Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI Anno Accademico 2013/2014 I Anno Docente Materia Prof. Giovanni Diurni Fondamenti del Diritto Europeo - Lezione del Ora Venerdì 9 maggio 2014 17.00/19.00 Possesso Proprietà, possesso, detenzione: l'assillo proprietario e il fondamento dell'autonomia privata. Nella sistematica attuale le situazioni possessorie sono correlate e strettamente intrecciate ai diritti reali. La formula accolta nel codice civile vigente esprime in modo fermo e inequivoco la dipendenza del possesso (art. 1140) dalla proprietà (art. 832) e la conseguente subalternità dell'uno nei confronti dell'altra. Non si tratta ovviamente di testi normativi che hanno subito solo delle limature rispetto alla disciplina precedente: l'art. 436 del codice civile del 1865 (traduzione pedissequa dell'art. 544 del codice francese) pone, ad esempio, quale soggetto l'entità proprietà (è il diritto) e si riferisce alla onnicomprensività della figura (nella maniera più assoluta). L'art. 832 del codice vigente, al contrario, per sfuggire all'angusto limite insito in qualsivoglia definizione, usa l'espressione "il proprietario ha il diritto" ed esplicita l'autonomia del soggetto, indicandola nella pienezza e nell'esclusività della posizione (in modo pieno ed esclusivo). Anche l'espansione del diritto di proprietà è, poi, differente nell'art. 832 del codice attuale rispetto all'art. 436 del codice del 1865: in quest'ultimo solo un divieto espresso di natura pubblica (legislativo e regolamentare) ne limitava Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI l'esercizio. Nell'art. 832, invece, la proprietà è riconosciuta e non può che esercitarsi nell'ambito delle regole stabilite dall'ordinamento. Ma le differenze testuali assumono un significato ancor più rilevante proprio nella determinazione delle situazioni possessorie: il tautologismo della definizione del possesso, che origina da una statica situazione di detenzione, dell'art. 685 del codice del 1865 (anch'essa strettamente dipendente dall'art. 2228 del Code Napoléon) (il possesso è la detenzione di una cosa) si tramuterà nell'art. 1140 del codice vigente in una espressione altrettanto tautologica (il possesso è il potere sulla cosa). Per sfuggire alla gabbia fattuale e statica della posizione di detenzione, la figura accolta nel codice vigente, pur se considerata nella sua dinamica, viene costretta in un'altra gabbia concettuale, quella della proprietà, quasi si trattasse di una sottospecie e venisse valutata semplicemente quale situazione di fatto. Le varianti introdotte nel testo attuale rispetto a quelle dei precedenti codici, pur se appaiono non del tutto coerenti, sono comunque evidente espressione della stessa ideologia, che esprime e realizza la libertà individuale di godimento e di disposizione (e quindi, anche di abuso) nella centralità dell'istituto della proprietà. Trattasi per altro della figura fondante dell'autonomia privata, realizzatasi sulla spinta della rivoluzione francese con la codificazione nel duplice aspetto della libertà soggettiva (titolarità dei diritti) e dell'autonomia della persona (estrinsecazione della facoltà) nella sfera dei rapporti giuridici privati. Vengono riconosciute a tutti pari possibilità (uguaglianza) per il conseguimento dei propri fini leciti di utilità individuale ( libertà) sotto la sovranità assoluta della legge, prodotto della volontà generale. Il sistema in tal modo privilegia e accorda preferenza al proprietario rispetto al possessore e di conseguenza a quest'ultimo rispetto al detentore ( art. 1141). L'impropria gerarchia introdotta nella codificazione porta in ogni caso al risultato che il possesso è situazione giuridicamente diversa dalla proprietà: più appropriata risulterebbe nell'autonomia delle figure una conseguenzialità logica delle discipline. Ciò non di meno la situazione possessoria, pur se con ruolo subordinato e limitato rispetto alle assorbenti facoltà proprietarie, resta a tutti gli effetti ( e viene disciplinata quale) figura di appartenenza autonoma e indipendente, tanto da mantenere (e di conseguenza usufruire di) meccanismi