avanzata. Sta per
mettere in scena uno spettacolo di satira con Durano, Parenti e
260
Lecoq. Con loro ci sono due attrici poco conosciute e quattro
mimi.
È il primo teatro di autentico cabaret del Dopoguerra. Da
quell’esempio ne seguiranno a dozzine.
Dario vorrebbe che io entrassi nel gruppo, ma mi trovo ancora
impegnata con la rivista di Garinei e Giovannini.
“Il dito nell’occhio”, così si chiama lo spettacolo satirico, debutta
al Piccolo Teatro e tiene cartellone per tre mesi consecutivi.
Sempre esaurito. Un successo mai registrato fino ad allora.
Finito il mio impegno, rivedo Dario a Milano. Assisto entusiasta
allo spettacolo e ritrovo scene che lui mi aveva già raccontato
tempo prima. Ce l’aveva proprio fatta.
La compagnia de “Il dito nell’occhio” s’appresta ad andare in
tournée per tutta l’Italia. Il gruppo deve essere ridimensionato. Mi
offrono di entrare in compagnia; con me verrebbe scritturata anche
la ragazza di Parenti e quella di Durano. Siamo una compagnia di
accoppiati-vincenti!
Le parti a disposizione di noi donne sono un po’ scarse. Dario ha
l’idea di inscenare un dialogo che riprenda la chiave di “Palla di
Sego” di Guy de Maupassant, ma ambientato al tempo del crollo
dell’Impero Romano. Attila incombe. Dario scrive i dialoghi con
Parenti. Mi viene affidato il ruolo di protagonista, una prostituta di
bell’aspetto, piena di temperamento e sessualità, che ha suscitato
desideri irrefrenabili nel capo barbaro. La donna facile non si vuol
concedere a lui. Le nobili donne romane la invitano a riflettere. Il
barbaro è talmente infoiato che, se la puttana non accondiscende
261
alle sue voglie almeno per una notte, lui raderà al suolo l’intera
città, violenterà tutte le femmine e scannerà ogni maschio
superstite. La meretrice resiste: “Mi fa piacere che anche voi
finalmente signore proviate per una volta quello che io sono
costretta a provare da quando mi son cresciute le tette!”
Le donne nobili le recitano tutto un panegirico sulla solidarietà
civile, il senso di patria, la difesa della religione, delle istituzioni,
della civiltà, il sacrificio per la salvezza della razza... se la
insaponano tutta di promesse, riconoscenza, gloria e santità tanto
che alla fine la putta onorevole cede. Uscita di scena, le
nobildonne commentano: “È una proprio puttana da quattro
soldi!”.
È chiaro che sketch di questo tono non potevano trovar
accoglimento entusiasta da parte dei censori, specie dopo che i
critici dei giornali moderati avevano battuto il tamburo
dell’indegno pamphlet di satira comunista. Cominciano a fioccare
controlli: dirigenti ministeriali e
censori si rendono conto
all’istante di non essersi accorti alla prima lettura delle insidie
satiriche nascoste nel testo del copione che stoltamente avevano
timbrato col “nulla osta” di rappresentazione.
Da quel momento scatta il carosello dei veti e impedimenti.
L’Ente del Teatro di Stato (l’E.T.I.) che gestisce più di quaranta
teatri in tutta la penisola ci spedisce in piazze famose per essere le
tombe immancabili delle compagnie. Infatti in quei teatri non c’è
quasi mai pubblico pagante. Per fortuna possiamo salvarci con le
piazze dell’Emilia-Romagna gestite dai Comuni di sinistra dove
262
troviamo ospitalità e successo. Anche a Roma, grazie a Paone,
troviamo un teatro, il Quattro Fontane, dove debuttiamo con un
vero e proprio trionfo. Repliche per un mese. Così a Torino,
Napoli, Firenze, eccetera. La tournée dura otto mesi: fatto davvero
eccezionale.
Con Dario le cose si son messe finalmente bene. Viviamo insieme,
salvo in qualche occasione dove litighiamo per via degli spazi
ristretti che trovo nello spettacolo e nella compagnia. Franco
Parenti tende a gestire il tutto da capo comico unico. D’altra parte
Dario non ha ancora acquisito esperienza e autorità tali da
permettergli una resistenza. Per di più, è chiaro che lo stesso
Parenti ha in programma di riformare il gruppo eliminando, per la
prossima stagione, gli elementi che potrebbero contrastare la sua
leadership. Arriviamo così alla fine della tournée. Dario ed io
siamo molto preoccupati per il futuro della compagnia: Parenti, è
chiaro, non può fare a meno dell’apporto e della collaborazione di
Dario, fra l’altro, è lui che scrive la maggior parte del testo e ha le
idee in fatto di satira e grottesco. Per di più è lo scenografo e il
costumista, e con Durano l’attore che ha maggior impatto sul
pubblico. Ma per quanto mi riguarda, temo che sarò fatta fuori.
