Tesina: La felicità
La felicità vista come benessere e spddisfacimento dei propri bisogni
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1. Storia. Il
benessere dell’Italia
degli anni ’60
1.1 Il boom
economico italiano
1.2 Il settore
agricolo
1.3 Il settore
secondario
1.4
L’industrializzazione
del sud
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1.5 Il terziario
1.6 I fattori della
crescita economica
1.6.1
L’intervento dello
Stato
1.6.2 Le
rimesse degli emigrati
1.6.3 Il
mercato europeo
1.6.4 Il fattore
lavoro
1.7 La politica
padronale
1.8 Gli effetti dello
sviluppo
1.8.1 Caratteri
generali
1.8.2 I costi
dello sviluppo
1.8.3
L’accentuazione dei
dualismi
1.8.4
Urbanizzazione
inconsulta
1.8.5 La
distorsione dei
consumi
1.8.6
Penalizzazione delle
donne sul mercato del
lavoro
1.8.7 Le
diverse velocità della
modernizzazione
2. Filosofia: la felicità
in Schopenhauer e
Nietzsche
2.1 Schopenhauer:
cenni biografici
2.1.1 Il
pensiero dell’autore
2.1.2 Il
pessimismo del
filosofo
2.2 Friedrich
Nietzsche
2.2.1 Biografia
dell’autore
2.2.2 Pensiero
5. Letteratura italiana: la
felicità-utopia
di Giacomo Leopardi
5.1 Cenni biografici
sull’autore
5.2 Il pensiero del filosofo
5.3 La formazione di
Giacomo
5.4 La fase del pessimismo
storico
5.5 La fase del pessimismo
cosmico
5.6 L’ultimo Leopardi: il
pessimismo eroico
6. Letteratura Latina: Seneca e
il de vitae beata
6.1 Biografia dell’autore
6.2 Pensiero e opere
dell’autore
6.3 De vita beata
6.3.1 Definizioni di vita
beata
6.4 L’attacco di Seneca
contro Epicuro
6.5 L’autodifesa di Seneca
7. Letteratura Greca: Sofocle e
la felicità
7.1 Biografia del filosofo
7.2 La tragedia della Grecia
Sofoclea
7.3 La tragedia satiresca
7.4 Caratteri peculiari della
tragedia greca
7.5 Le opere più importanti
dell’autore
7.6 Lo stile
dell’autore
8. Letteratura Inlgese: Oscar
Wilde and “The Happy
prince”
8.1 Biography of the writer
and his major
works
8.2 The Happy Prince
9. Storia dell’arte: la gioia di
vivere espressa dalla cultura
impressionista.
9.1 L’impressionismo
9.2 I principali esponenti
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filosofico dell’autore
3. Diritto: Il diritto
ad essere felici alla
luce della
Costituzione Italiana
3.1 Caratteri
generali
3.2 La tutela dei
diritti inalienabili
3.3 Le libertà
liberali fondamentali
3.4 L’articolo 2
della Costituzione
italiana
4. Economia: il
soddisfacimento dei
bisogni umani come
fine cui tende il
governo dell’azienda
4.1 L'attività
economica
4.2 I fattori
ambientali che
influiscono sull'attività
economica
4.3 La produzione
e i fattori della
produzione
4.3.1 I fattori
della produzione
4.3.2 Il
Capitale e
l'organizzazione
dell’azienda
4.3.3 Gli
elementi dell'azienda
4.3.4 Il
sistema aziendale e
l'ambiente esterno
4.3.5
L'azienda visto come
un sistema aperto e
dinamico
4.4 L'imprenditore
e i suoi collaboratori
4.4.1
L’imprenditore
4.4.2 Il ciclo
di vita dell'azienda
del movimento artistico
9.3 La tecnica pittorica del
puntinismo
10. Pedagogia: la formula della
felicità
10.1 La formula della
felicità: una premessa
10.2 Le differenze assolute
e relative
10.2.1 Un espediente
per far ridere
10.2.2 Il miliardario e
lo studente
10.3 Alexander Neill
10.3.1 Vita dell’autore
10.3.2 Il Pensiero
pedagogico di Neill
10.3.3 Fondamenti
teorici del pensiero di Neill
10.3.4 “I ragazzi felici
di Summerhill”
11. Biologia: L’ormone della
felicità
11.1 Il sistema endocrino
11.2 L’ipotalamo e l’ipofisi
11.3 Le ghiandole
surrenali
11.4 Gli ormoni della
felicità
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1. Storia. Il benessere dell’Italia degli anni ’60
1.1 Il boom economico italiano
Nel periodo compreso fra la seconda parte degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, l’Italia è attraversata
da un immenso cambiamento del tessuto economico e produttivo, tanto che da paese in prevalenza agricolo
nel giro di un brevissimo periodo essa si affermerà come potenza industriale a livello globale. Se importanti
sintomi di un processo di sviluppo economico si erano manifestati con una certa evidenza già nella prima
metà del decennio, un singolare aumento della velocità, espansione e intensificazione di tale processo
caratterizzeranno invece il periodo compreso fra la seconda metà del decennio e i primi anni Sessanta.
