Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti

num.181/108 nuova edizione
ANNO L II - dicembre 2015 - solo abbonamento
Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
ANNO L III
settembre 2016
solo abbonamento
ISSN 0544-7763
183
110
(nuova edizione)
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Orchestra di Dresda
Abbagnato, Cocino
Radionovelli
Ketevan
Kemoklidze
1
rivista n.107
rivista n.108
rivista n.109
num.181/108 nuova edizione
ANNO L II - dicembre 2015 - solo abbonamento
Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
(nuova edizione)
(nuova edizione)
Antonio Pappano
Roberto Bolle
Didone ed Enea
182
109
ISSN 0544-7763
181
108
ISSN 0544-7763
Organetti a Milano
Maria Elisa Tozzi
The Vertiginous Thrill of Exactitude
BUONE
FESTE!
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Balletto dell’opera di Roma
nuovo direttore
Eleonora Abbagnato
1
1
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mm 109.indd 1
22/04/2016 03:45:51
AFFRETTATI A RINNOVARE
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“IL MONDO DELLA MUSICA”
Rassegna internazionale di vita musicale
Concerti - Opera - Balletto
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IL MONDO DELLA MUSICA
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2
Lettera al Direttore
(nuova edizione)
La Donna Serpente
Colección Tango
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ISSN 0544-7763
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solo abbonamento
180
107
Der Rosenkavalier
ANNO LIII
aprile 2016
ANNO L II
dicembre 2015
solo abbonamento
I Solisti Veneti
Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
ANNO L I
ottobre 2015
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviata alla nostra
redazione da una insegnante di musica che ci ha lasciato
basiti, come già a suo tempo venire a sapere che la Pubblica
Istruzione avrebbe applicato un “algoritmo” ad esseri umani ci
lasciò perplessi. La seguente lettera descrive chiaramente quello
che questa singolare operazione sta provocando in Italia. Seguendo tutto ciò che da troppo tempo stiamo subendo nasce spontanea una
domanda: “c’è ancora qualcosa in questo nostro falotico paese che funziona seriamente?”
IL DISASTRO DELLA MOBILITÀ DOCENTI
S
ono una docente di Educazione musicale in servizio ultraventennale nella scuola secondaria di I
grado, e quando l’anno scorso, all’età di 55 anni,
ho partecipato al piano straordinario di assunzioni previsto dalla L.107, ero ben consapevole sia dell’obbligo
di sottopormi quest’anno alla mobilità su scala nazionale sia della consistenza del punteggio maturato in tutto
questo tempo, che mi aveva portato ad essere la prima
in graduatoria provinciale al momento del passaggio in
ruolo per la mia classe di concorso, occupando una buona posizione anche in ambito regionale. La doccia gelata,
però, è arrivata la sera del 3 agosto scorso quando in una
e-mail mi sono vista deportata a 600 Km da casa (risiedo a Salerno e la destinazione prevista era Viareggio),
ma soprattutto quando, dopo una rapida verifica dei vari
movimenti effettuati dal Miur, mi sono resa conto che
in ambito provinciale e/o regionale erano rimasti tutti
quei colleghi che vantavano un punteggio in alcuni casi
nettamente inferiore al mio. Sbigottita, ma anche irritata,
molto irritata, ho inoltrato al Miur istanza di conciliazione nella speranza che si potesse rimediare a questo
grossolano e lampante errore in tempi brevi. Risultato?
La ns. illustre ministra Giannini, pur continuando a sostenere con estrema incoerenza l’efficace funzionamento dell’algoritmo (quel processo che ha elaborato tutti i
movimenti dei docenti in base a criteri non ben definiti,
ma che dovevano essere ben definiti), si è data un gran
da fare per esperire centinaia di tentativi di conciliazione con docenti che lamentavano una errata assegnazione
dell’ambito territoriale, barattando chilometri in cambio
del silenzio; infatti in moltissimi casi ai ricorrenti è stata
solo data la possibilità di avvicinarsi, ma non di vedere
ripristinata una situazione di legalità. In ogni caso queste conciliazioni hanno rappresentato una ammissione di
colpa riguardo la diabolica gestione della mobilità. Per
chi poi come me non si è aperto nessuno spiraglio di ipotesi alternativa (io però non avrei accettato nulla di diverso da quanto mi spettasse)... pazienza! Il macabro gioco
delle parti è poi continuato col mantenere assolutamente
secretato questo algoritmo nonostante i sindacati abbiano inoltrato formale richiesta di accesso agli atti alla
illustre ministra, che, proprio come in uno stato in cui
vige un regime dittatoriale, se ne è del tutto infischiata,
alla faccia della trasparenza! Non soddisfatta, esprimeva
tutto il suo disappunto nei confronti dei docenti che protestano perché vorrebbero il posto fisso sotto casa e, non
potendolo ottenere, si lamentano sempre e dimenticano
che avevano accettato il rischio, aderendo al piano assunzioni, di allontanarsi da casa. Ma dice sul serio? Ma
questa è davvero la politica, che pur di non ammettere i
propri gravissimi passi falsi fa di tutto per spostare l’attenzione su situazioni completamente diverse? In questi
giorni lo ha fatto anche la dirigente del Miur Campania,
che si è detta curiosa di conoscere le motivazioni che
hanno spinto un giudice salernitano, primo in Italia, a
bloccare il trasferimento di una maestra in Emilia Romagna, considerato che i docenti ben sapevano di correre il
rischio...bla bla bla. Ancora! In tanti si sono espressi su
questa dolorosa vicenda: molti, non sapendo, avrebbero
fatto meglio a tacere, altri, sapendo, avrebbero dovuto
“semplicemente” fare appello alla propria dignità e dire
la verità. Ma tant’è! Ovviamente anch’io mi sono rivolta
all’autorità competente e aspetto che la giustizia a breve
faccia il suo corso, riconoscendo il mio diritto sacrosanto
di lavorare dove mi spetta e non dove qualcuno, tradendo
gli accordi sottoscritti con i sindacati nel contratto sulla
mobilità dell’8 aprile scorso, che prevedeva l’assegnazione dell’ambito territoriale per punteggio, avrebbe deciso di spedirmi. Certo tutta questa farsa ha minato le
mie certezze, la mia fiducia in uno stato di diritto, perché
l’errore può anche starci, ma la condotta irresponsabile e
scellerata di chi aveva il dovere di riparare al mal fatto
con tante scuse, no. Ma sa, illustre ministra Giannini, se
il I mov. della V Sinfonia del grande Beethoven sembra proprio rappresentare i sentimenti scaturiti da questo
gran pasticcio, il prosieguo della composizione è fonte
di forte ispirazione per tutti coloro che, consci di aver
subito un grave sopruso, si sentono animati da rinnovate energie atte a sviluppare quella vis pugnandi che li
porterà ad andare fino in fondo.
Stefania Albano
3
Sommario
FINALE PIROTECNICO
per la stagione di danza romana
di Alberto Cervi
5
Recensioni a cura di
Luigi Bellingardi
THIELEMANN
e OTELLO a Salisburgo
Da BEETHOVEN
a HENZE
con l’Orchestra di Dresda
FONDATRICE
Lydia Boni
Al Teatro Regio
8
10
CARMEN
Al Piccolo Regio
LA GIARA
di Alberto Testa
CONCERTI
AL CASTELLO
di P. Krachmalnicoff
Quando la musica
incontra la scienza
EDGAR VARÉSE
Michieletto e un geniale
TRITTICO al Costanzi
di Luigi Bellingardi
12
Avveniristico allestimento
di TOSCA al Carlo Felice
di Massimo Arduino
13
LA KEMOKLIDZE
all’Opera di Roma
di Lorenzo Tozzi
ECO E NARCISO
di Domenico Scarlatti
di Cecilia Campa
14
16
Recensioni a cura di
Alberto Testa
a Torino il trionfo di
JUAN DIEGO FLÓREZ
la voce che incanta
4
RASSEGNA INTERNAZIONALE
DI VITA MUSICALE -CONCERTI
OPERA -BALLETTO
di Maria Adele Ambrosio
Savino Zaba per i 60 anni
di RADIONOVELLI
di Francesca Berton
Elucubrazioni su
un accordo musicale
Maggiore, Minore, Diminuito
di Carlo Frajese
“Luci della Ribalta” e
Masterclasses Narni 2016
di Maria Serena Tait
UN FUTURO
per L’Archivio dei musicisti
di Latina
di Claudio Paradiso
NOTIZIE
a cura di Angela Funaro
18
LIBRI E DISCHI
a cura di Lorenzo Tozzi
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Finale pirotecnico
per la stagione di danza romana
A
vvio di finale di stagione
pirotecnico per il Teatro
dell’Opera di Roma che per
danza e lirica ha sparato le grosse
cartucce, prima fra tutte il nuovo
spumeggiante allestimento de La
Traviata curato dal sarto Valentino, che non sta a me giudicare, ma
che per quanto riguarda i piccoli
interventi
coreografici,
ideati dal francese Stéphane
Phavorin, non
mi è sembrato
molto incisivo
nonostante la
presenza di un
grande artista
quale Manuel
Paruccini. Per
contro il Balletto dell’Opera ha avuto ben
altre occasioni
per cui brillare
a cominciare
dall’entrata in
repertorio di
una delle più
celebrate coreografie
di
fine ‘900, Le
Parc, creata nel
1994 da un grande
artista, in vero un po’ sopravvalutato, Angelin Preljocaj, uno che comunque sa bene come combinare la
danza accademica con le più eccentriche tendenze dei movimenti contemporanei. In questo lavoro egli,
prendendo spunto da un manuale
francese del ‘700, L’Arte d’Amare,
racconta della difficile azione del
corteggiare, ambientando il tutto in
uno stilizzato giardino all’italiana,
scene di Thierry Leproust, e con
l’accompagno delle sublimi note di
Mozart, solo a tratti interrotte dalle
ardue sonorità di Goran Vejdova.
