L`identità Europea tra globalizzazione, radici cristiane e terrorismo

L’IDENTITÀ EUROPEA
TRA GLOBALIZZAZIONE, TERRORISMO
E RADICI CRISTIANE
di
STEFANO ZAMBERLAN
La globalizzazione
Tutto il Mondo Occidentale vive attualmente nel costante timore di
nuovi attentati terroristici, seguendo con apprensione gli avvenimenti in
Medio Oriente. I mass media ci propongono un costante aggiornamento
degli avvenimenti ma poco ci dicono su alcune dinamiche che hanno portato all’attuale situazione di instabilità e violenza. Viene proposto
l’estremismo religioso come causa scatenante, ma in verità questo fanatismo viene alimentato da alcuni fattori che non vengono dichiarati senza
un certo imbarazzo, uno fra questi è la globalizzazione.
La globalizzazione ha due aspetti: vi è una globalizzazione intesa
come possibilità di comunicare in tempo reale nonché di potersi spostare
fisicamente in ogni parte del globo, e una globalizzazione intesa come
possibilità non solo di vendere e acquistare prodotti e investire capitali,
ma anche di offrire e domandare lavoro su scala planetaria.
Con la liberalizzazione e la deregulation su cui si basa il processo di
globalizzazione, gli intrecci commerciali e politici e le reti finanziare hanno
raggiunto però una complessità tale da creare dei feedback non più prevedibili. L’economia che è andata affermandosi e rafforzandosi è un’economia
basata sul petrolio, con conseguente inquinamento e gravi danni
sull’ambiente e sulla salute dell’uomo, un’economia che si sviluppa grazie
ad un consumismo spesso smodato e guidato sempre più dalle mode che non
dai bisogni reali, con una produzione di beni effimeri che sembra piegare il
lavoratore alle sue logiche e ai suoi ritmi nelle società industrializzate.
L’attuale assetto economico – produttivo peggiora e si sviluppa su un
divario tra Nord e Sud del mondo che va aumentando. L’apertura, infatti,
ha posto sullo stesso piano realtà con un diverso grado di sviluppo politico ed economico, e ciò non ha portato il beneficio della concorrenza,
perché il divario era troppo grande da permettere un confronto e quindi
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un concorrere per migliorarsi a vicenda, in particolare in sede degli accordi del WTO, dove i paesi poveri hanno visto penalizzate le loro produzioni agricole, indirizzate per esigenze di mercato verso una monocultura che diminuisce ancor più la forza contrattuale dei produttori.
L’evoluzione della società occidentale e il suo influsso internazionale
Il porre in relazione fra loro entità dall’influenza socio-economica così
sbilanciata, ha altresì favorito l’importazione nei paesi meno sviluppati di
alcuni aspetti del modello sociale occidentale, il quale però si è formato
gradualmente congiuntamente ad una determinata evoluzione economica.
L’innesto della modernità “all’occidentale” è stato in molte realtà traumatico, tanto più che ad essere esportati non sono stati gli elementi legati alla
libertà di espressione e di iniziativa economica, congiuntamente allo stato
sociale, alle conquiste dei lavoratori e all’emancipazione femminile, bensì
solo quelli legati alla logica del profitto e dello sviluppo produttivo e quantitativo del modello economico di libero mercato. “E i guai cominciano
proprio quando un’economia di mercato pretende di trasformarsi in una
società di mercato”.1
Se si hanno effetti negativi nella nostra società occidentale dove
l’economia è nata all’interno di una cultura e con essa si è integrata e sviluppata, maggiori e più gravi sono gli effetti che si hanno in quei paesi in
cui più che una integrazione vi è una sostituzione del modello sociale tradizionale preesistente. Ogni realtà socio-economica deve trovare un proprio modello di sviluppo, basato sulle peculiarità specifiche, perché questo
possa avere successo. I sistemi economici, infatti, nello svilupparsi non sono immuni «ad ogni influenza extraeconomica, ma, al contrario, risultano
incorporati (embedded) all’interno di dense reti sociali in cui si intrecciano
relazioni interpersonali, valori e istituzioni che ne condizionano profondamente tanto le caratteristiche strutturali quanto i livelli di performance
raggiungibili»,2 il mercato si configura perciò come istituzione sociale.
