necessari a mettere in evidenza i rapporti conflittuali delle periferie lin

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Dante Blagho
necessari a mettere in evidenza i rapporti conflittuali delle periferie linguistiche, letterarie e antropologiche dell'Italia plurale con il canone nazionale così come le periferie regionali del Galles e della Scozia verso
l'inglese della Gran Bretagna, della Catalogna e della Galizia verso la
Spagna, della Bretagna e della Corsica rispetto alla Francia e perché permettono il superamento della cesura tra cultura alta e cultura bassa. In secondo luogo, gli Studi Culturali potrebbero affrontare criticamente lo
studio della letteratura italiana quando è stata vista con la categoria di
"maggiore"/"minore" e scavando così un fossato tra "alta" e "bassa"
produzione letteraria come maniera gerarchizzante e discriminante tra
buona e cattiva letteratura al servizio di disegni storicamente elitari ed
ideologici. Allo stesso modo si devono prendere in considerazione gli
studi dell'italianista americano Nelson Moe che, sulla scia della critica
di Edward Said all'orientalismo inventato dalla cultura anglofrancese nei
secoli Settecento e Ottocento per meglio colonizzare l'Africa e l'Asia,
mette in evidenza l'invenzione tutta ideologica del "Sud" italiano inteso
come "orientale", cioè africano, per meglio annettere le province napoletane, compreso il Salento, al Piemonte: anche qui si tratta di "alta" e
"bassa" Italia!
Gli Studi Culturali Regionali Salentini porteranno al programma di
Cultura Regionale Salentina la critica necessaria a situarla storicamente
e geograficamente nell'ambito della storia della cultura italiana, a darle
un respiro nazionale nuovo perché, dopo aver decostruito il rapporto periferico e subalterno delle varie regionalità rispetto al centro egemonico
della "nation building", si potrà scrivere una nuova letteratura italiana
come sintesi aposteriori e dal basso delle varie culture regionali. Nel corso del tempo studiosi hanno pur pensato di scrivere una storia della letteratura italiana basata sulle culture regionali ma poi rinunciavano per le
difficoltà di padroneggiare i vari dialetti e per necessità della carriera che
era legata alla cattedra di italianistica. Sono state scritte tante e varie letterature italiane a cui si è aggiunta talvolta una seconda collezione di letterature regionali ma il risultato generale non cambia: nazionale e regionale procedono sempre su strade parallele. Il motivo è sempre lo stesso:
le culture regionali sono piccole ancelle della grande cultura nazionale
che è sempre più estesa ed enciclopedica ma è sempre meno aderente alla realtà empirica ed esperenziale dell'Italia quotidiana e creativa piuttosto simile a un mosaico fatto di tessere colorate regionali.
Il Salento pluriculturale è una di queste tessere. Ma di quante tessere
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Il Salento come identità culturale
è composto il mosaico linguistico - letterario - antropologico dell'Italia
come Stato - pluriculturale? Qui la risposta si fa difficile e non perché
non ce ne sia ma perché travalica enormemente le nostre capacità intellettuali limitate finora a indicare le linee generali della subregione culturale Salento. La geografia culturale, con l'ausilio di linguisti, letterati ed
antropologi, potrebbe individuare, dopo adeguate ricerche, il numero,
impossibile a predeterminarsi perché di molto superiore alle attuali venti regioni amministrative e a causa della presenza delle numerose lingue
minoritarie intrecciantesi con i dialetti. Senza cadere tuttavia nel pessimismo autolesionista sempre in agguato per mancanza di ricerche già effettuate e per restare al tema del Salento, possiamo dire che si può iniziare a sperimentare il programma qui allegato tenendo conto che esisteva, almeno per l'anno 2003 di nostra osservazione del fenomeno, una disciplina presso l'Università di Lecce denominata "Storia della Cultura
Nord Americana" nel cui programma affisso all'Albo Pubblico si poteva leggere che il fine dell'insegnamento di tale materia è la conoscenza
della "via americana" attraverso lo studio di autori e opere letterarie proprie di questo paese. Mi sembra che tale programma, a parte l'impostazione storica della disciplina come di consueto nelle facoltà umanistiche
italiane, risponda alle stesse esigenze della Cultura Regionale Salentina
intesa come "way of life" originale e si prefigga gli stessi lini: non guasterebbe dunque usare le stesse lenti progressive per guardare le due culture, l'una lontana e l'altra vicina, anzi situata sotto il nostro naso ma entrambe egualmente importanti per gli studenti salentini, sia per coloro che
guardano alla cultura in un'ottica ipermoderna, cioè finalizzata all'efficienza economica, sia per coloro che guardano alla cultura in un'ottica
postmoderna, cioè finalizzata alla costruzione dell'identità soggettiva.
