LA RESISTENZA IN FRIULI E NELLA VENEZIA GIULIA A cura del Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale “L. Gasparini” - Gradisca d’Isonzo - Una storia travagliata La storia recente delle terre poste al confine orientale del Paese risulta particolare, per molti aspetti diversa e ancor più complessa e problematica di quanto non sia stata quella delle regioni contermini. Una storia complicata dalla presenza sullo stesso territorio di popoli diversi per storia, lingua e cultura, dall’esistenza di un confine instabile, il “confine mobile”, che più volte ha subito modifiche sostanziali nel corso della prima metà del XX secolo, e dal ruolo svolto nel corso del Ventennio dal fascismo, quel “fascismo di frontiera” che intendeva cancellare l’identità culturale e nazionale di sloveni e croati, imponendone l’italianizzazione forzata. Di conseguenza anche la lotta di Liberazione in Friuli e nella Venezia Giulia ha avuto caratteristiche particolari, che l’hanno resa differente da come si è manifestata nel resto del Paese. Non poteva essere diversamente se si considera che al confine orientale combattono sullo stesso territorio più Resistenze, quella italiana, quella slovena e quella croata, unite dal comune obiettivo di sconfiggere il fascismo e di cacciare l’invasore tedesco, ma divise dalla differente concezione di società da costruire nel dopoguerra e dalla diversa idea sul tracciato dei nuovi confini fra gli stati. Inoltre non si deve dimenticare che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la successiva invasione tedesca, i territori posti al confine orientale vengono sottratti alla sovranità nazionale italiana e rivendicati come propri da due Stati contemporaneamente. Infatti nel settembre del 1943 le province di Gorizia, Udine, Trieste, Fiume, Pola e Lubiana entrano a far parte della Zona di Operazioni Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland) e di fatto diventano territorio del Terzo Reich germanico, dove tutti i poteri militari e civili vengono esercitati direttamente dai tedeschi attraverso un Supremo commissario, il Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer. Nello stesso periodo, il 16 settembre 1943, il Plenum del Fronte di Liberazione sloveno proclama da parte sua l’annessione alla nuova Jugoslavia del Litorale Adriatico, di cui tuttavia non vengono definiti con precisione i futuri confini ad ovest. L’inizio della lotta armata Nel territorio regionale la lotta armata inizia in anticipo rispetto a quanto avviene nel resto d’Italia, addirittura prima del crollo del fascismo e dell’armistizio con gli alleati. Le ragioni di questa primogenitura vanno ricercate da un lato nel progressivo affermarsi nella regione Giulia del movimento partigiano jugoslavo (sloveno e croato) e dall’altro nella presenza dell’organizzazione clandestina del Partito Comunista che, nonostante la repressione del regime e l’arresto di centinaia di militanti da parte della polizia politica, è presente in diversi centri della regione e nei principali stabilimenti industriali. Infatti, nel marzo del 1943, quasi contestualmente ai grandi scioperi operai che si registrano nelle principali città industriali dell’Italia del nord, si costituisce la prima formazione armata della Resistenza italiana: il “Distaccamento Garibaldi”. Il reparto, formato da un gruppo di militanti antifascisti, soprattutto operai del cantiere di Monfalcone, e di soldati disertori dell’Esercito Italiano che nei mesi precedenti avevano raggiunto le formazioni partigiane slovene, si costituisce in seguito ad un accordo che viene siglato fra il dirigente comunista friulano Mario Lizzero “Andrea” e i comandanti partigiani sloveni dell’alto Goriziano e che prevede di raggruppare in un unico reparto gli italiani che combattono con gli sloveni. Il “Distaccamento Garibaldi”, posto alle dipendenze del battaglione “Simon Gregorčič”, partecipa sia in forma autonoma che con altre formazioni slovene a diverse azioni di guerra e il 9 