D’altra parte l’introduzione dell’economia di mercato e di forme di
investimento capitalistico è stato spesso accompagnato da un miglioramento generale delle condizioni di vita, pur portando altri problemi di natura
sociale. Inoltre i rapporti commerciali sono stati, e possono ancora essere,
degli strumenti di forza per l’introduzione della democrazia e del rispetto
dei diritti umani in quei paesi che ne difettano.
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Purtroppo in Occidente i cambiamenti sociali che si sono avuti a
partire dalla seconda metà del ’900 hanno portato ad una progressiva
perdita di valori e di modelli sociali, a nuove forme di criminalità, di
corruzione politica, di maggior libertà di costume, di emarginazione sociale, di primato delle logiche economiche con un declino della cosiddetta community life, ovvero un tendenziale allontanamento dalla famiglia, dagli amici, dai vicini e dalle strutture democratiche, come mette
in evidenza Robert Putnam nel suo già famoso libro “Bowling Alone”
(“Giocare a bowling da soli”).3
In cambio c’è stato però lo sviluppo, il progresso, la tecnologia in una
parola il benessere. Purtroppo questa forma di benessere tende a trascendere la sua funzionalità rispetto al soddisfacimento dei bisogni fisici, intellettuali e spirituali dell’uomo, concentrandosi sui primi e rendendo la società
funzionale all’economia, rischiando di ridurre il benessere al solo “benavere”. In molti Paesi di cultura diversa da quella occidentale questa società può dunque apparire a prima vista come una società amorale e corrotta.
Aspetti questi reali ma pur sempre collaterali e marginali, non accettati né
dall’opinione pubblica né tanto meno dalle autorità pubbliche.
Anche il terrorismo di matrice islamica, se pur indossando le vesti di
una guerra santa, trova tra le sue cause scatenanti la reazione armata alla
violenza del processo di globalizzazione. Ma c’è chi va ben oltre questa
affermazione, arrivando a sostenere che questo fenomeno è la materializzazione delle contraddizioni del capitalismo globale, se non esistesse un
pericolo islamico il capitalismo odierno avrebbe dovuto crearlo.4 Questa
paura comune, questa necessità di difesa mantiene insieme un sistema carico di problemi e conflitti, in cui movimenti di contestazione al sistema
stesso vanno acquisendo sempre più forza.
Il rifiuto dell’Islam ortodosso del modello sociale occidentale
Nei paesi poveri Islamici, in Nord Africa e in Medio Oriente, è facile
per i gruppi estremisti aizzare l’odio verso l’Occidente alimentando il fenomeno del terrorismo, il quale trova tra i suoi adepti più convinti e i
suoi aspiranti “martiri” non individui disperati e senza nulla da perdere,
ma bensì soggetti con istruzione superiore che hanno la possibilità di venire a conoscenza dell’assetto economico mondiale fortemente iniquo,
degli errori della World Bank e del Fondo Monetario Internazionale. Pur-
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troppo queste persone sono vittime di chi filtra e distorce le informazioni
attraverso una matrice interpretativa pseudo-religiosa, che travisa e contraddice i dettami e i principi stessi contenuti nel libro sacro del Corano,
portando ai tragici avvenimenti delle Torri Gemelle di New York, del
presidio militare italiano di Nassiriya, delle linee ferroviarie di Madrid
per citarne solo alcuni.