Rimane da dire un'ultima cosa. Gli scritti dei Cultura! Studies anglosassoni sono generalmente molto soggettivi e la soggettività dell'argomentare si confonde con il tenia stesso. La scrittura saggistica italiana
nettamente differente e tende piuttosto a una scrittura distaccata. Sento
dunque un po' di imbara/io ma, superata la reticenta, non nasconder(► le
mie mtentioni che sono di colmare una lacuna intellettuale e trattativa
carente nei miei lontani studi primari. secondari e universitari. Diro ancora che, da sale nti no e cosmopolita, esercito un'aUtocensura su alcune
parole come identita. comUnita e trade/I o ne che 11S0 solamente come vocabolario usato da altri come per esempio dai Cultural smd ies ma c h e
non sento come mio. ()o non toglie che senta molta
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per il
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saggio "L'analisi della cultura" di Raymond Williams, che tanto ha ispirato questa ricerca e sogni di scrivere sull'esempio dell'altro suo libro
"Cultura e Rivoluzione Industriale. Inghilterra 1780 - 1950" un saggio
sul Salento degli anni 1962 - 1974 visto come un periodo di "comparenza" (il vocabolo "comparenza" è di origine aragonese e significa "apparenza" ed "evidenza"), ossia di presenza significativa sulla scena culturale grazie all'introduzione della scuola media obbligatoria e dell'Università, all'emigrazione e al referendum sul divorzio. Il mio atteggiamento tuttavia verso la cultura salentina è di glossofilìa, cioè di simpatia per
le lingue proprie del luogo natale Salento, nata, a dire il vero, molto tempo dopo la simpatia per la lingua francese, spagnola e inglese che conosco e amo tanto quanto l'italiano, il dialetto e il grico, senza contraddizioni né gerarchie. Come dire: questa o quella per me pari sono e in ogni
caso il programma di Cultura Regionale Salentina non è un contributo all'identità salentina ma piuttosto un contributo alla sua distinzione.
3. La diversità
La distinzione salentina attuale è il precipitato storico del processo di
unificazione linguistica durato un secolo e mezzo circa. Per usare un linguaggio ciclistico, al traguardo di tappa dell'anno 2004 la lingua che nel
1861 era in coda nella classifica delle lingue parlate nel Salento, cioè la
lingua italiana, è ora al primo posto, seguita dal dialetto parlato in condominio con l'italiano da più del 50% dei salentini, e che lascia all'ultimo posto, in zona minacciata di retrocessione perpetua, la lingua grica.