settembre 1943 sul Collio disarma il presidio dei carabinieri di Podresca. Le prime formazioni partigiane Dopo l’annuncio della resa italiana e la successiva invasione delle truppe tedesche, invano contrastate dalla resistenza armata dei fanti della divisione “Torino” e da alcuni reparti di alpini della “Julia” nella zona di Gorizia e di gruppi di guardie di frontiera a Tarvisio, in diversi centri della regione si registrano scioperi e manifestazioni di piazza: i cittadini chiedono ai presidi militari la distribuzione delle armi per combattere contro i tedeschi e i rappresentanti dei partiti antifascisti gettano le basi per costituire i comitati di liberazione e per dar vita alla lotta armata. La prima formazione partigiana si forma nella notte fra il 10 e l’11 settembre sul Carso, a Ville Montevecchio, dove si concentrano circa un migliaio di antifascisti, soprattutto lavoratori delle fabbriche monfalconesi, che costituiscono la “Brigata Proletaria”. La formazione, posta al comando dell’ex condannato del Tribunale Speciale Ferdinando Marega, si attesta alla periferia meridionale di Gorizia e per venti giorni, a fianco delle formazioni partigiane slovene, combatte contro le truppe tedesche che cercano di avanzare nel retroterra cittadino e di prendere il controllo delle vie di comunicazione per Trieste. Mentre è in corso la battaglia partigiana di Gorizia, per iniziativa di dirigenti e militanti comunisti e azionisti e di ex militari, si formano in regione altri reparti partigiani. Due battaglioni garibaldini, il “Garibaldi” e il Mazzini” si costituiscono sul Collio cormonese mentre altri due, il “Friuli” e il “Pisacane”, si formano sulle colline della pedemontana orientale friulana. Al loro fianco si schierano il battaglione azionista “Rosselli” e alcune formazioni autonome, come la “Banda di Attimis”, costituita in prevalenza da ex soldati dell’esercito italiano, e la “Banda della Bernadia”, che in seguito diverrà battaglione “Matteotti” e confluirà nella brigata “Garibaldi Friuli”. Alla fine del novembre 1943 le formazioni partigiane, che nelle settimane precedenti si erano rese protagoniste di una intensa e crescente attività militare contro i presidi nemici, vengono investite da una massiccia offensiva tedesca che infligge numerose perdite ai combattenti e costringe i partigiani a ritirarsi e i comandi a sciogliere i reparti. Alla fine dei rastrellamenti subentra un periodo di relativa stasi militare, che permette alle formazioni partigiane di riorganizzarsi. In regione rimangono attivi tre gruppi principali di combattenti: il battaglione garibaldino “Mazzini” sul Collio, il “Battaglione Triestino”, formato dai reduci della “Brigata Proletaria”, sul Carso monfalconese e il battaglione “Friuli” sul monte Ciaurlec, dove si sono trasferiti i partigiani ritiratisi dalla pedemontana friulana orientale. Contemporaneamente il movimento resistenziale si irradia in pianura e in diversi paesi si costituiscono i Comitati di Liberazione Nazionale, formati dai rappresentanti dei partiti antifascisti, che assumono la direzione politica della lotta armata. Con l’obiettivo di rifornire di armi, generi alimentari e vestiario le formazioni partigiane, nell’ottobre del 1943 un gruppo di ex combattenti della “Brigata Proletaria”, reduci dalla battaglia di Gorizia, costituiscono a Redipuglia l’intendenza partigiana “Montes”, dal nome di battaglia del suo ideatore e comandante: Silvio Marcuzzi. L’intendenza “Montes” si estende velocemente dai paesi del Monfalconese, alla bassa e media pianura friulana e, inquadrando centinaia di collaboratori, intendenti e informatori e grazie ad una capillare rete di magazzini e rifugi, fino al termine della guerra è in grado di inviare notevoli quantità di rifornimenti alle brigate garibaldine e osovane del Collio, del Carso e della Carnia e alle formazioni partigiane slovene del IX Korpus. Per iniziativa dell’organizzazione comunista in alcuni centri della regione si formano i Gruppi di