capitolo i - Diritto.it

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CAPITOLO I:
IL CONCETTO DI FONTI ATIPICHE NELLE
ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E IL CONCETTO DI
SOFT LAW
SOMMARIO: 1. Premessa;
-
internazionali e soft law;
2. Fonti atipiche nelle organizzazioni
-
3. Il concetto di soft law nell’ambito
dell’Unione Europea.
1. Premessa.
E’ forse opportuno affrontare il fenomeno delle fonti atipiche
preliminarmente da un punto di vista più generale, quello delle
organizzazioni internazionali, ambito nel quale rientra come elemento
particolare l’organismo dell’Unione Europea.
Tuttavia, spesso, in dottrina si rinvengono discussioni sulla
natura giuridica dell’Unione Europea ed in particolare se si tratti di
una vera e propria organizzazione internazionale (ossia di una
organizzazione tra Stati sovrani che trae dal diritto internazionale,
attraverso il trattato istitutivo, i suoi poteri) oppure di un embrione di
Stato
federale
caratterizzato
dall’erosione,
nelle
materie
di
competenza dell’Unione, delle sovranità statali.
Senza dubbio l’Unione Europea presenta elementi che non si
riscontrano in alcun altra Organizzazione Internazionale, come gli
ampi poteri decisionali attribuiti ai loro organi, la sua sostituzione agli
Stati membri nella disciplina di molti rapporti puramente interni a
questi ultimi, l’esistenza di una Corte di Giustizia destinata controllare
la conformità ai trattati istitutivi dei comportamenti degli organi e
degli Stati membri.
Contemporaneamente però tra i principi di diritto dell’Unione
8
Europea, così come delineati dai trattati istitutivi ma ancor più come
essi si sono venuti affermando nella prassi sia dell’Unione che interna
agli Stati membri, ve ne sono alcuni che sono propri del vincolo
federale, primo fra tutti il principio della prevalenza del diritto
dell’Unione sul diritto interno degli Stati.
Ciò nonostante l’Unione Europea resta, allo stato attuale delle
cose, una organizzazione internazionale sia pure altamente sofisticata,
non potendo considerarsi la sovranità degli Stati membri degradata,
neppure nelle materie di competenza dell’Unione, ad autonomia. Il
fatto poi che nella più importante tra le Comunità che costituiscono il
primo pilastro dell’Unione, la CE, il centro del potere decisionale sia
costituito, allo stato attuale delle cose, dagli Esecutivi nazionali (cosa
che caratterizza le Organizzazioni Internazionali) rafforza questo
convincimento.190
Chiarito dunque che l’Unione Europea, pur con le sue
peculiarità,
si
presenta
pur
sempre
come
un’organizzazione
internazionale almeno a livello teorico, bisogna ora considerare la
questione delle fonti o atti atipici dapprima nella generalità delle
organizzazioni internazionali.
2. Fonti atipiche nelle organizzazioni internazionali e soft law.
Quando ci si accinge a parlare di questi enti che operano nella
comunità internazionale, l’esperienza ci porta ad osservare come nei
casi più complessi, essi siano organizzati in modo quasi analogo allo
Stato e svolgano le funzioni essenziali di questo: la funzione
normativa,
la
funzione
esecutiva,
190
nonché
la
funzione
Tra la dottrina più autorevole si ritrovano pareri discordanti in merito. Per opinioni conformi a
quelle riportate nel testo si vedano tra gli altri R. MONACO in Scritti di Diritto delle
Organizzazioni Internazionali, Torino, 1981, G. BISCOTTINI in Il diritto delle Organizzazioni
Internazionali parte I: La teoria delle Organizzazioni, Padova, 1981, B: CONFORTI in Diritto
Internazionale, Napoli, 1999.
9
giurisdizionale.191
Per quanto trattato in questa sede ciò che ci riguarda è
esclusivamente la funzione normativa. Essa denota un notevole grado
di sviluppo dell’ordinamento dell’ente, e perciò si rinviene negli
ordinamenti maggiormente complessi.
Di norma la possibilità che l’ente ponga direttamente norme
giuridiche volte a costituire il proprio ordinamento, si concreta rispetto
ai rapporti interni dell’ente. Si parla quindi innanzi tutto di una
normazione interna. Ma in taluni casi appartiene anche all’ente la
facoltà di emettere norme giuridiche non nei riguardi del proprio
ordinamento interno, bensì all’esterno di esso.
Si può quindi parlare di autonomia192 normativa interna ed
esterna a seconda che essa si esplichi nei riguardi degli organi e della
struttura interna dell’ente, oppure operi con efficacia rilevante anche
rispetto ad ordinamenti diversi.
Gli atti a rilevanza interna possono essere considerati
espressione del potere di autoregolamentazione degli organi di ogni
organizzazione internazionale. Detto potere è previsto in quasi tutti i
trattati istitutivi e può ritenersi implicito negli altri casi.193 Così gli
organi di un’organizzazione internazionale possono porre in essere atti
che dettano regole per il loro funzionamento194 oppure che incidono
sulla struttura delle Organizzazioni stesse.195
191
Va sottolineato come le funzioni tipiche dello Stato che sono indicate, vanno riferite ad un
ordinamento giuridico determinato, cioè a quello di un determinato ente internazionale. Diversa è
la questione se l’ordinamento internazionale in sé e per sé e nel suo complesso abbia queste
funzioni. La soluzione a quest’ultimo problema pare essere per la maggiore dottrina negativa.
192
O più correttamente forse di funzione.