Franco ha intenzione di disfarsi di sua moglie, sia come attrice che
come compagna. Ma il “ripulirsi” non può funzionare se anche la
donna del suo socio non subisce la stessa sorte. Dario, al
momento di riformar compagnia, discute con forza in merito al
progetto ormai scoperto di Parenti: Durano non farà più parte del
gruppo di testa se non come scritturato, per quanto riguarda le
263
attrici, impone che vengano sostituite in massa. A Dario non resta
che una soluzione: minacciarlo di rompere. Interviene Paolo
Grassi, il direttore del teatro dove si dovrebbe debuttare col nuovo
lavoro. Grassi gli fa capire in un dialogo a due che Franco si è
incaponito duro e, pur di ottenere quel che si è messo in testa, è
disposto a sbattere all’aria il gruppo e costituirne uno nuovo con
altri collaboratori, compresi gli autori dei testi. Dario mi riferisce
della situazione: è molto amareggiato, non sa dove sbattere la
testa. Metto in mostra tutto il mio orgoglio e gli consiglio di
accettare la situazione: “Non si può buttare all’aria una macchina
teatrale di quella forza per l’incoscienza isterica di uno dei soci!”
Il giorno dopo con Dario mi ritrovo seduta in un Caffè, sotto un
bersau nella piazzetta vicino alla casa dove abito.
Lui mi prende una mano, si parla della situazione in corso, poi mi
chiede:
“Vuoi sposarmi?”
Mi si è messa a girare intorno tutta la piazza, come una giostra.
Ho riso, ho pianto.
Poi di colpo mi sono bloccata: “Non è che me lo chiedi per
ripagarmi
della
carognata
d’essere
stata
esclusa
dalla
compagnia?”
E lui risponde: “Non ti permetto assolutamente di pensare una
cosa simile, nemmeno per ischerzo! Io ti sposo perché ti amo,
perché sei la persona migliore che conosca, che stimo, con la
quale penso di poter vivere meglio… che mi fa sentire vivo più del
solito, perché quando ti ascolto, dici cose sagge e spiritose, perchè
264
quando ti racconto io qualcosa delle mie idee, dei miei pensieri,
mi fai sentire intelligente, addirittura geniale… perché mi
piacerebbe metter su commedie con te, spettacoli originali,
spregiudicati, spassosi… fare e allevare figli con te. Il resto non
conta. Penso solo che questo escluderti dalla nostra compagnia sia
solo un’infamia che non porterà di certo bene a chi la mette in
atto!”
La mamma non era tanto contenta che io mi mettessi con un
attore, ma da quando ha cominciato a conoscere Dario aveva
ammorbidito quel suo blocco: “Quello non fa parte della categoria
dei comici!” aveva sentenziato. Ma appena ho accennato con lei il
particolare che non ci saremmo sposati in chiesa soprattutto per le
convinzioni non molto cattoliche, apostoliche, romane di Dario, è
andata su tutte le furie.
“Ci rifacciamo come con tua sorella Pia e tuo fratello Enrico che
hanno voluto ad ogni costo sposarsi in Municipio? E guarda che
razza di unioni ne son venute fuori! Enrico e sua moglie si son
divisi dopo un anno e per quanto riguarda Pia, siamo ormai già
alla pre-schifezza avanzata.”
“Già - le ribatto io - perché con Lina che s’è sposata in chiesa,
con tutti i crismi, invece va a gonfie vele! Non ho mai visto un
aborto di matrimonio di quel livello in vita mia!”
Tre giorni dopo sto passeggiando con Dario nei dintorni di
Sant’Ambrogio, la chiesa romanica più famosa di Milano. Dario
mi chiede di seguirlo nell’interno. Vuol mostrarmi un bassorilievo
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di origine ariana che si trova alla base del pulpito. In quel
bassorilievo ci sono immagini che si rifanno a miti pagani. Stiamo
commentando quelle rappresentazioni a voce bassa per non
disturbare una funzione religiosa in atto, quando alle nostre spalle
sentiamo una voce sostenuta che quasi si inserisce nel nostro
discorso:
“Sì, è proprio un mito di origine greca che si rifà alla primavera.