Azione Patriottica (GAP), con il compito di compiere azioni di guerriglia e di sabotaggio e di eliminare le spie, mentre nell’intento di mobilitare le masse popolari nella lotta contro il nazifascismo e di coinvolgerle nel processo di trasformazione politica e sociale del Paese, vengono costituiti i Gruppi di difesa della donna ed il Fronte della Gioventù. In Friuli, attorno ad alcuni ex ufficiali dell’esercito e ad alcuni sacerdoti, si formano i gruppi patriottici di resistenza passiva, che si danno un’organizzazione militare, raccolgono armi e materiali e si preparano a dar vita alla lotta armata. Questi gruppi, assieme ad alcune formazioni partigiane autonome, confluiscono nella “Brigata Osoppo” che si costituisce nel dicembre 1943 per iniziativa dei rappresentanti dei partiti della Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione. La Zona di Operazioni Litorale Adriatico e la repressione antipartigiana Con la costituzione dell’Adriatisches Küstenland i tedeschi impongono ai territori posti al confine orientale un regime di occupazione molto più duro di quello che riservano al resto dell’Italia. Ciò è determinato sia da ragioni di ordine militare, in considerazione della funzione strategica per i collegamenti con i fronti italiano e balcanico che il Friuli e la Venezia Giulia ricoprono, e sia da ragioni di ordine politico, in quanto questo tipo di amministrazione, simile a quello vigente in Alsazia, in Lorena, in Lussemburgo ed in alcune regioni della Polonia occidentale, viene riservata ai territori destinati ad essere annessi al Reich. Nel Litorale Adriatico vengono introdotte leggi e disposizioni tedesche, l’amministrazione civile viene posta alle dipendenze dirette della Cancelleria del Reich, i prefetti ed i podestà sono nominati dal Supremo commissario, vengono istituiti tribunali tedeschi e viene introdotta la procedura penale tedesca. Estromesse le autorità della Repubblica Sociale Italiana dalla gestione del potere, i tedeschi procedono alla creazione di corpi armati locali sotto il loro diretto comando: la Milizia Difesa Territoriale e la Guardia Civica. Migliaia di uomini vengono inviati al lavoro coatto in Germania e a tutti i maschi viene imposto il servizio obbligatorio di guerra e l’obbligo di lavorare alla costruzione delle opere di fortificazione per conto dell’Organizzazione Todt. Il controllo del territorio e la conduzione della guerra contro le formazioni partigiane sono di pertinenza esclusiva della polizia e delle forze armate germaniche. A capo della macchina repressiva tedesca del Litorale viene nominato Odilo Globočnik, noto per aver diretto nel Governatorato di Lublino le operazioni di sterminio di due milioni di ebrei polacchi. Per combattere le forze della resistenza vengono allestiti i centri di repressione antipartigiana: il più noto è quello che ha sede presso la caserma “Piave” di Palmanova, dove vengono rinchiusi, torturati e giustiziati centinaia di partigiani, di antifascisti e di patrioti. Altri centri vengono attivati a Trieste e a Udine, Pradamano e Tolmezzo. In località quali Gonars e Visco hanno sede campi d’internamento per civili (compresi anziani, donne e bambini) deportati dalle zone d’occupazione militare italiana in Jugoslavia. Alla Risiera di San Sabba di Trieste le autorità germaniche allestiscono un campo di detenzione di polizia, che inizialmente viene utilizzato come campo di transito verso i Lager per gli ebrei, gli antifascisti ed i partigiani del Litorale. Trasformato anche in luogo di tortura e fornito di forno crematorio, diventa un vero e proprio campo di sterminio, l’unico funzionante nell’Europa occidentale occupata, dove trovano la morte oltre 3.000 persone. Le zone libere Nella primavera del 1944, anche in seguito alla chiamata alle armi di diverse classi di leva, molti uomini raggiungono le formazioni partigiane. Nuovi battaglioni, brigate e divisioni garibaldine si formano in Carnia, in Valcellina, nelle Prealpi Giulie e nella pianura