In queste realtà afflitte dalla povertà, dove la vita pubblica è regolata
dalla religione e da antiche tradizioni dominano i gruppi fondamentalisti,
che nei secoli hanno mantenuto inalterati tradizioni e aspetti della loro cultura che avevano ragione di esistere in passato, vietando e ostacolando gli
elementi di potenziale novità o evoluzione culturale, di fatto bloccando
l’assetto della società che mantiene ad oggi aspetti di ingiustizia e di lesione di alcuni fondamentali diritti umani. Questi paesi non potranno svilupparsi, pur sempre sulla base della loro storia, se continueranno ad essere
governati da un Islam politico, che trascende e distorce, e che rappresenta
“un’utopia negativa” aggrappata ad un contesto storico ormai tramontato.5
Certo si deve vincere la radicata convinzione che quella occidentale
sia l’unica via di evoluzione sociale, ogni realtà deve trovare la propria
strada per crescere ed evolversi, senza strappi o negazioni della propria
storia passata, ma riutilizzando quanto di positivo c’è nel patrimonio culturale e tendendo comunque ad una maggior giustizia sociale. Così diviene
problematica l’introduzione della democrazia in paesi in cui vi è il governo
di un “despota giusto”, affiancato da organi di consultazione, un modello
che discende direttamente dalla tradizione politico-religiosa. In questi contesti si deve ricercare il “consenso” e il “rinnovamento”, purtroppo i gruppi
politici più forti sono allo stesso tempo gruppi religiosi che non vogliono
che le cose cambino per non perdere il loro potere.6
A ben guardare, infatti, la tecnologia moderna viene tollerata in modo
strumentale dall’Islam ortodosso, mentre vi è intransigenza per qualsiasi
importazione di usi e costumi occidentali, come l’emancipazione femminile, considerata una grave minaccia all’ordine costituito. Ma proprio dal superamento di questo, che è uno degli aspetti di maggior ingiustizia sociale
nei Paesi musulmani, molti ravvisano la speranza di rinnovamento positivo
dell’Islam. L’emancipazione della donna è un fattore importante per
l’ulteriore capacità di sviluppo, sia sociale che economico di un Paese, lo
dimostrano i casi del Giappone prima e della Cina oggi.
D’altra parte l’Islam integralista guarda l’Occidente con uno sguardo
di disprezzo accusando il mondo islamico moderato di tradimento. In
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pratica si vanno a contrapporre da una parte il fondamentalismo islamico,
dispoticamente proiettato in modo aggressivo verso l’esterno, orgoglioso
della sua “superiorità”, credendosi unico portatore di “integrità morale” e
di “illuminazione spirituale”, dall’altra l’individualismo occidentale con
la sua democrazia e la sua libertà, il suo successo economico, tecnologico
e militare, spesso ottenuto a spese di altri popoli, e l’Islam moderato, con
la sua voglia di convivenza pacifica e di rinnovamento. Non si deve, infatti, scordare questa seconda contrapposizione, altrettanto drammatica e
segnata da numerosi attentati, che si ha tra i governi dei Paesi musulmani
moderati e i movimenti estremisti a volte appoggiati da gruppi dello stesso governo, in un rapporto complesso e contraddittorio.
La secolarizzazione e la vulnerabilità ideologica della società occidentale
L’Occidente non è un’entità fortemente omogenea e compatta, anzi è
una realtà eterogenea che al suo interno deve già fare i conti con alcuni
movimenti estremisti, e la globalizzazione viene sfruttata anche per favorire i rapporti fra i vari gruppi terroristici i quali, non solo imparano le strategie l’uno dall’altro, ma, come è stato provato, hanno tenuto diversi incontri. Prende forma allora l’ipotesi che in futuro si potrebbe arrivare a
rapporti di solidarietà e collaborazione, come fa presagire l’inquietante
muoversi comune di estremisti islamici, estremisti no global e altre frange
contro l’occupazione americana in Irak. Questo, ovviamente, non ha nulla
a che fare con la coraggiosa e meritevole attività delle Organizzazioni Non
Governative a favore della popolazione civile irakena. Preoccupante, inoltre, risulta essere lo scenario che emerge dall’incontro tra l’Islam politico e
la vecchia Europa, dove agli islamici occidentalizzati che ripudiando la
“società corrotta” e la cultura occidentale guardano alle loro origini, idealizzandole e riabbracciando l’ortodossia religiosa dei propri padri. A questi
fedeli ritrovati si affiancano gli europei che si convertono passando dalla
mancanza di fede e di valori all’integralismo.