Il periodo di massima espansione dell’economia
italiana e al contempo di vero e proprio
cambiamento del suo tessuto produttivo sarà
tuttavia concentrato in un periodo ancora più
breve, ossia nel quinquennio 1958/63, gli anni
del così chiamato “boom” economico. Se si
pensa inoltre ancora nel 1951, l’Italia era un
paese in prevalenza agricolo, si può a ragione
sostenere che sul terminare dello stesso
decennio in Italia si compì una specie di
“seconda rivoluzione industriale”, dal momento
che fu solo a prendere il via da quel periodo che
in Italia si affermò il predominio dell’industria
come settore trainante l’intero sistema
economico. Alla luce di queste prime note iniziali
risulta utile considerare oggi le tendenze di
progresso dei singoli settori dell'industria.
1.2 Il settore agricolo
Il settore primario fu per certi versi la vittima sacrificale del grande cambiamento economica in atto. Dalla
metà degli anni Cinquanta la campagna subì un graduale quanto massiccio processo di spopolamento,
fungendo da fondamentale fornitore di manodopera a basso costo per l’industria in espansione. La “fuga
dalla campagna” non derivava automaticamente dall’accrescimento della domanda di manodopera
nell’industria, ma dall’incapacità del settore primario di modernizzarsi e di integrarsi nel mercato
internazionale. Gli effetti sortiti dalla riforma agraria si erano, infatti, rivelati insufficienti all’affermazione di
competitive aziende agrarie, di medie estensioni con la conseguenza che il tessuto agricolo italiano aveva
continuato a mantenere una struttura fortemente polarizzata tra poche, grandi aziende capitalistiche e
numerosi piccoli proprietari terrieri capaci di generare solo per l’autosostentamento.
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Principalmente nel Mezzogiorno, a una grande proprietà poco interessata al progresso dell’agricoltura
continuava a fare riscontro una piccola proprietà poco fruttuosa, che non era in grado di assicurare livelli di
reddito adeguati alle famiglie degli agricoltori. Le prospettive di crescita e cambiamento favorevole delle
condizioni di vita offerte dal lavoro nel settore dell’agricoltura sembravano in breve ridursi drasticamente.
Alcune trasformazioni rilevanti si registrarono
piuttosto nel centro-nord del paese, dove già
esisteva una tradizione d’imprese capitalistiche
di medie e grandi dimensioni – organizzate nella
forma di aziende private, cooperative o consortili
– che agevolò fortemente l’adattamento
dell’agricoltura ai principi del mercato.
Meccanizzazione (utilizzo crescente di macchine
e motori) e tecnologia (concimi, antiparassitari)
furono impiegati con grande successo per
l’accrescimento della produttività delle
coltivazioni, sortendo effetti considerevoli altresì
per il progresso dell’industria alimentare. Tale
fenomeno riguardò tuttavia un numero molto
contenuto di regioni fra cui la Lombardia e
l’Emilia Romagna in primo luogo. Esso non
contrastava tuttavia con le tendenze
all’abbandono della campagna, dal momento
che la robotizzazione dell’agricoltura provocò
certamente una graduale diminuzione del fattore
lavoro.
