GLI ANNI LUCE (fino al 1905)
L
’eredità di Newton (1642-1727) è contenuta in due libri: i Principia e l’Ottica. I Principia sono
una serie di deduzioni fondate sulle leggi del moto e la legge di attrazione universale, formulate
in un nuovo e potente linguaggio matematico. Le applicazioni più importanti sono: la struttura
dell’universo, il moto dei pianeti, la dinamica dei fluidi, le onde. L’Ottica è un lavoro strutturato in
modo diverso: gli esperimenti rivestono un ruolo molto importante e le conclusioni non sono più
presentate con l’accezione di “definitive”.
I “seguaci di Newton” possono così essere divisi in due gruppi (per certi aspetti ancora presenti nel
mondo della ricerca): coloro che svilupparono la struttura dei Principia e coloro che svilupparono
nuovi settori più fondati sulla sperimentazione (nei primi tempi i temi erano l’ottica, il calore e
l’elettricità).
Nel primo gruppo occorre elencare:
i vari Bernoulli (ce ne sono 11!) che per diverse generazioni diedero impulsi e sviluppi in quasi tutti
campi fisico-matematici: dall'idrodinamica, alla teoria cinetica dei gas, dallo studio delle onde, alla
statistica, ecc..;
Euler (1707-1783), sviluppò lo studio della trigonometria, della topologia, delle equazioni del
giroscopio; si dimostrò critico nella concezione corpuscolare della luce sostenuta da Newton;
d'Alambert (1717-1783), sviluppò la matematica differenziale per lo studio delle onde;
Clairaut (1713-1763), sviluppò la matematica differenziale per lo studio delle onde;
Lagrange (1736-1813), ideò delle metodologie per tradurre ogni problema meccanico in equazioni
differenziali;
Fourier (1768-1830), sviluppò gli strumenti matematici per trattare la conduzione del calore inteso
come un fluido indistruttibile. Tale lavoro è irrilevante per quanto riguarda la termodinamica, ma
costituisce il primo esempio di azione di contatto in contrapposizione all'azione a distanza
newtoniana. Il lavoro di F. portò ad equazioni analoghe a quelle che reggono la teoria del potenziale
newtoniano, indicando profonde analogie tra le due teorie, ed i primi esempi di funzioni ortogonali
che diventeranno strumenti fondamentali per la meccanica quantistica;
Hamilton (1805-1865), continuò e ampliò il lavoro di Lagrange, sviluppò l'analogia tra i raggi di
luce e le traiettorie della meccanica, costruendo un unico modello matematico con equazioni adatte
a descrivere entrambi i fenomeni, basato sulla minimizzazione di un integrale di funzioni delle
coordinate e dei momenti.
Questi studiosi, malgrado all'epoca non ci fosse distinzione tra matematici e fisici teorici, sono
passati alla storia come matematici.
Nel secondo gruppo i successori non sono famosi come il gruppo dei matematici: una parte dei
risultati sperimentali si conciliavano con teorie che si dimostrarono poi effimere, mentre gli
esperimenti importanti furono incorporati in studi successivi, lasciando in ombra i primi scopritori.
I principali interpreti di questa parte dell'evoluzione della fisica sono:
Hooke (1635-1702) e Huygens (1629-1695), entrambi contemporanei di Newton e critici nei
confronti della sua Ottica. Hooke criticò aspramente il lavoro di Newton, anche per via di una
rivalità personale. Huygens, invece, aveva una concezione completamente diversa della luce,
immaginata come un’onda: pensava a vibrazioni luminose analoghe a quelle sonore (analogia
parzialmente corretta). Con un modello geometrico giustificò il meccanismo che riconciliava la
propagazione delle onde sferiche con i raggi rettilinei, ma non era riuscito a cogliere la spiegazione
di concetti altrettanto importanti come l’interferenza e la natura dei colori, che l’ottica newtoniana
invece autorevolmente spiegava in modo corpuscolare e come tale fu accettata da quasi tutti gli
studiosi per un secolo intero.
Young (1773-1829), impose un radicale cambiamento all’interpretazione dei fenomeni luminosi
assumendoli definitivamente come ondulatori, spiegando in tal senso l’interferenza (tramite il quale
1
misurò la lunghezza d’onda della luce), la diffrazione, la scomposizione in colori della luce da
lamine sottili. Personalità geniale: oltre che fisico (studi sull’ottica fisiologica, dinamica dei fluidi,
architettura navale, teoria delle maree), fu anche medico, impostò il lavoro di decifrazione della
stele di Rosetta, diede il proprio contributo alla realizzazione del sistema metrico inglese ed allo
sviluppo del sistema assicurativo.
