CAMMINO VERSO LA LUCE RIFLESSIONI SULL'AVVENTO-NATALE DUE PENSIERI ● ● Il paradosso del Natale è che nella tenerezza di Dio si esprime anche la sua Gloria. Gloria Dei vivens homo (Sant'Ireneo), la gloria di Dio è l'uomo vivente, e chi più di un neonato inerme rappresenta il puro atto del vivere? La gloria di Dio si è dunque manifestata in Suo Figlio fattosi uomo, fattosi Bambino nel Natale (Carlo Maria Martini) La venuta di Cristo determina un movimento spirituale nel mondo, movimento che non avrà più fine. A nessuno può mancare l'invito della luce di Cristo, solo che si aprano gli occhi, solo che si muovano i primi passi per avvicinarsi alla luce. Chi desidera, avrà. Chi pensa, capirà, Chi prega, esulterà (Beato Paolo VI) NON È IL COMPLEANNO DI GESÙ - 1 Gli evangelisti non si sono preoccupati di tramandarci una precisa biografia di Gesù; e tanto meno la sua data di nascita. Mai si sono preoccupati di descriverci il suo aspetto esteriore, il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. Si sono invece preoccupati di tramandarci le sue parole e ciò che ha fatto, soprattutto ciò che gli è accaduto; in primo luogo, la sua passione, morte e risurrezione, precisando che ciò avvenne in concomitanza con la Pasqua ebraica che coincide con il primo plenilunio di primavera. Perché allora i cristiani celebrano la nascita di Gesù il 25 dicembre? Perché a Roma, in concomitanza con il solstizio d'inverno, quando il sole riprende a salire e le giornate incominciano ad allungarsi, aveva luogo una festa pagana in onore di una divinità solare. Mitra, con giochi e banchetti, non senza eccessi di ogni genere. NON È IL COMPLEANNO DI GESÙ - 2 Così attorno all'anno 320 - dopo la pace di Costantino (313) - la Chiesa di Roma decise di collocare in questo giorno la nascita di Gesù, vero sole di giustizia che sorge sul mondo secondo la profezia di Malachia (3,20). Non è quindi una festa di compleanno, ma molto di più. Tant'è che i cristiani preparano questo giorno con un periodo di ben quattro settimane che chiamano Avvento (= venuta). Non si tratta di un semplice e affettuoso ricordo; il Natale è un evento sacramentale che celebra e rende attuale, oggi per noi, il grande mistero di quel Dio che si è reso presente nella nostra carne. Non è tanto importante la data, quanto piuttosto il fatto che, in Gesù, Dio ha rivelato la nostra carne, tutta la nostra vita, come luogo della sua presenza e come strumento per comunicare in modo umano il suo amore. È questo il messaggio che intende comunicare il presepe. COMPIMENTO DI UNA LONTANA PROMESSA COMPIMENTO DI UNA LONTANA PROMESSA - 1 Nella Messa feriale del 17 dicembre - il primo degli ultimi otto giorni di Avvento liturgicamente privilegiati in preparazione al Natale - alla lettura del Vangelo si ascolta una lunga serie di nomi di personaggi biblici, molti dei quali sconosciuti ai più. Si tratta della prima pagina del Vangelo dove l'apostolo Matteo presenta la genealogia di Gesù. Non è un preciso documento storico, ma un testo simbolico per comunicare un messaggio assai più importante della verità storica: Gesù è il compimento delle promesse fatte ad Abramo. Questa genealogia non è un elenco di santi; anzi, in essa sono presenti anche uomini e donne dal comportamento poco ortodosso (vi è persino Racab, una prostituta: vedi il racconto in Giosuè 2,1-21). COMPIMENTO DI UNA LONTANA PROMESSA - 2 Anche in questo sorprendente particolare vi è un messaggio: Dio sa trarre il bene anche dal male; egli sa scrivere diritto anche sulle righe storte dell'uomo; la salvezza che si è incarnata in Gesù non è il frutto dei nostri meriti, ma soltanto di quell'amore gratuito di Dio che è più grande dei nostri peccati. Mentre Matteo, da buon ebreo, costruisce la sua genealogia a partire da Abramo, Luca, un pagano convertito, struttura la sua genealogia a partire da Adamo (3,23-38), per dimostrare che Gesù non è il Salvatore di un solo popolo, ma di tutti gli uomini. Il Natale di Gesù è un annuncio di salvezza rivolto a tutti; nessuno è escluso; nessuno è irrecuperabile. Per questo Dio si presenta a tutti gli uomini con la tenerezza di un bambino per risvegliare anche nei cuori più induriti quei sentimenti di umanità che sono in grado di risanare anche le situazioni più disperate. NELLE TENEBRE UNA GRANDE LUCE UNA LUCE SPLENDE NELLA NOTTE - 1 C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge (Luca 2,8). Su questo testo si fonda la tradizione che, a cominciare da Gerusalemme, fin dal IV secolo colloca la Messa natalizia nella notte. Questa tradizione fu portata a Roma dal papa Sisto III (+440) che a Santa Maria maggiore fece erigere una cappella riproducente la grotta di Betlemme dove aveva luogo la Messa notturna, non senza evocare la Veglia pasquale che, come afferma sant'Agostino, è «la madre di tutte le veglie», cioè di tutte le celebrazioni. Infatti, è importante che il Figlio di Dio sia nato nella nostra carne, ma ancora più importante, anzi fondamentale, è che egli sia risorto. UNA LUCE SPLENDE NELLA NOTTE - 2 Del resto anche nella Messa di Natale si celebra il sacrificio della croce e nel cuore della preghiera eucaristica si proclama: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta». Il