Pensare che, neanche cinquant’anni, fa qualcuno voleva che lo si
togliesse di lì perché ritenuto blasfemo”.
Ci voltiamo e scorgiamo un religioso che indossa un abito
modesto. Chiacchieriamo un po' e scopriamo che si tratta del
vescovo priore della basilica. Ci presentiamo: “Siamo attori,
recitiamo al Piccolo Teatro”. Ci fa una gran festa, storpia il nome
di Strehel chiamandolo Strelzer e ci invita nella curia a prendere
un caffè.
“Mi piacciono le cose che si rappresentano in quel teatro - ci
confida - ogni tanto ci vengo travestito in borghese. È
straordinario come spesso gli artisti atei sappiano esprimere nelle
loro rappresentazioni una religiosità che noi credenti non
riusciamo manco a immaginare!”
Andando avanti nella conversazione io mi ritrovo a confidargli
della nostra intenzione di sposarci entro un mese circa e lui, il
vescovo, esclama: “Ma vi sposo io! Sarebbe per me una gran
gioia oltre che un onore.”
“L’avverto eminenza che a nostra volta noi siamo leggermente
atei, specie da parte di padre!”
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“Non importa: preferisco una coppia che sappia esprimere
religiosità che dei religiosi senza spirito!”
E così il Vescovo di Sant’Ambrogio ci sposa il 24 giugno 1954
nella più bella basilica del mondo. C’erano tutti i professori di
Brera, molti allievi e qualche professore del Politecnico e la mia
mamma che non smetteva mai di piangere.
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PARTE ELIMINATE O DA RIPRENDERE
Bobbio: i miti d’origine colti e popolare.
A Bobbio nasce il primo monastero cistercense in Italia (VII –
VIII sec.)
Collegato ad altri sette altrettanto famosi monasteri collocati in
tutta Europa francia - spagna – germania –inghilterra.
Dominio culturale e tecnologico (la nuova agricoltura) dei monaci
– papi – principi – imperatori devono trattare in ogni occasione
coi super-priori dei 7 monasteri.
La zona di bobbio broni – stradella è chiamata “dell’oltrepo”
pavese (di qui il famoso vino).
Pavia (sede dell’impero longomrdo) VI – IX secolo è fortemente
legata a bobbio –quasi soggiogata cultutralmente dal monasrtero
dove si preserva la più importante biblioteca del nord italia –
seconda solo a quella di cassino (senza bobbio omolto
probabilmente non avremmo avuto la prestigiosa università di
pavia).
Le più antiche (uniche) commedie profane della nostra cultura
sono scritte dai chierici (studenti) dell’università e della
succursale-studio di bobbio.
Scoperta del proototipo della tragedia di giulietta e romeo ( di
cinque secoli più antico di quello raccontato dal bandello a cui
si è ispirato shakespeare).
268
Sunto rapido elle commedie (in latino) messe in scena dai chierici
dello studio di broni e pavia.
Un giovane di famiglia nobile (di pavia) (o broni) è innamorato di
una ragazza (elisa) figlia del podestà di milano. La famiglia per
regola amministrativa comunale non può seguire il podestà nella
città dove esercita il suo compito.
La ragazza lo stima, sente affetto per lui ma non lo ama. Il giovane
innamorato (marco) presenta a elisa un suo amico studente che
viene da bologna (espulso da quella università per aver capeggiato
un tumulto contro il magnifico rettore.
Qui si articola la Storia dello pseudo “giulietta e romeo”
Elisa s’innamora di “lucio” (il fuoruscito) travolta dal suo
corteggiamento.
I due convincono marco a cedere la sua casa perché possano
amarsi; lui col cuore a pezzi accetta. Travolti dalla passione i due
giovani consumano l’atto carnale. Lui ha dichiarato che non la
lascerà mai. Dalla università di bologna giungono le guardie del
rettore alla ricerca del giovane transfuga – deve subire un
processo .
Lucio è costretto a rimanere nascosto nella casa di marco, anche
elisa resta con lui. I parenti de lei la cercano. Pensano sia stata
rapita, lucio non sopporta più quella situazione da clandestino in
cattività (se pur amorosa). fugge dall’alcova e dalla città: elisa è
disperata; come Didone capisce d’essere stata tradita “il fuggitvo
269
l’ha sedotta e buttata ai rovi”. È sola nella casa. Non ha il
coraggio di presentarsi dai suoi. Manca ormai da sette giorni (un
numero che si ripete). Decide di uccidersi lanciandosi dal
terrazzo, altissimo sul ticino; si butta ma viene ripescata da marco
che stava rientrando. Si getta a sua volta nel fiume per salvarla.