diretti e originali di tutela (art. 1168 ss.) e da contrapporsi sino alle soglie della rivendicazione (art. 948) alla posizione dominante e preminente del proprietario. Un'altra caratteristica rilevante riguarda gli effetti extra possessori che si espandono sino a realizzare l'acquisto (a titolo originario) mediante usucapione della situazione di appartenenza più ampia, costituita appunto dalla proprietà. Il percorso per giungere all'attuale sistematica delle due principali figure di appartenenza, per altro non così lineare, non è stato agevole per la ricchezza e la complessità dell'esperienza normativa in Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI tema di dominio e di relazioni dell'uomo con le cose. E' necessario, pertanto, un approccio storico più articolato soprattutto quando, l'analisi concerne figure giuridiche tradizionali. Esse, proprio per la funzione di cardine del sistema normativo, sovente sono assunte e valutate acriticamente e staticamente e non nella loro dinamica problematicità, adattabilità ad assetti sociali ed economici sempre mutevoli e differenti, coerenza o incoerenza. L'assillo proprietario che dal Code Napoléon è trasmigrato in tutti i sistemi normativi dell'Europa continentale, quale principale ed essenziale espressione delle prerogative private, ha avuto un ruolo fondamentale e un senso per l'eversione degli antichi regimi e per ricomporre, non solo concettualmente, un'unità normativa e per imporre il catalogo dei diritti soggettivi. Il Code Napoléon in questa ottica tenta di spezzare anche il doppio e autonomo regime di tutela della proprietà e del possesso, eliminando qualsiasi cenno alla protezione delle situazioni possessorie e relegando la stessa definizione del possesso tra le norme concernenti la prescrizione acquisitiva (artt. 2228-2235). I legislatori francesi erano per altro ben consapevoli che la protezione possessoria scalfisse in qualche modo il sistema codificato intorno alla proprietà, dal Portalis osannata tanto da definirne il principio "quale anima universale di tutta la legislazione". I codici successivi non seguirono, però, questa soluzione radicale e del tutto immotivata anche in termini di impostazione concettuale; ad esempio nel codice 1865 viene inserito un titolo specifico (tit. V) nel libro secondo contenente l'intera disciplina del possesso. Anche in Francia comunque il silenzio del codice non ha fatto scomparire nella pratica le necessarie e tradizionali azioni possessorie, quella generale della complainte (azione reale) e quella della redintegranda (contro lo spoglio), riaffermate come rimedi legittimi dalla Cour de Cassation durante la presidenza di Henrion De Pansey in base all'art. 23 del codice di procedura civile. Di recente, poi, sono intervenute la legge 8-7-1975, n. 596, e il decreto 12-5-1981, n.500, che hanno rafforzato il duplice regime di tutela, estendendone per altro gli effetti anche al detentore. D'altro canto è nota la reazione pugliattiana contro "la" proprietà e il conseguente recupero de "le" proprietà, così frantumandosi il monolite, soprattutto ideologico, della proprietà privata. Ovviamente anche nell'analisi del Pugliatti non sono andati perduti gli aspetti positivi della nuova disciplina e l'innovativo assetto, che è e rimane centrale nella sistematica codicistica, della proprietà piena, libera ed assoluta non solo in termini di dominium e nell'ambito del diritto agrario. Diviene così imprescindibile distinguere e valutare la sostanza e le forme delle situazini possessorie e non più riferirsi genericamente e improblematicamente al possesso, limitandosi ad annotare le indicazioni normative. Disparate, poi, sono le discipline in tema possessorio e molto spesso provengono da Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI tradizioni ed esigenze differenti. Esse si sono reciprocamente contaminate, sovente anche integrate e per certi aspetti contrapposte. Il diritto di possesso del Savigny e la reazione di Jhering. Già nel languente sistema del diritto comune numerosi sono stati i tentativi per una visione unitaria del possesso, che ha trovato una sistemazione, tra