CAPITOLO I: IL CONCETTO DI FONTI ATIPICHE NELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E IL CONCETTO DI SOFT LAW SOMMARIO: 1. Premessa; - internazionali e soft law; 2. Fonti atipiche nelle organizzazioni - 3. Il concetto di soft law nell’ambito dell’Unione Europea. 1. Premessa. E’ forse opportuno affrontare il fenomeno delle fonti atipiche preliminarmente da un punto di vista più generale, quello delle organizzazioni internazionali, ambito nel quale rientra come elemento particolare l’organismo dell’Unione Europea. Tuttavia, spesso, in dottrina si rinvengono discussioni sulla natura giuridica dell’Unione Europea ed in particolare se si tratti di una vera e propria organizzazione internazionale (ossia di una organizzazione tra Stati sovrani che trae dal diritto internazionale, attraverso il trattato istitutivo, i suoi poteri) oppure di un embrione di Stato federale caratterizzato dall’erosione, nelle materie di competenza dell’Unione, delle sovranità statali. Senza dubbio l’Unione Europea presenta elementi che non si riscontrano in alcun altra Organizzazione Internazionale, come gli ampi poteri decisionali attribuiti ai loro organi, la sua sostituzione agli Stati membri nella disciplina di molti rapporti puramente interni a questi ultimi, l’esistenza di una Corte di Giustizia destinata controllare la conformità ai trattati istitutivi dei comportamenti degli organi e degli Stati membri. Contemporaneamente però tra i principi di diritto dell’Unione 8 Europea, così come delineati dai trattati istitutivi ma ancor più come essi si sono venuti affermando nella prassi sia dell’Unione che interna agli Stati membri, ve ne sono alcuni che sono propri del vincolo federale, primo fra tutti il principio della prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto interno degli Stati. Ciò nonostante l’Unione Europea resta, allo stato attuale delle cose, una organizzazione internazionale sia pure altamente sofisticata, non potendo considerarsi la sovranità degli Stati membri degradata, neppure nelle materie di competenza dell’Unione, ad autonomia. Il fatto poi che nella più importante tra le Comunità che costituiscono il primo pilastro dell’Unione, la CE, il centro del potere decisionale sia costituito, allo stato attuale delle cose, dagli Esecutivi nazionali (cosa che caratterizza le Organizzazioni Internazionali) rafforza questo convincimento.190 Chiarito dunque che l’Unione Europea, pur con le sue peculiarità, si presenta pur sempre come un’organizzazione internazionale almeno a livello teorico, bisogna ora considerare la questione delle fonti o atti atipici dapprima nella generalità delle organizzazioni internazionali. 2. Fonti atipiche nelle organizzazioni internazionali e soft law. Quando ci si accinge a parlare di questi enti che operano nella comunità internazionale, l’esperienza ci porta ad osservare come nei casi più complessi, essi siano organizzati in modo quasi analogo allo Stato e svolgano le funzioni essenziali di questo: la funzione normativa, la funzione esecutiva, 190 nonché la funzione Tra la dottrina più autorevole si ritrovano pareri discordanti in merito. Per opinioni conformi a quelle riportate nel testo si vedano tra gli altri R. MONACO in Scritti di Diritto delle Organizzazioni Internazionali, Torino, 1981, G. BISCOTTINI in Il diritto delle Organizzazioni Internazionali parte I: La teoria delle Organizzazioni, Padova, 1981, B: CONFORTI in Diritto Internazionale, Napoli, 1999. 9 giurisdizionale.191 Per quanto trattato in questa sede ciò che ci riguarda è esclusivamente la funzione normativa. Essa denota un notevole grado di sviluppo dell’ordinamento dell’ente, e perciò si rinviene negli ordinamenti maggiormente complessi. Di norma la possibilità che l’ente ponga direttamente norme giuridiche volte a costituire il proprio ordinamento, si concreta rispetto ai rapporti interni dell’ente. Si parla quindi innanzi tutto di una normazione interna. Ma in taluni casi appartiene anche all’ente la facoltà di emettere norme giuridiche non nei riguardi del proprio ordinamento interno, bensì all’esterno di esso. Si può quindi parlare di autonomia192 normativa interna ed esterna a seconda che essa si esplichi nei riguardi degli organi e della struttura interna dell’ente, oppure operi con efficacia rilevante anche rispetto ad ordinamenti diversi. Gli atti a rilevanza interna possono essere considerati espressione del potere di autoregolamentazione degli organi di ogni organizzazione internazionale. Detto potere è previsto in quasi tutti i trattati istitutivi e può ritenersi implicito negli altri casi.193 Così gli organi di un’organizzazione internazionale possono porre in essere atti che dettano regole per il loro funzionamento194 oppure che incidono sulla struttura delle Organizzazioni stesse.195 191 Va sottolineato come le funzioni tipiche dello Stato che sono indicate, vanno riferite ad un ordinamento giuridico determinato, cioè a quello di un determinato ente internazionale. Diversa è la questione se l’ordinamento internazionale in sé e per sé e nel suo complesso abbia queste funzioni. La soluzione a quest’ultimo problema pare essere per la maggiore dottrina negativa. 192 O più correttamente forse di funzione. 193 Di questa opinione sono in dottrina tra gli altri R. MONACO in ult. cit.; C. ZANGHI’ in Diritto delle Organizzazioni Internazionali, Torino, 2001. 