1.3 Il settore secondario
Le maggiori propensioni di sviluppo concernente il settore dell'industria nella seconda metà degli anni
Cinquanta si possono ricondurre a tre aspetti:
La ripartizione territoriale: Se il primo periodo dell’industrializzazione italiana alla fine del XIX sec. aveva
riguardato unicamente quello che è stato definito il “triangolo industriale” – Lombardia, Piemonte e Liguria –
la “seconda rivoluzione industriale” italiana finì per trascinare, seppur in misura molto diversa, l’intero
territorio nazionale. Le regioni di più antico sviluppo di industrie si modificarono in una sorta di epicentro di un
moto di progresso industriale che si diffuse in un primo tempo nelle regioni confinanti – Emilia Romagna,
Veneto, Friuli – per poi proseguire, in una secondo momento, ad estendersi verso sud sino ad interessare
alcune zone del meridione. Paradigmatico di tali tendenze di sviluppo fu di sicuro il caso della Fiat: nel 1953
la direzione aziendale compì un gigantesco investimento con la realizzazione dello stabilimento di Mirafiori,
dove un’esemplare catena di montaggio comincerà la produzione in grande scala della Seicento, la prima
vera utilitaria italiana.
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L’espansione del settore automobilistico comincerà di conseguenza a trascinare un indotto sempre più
ampio, composto di un numero calante di imprese chiaramente interessate dalla produzione di automobili.
Nel nord-est cominciò a svilupparsi un tessuto di piccole e medie fabbriche, nella maggior parte dei casi a
conduzione familiare o progettate intorno ad un sistema di lavoro a domicilio spesso in nero. In Emilia
Romagna, la parziale riuscita industrializzazione dell’agricoltura incoraggiò in misura rilevante lo sviluppo di
un’industria meccanica di piccole e medie dimensioni specializzate nella realizzazione di macchinari, motori e
strumenti indirizzati all’impiego agricolo.
b) La differenziazione della
produzione: Oltre all’espansione di
settori già piuttosto consolidati nel
tessuto economico italiano una novità
degli anni del “miracolo” fu
rappresentata dall’affermarsi di nuovi
e competitivi settori, tra cui in
particolare quello dell’industria
leggera, specializzata nella
fabbricazione di elettrodomestici. Da
segnalare altresì il grande boom
della fabbricazione di macchine da
scrivere, un settore che grazie
principalmente alle particolari
capacità della Olivetti di Ivrea si
affermerà velocemente nel mercato
internazionale. Pure la produzione di
materie plastiche, apertamente
connessa con lo sviluppo
dell’industria chimica, subì un
incremento davvero esponenziale.
L’industria italiana cominciava
pertanto a ostentare una gamma di
marchi e prodotti sempre più ampi. In
alcune circostanze riuscì inoltre e con
esito positivo l’industrializzazione di
antiche inclinazioni artigianali, ossia il
passaggio di settori dell’artigianato
alla produzione su grande scala.
c) Una più cosciente concezione dell’attività produttiva: in concomitanza, con lo sviluppo, l’espansione,
l’intensificazione e la diversificazione della produzione, in tale periodo cominciano a cambiare anche
l’organizzazione materiale dei processi produttivi così come la così chiamata cultura imprenditoriale. Da
piccole strutture a gestione familiare e fondate su pochi e spesso ancora grezzi macchinari – questo era
innanzitutto il caso delle aziende fabbricanti di elettrodomestici nel nord-est d’Italia alla fine degli anni
Quaranta – l’apertura e l’espansione dei mercati stimolarono nella nuova classe imprenditoriale in formazione
la ricerca di più efficaci sistemi di gestione e pianificazione della produzione.
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1.4 L’industrializzazione del sud
Il sud fu attratto dallo sviluppo economico solo in un secondo periodo e in misura molto minore rispetto ai
tassi di crescita del nord. Come si è già riferito a proposito del disegno politico sotteso alla Cassa per il
Mezzogiorno, l’industrializzazione del sud non era, in effetti, rientrato fra i fini della politica economica dei
primi anni Cinquanta. Questo obiettivo cominciò tuttavia ad essere perseguito in modo più mirato nella
seconda metà del decennio.
Nel 1957 il governo approvò un
decreto che impegnava il settore
pubblico raccolto nell’IRI a
compiere se non altro il 40% dei
propri impieghi totali nel
Mezzogiorno, mentre nel
quinquennio 1961/65 la Cassa per
il Mezzogiorno stanziava per la
prima volta enormi somme rivolte
esplicitamente allo sviluppo
dell’industria nel sud.