friulana e a loro si affiancano i battaglioni e le brigate della neocostituita “Osoppo”. Preceduta dalla battaglia di Peternel, dove i partigiani garibaldini e quelli sloveni del Collio riescono ad infliggere pesanti perdite ai tedeschi, nell’estate del 1944 le formazioni partigiane sono protagoniste di una vasta offensiva contro i presidi nazifascisti e riescono a liberare ampi territori e a dar vita a due zone libere, quella della Carnia e del Friuli, comprendente una quarantina di comuni e oltre 90.000 abitanti, e quella del Friuli orientale con sei comuni e 20.000 abitanti. Dopo vent’anni di dittatura fascista, nelle zone liberate può rinascere la vita democratica e la gente ha nuovam ente la possibilità di partecipare direttamente al governo del proprio territorio. Gli abitanti infatti procedono all’elezione dei sindaci e delle giunte comunali, ricostituiscono i partiti democratici, riaprono le Case del Popolo e le sedi sindacali e discutono in assemblee pubbliche i problemi delle loro comunità. In Carnia viene anche costituito il Governo della zona libera che emana importanti provvedimenti riguardanti la scuola, la giustizia, la sanità, il fisco e la tutela del patrimonio forestale. Vanno anche qui segnalate l’ospitalità e l’accoglienza fornite nell’immediato dopoguerra da numerose famiglie della Bassa friulana ai bambini sfollati provenienti dai comuni più duramente colpiti dalle rappresaglie nazifasciste nel Friuli orientale (Faedis, Attimis, Nimis). Gli accordi con la resistenza slovena Sul Collio e sul Carso, territori rivendicati come propri dal Fronte di Liberazione Sloveno, a fianco degli Odred del IX Korpus, operano alcune formazioni partigiane garibaldine che hanno la necessità di definire i rapporti di collaborazione con la resistenza slovena e di giungere alla stipula di accordi per evitare tensioni e conflitti. Il primo patto viene siglato il 13 novembre 1943 ad Imenia sul Collio dai rappresentanti delle formazioni “Garibaldi”, Mario Lizzero e Giovanni Padoan, e da quelli del Fronte di Liberazione sloveno. In quella sede i due comandanti garibaldini riconoscono la necessità di giungere alla fine della guerra ad una revisione dei confini orientali che tuteli i diritti nazionali degli sloveni e ottengono dai dirigenti dell’Osvobodilna Fronta il riconoscimento del diritto dei partigiani italiani di combattere in zone rivendicate come slovene e la rinuncia alla pretesa di porre i reparti garibaldini sotto il proprio comando. Un secondo accordo viene siglato il 4 aprile 1944 nel territorio libero del IX Korpus dai rappresentanti del Partito Comunista Italiano, Francesco Leone e Aldo Lampredi, e dai delegati del Partito Comunista Sloveno e prevede di riunire in una nuova formazione tutti i partigiani italiani che combattono sotto comando sloveno nel Litorale Adriatico. In tal modo sull’altopiano della Bainsizza viene costituita la 14^ Brigata d'assalto “Garibaldi Trieste", in cui confluiscono i partigiani del “Battaglione Triestino”, che viene riconosciuta dagli sloveni come reparto della Resistenza italiana agli ordini delle brigate “Garibaldi” e del Corpo Volontari della Libertà. Gli accordi del 13 novembre 1943 e quelli successivi del 4 aprile 1944 vengono riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che in diversi documenti sottolinea la necessità di rinsaldare i rapporti di collaborazione con la Resistenza jugoslava e li considera una valida base di partenza per la stipula di ulteriori intese fra formazioni italiane, slovene e croate ai confini orientali. Rappresaglie, stragi e occupazione cosacco-caucasica Le forze di occupazione tedesche reagiscono con estrema durezza agli attacchi partigiani. Nell’estate-autunno del 1944 le truppe nazifasciste compiono eccidi di partigiani a Premariacco, San Giovanni al Natisone, Strassoldo, Pordenone, Porcia, Udine, Tramonti di Sotto, Cividale e Gemona, stragi di civili a Peternel, Malga Pramosio, Torlano, Braulins, e danno alle fiamme i paesi