Fresnel (1788-1827), affrontò principalmente il solo studio dell’ottica, ma lo fece in modo
eccezionale, diventandone, a pieno titolo, il maggiore esperto del XIX secolo. Fresnel risolse
autonomamente lo studio dei fenomeni luminosi e la costruzione degli apparati sperimentali, ma
giungendo sempre poco dopo Young: orgogliosamente difese l’originalità del proprio lavoro
asserendo metaforicamente che dove Young aveva modestamente raccolto i fiori, lui aveva
faticosamente scavato per scoprire le radici. La metodologia di lavoro di Fresnel impostò la ricerca
francese: due suoi esponenti, Fizeau e Focault, misurarono nel 1850 la velocità della luce in aria ed
in acqua e, verificando che la prima era maggiore della seconda, fornirono la prova definitiva a
favore della natura ondulatoria.
Fraunhofer (1787-1826), realizzò degli strumenti ottici eccezionali, tra cui un rifrattore di diametro
23 cm per 1000 Kg di massa; è considerato uno dei fondatori della spettroscopia, scoprì le righe di
assorbimento dello spettro solare e stabilì l’analogia con le righe di emissione prodotte nella
combustione di sostanze. Fraunhofer sviluppò una metodologia di lavorazione del vetro unita ad
una precisione meccanica, tale da porre all’avanguardia l’industria ottica germanica, posizione
ancora valida al giorno d’oggi. Come Fresnel, anch’egli morì di tubercolosi, la peste dell’Europa
del XIX secolo.
Bunsen (1811-1899), completò il lavoro di Fraunhofer riconoscendo nelle righe spettrali delle
caratteristiche atomiche (o molecolari), costruì una serie di strumenti tuttora utilizzati nei laboratori
chimici, compì studi fondamentali di fotochimica, chimica analitica e metallurgia.
Kirchhoff (1824-1887), fu amico e collega di Bunsen, assieme chiarirono le caratteristiche
dell’analisi spettrale: pur senza arrivare alla struttura atomica, scoprirono nuovi elementi (cesio,
rubidio, tallio, indio, gallio). Applicando la termodinamica, allora più sicura dei modelli atomici, K.
arrivò alla conclusione che per un assorbitore totale (corpo nero) il potere di emissione non dipende
dal materiale ma solo dalla frequenza e dalla temperatura. L’influenza di K. fu determinante nella
scelta degli argomenti guida della ricerca tedesca che culminò, nel 1900, alla teoria dei quanti
sviluppata da Planck, ma questa è un’altra storia.
IL MODELLO ONDULATORIO DELLA LUCE
La luce si propaga dimostrando tutta la fenomenologia delle onde meccaniche, di cui a seguire una
sintetica rassegna, ma se ne differenzia decisamente per altrettanti aspetti, primo fra tutti il
propagarsi anche nel vuoto, con una velocità c = 3⋅108 m/s che la teoria della relatività assume come
velocità massima. Dagli esperimenti di Young fino al 1905 la luce era sicuramente un’onda, a
seguito della teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell e gli esperimenti di Hertz, si aggiunse
l’aggettivo di elettromagnetica. In quell’anno Einstein, nel suo articolo sull’effetto fotoelettrico,
riconciliò sorprendentemente le teorie di Newton e Huygens, rivelando il duplice aspetto
corpuscolare e ondulatorio della luce, attuando quella rivoluzione concettuale che, insieme
all’equivalenza tra energia e massa, rappresenta la grande scoperta scientifica del XX secolo.
Concetto di onda L’onda corrisponde alla propagazione di una perturbazione in un mezzo, con
trasporto di energia (cinetica e potenziale) e quantità di moto, ma non di materia. La propagazione
delle onde meccaniche richiede necessariamente la presenza di un mezzo con caratteristiche di
elasticità: la velocità di propagazione è massima nei mezzi solidi, minima nei gas. Viceversa la
velocità della luce nei mezzi materiali è minore di quella nel vuoto dove è massima. Il suono è
un’onda meccanica longitudinale, cioè la direzione della perturbazione è parallela a quella di
propagazione, la luce è invece un’onda trasversale, cioè la perturbazione è perpendicolare alla
direzione di propagazione.