Lo sconvolgimento sociale e culturale del Salento, come delle altre regioni culturali d'Italia, è stato poderoso e profondo anche perché associato e in contemporanea con il processo di modernizzazione economica occidentale che ha portato alla Grande Trasformazione del vecchio assetto agricolo in società oggi postindustriale. La Terra d'Otranto non esiste più e la penisola salentina è solo una terra geografica, divisa tra tre
province facenti parte di una regione ammininistrativa, la Puglia, dalla
quale noi la astraiamo per considerarla, come subregione o regione culturale "centro del mondo" da proiettare, liberandola della sua subordinazione ideologica allo Stato-nazione, nell'arena della globalizzazione coscienti che, anziché subirla, occorrerà fronteggiarla, cercando il sostegno
delle organizzazioni internazionali di salvaguardia delle lingue, dell' am241
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Il Salento come identità culturale
biente e della pace, avendo come obbiettivo, come è previsto dalla Carta dei diritti dell'uomo, la comparenza esistenziale del Salento sulla scena internazionale. A questo fine risponde, per la sua piccola parte, il programma di Cultura Regionale Salentina.
Come fare? Di fronte al mare magnum dell'impero dei media, dell'egemonia della lingua inglese e del rischio di omogeneizzazione dei consumi culturali e di fronte alle esigenze di sopravvivenza delle mille piccole culture del mondo come il Salento, è possibile indicare una strada,
che per noi è quella di coltivare la diversità culturale salentina. I ragionamenti che seguiranno sono destinati a sviluppare questo tema.
Il primo ragionamento è convincersi che la diversità culturale è una
cosa buona per l'umanità in quanto "monumento alla creatività" come
dice l'antropologo svedese Ulf Hannerz che elenca sette buoni motivi
per apprezzarne il valore tra i quali: il diritto alla propria cultura come
patrimonio identitario e identità culturale da trasformare in dovere ove ci
sia il consenso; la differenza culturale è benefica nell'adattamento dell'umanità alle sempre più limitate risorse ambientali; serve a resistere ai
rapporti di dipendenza economica e culturale delle periferie dai centri
che tendono a far loro il lavaggio del cervello; si può godere esteticamente delle esperienze delle altre culture da confrontare con la propria
sia a livello individuale che di gruppo diasporico. Da queste considerazioni espresse in forma esemplarmente comunicativa da Ulf Hannerz e
che ritroviamo poi in documenti più solenni come la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale del 2001 da parte dell'Unesco o nei programmi politici dell'Unione Europea riguardanti l'unità nella diversità è
possibile trarre conforto e coraggio per immaginare un cammino praticabile della Cultura Regionale Salentinall Forum Universale delle Culture svoltosi a Barcellona durante tutta l'estate del 2004 ha mostrato la
ricchezza e visibilità delle diversità culturali del mondo, che, unite al tema dello sviluppo sostenibile e della pace, hanno dato l'idea di un progetto di convivenza possibile tra le tante culture dell'ecumene globale,
di cui il Salento è parte con il suo contributo di lingue e esperienze creative
secondo ragionamento è convincersi che la glohalizzazione in atto e sempre più irreversibile non porterà alla mcdonaldizzaiione, binladizzazione o inglesizzazione del mondo o alla estinzione delle diversità culturali ma farà emergere ancor più le differenze. E' necessario a
questo punto chiedere l'aiuto del sociologo catalano Manuel Castells,
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considerato uno dei massimi studiosi mondiali della società dell'informazione e di Internet. Dei suoi voluminosi scritti noi prenderemo in
considerazione il volume che parla di globalizzazione e potere delle
identità.
Il mondo attraversa una fase di nuova rivoluzione industriale dovuta
all'economia informazionale in cui il fattore più importante di crescita
del profitto è l'applicazione della conoscenza sia nei processi di gestione, produzione e distribuzione sia nei prodotti stessi. Ciò ha come conseguenza il fatto che lo sviluppo economico territoriale deve basarsi su
politiche di comunicazione, informazionalizzazione e capitale umano.