194 In questa categoria rientrano i regolamenti interni degli organi deliberanti, i regolamenti finanziari, le regole sulle condizioni di gestione dei locali dove risiede l’organizzazione. 195 In questa categoria vi rientrano ad esempio le delibere per l’ammissione di nuovi membri o quelle che istituiscono organi sussidiari. 10 Gli atti a rilevanza esterna sono tutti quegli atti delle organizzazioni internazionali destinati a produrre effetti giuridici nei confronti degli altri soggetti giuridici internazionali come gli Stati ovvero le altre unioni internazionali. Spesso per ciò che riguarda questa categoria si usa distinguere tra atti vincolanti e atti non vincolanti a seconda dell’intensità e dell’efficacia con cui gli effetti giuridici si producono nei confronti dei soggetti giuridici ai quali sono destinati. Per ciò che riguarda gli atti vincolanti osservando il panorama internazionale, si può notare che nell’ambito delle organizzazioni internazionali il potere di emanare atti di questo genere è piuttosto limitato e di rado è implicito. Generalmente tale potere si riscontra nelle organizzazioni di carattere tecnico anche se non mancano importanti eccezioni. Un esempio è fornito ad esempio dall’art. 41 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui – il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’uso della forze armate, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle NU ad applicare tali misure – . Forse le uniche organizzazioni internazionali alle quali è riconosciuto un vero potere di emanare atti vincolanti per gli Stati membri, sono le Comunità Europee che a norma dell’art. 249 del trattato CE196 - per l’assolvimento dei loro compiti – possono adottare regolamenti, decisioni, direttive197. Più diffusi e variegati sono gli atti ad efficacia non vincolante, i quali pur non essendo dotati di tale tipo di efficacia, svolgono un ruolo determinante nell’elaborazione e nello sviluppo progressivo del diritto 196 Disposizioni simili sono presenti anche nel trattato CECA (art. 14) ed EURATOM (art. 161). Oltre che “pareri e raccomandazioni” che però non hanno efficacia vincolante. Nel trattato CECA si parla invece di “decisioni generali, raccomandazioni e decisioni individuali”. 197 11 internazionale, considerando l’influenza che essi possono esercitare sul processo di formazione delle regole consuetudinarie. Le indicazioni in essi contenute possono diventare delle vere e proprie norme di diritto internazionale qualora corrispondano alla pratica degli Stati e siano accompagnate dalla opinio juris. Gli atti con cui questa pratica viene esplicitata assumono nella pratica diversi nomi, dichiarazioni, raccomandazioni, risoluzioni; ma se si escludono minime differenze tra loro che possono riguardare i modi di adozione, i soggetti a cui sono riferiti sono quasi sempre da soli incapaci di produrre l’effetto giuridico della vincolatività o obbligatorietà in capo ai soggetti ai quali si riferiscono o sono indirizzati. Peraltro essi non sono del tutto privi di alcun effetto giuridico. Ad esempio parte della dottrina ritiene che le raccomandazioni, pur non essendo vincolanti, sono suscettibili di una particolare conseguenza giuridica denominata “effetto di liceità”, in base al quale lo Stato che contravvenga a precedenti obblighi derivanti da norme consuetudinarie o patrizie per rispettare una raccomandazione di un organo internazionale non commette illecito internazionale.198 Proprio ponendo l’attenzione su questa ultima categoria di atti, dobbiamo osservare come, all’interno di ciascuna organizzazione internazionale, la funzione normativa così come descritta oltre a trovare sbocco in una serie di atti tipici, nel senso di atti che trovano 12 –, si concretizza nella adozione di numerosi atti cosiddetti “atipici”. L’emanazione di questa tipologia di atti può essere prevista dal trattato istitutivo, ma: o in via residuale rispetto alla previsione di atti tipici contenuta in una norma generale del trattato sulle fonti199; o in via secondaria rispetto ai diversi atti tipici, principali, la cui disciplina sia contemplata da varie norme del trattato.200 Oppure non se ne riscontra alcuna espressa previsione nelle disposizioni istitutive dell’ente, e tuttavia se ne può constatare l’emanazione accanto a quella di atti che egualmente possono non essere previsti dal trattato ma assumere forme tipiche, come sono quelle ad esempio di un regolamento di autoorganizzazione. Se si osserva la prassi delle organizzazioni internazionali, si può notare come non sia mancata certo di creatività, riguardo alle forme, alla nomenclatura, al contenuto di questo tipo di atti. Nell’impossibilità di compilare un elenco completo, qui si vogliono tuttavia dare alcuni esempi in tale ambito relativamente ai tipi di atti di più frequente utilizzo. Si possono perciò citare: Risoluzioni: è il tipico atto attraverso il quale l’organizzazione internazionale tende ad indurre gli Stati a mantenere un determinato comportamento. Spesso hanno un contenuto più preciso e sono utilizzate per codificare una prassi preesistente, altre volte hanno un contenuto vago e oscuro e vengono usate per proclamare obbiettivi e principi; Codici di condotta: sono atti non diretti verso gli Stati ma verso le persone fisiche o giuridiche volti a dare loro 199 200 E’ questo il caso delle Comunità Europee con la presenza dell’art. 249. Questo è invece il caso delle Nazioni Unite. 