2
Grandezze caratteristiche delle onde periodiche
Ampiezza A (m), massimo spostamento effettuato da un punto del mezzo, rispetto la posizione di
equilibrio, in seguito al passaggio della perturbazione.
Periodo P (s), intervallo di tempo entro il quale lo stesso punto del mezzo riceve due volte la stessa
perturbazione.
Frequenza ν (Hz, hertz = s-1), ν=1/P, numero di perturbazioni ricevute dallo stesso punto del mezzo
nel tempo di un secondo.
Lunghezza d’onda λ (m), distanza tra due punti del mezzo che ricevono simultaneamente la stessa
perturbazione.
Velocità di propagazione (m/s): v = λ/P = λ⋅ν (λ corrisponde allo spostamento del fronte d’onda
nel tempo di un periodo). Il prodotto λ⋅ν è una grandezza invariante per ogni mezzo di
propagazione (es.: tutti i suoni, pur avendo λ e ν diverse, si propagano in aria alla stessa velocità di
340 m/s).
Al cambiare del mezzo e delle sue caratteristiche meccaniche, resta invariata la frequenza dell’onda,
cambiano invece la velocità di propagazione e quindi la lunghezza d’onda.
Fronte d’onda (m o m2): insieme di punti del mezzo che risentono simultaneamente della stessa
perturbazione, si muove alla velocità di propagazione, l’energia trasportata è ridistribuita sui suoi
punti. Per descrivere questo trasporto di energia si utilizzano i seguenti concetti, definiti per le onde
elettromagnetiche ma estendibili anche a quelle meccaniche:
Energia raggiante, Σ (Joule): è l’energia emessa dalla sorgente; si utilizza anche la potenza
raggiante, P, (Watt), cioè l’energia emessa dalla sorgente nell’unità di tempo;
Irraggiamento, E (W/m2)(per le onde sonore è detta intensità(?)): è l’energia che attraversa l’unità di
superficie nell’unità di tempo. Per una sorgente puntiforme che emette nel tempo Δt, un’onda
sferica con un’energia Σ, che si propaga nello spazio tridimensionale su un fronte sferico S= 4πr2, si
ha che alla distanza r:
E=
Σ
Σ
J
P W
=
=
2
2
SΔt 4πr Δt m s 4πr 2 m 2
Da cui si ha che l’irraggiamento è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Nell’espressione sopra indicata è contenuto un importante concetto: la propagazione dell’onda
modifica lo stato energetico dello spazio circostante la sorgente, determinando una densità di
energia. Analogamente agli angoli in radianti definiti nel piano, nello spazio si definisce angolo
solido in steradianti (sr) Ω, il rapporto tra una porzione della superficie sferica A ed il quadrato del
raggio-distanza dall’origine di riferimento: l’intera superficie sferica corrisponde ad un angolo di 4π
steradianti. Si definisce così:
Intensità di radiazione, I (W/sr): potenza emessa dalla sorgente nell’unità di angolo solido. Vale la
2
relazione E = I/r .
L’energia ricevuta dal generico ostacolo dipende dalla superficie esposta perpendicolarmente alla
direzione di propagazione dell’onda: se α è l’angolo tra la direzione della propagazione e la
normale alla superficie A dell’ostacolo, l’energia (J) ricevuta nel tempo Δt è Q = E⋅ Acosα⋅ Δt
Fenomenologia caratteristica delle onde
Quando un’onda incontra una discontinuità del mezzo di propagazione, si generano due onde in cui
si ripartisce l’energia: una riflessa ed una rifratta, i fronti di entrambi le onde dipendono dalla forma
geometrica della discontinuità. All’aumentare dell’angolo di incidenza (riferito alla normale alla
discontinuità) aumenta la luce riflessa e diminuisce quella rifratta, fino ad arrivare all’angolo limite
oltre al quale la luce è totalmente riflessa. Se la discontinuità ha dimensioni confrontabili con la
lunghezza d’onda avviene la diffrazione. Quando più onde periodiche si sovrappongono nello stesso
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mezzo, in determinati punti (che definiscono dei luoghi geometrici “naturali”) si ha l’interferenza
costruttiva o distruttiva.