di Forni di Sotto, Bordano, Esemon di Sotto, Attimis, Nimis, Faedis, Sedilis e Barcis. In autunno i tedeschi, affiancati da truppe cosacche, caucasiche e repubblichine, con mezzi corazzati ed artiglieria, attaccano le formazioni partigiane che presidiano le due zone libere. Dopo alcune settimane di intensi combattimenti, i partigiani devono ritirarsi e molti comandi sono costretti a sciogliere le formazioni e a ordinare ai propri uomini di ritornare alle proprie case. I nazifascisti rioccupano i territori liberati e concedono a decine di migliaia di cosacchi e caucasici il permesso di insediarsi con le loro famiglie nei paesi della Carnia e dell’Alto Friuli e di dar vita ad un loro stato, il “Kosakenland in Norditalien”. Alla fine del rastrellamento tedesco solo pochi gruppi di partigiani rimangono attivi nei boschi e nelle zone più impervie della montagna. Molti cadono in battaglia o vengono catturati e deportati, la maggior parte si ritira in pianura, dove si aggrega alle locali formazioni o si nasconde in attesa della ripresa della lotta. L’accordo con il IX Korpus Nel Goriziano e nel Friuli orientale, invece, rimangono ancora in attività alcune grandi formazioni partigiane che hanno mantenuto integre le proprie forze. Sul Collio e nelle alte vallate del Torre e del Natisone è dislocata la divisione “Garibaldi Natisone”, che conta oltre 2.000 uomini mentre nella Selva di Tarnova e sul Carso è operativa la brigata “Garibaldi Trieste”, forte di oltre 500 combattenti. Una terza formazione, la brigata “Fratelli Fontanot, formata da alcune centinaia di combattenti del Monfalconese e della Bassa friulana provenienti dalle fila della brigata “Garibaldi Trieste”, si costituisce nella Slovenia sud-orientale, nella zona operativa del VII Korpus. La situazione più delicata è quella della divisione “Natisone”, i cui comandi intendono proseguire la guerra contro i nazifascisti con tutti gli uomini disponibili. La formazione, però, non possiede l'equipaggiamento ed il munizionamento necessari, non può più contare sui rifornimenti alleati, è rinchiusa in un territorio montano ristretto, privo di risorse alimentari e fortemente presidiato da truppe tedesche, repubblichine e cosacche, e rischia l’annientamento nel caso di una nuova offensiva nemica. Valutata impossibile l’ipotesi di trasferire la divisione in altre zone della regione ed esclusa la smobilitazione, il comando della “Natisone” si rivolge alla Resistenza slovena per ottenere le armi ed i rifornimenti necessari alla prosecuzione della lotta. Dopo lunghe e complesse trattative, all’inizio di novembre i comandanti della “Natisone” sottoscrivono con gli sloveni un patto che prevede la dipendenza operativa della divisione garibaldina dal IX Corpo d’Armata sloveno. Si tratta di un accordo di carattere militare che offre alla “Natisone” la possibilità di operare anche nei vasti territori liberati dai partigiani sloveni e di disporre delle risorse del IX Korpus per rifornire i propri uomini. L’accordo non implica condizionamenti di carattere politico in quanto la divisione garibaldina mantiene intatte le proprie caratteristiche di formazione italiana, che dipende dal Corpo Volontari della Libertà e che combatte con le proprie insegne nazionali. In seguito all’accordo, alla fine di dicembre del 1944, dopo aver lasciato nella pedemontana friulana orientale e sul Collio alcuni reparti di intendenza e di polizia partigiana, la divisione “Garibaldi Natisone” si trasferisce oltre Isonzo e si insedia nella zona orientale della provincia di Gorizia entrando a far parte del dispositivo di difesa della vasta zona libera del IX Korpus. Gli ultimi mesi di guerra Nell’inverno del 1945 le uniche grandi formazioni partigiane ad essere operative ed a prendere parte ad operazioni militari di ampio raggio sono la divisione “Garibaldi Natisone” e la brigata “Garibaldi Trieste” che combattono a fianco dei reparti sloveni nel Goriziano orientale e la brigata “Fratelli Fontanot” che è