13 regole di condotta da seguire nello svolgimento delle loro attività; Atti che hanno la forma di trattati: sono tutti quegli atti per la creazione dei quali vengono scelte forme e procedure che difficilmente si possono distinguere da quelle utilizzate normalmente per la stipulazione dei trattati, ma che in realtà non contengono diritti od obbligazioni di diritto internazionale pubblico;201 Comunicazioni o dichiarazioni congiunte: costituiscono la formalizzazione dei risultati di incontri e discussioni, firmata da Stati e organizzazioni partecipanti; Accordi leali: il loro scopo è quello di formare una cornice normativa entro la quale iscrivere le relazioni intercorrenti tra gli Stati senza che gli stessi diano al loro accordo la forma di un trattato. Sostanzialmente si tratta di due o più dichiarazioni reciproche con l’intenzione di creare un aspettativa di azione senza creare dritti legali od obbligazioni. Con riguardo a questa varietà di atti la dottrina ha elaborato il concetto di “soft law”.202 Il concetto di soft law apparve nell’ambito del diritto internazionale pubblico all’inizio degli anni settanta quando il richiamo di un nuovo ordine economico internazionale aveva 201 Un buon esempio di atto rientrante in questa categoria è rappresentato dall’ Atto Finale di Helsinki. 202 Per il concetto di soft law si possono vedere K. C. WELLENS e G. M. BORCHARDT: Soft law in European Community law, in European Law Review, 1989, pp. 267-321; F. SNYDER: Soft law e prassi istituzionale nella Comunità Europea, in Sociologia del diritto, 1993, pp. 79-109; A. TAMMES: Soft law, in Essays on international and comparative law in honour of judge Erades, 1983, pp. 187-195. 14 accelerato le riflessioni sulle fonti del diritto con particolare riguardo a due problemi che si erano posti all’attenzione degli addetti ai lavori. Anzitutto al marcato utilizzo delle risoluzioni da parte delle organizzazioni internazionali, non corrispondeva una loro menzione tra le fonti di diritto internazionale pubblico all’interno dell’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Secondariamente la sempre più marcata inadeguatezza del diritto consuetudinario a soddisfare le crescenti esigenze della comunità internazionale. Ma è nei primi anni ottanta che questo concetto trova una larga diffusione. Si verifica infatti un irrefrenabile ricorso da parte degli Stati a strumenti internazionali di diverse forme che tuttavia non vengono mai modellati sulla figura del trattato. Si pongono come una sorta di fonte alternativa rispetto ai trattati. L’esempio che si è soliti riportare è quello dell’Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Almeno in questi primi anni il concetto di soft law trova numerosi oppositori tra gli studiosi di diritto internazionale i quali sostenevano che non fosse opportuno parlare di una tale categoria di fonti perché questo avrebbe reso gli Stati ancora meno propizi a produrre norme tramite fonti classiche di diritto internazionale pubblico come i trattati. Dare una definizione unitaria e esaustiva delle fonti di soft law è molto difficile considerando la moltitudine di fenomeni che si possono raggruppare sotto questo concetto. La dottrina ha quasi sempre elaborato definizioni basato sulla funzione che veniva assegnata ai vari atti dai loro autori. Forse si può dire che il termine soft law è un grosso ombrello che ricopre diversi fenomeni normativi che mostrano le caratteristiche 15 della legge perché in qualche modo influenzano e restringono la volontà e la libertà dei loro destinatari, ma che dall’altro lato non stabiliscono una vera e propria obbligazione internazionale, lasciando spazio solo ad una “soft obligation”.203 L’uso di questo concetto si può quindi ridurre a due tipi di situazione: “a. Quando non c’è assunzione di alcun reale obbligo; b. Quando nessuna delle condizioni che rendono il modello di condotta quello di un’obbligazione vincolante sono soddisfatte”, anche se non è totalmente corretto parlare di norme non sanzionate. Il soft law si distingue infatti per una forza giuridica attenuata che presenta una legittimità internazionale che difficilmente può essere negata204. Sebbene la varietà di forme sia la caratteristica principale del soft law secondo la dottrina è possibile mettere in risalto alcuni elementi comuni a tutti gli atti e le fonti che possono essere riassunte sotto questa ampia categoria. Un primo elemento che merita di essere sottolineato è quello per cui queste fonti si presentano sotto una forma quasi incompiuta rispetto ad una normale regola di diritto, con contenuti spesso imprecisi e scopi vaghi. Sembrano avere più natura di programmi che di norme. Il secondo elemento riguarda il contenuto del soft law che consiste in norme di differente natura ma che non creano diritti e obbligazioni applicabili, in contrasto con le norme dei trattati per cui gli stati hanno un aspettativa che siano eseguite e rispettate205, anche se si deve parlare di “qualcosa di più che legge senza alcuna obbligazione”. 203 Questa è anche la definizione data da A. TAMMES in ult. cit. Questa è la caratteristica che G. FEUER in Les différentes catégoires de pays en développement. Genèse, Evolution, Statut,JDI, 1982 a p. 5-54 (p.8),attribuisce al soft law. 205 R. BAXTER in International Law in her infinite variety, in I.C.L.Q. n.29, 1980, p. 549. 