Alcune ricette capitali
Ricette accidiose
Direttore responsabile
Dario Quarta
Collettivo redazionale
Osvaldo Piliego, Dario Goffredo,
Pierpaolo Lala
Collaboratori:
Valentina Cataldo, Gianpiero
Chionna, Cesare Liaci, Sergio
Chiari, Maurizia Calò, Marcello
Zappatore, Davide Castrignanò,
Amedeo Savino, Patrizio Longo,
Augusto Maiorano, Antonio
Iovane, Rossano Astremo, Rita
Miglietta, Marta Vignola, Daniele
Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo,
Marco Daretti, Marco Leone,
Fulvio Totaro, Stefano Toma,
Federico Vaglio, Michele Pierri,
Lorenzo Coppola
Per le foto si ringrazia
Alice Pedroletti
Progetto grafico
fuoridaltunnel
Impaginazione
Cesare Liaci
Lupo Editore
Soc. Coop. CoolClub
Redazione Via De Jacobis 42
73100 Lecce
Telefono: 0832303707
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Ricette lussuriose
Sai, dicono che i cibi afrodisiaci non esistano. Io invece credo che esistano eccome. Ci sono delle cose alle
quali non si può proprio resistere. Io, per esempio, dopo che mangio i frutti di mare crudi mi viene una voglia
che non riesco a trattenerla. Sai, l'idea di succhiare una cosa ancora viva, di sentirne i succhi e gli umori che ti
riempiono la bocca, la consistenza un po' viscida fra i denti. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Non ne vuoi
degli altri? No? Va bene allora passiamo alla pasta. Come dici ho esagerato con il peperoncino? Ma pensa
anche solo alla sua forma e dimmi come si può fare senza questo meraviglioso prodotto della natura. Sembra
fatto apposta per eccitare le menti e i corpi. Il suo colore rosso come la passione, la sua forma allungata ed
esplicitamente fallica, il suo sapore forte e amaro che accende il sangue nelle vene. Mi piace sentire il fuoco
che si sprigiona dentro di me, che scalda ogni parte del mio corpo, che giunge in tutti i suoi recessi e anfratti.
Le membra che si scaldano e quando ci bevi su vino rosso, il nettare della passione, che ti aiuta a sbarazzarti di
fastidiose inibizioni, senti il torpore che afferra le tue membra, la mente che si rilassa pian piano, come dopo un
orgasmo. Adoro la sensazione di libertà che mi dà il vino. Ti dà alla testa? Ma è proprio quello il bello. Bisogna
lasciarsi andare, bisogna sentirsi liberi, vincere la timidezza, avere il coraggio di affrontare con naturalezza la
nostra anima selvatica, abbattere i codici morali che ci vogliono perennemente vestiti. Sai che ti dico?
Spogliamoci. mangiamo nudi, Cibiamoci senza l'uso delle posate. Recuperiamo la nostra animalità
profonda. Lasciati andare con me. Come dici? Ti agito? Ma no, rilassati, bevi dell'altro vino, il succo della terra,
che fa ragionare i filosofi, che dà ispirazione ai poeti, che dà il fuoco agli amanti. Non ce la fai più? Ti prego,
sorprenditi di fronte all'alchimia che riesce a riportare in vita i cadaveri e dona a ciò che sembrava aver fatto il
suo corso sulla terra nuovi compiti e ne fa beneficio per chi se ne nutre. Ma dove vai? Vai già via? Ma come, la
sinfonia di sapori, odori, e sensazioni tattili e visive che avevo preparato per te non è ancora finita, ancora
molte sono le corde della mia chitarra culinaria.
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Ricette superbe
Scommetto che non hai mai mangiato niente di simile, vero? Lo so sono il cuoco migliore del mondo. Non
c'è nessuno che sappia trattare il cibo come me. Senti senti come sono dolci queste verdurine. Ah! Ma
non è mica merito del fruttivendolo, sai? Quello lì è un imbroglione. Se non stai attento è capace di rifilarti
un sacco di schifezze. Ma io non mi faccio mica fregare eh? Io sto attento. È merito mio se queste verdure
sono venute così buone. Sai come faccio? Le faccio cuocere a fuoco lentissimo, con calma. Tanto io so
aspettare con pazienza. Hai mai conosciuto qualcuno più paziente di me? No, ne sono certo. Il fatto è
che una cosa se va fatta va fatta bene. E io modestamente so cucinare davvero bene. Me lo dicono
tutti. Non sei d'accordo anche tu? Ne ero certo. Tutti quelli che hanno il privilegio di essere miei ospiti a
cena perché di un privilegio si tratta rimangono a dir poco estasiati dalla mia cucina insuperabile. E
questa carne? Senti come si scioglie in bocca? Questo è veramente merito mio. Il macellaio è un
ignorante. Non sa niente di come va tagliata la carne. Se la cucinasse uno che non sa verrebbe durissima
questa carne. Ma io no, io so come fare. La tengo a marinare per un sacco di ore e così quando la metto
a cuocere è tenerissima e ha un sapore indimenticabile. Per il dolce invece non mi fido proprio di nessuno.
Preparo tutto io con le mie mani. Oggigiorno non esiste un pasticciere di cui ci si possa fidare. Quello usa
olio scadente, quello ingredienti non freschi, quell'altro brucia tutto e quell'altro ancora lascia tutto crudo.
Non c'è nessuno che mi possa battere sui dolci sai? Nemmeno la mia mamma è in grado di fare una torta
come si deve. E la mia crema? Mi fa letteralmente impazzire, non sei d'accordo?
dario goffredo
Foto Alice Pedroletti
CoolClub.it
Anno 1 Numero 4
Iscritto al registro della stampa
del tribunale di Lecce il
15.01.2004 al n.844
Allora ti piace? Guarda, io non ho molta voglia di mangiare. No, non c'è nulla di strano in realtà sono rare le
volte che mi va di mangiare. Non ho quasi mai voglia di mangiare. Quindi dimmi tu se è venuto bene. Che
avrei voluto cucinare qualcosa di più elaborato, credimi, ma non ho proprio avuto tempo oggi e poi quando
sono tornato a casa non mi sentivo molto bene, ero stanco, mi sono dovuto per forza stendere dieci minuti sul
letto. Che poi sono diventati un po' più di dieci i minuti è un altro discorso, ma davvero ero a pezzi guarda devi
credermi ero davvero a pezzi. Non so se ti capita mai ma ci sono certi giorni che proprio non mi alzerei dal
letto. Ti giuro rimarrei steso tutto il giorno. non è per pigrizia, per carità, io sono una persona attivissima,
davvero, ma è proprio che ci sono certi giorni che non va, non ingrano. Devo essere metereopatico.
Comunque, credimi, per te ho cucinato davvero con piacere. No, davvero, non mi va, non ho proprio fame
oggi, non so che c'ho. Ti chiedo scusa per i piatti di carta, ma è che dopo cena devo fare una cosa
importante e non ho il tempo per mettermi a lavare, poi c'ho la lavastoviglie rotta, che mi devo ricordare di
chiamare il tecnico. Ma sai con tutte le cose che ho da fare non riesco a pensare a tutto.
Comunque, secondo me le paste pronte che si comprano al supermercato non sono male. E poi le prepari
subito in cinque minuti sono pronte e saporite. E la mozzarella della latteria all'angolo è eccezionale davvero.
La migliore della città. Sono contento che ti piaccia la cenetta che ti ho preparato. Ma cosa fai? No, lascia
stare, adesso ci penso io a sparecchiare, davvero. Finisco la sigaretta e faccio io, stai comodo. Va bene se
proprio insisti, allora grazie, il secchio della spazzatura è sotto il lavandino in cucina.
Il lavoro nobilita il suono
Arriva in differita come la diretta del primo maggio anche questo numero di Coolclub.it e arriva a parlare di lavoro perché
prima o poi bisogna farci i conti. E a conti fatti mi accorgo di fare un lavoro che molto si avvicina al non lavoro, che tanto
piace a Dario, ma che in fondo sempre un lavoro è. Ed è strano il rapporto tra musica e lavoro. La musica come lavoro e la
musica per il lavoro. C'è chi fa la musica per mestiere e non parlo delle rock star dai contratti milionari, limousine e flirt da
copertina. Parlo degli operai della musica, i musicanti, i nuovi girovaghi, nomadi in furgone che per pochi soldi macinano i
chilometri per far sentire un'idea. Sono le vittime di un mercato in crisi, i nuovi anarchici della rete che condividono un bene
che non dovrebbe essere monopolio delle multinazionali. Sono anche quelli che fanno l'alba per mettere in scena uno
spettacolo, quelli che comunque credono che lo show debba continuare e lavorano per far divertire gli altri. Artisti e
manovali, pazzi e sognatori che scendono nelle piazze, che affollano i locali e gli stadi non per gridare ma semplicemente
per cantare. È con l'idea di recuperare la canzone politica e introdurre canzoni nuove che non parlassero solo d'amore
ma anche della realtà che nasce la musica folk legata al lavoro e alle manifestazioni, ai cortei e alla protesta. L' esperienza
in Italia di movimenti come il Cantacronache sono stati il primo controfestival, la prima cellula di un mercato indipendente
e lontano dalla politica delle discografiche. Dal Cantacronache al Nuovo canzoniere italiano, dalla fine degli anni 50 agli
anni 60 in un legame strettissimo tra cultura di sinistra, tradizione popolare e proletariato. Per opporsi a una borghesia
dominate alla cattiva e ingannevole rappresentazione del mondo a opera dei media (negli anni '70 il Gruppo Operaio 'E
Zezi di Pomigliano d'Arco) per rivendicare la libertà. Erano e sono anni di crisi e oggi come ieri è importante manifestare
ognuno con i propri mezzi il dissenso. E che sia una bandiera, uno slogan o una canzone poco importa. E che questa
canzone sia folk, rock, punk, hip hop poco importa. È bello non pensare, non lavorare, oziare con una chitarra in mano ma
è bello poter ascoltare e riflettere sul mondo, ricordare persone e canzoni che hanno provato a cambiare il mondo e che
un po' ce l'hanno fatta.
Anche in questo numero di Coolclub.it troverete dei piccoli cambiamenti, stiamo lavorando a un giornale nuovo, un
giornale con più contenuti, più interviste, più articoli e speriamo a breve con più pagine. Un lavoro, quello di tutti noi,
assolutamente volontario, di quelli senza soldi ma con tante soddisfazioni. Nelle nostre pagine troverete le interviste a
Daniele Sepe, Emidio Clementi, Riccardo Sinigallia, le anticipazioni degli eventi che animeranno il Salento nelle prossime
settimane, il solito sguardo ai nuovi suoni, la nostra guida alla lettura, il cinema con le recensioni e una retrospettiva sugli
Psycho Cannibali.
Buona lettura e buon lavoro.
Osvaldo
GR
AT
UI
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Tre canzoni
Se di lavoro devo parlare, io che credo che il lavoro nuoccia gravemente alla
salute, io che vorrei tanto andare in pensione a trent'anni, io che sono
ideologicamente contrario al lavoro, io che credo che il lavoro serva a
tenerci legati alle catene, io che credo che molto meglio che passare otto
ore in ufficio sarebbe leggere su una panchina nel parco, o andarsene al
cinema, o al mare, o semplicemente stare stesi sul divano a non fare niente,
se devo parlare di lavoro, io che al lavoro sono profondamente allergico, mi
prende male. Mi dispiace ma mi prende male.
Ci sono delle canzoni alcune belle altre meno, che per gioco ho riunito con
Paola in un'antologia che abbiamo intitolato “l'antologia del lavoratore
d'agosto”. Altro che ferie d'agosto, altro che agosto moglie mia non ti
conosco, c'è chi ad agosto è costretto a lavorare e allora si arrangia come
può. Le canzoni di questa antologia non erano canzoni di protesta, non c'era
lo splendido canto delle mondine, né quello delle tabacchine, non c'erano
gli incitamenti allo sciopero degli anni settanta. C'erano canzoncine stupide
di persone che preferirebbero passare la loro giornata stese al sole o
nascoste sotto le coperte. C'erano canzoni italiane, francesi, spagnole,
napoletane. Era un cd carino, leggero, come può esserlo lavorare il 13
agosto.
Je ne veux pas travailler, un semplicissimo “non ho voglia di lavorare”, era il
ritornello di una delle nostre canzoni preferite del cd: C'est simpatique,
firmata Pink Martini, la storia di una donna che dice di non avere voglia di
nulla, se non dell'oblio, e rimane stesa nel letto con le imposte chiuse per
difendersi dai raggi del sole. Perfetta per il 13 agosto. Poi c'erano un paio di
gruppi reggae, con atmosfere solari ed esotiche, ritmi lenti e morbidi, che ti
facevano venire veramente voglia di mollare tutto, prendere la macchina e
andare a fare un tuffo a Porto Cesareo, a Torre dell'Orso o anche a Torre
Chianca che è più vicina. Il chiodo fisso di tutte le canzoni, il leit motiv, per
dirla fica, era io odio il lavoro, il lavoro mi fa schifo e preferisco fare altre cose
piuttosto che essere costretto a lavorare. C'erano dubbi amletici tipo:
“fumare o lavorare?”. Oppure c'era la voglia di evasione del cantante
napoletano: “Odio lavorare voglio riposare/con la mia morosa voglio andare
al mare” e con un machiavellico “e campà coi soldi di papà”. Eccezionale.
Poi c'erano due canzoni. Di una di queste ho già scritto su queste pagine e mi
piace farlo ancora, perché Manifesto, la canzone in questione, della Banda
Bardò, mi piace proprio, mi mette addosso uno stato d'animo piacevole e
ricettivo, mi fa stare bene, mi fa venire voglia non solo di non lavorare e di
oziare, ma di farlo in un modo attivo, propositivo e positivo. Non lavoro
perché ho di meglio da fare che stare a stressarmi tutto il giorno. Ci sono le
farfalle nel cielo, e ho bisogno di pensare a loro. Anche.
Poi c'è un'altra canzone che avevamo inserito nel cd. Divertente, simpatica,
scanzonata. Una canzone scanzonata. Di un altro cantante napoletano.
Però non proprio della scuola dei mariomerola e dei ninodangelo
preconversione intellettuale. Il cantante in questione è Daniele Sepe, e la
canzone ha un titolo piuttosto emblematico: Tengo na voglia. Ovviamente la
voglia in questione è la voglia di non fare niente. La canzone dura un minuto
circa ed è caratterizzata da un suono pigrissimo e prolungato che esprime al
meglio la condizione dello svogliato. Di quello che dice per favore lasciatemi
in pace c'ho un sacco di cose da fare.