Nelle prime due parti lo spettacolo
procede lentamente pur offrendo alcune belle figurazioni (c’è molto del
teatro-danza di Pina Bausch) ma il
meglio è nel terzo atto allorchè dopo
tanti tentennamenti i due protagonisti, la sublime Abbagnato ed il tepi-
calla, la Serata Nureyev che ha visto
la messa in scena di tre coreografie
di Petipa che furono sapientemente
rivisionate dall’artista scomparso,
allorché trovò asilo in occidente: il
terzo atto della Raymonda di Glazunov, alcuni estratti da Il Lago dei
Cigni di Ciaikowsky, e soprattutto
di massimo interesse quel terzo atto
da La Bayadère di Minkus,
ovvero il cosiddetto “atto delle
ombre” che è il
massimo esempio di stile nel
balletto tardoromantico. Purtroppo la sera
della prima, cui
io ho assistito,
molte cose che
non sono andate
per il verso giusto, sia nell’esibizione dei protagonisti, ospite
il grande Friedman Vogel, sia
nelle luci e nella scenografia,
hanno svilito lo
Abbagnato, Cocino Le Parc © Y. Kageyama spettacolo; una
lode comunque
senza riserve va
do Stéphane Bullion (sostituito poi
fatta per il corpo di ballo, quello mada Claudio Cocino), concretizzano
schile, impeccabile nella polonaise
il loro incontro amoroso con uno
del Lago, primo atto, e quello femsplendido passo a due di grande senminile, preciso ed imperturbabile
sualità e bellezza. Un discorso sulla
nella discesa delle ombre dall’Eveseduzione che mi è sembrato però
rest, nonostante gli inconvenienti sul
soprattutto uno scontro per la suprepalcoscenico!
mazia fra i due sessi, nella vita così
Senz’altro da ricordare uno spettacome nell’amore.
colino di nicchia presentato sulla
Altra grande produzione è stata quelribalta del Teatro Nazionale cui il
la con cui il Balletto dell’Opera ha
Balletto dell’Opera ha contribuito
aperto la parentesi estiva nello spetcon una nuova produzione de Il Cartacolare teatro alle Terme di Caranevale degli Animali di Saint Saens,
5
ideata da Davide Bombana e ricca di
belle immagini assolutamente originali e moderne nel richiamarsi ad i
vari soggetti del testo musicale: superbi Alessandra Amato e Giuseppe
Schiavone quali pesci nell’acquario
e Rebecca Bianchi, il cigno morente invischiato nel petrolio. Una lode
per i costumi di Anna Biagiotti!
Per Roberto Bolle, sempre a Caracalla, il solito tripudio incondizionato
di folle richiamate dalla mondanità
della serata e dall’indiscutibile avvenenza del divo. Non particolarmente
seducente il programma costituito
da troppi brani scontati, ma assolutamente apprezzabile la presenza di
tanti suoi colleghi di primissimo piano quali ad esempio Anna Tsygankova e Matthew Golding che sanno
trasformare il più trito dei passi a
due, quello dal Don Chisciotte, in un
gioiello di espressività e tenerezza!
Ed ancora Elena Vostrotina e Christian Bauch che, in Duet from New
Suite su di una allemanda di Bach,
rendono al massimo tutta l’energia
che William Forsythe ha saputo trarre dalla tecnica accademica. Quanto al Bolle stesso, ha dato il meglio
di sé più che nell’autocelebrante
e stucchevole Prototype di Massimiliano Volpini, nello spiritoso Le
Grand Pas de Deux
di Christian Puck con
la deliziosa Viktorina
Kapitonova.
Per restare nell’ambito
del
Teatro
dell’Opera di Roma,
va ricordato che si è
svolta quest’anno la
prima edizione del
Festival di Teatro
Musicale Contemporaneo a cura di
Giorgio Battistelli,
nel quale era inserito un unico titolo di
danza: Empty Moves,
un pezzo concepito
ancora una volta dal Preljocaj per 4
danzatori; un testo senza contenuti,
elaborato su una sequela di fonemi
di John Cage,
Empty Words,
per l’appunto,
in cui il coreografo scatena i
suoi interpreti in
un’interrotta serie di movimenti
concatenati nel
modo più libero ed inaspettato, senza senso,
certo, ma non
senza un certo
qual interesse.
Un esperimento
quindi, ma di
gran livello!
L’ A c c a d e m i a
Filarmonica
Romana, superati i momentanei
impedimenti del Teatro
Olimpico,
ha
portato avanti
il suo Festival
di Danza con
notevoli produzioni: la prima
Bolle, Kapitonova Gran Pas de Deux © Luciano Romano assoluta di Ge-
6
orge Sand “uomo” e libertà, una
creazione della coreografa Sabrina Massignani per l’Astra Roma
Ballet, la compagine saldamente
diretta dall’indimenticabile Diana
Ferrara. Le musiche scelte erano
Empty Moves © JC Carbonnei
di Chopin, Respighi, Beethoven
e Schumann e per protagonista
figurava la ex-scaligera Sabrina
Brazzo, ballerina di bellissima
presenza, dalle linee lunghe e dal
sofisticato gestire che impersonava la temperamentosa scrittrice
francese con fare forse troppo distaccato; ma il linguaggio, invero
fornito dalla coreografa rimaneva
troppo in superficie senza dare mai
della vicenda una visione a tutto
tondo. Un bello spettacolo, molto suggestivo e raffinato tuttavia
poco coinvolgente.
E’ tornato poi l’Aterballetto con
le nuove produzioni di cui ormai
è sempre più arduo fornire una recensione dato che, col nuovo corso
imposto dalla direzione artistica,
vengono sempre più proposte nuove creazioni improntate a personalissime visioni di vita e d’arte
di coreografi, vecchi o nuovi, che
hanno tutti l’aria però di lavorare
per il proprio estro e piacere, insensibili a quel che il pubblico può
recepire. Che dire di tal Philippe
Kratz? in Sentieri ci avverte il programma che vuol rivivere emozioni e ricordi della sua infanzia; io
non ho percepito alcunché di pregnante fra tanto agitarsi in figure
di scarsa originalità ed interesse.