La progressiva laicizzazione della società e “l’eclissi del sacro” in Occidente, che ha il suo inizio nel ’700 con l’Illuminismo e continua con il
Positivismo, e il sostituirsi dei valori etici e morali con i valori di mercato
nel corso dell’ultimo secolo, ha lasciato un vuoto, soprattutto nelle grandi
città dove il tessuto sociale si sgretola e non funge più da sostegno.
Si ha il rafforzarsi di una visione antropologica individualistica, sulla
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quale fa agio, anche a livello pubblico, un’etica di tipo contrattualistica.
Ne deriva un relativismo etico in contrapposizione al personalismo e ad
un’etica di tipo universale, basata su quelli che si definiscono valori universali, dai quali derivano anche i diritti fondamentali dell’umano di cui
tanto si discute, soprattutto in caso di guerre e terrorismo.
Nell’attuale società occidentale, americana in primis, seguita da quella
europea, si ha un declino del capitale sociale, riportando la definizione che
ne da Putnam nel suo già citato Bowling Alone: «Mentre il capitale fisico
fa riferimento agli oggetti materiali e il capitale umano alle caratteristiche
degli individui, il capitale sociale si riferisce alle relazioni fra le persone –
reti sociali e regole di reciprocità e mutua fiducia che ne derivano. In questo senso il capitale sociale è strettamente connesso a ciò che alcuni chiamano “virtù civica”. La differenza è che il “capitale sociale” richiama l'attenzione sul fatto che la virtù civica è assai più solida quando è radicata in
una significativa rete di relazioni sociali di reciprocità. Una società di individui virtuosi ma isolati non è necessariamente ricca di capitale sociale».7
Le istituzioni cristiane devono intraprendere una via di rinnovamento
per farsi più vicine alla gente ma anche per rafforzare l’identità e l’orgoglio
dei fedeli. Lo stesso cardinale Joseph Ratzinger afferma “al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda”.8 Al Cristianesimo oggi in
Europa, mentre diversa è la situazione in Asia, Africa e America Latina,
sembra mancare quella fierezza, quella forza originaria che invece conserva
l’Islam, il quale non ha dovuto far fronte all’attacco e alle tentazioni della
ricchezza e del consumismo derivanti dal rapido ed enorme sviluppo economico dell’Occidente. La perdita di fede e la diminuzione dei fedeli, soprattutto di quelli praticanti, se in parte è dovuta ad una scelta dell’individuo,
in parte forse è però dovuta anche alla difficoltà che incontrano le istituzioni
religiose nel trovare nuovi metodi di comunicazione del loro messaggio.
La riprova di ciò sta nella identica natura e sostanza del messaggio di
cui si fanno portatrici sia le grandi religioni monoteistiche sia alcune correnti delle filosofie orientali. Allora nella confusione del mondo moderno
verrà ascoltato chi saprà toccare l’intimo delle persone o attrarre a sé grazie alla vitalità o ad un’immagine più forte. “La religione non vive però
fuori dalla storia. Ha sì bisogno di principi, ma ha anche bisogno di simboli, di riti, di pratiche, in una parola di una comunità credente”.9
Di fatto in Europa, ed in particolare in Italia, il Cattolicesimo appare
troppo spesso una religione per anziani e per bambini. Gli anziani perché
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memori di una religiosità più pregnante la vita personale e sociale, e i
bambini perché i principali passaggi per la formazione e la consacrazione
del fedele sono concentrati nell’età puerile. Ciò è limitante, sarebbe più
opportuno innalzare l’età al fine di mantenere nella comunità dei credenti
l’individuo fino a tutta l’adolescenza, un periodo fondamentale per la formazione della personalità, in cui è forte il bisogno e la ricerca di modelli e ideali, un’età più adatta alla comprensione di messaggi importanti e perciò
all’apprendimento dei valori che potranno essere da guida nella vita. Di fatto
con il limitare il percorso formativo dei fedeli alla sola fanciullezza si sciolgono i già deboli legami tra nuove generazioni e Cristianità, e l’individuo
maturo si allontana, preso dai mille impegni e distrazioni della vita frenetica
di oggi, e alla fine si ritrova spesso in uno stato di inquietudine, di vulnerabilità, quasi di abbandono, di fronte alle difficoltà della vita senza valori su cui
appoggiarsi, senza una comunità a cui tornare.
