GABRIELLE LUCANTONIO SEMPRE NUOVI ORIZZONTI SONORI LA MUSICA Dario Argento è sempre stato molto sensibile ai diversi generi musicali e curioso delle sue evoluzioni. Per ognuno dei suoi film ha cercato, con l’aiuto dei più grandi nomi della musica applicata italiana (Ennio Morricone, Giorgio Gaslini, Claudio Simonetti, i Goblin, Pino Donaggio) e non solo, di sperimentare le diverse potenzialità del reparto sonoro del film, sia per quello che riguarda le innovazioni e le ricerche rispetto alle musiche della paura tradizionali, sia per il suo modo di applicarle al film. Quando il giovane regista incontra Ennio Morricone, ad esempio, quest’ultimo è già un compositore affermato: è l’autore delle colonne sonore leggendarie degli spaghetti western di Sergio Leone Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto, il cattivo (1966) e C’era una volta il West (1968), ma anche di quella di Metti una sera a cena (1968) di Giuseppe Patroni Griffi, del quale Argento aveva scritto la sceneggiatura. «Era già famoso, e per amicizia per mio padre, ha accettato di comporre la musica del mio film. Quando ci siamo incontrati, gli ho portato dei dischi e delle audiocassette e gli ho chiesto di ascoltarle. Si è offeso. I compositori preferiscono vedere il film nudo, per non essere influenzati, in modo che la loro creatività non sia soffocata», ricorda il regista1. Una collaborazione di prestigio per permettergli di capire da subito l’importanza della musica e di come potesse essere un ausiliario essenziale della narrazione filmica. Di solito, nelle colonne sonore dei film della paura si delineano due correnti. Da una parte, si utilizzano l’orchestra sinfonica e note dissonanti per sottolineare i momenti cruciali, con il Bernard Herrmann di Psyco (1960) o di La donna che visse due volte (1958) come giusto riferimento. La nostra società è abituata ad ascoltare musiche tonali, con 215 GABRIELLE LUCANTONIO SEMPRE NUOVI ORIZZONTI SONORI. LA MUSICA melodie. L’assenza di un solido terreno tonale permette di creare un panorama musicale inquietante, perché non abituale nella cultura musicale occidentale. Dall’altra, c’è l’utilizzo del jazz, su imitazione del Noir americano e di alcuni film della Nouvelle Vague2, nelle colonne sonore di film polizieschi e thriller. La collaborazione con Ennio Morricone per la “trilogia degli animali” combina queste due tendenze, permettendo al maestro di comporre musiche sperimentali, come raramente gli è stato possibile al cinema. Ne L’uccello dalle piume di cristallo (1970) ci sono delle dissonanze che provengono dalla musica contemporanea, cara al compositore ma poco impiegata nel giallo, e che sembrano apparentarsi maggiormente alle sonorità dei film dell’orrore. Il tema è una cantilena inquietante cantata da una donna (alcune fonti dicono che si tratta di un bambino), che sembra racchiudere in sé la risoluzione dell’enigma ed evocare il trauma subito dal serial killer (una donna appunto) alcuni anni prima. Per Il gatto a nove code (1971) la matrice è maggiormente il jazz, come vuole la tradizione, con un largo utilizzo di percussioni e di squarci vocali inquietanti, una martellante confusione sonora che sembra in qualche modo prolungare il discorso iniziatosi con la musica del film precedente. Per Quattro mosche di velluto grigio (1971) il regista spera di dirigersi verso altri orizzonti sonori, e vuole già affidare la colonna sonora ad un gruppo rock. Chiede al complesso Deep Purple di comporre una melodia. Argento comincia a montare il film, ma litiga con il montatore e lo licenzia. L’associazione dei montatori indice uno sciopero per sostenere il collega e il regista può solo assumere un montatore francese per ultimarlo. Questo fatto cambia i dati delle quote legali: se Argento desidera mantenere la cittadinanza italiana dell’opera, deve limitare le partecipazioni di artisti stranieri e quindi rinunciare ai musicisti inglesi. Viene così chiamato Ennio Morricone per la terza volta. La colonna sonora del film si può dividere in due blocchi: uno di matrice beat/rythm&blues e uno che