Anche il glorioso Jiri Kylian semgrande intellettualità che cerca di
rotto, sempre più orientato sulla
bra perdere il suo pathos e la sua
rendere per immagini e movimendanza contemporanea dei giovani
notevole ironia nel rielaborare una
to le liriche del poeta, acutissimo
autori, coreografi tuttavia seleprecedente creazione con nuova
nell’illustrare le stagioni dei senzionati non a caso per seguire una
base musicale tratta da Mahler,
timenti e le condizioni della sociemoda, ma apparentemente secon14’20’’. Solo il greco Andonis
tà consumistica d’America, paese
do un gusto sicuro ed una certa afFoniadakis nel suo scombinato
dove si era rifugiato allo scoppio
finità con la compagnia. Il nuovo
ed arruffatissimo Antitesi, mi
trittico “Paradox” analizza
sembra voler destare l’intele possibilità espressive dei
resse dello spettatore e dirci
“l’estate romana ci ha regalato corpi maschili e femminili
qualcosa di autentico seppur
in brani separati per geneun nuovo luogo per spettacoli
eccentrico; nella sua baraonda
re: il primo, Shyco, creazioall’aperto, il Giardino di Palazzo ne di Itamar Serussi, è un
di corpi ed azioni c’è di tutto
e c’è spettacolo innanzi tutto,
assolo maschile di grande
Venezia, un giardino incantato,
dalla classicità greca all’anarintensità ed atletismo, volto
ritrovato in pieno centro città ”
chia, dal bello accademico al
ad esprimere il percorso di
brutto e scomposto d’oggidì,
un giovane uomo nel matucon la musica dei classici itarare la propria personalità,
liani a far da colonna sonora e filo
della seconda guerra mondiale, ma
Fem di Paolo Mangiola per quatconduttore. Se il caos dev’essere
al quale non risparmiò le sue crititro danzatrici, traduce in passi di
così, evviva il caos!
che. Spiace solo il fatto che lo spetmatrice più accademica il mondo
Ultima compagnia in programma
tacolo, ricco e ben costruito, con
dell’intimità femminile libero di
quest’anno il Balletto del Sud,
apporti di musiche anche di John
esprimersi senza condizionamenti
l’eccellente compagine fondata e
Cage, viaggi su di un piano inumaschili. Infine con Tefer, ancora
diretta a Lecce da Fredy Franzutsuale per il pubblico italiano che,
del Serussi, irrompiamo con sei
ti, coreografo colto, intelligente ed
non così familiare con gli scritti
danzatori in un universo maschile
instancabile.
dell’inglese, coglie dell’opera più
di forza ed ostentata virilità, vista
Tanto attivo da non dar tregua ai
gli aspetti superficiali che non gli
in un turbinio di azioni non prive
di gustosa ironia. Bravissimi tutti i giovani di questa ferratissima
compagine che si avvale anche
di una efficiente scuola diretta
dall’eccellente Paola Iorio.
C’è anche un nuovo mini-teatro tascabile a Roma, anzi un “Teatroinscatola”, piccolo, piccolo, fatto
apposta per artisti solisti e le loro
personalissime esibizioni. Qui ho
ritrovato quel particolare danzatore che è Fabio Ciccalè, per la
rassegna Rosa Shocking, nella sua
ultima creazione, Indaco, su musiche di autori vari, una raccolta di
sensazioni ed emozioni legata ad
un’ infanzia innocente, semplice
Le quattro stagioni - inverno © Sciolti
ed armoniosa al contempo, come
il colore stesso sta a significare;
suoi estimatori con sempre nuointimi nessi.
inutile analizzare le azioni che il
ve e sorprendenti proposte come
L’estate romana ci ha regalato innostro esplica davanti al suo pubquest’ultima Le quattro stagioni,
fine un nuovo luogo per spettacoli
blico, sono spesso inesplicabili ed
creazione che esce fuori dal conall’aperto, il Giardino di Palazzo
insensate alla pari proprio di un
sueto schema cui la abusata musiVenezia, un giardino incantato,
gioco infantile, quelle che conca di Vivaldi ci ha abituato, per ridirei, nascosto e ritrovato in pieno
tano sono le idee che trascendono
allacciarsi invece alle diverse fasi
centro città, perfetto per incontri
il movimento e che si riescono a
della vita umana appoggiandosi
d’arte e per serate di danza. Qui si
percepire tramite la grande fisicità
agli straordinari versi dell’ingleè ripresentato il Balletto di Roma,
che l’artista emana.
se W. H. Auden. Un lavoro quinanch’esso ormai, con la nuova diAlberto Cervi
di estremamente ragionato e di
rezione artistica di Roberto Casa-
7
Recensioni a cura di Luigi Bellingardi
THIELEMANN
e OTELLO a Salisburgo
I
spirata a Shakespeare, a 400
anni dalla morte, è stata la 49a
edizione del Festival di Pasqua
a Salisburgo nella presentazione
di Christin Thielemann e di Peter
Ruzicka, il nuovo “Intendant”: al
centro l’Otello verdiano, un al-
fatto seguito la recita del 27 marzo
(alla quale ho assistito). Nel verificare i vari aspetti della performance di Otello ho notato l’incidenza
continuativa e determinante di una
idea-base, quella di puntare ad
imprimere il maggior risalto pos-
ed intensità di spessore strumentale di ogni sezione e dell’insieme,
sovente nel fortissimo del volume
sonoro. Dal canto suo il regista
Boussard ha voluto sottolineare
l’incombenza della tragedia con
l’inventare un nuovo personaggio,
dell’Esultate di Otello. Per fortuconcomitanti impegni artistici,
va di buon mestiere nella presenza
na è assente dal duetto del Moro
anche tra l’una e l’altra recita a
scenica. Efficaci gli interpreti dei
con Desdemona (Quando narravi)
Salisburgo, José Cura ha alternaruoli minori: Benjamin Bernhein
sullo sfondo di specchi e di stelle.
to alcuni pregevoli slanci vocali e
esibisce, come Cassio, una fresca
L’Angelo Nero domina nel seconsquilli ad altri per lo più non belvoce di tenore; Georg Zappenfeld
do atto: si avvinghia a Jago, lo bali, denunciando una scarsa forma
è convincente come Lodovico;
cia sulle labbra per trasmettergli il
nell’intonazione, nel registro graChrista Mayer è assai persuasiva
virus luciferino del Male
come Emilia; Bror
poco prima che declami
Magnus Todness è
il sinistro suo Credo. La
un Rodrigo puntuale;
sala del castello è domiCsaba Szegedi è un
“il
regista
Boussard
ha
voluto
nata dall’Angelo Nero
Montasottolineare l’incombenza della tragedia apprezzabile
che corre avanti e indieno; Gordon Bintner è
tro con una bolla di fuoco
con l’inventare un nuovo personaggio,
l’araldo. Tenace risulin mano e accende tante
ta l’impegno esecutil’Angelo della Morte”
candele su una lunga tavo del Coro dell’Opevola. Ed è anche protara di Dresda, ben
gonista del quarto atto,
addestrato da Jörn
accanto a Desdemona, in un locale
ve, con qualche eccesso di vibraHinnerk Andresen nonché quelassai piccolo, tutto spoglio, dove
to. Anche la presenza scenica, sin
lo del Kinderchor di Salisburgo,
c’è solo un piedistallo che inalbera
dall’impostazione voluta dal regipreparato a dovere da Wolfgang
il vestito da sposa: è l’Angelo della
sta, è risultata nettamente inferiore
Götz: nell’omaggio a Desdemona
Morte ad assistere all’assassinio, a
rispetto ad altre sue prestazioni,
suscita ilarità nel pubblico perché
portar via il corpo di Desdemona, a
documentate in vari video ripresi
la regìa fa apparire i fanciulli con
porgere ad Otello la lama mortale.
dal vivo. Celebre interprete mola camiciola rossa e il grembiulino
Nella valutazione generale dello
zartiana, Dorothea Röschmann,
bianco, come se partecipassero al
spettacolo mi ha stupito il distacco
magari per carenza di prove d’asTe Deum della Tosca. Al termine
con il quale Boussard abbia ignosieme, qua e là non ha pienamente
della serata lunghi applausi, sperato la drammaturgia, i sentimenti,
convinto come Desdemona: spesso
cialmente rivolti a Thielemann,
i rapporti tra l’uno e l’altro persosoverchiato dall’orchestra, il lumia sua volta entusiasta e appagato
naggio, quasi fosse all’esordio nel
noso suo timbro si è fatto valere
dall’esito eccellente dei complessi
teatro verdiano e non conoscesse i
soltanto nel quarto atto. Omogeneo
artistici della Semper Oper. Non
problemi psicologici della stessa
e fluido nell’intero arco dell’opera,
sono mancati i reiterati e insistenti
vicenda scespiriana, gli intrighi,
pur con l’emissione costantemente
“buh” rivolti a José Cura e al rela gelosia. Di per sé atemporali ed
sul forte in luogo del mezzoforte
gista Vincent Boussard. Ripreso
astratte sono le scene di Lemaire,
o dei pianissimi previsti dalla pare trasmesso dalla tv, lo spettacolo
al pari degli eleganti costumi di
titura verdiana, Carlos Alvarez è
vedrà la luce come video verso la
Lacroix. Forse affaticato da altri,
stato un vigoroso Jago, dando profine di quest’anno (forse C Major).