le più esaustive, nell'opera del Pothier. Ben altro sarà l'approccio alla figura, però, da parte del Savigny al quale riuscirà, utilizzando con entusiasmo e senza alcuna mediazione apparente della dottrina precedente le fonti romane, la costruzione dommatica del possesso. Pur se l'articolato programma del diritto romano attuale è ancora di là da venire il giovanissimo Savigny con il suo saggio Das Recht des Besitzes inaugura una diversa lettura delle fonti di tradizione romanistica, utilizzate e interpretate, estrapolando da esse i più diversi elementi per inserirli in un'unità concettuale. La protezione del possessore a nome della pace sociale è l’idea di fondo che porta necessariamente a privilegiare l’elemento dell’animus (animus rem sibi habendi), lasciando in secondo piano la relazione con la cosa, pur necessaria, ma elemento subordinato al primo. D’altra parte il corpus consisterebbe essenzialmente nella possibilità materiale di fare della cosa ciò che si vuole con esclusione degli altri. Maggiore attenzione è così offerta all’aspetto della conservazione e non al momento dell’acquisto del possesso, in quanto esso si conserva (e quindi si realizza) fino a che sussista la possibilità di esercitarlo volontariamente, pur se non vi è bisogno della presenza fisica del soggetto. Perché si abbia il possesso debbono dunque sussistere i due concorrenti elementi del corpus e dell’animus; ne discende il corollario che la perdita del possesso si verifica nel momento in cui viene alternativamente meno uno dei due elementi. La conseguenza più vistosa è costituita dal fatto che la detenzione precede necessariamente il possesso, per cui solo con la mancanza, con la perdita o con il venir meno dell’animus la relazione con la cosa resta (o si tramuta in) detenzione. Se l’idea principale del Savigny è del tutto coerente con l’impostazione romanistica, appaiono nell’analisi molte incertezze nella definizione di altre situazioni collaterali, che non possono collocarsi tra quelle semplicemente detentive, al di là del titolo da cui sorgono. Il tentativo di giustificare con la teorica del possesso derivato (o derivativo) soprattutto per l’impiego dei rimedi possessori spezza in qualche modo l’unità concettuale sostenuta dal Savigny. Si opera così una forzatura delle fonti romane, come avviene, ad esempio, con il frammento di Paolo di D. 41,2,1,20 in tema di acquisto del possesso per procuratore e di D. 13,7,37 relativo alla locazione del pegno. Appartiene ormai alla storia del pensiero giuridico la polemica antisoggettiva di Jhering, culminata con la costruzione della teoria oggettiva . Costui non risparmiò all’antico maestro critiche feroci e la Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI grave obiezione di fondo di aver scritto un libro “senza una visione effettiva del rapporto di cui si occupa, e senza riguardo all’applicabilità dei concetti che svolge”. Se il Savigny ha adattato le fonti alla sua idea di possesso, anche l’analisi di Jhering non è esente da insufficienze. Egli, pur privilegiando l’elemento oggettivo costituito dalla relazione effettiva con la cosa e dalla causa di tale relazione, esterna e pertanto indifferente alla volontà del soggetto, offre del possesso una definizione correlata all’idea di proprietà, considerando o Thatsächlickeit des Eigenthums o Eigenthumsposition o Vorwerk des Eigenthums. Realizza così la sua teoria di apparenza del diritto, per cui il possesso non è che la difesa avanzata della proprietà. La sua protezione è dettata dal fatto che l’esteriorità della situazione quasi sempre corrisponde alla realtà e che il possessore è normalmente il proprietario della cosa. Viene meno o è indifferente la stessa distinzione tra situazione basata sull’intento di essere proprietario e detenzione, in quanto si tiene conto dell’effettività del rapporto: il possesso, situazione di dominio apparente, può così essere retrocesso e divenire mera detenzione. Il che ribalta la costruzione savignyana, che indica nel corpus il rapporto di fatto (detenzione) che diviene con l’animus dominantis il «diritto di possesso» [Das Recht des Besitzes]. In tal