La terza canzone che dà il titolo a questo pezzo, non era inserita in quel cd e
non parla di lavoro in senso stretto anche se il lavoro viene nominato al suo
interno e anche se, e soprattutto, dà una visione molto particolare del lavoro
e di altre cose.
Si tratta dell'Internazionale scritta da Franco Fortini in varie date, e che io
posso ascoltare nella versione cantata da Ivan Della Mea. Si tratta di un testo
diverso da quello dell'Internazionale classico. Nasce, come diceva lo stesso
Fortini da quello che è successo, dagli avvenimenti che hanno segnato il
nostro secolo, dall'esigenza, dal poeta sentita, di rinnovare le parole di un
brano immortale e fondamentale per la nostra storia. Di rinnovare, non di
cambiare, perché le parole dell'Internazionale sono e saranno sempre
universali.
Vi lascio con una parte del testo di Fortini. Senza aggiungere altri
commenti.
Noi siamo gli ultimi del mondo. - Ma questo mondo non ci avrà.
Noi lo distruggeremo a fondo. - Spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale - come macchine ci usò.
Nelle sue scuole la morale di chi comanda ci insegnò.
Questo pugno che sale questo canto che va
è l'Internazionale, un'altra umanità.
Questa lotta che eguale l'uomo all'uomo farà
è l'Internazionale. Fu vinta e vincerà.
Noi siamo gli ultimi di un tempo che nel suo male sparirà.
Qui l'avvenire è già presente. Chi ha compagni non morirà.
Al profitto e al suo volere tutto l'uomo si tradì.
Ma la Comune avrà il potere. Dov'era il no faremo il sì.
(Franco Fortini 1968, 1971, 1990, 1994)
dario goffredo
7 e 14 maggio
Istanbul Cafè / Squinzano
Universound
L'istanbul Cafè di Squinzano ospita le selezioni
regionali di “Universound - Primo Festival dei
Suoni Universitari" il cui obiettivo è quello di
creare un Network artistico e culturale
permanente, che sia un filo di collegamento
tra le Università d'Italia e del mondo. Sul palco
8 band che si contenderanno la finale del 4
Giugno. Promotrice dell'evento
l'associazione Salento Università.
15 maggio
Zuma / Lecce
On The Rocks
Se il lavoro è in offerta…
Acquisto un bisettimanale di annunci gratuiti e dopo una rapida
sfogliata mi accorgo con sorpresa che nella maggior parte dei
casi si tratta di richieste di lavoro. Sinceri e sintetici curriculum
iniziano con un maiuscolo grassetto che dovrebbe attirare
l'attenzione del lettore. CUCITRICI con esperienza, e penso a
tredicenni tailandesi specializzate in scarpe da tennis e palle.
Nike, penso, referenze ottime. ALESSANDRO e Monia. Musica per
le grandi occasioni! Matrimoni, feste, serate danzanti pianobar.
AUTISTA. FRESATORE. DIPLOMATA. SIGNORA. Il punto è che
normalmente questo bisettimanale lo compra chi cerca lavoro.
Cucitrici. Autisti. Fresatori. Diplomate. Il circolo, come si dice in
questi casi, è un po' vizioso, visto che si parla di annunci gratuiti,
ma una copia mi è costata euro 1,60. Merda. Cazzo. Culo. Tette.
(Scusate, mi sono lasciato prendere la mano).
Allora, ipotizziamo, c'è questo CARPENTIERE saldatore con
esperienza, che fino all'altro ieri per quattro soldi si prodigava,
squagliando come un pollo arrosto, su legno e ferro, in ambienti
insalubri dove respirava le scintille prodotte dalla saldatrice
aziendale, al quale purtroppo tutto questo è stato tolto. Sapete
cosa sente chi fissa troppo a lungo il bianco elettrico dello stagno
o dello zinco che fonde e salda? Una specie di attrito negli occhi,
come se ci fossero delle graffianti pietruzze tra la palpebra e la
pupilla. Ma il nostro carpentiere tiene famiglia. Il concetto di
famiglia tra l'altro implica che lui e sua moglie necessitano,
pagato l'affitto, di stronzate come pane, carne e dentisti e oculisti
e occhiali, e il bambino di omogeneizzati (plasmon, sono troppo
cari? se volete assicurare a vostro figlio una sana e robusta
costituzione vanno bene anche quelli di un hard discount) e
checazzo è da una settimana che torna a casa e il cucciolo
piange perché ha l'acidità di stomaco, e la moglie pure lei
piange perché non riesce a decifrare per quale motivo il piccolo
faccia tutto questo casino, anche se un sospetto ce l'ha, e il nostro
eroe vorrebbe solo avere sotto mano una calibro 9, ma per
fortuna non siamo nello Utah, U.S.A., almeno per ora.
Aggiungiamo anche che nessuna delle sottopagate signorine
delle agenzie interinali si è fatta viva, mentre gli avevano
assicurato che lo avrebbero fatto. Tentar non nuoce,
specialmente se il tentativo è gratuito, per cui, perché no?, fa
pubblicare l'annuncio.
Ora il nostro uomo ha ben due motivi per procurarsi una copia del
bisettimanale. Controllare che abbiano stampato il suo annuncio
di max. 20 parole, e se magari la Fortuna gli strizza l'occhio scoprire
un annuncio simmetrico al suo, di qualcuno che ha bisogno di un
saldatore. Ok. L'annuncio, ovviamente, c'è. Che dico? Ce ne
sono decine, tutti simili al suo, cambia solo il numero di telefono.
Una buona ragione per pensare che la dea bendata può anche
strizzare l'occhio, ma la cosa è indifferente, dato che è bendata.
Decine di persone identificate solo da un numero di cellulare che
vogliono riprendere in mano la saldatrice. Il costo del
bisettimanale ripeto è di euro 1.60. Una pubblicazione destinata
alla diffusione di massa, stranamente priva di una grafica
accattivante, o di foto di fighe abbronzate che ammiccano nei
loro bikini calzedonia, ma le cui pagine emanano un odore di
petrolio mille volte più acre di quello di un quotidiano. Non
devono conquistare nessun pubblico perché il pubblico è
l'autore. Il pubblico è gente che ha bisogno di poter credere che
c'è ancora una via d'uscita. Salvezza autoprodotta. Medicinali.
Urinoterapia. Un panino alla merda è più saporito se la merda è la
tua?
Daniele Rollo
Aperitivo e musica. Dal 15 Maggio ogni
sabato allo Zuma Tob Lamare e Postman
Ultrachic accarezzeranno le vostre orecchie
con le loro selezioni musicali (Funky,
boogaloo, indie, '80s, bossa,
electrolounge…). A partire dalle 19:00
l'aperitivo più smart di Lecce vi
accompagnerà nel vostro sabato sera.
Ingresso libero.
13 maggio
Tequila Pub / Gallipoli
Bludinividia
Concerto al Tequila Pub di Gallipoli con i
Bludinvidia la band salentina che presenterà il
suo nuovo lavoro in studio “Non è abbastanza
ancora” uscito in questi giorni per l'etichetta
StartreRecords. Il loro genere è una sorta di rockpop dalle forti venature psichedeliche. Gruppi
ispiratori della band sono sicuramente i Beatles
ma anche Jimi Hendrix. Brani in italiano figli
dell'Inghilterra, canzoni dirette e coinvolgenti. Il
live dei Bludinvidia colpisce per il grande
affiatamento, la capacità di improvvisazione,
la compattezza e la potenza. Il concerto si terrà
all'aperto, ingresso gratuito.
15 maggio
Palazzo Baronale / Novoli
Tre allegri ragazzi morti
Tornano nel Salento i Tre allegri ragazzi mort”
che presenteranno i brani del loro ultimo cd. "Il
sogno del gorilla bianco" contiene tredici pezzi
inediti. Il live di Tarm, capitanati da Davide
Toffolo, è coinvolgente: una miscela di rock e
punk. L'appuntamento è nel cortile del palazzo
Baronale di Novoli. Il concerto è organizzato da
CoolClub e Arci Novoli. Ingresso 5 euro.
22 maggio
Istanbul Cafè / Squinzano
Nhn Festival
14 maggio
Sternatia
Giovanna Marini
Sternatia ospita Giovanna Marini che
presenterà il doppio cd “Il salento di Giovanna
Marini” a cura di Roberto Raheli e Vincenzo
Santoro (edizioni Aramirè). Parteciperanno il
professore Alessandro Portelli, il sindaco
Massimo Manera e Sergio Torsello. Il cd si divide
in due sezioni la prima contenente documenti
originali che includono registrazioni di voci di
cantori anziani e la seconda con la riproposta
musicale della Marini che esegue alcuni dei
canti della tradizione salentina. Inizio ore 20.30
Nhn è un'etichetta indipendente di Genova
Claudio
Longo
che vanta tra i suoiFoto
gruppi
i salentini
Nitrojuice.
All'istanbul Cafè di Squinzano presenterà i suoi
gruppi in un vero e proprio mini festival. Sul
palco Evolution so far da La Spezia,
Dependent da Eindhoven, e Coffee shower
da L'Aquila. Una serata da non perdere.
20/23 Maggio
Ex Convento dei Teatini / Lecce
Gran Bazar 2004 quarta edizione
Una mostra mercato del libro tascabile e un banco dell'editoria e
della poesia salentina. Gran Bazar a cura della Libreria Icaro e del
Fondo Verri in collaborazione con Bigsur, CoolClub,Vertigine e
Musicaos è arrivato alla sua quarta edizione. Gran Bazar dedica
ampio spazio ad una riflessione sulla situazione attuale della
letteratura italiana con la presentazione di numerosi libri e
pubblicazioni. Si parte giovedì 20 maggio con Le lingue del Salento
(ore 19.00) e con la Nuova scena letteraria del Salento (ore 20.30).
Venerdì 21 in mattinata spazio alla relazione del prof. Mario Proto
sull'Identità del Salento e il declino meridiano nell'era della
mondializzazione mentre in serata, oltre ad alcune presentazioni di
giovani autori salentini, si discuterà con
Antonio Errico di “Dal disagio alla cura”.
Sabato 22 alle 11 Luigi Chiriatti presenterà
la riedizione del Morso d'amore. Alle 21,00
Wu Ming 2 presenterà il suo esordio da
solista “Guerra agli Umani” uscito di
recente per Einaudi Stile Libero. Domenica
23 in mattina spazio alla letteratura e
all'arte “Al femminile”. Dalle 19 letture e
omaggi a Carmelo Bene, Vittore Fiore,
Antonio L. Verri. Gran Bazar si chiuderà con
un reading letterario a cura di Vertigine e
Musicaos. Info: Libreria Icaro tel.
0832.241559. Fondo Verri, tel.0832.304522
Foto Claudio Longo
13 maggio
Teatro Paesello / Lecce
Tributo a Joni Mitchell
Nuovo appuntamento al teatro Paisiello per
Jazle. Sul palco a ripercorrere la carriera
della mitica Joni Mitchell, una delle muse
ispiratrici della canzone nordamericana, ci
sarà un trio d'eccezione: la cantante Maria
Pia De Vito, il pianista Danilo Rea e il
contrabbassista Enzo Pietropaoli.
18/20 maggio
Ateneo / Lecce
Giornate dell'arte
L'Associazione Nuovi Ingranaggi presenta
la prima edizione delle “Giornate dell'arte”.
L'Ateneo sarà trasformato per tre giorni in
una galleria d'arte con un lungo percorso
dedicato alle arti visive e dello spettacolo
che si dispiegherà lungo tutti i corridoi del
Codacci Pisanelli e all'interno dell'aula De
Maria. Ci saranno esposizioni di pittura,
fotografia e tavole di fumetti, una rassegna
di cortometraggi, l'esibizione di Capoeira e
un festival musicale studentesco.
Chiuderanno il concerto dell'Ecotekne i
BlekAut e gli Après La Classe.
22 maggio
Chlorò / Calimera
Finale Festival Emergenza
Si avvicinano le finali del concorso per band emergenti
Emergenza festival che torna nel Salento per le semifinali.
Emergenza è il più grande contest musicale europeo, un
festival al quale possono partecipare gruppi di ogni genere e
tendenza. A partire dalle 19:30 una maratona musicale, per
contendersi la possibilità di accedere alle finali regionali, che
vedrà sul palco Hic niger est, Charle's mum, Malaussene,
Kaotica, Rh negativo, Anek Terital, gualeve, Joe di giugno,
Revolver, Ashram e Climax.
Il cinema italiano nel segno della Puglia
Precario ma inflessibile. Mollo tutto e volo via…
Il cinema pugliese gode di ottima salute? A vedere i risultati degli ultimi anni si
direbbe proprio di sì anche se non tutti sono d'accordo e soprattutto le
polemiche politiche stanno impazzando dopo l'approvazione della giunta
Fitto della nuova legge sullo spettacolo che prevede anche la nascita di una
commissione e di un centro cinematografico nel Salento. Tutto questo,
ovviamente, finanziamenti permettendo. Intanto le nuove leve di cineasti e
videomakers pugliesi si fanno avanti. E se non sorprendono più i successi dei
baresi (di nascita o d'adozione) Sergio Rubini e Alessandro Piva o del salentino
Edoardo Winspeare, ha fatto sicuramente piacere la vittoria del David di
Donatello del corto Zinanà di Pippo Mezzapesa (nella foto), scritto con la
giornalista di Repubblica Bari Antonella Gaeta. La storia è molto delicata con il
piccolo Arcangelo che vorrebbe suonare i piatti (Zinanà appunto) nella
banda del paese e che da adulto finalmente riesce a coronare questo sogno.
Il concetto del momento giusto in cui entrare con i piatti si rivela poi
fondamentale nella vita sentimentale del protagonista che forse non sarà mai
un grande suonatore di Zinanà. Il corto indaga rapidamente sulla
preparazione della processione del venerdì santo, il momento più importante
per coloro che imbracciano gli strumenti in queste occasioni. Il giovane regista
(classe 1980) aveva anche partecipato alla realizzazione di uno dei corti della
collettiva “A Levante”, finanziata dalla Provincia di Lecce nell'ambito del
festival Negroamaro 2003, e prodotto da Winspeare. In questi giorni il film esce nelle sale
italiane. La presentazione ufficiale della nuova versione (tagliata e rimontata) ha aperto il
Festival del Cinema Europeo di Lecce. Seppur tra alti e bassi e con qualcuno dei 7 episodi che
non convince pienamente, il film è un ottimo esperimento di palestra cinematografica. Tra
personaggi e attori più o meno realistici colpiscono in particolare la ironica dolcezza del Nido di
Carlo Michele Schirinzi e Mauro Marino e la scelta, quasi fuori dal tempo, di entrare in un
convento di clausura di Eccomi di Alessandro Valenti e Roberto Vetrugno.