193
Di questa opinione sono in dottrina tra gli altri R. MONACO in ult. cit.; C. ZANGHI’ in Diritto
delle Organizzazioni Internazionali, Torino, 2001.
194
In questa categoria rientrano i regolamenti interni degli organi deliberanti, i regolamenti
finanziari, le regole sulle condizioni di gestione dei locali dove risiede l’organizzazione.
195
In questa categoria vi rientrano ad esempio le delibere per l’ammissione di nuovi membri o
quelle che istituiscono organi sussidiari.
10
Gli atti a rilevanza esterna sono tutti quegli atti delle
organizzazioni internazionali destinati a produrre effetti giuridici nei
confronti degli altri soggetti giuridici internazionali come gli Stati
ovvero le altre unioni internazionali. Spesso per ciò che riguarda
questa categoria si usa distinguere tra atti vincolanti e atti non
vincolanti a seconda dell’intensità e dell’efficacia con cui gli effetti
giuridici si producono nei confronti dei soggetti giuridici ai quali sono
destinati.
Per ciò che riguarda gli atti vincolanti osservando il panorama
internazionale, si può notare che nell’ambito delle organizzazioni
internazionali il potere di emanare atti di questo genere è piuttosto
limitato e di rado è implicito. Generalmente tale potere si riscontra
nelle organizzazioni di carattere tecnico anche se non mancano
importanti eccezioni. Un esempio è fornito ad esempio dall’art. 41
della Carta delle Nazioni Unite secondo cui – il Consiglio di Sicurezza
può decidere quali misure, non implicanti l’uso della forze armate,
debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può
invitare i membri delle NU ad applicare tali misure – .
Forse le uniche organizzazioni internazionali alle quali è
riconosciuto un vero potere di emanare atti vincolanti per gli Stati
membri, sono le Comunità Europee che a norma dell’art. 249 del
trattato CE196 - per l’assolvimento dei loro compiti – possono adottare
regolamenti, decisioni, direttive197.
Più diffusi e variegati sono gli atti ad efficacia non vincolante, i
quali pur non essendo dotati di tale tipo di efficacia, svolgono un ruolo
determinante nell’elaborazione e nello sviluppo progressivo del diritto
196
Disposizioni simili sono presenti anche nel trattato CECA (art. 14) ed EURATOM (art. 161).
Oltre che “pareri e raccomandazioni” che però non hanno efficacia vincolante. Nel trattato
CECA si parla invece di “decisioni generali, raccomandazioni e decisioni individuali”.
197
11
internazionale, considerando l’influenza che essi possono esercitare
sul processo di formazione delle regole consuetudinarie. Le
indicazioni in essi contenute possono diventare delle vere e proprie
norme di diritto internazionale qualora corrispondano alla pratica degli
Stati e siano accompagnate dalla opinio juris.
Gli atti con cui questa pratica viene esplicitata assumono nella
pratica diversi nomi, dichiarazioni, raccomandazioni, risoluzioni; ma
se si escludono minime differenze tra loro che possono riguardare i
modi di adozione, i soggetti a cui sono riferiti sono quasi sempre da
soli incapaci di produrre l’effetto giuridico della vincolatività o
obbligatorietà in capo ai soggetti ai quali si riferiscono o sono
indirizzati. Peraltro essi non sono del tutto privi di alcun effetto
giuridico.
Ad
esempio
parte
della
dottrina
ritiene
che
le
raccomandazioni, pur non essendo vincolanti, sono suscettibili di una
particolare conseguenza giuridica denominata “effetto di liceità”, in
base al quale lo Stato che contravvenga a precedenti obblighi derivanti
da
norme
consuetudinarie
o
patrizie
per
rispettare
una
raccomandazione di un organo internazionale non commette illecito
internazionale.198
Proprio ponendo l’attenzione su questa ultima categoria di atti,
dobbiamo osservare come, all’interno di ciascuna organizzazione
internazionale, la funzione normativa così come descritta oltre a
trovare sbocco in una serie di atti tipici, nel senso di atti che trovano
12
–, si concretizza nella adozione di numerosi atti cosiddetti “atipici”.
L’emanazione di questa tipologia di atti può essere prevista dal
trattato istitutivo, ma: o in via residuale rispetto alla previsione di atti
tipici contenuta in una norma generale del trattato sulle fonti199; o in
via secondaria rispetto ai diversi atti tipici, principali, la cui disciplina
sia contemplata da varie norme del trattato.200 Oppure non se ne
riscontra alcuna espressa previsione nelle disposizioni istitutive
dell’ente, e tuttavia se ne può constatare l’emanazione accanto a
quella di atti che egualmente possono non essere previsti dal trattato
ma assumere forme tipiche, come sono quelle ad esempio di un
regolamento di autoorganizzazione.
Se si osserva la prassi delle organizzazioni internazionali, si può
notare come non sia mancata certo di creatività, riguardo alle forme,
alla
nomenclatura,
al
contenuto
di
questo
tipo
di
atti.
Nell’impossibilità di compilare un elenco completo, qui si vogliono
tuttavia dare alcuni esempi in tale ambito relativamente ai tipi di atti di
più frequente utilizzo. Si possono perciò citare:
 Risoluzioni: è il tipico atto attraverso il quale
l’organizzazione internazionale tende ad indurre gli Stati
a mantenere un determinato comportamento. Spesso
hanno un contenuto più preciso e sono utilizzate per
codificare una prassi preesistente, altre volte hanno un
contenuto vago e oscuro e vengono usate per proclamare
obbiettivi e principi;
 Codici di condotta: sono atti non diretti verso gli Stati
ma verso le persone fisiche o giuridiche volti a dare loro
199
200
E’ questo il caso delle Comunità Europee con la presenza dell’art. 249.