José Cura (Otello), Carlos Álvarez (Iago, in the back). © Forster
tro titolo in lingua italiana dopo
il binomio verista (Cav & Pag)
dell’anno scorso. Per questo Otello, sempre nell’annuncio ufficiale, era stato scritturato un “team”
d’eccezione in sede di allestimento
con Vincent Boussard come regista, Vincent Lemaire per le scene
e Christian Lacroix per i costumi.
La scelta dei protagonisti di canto
ha creato qualche problema con la
sostituzione forzata del tenore Johan Botha, gravemente ammalato,
con José Cura e del baritono Dmitri Hvorostovsky con Carlos Alvarez. Alla première del 19 marzo ha
8
sibile ad un’atmosfera cupa, tetra,
marcata da una significativa prospettiva funerea, prefigurando sin
dall’avvio il destino ineluttabile
della tragedia. Thielemann all’esecuzione integrale di Otello ha aggiunto la riapertura d’un taglio
tradizionale nel concertato della
conclusione del terz’atto, allentandone però un poco la tensione. Comunque con grande autorevolezza
si è fatto valere il virtuosismo della
Sächsische Staatskapelle Dresden,
un’orchestra formata quasi da solisti tali sono risultate le qualità
di trasparenza, omogeneità, intesa
l’Angelo della Morte, tutto nero
con grandi ali nere (Sofia Pintzou,
una ballerina) che appare frequentemente in scena, già all’avvio del
primo atto quando cerca di trattenere un gigantesco velo che sventola sopra al golfo mistico, come
fosse una vela gonfiata dal vento,
un bell’effetto anche per le proiezioni (di Isabel Robson, d’intesa
con il gioco di luci di Guido Levi).
Dietro al velo c’è il Coro della
Semper Oper di Dresda nell’unica
grande scena all’aperto dell’uragano sulla riva del mare in tempesta, tra lampi e fulmini, prima
Chorus © Forster
9
Da BEETHOVEN A HENZE
con l’Orchestra di Dresda
I
l ciclo dei concerti della Saechsische Staatskapelle ha costituito
nella varietà delle sue proposte
musicali quasi un festival autonomo,
a cominciare dalla sfolgorante performance della Missa Solemnis di
Beethoven. Come a tutti è noto alla
stesura di questa maestosa composizione Beethoven attese un tempo
assai maggiore del previsto, dall’autunno 1818 alla metà del 1823. E
giustamente Adorno ebbe ad osservare che lo spirito laico del musicista
“si estraniò dal contenuto religioso
per dedicarsi alla
specifica forma
creativa”, essendo stimolato dalle
sollecitazioni della storia e della
tradizione. Dai ricordi personali di
Wilhelm Furtwaengler, che mai si
decise a dirigere
questo ampio e
complesso lavoro, si apprende
che il problema
si identificava nel
dissidio fra la dimensione storica
della
polifonia
alla
Palestrina
e la dimensione
moderna di una
religiosità intimistica, “comprensiva d’un linguaggio
nutrito di Lied e di corale” su base
essenzialmente armonica. Non per
nulla attorno alla Missa Solemnis
si sono formate le origini del movimento culturale di riscoperta della
musica antica: in un appunto di Beethoven, evidenziato non tanto tempo
fa da Luigi Magnani, vi è l’annotazione in merito “agli antichi modi
della musica ecclesiastica”. Sotto
la vibrante ed elastica direzione di
Christian Thielemann si è imposto
10
all’attenzione il tracciato del Kyrie,
con le due sezioni esterne prevalentemente corali e quella centrale solistica. Un trascinante, travolgente giubilo sottolinea l’attacco del Gloria.
Nell’incisiva irruenza del maestro
berlinese sbalorditiva è apparsa la
maestosa struttura polifonica, squassata da una furia incalzante. Nonché
le improvvise, quasi inattese, oasi di
quiete del Gratias agimus o dell’implorante Miserere nobis. Con strepitoso impegno gestuale Thielemann
ha scandito ogni episodio del Credo,
tale atmosfera conduce, con l’Agnus
Dei, alla conclusione. Di grande
forza espressiva il canto, pastoso
e fluido, di Krassimira Stoyanova,
nonché gli appassionati impegni vocali del basso Georg Zeppenfeld, del
mezzosoprano Christa Mayer e del
tenore Daniel Behle. Al violino solista, in piedi a lungo, c’era l’ottimo
Matthias Wollong, all’organo Jobst
Schneiderat, assieme al Coro della
Radio Bavarese, ben addestrato da
Peter Dijkstra. Tutti applauditissimi
assieme alla fenomenale Orchestra
di Dresda e al
maestro stabile
Christian Thielemann. L’esordiente Vladimir
Jurowski,
direttore
stabile
al Festival di
Glyndebourne,
ha firmato il
successivo programma sinfonico letteralmente
programmato nel
ricordo scespiriano con l’Ouverture dell’Oberon di Carl Maria
von Weber, il
beethoveniano
Concerto n°1 in
Orchestra Sinfonica di Dresda do maggiore op.
15, l’Ouverture
nell’alternanza di polifonia e di stidel “Sogno di una notte d’estate”
le moderno. Per il Sanctus Beethoop. 21 di Felix Mendelssohn-Barven ha scelto soltanto le voci senza
tholdy, la Sinfonia n° 8 di Hans Werl’orchestra, con un effetto di devota
ner Henze. Jurowski ha chiaramente
sobrietà di accenti – nel gioco degli
confermato le indubbie sue qualità
archi, solo viole e violoncelli, senza
interpretative, uno slancio fantasioviolini, con il fugato di Pleni sunt
so ricco di colori e una stimolante
coeli. Introdotto da un Praeludium
gamma di effetti dinamici. Cogliendi strumenti soli si dipana la ineffado quindi con esiti eccellenti i caratbile dolcezza del Benedictus in cui
teri idiomatici di ogni composizione
il canone dei solisti vocali, ai quali
in locandina, a cominciare dall’incesi unisce un violino, si stempera in
dere fiabesco e cavalleresco dell’Alluminosa, trasparente naturalezza. E
legro bitematico di Oberon, con i
variamente allusivi al soggetto scespiriano, alla ricerca d’un magico
fiore da parte di Puck, al suo viaggio intorno al mondo, all’improvvisa
passione di Titania e per Bottom e
al sognante clima conclusivo, l’Allegramente con comodo, tra
tenerezza e ballabilità. Intessuta di raffinati chiaroscuri strumentali l’intera esecuzione di
questa Ottava Sinfonia ha colto
magistralmente l’affascinante
morfologia e dell’eloquio strumentale henziano, tutta la sua
carica di poesia e naturalezza.
Di nuovo sul podio dell’Orchestra di Dresda Christian Thielemann per il terzo concerto
sinfonico dedicato a musiche
di Beethoven, Čajkovskij e
Liszt. Nel far risaltare i caratteri del Triplo Concerto in re maggiore op. 56,
nella specifica fisionomia
di prevalente gusto “parigino”, rispetto ai modelli
viennesi di Haydn e di Mozart, Beethoven provvide a
Ludwig van Beethoven largamente profondere vari
incisi melodici in un’atmosfera di brillante socievolezza: ed
brillante e raffinato: nel buon gusto
è proprio in tale ambito che si è
esecutivo dell’iniziale Allegro con
prodigata Anne-Sophie Mutter
brio, assai prossimo ai modelli di
al violino con intensità maggioClementi e Hummel, nell’amabili
re di quella dimostrata da Lynn
tà da romanza mozartiana del largo
Harrell al violoncello e da Yefim
centrale e nella trascinante verve
Bronfman al pianoforte.
del Rondò conclusivo. Ai reiterati
Divina e sempre incantevole, la
consensi del pubblico Buchbinder
Mutter sotto ogni punto di vista,
ha offerto come fuori programma
spiccatamente nell’individuare
una smagliante esecuzione del Finale
le ombreggiature del tracciato
della beethoveniana Pathetique. Delmusicale. Dal canto suo Thiela giovanile Ouverture del Sommerlemann, finissimo nell’imprinachtstraum si sono ascoltate tutte le
mere in ogni momento la necessisuggestioni di un romanticismo fatatà dell’equilibrio sonoro, ha fatto
to ed aereo, nutrito di sonorità lievisrilevare, una volta ancora, la duttilità
sime e trasparenti, nell’evocazione
espressiva dell’Orchestra di Dresda.
del mondo dei folletti e delle fate.