modo, però, Jhering non tiene in alcun conto (e prescinde dal) la differenza tra un ius possessionis e un ius possidendi, cosicché le soluzioni possessorie, anziché avere una corretta collocazione, si impoveriscono e si appiattiscono sulla proprietà con uno sdoppiamento solo formale del titolo dall’esercizio del diritto. Esse tutt’al più riproducono, in un sistema che si vuole binario (proprietas-possessio), la Gewere, situazione anch’essa di appartenenza non confondibile né con il possesso naturalisticamente inteso né con la disciplina possessoria di ascendenza romana. Si tratta, dunque, del rifiuto categorico del modello romano, al di là della stessa ricostruzione operata dal Savigny. La conseguenza più vistosa non è del tutto coerente con l’impostazione teorica, in quanto viene di fatto a operarsi, in ogni caso, una frattura tra protezione giuridica del soggetto e situazione di fatto protetta. La violazione possessoria sia di spoglio sia di molestia è costituita pertanto da una ragion fattasi da reprimere comunque a favore del soggetto attuale della relazione. Il Besitz di Jhering, accolto per altro nel BGB (§ 854, 856, 872), è dunque una signoria di fatto, presuntivamente assoluta, che appare più vicina ( anzi si confonde) alla figura della Gewere, almeno nel significato ad essa assegnato dalla dottrina coeva. Ma diverse sono (e possono essere) le situazioni di Gewere, per cui diverse le signorie di fatto di Besitz e non tutte con la stessa espansione. Diviene così necessario mantenere (o introdurre) nel BGB fattispecie differenti che hanno una diversa disciplina e rimedi come, ad esempio, il possesso mediato (§ 868). Si ricrea dunque quella molteplicità di situazioni, che mal si adatta al concetto unitario di possesso, propugnato anche da Jhering, purchè non si evochi quale matrice comune un insufficiente e Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI generico potere di fatto, ben lontano dalla possessio romana e dalle soluzioni successive. Si continua, però a mantenere nel sistema e a riferirsi a differenti meccanismi per lo spoglio e per le molestie con la particolarità che l’azione di recupero è personale mentre quella di conservazione è reale. Le considerazioni testé accennate non intendono essere dissacratorie di una tradizione di studi, che resta comunque fondamentale. Presumere di poter giudicare le ricostruzioni ora ricordate, come offese al buon metodo, come errori storiografici, sarebbe infatti esso stesso un errore non meno grave. Mentre è compito di questa esposizione, considerato lo stato presente delle conoscenze, considerato in specie il persistere di uno sviante etnocentrismo, porre in luce quanto di non riconducibile alla tradizione romanistica connota e dà carattere all’esperienza giuridica degli italiani. Potrà prendere avvio così una ricostruzione non dimidiata della società italiana, delle esperienze attraverso le quali questa poté svolgersi nel travagliato passaggio dall’antico al presente. Non più che a tanto potrebbe ambire uno storico del diritto, che sappia limitarsi a meditare tra la voce del romanista e quella del civilista, rinunciando a sintesi affrettate [e per renderle possibili]. 3. Le premesse romano-giustinianee. Giustiniano ridefinisce completamente la disciplina giuridica del possesso sia nei suoi elementi formali, sia soprattutto negli aspetti concretamente rilevanti di tutela della effettiva relazione che si instaura tra la persona e una cosa. Essa si presenta completamente svincolata e non è in alcun modo condizionata dal titolo di appartenenza della cosa. In tal senso il possesso viene distinto in modo preciso e prescinde in linea d’ipotesi dal diritto di proprietà e non può essere confuso con gli iura in re, cui la secolare elaborazione della giurisprudenza romana ha fornito generali segni e caratteri, concettualizzandone gli elementi costitutivi, sì da creare delle figure giuridiche ben individuate e autonome. Al dominium in particolare viene riferito l’esercizio di una precisa serie di facoltà costituenti nel loro insieme per l’appunto una signoria esclusiva sulla cosa, che la persona considera come