Questo è invece il caso delle Nazioni Unite.
13
regole di condotta da seguire nello svolgimento delle loro
attività;
 Atti che hanno la forma di trattati: sono tutti quegli atti
per la creazione dei quali vengono scelte forme e
procedure che difficilmente si possono distinguere da
quelle utilizzate normalmente per la stipulazione dei
trattati, ma che in realtà non contengono diritti od
obbligazioni di diritto internazionale pubblico;201
 Comunicazioni
o
dichiarazioni
congiunte:
costituiscono la formalizzazione dei risultati di incontri e
discussioni, firmata da Stati e organizzazioni partecipanti;
 Accordi leali: il loro scopo è quello di formare una
cornice normativa entro la quale iscrivere le relazioni
intercorrenti tra gli Stati senza che gli stessi diano al loro
accordo la forma di un trattato. Sostanzialmente si tratta
di due o più dichiarazioni reciproche con l’intenzione di
creare un aspettativa di azione senza creare dritti legali od
obbligazioni.
Con riguardo a questa varietà di atti la dottrina ha elaborato il
concetto di “soft law”.202
Il concetto di soft law apparve nell’ambito del diritto
internazionale pubblico all’inizio degli anni settanta quando il
richiamo di un nuovo ordine economico internazionale aveva
201
Un buon esempio di atto rientrante in questa categoria è rappresentato dall’ Atto Finale di
Helsinki.
202
Per il concetto di soft law si possono vedere K. C. WELLENS e G. M. BORCHARDT: Soft law
in European Community law, in European Law Review, 1989, pp. 267-321; F. SNYDER: Soft law
e prassi istituzionale nella Comunità Europea, in Sociologia del diritto, 1993, pp. 79-109; A.
TAMMES: Soft law, in Essays on international and comparative law in honour of judge Erades,
1983, pp. 187-195.
14
accelerato le riflessioni sulle fonti del diritto con particolare riguardo a
due problemi che si erano posti all’attenzione degli addetti ai lavori.
Anzitutto al marcato utilizzo delle risoluzioni da parte delle
organizzazioni internazionali, non corrispondeva una loro menzione
tra le fonti di diritto internazionale pubblico all’interno dell’art. 38
dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Secondariamente
la sempre più marcata inadeguatezza del diritto consuetudinario a
soddisfare le crescenti esigenze della comunità internazionale.
Ma è nei primi anni ottanta che questo concetto trova una larga
diffusione. Si verifica infatti un irrefrenabile ricorso da parte degli
Stati a strumenti internazionali di diverse forme che tuttavia non
vengono mai modellati sulla figura del trattato. Si pongono come una
sorta di fonte alternativa rispetto ai trattati. L’esempio che si è soliti
riportare è quello dell’Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e
la Cooperazione in Europa.
Almeno in questi primi anni il concetto di soft law trova
numerosi oppositori tra gli studiosi di diritto internazionale i quali
sostenevano che non fosse opportuno parlare di una tale categoria di
fonti perché questo avrebbe reso gli Stati ancora meno propizi a
produrre norme tramite fonti classiche di diritto internazionale
pubblico come i trattati.
Dare una definizione unitaria e esaustiva delle fonti di soft law è
molto difficile considerando la moltitudine di fenomeni che si possono
raggruppare sotto questo concetto.
La dottrina ha quasi sempre elaborato definizioni basato sulla
funzione che veniva assegnata ai vari atti dai loro autori.
Forse si può dire che il termine soft law è un grosso ombrello
che ricopre diversi fenomeni normativi che mostrano le caratteristiche
15
della legge perché in qualche modo influenzano e restringono la
volontà e la libertà dei loro destinatari, ma che dall’altro lato non
stabiliscono una vera e propria obbligazione internazionale, lasciando
spazio solo ad una “soft obligation”.203
L’uso di questo concetto si può quindi ridurre a due tipi di
situazione: “a. Quando non c’è assunzione di alcun reale obbligo; b.
Quando nessuna delle condizioni che rendono il modello di condotta
quello di un’obbligazione vincolante sono soddisfatte”, anche se non
è totalmente corretto parlare di norme non sanzionate. Il soft law si
distingue infatti per una forza giuridica attenuata che presenta una
legittimità internazionale che difficilmente può essere negata204.
Sebbene la varietà di forme sia la caratteristica principale del
soft law secondo la dottrina è possibile mettere in risalto alcuni
elementi comuni a tutti gli atti e le fonti che possono essere riassunte
sotto questa ampia categoria.
Un primo elemento che merita di essere sottolineato è quello
per cui queste fonti si presentano sotto una forma quasi incompiuta
rispetto ad una normale regola di diritto, con contenuti spesso
imprecisi e scopi vaghi. Sembrano avere più natura di programmi che
di norme.
Il secondo elemento riguarda il contenuto del soft law che
consiste in norme di differente natura ma che non creano diritti e
obbligazioni applicabili, in contrasto con le norme dei trattati per cui
gli stati hanno un aspettativa che siano eseguite e rispettate205, anche
se si deve parlare di “qualcosa di più che legge senza alcuna
obbligazione”.
203
Questa è anche la definizione data da A. TAMMES in ult. cit.
Questa è la caratteristica che G. FEUER in Les différentes catégoires de pays en
développement. Genèse, Evolution, Statut,JDI, 1982 a p. 5-54 (p.8),attribuisce al soft law.