204 16 Il soft law consiste, insomma, in regole di condotta poste su un livello di non obbligatorietà, nel senso di applicabile e sanzionabile attraverso una responsabilità internazionale, ma che secondo le intenzioni dei suoi autori in realtà possiedono uno scopo legale , che deve essere più precisamente definito in ogni singolo caso. Siffatte regole non hanno tutte uno standard uniforme di intensità, che dipende appunto dal loro scopo legale, ma hanno in comune che sono dirette a e hanno come effetto che la condotta degli Stati, delle organizzazioni internazionali, degli individui sia Influenzata da queste norme, comunque senza contenere diritti e obbligazioni internazionali. Appurato dunque che queste regole non hanno come scopo principale quello di porre in essere direttamente obbligazioni e diritti resta da analizzare quali siano gli scopi legali e i reali effetti che queste fonti atipiche nel panorama del diritto internazionale. Anzitutto, il soft law realizzato in termini di raccomandazione, implica che l’oggetto della regola di condotta scompare in un certo senso dalla giurisdizione domestica degli Stati e viene assoggettata alle relazioni internazionali. Secondo, il soft law potrà essere utilizzato come base per emanare una legislazione nazionale al fine di rendere effettiva la regola di condotta, e come una giustificazione per la corrispondente condotta degli Stati.206 Terzo, il soft law può provvedere a costituire una cornice legale per future discussioni e trattative tra gli stessi Stati o tra gli Stati e le organizzazioni internazionali. 206 Gli autori che mettono questa tra le funzioni e gli effetti del soft law, sottolineano comunque come, in ossequio ad un principio applicato anche nel diritto dei trattati, tutto questo si verifichi solo tra quegli Stati che abbiano accettato la regola di soft law mentre non possa trovare applicazione nei confronti di quegli Stati che vi si sono opposti. 17 Quarto, il soft law può creare l’aspettativa che la condotta degli Stati, organizzazioni internazionali e individui si conformeranno alle regole di condotta non ancora vincolanti in esso contenute. In questo caso non si può ancora parlare di obbligo, ma tuttavia di un impegno. Quinto, il soft law può, durante il processo di creazione del diritto vincolante, avere un effetto di legittimazione della condotta degli Stati fino a che la nuova normativa non sia entrata in vigore, con una grande importanza dell’elemento temporale. Sesto, quando il soft law viene creato da un’organizzazione internazionale le regole di condotta in esso contenute divengono obbligatorie per gli organi dell’organizzazione stessa. Settimo, il soft law può avere un effetto di sospensione sulla condotta dello Stato che non può essere ritenuta conforme, anche se non è stato ancora raggiunto la soglia dei diritti e obblighi vincolanti. Ultimo, il soft law può essere utilizzato come un mezzo di interpretazione delle previsioni delle norme di hard law, sia di una norma convenzionale che consuetudinaria. Alla luce di quanto elencato e delle considerazioni fatte l’assolutezza dell’affermazione della dottrina secondo cui il soft law in contrasto con l’hard law non può spingere sulla creazione, la forza, la modificazione o l’estinzione dei diritti e obbligazioni vincolanti del diritto internazionale pubblico che sono legalmente applicabili dovrebbe forse essere temperata. Certo è vero che il soft law quasi mai ha una efficacia ufficialmente riconosciuta e nelle gerarchie delle fonti, non ha la collocazione di un trattato internazionale o della consuetudine, ma se lasciamo il livello della teoria e dei principi e ci spostiamo sul livello della prassi, allora notiamo come pur non essendo dotato di una forza 18 ufficiale di norma obbligatoria, acquista tale forza attraverso la pratica degli Stati, delle organizzazioni internazionali, dei suoi organi, tutte le volte che essi ne fanno uso e si attengono alle regole di condotta in esso contenute. E’ poi da notare come la violazione di queste norme di condotta non si del tutto priva di una qualsivoglia sanzione. La pratica ha dimostrato come siano praticabili alcune misure per sostenere il soft law senza ricadere nelle sanzioni per le vere obbligazioni. Tra queste possono essere ricordate le consultazioni tra gli aderenti, rapporti, inchieste, ritorsioni, i meccanismi del non adimplendi non est adimplendunm e delle decisioni sulle dispute circa l’interpretazione delle norme di soft law. A volte possono essere le stesse fonti a prevedere le procedure da applicare nei casi di violazione. Giunti a questo punto viene ora da domandarsi quali possono essere i motivi di una sempre più diffusa tendenza da parte degli Stati a ricorrere all’uso di questo tipo di fonti preferendoli ad esempio ai trattati internazionali. Anzitutto si può dire che questo tipo di atti spesso sono utili per realizzare un compromesso tra la sovranità degli Stati e scopo degli atti stessi. Tutte le volte che vi sia la possibilità che vi siano conseguenze meno gravi in caso di violazioni di obbligazioni non vincolanti, gli Stati faranno questa scelta tutte le volte che vorranno creare una norma che influenzi il modus vivendi ma sentono la necessità di conservare una possibile scappatoia. Un altro motivo riguarda le questioni di posizione e di prestigio dello Stato. Gli Stati sono spesso costretti a fronteggiare fatti e a convivere con situazioni che non vorrebbero, ma essi non vogliono 19 riconoscerlo. Così essi sono disposti a riconoscerli in atti similari ma sono restii a farlo all’interno di un trattato. Questo ci conduce ad un altro motivo per cui gli Stati tendono ad adottare tale tipo di norme anziché altre: la difficoltà che si riscontrano nell’adozione di norme legali e vincolanti. Il processo di negoziazione che precede e accompagna la nascita dei trattati è molto lento207. Così come lento è certamente il processo di decisione interno a ciascun singolo Stato. Infine tale tipo di approccio può essere utile quando il potere di una agenzia governativa o di un rappresentante di più basso rango di rappresentare e vincolare lo Stato è dubbio a livello internazionale. Per cui si tende ad agire ad un livello più informale. 