Alcuni degli individui più deboli disorientati nella società postindustriale, alla ricerca di qualcosa che guidi e dia senso alla loro vita o di
una comunità di cui sentirsi parte viva, possono alla fine abbracciare credi
forti, estremi. Questo fa dell’Europa un bersaglio per l’ideologia ortodossa,
una “terra di conquista” per i fondamentalisti islamici come denunciano
molti paesi musulmani moderati. Infatti, è da ricordare che la parte moderata cerca la convivenza con l’Occidente e le altre religioni, così come da
anni la Chiesa Cattolica ha intrapreso un cammino di incontro e l’attività
di Papa Giovanni Paolo II ne è una costante dimostrazione.
Questa volontà di dialogo interreligioso è presente anche nelle autorità
islamiche moderate, «l’Islam non fondamentalista ha molta più paura del
vuoto dei valori, proprio di una cultura laicista, che non del Cristianesimo.
Un’Europa solo commerciale, vuota di valori non rende più facile la convivenza e il dialogo con le altre grandi religioni monoteiste, ma li rende
sicuramente più difficili».10
A conferma dell’intima vicinanza fra il Cristianesimo, l’Islam e
l’Ebraismo, vi è come già detto, il medesimo messaggio di amore e di fede
verso Dio, ma c’è di più, infatti, queste religioni hanno un’origine comune,
sono infatti definite religioni abramitiche, perché il loro inizio si ritrova
nel rivelarsi di Dio ad Abramo. Ciò sta a significare che il Dio degli ebrei,
dei cristiani e dei musulmani è lo stesso. Purtroppo si insistono sulle differenze e non su ciò che accomuna, e persino all’interno di queste tre religioni vi sono correnti diverse che hanno problematici rapporti di convivenza. Rimane comunque difficile capire come il diverso manifestare la
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propria fede verso l’unico Dio possa portare a contrasti così violenti e contrari agli stessi insegnamenti che gli vengono attribuiti.
Il ruolo delle condizioni di lavoro sulla coesione sociale
Un riflesso importante sulla coesione sociale è dato anche dalle condizioni di lavoro degli individui, la dignità sul posto del lavoro, la gratificazione e la realizzazione personale sono elementi che non si basano solamente sull’aspetto monetario. L’individuo passa gran parte del suo tempo
attivo e “di qualità” all’interno delle organizzazioni economiche in cui lavora, che hanno una duplice natura, una di enti giuridici ed economici,
l’altra di comunità di persone. Si ha perciò il crearsi all’interno delle strutture formali delle organizzazioni delle “comunità di pratiche”,11 che interagiscono fra loro in una vasta rete sociale che si propaga all’esterno con
gli stakeholders. Queste comunità vanno ben oltre i semplici rapporti di
lavoro, in quanto in un individuo non vi può essere il lavoro come momento separato dal resto della sua vita, il lavoro è un elemento importante della
vita perché le da dignità e la nobilita, ma ne è pur sempre un aspetto, un
uomo vive e nel vivere lavora. Perciò si ha un senso di appartenenza alla
struttura formale prima e di pratica poi, ciò rappresenta una realtà sociale
importantissima. “Imprenditori e manager devono tener conto delle necessità e delle aspirazioni del lavoratore, valorizzando le sue capacità incentivando la creatività, responsabilizzando e aumentando la partecipazione
nell’individuazione degli obiettivi e delle strategie aziendali. In questo
modo il profitto perde il suo ruolo totalizzante a favore della persona”.12
Facendo ciò contestualmente alla qualità di vita del lavoratore anche la
competitività dell’azienda migliora, e lo studio dei modelli di empowerment, learning organization e di learning network lo dimostra.