205
R. BAXTER in International Law in her infinite variety, in I.C.L.Q. n.29, 1980, p. 549.
204
16
Il soft law consiste, insomma, in regole di condotta poste su un
livello di non obbligatorietà, nel senso di applicabile e sanzionabile
attraverso una responsabilità internazionale, ma che secondo le
intenzioni dei suoi autori in realtà possiedono uno scopo legale , che
deve essere più precisamente definito in ogni singolo caso.
Siffatte regole non hanno tutte uno standard uniforme di
intensità, che dipende appunto dal loro scopo legale, ma hanno in
comune che sono dirette a e hanno come effetto che la condotta degli
Stati, delle organizzazioni internazionali, degli individui sia
Influenzata da queste norme, comunque senza contenere diritti e
obbligazioni internazionali.
Appurato dunque che queste regole non hanno come scopo
principale quello di porre in essere direttamente obbligazioni e diritti
resta da analizzare quali siano gli scopi legali e i reali effetti che
queste fonti atipiche nel panorama del diritto internazionale.
Anzitutto, il soft law realizzato in termini di raccomandazione,
implica che l’oggetto della regola di condotta scompare in un certo
senso dalla giurisdizione domestica degli Stati e viene assoggettata
alle relazioni internazionali.
Secondo, il soft law potrà essere utilizzato come base per
emanare una legislazione nazionale al fine di rendere effettiva la
regola di condotta, e come una giustificazione per la corrispondente
condotta degli Stati.206
Terzo, il soft law può provvedere a costituire una cornice legale
per future discussioni e trattative tra gli stessi Stati o tra gli Stati e le
organizzazioni internazionali.
206
Gli autori che mettono questa tra le funzioni e gli effetti del soft law, sottolineano comunque
come, in ossequio ad un principio applicato anche nel diritto dei trattati, tutto questo si verifichi
solo tra quegli Stati che abbiano accettato la regola di soft law mentre non possa trovare
applicazione nei confronti di quegli Stati che vi si sono opposti.
17
Quarto, il soft law può creare l’aspettativa che la condotta degli
Stati, organizzazioni internazionali e individui si conformeranno alle
regole di condotta non ancora vincolanti in esso contenute. In questo
caso non si può ancora parlare di obbligo, ma tuttavia di un impegno.
Quinto, il soft law può, durante il processo di creazione del
diritto vincolante, avere un effetto di legittimazione della condotta
degli Stati fino a che la nuova normativa non sia entrata in vigore, con
una grande importanza dell’elemento temporale.
Sesto, quando il soft law viene creato da un’organizzazione
internazionale le regole di condotta in esso contenute divengono
obbligatorie per gli organi dell’organizzazione stessa.
Settimo, il soft law può avere un effetto di sospensione sulla
condotta dello Stato che non può essere ritenuta conforme, anche se
non è stato ancora raggiunto la soglia dei diritti e obblighi vincolanti.
Ultimo, il soft law può essere utilizzato come un mezzo di
interpretazione delle previsioni delle norme di hard law, sia di una
norma convenzionale che consuetudinaria.
Alla luce di quanto elencato e delle considerazioni fatte
l’assolutezza dell’affermazione della dottrina secondo cui il soft law in
contrasto con l’hard law non può spingere sulla creazione, la forza, la
modificazione o l’estinzione dei diritti e obbligazioni vincolanti del
diritto internazionale pubblico che sono legalmente applicabili
dovrebbe forse essere temperata.
Certo è vero che il soft law quasi mai
ha una efficacia
ufficialmente riconosciuta e nelle gerarchie delle fonti, non ha la
collocazione di un trattato internazionale o della consuetudine, ma se
lasciamo il livello della teoria e dei principi e ci spostiamo sul livello
della prassi, allora notiamo come pur non essendo dotato di una forza
18
ufficiale di norma obbligatoria, acquista tale forza attraverso la pratica
degli Stati, delle organizzazioni internazionali, dei suoi organi, tutte le
volte che essi ne fanno uso e si attengono alle regole di condotta in
esso contenute.
E’ poi da notare come la violazione di queste norme di condotta
non si del tutto priva di una qualsivoglia sanzione. La pratica ha
dimostrato come siano praticabili alcune misure per sostenere il soft
law senza ricadere nelle sanzioni per le vere obbligazioni. Tra queste
possono essere ricordate le consultazioni tra gli aderenti, rapporti,
inchieste, ritorsioni, i meccanismi del non adimplendi non est
adimplendunm e delle decisioni sulle dispute circa l’interpretazione
delle norme di soft law.
A volte possono essere le stesse fonti a prevedere le procedure
da applicare nei casi di violazione.
Giunti a questo punto viene ora da domandarsi quali possono
essere i motivi di una sempre più diffusa tendenza da parte degli Stati
a ricorrere all’uso di questo tipo di fonti preferendoli ad esempio ai
trattati internazionali.
Anzitutto si può dire che questo tipo di atti spesso sono utili per
realizzare un compromesso tra la sovranità degli Stati e scopo degli
atti stessi. Tutte le volte che vi sia la possibilità che vi siano
conseguenze meno gravi in caso di violazioni di obbligazioni non
vincolanti, gli Stati faranno questa scelta tutte le volte che vorranno
creare una norma che influenzi il modus vivendi ma sentono la
necessità di conservare una possibile scappatoia.