3. Il concetto di soft law nell’ambito dell’Unione Europea. Il concetto di soft law ha trovato applicazione anche all’interno del fenomeno dell’Unione Europea. L’Unione Europea ha in comune con le altre organizzazioni internazionali anche il fatto che essa possiede la competenza a disciplinare il suo stesso ordine legale, anche se la presenza di un vero e proprio potere legislativo e di una Corte di Giustizia per il controllo del mantenimento dell’ordine legale hanno fatto sì che essa abbia avuto uno sviluppo particolare. Infatti sia secondo espresse previsioni dei trattati che sulla pura base dei trattati pur senza che questi ne prevedessero l’emanazione sono stai emanati ad esempio: la relazione generale sull’attività dell’ente, pubblicata ogni anno dalla Commissione; il programma generale per la soppressione delle restrizioni in materia di libera circolazione dei servizi del 1961; il parere motivato emesso dalla 207 Ad esempio ci sono voluti diciassette anni per l’adozione del documento della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo sfociati in due Convenzioni per i diritti, e ci sono volti dieci anni prima che entrasse in vigore 20 Commissione per i casi di violazione di obblighi comunitari posti agli Stati membri208; il programma generale per l’eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi del 1969; la dichiarazione comune in materia di diritti dell’uomo; il programma d’azione in materia di tutela dell’ambiente; le comunicazioni della Commissione; le risoluzioni del Parlamento e della Commissione. Questo elenco, anche se non certamente esaustivo, rende utilmente l’idea di come anche nell’ambito particolare dell’Unione Europea l’utilizzo di fonti rientranti nell’ampio ombrello del soft law sia diffusissimo e a volte preferito agli atti di carattere vincolante previsti dagli stessi trattati istitutivi. La necessità e la desiderabilità del soft law comunitario è in parte determinato dalla valutazione che le istituzioni e gli Stati membri, nell’agire collettivamente o meno, sono capaci nella pratica ad interpretare e usare la legge dell’Unione. E’ anche vero che la presenza di un giudice della legalità limita a volte l’uso di questi strumenti. L’esistenza e l’importanza di questo tipo di atti non sembra poter essere messa in dubbio. Un implicito riconoscimento, deriva ad esempio dall’Atto riguardante le condizioni di adesione alla Comunità Europea del Regno Unito, Danimarca e Irlanda.209 Nell’articolo 2 di questo atto si parla di atti vincolanti per la parte che aderisce e si dice che i trattati istitutivi e le decisioni prese dalle istituzioni della Comunità sono obbligatori a partire dal momento dell’adesione. In una posizione differente vengono posti un'altra categoria di atti. Il primo paragrafo dell’articolo 3 parla di 208 Tutti gli atti elencati fin qui sono atti emessi sulla base di specifiche previsioni dei trattati istitutivi. Ad esempio il parere motivato si basa su una previsione dell’art. 226 del trattato CE. 209 Identico discorso può essere fatto per l’Atto di adesione della Grecia e con qualche differenza con quelli relativi a Spagna e Portogallo. 21 decisioni e accordi adottati dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in Consiglio così come ogni altro accordo concluso dagli Stati membri relativamente alle funzioni delle Comunità o connessi con le loro attività; il secondo di accordi ex art. 293; il terzo dice che i nuovi Stati membri sono nella stessa posizione degli Stati originari per ciò che riguarda le dichiarazioni, risoluzioni o altre posizioni presi dal Consiglio nel rispetto di quelli riguardanti le Comunità Europee adottate tramite accordi degli Stati membri. Il paragrafo continua dicendo che i nuovi Stati membri osserveranno i principi e le linee guida derivanti da quelle dichiarazioni, risoluzioni o altre posizioni e prenderanno tutte le misure necessarie per garantire la loro applicazione. Questo genere di atti menzionati in questo terzo paragrafo sembrano proprio corrispondere alle caratteristiche degli atti di soft law. J. P. Puissochet li descrive come una serie di strumenti che esprimono più un accordo politico che uno legale e comprendono tutti gli atti legali non obbligatori che possono differenziarsi tra loro per la forma, contenuti e le intenzioni delle parti; possono essere compiuti dalle istituzioni o dagli Stati membri e possono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità o destinati a non esserlo.210 Tralasciando un’elencazione e una classificazione secondo le forme, che verrà trattato più oltre, pare a questo punto interessante invece sottolineare quale può essere il contenuto di questi atti a partire dalla prassi. Anzitutto essi possono riguardare materie direttamente connesse 210 J. P. PUISSOCHET in L’élargissement des Communautés Européennes, présentation et commentaire du Traité et des Actes relatifs à l’adhesion du Royaume-Uni, du Danemark et de l’Irlande, Parigi, 1974, art. 189. 