Natale è anticipo di quella luce che con la risurrezione di Cristo ha infranto le tenebre del Calvario e della morte. Per questo, pur essendo tanti gli elementi che fanno bello e festoso il Natale, è la partecipazione alla mensa eucaristica che costituisce il cuore del Natale cristiano. Le altre due Messe di Natale (dell'aurora e del giorno) sono radicate nell'antica prassi del Papa, il quale, dopo la Messa della notte, di buon mattino, prima di recarsi a San Pietro per la Messa del giorno, faceva sosta e celebrava una seconda Messa nella chiesa di Santa Anastasia, originariamente dedicata alla risurrezione (= anàstasis in greco). Questa tradizione passò anche nelle altre chiese nel corso del X secolo. I CRISTIANI PRIMA DI TUTTO DEVONO ESSERE UOMINI CRISTIANI PERCHÉ UMANI - 1 Nelle tre Messe natalizie sia i testi biblici come le orazioni non fanno che ripetere la stessa «bella notizia»: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore» (Messa della notte). Nella Messa dell'aurora il Vangelo riferisce che i pastori «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia». Non si fa alcun cenno all'asino e al bue. Queste due figure risalgono a san Francesco d'Assisi, quando nel 1224 a Greccio volle ricostruire in qualche modo l'ambiente di Betlemme e collocò presso la greppia un bue e un asinello. Certamente con riferimento alle parole con le quali Isaia rimprovera il popolo che ha abbandonato il Signore: «Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (1,3). Questi due animali non sono superflui; se servono anche per riscaldare il bambino, essi sono un richiamo per tutti ad accogliere colui che Dio ci ha donato come uomo tra gli uomini. CRISTIANI PERCHÉ UMANI - 2 La religione cristiana non serve per fare cerimonie folcloristiche, ma per richiamare la nostra umanità sull'immagine di Gesù vero uomo, anzi «nuovo Adamo». Si è tanto più cristiani quanto più si è umani. Il sentire popolare lo ha sempre percepito in questo giorno, nel quale tutti si sentono in qualche modo impegnati a far emergere i sentimenti migliori. Non dovremmo però dimenticare che siamo chiamati ad essere cristiani tutti i giorni. Nella Messa del giorno di Natale è proclamata la prima pagina del Vangelo secondo Giovanni che culmina nell'affermazione: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (1,14). Non senza l'amara constatazione: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo... Venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto» (Giovanni 1,9-11). Nel giorno di Natale, segno della nostra accoglienza di quel Dio che si è fatto carne, nessuno attorno a noi dovrebbe soffrire a causa della solitudine, della divisione, dell'emarginazione, della miseria, del disprezzo. COSA AVVENNE DOPO I RE MAGI? LA FESTA SUBITO ROVINATA Passata la festa del Natale, il calendario liturgico sembra volerci creare dei problemi. Il giorno seguente il Natale, mentre si stanno consumando i resti del pranzo natalizio, ci troviamo di fronte santo Stefano, primo martire della giovane comunità cristiana di Gerusalemme, ucciso con la terribile lapidazione, nel 35 o 36. Il giorno seguente la Chiesa celebra l'apostolo ed evangelista Giovanni che, secondo alcune fonti non bibliche, sembra essere morto centenario, dopo essere scampato miracolosamente alla persecuzione e alla sicura morte per essere stato immerso nell'olio bollente. Il terzo giorno dopo il Natale si ricordano i Santi Innocenti, i bambini che, secondo il Vangelo di Matteo, furono fatti uccidere da Erode (forse un annuncio di tutti coloro che saranno uccisi a causa di Cristo fino ai nostri giorni). Anche il quarto giorno prevede una memoria facoltativa di un martire, san Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, assassinato nel 1170 per la sua fedeltà a Cristo anche contro i poteri forti del suo tempo. NON C’È FESTA SENZA SACRIFICIO Molti, forse, non si accorgeranno neppure di questa strana successione "natalizia" di martiri. Tuttavia il messaggio che ne proviene è fondamentale. Ogni festa, ogni vera gioia affonda le sue radici nel sacrificio, nel dono di sé. A Natale si può fare festa perché Gesù è nato, certo, ma soprattutto perché della sua vita ha fatto un dono fino a morire sulla croce per rivelare l'amore di Dio, per tutti, anche per coloro che hanno crocifisso il suo Figlio. I martiri ci ricordano che la vita ci è stata data per essere donata. Chi vive egoisticamente la propria vita la spreca, la perde (Matteo 10,39). La gioia del Natale è chiamata a espandersi in tutti i giorni dell'anno, in tanti modi diversi. Tuttavia, ciò è possibile soltanto nella misura in cui ci sono persone che si impegnano a fare dono di sé, delle loro cose, del loro tempo. Dove regna l'egoismo, l'idolatria di sé ci sono soltanto sofferenza e tristezza. Dopo essere andati fino a Betlemme «i pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio». I Magi «al vedere la stella provarono una gioia grandissima». I Magi e i pastori sono dovuti partire, uscire dal loro Paese, dalle loro case, dai loro recinti per provare questa gioia. Perché la legge scritta dal Creatore nella nostra natura umana fa sì che la felicità la trovi soltanto chi la sa donare. BUON NATALE