Un altro motivo riguarda le questioni di posizione e di prestigio
dello Stato. Gli Stati sono spesso costretti a fronteggiare fatti e a
convivere con situazioni che non vorrebbero, ma essi non vogliono
19
riconoscerlo. Così essi sono disposti a riconoscerli in atti similari ma
sono restii a farlo all’interno di un trattato.
Questo ci conduce ad un altro motivo per cui gli Stati tendono
ad adottare tale tipo di norme anziché altre: la difficoltà che si
riscontrano nell’adozione di norme legali e vincolanti. Il processo di
negoziazione che precede e accompagna la nascita dei trattati è molto
lento207. Così come lento è certamente il processo di decisione interno
a ciascun singolo Stato.
Infine tale tipo di approccio può essere utile quando il potere di
una agenzia governativa o di un rappresentante di più basso rango di
rappresentare e vincolare lo Stato è dubbio a livello internazionale.
Per cui si tende ad agire ad un livello più informale.
3. Il concetto di soft law nell’ambito dell’Unione Europea.
Il concetto di soft law ha trovato applicazione anche all’interno
del fenomeno dell’Unione Europea. L’Unione Europea ha in comune
con le altre organizzazioni internazionali anche il fatto che essa
possiede la competenza a disciplinare il suo stesso ordine legale,
anche se la presenza di un vero e proprio potere legislativo e di una
Corte di Giustizia per il controllo del mantenimento dell’ordine legale
hanno fatto sì che essa abbia avuto uno sviluppo particolare.
Infatti sia secondo espresse previsioni dei trattati che sulla pura
base dei trattati pur senza che questi ne prevedessero l’emanazione
sono stai emanati ad esempio: la relazione generale sull’attività
dell’ente, pubblicata ogni anno dalla Commissione; il programma
generale per la soppressione delle restrizioni in materia di libera
circolazione dei servizi del 1961; il parere motivato emesso dalla
207
Ad esempio ci sono voluti diciassette anni per l’adozione del documento della Dichiarazione
Universale dei diritti dell’Uomo sfociati in due Convenzioni per i diritti, e ci sono volti dieci anni
prima che entrasse in vigore
20
Commissione per i casi di violazione di obblighi comunitari posti agli
Stati membri208; il programma generale per l’eliminazione degli
ostacoli tecnici agli scambi del 1969; la dichiarazione comune in
materia di diritti dell’uomo; il programma d’azione in materia di
tutela dell’ambiente; le comunicazioni della Commissione; le
risoluzioni del Parlamento e della Commissione.
Questo elenco, anche se non certamente esaustivo, rende
utilmente l’idea di come anche nell’ambito particolare dell’Unione
Europea l’utilizzo di fonti rientranti nell’ampio ombrello del soft law
sia diffusissimo e a volte preferito agli atti di carattere vincolante
previsti dagli stessi trattati istitutivi.
La necessità e la desiderabilità del soft law comunitario è in
parte determinato dalla valutazione che le istituzioni e gli Stati
membri, nell’agire collettivamente o meno, sono capaci nella pratica
ad interpretare e usare la legge dell’Unione. E’ anche vero che la
presenza di un giudice della legalità limita a volte l’uso di questi
strumenti.
L’esistenza e l’importanza di questo tipo di atti non sembra
poter essere messa in dubbio. Un implicito riconoscimento, deriva ad
esempio dall’Atto riguardante le condizioni di adesione alla Comunità
Europea del Regno Unito, Danimarca e Irlanda.209
Nell’articolo 2 di questo atto si parla di atti vincolanti per la
parte che aderisce e si dice che i trattati istitutivi e le decisioni prese
dalle istituzioni della Comunità sono obbligatori a partire dal
momento dell’adesione. In una posizione differente vengono posti
un'altra categoria di atti. Il primo paragrafo dell’articolo 3 parla di
208
Tutti gli atti elencati fin qui sono atti emessi sulla base di specifiche previsioni dei trattati
istitutivi. Ad esempio il parere motivato si basa su una previsione dell’art. 226 del trattato CE.
209
Identico discorso può essere fatto per l’Atto di adesione della Grecia e con qualche differenza
con quelli relativi a Spagna e Portogallo.
21
decisioni e accordi adottati dai rappresentanti dei governi degli Stati
membri, riuniti in Consiglio così come ogni altro accordo concluso
dagli Stati membri relativamente alle funzioni delle Comunità o
connessi con le loro attività; il secondo di accordi ex art. 293; il terzo
dice che i nuovi Stati membri sono nella stessa posizione degli Stati
originari per ciò che riguarda le dichiarazioni, risoluzioni o altre
posizioni presi dal Consiglio nel rispetto di quelli riguardanti le
Comunità Europee adottate tramite accordi degli Stati membri. Il
paragrafo continua dicendo che i nuovi Stati membri osserveranno i
principi e le linee guida derivanti da quelle dichiarazioni, risoluzioni o
altre posizioni e prenderanno tutte le misure necessarie per garantire la
loro applicazione.
Questo genere di atti
menzionati in questo terzo paragrafo
sembrano proprio corrispondere alle caratteristiche degli atti di soft
law.
J. P. Puissochet li descrive come una serie di strumenti che
esprimono più un accordo politico che uno legale e comprendono tutti
gli atti legali non obbligatori che possono differenziarsi tra loro per la
forma, contenuti e le intenzioni delle parti; possono essere compiuti
dalle istituzioni o dagli Stati membri e possono essere pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità o destinati a non esserlo.210
Tralasciando un’elencazione e una classificazione secondo le
forme, che verrà trattato più oltre, pare a questo punto interessante
invece sottolineare quale può essere il contenuto di questi atti a partire
dalla prassi.