Marco la consola e decide di accollarsi la responsabilità di quella
fuga d’amore. Si prresenta con elisa alla casa del podestà. Le due
famiglie sono nemiche ataviche l’una dell’altra. Il fratello di lei
filippo gli si getta contro per uciderlo e vendicare la vergogna
subita dalla sorella. Interviene un amico di marco che uccide
filippo, un altro giovane della fazione legata al podestà ,uccide
l’assassino del fratello di elisa.
Marco è costrettto a fuggire ma prima sposa di nascosto elisa che
nel frattempo si è innamorata del suo salvatore. Nottetempo torna
in Pavia Lucio. Il transfuga rientra alla casa di marco dove trova
elisa che giustamente lo tratta a calci in faccia. Lui raccontra
storie menzonizre ma di grande effetto. “rischia la forca” per
questo è fuggito. Chiede ospitalità;
pur essendo a conoscenza del fatto che elisa e marco si sono
segretamente sposati. Lui la supplica. Lei è preoccupata per lo
scandalo che ne seguirebbe se Lucio venisse scoperto in quella
casa. Alla fine lei cede, ma non accetta che lui tenti di sedurla una
seconda volta.
Quella stessa notte marco torna per abbracciare se pur per un
attimo la sua sposa. Scopre non visto che lucio tiene di nuovo fra
le sue braccia elisa. Elisa ha saputo che a mantova (oh guarda
270
caso) ove s’è rifugiato il suo sposo è scoppiata la peste. Il
convento dove alloggiava marco è stato dato alle fiamme con
dentro, murati frati e ospiti sospetti d’aver contratto il morbo . di
certo anche marco è finito nel rogo. Alla notizia elisa ssi sente
venir meno, luvcio la raccogliee da terra. La tiene fra le braccia. E
qui, è in quell’istante che marco si trova, ignaro dell’ecquivoco a
scoprire sua moglie fra le braccia di quel bastardo del suo amico.
In verità lui non è mai arrivato a mantova la città era stata chiusa
al sopraggiungere d’ogni foresto.
Marco se ne va, distrutto, convinto che anche elisa sia
consenziente a quella tresca. Ma la macchina della tragedia ormai
va roteando inesorabile. Uscito di scena il giovane sposo che si
sente tradito, entrano in scena alcuni lestofanti inviati dalla fazione
del podestà a punire marco. La notizia che lui stava rientrando nel
suo palazzo è trapelata. I sicari fanno irruzione, scorgono elisa,
ancora svenuta fra le braccia di un uomo che credono marco. Lo
acchiappano e lo immobilizzanno. Lucio cerca di svelar loro
l’equivoco, ma quelli pensano alla solita furbata. Gli riempiono la
bocca di stoppa perché non gridi. La giovane donna rinviene e a
sua volta si trova legata e imbavagliata. Lucio viene castrato
davanti agli occhi più che stravolti di elisa…oh guarda! C’è anche
la tragedia di abelardo ed eloisa (x secolo d.C.). Marco è tornato
sui suoi passi. Vede uscire dalla sua casa i masnadieri con le mani
lorde di sangue che commentano sghignazzando la riuscita
esecuzione della castrazione. Rientra in casa, libera la sua donna
dai lacci e soccorre l’amico sconciato. Evita alla bell’e meglio che
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finisca dissanguato, quindi lo carica su un carro e lo porta
all’ospedale dell’università. Le speranze di salvarlo sono poche.
La voce dell’ultima brutalità nella logica delle vendette fa il giro
rapido della città. Interviene il principe , che in questo caso è
addirittura il re (il mitico rotari longobardo) che raduna tutti i
maggiori della città e ordina di cessare quella faida causa di
continui lutti e gran disordine nella città. (oh, guarda! Proprio lo
stesso finale di giulietta e romeo)
Ma torniamo alle 7 sorelle figlie dell’ingegner baldini. Esse erano
una vera e propria “gloria” della città. Quando uscivano tutte
insieme per lo “struscio” serale,la circolazione dei passeggianti si
bloccava (i vecchi di bobbio che a loro volta hanno raccolt
testimonianze dai loro padri e nonni raccontano storie epiche su
quelle beltà) dell’unico maschio nessuno spreca nessuna parola.
Padre: marionettista (origine) Lombardia-Piemonte
Adele Rosmini In Baldini _ LA NONNA
Vescovo
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