Onda riflessa : è generata dalla reazione della discontinuità all’arrivo della perturbazione. Siccome
l’onda riflessa si propaga nello stesso mezzo dell’onda incidente, ha le sue stesse caratteristiche, le
uniche differenze sono la densità di energia (minore in quella riflessa, se vi è simultaneamente una
rifrazione) e la forma del fronte (invariato se la discontinuità del mezzo è piana). La riflessione è
descritta dalle leggi di Snell-Cartesio:
- il raggio incidente, quello riflesso e la normale alla discontinuità giacciono nello stesso piano;
- l’angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione.
Onda rifratta: l’onda che attraversa la discontinuità si propaga nel mezzo 2 con frequenza invariata
ma con diversa velocità, essendo variate le caratteristiche di elasticità, e conseguentemente varia la
lunghezza d’onda. In base all’uguaglianza tra le frequenze nei due mezzi si ottiene l’importante
relazione λ1/v1=λ2/v2
Indicando con i e con r gli angoli rispettivamente formati dalla normale alla discontinuità, la
direzione del fronte incidente e la direzione del fronte rifratto, la rifrazione è descritta dalle leggi di
Snell-Cartesio:
1. il raggio incidente, quello rifratto e la normale alla discontinuità giacciono nello stesso piano;
2. gli angoli i ed r soddisfano la relazione:
sen iˆ
velocità1 λ1
= n1→2 =
=
Il rapporto n12 è detto indice di rifrazione del
sen r̂
velocità2 λ2
mezzo 2 rispetto al mezzo 1
Quando il mezzo 1 è il vuoto (o, con ragionevole approssimazione, aria) il suo valore diventa una
costante caratteristica del materiale 2.
Tramite il principio di Huygens si dimostra che l’indice di rifrazione è anche uguale al rapporto tra
le velocità di propagazione.
Nella rifrazione della luce, nel passaggio dall’aria ad un mezzo trasparente più denso, si verifica che
l’indice di rifrazione è sempre maggiore di uno, cioè il raggio di luce si avvicina alla normale alla
discontinuità. Le misure della velocità della luce effettuate da Fizeau e Focault verificarono che la
velocità nella luce nell’aria è maggiore di quella nei mezzi più densi: questi esperimenti
confermarono definitivamente la natura ondulatoria della luce. La scomposizione della luce bianca
nello spettro dei colori è dovuta alla dipendenza dell’indice di rifrazione dalla frequenza.
Invertibilità della traiettoria di propagazione (o del cammino ottico): la traiettoria seguita dall’onda
è invertibile, cioè definito un percorso ottico che ha per estremi la sorgente nel punto di partenza e
l’osservatore nel punto di arrivo, scambiando di posto l’osservatore con la sorgente il cammino
seguito dall’onda è invariato.
Riflessione totale: l’onda incidente è solo riflessa malgrado la discontinuità permetta la rifrazione.
Si verifica solo nel passaggio da un mezzo a maggiore indice di rifrazione ad uno con indice
minore. Ad esempio nella rifrazione della luce dal vetro all’aria, l’indice di rifrazione è circa 1,5
vale la relazione sen θaria = 1,5⋅sen θvetro. Se l’angolo di incidenza nel vetro è 41,8° il seno è
0,667 e la relazione diventa sen θaria= 1,5⋅0,667 = 1 cioè il raggio si propaga in aria parallelamente
alla superficie di discontinuità; per angoli di incidenza maggiori di 41,8° la luce resta confinata nel
vetro, è totalmente riflessa. L’angolo che definisce la soglia della riflessione totale è detto angolo
limite.
Principio di Huygens: definisce un modello interpretativo della propagazione delle onde sufficiente
a spiegare e prevedere i fenomeni associati alla propagazione delle onde: ogni punto del mezzo,
quando è investito dal fronte incidente, si comporta come una sorgente puntiforme di onde
secondarie circolari (o sferiche) aventi stesse λ e ν dell’onda primaria, il nuovo fronte d’onda è dato
dall’inviluppo delle onde secondarie. In particolare permette di comprendere:
• il calcolo dell’indice di rifrazione come rapporto delle velocità di propagazione;
• la diffrazione;
• l’interferenza.