dislocata nella Bela Krajna, nella Slovenia meridionale. Fino alla Liberazione le tre formazioni sono impegnate in sanguinosi ed intensi combattimenti a fianco dei reparti del IX e del VII Korpus e subiscono pesanti perdite. Nella restante parte del territorio regionale, la lotta armata vede protagoniste le formazioni garibaldine e osovane della pianura che sono in grado di portare a termine numerose azioni, colpi di mano, attacchi e sabotaggi contro le truppe nazifasciste e le linee di comunicazione, costringendo i tedeschi ad impegnare un numero crescente di forze per presidiare il territorio. Particolarmente audace e clamorosa l’azione condotta il 7 febbraio 1945 dal battaglione gappista “Diavoli Rossi”, al comando di Gelindo Citossi “Romano il Mancino”, che penetra nel carcere di Udine e libera una settantina fra partigiani, prigionieri alleati e collaboratori della resistenza, alcuni dei quali già condannati a morte. Quello stesso giorno un altro reparto gappista, al comando di Mario Toffanin "Giacca", raggiunge le malghe di Porzûs dove sono acquartierati i partigiani della 1^ Brigata “Osoppo”. I gappisti prendono prigionieri i partigiani presenti e passano per le armi il comandante del reparto Francesco De Gregori "Bolla", il delegato politico Gastone Valente "Enea" ed una giovane donna, Elda Turchetti, che nei giorni precedenti Radio Londra aveva denunciato come spia. Nei giorni successivi anche gli altri partigiani osovani, ad eccezione di due, dopo sommari processi vengono fucilati nella zona del Bosco Romagno. L’eccidio, che va inquadrato nel clima di forti tensioni nazionali che si crea al confine orientale e che chiama in causa i dirigenti della Resistenza slovena e quelli della Federazione comunista di Udine, incrina l’unità del movimento partigiano nelle ultime settimane di guerra e produce forti contrapposizioni fra le formazioni garibaldine e quelle osovane. La liberazione La lotta di liberazione, che nel Friuli Venezia Giulia era iniziata in anticipo rispetto al resto del Paese, si conclude appena nei primi giorni di maggio quando gli ultimi reparti tedeschi e le truppe collaborazioniste cosacche e caucasiche nonché quelle ustascia e cetniche, provenienti dal fronte balcanico, lasciano il territorio regionale, incalzate dalle formazioni partigiane e dall’insurrezione popolare. Nei giorni immediatamente precedenti la fuga, tedeschi, cosacchi e cetnici si macchiano di nuovi crimini contro la popolazione civile: dopo la fucilazione di 29 partigiani nelle carceri di Udine, 12 cittadini vengono uccisi a Terzo di Aquileia, 21 a Cervignano, 15 a Feletto Umberto, 22 a Ovaro, 65 ad Avasinis e oltre 50 a Gorizia. La maggior parte delle località della pianura friulana vengono liberate dalle formazioni partigiane fra il 30 aprile ed il 1° maggio mentre in Carnia gli ultimi reparti nazifascisti depongono le armi appena il 10 maggio. Diversi i tempi e le modalità della liberazione dei paesi della Venezia Giulia: Gorizia, Monfalcone e Trieste vengono liberate il 1° maggio dall’insurrezione popolare e dall’intervento dei reparti del IX Korpus sloveno e della IV armata jugoslava. Ancora diversa la vicenda delle formazioni partigiane garibaldine che combattono alle dipendenze operative degli sloveni: dopo aver fronteggiato l’offensiva nazifascista di inizio primavera, il 25 aprile la divisione “Garibaldi Natisone”, in cui sono confluite anche la brigata “Garibaldi Trieste” e la brigata “Fratelli Fontanot”, raggiunge il paese di Brod na Kupi ai confini con la Croazia e il 2 maggio riceve l’ordine di inseguire i tedeschi in fuga verso nord. I partigiani garibaldini partecipano alla liberazione di Kočevje e successivamente a quella di Lubiana fino al 20 maggio 1945, quando sono inviati a raggiungere Trieste e a sfilare in parata per le vie della città. La guerra si conclude con il tragico bilancio di oltre 30.000 morti e con l’inizio di un incerto futuro per le popolazioni del confine orientale. Prof. Luciano Patat