Il paesaggio industriale
meridionale subirà in questo modo
incisivi cambiamenti grazie agli
investimenti pubblici della Finsider
a Taranto e Bagnoli, dell’Anic –
una ausiliaria dell’Eni – a Gela
(Sicilia), dell’Alfa Romeo a
Pomigliano d’Arco (Napoli), come
inoltre agli investimenti personali
dell’industria petrolchimica Sir in
Sardegna (a Porto Torres e
Cagliari), della Olivetti a
Pozzuoli, della Fiat a Poggioreale,
(Sicilia), o ancora della Montecatini
a Brindisi. Obiettivo fondamentale
di questi “poli di sviluppo” era
quello di stimolare l’economia del
sud e assicurare occupazione alla
massa in aumento di lavoratori
agricoli sottoccupati.
Nonostante tutto il progetto in sostanza fallì. La capacità di assorbimento di lavoratori da parte di tali grandi
imprese si rivelò del tutto poco rispetto agli altissimi livelli dell’offerta del mercato del lavoro meridionale. La
produzione della maggior parte di tali lavori era per di più destinata prevalentemente alle industrie del nord,
in questo modo da non riuscire ad esercitare nessuno stimolo sul progresso di un tessuto di medie imprese
locali. Se si considera per di più che l’erogazione del denaro pubblico non avvenne secondo duri criteri di
efficienza e razionalità, risulta facile includere le ragioni per cui, sebbene gli importanti cambiamenti cui si è
accennato e l’innalzamento, nel decennio 1951/61, del tasso locale di sviluppo all’ammirevole livello del
5,7%, l’industrializzazione del sud non fu capace di prendere il volo con successo.
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1.5 Il terziario
Seppur ancora decisamente agli albori rispetto al progresso che registrerà nei decenni seguenti, pure il
settore dei servizi risentì positivamente dell’ aumento economico in corso. Un impulso degno di nota venne
di sicuro dalla crescita degli enti pubblici ed in particolare dell’industria nazionale, la gestione e
organizzazione della quale interpellava un enorme apparato amministrativo e burocratico.
Nel settore privato cominciarono per di più ad
emergere gli effetti della crescente
professionalizzazione gestionale delle imprese.
Principalmente le aziende di medie e grandi
dimensioni cominciarono ad avvertire in misura
crescente l’occorrenza di più articolato settore
amministrativo predisposto secondo funzioni e
competenze differenti. Accanto alla domanda di
addetti alla gestione contabile delle aziende,
andava in questo modo accrescendo la richiesta
di personale sempre più qualificato in settori per
certi versi del tutto “nuovi”, come le pubbliche
relazioni, la campagna pubblicitaria o le
comunicazioni di massa. Nelle industrie più
dinamiche di quegli anni – la meccanica, la
chimica e l’automobilistica – guadagnò un ruolo
di grande rilievo la figura del tecnico (impiegato
di primo grado) con abilità specifiche e sempre
più specializzate a seconda delle esigenze
aziendali. All’incremento quantitativo del ceto
impiegatizio non corrispose però un incremento
di riconoscimento o prestigio sociale della figura
dell’impiegato.
Il principio della divisione del lavoro non concerneva, infatti, solo gli operai addetti alla catena di montaggio,
ma altresì l’organizzazione gestionale delle imprese, in questo modo che le tra le classi meno qualificate
degli impiegati non erano singolari sentimenti di difficoltà e alienazione rispetto al proprio lavoro.
Dei sentimenti conflittuali che inquietavano la classe impiegatizia nell’Italia del boom, ci hanno lasciato
dichiarazioni di valore alcune attività artistiche e letterarie particolarmente riuscite. Mentre il film di Ermanno
Olmi, Il posto (1961) rendeva conto di quanta avara potesse essere la vita di un impiegato, il romanzo di
Goffredo Parise, Il padrone (1965) rivelava i più assurdi sviluppi psicologici cui poteva incorrere un ingenuo e
accondiscendente giovane di provincia alla sua prima esperienza come impiegato in un’invitante “azienda
commerciale”.
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1.6 I fattori della crescita economica
Per spiegare quali furono e come incisero i fattori della crescita economica è opportuno distinguere tra due
diverse fasi dello sviluppo scandite dall’evento-cesura dell’adesione dell’Italia alla Cee nel 1957. La prima
fase, quella che va pertanto dall’inizio degli anni Cinquanta al 1957 è stata una fase definita “preparatoria”,
nel corso della quale si sono consolidate le basi dello sviluppo successivo. In questo primo periodo la
crescita economica dell’Italia fu principalmente favorita dall’integrazione del paese nell’area di influenza
statunitense; ciò che aveva comportato l’adesione al sistema monetario internazionale di Bretton Woods, la
possibilità di accedere alle risorse erogate dal Fondo monetario internazionale, oltre che la concessione di
generosi finanziamenti e sapere tecnico (il cosiddetto know-how) erogati nel quadro del piano Marshall.