propria. Le facoltà, pur indicate esemplificativamente nelle fonti quali ius utendi e ius fruendi, si sostanziano però in situazioni concrete le più varie, poste in essere dal titolare del dominium. Sussiste, poi, un vero e proprio regime processuale binario, costituito dalle actiones e dagli interdicta che si esplicita in distinte forme dotate ciascuna di una sua precipua cogenza e rilevanza: le actiones per il petitorio tutelano il soggetto da attentati effettuati sulla cosa o contro la cosa, di cui l’agente assume essere il titolare. In tal modo si tende a tutelare a favore del soggetto leso una situazione giuridica e a ristabilire una relazione con la cosa, che sono state ingiustamente e arbitrariamente violate. Gli interdicta per il possessorio tendono a tutelare ovvero a ristabilire Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI esclusivamente una situazione di fatto realmente esercitata, non importa in base a quale titolo, dal soggetto su una cosa determinata. Mentre le prime, dunque, hanno lo scopo di definire la posizione di chi rivendica la titolarità della cosa contro chiunque abbia violato la situazione di appartenenza (che rende il primo dominus della cosa), gli interdicta svolgono precise finalità tra le quali quella retinendae possessionis e quella recuperandae possessionis. I due sistemi per la loro specifica funzione non contrastano, anzi spesso si intersecano tra loro non solo per la distinta efficacia e ruolo singolarmente svolti, ma per la loro differente speditezza. Ove possibile, infatti, per un risultato immediato anche colui che vanta un titolo sulla cosa ricorre preliminarmente alla tutela interdittale del pretore; solo in seguito egli esercita, se del caso, l’azione petitoria. Da tener presente, comunque, che gli interdetti proprio perché approntano una difesa di carattere straordinario, tendente a mantenere e/o reintegrare uno stato di fatto, assicurano solo una tutela limitata, potendo essere travolti dall’azione; quel che si tutela, infatti, è il cosiddetto ius possessionis e non il ius possidendi spettante al proprietario (D. 43, 1, 2, 2). Il punto di partenza della tutela del possesso è, dunque, essenzialmente il rapporto materiale che si è instaurato tra la persona e la cosa. Questa relazione di fatto è tenuta presente e viene considerata dall’ordinamento nel suo aspetto negativo. Il pretore è chiamato a tutelare la situazione possessoria che un individuo considera essere oggetto di atti di turbative e/o di spoglio commessi da terzi. Finché l’organo giudiziario non abbia accertato che il rapporto denu7nciato è illegittimo, perché contrasta con la situazione di fatto precedentemente instaurata dal soggetto, il quale in tal senso ha chiesto l’intervento decisorio del magistrato, il rapporto in parola rimane valido ed efficace. L’intera legislazione giustinianea, rielaborando e sistemando le fonti precedenti sia giurisprudenziali sia legislative, se da un lato conferma e ribadisce nella sostanza la intera disciplina giuridica del possesso, interviene però nella tutela giurisdizionale soprattutto razionalizzandone e unificandone i criteri (cfr. l’intero titolo di Inst. 4, 15); ad esempio, confermando l’abrogazione dell’exceptio vitiosae possessionis, di fatto fonde l’interdetto unde vi con quello de vi armata (Inst. 4, 15, 6); l’uti possidetis e l’utrubi vengono ad avere la stessa disciplina, e così via. La Compilazione sembra, poi, insistere in modo particolare sull’animus piuttosto che sulla relazione con la cosa (corpus): ne sono esempio C. 6, 2, 21, 3 in cui si parla espressamente di cogitatio domini; C. 8, 4, 11 relativamente alla conservazione del possesso a favore dell’assente. Sarà però la giurisprudenza bizantina ad offrire particolare risalto all’elemento soggettivo dell’animus (Theoph. Paraphr. 