Pierpaolo
A/R Andata+Ritorno
Marco Ponti
Ultimamente non mi era capitato così spesso di essermi alzato dal mio posto senza aver rimpianto il
costo (totale o parziale) del biglietto. Il secondo lavoro di Marco Ponti (quello del fortunato Santa
Maradona) è fresco e divertente. Su una trama narrativa abbastanza debole il regista riesce a costruire
un film spiritoso e ironico, citazionista al punto giusto, con la presenza di personaggi che per giorni ti
ronzano in testa (stampella, il tassista, il mitico portiere mago). La storia narra di un incontro
apparentemente impossibile tra Nina (quanto è bella Vanessa Incontrada), una hostess spagnola
bloccata a Torino da uno sciopero, e Dante (Libero De Rienzo), un pony express in bicicletta che per
scappare da un gruppo di aguzzini (simpatici anche loro) parte per quello che doveva essere un lungo
viaggio. Uno scambio di valigia lo porta prima in carcere a Barcellona e poi a ritornare a casa con
mezzi di fortuna il giorno dopo la partenza. Qui incontra nel suo letto la spagnola (quanto è bella
Vanessa Incontrada) che è giunta nella casa del pony express grazie a un disponibile fattorino di
albergo (Sandokan, Kabir Bedi). Tutti possono intuire come andrà a finire con l'amore sbocciato tra i
due e con una rapina (qui sarebbe lunga la lista delle citazioni) per pagare i debiti del ragazzo. Nulla di
eccezionale, nessun messaggio subliminale (o forse sì), e qualche bella battuta come quella sull'amore
che non esiste “è per questo che lo facciamo”.
Pierpaolo
26/28
Cortovisione
San Cesario
Sono più di 70 i cortometraggi giunti all'organizzazione che vaglierà e deciderà quali inserire nel
programma di Cortovisione. Scorciasecara Short Movie e il circolo arci Zei di Lecce lanciano questa
prima edizione del festival di cortometraggi che nasce “con l'intento di fare di questo evento una
occasione di incontro per tutti i video-maker indipendenti e come occasione di confronto e sfogo
sulle realtà sociali che più ci toccano”, come sottolinea il direttore artistico Gabriele Buscicchio. Il
festival, che si terrà dal 26 al 28 maggio a San Cesario, prevede 4 sezioni competitive: “In clip" al quale
sono ammessi cortometraggi della durata da uno a 3 minuti che trattino qualsiasi genere
(documentari, animazioni, fiction, video clip); "Short-movie" aperto a cortometraggi della durata dai
3 ai 30 minuti di qualsiasi genere; “Refractory diseases” (malattie ribelli), sezione speciale dedicata ai
corti che trattino tematiche sia sociologiche che psicologiche; "Backstage” aperta agli artisti che
invieranno oltre al proprio corto, anche un book-fotografico contenente 15 foto selezionate tra le
foto di scena. La giuria sarà presieduta da Citto Maselli e sarà composta da Sergio Spina, Gabriele
Attanasio e dal sociologo dell'Università di Lecce Alessandro Taurino. Luigi Del Prete presenterà i due
film documentario “Le tabacchine” (uscito da poco) e il precedente “Le Arneadi”, dedicato alle
lotte contadine degli anni 50 in terra di Arneo. È prevista la proiezione di due film di Adriano Barbano,
“Tramontana” e “Otranto 1480”. Fuori concorso anche la proiezione dei due documentari “Le
bende del Giaguaro. Cile 1973-2003” di Corrado Punzi e Marta Vignola e “Dialogando con il cinema
europeo” di Gianluca Camerino. Per informazioni contattare Gabriele Buscicchio 3295484468
oppure [email protected]
Negli ultimi anni l'unico motivo per il quale mi sono scontrato con mio
padre è stato il lavoro. Non il mio lavoro in particolare ma il lavoro in
generale. Forse le vecchie generazioni, quelle che tra un po' andranno
in pensione, non comprendono una cosa di noi: il nostro approccio al
mondo del lavoro. Si, perché per quelli come mio padre, che hanno
lavorato tutta la vita con uno stipendio dignitoso e che hanno
sacrificato anche parte della propria esistenza per la causa, non è
concepibile un tipo di lavoro come il nostro o meglio questo essere
precari da sempre e per sempre. Io rido quando mio padre mi chiede se
ho fatto questo o quel concorso e atterrisco all'idea di dover compilare
un modulo, mandare una raccomandata e sperare che sia letta,
aspettare che sia stilata una prima graduatoria, attendere il mio turno
per una prova orale e vedere se il mio nome è in cima ad una lista di
almeno 3000 persone che concorrono per 4 posti utili dei quali due tre
sono sicuramente assegnati e il quarto andrà al più bravo di tutti. Se io
fossi uno di quei due tre non ci penserei su due volte. Sarei un
raccomandato che lavora ma almeno lavora. E alla fine visto che non
sono raccomandato (per il momento) e visto che non sono mai stato il
più bravo tento di andare avanti con tanti piccoli lavori. Quello che i
nostri padri non comprendono è questo senso perenne di precarietà.
Questa sensazione che prima o poi tutto possa finire. Questa
impossibilità di pensare a lunga scadenza. Sarebbe bello avere un
contratto firmato per tutta la vita e a qualcuno ancora succede. Ma
nella maggior parte dei casi siamo tutti lavoratori in nero, sottopagati o
con ritenute d'acconto (almeno da queste parti). Bisogna prendere più
lavori possibile con il rischio di tralasciarne qualcuno e di perdere la
fiducia e il lavoro. Insomma è una tragedia, è una vera tragedia sociale
di cui ancora non si parla. È come per le coppie di fatto, nessuno
sembra porsi il problema che invece c'è. Se non hai una busta paga in
tasca non hai diritti ma cento doveri in più. Una situazione che
peggiorerà con il tempo - anche per la nuova legge sul lavoro - ma che
è stata colpevolmente introdotta e non regolata dai governi amici dei
sindacati e di molti di noi (me compreso). Non è una scelta sbagliata
quella di rendere più “agili” questi rapporti di lavoro (purché il lavoro ci
sia) ma è una scelta impossibile in zone come il sud in cui se perdi un
lavoro trimestrale devi aspettare altri tre mesi perché passi una nuova
occasione. E anche i pagamenti sono meravigliosi: ogni tre o sei mesi.
Nell'attesa ci si può cibare di aria. Flessibili, più si è flessibili più si è
ricattabili. Più si è ricattabili più si è politicamente gestibili. Gli Stati Uniti
insegnano anche in questo campo. Ma esiste anche un'altra realtà.
Con la protesta di Melfi le tute blu sono tornate d'attualità e
all'improvviso una parte del paese ha scoperto che esiste ancora la
fabbrica, il suo sudore, la sua fatica, la ripetitività dei gesti, il cartellino, i
bus navetta. Così anche il lavoro è tornato d'attualità. Soprattutto
quello mal pagato e quello flessibile, precario. Un tempo per denigrare il
lavoro sporco si diceva “Lavoro come un negro” adesso si sussurra
“Lavoro come uno in nero”. Salario basso, diritti inesistenti. Io sono un
flessibile, precario ma inflessibile e penso che adesso non possiamo
neanche lottare come a Melfi perché i precari sono i primi a saltare
anche se hanno soltanto un raffreddore e non si presentano per tre
giorni di fila in ufficio. E penso alle lotte dei sindacalisti che sono morti per
la causa e penso anche al cortocircuito che ha portato alla morte di
coloro che avevano l'intenzione di cambiare la disciplina del lavoro. E i
nomi da fare sarebbero tanti (penso a Biagi e D'Antona) e soprattutto
penso che questa mancanza di lavoro porta alla raccolta della
manovalanza della criminalità. E come non ricordare Peppino
Impastato che fu ucciso nello stesso giorno di Aldo Moro, il 9 maggio del
1978. E dopo tanti anni il suo aguzzino Tano Badalamenti è morto.
Insomma io vorrei scappare da questa situazione lavorativa e cercare
un posto altrove. Vorrei prendere un aereo e fuggire ma anche i
lavoratori dell'Alitalia sono in sciopero. Che sfiga.
Pierpaolo
Sportello degli inflessibili
Nasce per iniziativa del Nidil-Cgil e della Mutua Studentesca, in
collaborazione con lo Snur-Cgil per offrire assistenza e tutela sia alle
nuove tipologie contrattuali (lavoratori interinali, a progetto,
collaboratori) sia agli studenti che lavorano, che ai lavoratori che
studiano. I servizi dello sportello sono: assistenza sui contratti e sulla
propria condizione lavorativa, consulenza on-line, sito web
(www.dirittialavoro.it) su cui trovare informazioni e offerte di lavoro, “36”,
periodico di informazione e discussione, banca dati aggiornata su
offerte di lavoro e di formazione di enti pubblici e privati, sia locali che
nazionali ed europee, bandi Università ed Enti pubblici, mailing list di
informazione, consultazione riviste, seminari e dibattiti di
approfondimento e discussione. Lo Sportello è aperto presso l'ex Ateneo
(Palazzo Codacci-Pisanelli) di Lecce nell'aula A5 dal lunedì al venerdì,
dalle ore 11 alle 14 e dalle ore 17 alle 19, e a Ecotekne, presso l'aula degli
studenti Plesso D, il martedì e il venerdì dalle ore 11 alle 14. E-mail,
[email protected].
Daniele Sepe, artista e comunista!
Lecce da molti punti di vista è una città pigra. Soprattutto Lecce è una città
che in massima parte è governata da una borghesia piccola piccola poco
attenta alle ricorrenze e poco avvezza alle celebrazioni della nostra storia.
Così, ogni anno, la Festa della Liberazione è quasi dimenticata, ricordata e
rammentata solo dall'Associazione Nazionale Partigiani Italiani che, nei
pressi del monumento dei caduti, organizza una commemorazione. Nel
2004 Zei e Udu hanno voluto organizzare un concerto per utilizzare la musica,
un linguaggio universale che fa stare unite generazioni differenti, popoli e
culture differenti. La scelta è caduta sul comunista Daniele Sepe che negli
anni '70 iniziò con gli ‘E Zezi di “Tammurriata dell'Alfasud”.
Quale pensi debba essere il ruolo degli artisti?
Gli artisti in generale se ne “fottono”! Io non mi sento un artista comunista io
mi sento un comunista che fa l'artista ed è una cosa un po' diversa. Non me
ne frega niente di essere un artista, se fossi stato un medico probabilmente
avrei detto le stesse cose. Penso che Gino Strada è prima di tutto un
comunista e poi un medico. È secondario essere un artista.
Oggi ha ancora senso dunque essere comunisti e parlare di resistenza?
Certo. Per quanto mi riguarda vuol dire fare controinformazione. Fare un
disco su Victor Hara cinque anni fa come ho fatto io quando nessuno qui in
Italia sapeva chi fosse vuol dire fare controinformazione. Realizzare un disco
sul lavoro e sulla produttività vuol dire in qualche modo fare
controinformazione. Non penso di cambiare il mondo quando faccio un
disco ma almeno, avendo un mezzo a disposizione, non racconto la mia
ultima avventura andata male con la
ragazza e tutte le puttanate che puoi
sentire nella musica di oggi.
Cosa mi dici della situazione del lavoro
in questo momento?
Oggi è 25 aprile e mi sento
particolarmente contento per quello
che è successo alla Melfi. È un fatto
molto importante che non deve
passare in secondo piano. Ci
terrorizzano con questa storia che non
c'è lavoro e che dobbiamo essere
legati al concetto di Prodotto Interno
Lordo! È un po' quello che cerco di dire
nel disco “Lavorare stanca” (premio
Tenco 1998). Vincolano il nostro
benessere e il nostro buonumore
all'andamento dell'azienda e della
borsa. Quand'ero piccolo al
telegiornale non dicevano nulla sulla
borsa perché nessuno se ne fotteva
niente. Dall'epoca di Craxi in poi invece
hanno cercato di convincere l'umanità
e di convincere noi che se la borsa va
bene anche noi stiamo bene!
Come ti sei avvicinato ai testi e alla musica cilena e quindi alla politica degli
anni '70 Sudamericana?
Un po' come tutti quelli della mia generazione, quando ci fu il golpe in Cile
del '73 io avevo 13 anni e allora si era abbastanza “precoce” rispetto alle
questioni politiche. Al tempo si avvertiva oltretutto la preoccupazione di un
golpe anche in Italia. In ogni caso all'epoca era un fatto normale interessarsi
della questione sud-americana, era molto sentita come può essere oggi la
questione Medio-orientale o come poteva essere il Vietnam. Inoltre quando
avevo 14 anni andai ad un festival in Francia e sentì per la prima volta un
gruppo colombiano e rimasi affascinato dalla loro musica e dai loro
strumenti. Così formammo un gruppo che faceva musica andina e ricordo
che giravamo per le feste dell'Unità ma nessuno ci cagava!
Ti interessi ancora alle vicende dell'America-latina?
Cerco di farlo anche se oggi mediaticamente è tutto monopolizzato,
magari giustamente, per quello che sta succedendo in Iraq e in Mediooriente; per esempio nessuno parla del Venezuela e degli attacchi al
governo democratico di Chavez che a me interessa particolarmente,
anche perché tutto sommato non è che un altro aspetto della guerra al
petrolio.
Pensi che i giovani, qui come in America-Latina, abbiano oggi una
coscienza politica?
Quelli che hanno una coscienza politica spesso si rifiutano di votare perché
hanno perfettamente chiara l'idea che, dopotutto, tra uno schieramento di
centro-destra e uno schieramento di centro-sinistra le differenze non sono
così notevoli. Prendi tutta la polemica del centro-sinistra sulla guerra in
Iraq…è fatta da quelle stesse persone che hanno sponsorizzato solo
qualche anno fa una guerra in Kossovo che aveva le medesime difficoltà di
diritto internazionale che ha ora quella in Iraq. Poi ci sono i giovani che non
hanno una coscienza politica perché sin dalle scuole si cerca di eliminarla
per mantenerli ignoranti. È meglio avere un popolo di coglioni a disposizione
piuttosto che un popolo pensante! Mantenere le persone nell'ignoranza dei
propri diritti è sempre molto conveniente.
Esistono ancora i sogni e i sognatori?
Esistono ma sono molto nascosti. Chavez è un sognatore coraggioso e
come tale deve essere rispettato come del resto tutti i pochi sognatori
rimasti.