sembra prolungare le ricerche sonore delle due pellicole precedenti. Ma Dario Argento vuole dare un’altra direzione sonora al suo cinema. Si ritrova, un po’ per caso, a curare la regia del film storico Le cinque giornate, sulle sommosse milanesi del 1848, che inizialmente doveva soltanto produrre. Chiama quindi Giorgio Gaslini, jazzista stimatissimo che ha già un curriculum notevole con, tra altre, la colonna sonora dello splendido La notte (1960) del raffinato Michelangelo Antonioni. Chiamare un jazzista per un film storico costituisce già in sé una rottura con la tradizione, ma la sua colonna sonora, non jazz, non è indimenticabile. Particolarmente interessanti sono le sue rivisitazioni di La gazza ladra di Rossini e l’Ave Maria di Bach e Gounod. Il lavoro del compositore per la serie televisiva La porta sul buio è molto più affine alle sue corde e molto più interessante e riuscito. Anche la musica del giallo Profondo rosso viene affidata a Giorgio Gaslini, ma il regista, tornando al suo vecchio desiderio di utilizzare un complesso rock, assegna l’esecuzione della musica ai Goblin, un gruppo di rock progressive, costituito da ragazzi giovanissimi (Claudio Simonetti alle tastiere, Fabio Pignatelli al basso, Massimo Morante alla chitarra e Walter Martino alla batteria) appena tornati dall’Inghilterra dove sono stati apprezzati da Eddie Offord, il produttore e fonico degli Yes. Nella storia della musica applicata al cinema italiano, nel 1971, un altro gruppo di rock progressive, i New Trolls, è stato coinvolto in un progetto organizzato dal maestro Luis Bacalov: Concerto Grosso. Quella che inizialmente doveva essere una semplice colonna sonora di un film (La vittima designata di Maurizio Lucidi) è diventata un’opera importante. Bacalov tenta un’esperienza simile, l’anno successivo, con gli Osanna per la colonna sonora di Milano calibro 9 di Fernando di Leo. Ma il destino veglia e il ruolo dei Goblin non sarà solo quello di esecutori. Dopo aver registrato quella che sarà la facciata B del 33 giri della colonna sonora, Giorgio Gaslini ha una discussione con Argento e decide di lasciare la scena, con i temi principali della colonna sonora ancora da realizzare. Il regista chiede quindi ai giovani musicisti di comporli. Nel 1973 William Friedkin utilizza Tubular Bells, tratto dall’omonimo album di Mike Oldfield, nella colonna sonora di L’esorcista, fattore che segna l’irruzione della musica rock, con ritmiche ossessivamente ripetitive, nel cinema horror. Sembra che Argento abbia suggerito ai Goblin di ispirarsi proprio a quest’ultimo brano per il tema principale di Profondo rosso. Il resto è storia: il gruppo scrive in una notte il tema che registrerà l’indomani. La colonna sonora ultimata comporta i brani orchestrali di Gaslini (Gianna), ma anche Wild Session e Deep Shadows (di Gaslini, ma eseguiti dai Goblin), l’inquietante e celeberrima filastrocca School at night (sempre di Gaslini), e i tre brani rock dei Goblin, Death dies molto aggressivo, utilizzato durante le sequenze di omicidio, Mad Puppet, dalle ritmiche ripetitive - si sente soprattutto durante le investigazioni di Mark (David Hemmings) nella villa del bambino urlante e nella scuola Leonardo Da Vinci - e Profondo rosso, che si trova nei titoli di testa e di coda, ed è vicino all’omicida, nei suoi oggetti. Questo tema esplode fragorosamente quando Mark trova il disegno sul muro, la chiave per scoprire l’evento scatenante del passato. Profondo rosso resta per 15 settimane al primo posto nella hit parade (record assoluto in Italia, tuttora rimasto imbattuto) e per un anno consecutivo tra i primi dieci LP più venduti, altro record. Ma soprattutto sono tanti altri thriller, gialli, horror che si rifanno alla moda lanciata dal successo del complesso: d’ora in poi, il rock e il thriller non saranno più incompatibili. A partire da questo film, Dario Argento sembra perfezionare una sua tecnica nell’applicazione della musica, che da questo momento riprenderà continuamente. Nelle scene di omicidio, già cariche di tensione, applica 216 217 GABRIELLE