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Diffrazione : quando un’onda incontra un ostacolo (o una fenditura) di dimensioni prossime alla λ
questo si comporta come una sorgente puntiforme di onde circolari, o sferiche, con le stesse
caratteristiche dell’onda incidente. Ostacoli di dimensioni > λ generano delle zone d’ombra
(finestre) dell’onda incidente, quelli di dimensioni < λ si comportano sorprendentemente come
nuove sorgenti di onde sferiche, riemesse in ogni direzione. L’esempio più comune di diffrazione è
dato dal comportamento del pulviscolo sospeso in aria ed illuminato da un sottile pennello di luce:
ogni particella si comporta come una microscopica sorgente di luce, emettendo in tutte le direzioni
(ed apparendo più grande delle reali dimensioni). L’energia dell’onda diffratta diminuisce con le
dimensioni fisiche del diffrattore, pertanto è molto piccola rispetto quella dell’onda incidente. In
base al principio di Huygens, ogni punto dell’ostacolo (o della fenditura) si comporta come una
sorgente di onde sferiche: se il numero di punti è sufficientemente piccolo, il fronte secondario è
necessariamente circolare.
Principio di sovrapposizione: quando più onde, propagantesi nello stesso mezzo, si sovrappongono
in un punto, esso risente della somma vettoriale delle perturbazioni associate ad ogni singola onda;
dopo l’interazione ogni onda prosegue nel proprio moto, invariata.
Interferenza: è un caso particolare della sovrapposizione delle onde. La condizione sperimentale
basilare per poter studiare l’interferenza richiede di poter disporre di due sorgenti A, B coerenti,
cioè tali da emettere simultaneamente onde di stessa frequenza ed ampiezza.
Si ha interferenza distruttiva in tutti i punti P del mezzo tali che le perturbazioni provenienti dalle
due sorgenti giungono sfasate di mezzo periodo: in tal modo le perturbazioni hanno risultante
costantemente nulla. Le onde emesse dalle due sorgenti interferiscono distruttivamente in tutti i
punti P del mezzo tali che i due spostamenti PA e PB, effettuati dai fronti provenienti da A e B,
differiscono di un numero dispari di mezze lunghezze d’onda, cioè tali che:
P A − P B = (2n + 1)
λ
2
n = 0,1, 2...
Si ha interferenza costruttiva nei punti del mezzo in cui le perturbazioni giungono in fase, cioè tali
da rinforzarsi reciprocamente: questi punti oscillano con un’ampiezza doppia, assumendo tutte le
posizioni intermedie. Le onde emesse dalle due sorgenti interferiscono costruttivamente in tutti i
punti P del mezzo tali che i due spostamenti PA e PB, effettuati dai fronti provenienti da A e B,
differiscono di un multiplo della lunghezza d’onda, cioè tali che:
P A − P B = nλ
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n = 0,1, 2...
I COLORI DELLA LUCE
L’occhio rappresenta, con buona approssimazione, un sistema ottico centrato. La percezione del
segnale luminoso è affidata alla retina, una membrana che ricopre il fondo dell’occhio, collegata al
cervello dal nervo ottico. La retina è costituita da diversi strati di cellule: da un lato le cellule
fotorecettrici dette coni e bastoncelli, dall’altro le cellule gangliari, terminazioni del nervo ottico,
intermedie le cellule bipolari. Nella parte di retina più centrale, dove arriva la massima intensità
luminosa, detta fovea, sono presenti esclusivamente i coni con una densità di 105/mm2, mentre nella
periferia sono più presenti i bastoncelli.
Mentre nella fovea ogni cono è connesso
singolarmente con una cellula gangliare,
nella zona periferica più fotorecettori sono
connessi alla stessa cellula bipolare e più
cellule bipolari convergono in una cellula
gangliare. I coni svolgono la funzione
specifica nella percezione dei colori e nella
visione di oggetti luminosi, i bastoncelli
non sono sensibili ai colori ed intervengono nella visione degli oggetti poco illuminati. I bastoncelli
sono circa 18 volte più numerosi dei coni. L’arrivo della luce sulla retina determina una reazione
chimica che trasforma una molecola, il retinene, costituente della rodopsina, proteina fotorecettrice,
da uno stato detto cis ad un altro detto trans: questa trasformazione di energia radiante in energia
chimica, corrisponde ad un segnale elettrico che il cervello elabora come sensazione. Si è verificato
sperimentalmente che sotto una soglia di intensità Io (soglia incolore) non si percepisce alcuna
sensazione, se si aumenta gradatamente l’intensità si percepisce inizialmente una sensazione
incolore, quando la luce supera un’intensità Ic (soglia cromatica) si percepisce il colore. I valori di Io
e Ic variano col colore della luce: per il rosso il rapporto Ic e Io è 4, per la luce blu è 620. In bassa
illuminazione i bastoncelli sono più sensibili al blu dei coni, mentre in forte illuminazione i coni
sono in grado di distinguere il colore di una luce che per i bastoncelli risulta incolore: l’occhio è più
sensibile al blu che al rosso in poca luminosità, viceversa in luce intensa l’occhio risulta più
sensibile al rosso.