Marta Vignola
Gli Psycho-Cannibali nel Cinema: da H.G.Lewis
a Evilenko
Aires Tango…una innovativa riscoperta della tradizione
Purtroppo nella maggior parte dei casi (e la terra di chi scrive è fervida di esempi) il recupero della
cultura musicale tradizionale di una determinata zona geografica consiste in una mera e stantia
rilettura di stornelletti di bassa lega, con il fine precipuo di far ballare uno stuolo di avvinazzati, fine a
volte persino accompagnato da un elevatissimo autocompiacimento culturale; gli Aires Tango, al
contrario, riescono a mio avviso nel difficile compito di ripescare l'autentico sentimento e il disperato
lirismo del popolo argentino, impreziositi dalla classe cristallina dei suoi elementi (tutti affermati e
validissimi jazzisti) e dalla compresenza, nelle splendide composizioni del quartetto, di forte
originalità e notevoli legami con la tradizione argentina. È bizzarro constatare però che gli Aires
Tango in realtà non sono esattamente argentini, dato che il bassista Marco Siniscalco e il
percussionista Michele Rabbia sono italiani, e anche l'argentino Javier Girotto, principale autore dei
brani della formazione, è da diversi anni trapiantato musicalmente in Italia, avendo collaborato con
svariati giganti del jazz italiano come Enrico Rava, Roberto Gatto e Rita Marcotulli; completa il gruppo il tocco sublime del
pianista Alex Gwis, che disegna trame passionali su cui si poggiano le scorribande al flauto, al sax baritono, al clarinetto e
soprattutto al sax soprano dello straordinario Girotto, un musicista eccezionalmente dotato che riesce a dare all'ascoltatore
una strana sensazione: appena esegue una nota, essa è così avvolgente, sensuale e struggente che si pensa che non sia più
possibile sentire nient'altro di così meraviglioso e quando attacca con la nota successiva, si pensa di nuovo la medesima cosa.
E così con tutte le sue note.
A chi si stia (come è lecito) interrogando sulla mia sanità mentale (dato il clamore delle mie ultime affermazioni) consiglio
l'ascolto in particolare di due dischi degli Aires Tango, ovvero “Cronologia del '900” e “Origenes”.
Marcello Zappatore
Tasaday
In attesa, nel labirinto
cd Wallace records
Paul kalkbrenner
Self
Bpitch Control
Uno dei pochi a rivoluzionare la trance
(senza disdegnare la primissima, un nome su
tutti: Dragonfly) con i santissimi crismi: due
accordi di synth, tribali movenze post-acid,
orgoglio techno. Torna con questo “Self”
(CD o 2x12”), il suo nono per Bpitch.
Page one: L'intro zigana schiude le
fluorescenze di “Press On”, a seguire
“Castanets” blade runneriana vibrazione
tribal. “Queer Fellow” è un capolavoro,
tanto che non sai più che pensarne: elettro?
Trance? Techno? Un battito irregolare in uno
stile asciutto e minimale che solamente
questo piccolo genio…un vischioso,
luminoso incubo. Dal quale ci salvano i
languori celestiali di “Since 77”. Page two:
una zigana intro. Devo continuare o le
scoprite da soli?
Piggy
A distanza di 5 anni dall'ultimo lavoro a nome
de “L'Ultimo Tasaday”, con il solo Sandro
Ripamonti, ritorna la storica formazione di
avanguardia (nata dalla fusione di Die Form
e Nulla Iperrele) che segnò la scena
musicale degli anni '80 in Italia. Il fatto che
nell'odierna line-up ci sia anche Xabier
Irondo degli Afterhours non deve ingannare,
anche se nelle intenzioni del gruppo “In
attesa, nel labirinto” rappresenta il loro disco
“rock”. Di rock sui generis si tratta, in quanto
la matrice avanguardistica dell band è
rimasta intatta. Le ritmiche tribal-industriali di
stampo'80 (stile Einsturzende Neubaten) si
innestano su momenti di musica concreta
(ovvero musica ricavata da rumori da
ambiente), alla maniera dei connazionali
Ossatura, e su bordoni di rarefazione
elettronica isolazionista. Non un disco di
facile ascolto e di immediata comprensione,
ma che abbisogna della rinuncia ad ogni
esigenza di melodia e l'abbandono
completo ai mondi inquietanti delineati
dalla loro musica. Forse per alcuni non si può
neanche parlare di musica. Forse per molti
sarebbero una sonora presa per i culo. Per
quanto mi riguarda sono un esempio di
intelligenza sonora e la dimostrazione che
l'avanguardia in Italia non è per nulla morta.
Gianpiero Chionna
Tutto l'amore che mi manca
Nada
On The Road Music Factory 2004
È un peccato che molti ignorino il nuovo
percorso intrapreso da Nada e continuino
ad associarla ingiustamente ai suoi pezzi
sanremesi degli anni 70. “Tutto l'amore che
mi manca”, che dalla copertina pare un
album brutal death, va ben oltre i
precedenti "Dove sei sei" (Mercury,1999) e
"L'amore è fortissimo e il corpo no" (Storie di
Note, 2001), già forieri di un pop fuori dagli
schemi con melodiche aperture rock.
La voce sporca di sigaro della cantautrice
livornese si cimenta per la prima volta con
l'inglese (in "Classico", che vanta la firma
prestigiosa di Howe Gelb), sale prepotente
sulle chitarre di Lorenzo "Buzzino" Corti e
Cesare Basile, si muove cadenzata sul
basso di Giorgia Poli. Il discreto sguardo
supervisore di John Parish, storico
produttore di Pj Harvey, fa sì che nulla di
superfluo intralci la scarna immediatezza
che si respira tra le dieci tracce. Esempio
lampante ne è proprio il singolo "Senza un
perché", di una freschezza tale che sembra
uno stornello dell'asilo. I testi? Semplici e
inquieti. Si parla sì di un cuore ferito, ma
finito sul pavimento e morso da un topo
che lo sbatte contro la porta ("E ti
aspettavo"). La dimostrazione che Nada
ha molto di più di tante sopravvalutate
cantautrici anglosassoni è la lunga,
delirante ghost track "Le mie madri" (già
presente nell'omonimo volume edito da
Fazi lo scorso anno): su un incrocio tra il
blues e il ritmo tribale la Signora Malanima
declama, enfatica e stranita, fino a sfiorare
le urla.
Questi obliqui ritornelli, accattivanti come
cantilene, e la sua voce sempre più rauca
spingono Nada distante anni luce da "Il
cuore è uno zingaro". E chi, preferendo
tenersi cari i propri pregiudizi, stenta a
volerlo riconoscere, davvero non sa cosa si
perde.
Lorenzo
La figura del serial killer ha sempre affascinato il cinema, specialmente il
cinema low budget che poteva contare su storie dal forte impatto su cui
poteva imbastire horror di cassetta. Il primo a tentare una simile operazione fu
Herschell Gordon Lewis, papà e re dello splatter, con Blood Feast (1963) storia in
cui un ristoratore egiziano tenta di riportare in vita una divinità smembrando
giovani vittime e pasteggiando con esse. In realtà la pellicola di Lewis è un
gioco meramente splatter (insieme ai posteriori Macellai 1970- del pioniere del
trash fai-da-te Andy Milligan e A cena con la signora omicidi- 1972- di Bud
Townsend), non puntando affatto sulla complessa psicologia deviata dei
personaggi ma affidando tutto all'effetto macelleria. In realtà la maggior parte
dei film in questione ha preferito puntare sull'aspetto prettamente visivo,
tralasciando ulteriori approfondimenti, producendo un vero e proprio filone di
film in cui il tema centrale è la gestione di un ristorante da parte di gente poco
raccomandabile (Motel Hell, Cannibal Girls del “ghostbuster” Ivan Reitman).
Immaginate voi. L'unico che pone maggior attenzione sul suo protagonista, un
ristoratore che dopo aver massacrato la sua famiglia, ne ricicla i resti per il suo
menù, è The Untold Story di Herman Yau, usando l'insana vicenda per sferrare
una critica alla società. Ma è la famiglia il luogo dove più facilmente il male si
annida coinvolgendo tutti i membri. E dove chi cerca di resistere è vinto,
annullato dall'ineluttabile destino della follia. È quanto accade in Spider Baby
di Jack Hill (1964) in cui due ragazze e il loro cugino sono affetti da una forma di
regressione infantile aggravata da una propensione al cannibalismo.
Confinati in una casa di campagna, nulla può il loro zio contro il loro male,
nonostante i suoi sforzi, quando arriveranno gli ospiti. Hill coglie con questo film i
primi cedimenti della famiglia, qui ben lontana dal sogno americano, che
verrano in seguito sviluppati in maniera più incisiva da Hooper e Craven.
Analoga vicenda è raccontata dall'inglese Pete Walker nel 1974 con “Nero
Criminale” dove vediamo le gesta di una vecchia cartomante affetta da
disturbi mentali che la portano a un'insana ossessione antropofagica, sedata
dall'ormai guarito marito affetto in precedenza dallo stesso male, che le
somministra carne animale spacciandola per umana. Ma il male è genetico e
quando anche la figlia scoprirà la stessa tendenza della madre, opporsi sarà
inutile. Un ambientazione urbana e grigia grava per tutto il film in cui un senso di
resa e di ineluttabilità del proprio destino la fa da padrone, disegnando la
famiglia come un luogo claustrofobico dove il sacrificio per gli altri membri
uccide ogni libertà individuale. La famiglia, questa volta unita e compatta
nell'orrore, è protagonista di due capolavori del genere. Non aprite quella
porta di Tobe Hooper (1974), ispirato alle reali folli gesta del fattore Ed Gein e
che ha visto recentemente anche un remake, è l'emblema dello sfascio
dell'ambiente familiare, del crollo del sogno americano, del marcire della
società. La campagna non è più un posto tranquillo, regno di onesti lavoratori,
ma luogo desertico e desolato, trappola che inghiotte ignari passanti, polvere
che si alza per le strade. I tramonti vedono Leatherface agitarsi all'orizzonte
con la sua motosega, bestione che tortura animali e arreda la casa con ossa di
cadaveri. Le strade vedono vagare il suo stravolto fratello hippie e le soffitte
nascondono vecchi paralizzati e ammuffiti abbandonati a loro stessi. Un senso
di macabro che rasenta quasi il grottesco avvolge la pellicola che è forse uno
dei più ispirati attacchi all'ipocrisia americana. Fa coppia con essa uno dei
capolavori di Wes Craven (il papà di Nightmare): “Le colline hanno gli occhi”
(1977) altro apologo antifamilista in cui dei pellegrini accampati nel deserto
vengono presi di mira da una tribù di pazzi sadici e cannibali. Due sistemi a
confronto. Da un lato i pellegrini, ordinari, rispettosi delle regole; dall'altro gli
abitanti delle colline, violenti organizzati secondo un ordine primordiale. I primi
brutalmente attaccati dai secondi, crocifissi, bruciati vivi, mangiati. E quando
le regole della sopravvivenza lo imporranno, anche i pellegrini dovranno
regredire al livello primitivo e rendersi spietati come bestie.
Sul fronte italiano è impossibile dimenticare di tre pellicole. L'una splendida
diretta da Francesco Barilli nel 1974: “Il profumo della signora in nero”, raffinata
vicenda carica di echi polanskiani e valorizzata da uno dei finali più cattivi che
il nostro cinema ricordi. Le altre entrambe di Joe D'Amato e più attinenti al
filone horror sono “Buio Omega” (1979) ottimo psicodramma alla Psycho che
narra le gesta di un imbalsamatore ossessionato
dall'amore della sua ragazza morta e
“Antropophagus” (1980) in cui un naufrago
diventa un implacabile antropofago dedito allo
sterminio di un intera isola. Oggi una nuova
pellicola del genere vede la luce: “Evilenko”
(2004) di David Grieco che ripercorre la vita del
mostro di Rostov Andrei Chikatilo interpretato da
Malcom Mc Dowell. Probabilmente sarà una
pellicola che farà discutere, o forse non avrà la
visibilità che merita, in quanto (di questi tempi)
sicuramente film scomodo. Si spera solo che non
incappi nell'errore in cui spesso questi film
cadono. Dimenticare l'uomo (reo e foriero di
orrori), la sua caratterizzazione, per farlo assurgere
a macchietta, bieco burattino da film horror.
Gianpiero Chionna
Gli sguardi inquieti dei coraggiosi
videomakers
Un dvd costituito da nove corti di giovani (e non) autori,
accompagnato da appropriato libro in merito. Un “matrimonio”
voluto da tempo, scandito dalla volontà sognante dei videomakers (o
ritenuti tali), alcuni dei quali in carica ansiogena (o poetante; si può
anche dire). La campionatura visiva scandaglia e perora la prassi
visionaria dei realizzatori, il loro inconfondibile tratteggio affabulativo,
l'oggettivo e odoroso coacervo dei desideri.
Sguardi iconici e scritture narrative in un fertile abbraccio per “scalare
il cielo” delle aspettative e per rendere più professionale (si spera) i
fermenti sussultori dell'agire. Il “corto” grazie al perfezionamento
elettronico, ovvero il digitale, per immergersi nei boulevards del
racconto per immagini. Solerti guizzi e fermentati scatti consoni a
produrre vincenti psicologie d'insieme.
Il Festival del Cinema Europeo di Lecce dischiude il suo quinto
appuntamento culturale con la presentazione al pubblico
dell'esperienza “cortista” e di pianeggianti “fogli di poesia”. Sarà un
incantevole pomeriggio a primavera iniziata? Forse. Certamente un
dolce spazio per rivedere, rianimarsi, scambiare opinioni, affidarsi ai
(s)montaggi dei partecipanti al “gran circo della vita”, a rimeditare
dopo le avvenute intese o discordanze. Per dialogare apertamente e
“criticamente” con il mondo presente. Qualche videomaker
puntualizza: “ Sostanzialmente il nostro movie sta compiendo i primi
passi nella storia del (suo) essere, sta mutando nella sua natura, si
accosta da altre tecnologie, ad altri sistemi, a danzanti scatole
magiche che con leggera trasportabilità e semplici mezzi si
adeguano, si ribaltano, effettuano salti e cadute; tutto è più semplice,
praticamente possibile; l'abbiamo già accennato, questa è la nuova
era digitale. Rivoluzione del fattibile. Chiunque, per un giorno regista,
potrà sperimentare il suo corredo creativo. Finalmente è l'uomo a dare
l'azione o lo stop alle “attese” della propria esistenza. Come tutti
affermano, in questo modo si è avviata una democratizzazione nei
giardini del cinema, grazie all'abbattimento enorme dei costi, si
produce una destrutturazione del modo di produzione tradizionale, un
po' per incapacità energetica di parcellizzare il lavoro e un po' per
ricerca di modalità produttive nuove, distanti dal mercato e dalle
prospettive economico-distributive”.
