FABIO RATTO TRABUCCO*, Il sistema di governo direttoriale

FABIO RATTO TRABUCCO*, Il sistema di governo direttoriale. Indagine sulle sue
concrete applicazioni, Aracne, Roma, 2014, pp. 368.
Il volume costituisce l’unica monografia che analizza la forma di governo direttoriale in
chiave comparata fra le tre esperienze sino ad oggi concretizzate nei testi costituzionali
francese del 1795, uruguaiano del 1919 e 1951, svizzero del 1848, 1878 e 1999, nonché
degli altri Paesi in cui tale sistema ha esercitato influssi, diretti o indiretti.
La forma di governo direttoriale costituisce l’unico esecutivo monista collegiale ed è
ritenuta uno dei sistemi di governi più insoliti: è presente, oggi, unicamente in Svizzera,
dove permane un unicum.
A fronte dei classici modelli di governo la ricerca esamina la forma di esecutivo più raramente reperibile nell’ambito dell’ingegneria costituzionale delle democrazie moderne:
quel sistema direttoriale che, muovendo dal prototipo rivoluzionario francese del 1795, è
approdato in Svizzera nel 1848 dove si è radicato nei secoli.
All’esito di un’approfondita ricerca storica e comparata emergono le ragioni del successo della forma direttoriale elvetico e del suo fallimento nei pur numerosi ordinamenti dove
essa è stata dapprima introdotta e poi abbandonata, a partire dalla sua nascita nella Costituzione francese del 1795, alle soluzioni di governo collegiale nei Paesi latinoamericani d’inizio Ottocento, sino alle duplici originalissime esperienze del Colegiado uruguayano del
1918 e del 1952 e agli esecutivi collegiali delle Costituzioni di Austria ed Estonia del 1920.
Tutte queste esperienze ebbero breve durata e furono sostituite da nuove forme di governo più “funzionali” con correttivi tesi ad assicurare la stabilità dei governi e, in particolare, il predominio della maggioranza sulla minoranza.
Al contrario, il sistema direttoriale presuppone che il potere sia esercitato da
rappresentanti di tutto il corpo elettorale e che sia dunque un governo di tutti, non solo del
partito o dei gruppi della maggioranza che ha vinto le elezioni.
Questo è lapalissiano in Svizzera, dove la convivenza di lingue, religioni e culture
differenti è resa possibile non da un’alternanza e da una dialettica tra maggioranza e
opposizione, ma da convenzioni costituzionali, che assicurano, attraverso la cd. “formula
magica” (Zauberformel), pur recentemente rimaneggiata, la presenza dei diversi partiti e
dei differenti gruppi religiosi e linguistici all’interno del governo elvetico.
Non mancano altri fattori che hanno contribuito al radicamento della forma direttoriale
svizzera, come: la struttura federale, da cui deriva una distribuzione dei poteri decisionali;
la democrazia diretta, attraverso cui sono demandate direttamente al corpo elettorale le
scelte più impegnative; l’abbondanza delle risorse, che consente un elevato tenore di vita
a livello generale e che impedisce così uno scontro di classi, favorendo, in un piccolo
territorio, una visione politica tendenzialmente omogenea e un’identità nazionale, fondata
sulle proprie tradizioni storiche, al di là delle differenze religiose e linguistiche che
contraddistinguono da sempre la Confederazione elvetica.
Tutti questi elementi assicurano dunque il persistere in Svizzera di una forma di
governo, che per certi versi appare come la più semplice e la più immediata, ma che,
paradossalmente, non può reggere in altri ordinamenti, nei quali la forma parlamentare
“classica” si basa sul dominio della maggioranza sulla minoranza.
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Ne deriva l’assoluta inesportabilità del sistema direttoriale elvetico e la stessa
comparazione diretta tra i modelli collegiali di governo di più lunga durata – da un lato
quello plurisecolare svizzero e dall’altro le due esperienze decennali uruguaiane –
conferma il fallimento del relativo trapianto costituzionale, pur suffragando come il piccolo
Paese sudamericano abbia, tuttavia, saputo creare due inediti archetipi di forma di
governo nell’alveo del sistema direttoriale.
* Professore a contratto di Istituzioni di diritto pubblico
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