22 con il trattato istitutivo e rispetto alle quali l’Unione ha una competenza esclusiva. Secondo, materie che rientrano nell’oggetto del trattato ma per le quali l’Unione non ha una competenza esclusiva e nelle quali esiste un mero obbligo di coordinazione tra gli Stati membri. Terzo, materie che non appartengono esplicitamente all’oggetto del trattato ma che vi possono essere fatte rientrare tramite un’interpretazione estensiva e per le quali deve ancora essere deciso se ed in quale misura la disciplina debba essere fatta a livello di Unione o di Stati membri. Ancora materie che in teoria non coinvolgono gli obbiettivi del trattato ma che possono riguardarli in alcuni casi come per ciò che riguarda la Cooperazione Politica Europea. Come nel caso delle organizzazioni internazionali in generale, anche il soft law viene creato con degli scopi legali che possono essere sottolineati ed esemplificati. Primo, naturalmente il soft law espresso sotto forma di raccomandazioni ha come scopo quello di sottrarre quella materia alla giurisdizione domestica e portarla nell’ottica dell’interesse dell’Unione. Molte volte all’interno dell’unione tale tipo di atto viene utilizzato per creare e esercitare nuovi poteri in capo all’Unione o all’interno dei suoi organi. Secondo il soft law può servire come base per l’adozione di leggi nazionali emanate al fine di applicare le regole di condotta. Un buon esempio è il paragrafo 3 articolo 3 della Carta di annessione di Regno Unito, Danimarca e Irlanda dove si dice che lo stato adotterà tutte le misure necessarie a rendere effettiva la sua applicazione. Terzo il soft law provvede a fornire una struttura legale per le 23 future discussioni o trattative tra gli Stati o tra questi e le organizzazioni internazionali, con una più o meno spiccata forma programmatica. Questo effetto è legato agli atti delle Riunioni periodiche del Consiglio Europeo dal 1969 al 1964 e dalle decisioni del Consiglio Europeo. Quarto, il soft law crea l’aspettativa che la condotta degli Stati sia in conformità delle regole di condotta in esso contenute. Un esempio di questa funzione può essere dato dai programmi del Consiglio sulla politica economica a medio termine che “costituiscono linee guida per l’azione delle istituzioni dell’Unione e degli Stati membri.211 Quinto, durante il processo di creazione delle norme di hard law, il soft law può avere un legittimo effetto proibitivo o prescrittivo prima che tali norme siano entrate in vigore. Un esempio è rappresentato dalla decisione del Consiglio e dei rappresentanti del governo degli Stati membri sulla realizzazione dell’Unione economica e monetaria. Sesto, queste regole di condotta possono divenire obbligatorie per gli organi dell’organizzazione. Un esempio può essere la dichiarazione congiunta del Parlamento Europeo, Commissione e Consiglio sui diritti fondamentali del 5-4-1977.212 Ancora può avere l’effetto di sospensione di una condotta ritenuta non conforme dello Stato o di una delle istituzioni dell’Unione, anche se non si è ancora raggiunto un livello di obbligatorietà. Un chiaro esempio è fornito dall’accordo tra i rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in Consiglio sullo 211 Decisione del Consiglio del 15-4-1964 in occasione di un Comitato di Politica Economica a Medio Termine. 212 G.U.C.E., 1977, C-103. 24 status quo e notificazione alla Commissione del 28-5-1979. Infine il soft law può essere utilizzato come strumento di interpretazione delle norme di carattere obbligatorio come nel caso del così detto accordo di Lussemburgo che può essere considerato un mezzo di interpretazione dell’articolo 205 del Trattato sull’Unione. La presenza di una Core di giustizia e di diverse istituzioni ciascuna delle quali potenzialmente detentrice di un potere normativo e tutte quindi spesso in contrasto tra loro, fa sì che all’interno dell’Unione Europea proprio per la complessità di queste dinamiche, lo sviluppo e il ruolo del soft law vive vicende particolari, rispetto alla situazione analoga in una qualsiasi organizzazione internazionale. Emblematico dei processi che possono interessare questo tipo di atti è il caso affrontato come causa presso la Corte di giustizia dell’Unione Europea noto con il nome di caso Deufil. Si vedrà come in questo caso, come molte altre volte accade, vi è la presenza di un atto di soft law emanato dalla Commissione, questo atto viene esaminato dalla Corte e la conseguente decisione giudiziale influenza la prassi della Commissione sia relativamente allo stesso oggetto, sia nei termini più generali della prassi istituzionale. La causa 310/85213 nota con il nome di causa Deufil, riguardava alcune linee guida fornite dalla Commissione nella forma di un codice sugli aiuti di Stato all’industria tessile. Il ricorso era stato promosso in base all’art. 230, 2° comma del trattato CE, da un produttore di fibre sintetiche. L’attore domandava l’annullamento di una decisione della Commissione secondo la quale gli aiuti concessi a quest’ultimo, in base alla legge tedesca sui sussidi agli investimenti, nonché in base al programma regionale di aiuti 213 Corte di Giustizia, Deufil GmbH Co. Contro Commissione (causa 310-85), in Raccolta 1987, pag. 901. 