Come si può notare geometrie pensanti e inconsci in stato euforico,
permeati di spontanee e progressive valutazioni. In conclusione
il concreto dvd (e il relativo libro) per essere ispezionato nel suo
complesso ideativo e nel (suo) caracollare tra “onirismi eretici”
e diagrammi libertari. Anche perché si è convinti che esso
(“corto” o “breve cristallo”) può palesarsi credibile approdo
per il consueto disegno audiovisivo, palestra di preparazione,
affinamento delle dovute trasfigurazioni, versione disciplinata
dell'Io. Altresì quale singolare forma di creatività, compiutezza
fictionale, terreno di cimento e di referenze percorsuali,
trasalimento dell'estro, esigenza di narrare l'imponderabile e
l'irraccontabile. La discussione è aperta. Le luci si stanno
spegnendo. Il buio della sala avverte che non bisogna tradire
“i sogni dell'infanzia”. Possono talvolta tacere (i bagliori del
“concerto desiderante”), mai da cancellare.
Vincenzo Camerino
Docente di Storia e Critica del Cinema presso l'Università
Dopo mezzanotte
Davide Ferrario
“Non c'è una TV qui?”
“Solo film.”
Questa l'idea che muove l'ultimo e il migliore film di Davide Ferrario, regista al suo sesto lavoro per il grande
schermo, che ancora una volta riesce a sbalordire e a colpire. Dopo aver assistito ai 93 brevissimi minuti di grande
cinema, si rimpiange di non vivere in un film, un film bello come questo, che racchiude la storia del cinema, e la
storia della vita, in un turbine di immagini e passioni, silenzi e smorfie, suoni e musiche. Nel film tutto è perfetto, è
simbolico, è divertente. E i personaggi, protagonisti di una vita verosimile, sono gemme incastonate in una
struttura contemporanea e dinamica, bellezza architettonica e urbanistica. La trama del film è, forse
volutamente, la stessa del cinema di sempre: una donna in fuga da una vita e da un amore insoddisfacenti, un
incontro, una scintilla e la forza di cambiare le cose che non vanno. È il cinema, che trionfa, come mezzo
comunicativo, come parole non dette, complice e galeotto, “un'idea pratica per migliorare la realtà
quotidiana”, come suggerisce la voce narrante di Silvio Orlando, cioè come unica chiave di lettura per la settima
arte, e tutta l'arte in assoluto. E ancora la musica, che scandisce i tempi chapliniani del film, in scene che hanno
del grottesco, e per questo uniche e ricercate. Dopo l'amaro “Tutti giù per terra”, l'innovativo “Figli di Annibale” e il
disturbante “Guardami”, Ferrario approda al cinema di qualità, esaltando la celebrazione della bellezza,
dell'idea di cinema inteso come arte e poesia, realizzando cioè un fine capolavoro, certo non vuoto e fine a sé
stesso, poiché critica socio politica, disagio, sentimenti, gli ingredienti veri del suo cinema, sono elegantemente
velati dietro la bellezza artistica. Ferrario è un regista giovane, 48 anni, e in 15 anni di attività ha prodotto 6 film, in un
crescendo esponenziale; una carriera brillante, che non deluderà, se, come ci ricorda, il destino è scritto nei
numeri, che sembrano dare un senso al mondo... che non è poco!
“Dopo mezzanotte” è il secondo film tributo al cinema della stagione italiana, dopo il meraviglioso “The
Dreamers” di Bertolucci, che chi non ha apprezzato, non ha capito. E credo che anche “Dopo mezzanotte” corra
il pericolo di non sfondare presso il grande pubblico. Non è grave, ma prima di giudicare, consiglio a tutti di fare
una visita alla Mole Antonelliana e di visitare il museo del cinema al suo interno. Solo allora sarà permesso
giudicare.
Stefano Toma
Kill Bill - Vol. 2
Quentin Tarantino
Romanticismo e sangue. Sorretta da questi due elementi, la storia di Black Mamba-Uma Thurman volge al
termine non senza colpi di scena. Questo secondo capitolo fatto di tradimenti, capovolgimenti di ruolo e di un
sentimentalismo degno del migliore sceneggiato, ci rende consapevoli di un'opera che nella sua interezza
rappresenta sicuramente una pietra miliare del cinema contemporaneo. Tarantino con il suo sapiente racconto
passa dalla Morte alla Vita, dalla Vendetta all'Amore in un film che vive soprattutto di contrasti. In questa
seconda parte cambiano gli scenari e i generi che il regista distrugge per poi poterli rifondare e omaggiare a suo
modo: dall’anime e il kung-fu movie si passa allo spaghetti-western e al più classico del cinema trash. Anche la
colonna sonora è profondamente diversa e funzionale a questo capitolo, che appare differente sin dalle prime
scene, ricco com'è di lunghi dialoghi e monologhi, molto più serioso e a tratti dotato di scarso ritmo. Montaggio e
fotografia sono come al solito su livelli altissimi e con un'alta dose di sperimentazione (split screen, sgranature,
cambi di formato, flashback, ecc.) e la sceneggiatura (alla quale ha collaborato anche la Thurman) non è mai
banale. Per quanto riguarda la vicenda, La Sposa adesso si trasforma e svela il suo palpitante cuore di mamma,
finora celato dalle spoglie di una perfetta e tutt'altro che indulgente macchina per uccidere. Nella sua lista sono
rimasti tre nomi: il buon vecchio Budd (Michael Madsen), la splendida e fatale Elle Driver (Daryl Hannah) e
ovviamente Bill (uno straordinario David Carradine). Apprendiamo finalmente il motivo della strage nella chiesa
dei Due Pini, l'infanzia di Beatrix (il suo nome non è più coperto dal beep) ed altre cose essenziali per
comprendere appieno il racconto, pieno di rimandi e riferimenti mescolati un unico e grande calderone. In
attesa di un (im?)possibile Volume 3 ( ambientato 15 anni dopo con la figlia di Vernita Green a vendicare la
morte della madre). In definitiva Kill Bill si propone come un'opera totale, da vedere e rivedere, caratterizzante di
un cinema sofisticato e autocelebrativo che ha in Tarantino il suo migliore e geniale interprete. Se non vi sembra
abbastanza. Cult.
C. Michele Pierri
The passion of the Christ
Mel Gibson
A voler ripercorrere la strada tracciata da Gibson per il suo kolossal, la sintesi più appropriata sta nel
termine "realismo". A partire dai dialoghi in latino e in aramaico il regista svela il suo intento, che è
quello di dare alla luce il film più veritiero mai realizzato sulle ultime 12 ore di Cristo, frutto di un
progetto nato 10 anni fa in un periodo di crisi mistica che lo stava portando al suicidio. Lontano anni
luce dalle critiche antisemite che lo hanno pubblicizzato ad arte, il film è di grande impatto visivo,
con scene ai limiti dello splatter, ma di straordinaria aderenza biblica e di pregevole fattura (e non
poteva essere altrimenti con Caleb Deschanel alla fotografia!). Oltre all'ottimo protagonista Jim
Caviezel ("La sottile linea rossa") brilla il nutrito cast italiano composto da nomi come Monica
Bellucci, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini, Sergio Rubini, Mattia Sbragia e altri ancora. Detto
questo e annunciandovi a priori che queste sono le opinioni distaccate di un anticlericale ritengo
che The Passion non aggiunga né tolga niente alla già nutrita filmografia religiosa e che se gli va
riconosciuto un merito, sia quello di aver sottolineato ancora una volta (se ce ne fosse bisogno) di
cosa sia capace la follia umana, che in questo film trapela da ogni singola inquadratura. È da
sottolineare inoltre la scelta di girare quasi interamente a Matera, il che rende inevitabile il
paragone con un altro film girato in questa location, ossia "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo
Pasolini, recentemente restaurato e da poco di nuovo nelle sale. Se il film di Gibson tende a farci
sentire complici di un massacro in cui Cristo si è offerto come agnello sacrificale, il poetico
capolavoro di Pasolini ce lo presenta come un fustigatore che caccia a frustate i mercanti. Due
modi diversi di presentare il Vangelo, due modi diversi di vivere la religione. Gibson in fondo
dimostra di vivere la fede in maniera sincera e autocritica, il che rappresenta un grosso passo in
avanti per un mondo spesso chiuso a ogni tipo di dibattito che lo metta in discussione.
C. Michele Pierri
AA. VV.
Split Series 9-16
Fat Cat - 2004
DEADBEAT
Secondo appuntamento con la raccolta per
l'etichetta Fat Cat. L'idea è di mettere
insieme singoli cd, rari vinili in 12 pollici usciti
per la stessa label nel corso degli ultimi anni.
Un appuntamento già culto per i "maniaci"
dell'elettronica sperimentale che stavolta
racchiude in un disco sedici artisti per
diciassette tracce. Irreperibili sul mercato.
Recuperati quindi i breakbeats di
Duplo_Remote, sulla scia di Aphex Twin, il
funk misto salsa con hip-hop dei francesi Dat
Politics, le accelerazioni drill'n'bass ai limiti
della detonazione del berlinese Jan Wolter
nelle vesti di Christoph De Babalon, quelle di
Com.a, tutta la carica dei Kid 606, l'eleganza
compositiva delle produzioni a cui siamo
abituati con i Process e Fennesz, le atmosfere
cupe e visionarie di Main, quelle estranianti di
Avey Tare, e ancora Matmos in con una
struttura ritimica di ritmi spezzati, breaks e
punteggiature analogiche, la musica
innovativa dell'emergente Ultra-Red. Un
totale 65 minuti di crossover tra
sperimentazioni, atmosfere eteree e
contenuto tecnologico. Un lavoro di culto
per gli amanti del genere nella scena della
musica elettronica.
Patrizio Longo
Deadbeat ereditano egregiamente il suono
attento e ricercato dei documentari della TV
canadese.
Deadbeat esponente di spicco della scena
elettronica canadese di Montreal. Scott
Montheit aka Deadbeat dal 1998 amano le
radici del sound più ipnotico, che si
materializzano nel dub music. Lunghi
riverberi atmosfere tipicamente ampie della
ambient.
La musica di Deadbeat, con ritmiche
downbeat piacevolmente ipnotiche e con
atmosfere coinvolgenti in un gioco tra
riverberi e inibiti loop sonori di tastiere. Il duo
canadese evidenzia quanto forte risulti la
vena ispiratrice del dub.
Ci stupisce la straordinaria capacità di far
interagire un tappeto sonoro fatto di glitchdub e fruscii con melodie avvolgenti e
ripetitive mai esasperate e di incredibile
effetto.
Lavoro pubblicato sulla label berlinese
˜scape. La cui iniziale per il fondatore ha lo
scopo di rappresentare le sonorità della dub
minimale.
Patrizio Longo
Something borrowed, something blue
scape 2004
World Wide: www.patriziolongo.com
e-mail:[email protected]
Hugo Race
The Merola Matrix
Desvelos records - 2004
The Merola Matrix è essenzialmente una rilettura post-moderna, ironica ma
appassionante, della cultura popolare dell'Italia del sud nel periodo 1970-1984 con
particolare attenzione alla Sicilia, a Napoli, e al re del melodramma e della
sceneggiatura: Il cantante Mario Merola. Cultura di strada, archivi privati, cassette
pirata, audio e video diventano materiale grezzo, fagocitato, metabolizzato ed
amalgamato perfettamente nell'iconografia sonora visiva di The Merola Matrix.
La voce di Mario Merola e gli echi di cori siciliani cuciti addosso alle trame oscure
decadenti dell'ex "bad seed" Hugo Race, ad oggi titolare dei progetti Tru Spirit,
Sepiatone e Transfargo.
Ed è così che le registrazioni di processioni religiose, di canti e di ritmi tradizionali
dell'entroterra siciliano, rievocano lo spirito del tempo e si mescolano a paesaggi
sonori elettronici, a dialoghi cinematografici, a registrazioni dal vivo ed a frammenti
d'orchestra catturati da vinile a 33 e 78 giri.
Il risultato è un ideale colonna sonora di un film che non esiste, è un laboratorio, è un
esperimento riuscito, è lounge, exotica e tanto ancora....
Buona Visione sonora
Patrizio Longo
Telefon Tel Aviv
Map Of What Is Effortless
Hefty
Il giovane duo di New Orleans Telefon Tel
Aviv, attivo da soli cinque anni, può già
vantare un curriculum di alto profilo che non
si limita ad un paio di vistose collaborazioni
con Danny Lohner di Nine Inch Nails (per
alcuni remix di Bowie, A Perfect Circle ed
Eminem) e con Sliker (la produzione
dell'ultimo disco The Latest, sempre su Hefty),
o alla realizzazione della colonna sonora di
New Port South, lungometraggio
dell'esordiente regista Kyle Cooper.
I giovanissimi Joshua Eustis e Charles Cooper
infatti hanno realizzato un album di esordio
come Farenheit Fair Enough, che
rappresenta a tuttora il cocktail perfetto tra
un suono classico e moderno: un non-luogo
dai contorni non chiari in cui calde melodie
di piano s'insinuano dolcemente all'interno di
confortevoli architetture elettroniche, in cui il
confine tra rock, hip hop e laptop music è
estremamente labile.
L'eccezionale talento emerge in questo
secondo lavoro sia in fase di composizione
che di produzione.
Map Of What Is Effortless allarga il già ampio
spettro di sonorità del duo, contaminandolo
con un'inedita sensibilità pop. Il risultato è
una sorta di r&b destrutturato, un collage
originale in cui convivono le più svariate
soluzioni: che si tratti di asettica computer
music, di una orchestra di trenta elementi o
di calde ed avvolgenti soluzioni vocali (nel
Foto: Alice Pedroletti
precedente capitolo discografico
completamente trascurate dalla band) ad
opera di ospiti d'eccezione quali Damon
Aaron (già con I-Wolf, Level) e Lindsay
Anderson (L'Altra).
La produzione limpida e la cura maniacale
di ogni minimo dettaglio diventano dei tratti
distintivi che aumentando
esponenzialmente la qualità del prodotto
finito lo fanno ergere una spanna al di sopra
delle normali produzioni elettroniche in
ambito indipendente.
Patrizio Longo
Carnevali, l'ultimo dio di Clementi
Silver
White Diary
Bad afro records
Vengono da Oslo, la
città dei Turbonegro, e la
loro musica in qualche
modo gli si avvicina.
Prendete il punk rock
stradaiolo made in U.S.A.
che mieteva vittime negli
anni '70 (Heartbreakers,
Dictators e via dicendo)
e quello inglese della fine dello stesso
decennio (Damned su tutti, ma anche Sex
Pistols) e mischiatelo con tutto quel
campionario di suggestioni glam che
partono da Bowie per arrivare a Marc Bolan.