Analogamente il maestro berlineInfine d’estrema piacevolezza è stato
se ha felicemente sottolineato ogni
il disegno interpretativo dell’Ottava
aspetto artistico dell’Ouverture-FanSinfonia di Henze, ispirata essa pure
tasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij
al Sogno d’estate mendelssohniano e
e del poema sinfonico Les preludes di
dedicata alla Boston Symphony OrLiszt nell’incessante procedimento di
chestra che ne diede la prima assoluta
trasformazione melodica e strumennel 1993 sotto la bacchetta di Ozawa.
tale.
Secondo le parole di Henze stesso,
Il sovrintendente Peter Ruzicka e il
domina nella musica la luminosità
direttore musicale Christian Thied’una giornata di sole nell’ebbrezza
lemann hanno infine confermato il
della natura d’estate con riferimenti
tipici interventi del clarinetto. Nella
performance del Primo Concerto
beethoveniano in luminosa evidenza
sia la sicura tecnica sia la luminosa
trasparenza di Rudolf Buchbinder
alla tastiera, con un manualismo
loro impegno artistico al Festival di
Pasqua a Salisburgo sino al 2020. E
annunciato il programma del prossimo anno, particolarmente solenne perché celebrerà i 50 anni della
manifestazione ideata nel 1967 da
Herbert von Karajan. Verrà riproposta Die Walküre con la ricostruzione dell’originaria scenografia di
Günter Schneider-Siemssen, con la
regia di Vera Nemirova e i costumi
di Jens Kiliamn, Nel cast sono annunciati Peter Seiffert (Siegmund),
Georg Zeppenfeld (Hunding), Vitalij
Kowaljow (Wotan), Anja Harteros
(Sieglinde), Anja Kampe (Brünnhilde), Christa Mayer (Fricka). Per
l’occasione, oltre all’Orchestra di
Dresda, parteciperanno due altre
celeberrime formazioni, i Wiener
Hans Werner Henze
Philarmoniker sotto la direzione
di Thielemann per l’esecuzione
della IX Sinfonia di Beethoven ed
i Berliner Philarmoniker sotto la
guida di Simon Rattle per la Sesta
Sinfonia di Mahler. Nel ciclo consueto dei concerti sinfonici Franz
Welser-Möst dirigerà la Nona Sinfonia di Mahler, Thielemann il Requiem di Fauré, la Terza Sinfonia
di Sant-Saëns, il Concerto n° 21
in do maggiore K. 467 di Mozart
(alla tastiera Danil Trifonov) e la
Sinfonia n° 4 “Romantica” di Anton Bruckner.
11
Michieletto e un geniale
TRITTICO al Costanzi
D
al gennaio 2002 mancava al
Luigi, lo avvolge nel mantello che
Ottima la prova del folto cast in cui
Teatro dell’Opera il Trittico
apre infine alla vista della donna. In
hanno spiccato per bravura scenica e
integrale con la direzione
Suor Angelica un container aperto è
per slancio vocale Roberto Frontali
di Gianluigi Gelmetti e la regia di
la cameretta di Angelica, gli altri si(Michele e Schicchi), la fenomenaRoberto De Simone, protagonista in
stemati in fila servono come una fila
le Patrizia Racette come Giorgetta
tutte e tre le operine Daniela Dessì.
di lavatoi d’una sorta di convento,
e come Suor Angelica, Violetta UrVi è tornato il 17 aprile (io ho assitrasformato in una casa correzionale
mana come la Zia Principessa, e poi
stito alla reciin
Tabarro
ta del 23 apriMaxim Aksele, con il cast
nov (Luigi),
della premièNicole Pamio
re) sotto la
(il
Tinca),
direzione muDomenico
sicale di DaColajanni (il
niele Rustioni
Talpa), Anna
e con la regìa
Malavasi (la
di Damiano
Frugola), VlaMichieletto.
dimir Reutov
Un gran suc(il vendicaore
cesso nell’imambulante),
postazione
Ekaterina Sad r a m m a t u rdovnikova
gica,
nella
(Suor Genorealizzazione
veffa), Beascenica come
trice Mezzanell’interprenotte
(suor
tazione
dei
Osmina),
Trittico di Giacomo Puccini, regia Damiano Michieletto, © Yasuko Kageyama Chiara Piecantanti. Michieletto ha
retti
(Suor
scelto come motivo unificante l’idea
per fanciulle perdute, con due sorDolcina), Rossella Cerioni (suor indella maternità: se Giorgetta nel Taveglianti inguainate in una tuta nera
fermiera); in Gianni Schicchi Natabarro e Angelica in Suor Angelica
e armate di frustini. Nello Schicscha Petrinsky (Zita), Antonio Poli
sono personaggi a cui è venuto a
chi infine si vede un appartamento
(Rinuccio), Ekaterina Sadovnikova
mancare un figlio, in Gianni Schicmultipiano con le pareti rivestite di
(Lauretta), Nicola Pamio (Gherarchi il regista immagina che Lauretta
grossolane carte da parati a fiori. In
do), Simge Buyukedes (Nella), Losia rimasta incinta durante una scapqueste realizzazioni Michieletto si è
renzo Giambenedetti (Gherardino),
patella con Rinuccio e che lo riveli
avvalso dell’impegno esecutivo di
Andrea Porta (Bello di Signa), Doal babbo Schicchi mostrandogli una
collaboratori di prim’ordine come
menico Colajanni (Simone), Roberecografia mentre intona O mio babPaolo Fantin per le scene, di Carto Accurso (Marco), Anna Malavasi
bino caro. In sede rappresentativa il
la Teti per i costumi, di Alessandro
(la Ciesca), Matteo Peirone (mastro
regista Michieletto ha disposto sulla
Carletti per il vivace ed efficace gioSpinelloccio), Francesco Musinu
scena un gruppo di container, alcuni
co di luci. Non meno abile, scaltra,
(Ser Amantio di Nicolao), Leo Paul
apribili altri variamente sovrapposti
intelligente la regia di Michieletto
Chiarot (Pinellino), Daniele Masin modo da variare e ampliare anche
nell’azione scenica, anche nell’insimi (Guccio). Otto repliche, tutte
in verticale lo spazio scenico: per
calzante succedersi degli atteggiaesaurite con consensi vivissimi al
Tabarro tutto funziona egregiamenmenti e dei comportamenti farseschi
direttore Rustioni, al regista Michiete nel disegno espressionista della
di Gianni Schicchi. La direzione
letto, all’orchestra, al coro ben presemi-oscurità e nel naturalismo delmusicale di Daniele Rustioni è stata
parato da Roberto Gabbiani.
lo scontro tra l’adultera Giorgetta
precisa, varia, puntuale pur con quale Michele in primo luogo poi nello
che rallentamento nel dar evidenza
Luigi Bellingardi
scontro fisico di Michele che uccide
alla tessitura armonica del Tabarro.
12
Avveniristico allestimento
di TOSCA al Carlo Felice
D
opo circa un anno e mezzo è
tornata Tosca al Teatro Carlo
Felice di Genova, nell’avveniristico allestimento di Davide Livermore. Il motivo di una ripresa così
ravvicinata è stato, essenzialmente, il
debutto del tenore genovese Francesco
Meli nel ruolo di Cavaradossi. Meli,
che è persona intelligente e accorta, ha
aspettato di avere 36 anni, e la relativa
maturità artistica, fisica e vocale, per interpretare il pittore pucciniano. L’ardito
allestimento di Davide Livermore ha
quindi, quest’anno, assolto la funzione
di incubatrice protettiva per la nascita
di un nuovo grande Cavaradossi.