LUCANTONIO SEMPRE NUOVI ORIZZONTI SONORI. LA MUSICA la musica, ad altissimo volume, per imprimere un andamento più coinvolgente, per poi interromperla improvvisamente, e far cadere una situazione cruciale in un silenzio inquietante, che verrà rotto solo dal violento rivelarsi del serial killer, la colonna sonora riesplode quindi per “celebrare” il massacro delle vittime. Segue Suspiria nel 1977, il primo vero film fantastico di Dario Argento, dove i Goblin (con Agostino Marangolo al posto di Walter Martino) devono esprimere con la musica la stregoneria, la crudeltà da favole per bambini, la magia. Per questo effettuano una grande ricerca sonora, utilizzando soprattutto strumenti non occidentali o impiegati diversamente dal solito, provocando in questo modo una sensazione di disagio e di inquietudine nell’ascoltatore. Questa colonna sonora va oltre le dissonanze, oltre la musica contemporanea, oltre il rock, e costituisce un’esperienza unica ed irrepetibile. Fabio Pignatelli non suona quasi per nulla il basso, ma utilizza delle chitarre orientali e il tabla indiano. Massimo Morante non suona la chitarra, ma un buzuki greco accordato a quarte, per cambiare il modo di vibrare delle corde. Agostino Marangolo non suona la batteria, ma delle percussioni più classiche, come i timpani con le pelli completamente allentate e le campane. Mentre Claudio Simonetti utilizza il Mellotron, il Minimoog, l’organo da chiesa, la celesta e il Moog system 100, con l’ausilio del programmatore, il Maestro Felice Fugazza. Il complesso aggiunge poi delle urla stranianti, una voce (quella di Simonetti) finge di recitare una poesia in inglese (in realtà dice solo una frase, «There three witches sitting on the tree», per poi pronunciare parole e suoni senza senso). Il risultato è il capolavoro dei Goblin: un connubio perfetto dell’immagine e del suono. Una musica che va al di là del semplice commento sonoro, ma che diventa una delle anime del film. E forse proprio per questo il regista scrive sui titoli di testa: «Goblin, con la collaborazione di Dario Argento» (rifarà la stessa cosa con la colonna sonora di Zombi di George A. Romero che lui produce ). Non è un musicista, non ha quindi scritto la partitura della colonna sonora, però il suo modo di utilizzarla e di metterla in primo piano lo fanno partecipare alla sua creazione. Se Dario Argento deve molto alle colonne sonore dei Goblin, i Goblin devono tantissimo al suo modo di applicare le loro musiche che non ha eguali né precedenti. Malgrado questo successo, il regista romano non richiama i Goblin per il film successivo. Claudio Simonetti e Massimo Morante hanno lasciato il gruppo e sono stati sostituiti da altri musicisti. Ma la nuova formazione non sembra attrarre Dario Argento. Il suo interesse si sposta di nuovo altrove. Cosa tentare adesso? Di quale musica ha bisogno il secondo capitolo della trilogia? Dopo aver raccolto successi a piene mani, verso la fine degli anni Settanta anche il trio di rock progressive Emerson, Lake & Palmer si scioglie e Keith Emerson si lancia in una carriera solista. Ed è pro- prio quest’ultimo che il regista romano sceglie per realizzare la colonna sonora di Inferno nel 1980. Dopo l’esuberanza sonora di Suspiria, la musica di Inferno, con il tema omonimo molto dolce e suonato al pianoforte da Emerson, sembra più contenuta. Lo splendido Mater Tenebrarum con un coro polifonico, dichiaratamente ispirato ai Carmina Burana di Carl Orff e Taxi Ride, in cui si ripropone una versione in quattro quinti del Va’ pensiero di Giuseppe Verdi, nella perfetta tradizione del rock progressive, contraddice questa prima impressione. La colonna sonora di Emerson è più gotica della precedente, ma perfetta per quel film e per le sue immagini fredde, ma come quella di Le cinque giornate e al contrario di quella di Profondo rosso sarà raramente imitata da altri compositori per altre colonne sonore. Il desiderio di esplorare sempre nuovi orizzonti sonori spinge Dario Argento verso la musica dance, la più in voga verso l’inizio degli anni Ottanta. Dopo il