Il gioco è fatto. E funziona. Biascicano la
lingua del più seducente rock'n' roll, senza
disdegnare virate degne dei Rolling Stones
che preferiamo (Sticky Fingers e Gimme
Shelter). “The Emptiness” è un plagio bello e
buono di “I Wanna Be Your Dog”, ma è uno
dei più riusciti; “Funeral Class One” piacerà ai
punkettoni e agli street rockers; “The Dark
Side Of The Light” piazza “Gimme Danger” e
Morricone in un colpo solo; “Intimate
Cussing”: Rolling Stones, dicevamo. E via
peccando. Teneteli in auto, affianco a Toilet
Boys e compagnia sexy. E alzate il volume.
Piggy
V/A
Powersalves an elektro tribute to
Iron Maiden
Angel Makers Records
Uno dei miei sogni bagnati: avete presente?
Fra di essi ci sono i Toilet Boys che coverizzano
Belinda Carlisle (il che non sarebbe
automaticamente assurdo visti i trascorsi di
Belinda). Ma divago. Uno è tra noi oramai.
Una compilation tributo agli Iron Maiden che
invece di schierare le trite e ritrite realtà di
seconda mano della scena metal schiera 14
masterpiece della scena electro. Riff, assoli,
vocalizzi subiscono il trattamento elettronico e
ammaliano nella loro capacità di mantenere
intatte la malevola seduzione di alcuni fra i più
corposi brani della notissima band: e così via
di synth, vocoder, basi drum machine. Un
sorriso ti spunta sulla faccia, ma non perché il
tutto suoni ridicolo. Per l'esatto contrario. In
questo disco, che molti potrebbero
considerare un semplice divertissement, si
realizza un puntuale incontro storico. Un
nuovo ideale. Un ulteriore scardinamento dei
confini musicali. neanche vent'anni fa,
evidentemente. E questi signorini elettronici
dimostrano di esserseli ascoltati per bene gli
Iron. Ciascuna delle tracce funzionerebbe su
un dancefloor, tanto per chiarirci; pur
rimanendo quanto più fedele alle spire
chitarristiche dell'originale. Alcune poi sono
proprio tremendamente riuscite: gli Acid
Junkies alle prese con “Wrathchild”; la più
paracula, il rifacimento fra Kraftwerk e Gary
Numan di “Flash Of The Blade” a opera di
Captain Ahab (e come non poteva? Con
quel riffone iniziale); i Rude 66 con “Killers”;
Alek Stark su “Fear Of The Dark”, etc.etc. Figli
degli '80 a spasso nel 2004. Che piacevole
sorpresa.
Piggy “Defender”
Filofobia
Entree Du Port
Desvelos Records - 2004
Disco d'esordio per il
quartetto aretino
che ha cominciato
autoproducendosi
nel 2001 con un
singolo contenente
due tracce. I
Filofobia nel 2003
vengono selezionati
per il progetto
A.R.I.A. (Arezzo
Rock Italian
A c a d e m y )
associato alla manifestazione Arezzo Wave.
Nello stesso anno cominciano a registrare il
disco “Entrée du port” uscito (a fine marzo
2004) su Desvelos Records. Al primo ascolto il
pop dei Filofobia dà subito l'impressione di
essere accogliente ed elegante. Un pop
“colto” traspare dalle nove tracce
dell'album, forse qualcosa che da un po'
non si sentiva in Italia. Nei Filofobia,
nonostante le sonorità a tratti ricercate si
rendano elementari, si intuisce l'influenza del
vivere in una città che ospita un Festival.
Oltre al rock italiano nella loro musica
emerge uno spettro di ascolti che passa dal
pop all'indie per approdare alla tradizione
italiana. Questo mix è fuso in maniera
eccellente, e per questo album si sono rivolti
al clarinettista Enrico Gabrielli e al
percussionista Pacho che vantano
collaborazioni con artisti del calibro di
Morgan. Nei testi si parla di situazioni di vita
dei vari musicisti del gruppo, ma ascoltando
bene più volte si intuisce che è qualcosa di
più profondo del mero racconto.
Augusto Maiorano
Cocorosie
La maison de mon reve
Touch & Go
Di disarmante bellezza questo 'la maison de
mon reve' dell'insolito duo a conduzione
familiare, le Cocorosie, al secolo Sierra e
Bianca Cassidy. Fuori dal mondo reale, fuori
dai bagordi del rock biz, fuori dal tempo,
soprattutto, sembra che le due vivano in una
specie di eden tutto loro fatto di passato e
futuro, di vecchi grammofoni che ci fanno
venire la nostalgia dei già nostalgici
Portishead, e strani orsacchiotti confezionati
su commissione da Chris Cunningham.
Semplici arpeggi di chitarre folk e strani versi
elettronici ma dal sapore più analogico
dell'analogico; di quando in quando basi
ritmiche anch'esse elettroniche, ma di
un'elettronica povera, lo-fi, domestica, quasi
pigra, stanca, irregolare perché la regolarità
è troppo faticosa. Le due voci ammalianti,
una, la più bella, tra Bjork e Sinead o'Connor,
l'altra dichiaratamente gospel. La traccia di
esordio è puro incanto, e già varrebbe la
pena; il resto del disco si perde un po' nel
lirismo di una delle Cassidy (quella gospel),
che guasta un po'. Ma va bene così,
benissimo, anzi.
Rigo
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Mailto: [email protected]
Emidio Clementi, ex-leader dei Massimo Volume, continua la sua
attività di scrittore e musicista. Dopo la Notte del Pratello, è di nuovo in
libreria con il suo nuovo romanzo L'ultimo dio. In questo romanzo
Emidio racconta le origini della sua crescita artistica, segnata da
un'infanzia trascorsa a San Benedetto del Tronto, il successivo
abbandono della famiglia, il girovagare per
l'Europa, l'approdo a Bologna e infine l'incontro
con il libro di Emanuel Carnevali, Il primo dio. È
proprio conoscere questo autore che gli
insegna
a osservare con occhi nuovi la
porzione di mondo che è stato il suo passato e lo
conduce all'ispirazione che adesso segna la
sua maturazione letteraria e musicale.
Cominciamo dalla forte presenza della tua vita
personale e artistica in questo libro. Leggere la
tua autobiografia, mi ha creato quasi un senso
di imbarazzo, il fatto di venire a contatto in
modo così diretto con le vicende della tua
famiglia. La prima domanda che mi viene
voglia di farti è come ti senti adesso che hai
vuotato il sacco?
A dire il vero un po' di gente continua a dirmi
“quando la finisci di parlare di te stesso?” Certo,
questo libro a differenza de La notte del
Pratello, dove c'era sempre un io narrante, ma i
personaggi principali erano altri, è davvero il
mio primo libro autobiografico. E' un libro che è
diventato autobiografico partendo da altri
presupposti. Io volevo scrivere una storia che
avesse come personaggio principale
Carnevali. E poi, a un certo punto, mi sono
accorto che non stavo andando da nessuna
parte. Mi stavo annoiando a scriverlo e
soprattutto a rileggerlo. E lì ho un po' cambiato
le carte in tavola e mi sono interrogato su cosa
era stato veramente Carnevali per me, come c'ero arrivato e quali
conseguenze la sua lettura aveva avuto. E lì si è trasformato in un libro
autobiografico.
Però poi è rientrata la tua famiglia.
Il mondo della famiglia mi ha sempre affascinato.
Potevo scrivere un libro unicamente incentrato sui
rapporti famigliari. Lì c'è moltissimo materiale
narrativo come in ogni famiglia.
Dal tuo racconto sicuramente emerge fortemente il
tema del senso di responsabilità nei confronti della
famiglia e l'altro lato della medaglia che è il senso di
colpa che si prova nel momento in cui ci si vuole
affrancare da essa. Ne parli quando racconti che
allontanandoti da casa in un certo senso hai lasciato
solo tuo fratello a occuparsi di tutto, anche dei debiti.
Questo è stato il nodo centrale della mia crescita. Al
momento in cui sono andato via mi sono portato via
il senso di colpa che però non è mai stato così
grande da decidere di farmi tornare indietro. Come
dico nel libro alla fine c'era una possibilità e io me la
sono presa. Tornando indietro rifarei la stessa cosa,
anche se so che questa scelta è stata pagata
anche dal senso di responsabilità di mio fratello.
Partire per me era una necessità estrema.
E poi c'è Emanuel Carnevali, questo scrittore che ti
ha cambiato la vita e che molti lettori impareranno a
conoscere grazie al tuo libro.
Io sarei molto contento se al di là della gente che apprezzerà l'ultimo
Dio, se ci fosse un recupero della figura di Carnevali. Lui veramente è
stato dimenticato. Quando dovevo fare le presentazioni ho chiesto
diverse volte a docenti universitari se qualcuno di loro volesse parlare
di Carnevali e quasi tutti mi rispondevano che non ne sapevano
niente. C'è un unico studioso che si occupa di Carnevali, un argentino
che vive a Roma, si chiama Gabriel Cacho Millet. Gli ha dedicato
trent'anni della sua vita. I testi in corsivo e le lettere me li ha regalati. Ha
un archivio con la rassegna stampa degli articoli pubblicati su
Carnevali dal 1931. È l'unico.
Oltre che un romanzo un'operazione culturale la tua.
A me faceva un po' paura che questo scambio di sguardi tra me e
Carnevali risultasse un po' troppo letterario. Ci tenevo che lui ne
uscisse come un personaggio vivo e per questo ci tenevo che entrasse
in scena nel romanzo, proprio quando è entrato in scena nella mia
vita. Volevo che avesse una vitalità. C'è un libro molto bello di Vassalli
su Dino Campana, La notte delle comete. È la ricerca della figura di
Campana attraverso i suoi luoghi. Un'operazione molto bella e
purtroppo già fatta da lui. A me piaceva
pensare che io e Carnevali un giorno ci
eravamo presi per mano e avevamo percorso
un tratto di strada assieme.
C'è anche un altro personaggio che salta fuori:
Rigoni. L'avevamo già incontrato nella Notte
del Fratello e di nuovo lo incontriamo alla fine
di questo libro. Perché?
Non mi piaceva il finale, avevo bisogno di
asciugare la storia che poteva risultare troppo
retorica. Dovevo tirare le fila di tutto, ma volevo
farlo riportando tutto a livello più terreno,
anche critico. Rigoni era perfetto. Un po' come
tirare una bomba a mano sul finale.
Una nota sul titolo, come lo hai scelto? Sentivi di
dover citare a tutti i costi Carnevali?
A me piaceva che ci fosse un ritorno su
Carnevali, ma non sapevo come. E' stata una
tragedia trovare il titolo. Ho passato in rassegna
20-25 opzioni. All'inizio non mi piaceva tanto
l'idea di questo titolo, erano usciti tanti libri con
dio in mezzo, Il dio delle piccole cose, Il dio
delle illusioni…poi ho pensato che se non ci
fosse stato Il primo dio di Carnevali, non ci
sarebbe stato L'ultimo dio di Clementi.
In questo numero di coolclub si parla di lavoro,
in occasione dell'1 maggio. Questo tema
ricorre anche nel tuo libro: c'è il lavoro di fatica,
l'esigenza di lavorare per vivere, la stessa fuga
dal lavoro.
A dire il vero io voglia di lavorare non ce l'ho mai avuta e poi per
necessità sono finito a fare lavori umili nei ristoranti e a sgombrare
cantine come si racconta ne La notte del Pratello. Ho fatto lavori più o
meno brutti e sicuramente la fatica fisica mi ha
temprato. Sono entrato in ambienti che
diversamente non avrei mai conosciuto. Per
esempio io leggo volentieri i libri le cui storie sono
ambientate nel mondo del lavoro. Se c'è un
retrocucina o una fabbrica, io rimango affascinato,
per esempio il libro di Ferracuti sulla vita del postino
Attenti al cane. È un bellissimo terreno per chi piace
scrivere, è un modo per andare sul concreto. C'è
una certa forma di poesia anche nel lavoro, anche
se bisogna farlo entrare nella propria vita con un
centro equilibrio e quando si può non farsene
sopraffare.
Un ultima domanda sui tuoi progetti musicali visto
che, in contemporanea con la presentazione del
tuo libro, stai anche promuovendo il tuo nuovo
progetto musicale El Muniria e il primo disco del
gruppo Stanza 218.
Concerti, forse un videoclip. L'8 di maggio siamo a
Verona, il 21 a Milano, il 22 a Cavriago in provincia
di Reggio Emilia. Abbiamo fatto un live
all'Auditorium di Radio Popolare. Sta andando
bene e sono soprattutto molto contento del
risultato dal vivo. Avevo paura, perché si tratta di
un disco che abbiamo costruito un po' a strati. Invece, abbiamo un
bel suono. C'è anche una bella risposta da parte del pubblico. Solo
portare avanti le due cose insieme è alquanto faticoso. Pensavo
fosse una buona idea per avere una certa visibilità in generale.
Vedremo.
Elisa De Portu
J.G. Ballard
Millennium
People
Feltrinelli 2004
L'autore di Crash (1973)
ci regala, con
Millennuim People,
un'altra storia dalle
atmosfere fredde e
inquiete e completa,
insieme a Super-Cannes
e Cocaine Nights, una
trilogia dedicata
all'osservazione delle
classi medie e alla loro
rivolta.
Ballard è uno scrittore senza pudore, acuto
osservatore della società, senza timore e veli tira
la corda di alcune crepe dell'essere umano, e
riesce a raccontarci ciò che è privo di senso, ciò
che non ha motivazione, che è gratuito, che è
vuoto allo stato puro, e per questo, se non altro,
non ha enfasi. Chelsea Marina è un agiato ed
efficiente quartiere londinese, “la discarica più
nuova di Londra” come lo definiscono, ai giorni
nostri, i suoi abitanti in rivolta. Qui vive millennium
people: ottocento famiglie della classe dirigente,
avvocati, broker assicurativi, chirurghi, architetti e
professori universitari, sparsi in ville senz'altro belle.
David Markham, psicologo aziendale,
protagonista, e narratore delle azioni, in preda ad
una crisi di identità, si trova immerso nella rivolta in
cerca di risposte. La BBC e il Daily Mail annovera i
rivoltosi come i “primi zingari borghesi” che
incendiano le loro residenze, erigono per le
strade di Chelsea barricate di Volvo, Nissan e
Range Rover, (ma c'è anche una Fiat Uno), usano
come armi simboliche, mazze da baseball, putter
da golf, e bastoni da hockey. La violenta
protesta, che turba il senso civico della città e
lascia a bocca aperta i londinesi, mentre fanno
colazione e guardano in tv le immagini della
rivolta, è contro i sempre più elevati costi di
manutenzione del quartiere, contro l'aumento
dei parcheggi a pagamento, contro le costose
rette delle scuole dei figli, contro la BBC, contro le
agenzie di viaggio insomma contro tutto. Il ceto
medio è in rivolta contro se stesso e i propri
compromessi.