La globalizzazione dei mercati è l'effetto ormai vistoso e visibile nel panorama mondiale di questa economia basata dunque sui flussi finanziari,di tecnologia, di creazione di immagine, di informazione. Nasce così
la nuova società dei flussi che hanno il grande potere di includere o
escludere settori di società, di territori, di paesi a seconda dei propri piani e interessi espansivi. Accanto ed in opposizione a questi flussi persiste e si fa scena un'altra società che si oppone all'esclusione di chi esclude: è la società delle identità imperterrite che si organizzano attorno ai
flussi di significato e di esperienza;
Manuel Castells individua e analizza tre tipi di identità: l'identità legittimante, l'identità resistenziale' e l'identità progettuale. Con questo
schema l'autore ci fa fare un giro appassionante del mondo, grosso di
quattrocento pagine quanto è il suo libro che ne parla, trasportandoci dai
paesi ex-sovietici alla Cina e al Giappone, dalla Silycon Valley della California all'Italia e alla Catalogna, dai movimenti femministi e ambientalisti internazionali ai movimenti localisti che hanno per slogan "No
dietro casa mia!", .dal Chiapas del subcomandante Marcos al cantante
Sting, al vecchio intellettuale dissidente Sakharov, all'attrice Brigitte
Bardot da lui considerati come dei profeti simbolici di battaglie di resistenza identitaria.
Nondimeno il caso più interessante per il nostro discorso è quello della Catalogna, dove l'identità territoriale e resistenziale si basa sulla lingua e storia comune, che negli ultimi decenni è diventata progetto politico, economico e culturale. E' il paradigma preferito da Manuel Castells
e il messaggio di speranza per tutte le piccole comunità del mondo, che
possono opporre al mondo delle reti, dei mercati, degli individui e delle
organizzazioni strategiche della nuova Età dell'informazione la logica di
un'identità moderna in origine di resistenza ma poi divenuta progetto in
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a cura di IMIGO - Lecce
Il Salento come identità culturale
perenni battaglie difensive e offensive nei campi dello spazio, del tempo
e della tecnologia.
L'importanza delle identità locali come fattore di sviluppo economico e turistico è ormai accettata negli organismi internazionali ed è incoraggiata dalle politiche sociali dell'Unione Europea e su questo argomento Manuel Castells ci riporta, in un articolo giornalistico del 2003 citato in bibliografia, alcuni dati statistici rilevati dal World Values Survey
dell'Università del Michigan negli Stati Uniti, da cui risulta che proprio
nell'Europa del Sud il valore dell'identità locale/regionale è primario per
le popolazioni ed è pari al 64% del campione rilevato, riservando il 23%
allo Stato - nazione e il 13% al mondo. Certo, questi dati andrebbero verificati per il Salento ma ci aiutano a capire che il suo futuro può dipendere dalla sua capacità di progettare un modello di sviluppo basato sulla
difesa e valorizzazione della propria memoria collettiva e patrimonio
culturale, fatto di lingue ed esperienze creative.
Di identità salentina si parla da circa un decennio nel Salento. Basta
leggere il titolo e sottotitolo del libro di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello "Ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento"
che indicano nella musica e ballo della pizzica salentina l'attributo identitario del pensiero meridiano, cioè meridionale, studiato e messo in luce dal sociologo Franco Cassano che a sua volta si rifà al pensiero mediterraneo di Albert Camus. Secondo l'antropologa Annamaria Rivera,
citata in bibliografia, dell'Università di Bari la moda della pizzica taranta avrebbe anche la pretesa di "attingere alle fonti autentiche della salentinità (in corsivo nel testo originale), dunque una cifra identitaria non
priva di qualche venatura regressiva". Noi condividiamo queste perplessità e per il nostro discorso di Cultura regionale Salentina preferiamo ricorrere a termini e concetti tratti dalla letteratura umanistica classica, appartenendo come formazione e istruzione a un periodo precedente gli anni ottanta quando iniziò l'uso dilagante e ambiguo, specialmente in campo politico, per giustificare guerre e stragi nel mondo ín nome di un presunta identità etnica o religiosa. di questo termine.