Da studente Newton era rimasto affascinato dalla scomposizione della luce: probabilmente da
quelle indesiderate colorazioni che appaiono attorno alle immagini nei telescopi a rifrazione, che nel
linguaggio moderno sono le aberrazioni cromatiche delle lenti. Nel corso della sua maturità
approfondì la scomposizione della luce bianca nello spettro dei colori e verificò come la
sovrapposizione dei colori dello spettro riproducesse la luce bianca, stabilendo così i primi
fondamenti della teoria dei colori, studiò i principi di funzionamento dell’occhio, fece acute
osservazioni sui colori dell’arcobaleno e quelli delle lamine sottili, concluse che per risolvere il
problema dell’aberrazione cromatica delle lenti fosse necessario evitarle ed inventò il telescopio a
specchi riflettenti.
Un secolo dopo Young, isolando nello spettro della luce bianca un solo colore, una luce quasi
monocromatica, riuscì a misurarne la lunghezza d’onda tramite un’elaborazione dei dati della
diffrazione esemplare come equo compromesso tra approssimazione nelle procedure di calcolo e
rappresentatività della misura.
Il comportamento di un corpo rispetto la luce, ma anche rispetto un’onda meccanica, può essere
sintetizzato con un semplice bilancio energetico. Indicando con I l’energia incidente aI la frazione
di energia assorbita, eI la frazione di energia emessa, rI la frazione riflessa, deve sempre verificarsi
che I = aI + eI +rI . Si distinguono così le sorgenti di luce propria, cioè quei materiali che, in
particolari condizioni energetiche, emettono luce, dai corpi trasparenti, tali da trasmettere rifratta la
6
luce, da quelli assorbenti, cioè che ricevono la luce ma, invece di trasmetterla, la attenuano, dai
corpi riflettenti, che non assorbono energia.
La dispersione della luce
Quando la luce attraversa un prisma subisce una doppia rifrazione ariavetroaria, si possono
osservare due fenomeni:
- il pennello di luce rifratta è sempre
più divergente di quello incidente;
- se quello incidente è di luce
bianca, quello uscente si presenta
in uno spettro di colori brillanti:
violetto, azzurro, verde, giallo,
arancione e rosso. Sono i colori
che si vedono nell’arcobaleno, con
il rosso ed il viola alle estremità: il
rosso è il colore che devia di meno
dalla
direzione
del
raggio
incidente, il viola quello che devia
di più.
Si deduce che:
- la luce bianca è data dalla
sovrapposizione di colori diversi,
convogliando il pennello dei colori
attraverso un dispositivo convergente si ottiene nuovamente la luce bianca;
- colori diversi hanno diversi indici di rifrazione.
Facendo accurate misure sul vetro crown, usato per costruire lenti, si ha che:
Colore
Indice
Violetto
1,532
Azzurro
1,528
Verde
1,519
Giallo
1,517
Arancione
1,514
Rosso
1,513
Un difetto delle lenti è dato proprio dalla aberrazione cromatica, cioè fasci di luce di diverso colore
convergono in punti diversi, determinando un’immagine distribuita su diversi piani focali, a
seconda del colore dominante.