rock progressive, è il turno della dance, con ritmi rapidi che possono destabilizzare ed inquietare lo spettatore (di solito ha da 122 a 144 battute al minuto), ad irrompere nel cinema della paura. Si rivolge quindi ai membri originali dei Goblin, che hanno comunque intrapreso strade diverse: Fabio Pignatelli ha continuato a portare avanti il gruppo con un’altra formazione, che ha appena realizzato il disco di musica leggera Volo; Claudio Simonetti è diventato un compositore e un produttore di disco-music di successo3 e ha iniziato una carriera televisiva con Gianni Boncompagni; Massimo Morante sta tentando la carriera di cantante. Per questa nuova collaborazione con Argento, i musicisti scelgono di utilizzare semplicemente i loro tre cognomi Simonetti, Morante e Pignatelli. Il batterista Marangolo non lavora a questo film. Walter Martino collabora solo come session man, senza che il suo nome sia menzionato nei credits. Come in Profondo rosso la colonna sonora alterna un motivo infantile (un carillon come in Suspiria, invece della filastrocca), Slow Circus nei flashback e musiche più aggressive per le sequenze di omicidi, come i temi Tenebre, Flashing e Waiting Death. Il regista cambia di nuovo direzione per il film successivo, Phenomena, dove, come in Suspiria, accorda una grande importanza ai suoni e non solo alla musica, con l’utilizzo del dolby-stereo. «Poiché in Phenomena si parla di insetti, ritenevo inoltre necessario fare ascoltare i rumori della natura, i passi degli animali più piccoli, gli alberi che si agitano sotto la tempesta», sostiene Argento4. Ciò è importante quasi quanto la musica perché in Phenomena il regista sperimenta un altro metodo di lavoro, frazionando il tutto e affidandolo a vari compositori, che vanno da Bill Wiman agli Iron Maiden passando da Fabio Pignatelli, Claudio Simonetti e i Goblin (in realtà Pignatelli e Simonetti insieme). L’elettronico Phenomena di Claudio Simonetti (che inizia in modo dolce e prosegue in modo più dinamico), oggi ancora il tema più noto della colonna sonora, serve a sottolineare i 218 219 GABRIELLE LUCANTONIO SEMPRE NUOVI ORIZZONTI SONORI. LA MUSICA momenti magici e “disneyani” del film, conferendo alle scene un lato inquietante che non figura nelle immagini, e che proviene proprio dall’utilizzo dolce della voce del soprano Pina Magri. Argento riprenderà quasi lo stesso principio per la colonna sonora di Opera nel 1987: una musica originale frazionata tra diversi compositori, che vanno da Brian Eno a Claudio Simonetti, e abbinata questa volta a musiche di repertorio. Ci sono quindi brani heavy metal durante le sequenze di omicidio, mentre le arie di opera hanno quasi sempre una provenienza diegetica: quelle del Macbeth di Verdi vengono cantate dalla protagonista, le altre si odono quasi sempre nell’appartamento di Betty (Cristina Marsillach), che utilizza Casta Diva di Vincenzo Bellini per rilassarsi. Il brano Opera di Claudio Simonetti, di una semplicità sofisticata e di una dolcezza inquietante, cantato dalla soprano Maria Rigel Tonini con echi settecenteschi, è uno dei più bei temi mai scritti finora dal compositore, a tal punto che viene impiegato dal regista soprattutto nei titoli di coda. Dario Argento si reca negli Stati Uniti per realizzare l’episodio Il gatto nero di Due occhi diabolici (1990) e poi Trauma (1993). Chiama per questi due film l’ex cantante di successo (Io che non vivo) Pino Donaggio che allora ha già al suo attivo le celeberrime colonne sonore di Carrie – Lo sguardo di Satana (1976), Vestito per uccidere (1980) e Blow Out (1981) di Brian De Palma. É una scelta strana, quasi paradossale nella carriera del regista: lui che ha sempre tentato di andare oltre la tradizione della musica della paura fatta di orchestre sinfoniche e di note dissonanti, sembra tornare indietro per misurarsi proprio con quel tipo di colonne sonore. In Il gatto nero Argento chiede addirittura al compositore per una sequenza di ispirarsi alla musica di Psyco di Bernard Herrmann. In questa pellicola si trova tuttavia l’elettronica Dreaming