In questo contesto va ad inserirsi il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa, che riguarda sia le condizioni dei lavoratori dipendenti, sia
il rapporto dell’azienda con i clienti e l’ambiente, nel tentativo di favorire
un rapporto più disteso e sinergico fra i vari operatori economici.
Questo nuovo orientamento nella gestione delle risorse umane contribuirebbe a ridurre il fenomeno in espansione dell’insoddisfazione legata al
lavoro a qualsiasi livello. La realizzazione personale e ritmi più distesi di
lavoro faciliterebbero il nascere di un clima sociale migliore, diminuirebbe
quel senso di oppressione che spesso si prova nei confronti di una società
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al servizio del sistema economico, quando in realtà è, o dovrebbe essere, il
contrario. La soddisfazione in ambito lavorativo in strutture che valorizzano l’individuo porta ad avere una percezione migliore, più positiva della
società che comprende queste realtà economiche. Si avrebbe così il generarsi di un insieme di motivazioni intrinseche in cui il senso di appartenenza
alla struttura si riflette in un maggior senso di appartenenza alla società, in
una maggior identità sociale e in fine in una maggior compattezza e resistenza verso ideologie estreme, sia interne che esterne al sistema stesso.
La necessità di una difesa dell’identità europea
Purtroppo si ha solo la percezione del pericolo di attentati mentre gli
europei non riescono a rendersi conto della minaccia reale e pericolosa che
grava sulla nostra identità europea, un’identità che va scemando. La convivenza multietnica presuppone l’incontro fra diverse culture, il confronto
e il reciproco arricchimento, non bisogna però confondere il rispetto e la
tutela di una religione o di una cultura lontana dal Paese di origine, con il
permissivismo e la tolleranza di comportamenti che violano o contraddicono i principi e i valori su cui la nostra società è stata costruita e ancor oggi
si basa, come la libertà, la parità tra i sessi, la democrazia e il rispetto per
la vita umana. Solo così si eviterà da una parte di offrire a gruppi estremisti
o fondamentalisti di trovare un ambiente tollerante in cui insediarsi, come
lamentano le autorità dei governi moderati del Nord Africa, che ci rimproverano anche una legislazione in materia obsoleta e inefficace, dall’altra, più
in generale, si evita di mortificare la nostra cultura non valorizzandola.
Questo richiamo all’identità nazionale e alla Patria si riduce sempre
più nel nostro Paese, e viene relegato troppo spesso ai soli discorsi del Presidente della Repubblica. Il sentimento nazionale, le nostre origini, la nostra cultura, il rapporto più stretto con la Chiesa Cattolica, in definitiva il
nostro essere italiani, sono elementi che devono essere preservati, recuperati e valorizzati. Questa mancanza delle Istituzioni è sentita e lamentata,
non incanalare e gestire questa esigenza e non tutelare l’identità di un popolo all’interno della sua Nazione può portare a reazioni violente. Purtroppo questo argomento può essere facilmente strumentalizzato politicamente,
ma si rischia di alimentare i fenomeni xenofobi non gestendo correttamente il sano sentimento di appartenenza e rispetto per la Patria, che può venire estremizzato e trasformato in qualcosa di completamente diverso, come
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l’odio ingiustificabile per chi è diverso. Da ciò derivano problemi di confronto prima ancora che di integrazione. Mentre “La realizzazione della
dignità della persona, vista come soggetto singolare ed irripetibile, può avvenire solo nell’incontro con l’altro e insieme a lui, mai contro di lui”.13
Per uno scambio culturale e per una proficua e positiva contaminazione culturale si deve avere un rapporto alla pari, un confronto per crescere
insieme, non basta il semplice “dobbiamo imparare dagli altri”, abbiamo