2, 9, 4 e 3, 29, 2). La perpetuazione della figura della iusta possessio di cui a D. 41, 2, 11 e a D. 41, 2, 24 sembra essere alla base dell’accoglimento dei rimedi di carattere penale per punire gli attentati e le violenze commessi. Essi sono riprodotti con adattamenti nel Codice, a cui va riferita l’actio momentariae possessionis o momenti formulata da Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI Costantino nel 326 (CTh. 4, 22, 1) e inserita in C. 8, 5, 1. In tal modo vengono confermati i contenuti della disciplina precedente relativamente alla fattispecie del possesso violento (vi) clandestino (clam) e soggetto a revoca (precario). E’ palese dunque la tendenza dell’ordinamento e in particolare della politica legislativa di Giustiniano a sanzionare anche sotto il profilo penale comportamenti violenti ed arbitrari in tema di possesso. 4. Un quesito sempre attuale: il possesso quale fatto e quale diritto. Le fonti giustinianee, traendo linfa dalla tradizione classica, nella soluzione di specifiche problematiche sul possesso tengono molto spesso conto dell’animus possidendi e presentano il possesso quale risultante dei due elementi concorrenti: possidere corpore et animo. Per quanto concerne, però, la sostanza stessa del possesso esse propendono a considerarla costituita da un fatto piuttosto che da un vero e proprio diritto (D. 41, 2, 1, 3). Da qui scaturirebbe la reale differenza tra possesso e proprietà. Mentre la proprietà consiste, infatti, in una serie di facoltà tutelate dall’ordinamento, che il diritto attribuisce al soggetto, il possesso non è l’estrinsecazione di poteri giuridicamente spettanti, ma è l’insieme di quelli effettivamente esercitati sulla cosa. Per evitare confusioni è necessario puntualizzare che la res facti, costituente il possesso, deve essere anch’essa incanalata in precise regole, deve essere considerata secondo qualificati criteri, in quanto riveste una posizione e valenza prefissate. Se dunque rileva il rapporto effettiva instauratori tra la persona e la cosa, assumono particolare significato le regole che ne assicurano la tutela. Deve intervenire pertanto una specifica valutazione per riconoscere quali fatti siano esercizio del possesso e quali non lo siano. Occorre in definitiva tenere sempre presente non solo l’aspetto esterno, la materialità del rapporto, ma piuttosto la disciplina, che rende possibile l’esercizio di poteri sulla cosa. Il possesso quindi ha anch’esso dei precisi connotati giuridici, che non comportano nessuna sudditanza, neppure concettuale, rispetto alla proprietà e che non lo rendono una figura residuale o marginale dell’esperienza giuridica. Rappresenta al contrario un momento di effettività e una forma concreta di approvazione della realtà, non valutabile semplicemente come fatto; tenuto conto soprattutto che si realizza in specifiche forme di appartenenza sia nell’età tardo-antica che nell’epoca medievale per la molteplicità dei regimi normativi. Giustiniano consegna una disciplina giuridica definita sia nei suoi elementi formali sia soprattutto negli aspetti concretamente rilevanti di tutela della effettiva relazione che si instaura tra la persona e la cosa. La tutela, poi, si presenta completamente svincolata e non è in alcun modo condizionata dal titolo di appartenenza della cosa. Il possesso dunque a) è distinto e prescinde dal diritto di proprietà Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI b) non può confondersi con gli iura in re Il diritto di proprietà si sostanzia nell’esercizio di una precisa serie di facoltà, costituenti nel loro insieme una signoria assoluta sulla cosa, che la persona considera come propria. Tali facoltà sono esemplificativamente indicate nel ius utendi, fruendi et abutendi e si sostanziano nelle situazioni concrete le più varie, poste in essere dal titolare del dominium. Relativamente alla tutela, in diritto romano è creato un regime processuale binario costituito dalla actiones e dagli interdicta. 