Anzitutto essi possono riguardare materie direttamente connesse
210
J. P. PUISSOCHET in L’élargissement des Communautés Européennes, présentation et
commentaire du Traité et des Actes relatifs à l’adhesion du Royaume-Uni, du Danemark et de
l’Irlande, Parigi, 1974, art. 189.
22
con il trattato istitutivo e rispetto alle quali l’Unione ha una
competenza esclusiva.
Secondo, materie che rientrano nell’oggetto del trattato ma per
le quali l’Unione non ha una competenza esclusiva e nelle quali esiste
un mero obbligo di coordinazione tra gli Stati membri.
Terzo, materie che non appartengono esplicitamente all’oggetto
del trattato ma che vi possono essere fatte rientrare tramite
un’interpretazione estensiva e per le quali deve ancora essere deciso se
ed in quale misura la disciplina debba essere fatta a livello di Unione o
di Stati membri.
Ancora materie che in teoria non coinvolgono gli obbiettivi del
trattato ma che possono riguardarli in alcuni casi come per ciò che
riguarda la Cooperazione Politica Europea.
Come nel caso delle organizzazioni internazionali in generale,
anche il soft law viene creato con degli scopi legali che possono essere
sottolineati ed esemplificati.
Primo, naturalmente il soft law espresso sotto forma di
raccomandazioni ha come scopo quello di sottrarre quella materia alla
giurisdizione
domestica
e
portarla
nell’ottica
dell’interesse
dell’Unione. Molte volte all’interno dell’unione tale tipo di atto viene
utilizzato per creare e esercitare nuovi poteri in capo all’Unione o
all’interno dei suoi organi.
Secondo il soft law può servire come base per l’adozione di
leggi nazionali emanate al fine di applicare le regole di condotta. Un
buon esempio è il paragrafo 3 articolo 3 della Carta di annessione di
Regno Unito, Danimarca e Irlanda dove si dice che lo stato adotterà
tutte le misure necessarie a rendere effettiva la sua applicazione.
Terzo il soft law provvede a fornire una struttura legale per le
23
future discussioni o trattative tra gli Stati o tra questi e le
organizzazioni internazionali, con una più o meno spiccata forma
programmatica. Questo effetto è legato agli atti delle Riunioni
periodiche del Consiglio Europeo dal 1969 al 1964 e dalle decisioni
del Consiglio Europeo.
Quarto, il soft law crea l’aspettativa che la condotta degli Stati
sia in conformità delle regole di condotta in esso contenute. Un
esempio di questa funzione può essere dato dai programmi del
Consiglio sulla politica economica a medio termine che “costituiscono
linee guida per l’azione delle istituzioni dell’Unione e degli Stati
membri.211
Quinto, durante il processo di creazione delle norme di hard
law, il soft law può avere un legittimo effetto proibitivo o prescrittivo
prima che tali norme siano entrate in vigore. Un esempio è
rappresentato dalla decisione del Consiglio e dei rappresentanti del
governo degli Stati membri sulla realizzazione dell’Unione economica
e monetaria.
Sesto, queste regole di condotta possono divenire obbligatorie
per gli organi dell’organizzazione. Un esempio può essere la
dichiarazione congiunta del Parlamento Europeo, Commissione e
Consiglio sui diritti fondamentali del 5-4-1977.212
Ancora può avere l’effetto di sospensione di una condotta
ritenuta non conforme dello Stato o di una delle istituzioni
dell’Unione, anche se non si è ancora raggiunto un livello di
obbligatorietà. Un chiaro esempio è fornito dall’accordo tra i
rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in Consiglio sullo
211
Decisione del Consiglio del 15-4-1964 in occasione di un Comitato di Politica Economica a
Medio Termine.
212
G.U.C.E., 1977, C-103.
24
status quo e notificazione alla Commissione del 28-5-1979.
Infine il soft law può essere utilizzato come strumento di
interpretazione delle norme di carattere obbligatorio come nel caso del
così detto accordo di Lussemburgo che può essere considerato un
mezzo di interpretazione dell’articolo 205 del Trattato sull’Unione.
La presenza di una Core di giustizia e di diverse istituzioni
ciascuna delle quali potenzialmente detentrice di un potere normativo
e tutte quindi spesso in contrasto tra loro, fa sì che all’interno
dell’Unione Europea proprio per la complessità di queste dinamiche,
lo sviluppo e il ruolo del soft law vive vicende particolari, rispetto alla
situazione analoga in una qualsiasi organizzazione internazionale.
Emblematico dei processi che possono interessare questo tipo di
atti è il caso affrontato come causa presso la Corte di giustizia
dell’Unione Europea noto con il nome di caso Deufil.
Si vedrà come in questo caso, come molte altre volte accade, vi
è la presenza di un atto di soft law emanato dalla Commissione, questo
atto viene esaminato dalla Corte e la conseguente decisione giudiziale
influenza la prassi della Commissione sia relativamente allo stesso
oggetto, sia nei termini più generali della prassi istituzionale.
La causa 310/85213 nota con il nome di causa Deufil, riguardava
alcune linee guida fornite dalla Commissione nella forma di un codice
sugli aiuti di Stato all’industria tessile.
Il ricorso era stato promosso in base all’art. 230, 2° comma del
trattato CE, da un produttore di fibre sintetiche. L’attore domandava
l’annullamento di una decisione della Commissione secondo la quale
gli aiuti concessi a quest’ultimo, in base alla legge tedesca sui sussidi
agli investimenti, nonché in base al programma regionale di aiuti
213
Corte di Giustizia, Deufil GmbH Co. Contro Commissione (causa 310-85), in Raccolta 1987,
pag. 901.