Il regista piemontese, responsabile anche delle scene, ha progettato un unico enorme piano inclinato, girevole,
capace di avvicinare e allontanare i
protagonisti dal pubblico in un’emulazione del linguaggio cinematografico impressionante, fatta di cambi di
prospettiva, piani sequenza e persino
primi piani, qualcosa di mai visto prima su un palcoscenico. Le proiezioni
di sfondo, ormai quasi un marchio di
fabbrica di Livermore, contribuivano
alla fascinazione, mutando la struttura
inclinata dalla Chiesa di Sant’Andrea
della Valle in Palazzo Farnese, con tanto di sala torture a vista, in basso, fino a
disegnare gli spalti di Castel Sant’Angelo nel finale, coinvolgendo totalmente gli spettatori in sala. Per contro
l’inclinazione vertiginosa del piano
scenico e i movimenti continui hanno
messo a dura prova equilibrio e agilità
degli interpreti, costretti a un surplus di
concentrazione, oltre a quella normalmente richiesta dal canto e dalla esigente partitura di Puccini. Cominciamo
l’analisi degli interpreti dall’autentico
trionfo tributato a Francesco Meli dal
pubblico di casa, e non certo per campanilismo. La sua è stata un’interpretazione a cavallo tra il consueto belcanto,
con cui si è ormai affermato su tutti i
palcoscenici mondiali, e una sorta di
verismo controllato, per cui il timbro
limpido e la naturalezza di emissione si
sono sposate a un volume che non gli
conoscevamo, fin dall’aria di entrata,
quella “Recondita armonia” che arriva
sempre a voce troppo fredda per sfidare
i tenori. “E lucevan le stelle” ha naturalmente meritato il bis. Nel ruolo del
titolo si è calata con la consueta maestria la specialista Amarilli Nizza, dalla
figura di innata eleganza e dalle grandi
doti recitative. Nel primo atto, però, la
vocalità è sembrata un po’ appannata,
con le note lunghe a tratti ondeggianti
e qualche incertezza nei finali; molto
meglio nel prosieguo, con una menzione di merito per la “Vissi d’arte” drammaticissima, in perfetto stile Callas.
Angelo Veccia ha la giusta prestanza
per rendere credibile il tetro Scarpia e
si è districato egregiamente tra le insidie canore del secondo atto, mentre la
mente a suo agio nei momenti lirici,
in cui ha sicuramente fatto valere le
assidue frequentazioni con le opere di
Čajkovskij, tenendo sempre l’orchestra
un passo dietro al canto e sottolineando
magistralmente i numerosi leit motiv
che occhieggiano dalla partitura. Nei
momenti, invece, in cui i volumi salivano, come nel finale maestoso di primo atto con il Te Deum, si notava qualche incertezza negli equilibri dinamici,
così pure come nei repentini e concitati
cambi di ritmo del primo e del terzo
atto, in cui la musica deve incollarsi
a quello che accade in scena proprio
come in un film. Bene il coro del teatro, diretto dal maestro italo-argentino
Pablo Assante, che ha esaltato il finale
del primo atto con un Te Deum di grande compattezza sonora. Menzione di
Tosca Atto I
parte recitativa, che per il ruolo è però
estremamente importante, andrebbe
forse curata di più dal baritono romano. Inappuntabile il resto del cast, con
un ottimo Giovanni Battista Parodi
nel ruolo di Angelotti, un ammiccante
Matteo Peirone nelle vesti del petulante
sagrestano e lo Spoletta di Enrico Salsi,
cattivo come richiesto. Discorso a parte
merita la direzione di Dimitri Jurowski.
Il direttore russo si è mostrato decisa-
merito ai costumi di Gianluca Falaschi,
rigorosi e realistici nelle fogge, ma con
splendide aperture cromatiche su Scarpia e su Tosca, quasi a voler focalizzare l’attenzione degli spettatori sugli
interpreti più importanti della storia ai
fini di quell’Eros e Thanatos che è la
vera costante delle narrazioni musicali di Giacomo Puccini.
Massimo Arduino
13
La Kemoklidze all’Opera di Roma
KETEVAN LA GUERRIERA:
una voce multicolore
e Eboli, Preziosilla e Gilda, Olga
e Cleopatra, Dorabella e Fenena.
Una voce dunque inconfondibile. ma dai mille colori ed un’attrice dai mille volti. Ma chi è
Ketevan donna e artista?
P
Ketevan Kemoklidze
roviene da un Paese ricco di
storia come la Georgia, ricordata persino da Omero per i
suoi vini, il mezzosoprano Ketevan
Kemoklidze, formazione di base a
Tbilisi ma perfezionamento all’Accademia della Scala. La sua carriera è costellata di vittorie a concorsi
come l’Operalia di Domingo, quello
de la Ville de Toulouse, il Vinhas,
l’Hans Gabor di Vienna o l’Obratzova di Pietroburgo. Dal suo debutto,
nel 2002, il suo repertorio si allarga comprendendo non solo ruoli en
travesti ( come il recente apprezzato
Pierotto nella Linda di Chamounix
donizettiana all’Opera di Roma o
Isolier nel Conte Ory, Stephano in
Roméo et Juliette, Giulio Cesare di
Haendel o Cherubino nelle Nozze
mozartiane) ma caposaldi della letteratura lirica. Delle sue corde sono
personaggi anche diversi tra loro
come Carmen e Rosina, Cenerentola
14
Innanzitutto una cantante legata
alle sue origini ed alla sua terra,
tanto da offrire al Palazzo della
Cancelleria un concerto per il
25mo anniversario dell’Indipendenza della Georgia accompagnata al pianoforte dall’esperta
Eka Metreveli, moglie dell’ambasciatore georgiano, con musiche di Arakishvili, Taktakishvili e Laghidze accanto a
quelle, da noi certo più note, di
Cilea (l’aria della principessa
Bouillon dall’Adriana), Rossini
(la Cavatina di Rosina) e Verdi
(l’Aria di Eboli dal Don Carlo)
per non dire del bis rossiniano
con la briosa Regata veneziana.
Come si è consolidato il suo rapporto con l’Italia?
“Ho avuto sin da piccola uno stretto
rapporto con l’Italia. In famiglia si
parlava spesso della cultura, dell’arte, del cinema o della letteratura italiana. Ho visto tanti film italiani, letto Rodari (Cipollino o Gelsomino).
Così quando sono venuta in Italia
mi sono sentita a casa. La mia formazione è avvenuta in Italia, anche
se avevo già vinto premi e avevo
debuttato sul palcoscenico in Georgia. All’Accademia della Scala tra
2005 e 2007 insegnavano la Gencer,
la Serra, Bruson, Alva e la Freni. Mi
hanno dato la base su cui costruire la
mia carriera. In Italia ho amici che
frequento nelle pause dalle recite.
Georgiani e italiani si assomigliano
(anche quando non si fermano ai semafori): abbiamo scuole, vita, mare,
musica, buon cibo, stesso clima.
Siamo sullo stesso parallelo: la geografia ci aiuta.”
Come si avvicina ai suoi personaggi, vista la galleria così variegata
del suo repertorio?
Prima leggo la storia, approfondisco il periodo in cui
è stata scritta, cosa voleva
esprimere.
“Me lo chiedono in molti e a
volte me lo chiedo anche io.
Importante è una giusta organizzazione con l’aiuto di
marito e genitori. A Barcellona ho cantato Pierotto incinta di otto mesi. Mio figlio
di 4 anni è stato bravissimo.
Ora va all’asilo ed ha i suoi
amici.”
Alcuni personaggi sono ricchi di storia (come Elisabetta
in Maria Stuarda), altri però,
come Cherubino o Pierotto,
non ne hanno e tocca quindi
reinventarsela con fantasia.
La drammaturgia musicale ci
aiuta. Di Pierotto non si dice
che era innamorato di Linda, ma forse inconsciamente nutriva affetto per lei: nel
bellissimo duetto dice che
l’averla ritrovata gli ha fatto dimenticare il freddo e la
fame subite.”
Cosa cambia da un ruolo
ad un altro?
Come bilanciare la tecnica
vocale con le esigenze attorali?
“Spesso la scena non va
d’accordo col canto, ma la
tecnica aiuta molto. Noi georgiani abbiamo scuola vocale italiana. Da noi hanno
cantato tanti grandi cantanti
italiani. Il maestro del mio
maestro è stato Barra, insegnante anche di Bergonzi. Così mi
sono impadronita della sicurezza
tecnica.”
Esiste ancora una scuola
italiana di canto?
“Noi siamo molto legati alla
scuola italiana, anche se ormai ha assimilato da noi anche altre scuole. Per questo
hanno molto successo nel
mondo i cantanti georgiani,
come ad esempio il basso Paata Burchuladze.”
Non disdegna anche il barocco però…
Ketevan Kemoklidze
te e un musicista, ma anche aiuta
molto i giovani. E’ una persona
speciale che stimo molto.”
“Il barocco mi piace. E’ un
gioiello della musica. Ti offre una soddisfazione unica. Obbliga ad un rapporto più collaborativo. Non sei chiusa, ingabbiata, ma
puoi inventare variazioni. E’
musica dell’anima e concede
grande libertà.”
“Una guerriera purtroppo.
La vita mi ha fatto
guerriera. Sono nata
in un paese che aveva
molti problemi politici ed
economici”
A quale dei suoi tanti personaggi
Ketevan si sente più vicino?
Ketevan Kemoklidze
“Cambia tutto: la postura
della figura, i gesti, il viso.