1- actiones per il petitorio tutelano il soggetto da attentati effettuati sulla cosa o contro la cosa ↘tutelano una situazione giuridica ↘ristabiliscono una relazione con la cosa 2- interdicta ristabiliscono una situazione di fatto realmente esercitata, non importa in base a quale titolo, dal soggetto su una cosa determinata. Le prime hanno il carattere dell’assolutezza: a) definiscono la posizione di chi rivendica la titolarità; b) sono esercitate contro chiunque I secondi hanno il carattere della relatività e si estrinsecano a- negli i. retinendae possessionis b- negli i. recuperandae possessionis c- negli i. adipiscendae possessionis ↘nel periodo intermedio vengono usati solo alcuni dei tanti interdetti soprattutto l’uti possidetis per gli immobili e l’utrubi per i mobili in funzione cautelare ↘da cui scaturiscono tre rimedi medievali a – il possessorio ordinario b – il sommario c – il sommarissimo l’unde vi e de vi armata in funzione recuperatoria ↘da cui scaturisce in diritto canonico l’excectio spoli, chiamata anche Redintegranda. I due sistemi si intersecano e possono essere usati entrambi. Gli interdetti sono più spediti e approntando una difesa di carattere straordinario (mantenere e/o reintegrare uno stato di fatto) assicurano una tutela limitata, potendo essere travolti dall’azione petitoria: assicurano, infatti, il ius possessionis e non il ius possidendi Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI Punto di partenza del possesso è, dunque, il rapporto materiale che si ha con la cosa. La relazione è tenuta presente nel suo aspetto negativo dall’ordinamento, in quanto il giudice chiamato a tutelare una situazione che si considera oggetto di atti di turbativa o di spoglio. Da ciò per alcuni ne consegue che la sostanza del possesso sarebbe costituita da un fatto e non da un diritto. Nel periodo alto-medievale a seguito del nuovo assetto dell’Europa a causa delle invasioni germaniche, si afferma un diverso modo di apprensione della cosa, o per meglio dire assume prevalenza una diversa concezione del rapporto del soggetto con la cosa, in cui si riguarda essenzialmente al rapporto, alla relazione effettiva che il soggetto instaura con la cosa. Si tratta della gewere (investitura o vestitura): in essa si ricomprendono ogni sorta di uso, ogni concreto rapporto di godimento, anche se parziale e limitato con la cosa. Alla base della gewere vi è il concetto di tutela e di difesa della cosa e dello specifico rapporto con essa, in quanto sulla cosa stessa si esercita o si rivendica un vero e proprio “diritto”. La differenza tra proprietà e gewere è data dal fatto che la prima si sostanzia in una signoria assoluta sulla cosa, che il soggetto considera come propria mentre la seconda consiste in una situazione di fatto, qualunque essa sia, elevata a titolo e si muove nel mondo dell’esperienza, in quanto si radica e si risolve nella relazione effettiva con la cosa. Anche la proprietà naturalmente comprende la relazione fisica con la cosa stessa, ma non si risolve in essa, in quanto ne costituisce soltanto il substrato fisico, che consente l’esercizio di tutte le facoltà insite nel dominium. La differenza sussiste anche tra gewere e possessio, anche se entrambe le figure incidono sul piano concreto del godimento e della relazione effettiva con la cosa. Mentre la possessio nel sistema romano si affianca alla proprietas e da essa è distinta sia sul piano del rapporto con la cosa, per il quale si prescinde del tutto dalla causa, sia sul piano della tutela pur apprestando di mezzi di tutela (gli interdetti) completamente separati; la gewere non ha alcuna relazione con la proprietas, per difetto assoluto della relativa figura in diritto germanico: essa è relazione effettiva come nella possessio, relazione che, però, non può prescindere dal titolo, perché la relazione stessa ne costituisce il titolo. Si potrebbe dire che la gewere è al tempo stesso ius possessionis e ius possidendi. Il carattere precipuo della figura consiste nella relazione con la cosa e tale relazione effettiva, qualunque essa sia, instaurata con la cosa viene elevata a titolo, è gewere. Di tutta evidenza che possono sussistere sulla medesima cosa più gewere assegnate a più soggetti. La differenza, poi, tra possessio e gewere sussiste anche relativamente alla tutela.E’ di tuttta evidenza che anche i Romani partono dalla proprietà quale dominio pieno della cosa che interamente la investe. Tale dominio può venir diminuito solo riguardo all’esercizio sia per libera Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI volontà delle parti: usufrutto, uso