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Pubblicato il 06 Marzo 2017
L'opera simbolo della riforma di Christoph Willibald Gluck per la prima volta a Ferrara
Alceste molto bella
servizio di Athos Tromboni
FERRARA - Sono passati 250 anni da quando l' Alceste di Christoph Willibald Gluck andò in scena a
Vienna nella sua prima esecuzione assoluta. E due secoli e mezzo dopo, proprio quella famosa opera
del compositore tedesco su libretto dell'italiano Ranieri De' Calzabigi, è andata in scena per la prima
volta anche nel Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, domenica 5 marzo 2017, a turni
d'abbonamento unificati in un'unica recita. Così il teatro era gremito in ogni ordine di posti, per
assistere all'opera-simbolo della riforma gluckiana.
Ben più nota (e anche più godibile, tutto sommato) è la versione francese che Gluck approntò per
Parigi nel 1776, ma si deve riconoscere alla versione italiana di Vienna un maggior equilibrio formale
e una drammaturgia più ispirata alle simmetrie proprie della prassi d'epoca. Christoph Willibald Gluck
ha un ruolo fondamentale nel processo di semplificazione dell’opera seria, che nel Settecento vive un periodo di progressivo
declino; il manifesto della sua riforma, insieme al più celebre Orfeo ed Euridice , è proprio Alceste, in cui il compositore
tedesco rielabora l'intensa e struggente vicenda narrata da Euripide: il Re Admeto sta morendo, e la moglie Alceste propone
al dio Apollo di scambiare la propria vita con quella dell’amato. Alceste allora muore, Admeto piange disperato e Apollo,
impietosito da tanta devozione e da cotanto amore, permette alla defunta di ritornare nel mondo dei vivi. E vissero felici e
contenti.
Alceste è stata proposta nella mise-en-éspace del regista
Marco Bellussi, già apprezzato a Ferrara per l'edizione
2015 di Orfeo di Monteverdi; il progetto scenico dell'opera
gluckiana è stato realizzato con la collaborazione di Matteo
Paoletti Franzato e Riccardo Adamo e i costumi molto
belli di Carlos Tieppo.
Ecco, partiamo da qui: Bellussi ha agito proprio sulle
simmetrie, disponendo il coro (che in Alceste ha un ruolo
preponderante in quanto a presenza scenica) ai lati del
palcoscenico, oppure in platea nelle due corsie laterali,
mentre l'azione dei protagonisti si svolge prevalentemente
al centro, su di un praticabile a gradoni che può significare
il censo che distingue le persone altolocate e nobili, dal
popolo.
Il regista adopera anche i mimi, oltre un ballerino e una
ballerina, per quella cosiddetta mise-en-éspace che è
artifizio teatrale votato al risparmio: non un allestimento
vero e proprio, dunque, quanto piuttosto una cantata in
costume. Però in questa circostanza la parte visiva è
arricchita da retroproiezioni sul fondale... sono immagini
stilizzate per significare strali e punte acuminate
convergenti sulla figura o sulle figure di alto censo, alberi e
macerie, sole che sorge e sole che tramonta. Scene e
scenografia è come se ci fossero davvero, il pubblico
trattiene il fiato davanti alle immagini che si aprono scena
dopo scena. E lo spettacolo vive di una bellezza essenziale
ma palpabile, astratta ma coinvolgente, raffinata ma
sostanzialmente molto molto popolare. E se Gluck con la
sua estetica musicale ha nobilitato la poesia di Ranieri De'
Calzabigi (questa era l'intenzione programmatica, passata
alla storia come una riforma), Bellussi con la sua
sensibilità di regista moderno, ben consapevole del valore
non effimero della tradizione, ha senz'altro nobilitato l' Alceste di Gluck.
Altra sorpresa rivelatasi splendida è stata l'esecuzione del direttore-filologo Nicola Valentini a capo del suo Dolce Concento
Ensemble. Il giovane artista aveva già diretto a Ferrara: musica barocca e classica, anche vocale, ma mai l'opera; molto
positivo il risultato ottenuto da Valentini, a comprova di un'intelligenza musicale che è di buon auspicio per una carriera ad alti
livelli. Certo, si sentiva il magistero di Ottavio Dantone, di cui Valentini è allievo, nella scelta dei tempi e soprattutto dei volumi,
ora consistenti e rinforzanti, ora tenui e smorzanti; così come nella scelta di pause di silenzio magiche fra una scena e l'altra,
solo manciate di secondi completamente bianchi di musica, per consentire alla parte visuale di mostrare assiemi di candida
bellezza classica, raffaelliana anziché michelangiolesca. Ciò ha contribuito al felice esito dell' Alceste in terra ferrarese.
Protagonista assoluta è stata ovviamente il soprano turco Asude Karayavuz nel ruolo eponimo, ma tutti i cantanti, i mimi e i
ballerini, si sono mostrati all'altezza di uno spettacolo veramente bello e ben congegnato: ottimo il tenore Leonardo
Cortellazzi (Admeto), e bravi Mark Sala (Evandro), Veronica Filippi (Ismene), Luca Tumino (nel pluriruolo di Gran sacerdote ,
Apollo e Oracolo), Marco Simonelli (pluriruolo anche per lui: Un b anditore e Un nume infernale ).
I mimi erano Enrico Caro e Agnese Perri. Le comparse erano Parisi Krescsirikova e Caterina Grillo. Le coreografie sono
state ideate da Elisabetta Galli, i sopratitoli (che hanno contribuito indispensabilmente alla comprensione della trama
dell'opera per i neofiti della musica di Gluck) erano curati da Marcello Azzi. Il coro Accademia dello Spirito Santo era istruito
da Francesco Pinamonti.
Produzione esclusiva del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara. Meritevole di essere portata altrove e non di esaurirsi
nell'unica recita del 5 marzo 2017 (parole di alcune eleganti signore del pubblico a fine spettacolo, dette con calore e
convinzione).
Crediti fotografici: Marco Caselli Nirmal per il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara
Nella miniatura in alto: il direttore Nicola Valentini
Al centro: Leonardo Cortellazzi (Admeto) e Asude Karayavuz (Alceste)
Sotto: un'istantanea di Marco Caselli Nirmal sulla mise-en-éspace di Bellussi
In fondo: il Dolce Concento Ensemble diretto da Valentini (foto di repertorio)
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