L'intervento del Pediatra riguardo a diagnosi precoce, prevenzione, e promozione nell'ambito dello sviluppo psiconeuromotorio nella prima infanzia I pediatri di famiglia hanno non solamente il compito di curare le malattie dei loro assistiti, ma anche quello di seguirne la crescita e lo sviluppo, in particolare attraverso i bilanci di salute periodici, momenti in cui dovrebbero essere possibili diagnosi precoce, prevenzione, e promozione della salute. Un primo ambito rilevante è la possibilità di individuare precocemente i disturbi dello sviluppo psicomotorio, del linguaggio, della relazione e dell’apprendimento, prestando particolare attenzione a quelle piccole trappole che possono ritardare le diagnosi e gl’interventi. Per individuare i disturbi dobbiamo conoscere bene l’evoluzione delle capacità del bambino, considerando : La graduale liberazione dai riflessi arcaici utilizzati nelle fasi prenatale e neonatale L’acquisizione delle funzioni antigravitarie che portano il bambino al controllo del capo, alla stazione seduta ed eretta, infine alla deambulazione La maturazione della motricità fine La maturazione delle capacità sensoriali, in particolare vista ed udito La comparsa del linguaggio come strumento di comunicazione La continua interazione fra aspetti motori, sensoriali, cognitivi e relazionali Sicuramente l'approccio migliore è quello di non valutare solamente le acquisizioni di tappe dello sviluppo ad età prestabilite ma di considerare capacità e segni di potenziale sviluppo; ma un aspetto molto pratico è quello di ricordare quali sono le insidie ed i più comuni errori che abbiamo osservato ricorrere nella nostra esperienza: 1. Non dare il giusto peso alle malformazioni craniche, craniostenosi in particolare, che finiscono spesso diagnosticate da altri; molto utile è l'osservazione del cranio dall'alto, che permette di distinguere le semplici plagiocefalie da altre situazioni più gravi. Riguardo all' idrocefalia occorre distinguere i casi benigni di idrocefalo esterno in cui l'accrescimento della c.c. decorre su percentili elevati ma regolarmente, da quelli chirurgici in cui soprattutto dopo i primi mesi si assiste ad un'impennata della curva. In queste situazioni capita di asistere a ritardi diagnostici, mentre nell'idrocefalia benigna vi è anche il rischio opposto di un'eccessiva medicalizzazione 2. Etichettare come benigne le situazioni caratterizzate da ipotonia, che possono invece celare malattie genetiche ( distrofia muscolare ed amiotrofia spinale ) e metaboliche, così come paralisi cerebrali; in linea generale le ipotonie di natura patologica non tendono a migliorare nel tempo 3. Sottovalutare le asimmetrie e non accorgersi di un’emiparesi. La lateralizzazione ed il mancinismo si rendono evidenti solo dai due anni, un lattante deve utilizzare entrambe le mani, quando inizia a camminare deve saperlo fare non solo in avanti ma anche di lato con appoggio: per bordeggiare deve abdurre l’anca, movimento invece compromesso nell’emiparesi. Anche la marcia sulle punte se costante, è un seno sdi spasticità da non sottovalutare. 4. Non occuparsi degli aspetti cognitivi: il ritardo mentale è una diagnosi spesso tardiva o misconosciuta. Nei primi anni di vita ad evitare ciò occorre interessarsi molto allo sviluppo del linguaggio, ricordando due segnali d’allarme fondamentali: l’assenza di lallazione ad un anno e l’incapacità a pronunciare almeno 3 paroline a 18 mesi. Va ricordato anche che la maggioranza dei bambini con ritardo mentale imparano normalmente a camminare ed hanno un aspetto attraente. E' utile disporre di questionari che ci indirizzino nell'anamnesi, a volte sarebbe sufficiente dare peso alle preoccupazioni espresse da educatori ed insegnanti di Nidi e Materne. Alcuni pediatri valorizzano l'incapacità di riconoscere le E durante il test visivo di Albini, per sospettare casi di ritardo mentale medio-lieve. 5. Valutare soltanto lo sviluppo motorio grossolano trascurando la motricità fine, che è invece più direttamente correlata alla maturazione ed al livello cognitivo. 6. Non badare a quelle distorsioni della comunicazione, della relazione e della simbolizzazioni che rivelano un autismo nel secondo anno di vita. La diagnosi di autismo si realizza in Italia come negli USA fra i 3 ed i 5anni, ma i sospetti dei genitori iniziano verso l'anno e mezzo, e un grosso sospetto dovrebbe essere chiaro a 2anni, quando è possibile accorgersi dell'amimia, della ridotta capacità di attenzione, dei giochi ripetitivi, dell'incapacità a sdoppiare l'attenzione fra persona ed oggetto, e soprattutto quando presente l'incapacità di rispondere se chiamati per nome. Questa caratteristica secondo recenti studi permetterebbe di sospettare la patologia già a 12 mesi di vita, permettendo di instaurare precocemente le terapie cognitivo-comportamentistiche oggi ritenute le sole di qualche dimostrata efficacia. 7. Sottovalutare le regressioni, motorie o linguistiche, attribuendole a fattori emotivi, oppure a piccoli incidenti, mentre possono segnare l'esordio di patologie gravi, metaboliche, demielinizzanti, autismo stesso. 