25 congiunto Governo federale-Lander, erano illegali e avrebbero dovuto essere restituiti. Il codice sugli aiuti peraltro costituiva solo l’ultimo atto di una serie di misure adottate dalla Commissione nel settore tessile. Il 30 luglio 1971 la Commissione aveva rivolto agli Stati membri un memorandum intitolato “Il contenimento a livello comunitario degli aiuti all’industria tessile”. Nel 1977 essa redasse nuove linee guida rivolte agli Stati, con il titolo “Considerazioni sulla situazione attuale degli aiuti all’industria tessile e dell’abbigliamento”. Successivamente con una lettera del 19 luglio 1977, la Commissione notificò agli Stati membri un “codice sugli aiuti” relativo alle fibre e ai filati sintetici; il codice venne prorogato nel 1979, 1981 e 1983. Infine la Commissione il 4 luglio 1985 la Commissione informò gli Stati membri dell’intenzione di prorogare fino al luglio 1987 il sistema di controlli introdotto nel 1977, con un allargamento delle fibre a cui si riferiva. Il cambiamento di forma che ha interessato queste misure riflette il crescente interesse della Commissione per il mercato tessile. A mano a mano che l’opinione della Commissione su tale mercato si è fatta più pessimistica, il documento è evoluto dalla forma del memorandum, a quella delle linee giuda, e infine a quella di un codice sugli aiuti. Le misure hanno così teso gradualmente verso un sempre maggiore formalismo, obbligatorietà e legalismo, senza mai comunque assumere la forma di un atto giuridicamente vincolante, ma rimanendo sempre al livello di quello che abbiamo definito soft law. Peraltro la Commissione aveva sempre riconosciuto che, a dispetto del suo titolo formale, il documento non recava alcun pregiudizio alle disposizioni del trattato CE. Tuttavia era palese come nel concreto, le misure fornivano sempre più precise indicazioni agli Stati membri, 26 descrivevano le conseguenze specifiche delle azioni non conformi al loro contenuto ed enunciavano con estrema chiarezza i principi fondamentali della decisione della Commissione sugli aiuti statali al settore tessile. Nel 1983 il Governo federale tedesco e il Dipartimento della Renania del Nord Westfalia accordarono degli aiuti all’attore, non previamente notificati alla Commissione. Nel febbraio del 1984 il Governo federale informò quest’ultima dell’aiuto. La Commissione ritenne che tale aiuto costituisse violazione dell’art. 93 e nel luglio del 1985 emanò la decisione contestata. Gli argomenti addotti dalle parti si concentravano sull’interpretazione da dare al codice sugli aiuti e ai suoi effetti. L’attore asseriva di aver ricevuto l’aiuto sulla base di decisioni definitive e istruzioni precise, e di averlo utilizzato per convertire il proprio ramo di attività in prodotti non soggetti al codice. Secondo il suo punto di vista, l’aiuto doveva considerarsi ammissibile dal momento che i suoi prodotti non erano compresi nel codice. Egli affermava perciò che l’ordine della Commissione alla Germania di recuperare l’aiuto fosse contrario al principio del legittimo affidamento. Secondo il punto di vista della Commissione, condiviso alla fine dalla Corte di Giustizia, però, l’attore si era servito dell’aiuto per una normale opera di ammodernamento, anziché per la ristrutturazione. Non solo egli aveva incrementato la propria capacità produttiva per i filati in poliammide, che erano sempre stati coperti dal codice, ma aveva aumentato anche la sua capacità produttiva per le fibre in propilene che benché non soggette al codice all’epoca degli aiuti, si trovavano in una situazione di eccesso di offerta nell’ Unione. 27 Inoltre la Commissione non aveva mai considerato un tale tipo di operazione una ristrutturazione ai sensi del codice sugli aiuti. Importante è sottolineare come da queste argomentazioni si può notare come il signor Deufil sosteneva sostanzialmente che il suo modo di agire fosse lecito perché no nera vietato dal codice. Implicito in questa affermazione era il fatto che secondo l’attore il codice possedeva una propria stabilità normativa, se non addirittura una forza giuridicamente vincolante. La Commissione si era immediatamente opposta a tale argomento, sottolineando il fatto che se pure il comportamento dell’attore non era vietato dal codice non voleva dire che esso fosse stato lecito. In altre parole il soft law non è affatto diritto; esso può cambiare in ogni momento, poiché costituisce un semplice riflesso di una strategia politica mutevole. Inoltre ponendo l’accento sulla natura normativa del codice il signor Deufil sosteneva che l’autore di esso, cioè la Commissione, fosse vincolato dai suoi termini. A questo argomento la Commissione non si oppose in modo diretto, e si può pensare che questo sia stato dovuto agli ostacoli posti da una serie di pronunce precedenti della Corte di Giustizia214. La Commissione ha suggerito in questo caso che l’attore non aveva diritto a rivendicare un legittimo affidamento sulla possibilità di conservare l’aiuto, essenzialmente perché il suo interesse non era meritevole di tutela. Essa sostenne, tra l’altro, che l’attore sapeva che gli aiuti non avrebbero potuto essere concessi per tale scopo senza l’autorizzazione della Commissione. In breve anche se il 214 Il caso giuda era costituito dalla sentenza Commissione c. Consiglio, causa 81/72. Esso riguardava una decisione del Consiglio volta ad applicare per un periodo di tre anni un sistema specifico di liquidazione dei salari. L’Avvocato Generale Warner aveva affermato che la decisione poteva non avere alcun effetto giuridico, ma avrebbe dovuto essere considerata semplicemente una decisione politica e che essa per il diritto non era niente di più che “un filo sulla sabbia”. La Corte di giustizia, però ritenne che la decisione fosse vincolante per chi l’aveva emanata, e che quindi il Consiglio non potesse validamente emanare un regolamento che non fosse coerente con i suoi termini. 