Edmond Buharaja «Università delle Arti di Tirana» Facoltà della Musica LA POETICA DI UN CONCERTO [riflessioni sull’Concerto per oboe e orchestra (1981) di Feim Ibrahimi (1935-1997] Composto nel 1981, il Concerto per oboe e orchestra di Ibrahimi (uno dei massimi compositori albanesi del ’900), ha avuto una difusione anche all’estero, principalmente in Francia e Germania. Sebbene scritto durante il cosidetto periodo del “Realismo Socialista”, il Concerto, proseguendo la strada tracciata dai precedenti due Concerti per pianoforte e orchestra (1971 e 1975), va nella direzione opposta mettendosi contro i diktat imposti dalla politica ed ideologia che imperversavano nell’Albania della seconda metà del ’900. Non a caso a questo Concerto è stata risevarta la stessa “accoglienza” dei Concerti per pianoforte: apprezzato dagli artisti e criticato dalla politica e per poco non ha subito la “censura” applicata al secondo Concerto per pianoforte. Intervento mirerà di mettere in evidenca la poetica che sta alla base di questa composizione, gli elementi compositivi, le particolarità che essa ha portato. Va detto che quest’opera non è mai stata oggetto di qualche studio specializzato. Lo studio verrà svilupato secondo il seguente schema: La matrice modale, La strutturazione del movimento orizzontale, L’universalità dell’ “antichità”, L’estetica della sonorità vericale, Non si era visto prima del ’900 una fioritura così estrema nella sua varietà dei stili musicali, cosi scientifica e canonica nelle sue tecniche, dove il musicista si accettava unanimamente come coesistenza felice tra intellettuale e artigiano; così sofisticata nella sua espressione, dove la musica stimata come “non significante” doveva essere nello stesso tempo, scienza quanto arte; in pratica, l’arte era assai filosofica ed estetica sebbene si concepisse come afilosofica ed aestetica e per di più: tanto complessa e discutibile nella sua proposta. In una tale situazione servono elementi composizionali che possano realizzare l’unificazione dell’opera e, siccome le scale occidentali erano consumate tanto da non sollecitare più interesse degli artisti del ’900, si ritorna o ai vecchi modi riproposti dalle scuole nazionali, o alla serie dodecafonica. Feim Ibrahimi scelse la prima strada e questo non per conformismo politico (visto quello che imponeva la politica attuale), né per quello artistico (vista la tradizione della musica colta in Albania). Era una tendenza canonica interna, una sequenza progressiva istintiva, che l’autore cercherà di coniugare scientificamente creando opere modello, iniziatrici di una nuova tradizione musicale albanese. La modalità è una delle armi forti di Ibrahimi. Tutta la sua opera è permeata da questa tendenza volta sia ai modi pentatonici, che a quelli cromatici, diatonici e esatonali. Feim Ibrahimi non preferisce la verginità di un tipo di struttura sia per il movimento orizzontale che per quello verticale. Egli, nel senso tecnico della parola, è l’autore della bravura, che lo porta ad un complesso di movimenti melodici, cioè, alla polifonia orizzontale. Il sistema pentatonico domina quantitativamente l’opera, ma esso è più evidente nel rapporto verticale spaziale che nell’esaurimento nel tempo del contenuto musicale. Si sente principalmente tramite i salti sull’intervallo generico del pentatono (il rapporto 3/2 che nella musica risponde i all’intervallo della quinta giusta), preferito però allo stato di rivolto (il rapporto 4/3, dunque, come intervallo della quarta giusta). Di fatto, sul piano lineare, l’intervallo emancipato di quest’opera è la seconda maggiore. La seconda feimiana non ha niente a che fare con quella romantica, la cosiddetta “del sospiro”, portatrice di un lamento continuo. Ibrahimi è stato attratto, in primo luogo, dall’effetto acustico di questo intervallo che è il minimo possibile a livello intervallare e di conseguenza, in un certo qual modo, anche annullamento dell’armonia. Ciò si avverte specialmente nel primo movimento del Concerto, generando di conseguenza uno sviluppo costruito su linee molto diverse, non di rado anche estreme nel loro contrasto. Inoltre, la seconda definisce il confine oltre il quale si può passare dalla musica all’effetto sonoro, dunque, dai rapporti matematici nelle confusioni dell’indefinito, dell’approssimativo, dando via alla fantasia espressiva, all’astrazione attica ed elegante, quindi, alla speculazione melodica, tanto indispensabile nella musica. Uno “aura di antichità” riveste la modernità del linguaggio musicale, specialmente del primo tempo di questo concerto, portando verso la legendarizzazione figurativa. L’alternazione dei corali “primitivi” omofonici creati da cluster pentatonici che si muovono in moto parallelo ove la melodia si raffigura più come status melodico dell’armonia, che come linea del melos, esecercitando una pressione frontale sullo sviluppo melodico; - la bifonia prepolifonica, quasiquasi pagana sebbene con elementi del “discanto” medioevale che crea l’imagine della solitudine ascetica della meditazione feimiana; - il rapporto distanziato tra le linee, che stimola gli armonici di ognuna di esse, dando risultati acustici particolari e arricchendo la sonorità con una terza dimensione, con la profondità, dunque sono alcuni degli elementi fondamentali del suo linguaggio. Feim Ibrahimi usa di preferenza i movimenti contrari delle linee melodiche, che, grazie alla loro ritmica complementare, diventano obbliqui, elemento questo prepolifonico, tipico per il canto fermo riempendo con pulsazione sequenziale la ritmica melodica e quella armonica. La pulsazione ritmica è un possedimento primitivo del suono, che viene definita dall’acustica come uno stato transitivo dell’attacco, transizione che Feim Ibrahimi aveva elaborato in modo dettagliato sin dal secondo periodo della sua creatività. La dinamica, questa categoria semiologica, rivestirà pure i blocchi dei suoni simultanei con un ritmo esaltante. L’autore usufruisce massimamente dell’urto e della tensione ritmica, che consentono un’esplosione energica, esplosione destinata a generare forme sempre nuove e inaspettate dell’espressione melodica. Altro elemento molto importante di questa “aura” è la ripetizione più orizzontale che verticale dei piani lineari. La ripetizione, nella fase preiconologica, era sinonimo della conferma della genesi, della riaffermazione, del reinsistere e, di conseguenza, anche della stabilità, avendo come conseguenza l’omogenizzazione, l’unificazione, nonché la memorizazione dell’espressione musicale. A Feim Ibrahimi questo modo di operare si sottomette ad una trasformazione intensiva e conseguente secondo il postulato formale filosofico sull’unità complementare delle varietà, da un lato, e dell’uguaglianza dei tipi diversi, uguaglianza che discende appunto dal fatto che sono “tipi diversi”, cioè, incomparabili tra di loro, dall’altro. Una riuscità estetica assai importante della sua linearità ripetitiva in questa fase, rimane la perdità del valore dei termini come ‘elemento’, ‘tema’ o ‘parte’, e questi come principali, secondari o ternari ecc. Anche se si potrebbe definire tripartita la forma del primo movimento o quella della sonata a ripresa riflessiva del secondo, durante lo sviluppo lineare ci accorgeremmo che esse non sono di importanza determinante per il discorso musicale. In questo modo lo schema non è la causa dell’opera ma la sua conseguenza; non esiste come limitazione dell’espressione musicale ma come il suo provento; non costituisce un’impossizione formale ma si ritorna all’imperativo estetico, decorativo iposensuale. ii