8. Ignorare i sospetti dei genitori riguardo all'udito; non tutte le sordità gravi compaiono alla nascita, non tutte vengono evidenziate allo screening neonatale Il secondo ambito, non facile ma affascinante, consiste nell’aiutare la crescita complessiva del bambino e della sua famiglia, di favorire ove possibile un benessere psicologico oltre che fisico. A questo proposito il ruolo del pediatra di famiglia nel sostenere la relazione si può sintetizzare in quattro aspetti : Conoscere le situazioni Prevenire alcune difficoltà offrendo sostegno Riconoscere le difficoltà maggiori Inviare ad altri professionisti Conoscere le situazioni L’importanza dell’anamnesi: le situazioni a rischio socioambientale ( mamma sola, molto giovane o poco istruita; immigrazione recente, assenza di supporti famigliari; disoccupazione, povertà; coabitazione con malati cronici, alcolismo o tossicodipendenza; persino la separazione dei genitori spesso non ci viene riferita spontaneamente ); ma anche eventi traumatici o lutti, anche non recenti ( storie famigliari di bambini morti ), malattie psichiatriche, in particolare sindromi depressive. L’andamento della gravidanza e del parto, le preoccupazioni, i rischi, i sospetti di malformazioni, le minacce di aborto, eventuali terapie per la sterilità, il senso d'isolamento della madre o la mancanza di supporti in famiglia. Saper porre domande aperte ( come va, che tipo le sembra questo bambino, se lo aspettava così o diverso, c’è qualcosa che la preoccupa, ecc.) cui la mamma possa attaccarsi per esprimere le sue vere preoccupazioni, e questo va già nella direzione del sostegno. Fare emergere le paure con qualche domanda più specifica (a cosa le fa pensare questo sintomo, cosa teme possa succedere, conosce qualche caso simile). Evitare domande che inducono la risposta, che già la contengono. Non è tempo perso, secondo me è tempo investito, che risparmieremo poi con gl’interessi. Prevenire alcune difficoltà offrendo sostegno Esprimere accoglienza fin dal primo incontro, con un occhio di riguardo per i primi mesi, concedendo un po’ più di tempo e di attenzione, sostenere l’allattamento al seno non come fine ma come momento di relazione, mostrare empatia per le difficoltà. Evidenziare fin dai primi incontri le fragilità e l’esigenza di contenimento dei neonati, ma anche le crescenti competenze. Favorirle attraverso una serie di consigli di tipo posturale, ad esempio il contenimento nelle prime settimane, la postura prona in stato di veglia a 2 mesi. Incoraggiare la mamma a superare le normali insicurezze attraverso un atteggiamento non giudicante. Non dare consigli stereotipati, rispettare le differenze, evitare l'eccesso di consigli in negativo, privilegiare quelli in positivo, legarli soprattutto alle anticipazioni di aspetti evolutivi, prevedendo le criticità. Durante i bilanci di salute evidenziare i progressi, soprattutto dello sviluppo psicomotorio: la vista, l’udito, la capacita di cercare la mamma e di sorridere. Evidenziare la presenza della mente, aiutare la comprensione dei sentimenti e delle emozioni del bambino; in particolare nel bambino più grandicello evidenziare gli aspetti emotivi rispetto a quelli cognitivi. Nel parlare di alimentazione valorizzare non solo sotto l’aspetto dei nutrienti ma anche quello della relazione Aiutare a modulare gl’interventi durante la crescita, a dare al bambino qualche opportunità per cavarsela da solo, aiutare a vivere serenamente le prime esperienze di separazione dissipando i sensi di colpa inutili, incoraggiare a dire qualche no, sempre personalizzando gl’interventi; tener conto che spesso attorno all'anno siamo gli unici professionisti di cui possa avvalersi la famiglia. Ricordiamoci di nati per leggere: la lettura ad alta voce fin dai 6 mesi di vità si è dimostrata favorire una buona relazione, migliorare le competenze sia cognitive che comportamentali ed affettive negli anni a venire. Riconoscere le difficoltà maggiori In parte attraverso l’anamnesi e i colloqui durante le visite, come già detto. Ancor di più osservando lo svilupparsi della relazione. Nelle prime settimane attenzione alle difficoltà di attaccamento, alla mamma che appare poco interessata dal bambino,al bambino che vien riferito rifiutare il seno. Nel secondo semestre attenzione ai disturbi importanti del sonno, agli svezzamenti particolarmente difficili. In particolare di fronte a quello che ci sembra un eccesso di ansia, invece di stigmatizzarla provare a capirne i motivi. Riconoscere la depressione che va oltre alla fisiologia melanconia del post-partum, preoccuparsi delle situazioni in cui la mamma appare distaccata o poco interessata dal bambino, ricordare che la depressione non sempre si mostra con un’evidente tristezza, ma spesso si maschera dietro quell’eccesso di preoccupazioni di ansie e di ricorso al medico che magari ci esasperano. Un numero molto alto di consultazioni mediche può essere per noi un indicatore di difficoltà. Inviare ad altri professionisti In alcuni casi può già essere di aiuto ricordarsi del consultorio, del gruppo di sostegno all’allattamento, in particolare quando le difficoltà nascono più che altro dall’isolamento. In caso di chiara patologia materna, questa andrebbe curata dai servizi psichiatrici, sarebbe utile rapportarsi col medico di famiglia della signora. Altre volte può essere invece utile o indispensabile il ricorso a psicologi e neuropsichiatri infantili. Nell'esperienza di pediatri questa è la fase più difficile, non è facile inviare senza giudicare o far sentire inadeguata e sconfitta una mamma; non è facile inviare nel primo anno di vita, non è facile inviare nel sospetto di ritardo cognitivo, di disturbo relazionale, di disturbo pervasivo dello sviluppo. Forse occorre imparare ad accompagnare, piuttosto che inviare. Per questo il pediatra deve conoscere le risorse presenti ed avere dei punti di riferimento nei servizi territoriali, compresi i servizi educativi e socio-assistenziali, in modo da poter costituire un nodo fondamentale della rete.