Dreams, la prima canzone scritta appositamente per un film di Argento. La partitura di Trauma segue la stessa direzione di quelle realizzate per Brian De Palma e ci presenta diversi aspetti del compositore: ci sono le note dissonanti come in End of Trauma o in The Loos. C’è poi il romanticismo di First Kiss, dove primeggiano i violini e l’ironia di Child Curiosity, nel quale gli ottoni sottolineano l’audacia di un bambino troppo curioso, ai quali rispondono degli archi che sembrano imitare i suoi spostamenti e le sue fughe. E anche qui c’è una canzone dalle impressioni celtico/new age, Ruby Rain, interpretata da Laura Evan. Di ritorno in Italia, Argento realizza La sindrome di Stendhal nel 1996 e richiama, dopo più di quindici anni, Ennio Morricone. La colonna sonora non ha nulla della musica contemporanea che avevano utilizzato per la “trilogia degli animali”, ma va soprattutto ricordata per l’intrigante tema principale, ispiratosi alla passacaglia, ovvero un “ostinato”, un tema ripetuto, sempre identico, che può anche essere palindromico, quindi perfettamente simmetrico, leggibile indifferentemente nello stesso modo in un senso o in un altro. Mentre per Il fantasma dell’Opera nel 1998, un classico della letteratura fantastica, Argento chiede a Morricone di realizzare una musica melanconica e romantica, bellissima ma non particolarmente innovativa, come si addice al film. Claudio Simonetti incontra il regista a Sitges, Barcellona, per il Festival del Cinema Fantastico e i due decidono di riunire i Goblin per il successivo film, Nonhosonno, che vuole essere un ritorno di Argento al giallo più classico con il quale aveva esordito. Numerose sono le citazioni del passato e dai titoli di testa si ha la sensazione di fare un salto nel tempo. Si ode un rock duro, aggressivo, ad altissimo volume, con degli echi bachiani, e già i primi accenni di un carillon, come in Suspiria e in Tenebre, che si ritrova a più riprese nella colonna sonora del film. In due scene Dario Argento applica la musica con metodi che aveva già provato in passato. C’è, per esempio, l’omicidio della “coniglietta”: la ragazza è quasi arrivata a casa, la musica si interrompe, lei sembra inquieta, forse ha avvertito una presenza, cerca le chiavi nella borsetta per aprire il portone, ma l’assassino la uccide. La musica riprende fragorosamente. C’è anche la scena del treno in corsa, con la prostituta che cerca di fuggire disperatamente dall’omicida. Il brano Killer on the Train costituisce una pagina di cine-musica eccezionale, dove il rapporto musica e immagine sembra imprescindibile e dove la batteria di Marangolo fa da regina. E per la prima volta, in un film realizzato da Dario Argento con una colonna sonora dei Goblin, c’è un tema d’amore, proprio Endless Love, composto da Simonetti (dove utilizza di nuovo una voce di soprano). Ma i Goblin si separano definitivamente e Dario Argento inizia a collaborare principalmente con Claudio Simonetti. Nel 2004, Il cartaio impiega il 5.1 surround 5 e il regista romano chiede al compositore italo-brasiliano una musica completamente elettronica, ispirata alla techno, di moda in quel periodo, nella quale i suoni non hanno una linea melodica particolare. Può riuscire a generare inquietudine la techno? Quasi tutto il film è stato ripreso con una macchina da presa portata a spalla, con illuminazioni naturali e una pellicola ipersensibile per ottenere un realismo completo. Paradossalmente, Argento coniuga queste immagini con un montaggio nervoso, dal ritmo irreale ed artificiale, e con la tempesta techno di Simonetti (una techno personalizzata che il compositore è riuscito a rendere più melodica), a volte violenta, poi dolce e romantica (il montaggio nervoso e la sovrabbondanza musicale sono di solito degli elementi inesistenti nei film realistici). É particolarmente riuscito il connubio suono e immagine della penultima scena del film, totalmente delirante, dove i due protagonisti (Stefania Rocca e Claudio Santamaria) sono presi dalla follia di lui; lo sembra ancor più con l’utilizzo dei temi Fasan