anche la responsabilità di quello che sarà il nostro influsso sugli altri, per
poter offrire qualcosa in cambio alle altre culture che non sia solo tecnologia e denaro. Va tutelata perciò la nostra identità portando avanti quegli
aspetti positivi che hanno caratterizzato nei secoli l’Europa e che ha dato
vita ad una realtà che ha attratto e continua ad attrarre altri popoli. Un aspetto questo, di estrema rilevanza e che dovrebbe riflettersi sull’opera di
realizzazione di una Costituzione Europea. Nel far ciò non è possibile non
fare i conti con il ruolo che il Cristianesimo ha avuto nella formazione della società Occidentale, dalla centralità attribuita alla persona, alla scala di
valori che ne deriva, al modello di famiglia che stanno alla base di questa
società. Un’importanza che continua e continuerà ancor più ad avere in futuro, vista la domanda crescente di “religione civile”, o più moderatamente
di “etica pubblica”, alla quale comunque la religione cristiana può apportare un contributo “costruttivo, teso ad affermare i valori moderni della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità”,14 valori che a ben vedere non nascono con la rivoluzione francese, ma che vengono da molto più lontano.
L’aspirazione dell’Europa sembra essere quella di divenire una potenza equilibratrice mondiale e di farsi portatrice e garante della libertà e della
tutela dei diritti umani, aiutando i Paesi in difficoltà. Ma quali sono le radici di questi tre elementi: libertà, dignità della persona e solidarietà? Ebbene
questi elementi, che fanno parte del “codice genetico” dell’Europa, si devono al Cristianesimo che ha introdotto la dignità della vita umana in
quanto tale, il rifiuto della schiavitù, l’amore per il prossimo e il tutto
nell’ambito del libero arbitrio, una libertà «teorizzata solo parzialmente
dalla cultura greca e da quella romana: la libertà di scegliere, affermare il
positivo o il negativo e quindi una libertà che costruisce per amore, per solidarietà, potendo non costruire».15
Il Cristianesimo ha avuto un ruolo fondamentale anche nella nascita
delle Nazioni Europee, grazie alla «nobilitazione che il Cristianesimo, nonostante periodi difficili, ha apportato alle civiltà barbarica e romana, perché è stato capace di rendere il lontano vicino, l’estraneo fratello. Ed è
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questo dato socio-culturale che definisce la cultura o criterio comune di valutazione europeo»16. Un contributo così profondo e antico ha creato una
base comune che si ritrova in tutta l’Europa Unita, credente e non. In Europa il Cristianesimo ha diversi volti: cattolico, protestante, ortodosso ed
ovviamente ci sono i laici. «Tutti però hanno una struttura di personalità e
una cultura ricevuta dal Cristianesimo, tanto è vero che un grande filosofo
laico non credente come Benedetto Croce poteva scrivere un libretto dal
titolo significativo “Perché non possiamo non dirci cristiani” ».17
Valori ritrovati e nuovi valori guida
Dalle considerazioni precedenti emerge come problemi economici,
politici, religiosi e sociali siano intimamente legati su scala globale, ne
consegue la necessità per noi abitanti dei paesi industrializzati, nella veste
di cittadini, lavoratori e consumatori, di modificare la nostra scala di valori, ricercando la centralità della persona e compiendo scelte etiche, solo così si potrà reimpostare il sistema finanziario e quello economico per assicurare un futuro alla nostra società e a quanto di buono essa rappresenta. Bisogna intraprendere assieme ai paesi in via di sviluppo la ricerca di una
nuova crescita economica, solidale e a basso impatto entropico, nel rispetto
reciproco delle differenze, imparando dagli errori fatti. Una collaborazione
per far sì che le generazioni future crescano in un ambiente sano a misura
d’uomo, dove non vi sia esclusione sociale, disadattamento e sfruttamento,
dove l’odio e visioni estreme non possano trovare il terreno per attecchire.