Eboli che è una tigre piena
di vendetta non può essere
come Rosina che fa tutto
con humor e brillantezza o
come il malinconico Pierotto. Carmen è tutta un’altra
donna. Quando affronto ruoli maschili poi, indosso sempre i pantaloni, non metto lo
smalto alle unghie, cerco di
essere più maschile.”
“ Difficile dirlo. Quando canto, mi
sento sempre più vicino a quello
che sto interpretando. Sono Rosina,
Carmen, anche Cenerentola (vengo
da un paese povero) che ho cantato
su invito di Domingo a Los Angeles. Domingo non è solo un cantan-
Ma che donna è Ketevan?
“ Una guerriera purtroppo. La vita
mi ha fatto guerriera. Sono nata in
un paese che aveva molti problemi
politici ed economici.
Sono nata in guerra ed ho imparato
a lottare anche per il pane.”
Come concilia l’arte e la vita?
Dida
Quale sogno conserva ancora nel cassetto?
“Poco a poco sto facendo tutti i ruoli che volevo fare. Eviterei salti troppo grandi. Mi
piace molto Isolde, ma non è
per la mia voce. Forse Amneris, ma tra un po’ di anni.”
Quali sono le cose in cui crede
davvero nella vita?
“Amore e bontà… e pazienza. Questo manda avanti il mondo e può
salvarci tutti.”
Lorenzo Tozzi
15
Amor d’un’ombra e gelosia d’un’aura
ECO e NARCISO
di Domenico Scarlatti
L
a riesumazione del dramma pastorale di Domenico
Scarlatti Amor d’un’ombra
e gelosia d’un’aura su testo del
poeta arcadico Carlo Sigismondo
Capece, dato originariamente a
Roma nel Teatro domestico della
Regina Maria Casimira Sobieska di Polonia
a Palazzo Zuccari nel
gennaio 1714 e riproposto a Londra nel 1720
(Teatro Haymarket con
modifiche apportate al
libretto da Paolo Rolli
e alla musica da parte
dello stesso Scarlatti con
integrazioni di Thomas
Rosengrave) si deve a
un interesse specifico
di Lorenzo Tozzi per il
repertorio romano che,
come in altre sue imprese degli ultimi venti
anni, si è questa volta
occupato di ricostruirne
la versione primitiva, di
cui manca la partitura,
mediante collazione con
la londinese, pervenuta invece integralmente. L’operazione, che il
musicologo e direttore
del Romabarocca Ensemble definisce di “filologia sperimentale”,
si è rivelata di notevole
spessore, grazie alla sensibilità e all’attenzione
con cui lo studioso ha collazionato le due occorrenze di un lavoro,
il cui spirito arcadico è riemerso
perfettamente nella sua peculiare
aderenza tra le sottigliezze poetiche del Capece e la finezza di un
Domenico Scarlatti ventinovenne.
L’ascolto di questo dramma pastorale appare quanto mai felice per
16
immergersi nello spirito che l’Arcadia dedicava alla musica, mezzo
che intendeva totalmente fuso con
la parola verbale e che si sarebbe
tentati di dire si presenti qui in una
importante metafora estetica: la
parola, dominio della precisione
sulla duplicità del soggetto, dato
che nel corso del Seicento l’interesse compositivo si era più volte
concentrato sull’eco, senza congiungerla con la figura di Narciso. L’eco era utilizzata sulla scena
principalmente quale effetto musicale-sonoro, a sottolineare le recenti scoperte
di acustica, fornendo
sorprese di tipo fonico a
topoi di “eco” musicale
e di risposte testuali dal
cielo basate sulla rima
inclusiva. Espedienti di
cui a partire da La rappresentazione di anima
et di corpo di Emilio de’
Cavalieri e via via attraverso Eumelio di Agostino Agazzari, nonché
l’Orfeo monteverdiano, si sono fatti sempre
più frequenti in teatro
e non solo. Si assiste
così a una tra le prime
rappresentazioni di Eco
e Narciso (congiunti e
finalmente amanti), ancora variati dalla fusione che Capece precisa
nell’Argomento,
con
l’altro mito ovidiano
di Cefalo e Procri: egli
la segnala enunciando
l’affascinante idea di
definire “aura” il maDomenico Scarlatti teriale fonico dell’eco
e “ombra” il materiale
semantica della scrittura (la vista)
visuale in una azione che, diversae la musica, che lo avvolge in suomente dalla storia ovidiana, decide
no immateriale e ineffabile (udito),
per un più “moderno” finimento
appaiono perfettamente fusi e qui
lieto. Si osservi dunque il modo
confusi, emblematicamente celati
in cui il libretto presenti un Narnel mitologema di Eco (il suono) e
ciso, inizialmente ancora più che
Narciso (l’immagine). Il soggetto
innamorato di sé, per effetto dello
di questo dramma si può ascrivere
strale di Cupido sopraffatto dalla
tra le prime intonazioni costruite
costanza di Eco ora singolarmen-
te visibile, oltre che udibile, nella
l’udito, possano fornire ai classici
lutivo presente nel testo romano,
riflessione dell’acqua. Si tratta di
precetti dell’imitazione in ambito
piuttosto che offrirne un adattamenuna scena risolutiva, in cui la retiestetico, cui si accennava per il bito non del tutto compatibile con il
cenza di Narciso allo specchio del
nomio testo-musica. Capece suggemetodo e con gli esiti della ricerca
fonte sfuma al vedere nel liquido
risce già nel titolo, consapevolmenprodotta.
non già l’immagine di sé, bensì il
te, come occhio e orecchio debbano
L’esecuzione patrocinata dall’Acvolto di Eco che gli appare scocessare di essere rivali (o di essere
cademia dell’Arcadia, dal Palazzo
nosciuto. Soluzione cui moderne
visti quali rivali); piuttosto, in quaMuseo di Wilanov (Varsavia), rechiavi psicanalitisidenza della Reche potrebbero angina Casimira, e
cora molto aggiundell’Ambasciata
gere alla lettura. La
Polacca in Roma,
“...la parola, dominio della precisione
formula si inscrive
si è tenuta il 10
semantica della scrittura (la vista) e la
significativamente
giugno presso il
in una stagione che
monumenmusica, che lo avvolge in suono immateriale e Salone
vede affermarsi il
tale della Biblioteineffabile (udito), appaiono perfettamente fusi ca Angelica, sede
binomio Eco-Narciso, in uno spazio
dell’Arcadia,
in
e qui confusi...”
cronologico che va
occasione
della
dal di poco precechiusura dell’anno
dente Narciso di
accademico e nelApostolo Zeno, pastorale per mulità di amanti, diano vita a una diala ricorrenza del terzo centenario
sica di Antonio Pistocchi (1697)
lettica di riverberi e di rispecchiadella morte della Regina Casimira
all’Ėcho et Narcisse di Gluck (Pamenti sinestetici che nell’arte (in
(1716). Lorenzo Tozzi alla guida
rigi, Opéra, 1779).
quest’opera in amore) raggiungano
del Romabarocca Ensemble ha saNon è questa la sede per rievocare il
la dovuta composizione e assimilaputo mettere in luce le peculiarità
contesto, non solo poetico e dramzione.
del lavoro, di massimo impegno e
maturgico-musicale, ma anche
La risultante della ricostruzione di
per il complesso strumentale e per
scientifico, pensando all’AccadeLorenzo Tozzi – una sinfonia triparle parti vocali. Beatrice Mercuri (Eco),
mia dell’Arcadia
mezzosoprano, e
quale protettrice
Angelo Bonazzoli
di tutto l’arco
(Narciso), sopranidisciplinare delsta, hanno calibrato
la ratio studionell’attenta e prerum dell’epoca.
cisa articolazione
Scienza e filosofraseologica e in
fia fanno da corsfumature chiaronice alla tematiscurali le colorature
ca, che il poeta
sinuose e impervie
sa far affiorare
previste dalla scritin giochi molto
tura di questo idilsofisticati di allio, immoto quanlusioni, elisioni
to affettivamente
e similitudini. Ci
inquieto. Con non
si muove tra la
minore perizia filosfera erudita oblogica i personaggi
bligata dal mito
hanno indossato
e la sperimentacostumi riprodotti
Applausi per Beatrice Mercuri (Eco) e il Direttore Lorenzo Tozzi da modelli coevi,
zione sui raggi
sonoro e luminorealizzati dall’ateso, in piena enunciazione di teorie
tita, 11 arie e alcuni recitativi – si è
lier Les Femmes savantes di Roma
apportate dalla cosiddetta rivoluaddentrata nel problema della comsotto la guida di Isabella Chiappara.
zione scientifica, riverberatasi già
prensione di alcune parti dell’azioIl pubblico caloroso e consapevole ha
consistentemente nella trattatistica
ne escluse perché non sicuramente
premiato gli interpreti del concerto di
musicale; al contempo si esploraascrivibili all’originale romano: lo
cui è stata tratta registrazione ad opera
no quelle nuove prospettive che gli
studioso ha optato addirittura per
della Bongiovanni.
effetti congiunti della percezione
una lettura declamata, da parte di
dei due sensi più nobili, la vista e
Eco e Narciso, di un dialogo risoCecilia Campa
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Recensioni a cura di Alberto Testa
A Torino il trionfo di
JUAN DIEGO FLÓREZ
Al Teatro Regio
È
O
CARMEN creatura immortale,
opera perfetta
la voce che incanta
raro l’ascolto di un intero recital dedicato ad una autentica
voce tenorile di cantante lirico.