Non tutti i colori che noi vediamo sono di questo tipo, ad esempio la luce color porpora si
scompone in luce blu e luce rossa, inoltre la percezione del colore è una sensazione e come tale è
soggettiva. Per analizzare in modo oggettivo la luce si utilizzano degli apparati ottici detti
spettroscopi, principalmente di due tipi: a prisma e a reticolo. Nello spettroscopio a prisma il fascio
di luce attraversa un prisma che provoca la dispersione, tramite una lente lo spettro è ingrandito su
un’apposito schermo trasparente visibile tramite un oculare. Nello spettroscopio a reticolo il fascio
incidente attraversa due sottili fenditure parallele e molto vicine che si comportano a loro volta
come due sorgenti coerenti. La luce emessa dalle due fenditure è proiettata, tramite un sistema di
lenti, su uno schermo visibile attraverso un oculare. Sullo schermo appaiono le figure caratteristiche
dell’interferenza: delle bande parallele, dette frange, alternativamente chiare e scure, equidistanti tra
loro, ulteriormente divise in bande colorate.
7
Esperienza di Young
Nel 1801 Young verificò che quando
la luce attraversa un reticolo, costituito
da sottili fenditure parallele, manifesta
comportamenti tipici delle onde: sullo
schermo a valle del reticolo la luce è
diffratta in direzioni diverse da quella
di incidenza, l’alternarsi di zone di
luce a zone d’ombra può essere
compreso solo tramite fenomeni
d’interferenza costruttiva e distruttiva,
infine la luce bianca è scomposta nei
colori dell’arcobaleno.
Se si utilizza una sorgente di luce
monocromatica, si isolano i fenomeni di diffrazione ed interferenza e si possono misurare le
distanze tra i massimi di luce.
Le bande di massima intensità sono definite dalla condizione di interferenza costruttiva | x2 – x1| = n
λ, con n = 0,1,2,… quelle oscure da | x2 – x1| = (2n + 1) λ/2.
Indicando con: m = distanza tra le
fenditure (misurabile);
x1 e x2 = i rispettivi cammini percorsi
dalla luce proveniente da S1 e da S2 per
arrivare nella banda luminosa P1;
d = distanza tra schermo e fenditure
(misurabile) ≈ x1, x2;
Δsn = distanza tra la banda luminosa
centrale e la n-esima banda luminosa;
θn = angolo sotteso alla distanza Δsn
(dato che l’angolo è molto piccolo si approssima senθ≈θ).
mΔs
Si ottiene la relazione indicata da Young, per il primo massimo in P1: λ =
Per l’n-esimo massimo:
d
mΔs n
λ=
nd
La nostra vista associa alle lunghezze d’onda della luce delle sensazioni che noi chiamiamo “colori”
come indicato (approssimativamente) nella seguente tabella:
colore
λ nm
(10-9 m)
ν THz
(1012 Hz)
Violetto
390-450
Blu
450-490
Verde
490-580
Giallo
580-600
Arancione
600-620
Rosso
620-780
770-660
660-610
610-520
520-500
500-480
480-380
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LA RADIAZIONE DEL CORPO NERO
Il calore può essere trasferito per irraggiamento: il corpo cede energia all’ambiente circostante sotto
forma di onde elettromagnetiche.
E’ noto che gli oggetti metallici, a temperatura ambiente, sono visibili e distinguibili proprio perché
riflettono la luce incidente, tuttavia a temperature dell’ordine delle centinaia di gradi diventano tutti
incandescenti, emettono luce propria e non sono più facilmente distinguibili. In generale tutti i corpi
portati ad elevata temperatura sono incandescenti ed emettono, all’aumentare della temperatura,
radiazioni elettromagnetiche prima nell’infrarosso, poi nel visibile fino all’ultravioletto. Ogni corpo
che non sia allo zero assoluto emette energia raggiante e, simultaneamente, riceve energia raggiante
dai corpi circostanti che non siano allo zero assoluto.
Termodinamicamente si definisce emissione termica l’energia radiante che proviene da un corpo
mantenuto ad una data temperatura da un dispositivo esterno che gli fornisce costantemente energia.
Il potere emissivo e è la potenza emessa per unità di superficie del corpo, il potere assorbente a è la
frazione dell’energia incidente assorbita. Kirchhoff dimostrò con la termodinamica che, per
e
qualunque corpo, il rapporto e/a è definito da:
a
= f (ν , T )
dove ƒ(ν, T) è una funzione dipendente dalla frequenza ν della radiazione e dalla temperatura
assoluta T del corpo, ma non dipende dal materiale del corpo assorbente. Da questa legge si
possono ottenere alcune importanti deduzioni.