28 soft law poteva per l’interesse della controversia, essere ritenuto potenzialmente produttivo di effetti giuridici, non poteva comunque produrre alcun effetto di legge nelle circostanze attuali. Le contraddizioni implicite negli argomenti della Commissione non erano state discusse né dall’Avvocato Generale né dalla Corte; al contrario sia uno che l’altra convenivano sul fatto che il codice sugli aiuti non costituiva una deroga al trattato, che non era giuridicamente vincolante e che non rappresentava un fondamento autonomo per una decisione negativa della Commissione. Entrambi espressero queste loro convinzioni in modo diverso e con differenti implicazioni. L’Avvocato Generale Darmon ammetteva che il codice esprimesse la definizione della Commissione circa il generale interesse per il settore delle fibre sintetiche e, più in generale, per l’industria tessile. In tal modo, a suo parere, l’attore non poteva lamentare di non sapere che un investimento che gli avrebbe permesso di aumentare la produzione di queste fibre fosse contrario a questo interesse. Di conseguenza il codice non faceva sorgere alcun legittimo affidamento. Attribuendo una minore forza normativa al codice, la Corte invece dichiarava che il codice sugli aiuti forniva delle indicazioni generali le quali spiegavano la linea di condotta che la Commissione intendeva seguire e alle quali voleva che gli Stati si conformassero in merito al settore delle fibre e dei filati sintetici, ma il codice non derogava alle disposizioni degli artt. 87 e 88 del trattato, né avrebbe potuto farlo. Il codice non poteva ingenerare nelle imprese una legittima aspettativa, per cui esse potessero fare affidamento contro una disposizione emanata dalla Commissione all’indirizzo delle autorità nazionali. Invece di ammettere lo status normativo del codice 29 e dire all’attore che il suo interesse non era meritevole di tutela, la Corte accettava il punto di vista della Commissione circa il codice come dichiarazione politica. Di conseguenza, secondo la Corte, il codice sugli aiuti mirava probabilmente a definire l’esercizio della discrezionalità della Commissione riguardo ai prodotti in esso compresi. Esso però non poteva ostacolare la sua libertà di prendere decisioni, in base agli artt. 87 e 88, riguardo ai prodotti non coperti dal codice stesso. In altri termini , nel regno della politica, distinto da quello del diritto, quel che non è vietato non è necessariamente permesso. La Corte aveva quindi guardato attraverso le norme di soft law e aveva raggiunto, o per lo meno enunciato, la sua decisione sulla base di un diverso ed autonomo fondamento giuridico. Tuttavia la sua pronuncia ebbe effetti concreti circa la considerazione dello status del soft law. Il 22 dicembre 1988 infatti la Commissione emanò un codice di condotta simile al precedente sugli aiuti di stato per l’industria dei veicoli a motore. Questo codice fu preso molto sul serio da parte degli Stati suscitando una reazione formale da parte della Germania che dichiarò che non si sarebbe adeguata a tale codice. Interessante è la risposta della Commissione la quale, facendo riferimento alla sentenza Deufil, sosteneva di essere legittimata ad applicare nuove restrizioni ai piani di aiuto statali per l’affermazione della Corte che “uno schema sugli aiuti di stato di un particolare settore fornisce linee guida che spiegano la linea di condotta che la Commissione intende adottare e che richiede agli Stati membri di seguire nella concessione degli aiuti in questione.”215 215 Sentenza Deufil. 30 Trascurando che tale affermazione della Corte riguardava pur sempre un caso specifico, la Commissione interpretò la sentenza come se si riferisse non ad un esempio isolato di soft law, e ancora meno ad un settore particolare, ma piuttosto ad un modello esemplare e normativo di soft law. Generalizzando dal linguaggio usato dalla Corte nella sentenza Deufil, la Commissione in tal modo si è servita di tale sentenza per legittimare altri atti di soft law, vale a dire l’adozione di analoghi codici in altri settori. Se poi consideriamo che successivamente sulla base di quest’ultimo codice, cioè sulla base di un atto di soft law, nel 1990 fu adottata una decisione ex art. 249 trattato CE, allora è facile affermare come quando si parla di questi atti atipici sia a livello generico di organizzazioni internazionali, che ancor di più a livello specifico di Unione Europea, non è mai adeguato fare affermazioni di tipo assoluto come quella esposta all’inizio di questo capitolo per cui il soft law non avrebbe efficacia vincolante in alcun caso. La trattazione di questo caso davanti alla Corte di giustizia e gli sviluppi successivi alla sua pronuncia dimostrano come le potenzialità, e gli effetti concreti di questo tipo di atti siano tutt’altro che semplici o scontati. 31