25
congiunto Governo federale-Lander, erano illegali e avrebbero dovuto
essere restituiti.
Il codice sugli aiuti peraltro costituiva solo l’ultimo atto di una
serie di misure adottate dalla Commissione nel settore tessile. Il 30
luglio 1971 la Commissione aveva rivolto agli Stati membri un
memorandum intitolato “Il contenimento a livello comunitario degli
aiuti all’industria tessile”. Nel 1977 essa redasse nuove linee guida
rivolte agli Stati, con il titolo “Considerazioni sulla situazione attuale
degli aiuti all’industria tessile e dell’abbigliamento”. Successivamente
con una lettera del 19 luglio 1977, la Commissione notificò agli Stati
membri un “codice sugli aiuti” relativo alle fibre e ai filati sintetici; il
codice venne prorogato nel 1979, 1981 e 1983. Infine la Commissione
il 4 luglio 1985 la Commissione informò gli Stati membri
dell’intenzione di prorogare fino al luglio 1987 il sistema di controlli
introdotto nel 1977, con un allargamento delle fibre a cui si riferiva.
Il cambiamento di forma che ha interessato queste misure
riflette il crescente interesse della Commissione per il mercato tessile.
A mano a mano che l’opinione della Commissione su tale mercato si è
fatta più pessimistica, il documento è evoluto dalla forma del
memorandum, a quella delle linee giuda, e infine a quella di un codice
sugli aiuti. Le misure hanno così teso gradualmente verso un sempre
maggiore formalismo, obbligatorietà e legalismo, senza mai
comunque assumere la forma di un atto giuridicamente vincolante, ma
rimanendo sempre al livello di quello che abbiamo definito soft law.
Peraltro la Commissione aveva sempre riconosciuto che, a dispetto del
suo titolo formale, il documento non recava alcun pregiudizio alle
disposizioni del trattato CE. Tuttavia era palese come nel concreto, le
misure fornivano sempre più precise indicazioni agli Stati membri,
26
descrivevano le conseguenze specifiche delle azioni non conformi al
loro contenuto ed enunciavano con estrema chiarezza i principi
fondamentali della decisione della Commissione sugli aiuti statali al
settore tessile.
Nel 1983 il Governo federale tedesco e il Dipartimento della
Renania del Nord Westfalia accordarono degli aiuti all’attore, non
previamente notificati alla Commissione.
Nel febbraio del 1984 il Governo federale informò quest’ultima
dell’aiuto. La Commissione ritenne che tale aiuto costituisse
violazione dell’art. 93 e nel luglio del 1985 emanò la decisione
contestata.
Gli
argomenti
addotti
dalle
parti
si
concentravano
sull’interpretazione da dare al codice sugli aiuti e ai suoi effetti.
L’attore asseriva di aver ricevuto l’aiuto sulla base di decisioni
definitive e istruzioni precise, e di averlo utilizzato per convertire il
proprio ramo di attività in prodotti non soggetti al codice. Secondo il
suo punto di vista, l’aiuto doveva considerarsi ammissibile dal
momento che i suoi prodotti non erano compresi nel codice.
Egli affermava perciò che l’ordine della Commissione alla
Germania di recuperare l’aiuto fosse contrario al principio del
legittimo affidamento. Secondo il punto di vista della Commissione,
condiviso alla fine dalla Corte di Giustizia, però, l’attore si era servito
dell’aiuto per una normale opera di ammodernamento, anziché per la
ristrutturazione. Non solo egli aveva incrementato la propria capacità
produttiva per i filati in poliammide, che erano sempre stati coperti dal
codice, ma aveva aumentato anche la sua capacità produttiva per le
fibre in propilene che benché non soggette al codice all’epoca degli
aiuti, si trovavano in una situazione di eccesso di offerta nell’ Unione.
27
Inoltre la Commissione non aveva mai considerato un tale tipo di
operazione una ristrutturazione ai sensi del codice sugli aiuti.
Importante è sottolineare come da queste argomentazioni si può
notare come il signor Deufil sosteneva sostanzialmente che il suo
modo di agire fosse lecito perché no nera vietato dal codice. Implicito
in questa affermazione era il fatto che secondo l’attore il codice
possedeva una propria stabilità normativa, se non addirittura una forza
giuridicamente vincolante. La Commissione si era immediatamente
opposta a tale argomento, sottolineando il fatto che se pure il
comportamento dell’attore non era vietato dal codice non voleva dire
che esso fosse stato lecito. In altre parole il soft law non è affatto
diritto; esso può cambiare in ogni momento, poiché costituisce un
semplice riflesso di una strategia politica mutevole.
Inoltre ponendo l’accento sulla natura normativa del codice il
signor Deufil sosteneva che l’autore di esso, cioè la Commissione,
fosse vincolato dai suoi termini. A questo argomento la Commissione
non si oppose in modo diretto, e si può pensare che questo sia stato
dovuto agli ostacoli posti da una serie di pronunce precedenti della
Corte di Giustizia214. La Commissione ha suggerito in questo caso che
l’attore non aveva diritto a rivendicare un legittimo affidamento sulla
possibilità di conservare l’aiuto, essenzialmente perché il suo interesse
non era meritevole di tutela. Essa sostenne, tra l’altro, che l’attore
sapeva che gli aiuti non avrebbero potuto essere concessi per tale
scopo senza l’autorizzazione della Commissione. In breve anche se il
214
Il caso giuda era costituito dalla sentenza Commissione c. Consiglio, causa 81/72. Esso
riguardava una decisione del Consiglio volta ad applicare per un periodo di tre anni un sistema
specifico di liquidazione dei salari. L’Avvocato Generale Warner aveva affermato che la decisione
poteva non avere alcun effetto giuridico, ma avrebbe dovuto essere considerata semplicemente una
decisione politica e che essa per il diritto non era niente di più che “un filo sulla sabbia”. La Corte
di giustizia, però ritenne che la decisione fosse vincolante per chi l’aveva emanata, e che quindi il
Consiglio non potesse validamente emanare un regolamento che non fosse coerente con i suoi
termini.