1.6.1 L’intervento dello Stato
Al ruolo favorevole esercitato da tali
fattori, che potremmo definire
“esogeni” al contesto italiano,
l’innesco del processo di sviluppo
economico fu favorito anche dalla
concomitanza di alcuni fattori più
specificamente endogeni, più
attinenti cioè alla particolare struttura
economica dell’Italia. Tra questi
vanno segnalati in primo luogo
l’intervento dello Stato, importante fu
soprattutto per l’opera di promozione
delle materie prime necessaria alla
produzione industriale. In seguito alla
creazione della Finmeccanica –
voluta da Oscar Sinigaglia, un
manager pubblico a cui si dovette il
piano di ristrutturazione dell’intero
settore siderurgico – l’acciaio italiano
riuscì ad attestarsi su prezzi
estremamente competitivi così da
poter stimolarne una crescente
richiesta da parte dell’industria
meccanica privata.
Analogo fu il tipo di intervento perseguito da altri due “bracci” dell’IRI, come la Finelettrica e la Fincantieri.
Analogo fu anche l’effetto sortito dalla creazione dell’Eni e la messa a disposizione di combustibili competitivi
all’industria privata italiana. Tramite questo sistema di imprese statali concentrato nei settori cruciali della
siderurgia, della cantieristica, delle fibre tessili, della telefonia e dell’energia, lo Stato riuscì insomma a
giocare un ruolo decisivo nel nuovo ciclo di espansione apertosi alla fine degli anni quaranta, garantendo alle
imprese private prodotti di base – acciaio, carburanti, elettricità – a basso costo, che potenziarono le capacità
competitive del sistema industriale italiano sui mercati internazionali, senza sovrapporsi al pieno dispiegarsi
dell’iniziativa privata.
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1.6.2 Le rimesse degli emigrati
Un’importante fonte di risorse era per di più istituita, in tale fase in cui l’Italia era ancora un paese che
doveva fare i conti con vaste sacche di povertà e sottosviluppo, dalle rimesse degli emigrati.
E’ importante, difatti, ricordare che in tale periodo l’Italia era ancora un paese di forte espatrio – verso gli
Stati Uniti sin dagli anni Venti e Trenta, e in misura crescente verso la Svizzera, il Belgio, la Francia e la
Germania nei primi anni del secondo periodo postbellico, dal momento che in tali paesi i salari erano
considerevolmente più elevati che in Italia.
Ancora nei primi anni Cinquanta
l’emigrazione aiutò il drenaggio di
economie e capitali verso l’Italia,
spingendo in questo modo la
domanda interna, quello che nella
prima metà del decennio si
rispecchiò principalmente nel
dinamismo dei settori dell’edilizia
(la situazione abitativa di milioni di
individui era in quel periodo
ancora assai precaria) e
dell’industria alimentare.
1.6.3 Il mercato europeo
Il 1957, si è detto, rappresenta una
cesura rilevante per il progresso
dell’economia italiana,
inaugurando la seconda fase di
questo processo, quella della sua
massima espansione. In seguito
alla costituzione della CEE l’Italia
riuscì, difatti, ad inserirsi
completamente e per sempre
all’interno della rete degli scambi
internazionali con effetti
fortemente percettibili già
nell’istantaneo.
L’impatto dell’adesione alla Cee provocherà inoltre rilevanti cambiamenti rispetto ai settori di sostegno
dell’economia, dal momento che l’abbattimento dei dazi doganali spinse enormemente la produzione rivolta
all’esportazione, una produzione posizionata vale a dire a paesi ricchi e pertanto alla domanda di beni di
consumo privato e inutile. All’interno Della produzione industriale tale nuovi orizzonti del mercato si
tradussero nello progresso rapida e vastissima del settore dell’industria leggera. La generazione di
elettrodomestici fu paradigmatica di tale tendenza: se ancora all’inizio del decennio si trattava di un settore
totalmente marginale e fondamentalmente arretrato, alla fine dello stesso decennio gli elettrodomestici
italiani – Candy, Zoppas, Ignis e Zanussi per riferire le marche più note – trovarono foci sempre più grandi
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