Succedeva in altri tempi; per quanto
mi compete accadeva quando a Torino solevano deliziarci Tito Schipa al
Teatro Regio o al Conservatorio e altri solisti vocali nei concerti, numerosissimi, del Teatro E.I.A.R. Li abbiamo ancora presenti nella memoria
dal lontano anteguerra, direi meglio nelle
orecchie, quando si
era soliti estrarre romanze e canzoni del
più rinomato repertorio e fare così la gioia
degli appassionati per
i virtuosi delle “ugole
d’oro”.
Com’è successo a
Juan Diego Flórez,
possessore di una
voce
incantevole,
“hispanica”, quindi
con un ventaglio fonetico più ricco, perché
peruviano e tale secondo una tradizione
che lo vuole. Infatti,
tanti sono i bei nomi
incontrati che sospirarono nelle loro voci
per provvidenza di
natura e per amore
di studi e di pubblico. Proprio Torino applaudì al defunto Politeama
Chiarella in un recital Miguel Fleta,
primo Calaf della storia, ma questo
è un altro discorso. Oggi una buona
stella, dopo la conoscenza nel nostro massimo teatro, ci riporta Flórez
e fa correre all’Auditoriun Rai (non
sarà mai abbastanza ringraziato chi
lo ha invitato!) spettatori, amanti
superstiti del bel canto e in braccio
al mito e alle aspirazioni più nobili.
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Innanzitutto Flórez ha fisico gradevole (“le physique du rôle”), tenore
lirico-amoroso, ottima premessa per
sospirare le arie di Nemorino, Elvino, Almaviva, Paolino, come le
hanno sospirate i suoi colleghi di un
tempo passato: Schipa, Manurita,
Dino Borgioli e, più vicini a noi, Luis
Alva, Juan Oncina, fors’anche Gigli,
Tagliavini, Valletti e ultimamente Pa-
di canzoni o romanze, un passaggio intelligente dal “Salut demeure
chaste et pure” del Faust di Gounod,
delicato sussurro, “all’invocazione
all’Aprile” del Werther massenetiano,
molto drammatizzato. Un crescendo
poi nelle romanze famose del Tosti
(“L’alba separa dalla luce l’ombra”, il
celebre “Marechiare” e la “Mattinata”
di Leoncavallo) sino ad un Verdi sor-
Juan Diego Flórez
varotti. Bella presenza dunque, ma ciò
che più conta, timbro bellissimo, facilità e bellezza di emissione, acuti staccati e sostenuti nello squillo. Oggi ci
chiediamo, egli quarantatreenne: per
quanto ancora i suoi suoni potranno
risplendere di così lucidi metalli? Perchè la sua generosità di artista è tale
da temere lo scialo di questa vocalità
prodigiosa.
Il suo repertorio va da una prima
parte di pezzi lirici ad una seconda
prendente della “Jerusalem” con una
serie di bis portentosi e l’immancabile
“Granada”, canto di vittoria e di liberazione. Flórez è stato guidato, sorretto
da un magnifico direttore Christopher
Franklin, entusiasta quanto lui, alla
testa dell’Orchesta Nazionale Rai.
Quando pareva che l’estasi fosse scesa
sugli spettatori, grazie ad una prova
così alta e serena, allora ci siamo resi
conto tutti quanti di aver ritrovato un
bene che credevamo perduto.
gni volta in cui ci tocca assistere alla rappresentazione
dell’opera Carmen di Georges
Bizet dobbiamo concludere che si
tratta di un’opera perfetta. Capolavoro
assoluto, come riconosceva Nietzsche
al punto di affermare che non s’era
mai sentita la forza della disperazione
umana come nel grido di Don Josè:
di, le sue labbra un po’ forti ma ben
disegnate che lasciano scorgere denti
più bianchi di mandorle… i capelli
neri dai riflessi blu come l’ala di un
corvo, lunghi e lucenti… “
Ora non so se Anna Caterina Antonacci, che interpreta la Carmen del
Regio, dai molti talenti visivi, abbia
tutti questi requisiti, certamente ha
pessimi schemi passati, senza bellurie, una creatura e non una bambola
leziosa, un “rappel à l’ordre” per Don
José ai suoi doveri di uomo e di figlio.
A proposito mi è piaciuto molto Dimytro Popov, forse ancora leggermente inesperto perché giovane, ma
giusto nell’idea che ci siamo fatti di
Don José, nel tempo cioè di un essere
debole, sbattuto dai venti
ed eventi passionali, qualcosa che ha risvegliato in
me l’impressione suscitata dal grande tenore Antonio Cortis visto su quella
stessa scena in tempi lontani. E poi ha cantato la
celebre “Romanza del fiore” riuscendo a scivolare
sull’insidiosa nota finale,
non la sola nella terribile
parte di Don José.
Poi Vito Priante, un eccellente Escamillo di ottima
linea, bravissimo. Finalmente in questa edizione
Nella foto , da sinistra: Anna Maria Sarra (Frasquita), Irina Lungo (Micaëla), Paolo Maria si è potuto godere il “clasOrecchia (Il Dancaïre), Dmytro Popov (Don José) e Anna Caterina Antonacci (Carmen). sico” quintetto dei contraRamella & Giannese © Teatro Regio Torino bbandieri.
Ancora un’ottima prova
“Vous pouvez m’arrêter… c’est moi
la presenza di Carmen che s’impone
dei cori, sciolti ed espressivi, diqui l’ai tuée! Carmen! Ah! ma Carsubito al primo ingresso in scena,
retti da Claudio Fenoglio: quello del
men adorée”.
la voce, i ritmi, la forza di Carmen;
Teatro Regio anche di voci bianche e,
Perfetto nella drammaturgia (da quelle
e allora siamo tutti d’accordo sulla
in particolare, quello del Conservapoche pagine del racconto di Mérigrandezza della sua interpretazione e
torio “G.Verdi” per i ragazzi-soldati,
mée, ricche di dati, di annotazioni)
sul delirio del personaggio. Una senscioltissimi, perfettamente allineati.
nel taglio e nella conseguente successazione squisita. Ma dopo l’ultima
Matthias Hartmann, regista, si è
sione delle scene, nella varietà delle
impressione della Carmen torinese
meritato tutti i fischi indirizzatigli
situazioni musicali, nella definizione
nell’originale di “opéra comique”
alla “prima”; non basta evitare il pitdei personaggi, negli stessi intermezzi
quindi con i recitativi in francese,
toresco tradizionale e frusto, occorre
così diversi e pittoreschi, senza esserlo
“proibirei” d’ora innanzi la traduzione
offrire un tocco di libertà creativa,
mai troppo e, in particolare, il terzo,
italiana del testo di Meilhac e Halévy,
convincente.
bellissimo, quasi ad immetterci nella
banalizzata al punto di tradire anche il
Talvolta i suoni fatti uscire
salita al paesaggio in cui ci troveremo.
personaggio di Micaela.
dall’orchestra di Asher Fischer mi
Mérimée non manca di arricchire la
Da aggiungere che il soprano Irina
sono parsi un po’ fracassoni.
nostra fantasia di lettori e di spettatori,
Lungu che l’interpreta ne dà una verComunque una serata memorabile
ci descrive come ha da essere Carmen:
sione attendibilissima, quasi unica per
da segnalare fra i fausti ricordi del
“occhi obliqui, ma mirabilmente frednoi, tenera e affettuosa, lontana dai
Teatro Regio di Torino.
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