•
•
•
•
La legge di Kirchhoff, considerata in spettroscopia, trova una giustificazione qualitativa
nell’inversione che si verifica tra lo spettro di assorbimento e quello di emissione. Inoltre
soddisfa la condizione necessaria stabilita dal II° principio della termodinamica. Se un corpo
assorbisse senza emettere, la sua temperatura aumenterebbe senza limite, a spese del calore
ricevuto dai corpi circostanti, arrivando a superare le loro temperature pur continuando a
ricevere calore. Analogamente un corpo che emettesse senza assorbire continuerebbe a
raffreddarsi, aumentando la temperatura dei corpi circostanti a valori superiori alla propria.
Per un corpo tale che a = 1, detto corpo nero, la radiazione emessa dipende solo dalla frequenza
e dalla temperatura, ma non dal materiale: tutti i corpi neri emettono ugualmente. Il
comportamento del corpo nero è più coerentemente descritto dal termine “radiatore totale”.
La riflessione, fenomeno dovuto al tipo di superficie, corrisponde ad una riduzione del termine
di assorbimento e quindi del fattore di emissione: corpi con superfici riflettenti emettono meno
di quelli con superfici ruvide o annerite.
Se un corpo emette una radiazione, deve essere in grado di assorbirla alla stessa temperatura
(fenomeno verificato dall’inversione dello spettro), ma non è vero il viceversa: un vetro colorato
di rosso alla temperatura ambiente assorbe tutte le radiazioni visibili ad esclusione di quelle
rosse, ma non emette autonomamente luce rossa.
Un corpo nero è un dispositivo tale da assorbire tutta la radiazione incidente su esso.
Un esempio di corpo nero è un forno, isolato dall’ambiente circostante, con le pareti interne
annerite, chiuso da tutti i lati e che può ricevere o emettere radiazione elettromagnetica solo
attraverso un piccolo foro.
Il potere emissivo e è la potenza emessa per unità di superficie del corpo, il potere assorbente a è la
frazione dell’energia incidente assorbita. Per un corpo nero a = 1, il potere di emissione è funzione
della frequenza e della temperatura assoluta.
Per un generico corpo, con a ≠ 1, si ha che il rapporto tra il potere emissivo e quello assorbente è
uguale a quello di un corpo nero alla stessa temperatura. La determinazione della funzione f(ν, T) fu
risolta inizialmente da Boltzmann, Stefan e Wien, i quali stabilirono che l’energia emessa dal corpo
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nero, nell’unità di tempo e di superficie è E = σT con σ = 5,7⋅10 W/m K .
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L’andamento dell’energia della radiazione emessa al variare
della temperatura è illustrato in figura.
All’aumentare della temperatura l’energia raggiunge la
massima intensità per radiazioni a frequenza sempre più
elevata (ovvero a lunghezza d’onda sempre più piccola).
In termini più semplici un corpo che ad una certa temperatura
emette una luce che ai nostri occhi appare rossa,
all’aumentare della temperatura la luce emessa avrà una
lunghezza d’onda minore, cioè da rossa diventerà gialla, fino
a diventare violetta: se la temperatura aumenta ulteriormente
la radiazione emessa sarà sempre meno visibile ma sempre
più energetica.
L’interpretazione teorica della radiazione di corpo nero venne
risolta da Max Planck proprio nel 1900, utilizzando il
concetto probabilistico di entropia di Boltzmann applicato ad
atomi intesi come oscillatori armonici ed introducendo
l’”elemento di energia” o quanto di energia. La teoria del
corpo nero di Planck rappresenta un ideale spartiacque tra la
fisica classica e la fisica quantistica.
Mentre la legge della radiazione di Planck venne rapidamente
accettata, quella che oggi consideriamo la sua novità
concettuale – la quantizzazione dell’energia – passò quasi
inosservata: la discontinuità quantistica – l’energia non varia
con continuità ma varia solo tra alcuni valori, a “salti” – la si
considerava un artefatto, un’ipotesi matematica...
...e tale rimase per quasi cinque anni: fu Einstein ad aprire, nel 1905, una nuova via di ricerca
sulla teoria dei quanti di luce, ma questa è un’altra storia...
Bibliografia
Hecht, Fisica vol. 1, 2, Zanichelli
Maffei, Fiorentini, Arte e Cervello, Zanichelli
Segrè, Personaggi e scoperte nella fisica classica, Mondadori
Segrè, Personaggi e scoperte nella fisica contemporanea, Mondadori
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