28
soft law poteva per l’interesse della controversia, essere ritenuto
potenzialmente produttivo di effetti giuridici, non poteva comunque
produrre alcun effetto di legge nelle circostanze attuali. Le
contraddizioni implicite negli argomenti della Commissione non erano
state discusse né dall’Avvocato Generale né dalla Corte; al contrario
sia uno che l’altra convenivano sul fatto che il codice sugli aiuti non
costituiva una deroga al trattato, che non era giuridicamente
vincolante e che non rappresentava un fondamento autonomo per una
decisione negativa della Commissione. Entrambi espressero queste
loro convinzioni in modo diverso e con differenti implicazioni.
L’Avvocato Generale Darmon ammetteva che il codice
esprimesse la definizione della Commissione circa il generale
interesse per il settore delle fibre sintetiche e, più in generale, per
l’industria tessile. In tal modo, a suo parere, l’attore non poteva
lamentare di non sapere che un investimento che gli avrebbe permesso
di aumentare la produzione di queste fibre fosse contrario a questo
interesse. Di conseguenza il codice non faceva sorgere alcun legittimo
affidamento.
Attribuendo una minore forza normativa al codice, la Corte
invece dichiarava che il codice sugli aiuti forniva delle indicazioni
generali le quali spiegavano la linea di condotta che la Commissione
intendeva seguire e alle quali voleva che gli Stati si conformassero in
merito al settore delle fibre e dei filati sintetici, ma il codice non
derogava alle disposizioni degli artt. 87 e 88 del trattato, né avrebbe
potuto farlo. Il codice non poteva ingenerare nelle imprese una
legittima aspettativa, per cui esse potessero fare affidamento contro
una disposizione emanata dalla Commissione all’indirizzo delle
autorità nazionali. Invece di ammettere lo status normativo del codice
29
e dire all’attore che il suo interesse non era meritevole di tutela, la
Corte accettava il punto di vista della Commissione circa il codice
come dichiarazione politica. Di conseguenza, secondo la Corte, il
codice sugli aiuti mirava probabilmente a definire l’esercizio della
discrezionalità della Commissione riguardo ai prodotti in esso
compresi. Esso però non poteva ostacolare la sua libertà di prendere
decisioni, in base agli artt. 87 e 88, riguardo ai prodotti non coperti dal
codice stesso. In altri termini , nel regno della politica, distinto da
quello del diritto, quel che non è vietato non è necessariamente
permesso.
La Corte aveva quindi guardato attraverso le norme di soft law e
aveva raggiunto, o per lo meno enunciato, la sua decisione sulla base
di un diverso ed autonomo fondamento giuridico. Tuttavia la sua
pronuncia ebbe effetti concreti circa la considerazione dello status del
soft law.
Il 22 dicembre 1988 infatti la Commissione emanò un codice di
condotta simile al precedente sugli aiuti di stato per l’industria dei
veicoli a motore. Questo codice fu preso molto sul serio da parte degli
Stati suscitando una reazione formale da parte della Germania che
dichiarò che non si sarebbe adeguata a tale codice. Interessante è la
risposta della Commissione la quale, facendo riferimento alla sentenza
Deufil, sosteneva di essere legittimata ad applicare nuove restrizioni ai
piani di aiuto statali per l’affermazione della Corte che “uno schema
sugli aiuti di stato di un particolare settore fornisce linee guida che
spiegano la linea di condotta che la Commissione intende adottare e
che richiede agli Stati membri di seguire nella concessione degli aiuti
in questione.”215
215
Sentenza Deufil.
30
Trascurando che tale affermazione della Corte riguardava pur
sempre un caso specifico, la Commissione interpretò la sentenza come
se si riferisse non ad un esempio isolato di soft law, e ancora meno ad
un settore particolare, ma piuttosto ad un modello esemplare e
normativo di soft law. Generalizzando dal linguaggio usato dalla Corte
nella sentenza Deufil, la Commissione in tal modo si è servita di tale
sentenza per legittimare altri atti di soft law, vale a dire l’adozione di
analoghi codici in altri settori.
Se poi consideriamo che successivamente sulla base di
quest’ultimo codice, cioè sulla base di un atto di soft law, nel 1990 fu
adottata una decisione ex art. 249 trattato CE, allora è facile affermare
come quando si parla di questi atti atipici sia a livello generico di
organizzazioni internazionali, che ancor di più a livello specifico di
Unione Europea, non è mai adeguato fare affermazioni di tipo
assoluto come quella esposta all’inizio di questo capitolo per cui il soft
law non avrebbe efficacia vincolante in alcun caso.
La trattazione di questo caso davanti alla Corte di giustizia e gli
sviluppi successivi alla sua pronuncia dimostrano come le
potenzialità, e gli effetti concreti di questo tipo di atti siano tutt’altro
che semplici o scontati.
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