Una società sana, coesa e forte nella propria identità basata su principi universali di rispetto dovrebbe essere in grado di coesistere con altre realtà,
senza l’atavica paura di ciò che è diverso, cercando di basare il rapporto su
quanto ci può unire, per una crescita e un benessere comune.
Stefano Zamberlan
Università degli Studi di Verona,
Dipartimento di Economie, Società e Istituzioni
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NOTE
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Questa celebre affermazione è del primo ministro francese L. JOSPIN, «Sì all'economia di mercato, no alla società di mercato» è il più famoso degli slogan che
ha usato quando si è presentato come candidato alla presidenza contro J. Chirac.
2
P. L. SACCO, L. ZARRI, Dilemmi dell’azione collettiva e norme di ragionevolezza sociale, “Ars Interpretandi, Annuario di Ermeneutica Giuridica”, vol. 7,
pp. 453-454, 2002, Padova.
3
Il titolo della traduzione italiana di quest’opera di R. PUTNAM è Capitale sociale e individualismo – Crisi e rinascita della cultura civica in America, Il Mulino,
Bologna 2004.
4
J. BOUDRILLARD, Power inferno, Cortina, Milano 2003.
5
A. J. TOYNBEE, The World After the Peace Conference, Oxford University
Press, 1926 cit. in L. PUCCI, Islam e globalizzazione: i riflessi sull’Europa, da
“Studi Economici e Sociali”, vol. 3, 2003, p. 9.
6
B. ETIENNE, L’islamismo radicale, Rizzoli, Milano, 1988, pp.106-107.
7
R. PUTNAM, op. cit., p.19.
8
J. RATZINGER, La verità cattolica, in “Micromega”, vol. 2, 2000, p. 41.
9
G. TRENTIN, Contributo delle religioni ad un’etica pubblica, Il Poligrafo,
Padova, 2003, p. 40.
10
G. GABURRO, Le radici cristiane dell’Europa, in “il Pensiero Economico
Moderno”, vol. 4, 2003, p. 109.
11
E. WENGER, Communities of Practice, in “Healthcare Forume Journal”, luglio/agosto, 1996, cit. in F. CAPRA, La scienza della vita, Rizzoli, Milano, 2002, p. 166.
12
G. TONDINI, Rapporti tra etica ed economia, CEDAM, Padova 2001, p. 107.
13
G. TONDINI, “I rapporti tra etica ed economia. Le ragioni di una visione
unitaria” in G. Gaburro, R. Molesti e G. Zalin, (a cura di), Economia Stato Società. Studi in memoria di Guido Menegazzi, IPEM, Pisa 1990, p. 525.
14
G. TRENTIN, op. cit., pp. 40-41.
15
G. GABURRO, op. cit., p. 108.
16
Ibid., p.109. Cruciale fase nel divenire della società Occidentale è data dal Rinascimento, sbocciato a Firenze e poi diffusosi in tutta Europa, interessante notare come
l’economista italiano G. Toniolo, in quattro lavori che lo occuparono dal 1882 al 1899,
e che possono essere visti come un’unica opera sulla storia di Firenze, ha indicato
nell’influsso del Cristianesimo sulla società fiorentina uno dei primari fattori che portarono al suo successo e splendore sia intellettuale che economico. Quello che poteva
ravvisarsi come una coincidenza casuale si rivela al Toniolo, come afferma Boggiano
Pico, un nesso casuale. Scriverà più tardi sul Trattato il Toniolo: «il valore spirituale
interiore dell’uomo, imperando sopra tutte le estrinsecazioni dell’intelletto e del volere, genera e misura il valore stesso economico della società. È questo un vero alla cui
illustrazione la storia di Firenze apporta validissimo contributo» (cfr. p. 38-40).
17
Ibid., p. 107.
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