Tuttavia per contribuire alla chiarificazione del dibattito sull'identità,
della quale ahhiarno incontrato cento definizioni e che ci ha fatto passare qualche notte in bianco, parliamo ora di uno studio serio e profondo
di Peter Schmitt - Egner, docente universitario tedesco, che individua
s ette tipi di principi identitari informanti il senso personale del territorio
regionale: il principio ecologico, quando Io spazio regionale e inteso co-
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me paesaggio e spazio di vita; il principio emotivo, che vede lo spazio
regionale come contesto emotivo insostituibile; il principio storico, che
considera lo spazio regionale come memoria collettiva e paesaggio segnato da eventi storici; il principio cognitivo, che vede la regione come
luogo privilegiato di scelta e di rifacimento continuo da parte dei suoi
abitanti; il principio sociale, dove lo spazio è scena di interazioni, scambi e pratiche sociali; il principio comunitario, in cui lo spazio regionale
esprime una comune coscienza, valori e credenze condivisi; il principio
culturale, che comprende tutti questi principi creando l'autocoscienza
del "noi" e "loro". Secondo noi, questi principi sono uno sviluppo del
concetto di topofilìa illustrato dal geografo cinese umanista Yi-Fu Tuan
e definito come il legame biologico e culturale che lega l'uomo al suo
spazio di vita, la dimora larica ancestrale che ispira un tipo di poesia, secondo il critico ermetico salentino Oreste Macrì. Niente da dire su questi sentimenti individuali che molti di noi sentono in tutto o in parte.
Il discorso si fa più complicato quando da questi sentimenti Peter
Schnitt-Egner passa a descrivere i vari tipi di regionalismo: vecchio,
nuovo, postmoderno, transazionale e internazionale. Il vecchio è quello
etno - nazionalistico della ex - Iugoslavia e dei Paesi Baschi che nutrono sentimenti separatisti e xenofobi a cui ci sentiamo di aggiungere
quello della Lega Nord di Bossi; il secondo è il nuovo regionalismo caratterizzato da richieste di decentramento e federalismo fino all'autonomia non destabilizzante lo Stato come la Bretagna in Francia o la Catalogna in Spagna; il terzo è il regionalismo postmoderno non interessato
all'assetto istituzionale ma al proprio decollo come distretto industriale
o area fortemente innovativa capace di competere con la globalizzazione; il quarto regionalismo è quello transnazionale, come modello simile
al terzo ma includente anche regioni di stati confinanti; il quinto tipo è il
regionalismo internazionale come l'Unione Europea. A voler perseguire
un tipo di regionalismo adatto al Salento, è difficile esprimersi (idealmente propendiamo per un regionalismo postmoderno) perché il Salento amministrativamente non esiste e nel nostro programma è solo un'invenzione (dal latino "invenio", cioè scopro, trovo), una costruzione,
un'immagine fatta di lingue, letterature e antropologie autobiografiche e
popolari interessanti che meritano di essere studiate e fatte conoscere al
mondo interculturale dell'ecumene possibile in una voglia fortissima di
scambio culturale, non tra periferia e centri egemonici ma tra periferie e
periferie che si sentono entrambe centri culturalmente connotati.
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11 Salento come identità culturale
Alcune istituzioni come gli assessorati locali alla cultura o al turismo
usano la parola identità riferita al Salento come slogan pubblicitario di
attrazione per turisti. Noi consideriamo tale concetto come categoria non
utile all'articolazione del programma di Cultura Regionale Salentina e
per quanto riguarda l'idea di Manuel Castells circa il potere delle identità nell'epoca della globalizzazione riteniamo che l'identità salentina, salvo smentite future da parte di sondaggi o situazioni di cambiamento, è di
essere debolmente resistenziale e perciò il cammino del Salento da entità culturale, quale noi lo concepiamo, a identità culturale come base forte di partenza per lo sviluppo di un progetto strategico innovativo, ci
sembra problematico. Coltivare la diversità linguistica e culturale salentina esistente è invece non solo auspicabile ma possibile.
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