Techno e Techno Train che, provenienti dall’autoradio di una macchina ad altissimo volume, 220 221 GABRIELLE LUCANTONIO SEMPRE NUOVI ORIZZONTI SONORI. LA MUSICA rendono più difficile il dialogo tra Anna e l’omicida. È una musica, quasi un rumore, che si mescola a quelli del treno che si avvicina. Segue il film per la televisione Ti piace Hitchcock? dove Argento chiama per la terza volta Pino Donaggio, chiedendogli una musica orchestrale a forti influenze herrmanniane per omaggiare meglio il maestro del brivido inglese. Ma per Jenifer e Pelts, i due episodi della serie tv Masters of Horror, chiama nuovamente Simonetti con il quale innova e ridefinisce il linguaggio musicale argentiano: per Jenifer il compositore utilizza una piccola orchestra d’archi per creare una musica, anch’essa di influenza herrmanniana, tuttavia molto diversa dai lavori precedenti di Donaggio. Il compositore italo-brasiliano aggiunge a questa colonna sonora degli stilemi argentiani come il carillon e il canto di una bambina e la porta quindi in un’altra direzione. Per Pelts, a parte l’utilizzo di una voce di soprano per uno dei brani più romantici, il tema principale, di ispirazione celtica. orienta invece la sua ricerca verso strumenti non abituali nella musica da film tradizionale, come aveva già sperimentato con Suspiria, utilizzando alcuni strumenti etnici (flauti e percussioni indiani, africani, ecc…) mischiati a suoni orchestrali ed elettronici. Ma la prova più grande Simonetti la dà con il seguito di Suspiria ed Inferno, La terza madre, per il quale utilizza per la prima volta in una sua colonna sonora grandi cori polifonici registrati dal vivo (e non ricreati al computer). Mentre per Jenifer aveva utilizzato per la prima volta una piccola orchestra d’archi, sceglie qui una grande orchestra, e anche questo è un fatto inedito nella sua carriera di compositore per il cinema, anche se spesso aveva lavorato con le orchestre della Rai per i programmi TV (Buon Compleanno TV, Sotto le stelle, ecc.). Come in Pelts, non c’è nessun legame con gli stilemi delle colonne sonore scritte precedentemente dal compositore per Argento: nessun carillon, nessuna voce da bambina e soprattutto nessuna voce da soprano solista. Il brano dei titoli di coda Mater Lacrimarum è straordinario: mescola dei cori polifonici, un’orchestra e delle sonorità metal grazie al suo gruppo attuale Daemonia e con la voce inquietante di Dani Filth dei Cradle of Filth, famosissimo complesso della scena black metal inglese. È per spingere oltre il sogno del progressive che mescola il rock con le orchestre classiche; è per spingere oltre la musica della paura, adattandola alle mode e all’air du temps. Un’intuizione che, concretizzata dalla bravura e dal talento dei suoi collaboratori-compositori, il regista ha saputo seguire. Con successo. Sempre. A cura di P. Cherchi Usai, in «Segnocinema», n. 17, febbraio 1985. Il dolby digital contiene fino a 5 canali audio digitali a banda piena, più un sesto canale destinato alla sola riproduzione delle basse frequenze (canale LFE - Low Frequency Effects). Questo speciale schema si indica con “5.1” ed i 5 canali sono: anteriore destro, anteriore sinistro, centrale, surround destro, surround sinistro. I primi due corrispondono al collocamento dei normali canali stereo, il centrale va posizionato al centro dei due canali stereo anteriori, in corrispondenza dello schermo, i surround vanno collocati lateralmente o leggermente arretrati rispetto al punto di ascolto. Il LFE non ha una collocazione precisa in quanto le basse frequenze sono meno direttive. Il dolby 5.1 permette soprattutto la fusione della musica con i rumori e i suoni del film e fa in modo che siano tutti udibili dallo spettatore. 4 5 Materiale personale registrato su nastro. Martial Solal per Fino all’ultimo respiro e Miles Davis per Ascensore per il patibolo sono i più conosciuti. 3 Scrive musiche, tra gli altri, per gli Easy Going, Vivien Vee, Crazy Gang, il robot David Zed e soprattutto è il compositore del celebre Gioca jouer di Claudio Cecchetto. 1 2 222 223