“Siamo come bambini lasciati troppo a lungo in
una stanza dei giochi, dopo un po' non possiamo
fare a meno di rompere i giocattoli, anche quelli
che ci piacciono di più”, dice uno dei registi della
sommossa che si rivelerà inutile, perché gli stessi
rivoltosi, dopo un giorno di guerra,
misteriosamente, ritorneranno volontariamente
alla loro normalità. “Un fallimento eroico si
ridefiniva come un successo”.
Rita Miglietta
La poesia non è morta
Marco Bettini
Color Sangue
Rizzoli 2003
Il ritrovamento del cadavere, completamente
sventrato, di un extracomunitario all'interno di
una caverna abbandonata è il punto di
partenza di questo sorprendente libro di un
autore bolognese semiesordiente che, con
questa pubblicazione, impone il suo nome
all'attenzione del noir italiano. Sul terribile delitto
indagano tre uomini, ognuno con una sua
logica e spinto da personalissimi motivi: il
pluridecorato capitano dei carabinieri Pietro
Cau, sempre alla ricerca della verità, il capo
della scientifica Paolo Mormino, stanco di
vedere che il suo lavoro serve solo a far avere
encomi ai colleghi investigatori, e il giornalista
Marco Cambi, che si ritrova invischiato in una
realtà a lui sconosciuta per un ricatto del suo
direttore. L'abilità di Bettini consiste
nell'organizzare una vicenda estremamente
complessa, costituita da delitti a catena,
dall'inchiesta giudiziaria, dal traffico di droga,
dalla rivolta degli immigrati, dall'odio razziale dei
naziskin, senza mai spezzare il filo conduttore
che lega tutte le storie coinvolte, che, nel
susseguirsi degli eventi, si intrecciano e
sovrappongono continuamente. L'autore non
trascura neanche l'aspetto psicologico dei
personaggi da lui creati, ideando una parallela
storia di sofferenza e malattia che coinvolge il
giornalista Cambi, suo fratello e sua cognata, di
cui è innamorato, che culmina in un finale
imprevedibile e anche estremamente amaro.
La trama corre sui ritmi veloci, non ci sono
momenti di pausa ed è fitta di colpi di scena; la
tensione rimane alta fino all'ultima pagina
anche perché la parte finale è una rivelazione
imprevedibile e spiazzante delle vicende
narrate. Si può senz'altro parlare di romanzo
rivelazione che ora attende un libro di pari
valore.
Bubu
Hans Ulrich Obrist
Interviste. Volume I
Charta 2003
Obrist è un curatore svizzero che girovagando, dai primi anni novanta fino al 2003, ha registrato
conversazioni con alcuni personaggi della cultura contemporanea : scrittori, musicisti, filosofi,
registi, artisti, architetti, sociologi. Interviste volume I è la prima tappa di questa lunghissima
conversazione che dura circa 200 pagine e raccoglie le prime 66 interviste; Matthew Barney, Brian
Eno, Marina Abramovic, Rem Koolhaas, Michelangelo Pistoletto, per citarne solo alcuni e a caso,
tra i tanti che, dal microfono di Obrist, ci raccontano di loro, dei loro pensieri e dei loro lavori.
Un libro un po' troppo costoso a dire il vero, ma sicuramente da annotare e magari recuperare
nelle biblioteche per tutti quelli che vogliono sorvolare sul pensiero dell'oggi.
La briga che Obrist si è preso, di archiviare le sue interviste mettendole insieme in un libro, è un'idea
originale che pone al centro della riflessione del lettore, la creatività e l'importanza della
conversazione in sé.
È alquanto piacevole leggere un'intervista, perché la comunicazione è più diretta, i contenuti
si articolano tra domande e risposte entro una conversazione libera perché vicendevolmente
stimolata da chi domanda e chi risponde. Le domande che Obrist pone ai suoi interlocutori,
infatti, non sono affatto improvvisate, ed ogni intervista è preceduta da una breve e
selezionata biografia sull'intervistato, una sorta di bussola, utile al lettore, per l'uso molteplice
che di questo tomo si può fare. Un libro che si può leggere in libertà di tempo e di ordine, dove
si raccontano 66 storie, oltre a quelle che da ogni singola risposta possono nascere nella mente
di chi legge. Un modo inedito e alternativo per tracciare, nel mentre di un parlare, analogie,
rimandi temporali e spaziali, fatti e persone per una storia di una certa cultura contemporanea.
Rita Miglietta
Ivano Ferrari “Macello” (Einaudi)
Mario Benedetti “Umana Gloria” (Mondatori)
Nel mare magnum delle uscite editoriali
sembra acquisire sempre minore importanza la
produzione poetica (questo potrebbe dar
adito alle convinzioni di molti critici
accademici convinti dell'avvenuta morte
della poesia). Osservando con attenzione le
pubblicazioni di questi primi mesi del 2004,
però, non si può rimanere indifferenti nei
confronti di due testi che, con tecniche
stilistiche differenti, affrontano la realtà a pieni
polmoni, costruendo un'allegoria dell'esistere
che non lascia indifferenti.
I testi presi in considerazione sono il “Macello”
di Ivano Ferrari e “Umana Gloria” di Mario
Benedetti. Ivano Ferrari è nato a Mantova ed
ha lavorato nel mattatoio cittadino e per il
Palazzo Te. Autore appartato e insofferente
alle etichette ha anche presentato con "La
franca sostanza del degrado" la sua raccolta
più matura e organica risultato di un percorso
poetico iniziato nella seconda metà degli anni
'70. In “Macello” (Collezione Bianca, Einaudi),
nello spazio chiuso di un mattatoio, «la grande
sala dove si esibisce la morte», Ivano Ferrari
mette in scena uno spietato e cruento
interregno uomo-animale determinato da una
schiacciante sopraffazione. Un "Macello" che
rimanda ad altri macelli che continuano ad
attraversare la nostra vita di specie e che è
campo di battaglia, lager, laboratorio, chiesa,
teatro e dove i macellatori sono carnefici,
tecnici, sacerdoti, registi.
In questa raccolta poetica intensa e
perentoria, piena di accensioni, implorazioni,
crudeltà, straziante sarcasmo e personaggi
animali e umani difficili da dimenticare, ogni
verso ha un suo ictus determinato da una
provocazione lessicale, tonale e psichica che
diventa immediatamente lacerazione visiva.
La materia, la carne, come la poesia, vengono
messe in totale sofferenza e la vita è registrata
nel suo punto limite e anche oltre, nelle sue
ulteriori degradazioni eppure non ancora al
termine del suo percorso di profanazione e
violenza. Ecco un assaggio: “Dalla vasca
d'acqua bollente/emerge un enorme
maiale/bianco come uno spettro/che oscilla
impudico fino a quando/dal finestrone il
sole/accende quintali di luce".
L'esistere autentico è semplice e feriale, incerto
e delicato "come una veglia", ci dice Mario
Benedetti in “ Umana Gloria” (Lo Specchio,
Mondatori), libro incantevole e sobrio, che lo
impone come figura di limpida autonomia e
valore nel panorama della nostra poesia. In
Umana gloria il suo sguardo è vigile e calmo, si
ferma su una "materia povera", quella delle
nostre vite, che osserva nella loro opaca,
eppure eroica dignità quotidiana. Benedetti sa
esprimere la meraviglia del nostro essere nel
tempo, del nostro essere uomini che passano e
si disperdono miti, tra "le erbe, i mari, le città".
Osserva persone e paesaggi, registra vicende
e sentimenti, ma si accorge di allontanarsi
poco a poco da se stesso, di essere divenuto
suo malgrado "qualcos'altro: distanza dalla
vita" e dalle cose, che pure voleva
abbracciare. Chi invece ne è più
intensamente parte, creature in naturale
armonia con il tutto, sono gli esseri più fragili, i
bambini e gli umili, che "hanno visto le cose, le
fiabe, i miracoli, come un paradiso che non c'è
più".Benedetti ha un tono più sommesso, lieve
e turbato, rispetto l'azione feroce di Ferrari,
predilige il verso lungo di un dire prosastico,
scandito con originale sensibilità, contro il
susseguirsi affannoso e rabbioso del verso
frammentato di Ferrari. Due modi differenti di
descrivere la stessa realtà, la nostra, quella
delle stragi familiari e della guerra globale,
quella della corsa al denaro e della ricerca
spasmodica di un senso dell'esistere.
Rossano Astremo
SPAZIO DEMO
Intervista a Riccardo Sinigallia
MUMBLE RUMBLE demo
Le Mumble Rumble sono un gruppo tutto al femminile di
Bologna e ci inviano un bel paginone pieno zeppo di stralci
di recensioni entusiastiche delle maggiori riviste italiane. Io
invece, povero fesso, sono la voce fuori dal coro in quanto
non folgorato dal demo delle 4. Dignitoso rock
sufficientemente potente ma l'agguato del solito cantato
femminile dal gorgheggio facile è dietro l'angolo. Evitabili.
Ma essendo ora distribuite dalla Sony del mio giudizio su
codesto demo ne faranno un uso sicuramente igienicosanitario.
contatti: [email protected]
ROSKOS Most like the struggle of death
Il cd dei Roskos si apre con una buona traccia simil industrial
ma poi devia totalmente dall'incipit. Le restanti 5 tracce,
infatti, sono un misto di power metal e hardcore (!).
Insomma prendete le canzoni degli Iron Maiden (stessi
assoli, stesse schitarrate) e suonatele con attitudine punk. Vi
sembra un mix improbabile? Anche a me. Sono perplesso…
contatti: [email protected]
RH Negativo demo
Se gli Rh Negativo di Veglie avessero età adulta il loro cd di
“nonsobenecosa” rock starebbe già sul lunotto posteriore
della mia macchina a respingere i flash degli autovelox. Poi
leggo che hanno 13 anni, ascolto la vocina che canta
incazzosa, le chitarre elettriche che storpiano qualche
assolo, gli urletti delle ragazzine che li incitano (la
registrazione è live) e cambio atteggiamento. Avranno
tempo per crescere, ascoltare tanti cd fondamentali,
assorbire influenze e scrivere canzoni di tutto rispetto. Oggi,
a 13 anni, giocano a fare le rockstar. Ed è giusto così.
NEED HER LIVER (empty:)
Non è dato sapere di dove siano i Need her liver, tranne che
il cd è stato prodotto nella Stanza (inquietante!). Giri stoner
rock, un pizzico di blues, echi provenienti da Seattle (i
Soundgarden nella traccia 3, un'attitudine alla Layne
Staley nel cantato della 4). Un buon esercizio di tecnica ma
dov'è quel quid pluris che dovrebbe fare la differenza?
contatti: [email protected]
H.C.-B. demo
I catanesi H.C.-B. sono autori di un progetto notevolissimo e
questo “Sliding on Barents Sea” lo testimonia appieno. 14
tracce quasi tutte strumentali (una voce che si fa sempre
più rabbiosa compare solo in un momento). Post rock di
grande valore, rarefatto, notturno e ipnotico tra primi
Cerberus Shoal e Tarentel. Solo in coda il disco ripiega su
soluzioni più convenzionali (la 13 ricorda un po' i Mogwai)
ma sempre di ottima fattura. Una prova di tutto rispetto che
meriterebbe al più presto una firmetta su un contratto di
qualche bella etichetta. Avercene demo così!
Gianpiero Chionna
Giovane, bravo e simpatico. Capelli arruffati, pizzetto, felpa e cappuccio,
un piercing sul sopracciglio e totalmente, intensamente, immerso nelle sue
sonorità insieme ai compagni di palco, “amici e co-autori più che
collaboratori”. Questo tiene a specificarlo subito Riccardo Sinigallia,
musicista e giovane, acclamato, produttore romano, ospite, lo scorso
sabato 24 aprile, della rassegna musicale organizzata dalla Saletta della
Cultura di Novoli.
Gran bel concerto, senza dubbio, un talento semplice il suo, senza fronzoli,
assoluto. Personaggio carismatico ma genuino. È arrivato al suo “primo”
(omonimo) disco dopo l'esperienza Tiromancino e, soprattutto, dopo una
carriera da produttore che ha lasciato un'impronta sulla scena capitolina
(Max Gazzè, Niccolò Fabi, Frankie hi nrg, La Comitiva...).
Andando un po' in giro su internet, una delle citazioni che ti riguardano e
che più compare è: “Se Sinigallia fosse nato a San Francisco, adesso
sarebbe uno dei produttori più ricercati del mondo”. Ti dispiace non essere
nato a San Francisco?
No, per niente, sono contento di essere nato a Roma. Quella che hai citato
è una frase, carina, di un giornalista che ha seguito il mio percorso da
produttore. Magari era un po' una polemica nei confronti dell'immaginario
tipico italiano che vuole il produttore come un personaggio con i soldi e col
sigaro in bocca. All'estero è invece “riconosciuto” più come musicista. Ma
poi... più che produttore, sono un musicista, uno che ha scritto delle canzoni
che magari hanno cantato altri.
Sei passato sul palco dopo esser diventato famoso già “dietro le quinte”, un
percorso per certi aspetti anomalo il tuo.
No, ma che famoso! Magari conosciuto da qualche addetto ai lavori.
Questa nuova esperienza è diversa, con Francesco (Zampaglione), Laura
(Arzilli) e gli altri siamo un gruppo affiatato di persone che fa artigianato
musicale. È un progetto nato per necessità: volevamo salire sul palco e
suonare, consapevoli di tutto ciò che ne consegue, con la responsabilità di
tutto ciò che si dice e si fa! Una necessità sentita da tanti anni.
...stop alle produzioni quindi!
Beh...se capita di avere dei rapporti umani e degli scambi di un certo tipo, la
possibilità di collaborazioni la considero sempre aperta.
…lo sai che in sala c'era qualcuno che pensava di vedere il concerto del
Tiromancino?
Sinceramente non me n'ero accorto. Comunque è una situazione che mi
porterò dietro per un po' di tempo, è normale. E poi... è la prima volta, dopo
tanti anni, che dal vivo propongo “La descrizione di un attimo” …
Hai fatto la colonna sonora del film Paz, ci sarà spazio ancora per nuove
esperienze del genere?
Abbiamo appena ultimato la colonna sonora del nuovo film di Renato De
Maria, il titolo è “Amatemi” e uscirà a settembre. Nel progetto ho lavorato
con Antongiulio Frulio, un grande musicista napoletano, suona il pianoforte
ed è un sound designer, un “intrippato di computer” molto bravo, un
grande programmatore.
E a proposito di computer, le immagini proiettate costantemente alle vostre
spalle, è una idea sviluppata parallelamente al disco?
Abbiamo sempre utilizzato proiezioni, anche ai tempi del Tiromancino, e
quando è possibile le utilizziamo. Preferiamo le immagini all'utilizzo casuale
delle luci. Aprono una ulteriore finestra interpretativa sui pezzi.