enfiteusi, superficie, pegno e ipoteca sia contro la volontà del proprietario (per necessità o per utilità di un fondo): servitù prediali. Il diritto reale può dunque coesistere con il diritto di proprietà. Per il diritto germanico i diritti reali non furono una categoria a sé, ma si confondono tra di loro e rientrano nelle figure della gewere, relazioni diverse e del tutto specifiche con la cosa: si ha così l’investitura o gewere del beneficiario, dell’enfiteuta, del superficiario, ecc. Ciò comporta una obiettiva difficoltà nel trattare in modo specifico dei diritti reali. Si tenga, poi, conto che dalla gewere scaturisce un’altra figura, quella dell’onere reale, per cui l’immobile viene considerato in sé stesso come soggetto di diritti e di doveri. Ciò rendeva possibile costituire sul fondo alcuni diritti particolari, consistenti in prestazioni assicurate dalla rendita del fondo. Si pensi al censo e alla decima scaturenti direttamente dalla utilità del fondo. Prescindendo dal titolare del fondo stesso. Si tenga, poi, conto che alcun diritti reali si staccano dalla categoria classica romana e assumono figure a sé, quali diritti di proprietà limitati: si tratta delle concessioni fondiarie a lungo termine o perpetue dei benefici, ecc. Si afferma, poi, un diverso concetto di proprietà in cui i diritti reali non sono più considerati quali limitazioni dell’esercizio e all’estensione della proprietà stessa, con loro riduzione e schemi precisi; essa è frazionata in più diritti reali, che non sono in antitesi ad essa . Solo la scuola dei glossatori riscopre i veri contenuti del diritto romano. Diritti reali di godimento Usufrutto: trattasi di figura ben definita nel diritto romano e riguarda il godimento vitalizio della cosa. Tale istituto nell’economia agraria medievale si amplia notevolmente, così che si considera usufrutto ogni concessione di beni a vita senza alcun riguardo né al titolo né alle obbligazioni, né ai fatti né tanto meno alle clausole che potevano essere intercorsi tra le parti. ↘Ciò comporta che l’usufrutto venisse considerato a tutti gli effetti un contratto agrario, in quanto si sostanziava in un concessione di beni col diritto di usufrutto vitalizio e con il dovere della coltivazione per il miglioramento del fondo dietro corresponsione di un canone annuo. ↘Tipiche forme, in cui era sotteso l’usufrutto, sono la precaria proprietario precaria oblata, precaria data Di solito è assegnata al vecchio Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Giurisprudenza SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI i livelli non sono cedibili per atti inter vivos Non vi è migliorazione. Il canone dovuto non è il lucrum bensì ha solo la funzione di interruzione della prescrizione. ↘ questo tipo di usufrutto non è cedibile per atti inter vivos ↘ I frutti pendenti, in caso di cessazione dell’usufrutto, sono dell’usufruttuario. ↘ del tutto sconosciuto nel mondo germanico è l’istituto della servitù: le facoltà, quali il diritto di passaggio, il diritto di pozzo o quello di attingere acqua rientrano tutti nella gewere, anzi sono varie forme di gewere. Non risulta, pertanto, una relazione tra un fondo servente ed un fondo dominante, si riguarda la possibilità del soggetto che esercita quella determinata attività. Le stesse considerazioni valgono per l’uso e il diritto di abitazione. Enfiteusi è l’unica figura che dal diritto romano è utilizzata con tutti gli elementi caratteristici nel medioevo. Consiste nella cessione di un fondo agricolo con conseguente diritto di esigere un canone, concepito come onere reale, con l’obbligo delle migliorie e della ricognizione trentennale del diritto. Sussisteva prelazione nonché libertà di cessione dell’enfiteusi, da notificare al concedente. beneficio = forma di concessione, prima temporanea, poi perpetua - ecclesiastico = per la necessita di vita del - civile = elemento del feudo superficie onere reale censo = costituisce onere reale costituito sul fondo mediante consegna di una determinata somma decima = è una particolare forma di censo (si avvicinano ai munera romani e alle imposte moderne); sono alienabili e prescrittibili.