...Una domanda originale... programmi per il futuro?
Per adesso suonare dal vivo. Perché sentiamo il nostro disco ancora come
qualcosa da comunicare; quindi per il momento il nostro progetto è quello
di andare a suonare in più posti possibili.
A proposito di concerti, un rapporto così intenso con il moog sul palco, non
ruba qualcosa alla tua presenza scenica?
Sicuramente si, lo sappiamo, ma la presenza scenica è un aspetto che vivo
in maniera abbastanza conflittuale; mi rendo perfettamente conto che il
mio modo di presentarmi in scena non è “d'attacco”, da rockstar, da uno
che deve affermare il proprio carisma in un modo scenico. Io salgo sul palco
come musicista e...basta.
Prima di andare a bere un bicchiere di vino una curiosità, hai chiuso con
l'hip hop?
L'hip hop.. è come il blues, è un bagaglio che uno si porta dietro. Siamo
contenti quando esce fuori una cosa che ci coinvolge. Anche se
ultimamente è difficile, molto difficile essere emozionati da un disco di rap.
Sono molto legato ai testi e faccio molta fatica a star dietro all'hip hop
americano. In Italia dopo Sangue Misto, Frankie Hi Nrg ha detto delle cose
interessanti, ma poi...
...prosit!
Salute.
Dario Quarta
Morgan
Il suono della vanità
Mescal 2004
Sophia 26 aprile@Rainbow Milano
Uno dei miei amici, nonché collaboratore della zine, il caro piggy, mi ha aperto un mondo, mi ha fatto conoscere Sophia. Dietro questo progetto
si nasconde il nome di Robert Proper-Sheppard (ex God Machine, una delle band fondamentali degli anni 90). Approfittando di una piccola
scappatella fuori porta ho deviato per quel di Milano, giusto per una notte, per ascoltare dal vivo uno dei dischi che ha invaso con giusta
prepotenza il mio 2004. Al Rainbow la gente in fila era un campionario di generazioni e generi. Un'età variabile dai 17 ai 45 e frangette e creste in
attesa di un concerto per molti ma non per tutti.
Ad aprire le danze una nuova band belga: Girls in Hawaii. Poco più che ragazzini intrattengono i trepidanti presenti con un indie pop a metà
strada tra i connazionali Deus e sonorità più brith a cavallo tra Coldplay e compagnia bella. Convincenti nel finale in cui hanno dimostrato una
certa attitudine rumorista e qualche inserto elettronico. Cambio palco ed eccolo comparire, birra in mano, sorriso per i pochi che lo
acclamavano e una calma serafica nel sistemare chitarra e microfono. Scendono le luci ed è subito musica. Si parte con la veste più scarna dei
Sophia, brani tratti da “People Are Like Seasons" e dai precedenti dischi ammutoliscono i presenti quasi in estasi davanti a uno spettacolo che è
una lezione per tutti quelli che credono che la potenza della musica sia necessariamente una distorsione. Pianoforte in evidenza, la chitarra e la
voce di Robert guidano una batteria che più minimal non si può, una Jazzmaster solista che a tratti sembra suonare per sei e un basso che punta
dritto allo stomaco delle ultime file. C'è chi canta in coro le vecchie e le nuove canzoni, chi si abbraccia, chi balla
(!!!).
Tutto calmo finchè non arriva “Desert song n 2” e il Rainbow esplode. Un vero e proprio muro di violenza e rumore
ci fona i capelli mentre in sottofondo piano e batteria ci ricordano che ancora di melodia stiamo parlando.
Cambio di rotta e il concerto scivola verso la fine consumando il singolo “Oh my love” in un crescendo di
entusiasmo e di intensità emotiva. Generoso Robert Proper-Sheppard anche nei bis che tirano in ballo le tracce
più rock'n'roll dell'ultimo album. Un concerto da tatuare nella memoria, un bel viaggio non solo musicale.
Osvaldo
La follia discografica della Psychotica
Scegliere di portare avanti un'etichetta indipendente come lavoro, qui in Italia, è pura follia. La
musica, a certi livelli, non ha mai fatto portare il pane a casa a nessuno. Ma scegliere di fondare
un'etichetta per passione, è tutt'altro discorso, meritevole di grande rispetto soprattutto quando si
sa di dover andare incontro a numerose difficoltà (burocratiche, economiche ecc.). La
Psychotica di Taranto ne è un esempio e costituisce da qualche anno a questa parte una delle più
belle realtà della Puglia, portando avanti con passione, un progetto mirato ad accrescere il
panorama indie italiano. La Touch&Go delle Puglie? Abbiamo incontrato Michele, tra l'altro uno
dei titolari del progetto Logan, per discuterne insieme.
1 La prima domanda è di rito: come è nata l'etichetta?
L'etichetta è nata come idea quasi 10 anni fa, concretamente sono circa 2 anni che stanno
uscendo dei dischi; ha iniziato con l'esordio di Logan (quasi un'autoproduzione, visto che ci suono
anch'io) e poi ci sono stati tutti gli altri a seguire (la compilation Fragments, Lillayell, Edible Woman).
L'idea è di collaborare con i gruppi, di instaurare dei rapporti, di creare un qualcosa intorno ad un
territorio difficile come il nostro. Anche se tirare avanti è davvero difficile…
2 Ho notato, ascoltando le vostre uscite che avete una predilezione per il math rock di derivazione
chicagoana. È, diciamo, la “politica” della vostra etichetta? Non temete che il genere possa forse
risultare un po' inflazionato o comunque avete intenzione di produrre anche band di diversa
estrazione musicale?
L'etichetta non ha una linea distinta per quello che riguarda le musiche da produrre; l'intenzione è
quella di produrre generi affini al mio gusto personale in fatto di musica e spesso mi trovo ad
aiutare gruppi molto vicini al soprannominato “math-rock”, ma non per tutti i gruppi è così, se
pensi ai Lillayell mi sembrerebbe davvero riduttivo parlare di math-rock o di experimental o di freerock, o di indie-rock; al momento sono l'unico gruppo dell'etichetta capace di sovvertire e
stravolgere le regole di questi generi tirandone fuori una miscela del tutto personale che non ho
mai sentito in nessun altra band!! Edible Woman invece potranno essere anche più etichettabili,
ma sono uno tra quei dischi che appena lo ascolti ti colpiscono (nel bene o nel male). E
personalmente mi hanno colpito subito dal primo ascolto (musica d'impatto, blues triturato,
macinato e vomitato come solo loro sanno fare….). L'intenzione è di andare oltre queste attitudini
musicali, ma ci vuole tempo dato che possiamo permetterci solo poche uscite all'anno e non
possiamo fare tutto quello che vorremmo…
3 La vostra etichetta è distribuita in Italia dai più importanti distributori del settore e ha anche varie
distribuzioni europee. Questo è sicuramente un segno di buona visibilità dei vostri prodotti ma
ritenete che in Puglia la vostra sia solo un'eccezione o pensate che si possa iniziare a fare un certo
discorso musicale anche qui da noi?
Si abbiamo delle buone distribuzioni, sia in Italia che all'estero, ma nonostante questo penso che
non abbiamo ancora la giusta e adeguata visibilità…. Certo, pian piano sta crescendo, ma credo
che ci voglia ancora molto tempo e tanti altri sforzi. Fondamentalmente tutte le distribuzioni (sia in
patria che all'estero) sono persone che credono nel tipo di musica che propongo e ti assicuro che
non è facile riuscire a trovarle, ci vuole molto tempo e impegno!
4 Il vostro catalogo include uscite in formato normale e altre in cd-r. In base a cosa stabilite il
supporto con cui deve uscire un gruppo. Credi, quindi, nel cd-r come nuovo mezzo di diffusione
della musica?
Non credo nei Cd-r! I Cd-r sono stati solo un modo di iniziare il discorso … non penso sia un formato
con un futuro, non ha la durata in tempo che hanno i Cd, anche se in realtà mi piacerebbe molto
poter stampare del vinile (sono un vinilista convinto!!) e lo faro al più presto con una serie di 7” che
penso potrà veder luce nel 2005! L'unico disco in Cd-r uscito di recente è la prima registrazione dei
Beirut, ma non è stata una mia scelta; hanno voluto fare il loro primo demo me l'hanno fatto
ascoltare e secondo me poteva benissimo essere un Mini cd così dato che a loro piaceva l'idea
abbiamo deciso insieme di marchiarlo Psychotica e gli ho fatto un po' di promozione tutto
qua…(sono uscite solo 200 copie… questo è l'unico vantaggio che vedo nei Cd-r, cioè che non
c'è un numero minimo di copie da stampare!)
5 Come giudichi la scena musicale pugliese? Credete che si possa parlare di scena?
Non credo assolutamente che si possa parlare di scena, c'è un enorme calderone di gruppi che
propongono musiche molto diverse tra loro, e che hanno attitudini completamente diverse… C'è
qualche gruppo che propone buona musica (a prescindere dal genere), ma questo per me non
vuol dire “scena”.
Gianpiero Chionna
La prima colonna sonora per
lungometraggio del leader della rock band
Bluvertigo. Morgan afferma di aver
impiegato esattamente un anno per la
realizzazione della colonna sonora del film di
Alex Infascelli. Il lavoro rappresenta
musicalmente due zone, la prima un
"sottosuolo" la seconda un "sopra-suolo". Per
la realizzazione della prima area si è avvalso
di un software di composizione grafica del
suono. Un sistema che traduce le immagini in
suoni, elaborate in un secondo momento
con un piano elettrico "scordandolo" in altre
parole viene fuori una "non-musica"
chiamata drones. La seconda sezione è
affidata ad una struttura classica, tematica,
con l'eccezione che l'orchestra è simulata
elettronicamente. Il disco risulta essere una
sintesi della musica estesa del film e non
rispetta la successione delle scene. I raccordi
fra le scene, il vento ed altri effetti di sounddesign sono stati ottenuti suonando dal vivo i
sintetizzatori monofonici e analogici, molto in
voga tra gli anni 50e 70 ma ormai in disuso. In
alcuni brani sono stati utilizzati dialoghi
originali di Francesca Neri.
Conclude l'album la canzone inedita "Una
storia d'Amore e di Vanità" con riferimenti al
mito di Eco e Narciso. La musica è stata
interamente prodotta nello standard dolby
sorround 5.1. oltre alla versione stereo de "il
suono della vanità" uscirà in tiratura limitata
con mille copie anche un super audio cd, in
vendita sul sito della Mescal. Sito web
www.mescal.it
Patrizio Longo
Sondre lerche
Two way monologue
Virgin
Joss stone
The soul sessions
S-Curve Records/Virgin
Tortoise
It's all around you
Thrill Jockey, 2004
Questo mese qualche segnalazione flash per lasciare spazio a tutti i vecchi e nuovi amici di
Coolclub.it. Il primo disco che segnalo è Two way monologue di Sondre Lerche, giovanissimo
artista norvegese al suo secondo album, che suona con eleganza e romantica allegria un pop
d'autore veramente godibilissimo. Le trame su cui si dirama questo nordico menestrello sono
quelle del più classico songwriting, aiutato da una produzione asciutta ed efficace e da una
naturale propensione all'allegretto andante, il suo disco si muove nell'acoustic in modo
abbastanza personale senza grossi scivoloni nel già sentito ma con un fare e uno stile che
diventa subito familiare. Forse un po' adolescenziale ma non quanto la mia seconda
segnalazione. Ne parlano tutti, è il nuovo fenomeno inglese, e non poteva mancare
all'appello dei miei ascolti un po' più commerciali. È Joss Stone, questa diciassettenne
promessa del soul che in un disco tutto sommato raffazzonato per lanciare il fenomeno prima
che diventasse maggiorenne dimostra una voce non indifferente. Forse un po' troppi
gorgheggi di scuola arrenbi piuttosto che r'n'b, ma comunque un disco dignitoso per
accompagnare le pulizie di primavera. Terzo disco e si cambia emisfero musicale, giusto per
tirarmela un po'. È il nuovo album dei Tortoise che come i Blonderedhead il mese scorso
sorprendono, anche per loro un cambio di rotta o forse un'evoluzione naturale. Questo It's all
around you poco ha a che vedere con il precedente Standards, forse il definitivo
allontanamento dalla classificazione post-rock, un disco quasi astratto, liquido e come tale
scorrevole, gradito ritorno dello xilofono a marcare le suggestive melodie a tratti
orientaleggianti. In questo clima di calma apparente c'è spazio poi per qualche bizza noise, la
chitarra sembra seguire e sviluppare lo stesso tema in ogni brano per un disco che a tratti
sembra ricordare i Royksopp.
Osvaldo
Foto: Alice Pedroletti/FotoWave
Foto Alice Pedroletti
Tre allegri ragazzi morti
Il sogno del gorilla bianco
La Tempesta (2004)
Intorno e al di là della musica dei Tre
Allegri Ragazzi Morti c'è molto, c'è un
mondo che è pura fantasia, a partire
dalla contraddizione, in italiano si dice
ossimoro, contenuto nel loro stesso nome
fino alla scelta di avere un immagine non
immagine, di essere prima personaggi di
un fumetto e poi musicisti. Queste sono
tutte cose che in un modo o nell'altro
fanno parte e affluiscono nella loro
musica. Geniale l'idea nata dalla mente
e la matita di Davide Toffolo leader della
band nonché affermato fumettista,
sicuramente unico per l'Italia l'approccio
di questa band dal punto di vista
musicale. Il modo di fare punk-rock o
rock'n'roll, come piace più a loro, è
talmente semplice da diventare
originale. Sarà per le liriche di Toffolo che
tra slogan ad effetto e un timbro vocale
accattivante rendono inconfondibile il
marchio TARM, forse per quel
citazionismo un po' anni 80, un po' figlio
dei Ramones, forse perché alla fine
bastano una chitarra, un basso e una
batteria. Questo sogno del Gorilla bianco
non deluderà i fan della band e non
sorprenderà gli altri. È un disco che in un
certo modo prosegue sulla strada
tracciata dai precedenti con piccole e
dovute variazioni. C'è ancora lo zampino
di Giorgio Canali impegnato anche alle
chitarre, c'è sempre uno sguardo
adolescente sul mondo, ci sono le belle
trovate di Toffolo, la provincia, un po' di
sud america (reminescenze di un viaggio
di due dei tre), tredici canzoni e un video.
In attesa del loro concerto, dimensione
ideale in cui ascoltare questa band, ci
accontentiamo canticchiando
“signorina primavolta dopo la primavolta
la prima non è più”.
Osvaldo
TARM Live
15/05/2004
Palazzo Baronale di Novoli
ore 22.00
ingresso 5€